Le manipolazioni del passato di Nicolas Sarkozy

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Le manipolazioni
del passato di
Nicolas Sarkozy
Charles Heimberg
La storia delle democrazie è sempre stata
segnata dalla propaganda politica e
dall’uso che le personalità pubbliche
hanno fatto del passato, della storia e
della memoria, a servizio dei loro più
immediati interessi.
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Il presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy – e prima di lui il ministro e candidato Nicolas Sarkozy – ha senza dubbio intensificato questo uso e questa capacità di rimaneggiare il passato e di sottomettere la storia alla sua volontà.
In democrazia l’uso
pubblico della storia ha
effetti positivi e negativi.
Può incoraggiare una
memoria collettiva,
fondata su valori di
riconoscimento e di
apertura, ma può anche
servire alle ideologie
segregazioniste
Il Fronte Popolare, oggi, non
appartiene al Partito Socialista, più
di quanto il ricordo di Guy Môquet, il giovane
membro della Resistenza, fucilato a
17 anni e mezzo,
non appartenga al
Partito Comunista.
Egli è morto per
la Francia, non
per il comunismo. Egli non appartiene al
comunismo. E, se chiedo che la lettera di
1. Nicolas Sarkozy, Discorso a Tolosa, 12
aprile 2007.
2. Cfr. il sito di Jean Vé-
ronis: www.up. univmrs.fr/veronis/Discour
s2007, realizzato durante la campagna pre-
sidenziale del 2007.
3. Comment Nicolas
Sarkozy écrit l’histoire de France, a cura di
Guy Môquet sia letta ogni anno a tutti i liceali francesi, non è perché lui era comunista, ma perché aveva 17 anni, perché era
coraggioso e ha dato la sua vita per il nostro paese. Ecco la lezione di storia, che
vogliamo dare alla sinistra di oggi.
È vero, non sono socialista, ma quello
che ha fatto la sinistra di un tempo, che credeva al lavoro, che credeva all’educazione,
che credeva al merito, che credeva alla libertà di coscienza, che credeva alla morale, che credeva all’individuo, io lo voglio
fare a mia volta.
Quei valori della sinistra di un tempo,
ho voluto che la destra repubblicana, che
li aveva troppo trascurati, li riprendesse a
sua volta, proprio nel momento in cui la
sinistra li sta abbandonando1.
In democrazia l’uso pubblico della storia ha
effetti positivi e negativi. Può incoraggiare una
memoria collettiva, fondata su valori di riconoscimento e di apertura, ma può anche servire
alle ideologie segregazioniste. E rischia, sfortunatamente, di essere preda privilegiata della demagogia e del populismo, come si vede in molti esempi europei.
Di questa demagogia, Nicolas Sarkozy ce
ne ha dato sopra uno splendido esempio. Ma
non è il solo. La sua campagna elettorale è stata attentamente studiata, e tutti i suoi discorsi
repertoriati con cura in un sito web2. Gli au-
L. de Cock et al., Agone, Marseille 2008, Introduzione, p. 15. Il volume, pubblicato in
una collana del Comité de vigilance face
aux usages publics de
l’histoire (CVUH), si
presenta come un
picccolo dizionario tematico da cui provengono i testi qui citati.
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tori di un libro collettivo, consacrato di recente all’uso pubblico della storia del candidato
Sarkozy, sottolineano che «questa strumentalizzazione è una strategia in tre tappe: sollevare un polverone, lusingare (per sviarla) l’attenzione dell’elettorato e definire con incisività una ben determinata concezione dell’identità nazionale»3. In questo modo, mettendo le
mani sulle eredità storiche e reinterpretandone i simboli, questa utilizzazione del passato
rende evidente a tutti la necessità che i cittadini, che sono il vero obbiettivo di questi discorsi e di queste manipolazioni, conoscano
meglio la storia, in tutta la sua complessità e
nella pluralità dei suoi punti di vista.
Guy Môquet et Jean Jaurès
L’affaire della lettera di Guy Môquet è fra
le più commentate. Come abbiamo visto, il
candidato, una volta diventato presidente, ha
deciso di fare leggere in tutti i licei questo testo straziante – la lettera ai suoi genitori di un
giovane resistente comunista condannato a
morte dai nazisti –, decontestualizzandola, negando la dimensione comunista dell’impegno
della vittima e occultando il fatto che questa
lettera era stata censurata in modo evidente,
affinché ne restasse viva solo la carica affettiva: così il documento è stato reinterpretato, a
vantaggio di una prospettiva nazionale che si
vorrebbe consensuale: «Io attribuisco all’amore della patria un valore più grande che al patriottismo di partito», così ha esclamato il candidato della destra francese (p. 134). Gli insegnanti, fortunatamente, hanno contestato in
gran numero questa manipolazione. Il “pathos”
e la “comunione con il presidente” hanno fatto cilecca (p. 136). Ma, da dopo di allora, sono venuti fuori ben altri guasti.
Ho voluto affermare che la destra repubblicana odierna non era l’erede della
destra antisemita, antidreyfusarda, reazionaria o petainista della III Repubblica, ma
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GARIBALDI.
REVISIONISMI FERRAGOSTANI
DI UN MITO RISORGIMENTALE
Francesco Buscemi
a mattina del 1 agosto 2008, i siciliani hanno potuto leggere
sulle pagine locali di «Repubblica» il nuovo programma
culturale e urbanistico del presidente autonomista della Regione
Sicilia, Raffaele Lombardo: «abbattere i simboli di un’impostura
chiamata Unità d’Italia»1. Più che un programma, in realtà, è stata
una chiamata alle armi in sostegno del sindaco di Capo
d’Orlando, Roberto Vincenzo Sindoni, che aveva preso a picconate
la targa della piazza intitolata a Garibaldi. Non sarà solo l’eroe dei
Due Mondi ad essere colpito, ha assicurato Lombardo: «Dopo la
targa di Garibaldi, adesso bisogna cancellare Cavour il
piemontese, qualche siciliano come Crispi che fece sparare sul
popolo e Nino Bixio, il carnefice di Bronte»2. Con queste battute è
iniziata una polemica che ha infiammato le già torride giornate
d’agosto siciliano. Molti esponenti del mondo accademico, infatti,
hanno reagito alla provocazione di Lombardo firmando un
documento pubblicato pochi giorni dopo; e per tutto il mese, poi,
alcuni tra gli storici siciliani più illustri hanno preso una posizione
pubblica sulla questione, da Francesco Renda a Salvatore Lupo,
L
1. «la Repubblica», sezione Palermo, 1 agosto 2008, p. 2.
2. Ibidem.
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che, invece, era l’erede del Gaullismo, della democrazia cristiana e del liberalismo.
Allo stesso modo, ho voluto dire che non
riconoscevo l’eredità di Jaurès, di Blum o
di Camus nella sinistra di oggi.
Ho voluto dire che la destra di oggi
aveva lo stesso diritto di rivendicare l’eredità delle conquiste sociali del Fronte Popolare e del Consiglio Nazionale della Resistenza che la destra di oggi.
Ho voluto dire che, quando leggo quello che Jaurès ha detto sull’educazione, quello che ha detto sulla storia di Francia, quello che ha detto sulla nazione, mi sento
l’erede di un Jaurés, che appartiene a tutti
i francesi.
Ho voluto dire che quando vedo nei
documentari dell’epoca lo sguardo di quei
figli di operai che nel 1936 scoprivano il
mare, grazie alle vacanze gratuite e sentivano per la prima volta pronunciare la parola “vacanze”, io mi sento, come tutti i
francesi, l’erede di Léon Blum4.
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Guy Môquet (sopra
la bicicletta) e suo
fratello Serge
davanti alla loro
casa a Parigi nel
giugno del 1939.
Militante
antifascista fu
fucilato a soli
diciassette anni dai
nazisti.
Non è bastato, dunque, che la memoria di
Jean Jaurès sia stata oggetto di ogni genere di contesa, in seno alle diverse componenti del movimento operaio. Ecco che un uomo politico di destra, con un gioco di frasette citate al di fuori di
ogni contesto, tenta di recuperare a suo vantaggio l’opera di Jaurès. Come osserva Blaise WilfertPortal, per Sarkozy non si tratta mai «del Jaurès
degli scioperi di Carmaux, del Jaurès dell’Internazionale Socialista, del Jaurès per il quale “la nazione porta la guerra in seno, come le nuvole la
tempesta”, del teorico e interprete di Marx, dell’instancabile difensore della riduzione dei tempi
di lavoro, del promotore delle tasse, come fondamento della redistribuzione e della giustizia sociale» (p. 107). Con questo esempio, ci si trova al centro di questo processo di rovesciamenti, che caratterizza l’uso che il presidente francese fa della
storia. Quanto a Léon Blum, al Fronte Popolare e
al Consiglio Nazionale della Resistenza, la loro
concezione politica è talmente distante dalla politica conservatrice del presidente francese, che la
cattiva fede e l’imbroglio si manifestano da soli.
Manipolazioni che ricordano vecchie
manipolazioni e ne invocano di nuove
L’uso che Nicolas Sarkozy fa del concetto di
totalitarismo è ugualmente rivelatore di queste
manipolazioni di cui è così amante. Stando alle
sue dichiarazioni, in effetti, «la Repubblica non si
definisce solamente a partire dai suoi nemici –
l’assolutismo, il clericalismo, l’antidreyfusismo, il
collettivismo o il totalitarismo – ma anche per i
suoi alleati»5. Questa lista di “ismi”, che associa
le grandi battaglie repubblicane del Novecento
alla lotta dei conservatori contro tutte le politiche di solidarietà in campo sociale, è abbastanza edificante. E lo è di più se si completa questa
citazione con un’affermazione che il candidato
Sarkozy ha ripetuto più volte: «Voglio essere il
presidente di una Francia che difende ovunque
i diritti dell’uomo e il diritto dei popoli a disporre di loro stessi. Di una Francia che combatte le
dittature e combatte il totalitarismo, questa tirannia nella quali il tiranno non ha volto, perché è
4. Nicolas Sarkozy, Discorso a Tours, del 10
aprile 2007.
5. Discorso del 12 ot-
tobre 2006 a Poitiers.
6. In S. Combe, Comment Nicolas Sarkozy
cit.p. 183.
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dovunque, anche dentro le teste delle persone»6.
In questa costruzione intellettuale, il totalitarismo
si trova, dunque, sempre rappresentato come la
causa suprema del soffocamento della libertà.
Ma, da un altro lato, il totalitarismo non ha colpito direttamente la Francia, perché, secondo l’autore, essa sarebbe stata completamente risparmiata da questo fenomeno ideologico. Fatto che
gli consente di ricamare sulle virtù dell’identità
nazionale, e sul rifiuto di qualsiasi “pentimento”,
di fronte ai rimproveri della memoria. Così, immancabili, ritornano a galla i famosi aspetti positivi della colonizzazione, che un articolo della
legge del 2005, abolito più tardi dal presidente
Jacques Chirac, introdusse d’imperio nei programmi francesi di insegnamento e di ricerca; allo stesso modo ritornano «gli uomini e le donne di buona volontà, che hanno pensato in buona fede di
operare utilmente per un ideale di civilizzazione
al quale credevano»7. Ci si allontana, sicuramente, da qualsiasi rimessa in gioco dei riconoscimenti dei crimini del passato. Le vittime del colonialismo potranno apprezzare.
Gli africani dovrebbero entrare
nella storia?
Nessuno, più degli africani, ha avuto modo
di apprezzare il discorso che il presidente ha
pronunciato a Dakar, nel luglio 2007, nel quale ha affermato che «L’uomo africano [non era]
affatto entrato nella storia». Un anno più tardi8,
il suo consigliere speciale Henri Guaino torna
sull’argomento e scrive:
«In nessun luogo si dice che gli Africani non hanno una storia. Tutti ne hanno
una. Ma il rapporto con la storia non è lo
stesso da un’epoca all’altra, da una civilizzazione all’altra. Nelle società contadine, il
tempo ciclico la vince sul tempo lineare,
che è quello della storia. Nelle società moderna è il contrario».
Dunque, è di una concezione della storia interamente orientata verso il progresso, che si tratta.
7. Discorso del 7 febbraio 2007 a Tolone.
8. «Le Monde», 27 e
28 luglio 2008.
passando per il più possibilista Giuseppe Barone, docente di
storia contemporanea a Catania.
Ci sembra, questo, un significativo caso di teatralizzazione mediatica
di revisionismo amatoriale. Che il revisionismo sia uno dei
fondamenti della ricerca storica è ormai ampiamente riconosciuto;
da anni, poi, le figure del Risorgimento italiano sono state
demitizzate, analizzate nel dettaglio per scoprirne le contraddizioni,
le invenzioni, la pesante armatura retorica di cui erano corazzate. Gli
storici e le storiche sanno perfettamente che i conti con la storia
non si fanno a colpi di piccone o con interviste che facciano
sensazione; hanno imparato che la ricerca storica è un gioco di
pazienza, un intenso e appassionante esercizio di studio.
Dalla nuova ondata di “sicilianismo” possiamo ricavare
principalmente due considerazioni. In primo luogo, non c’è bisogno di
essere troppo maliziosi per collegare l’improvviso interesse per la
storia dei politici italiani, da nord a sud, alla discussione sul
federalismo fiscale di questi ultimi mesi. Attaccare il Risorgimento
come simbolo di unità nazionale non vuol dire soltanto preparare la
strada alla creazione di nuovi miti regionali, indispensabili perché si
rafforzino le identità locali – come pure è auspicato dai fautori della
riforma. Richiamare i danni procurati dall’Unità alle popolazioni
regionali, infatti, è il primo passo per la rivendicazione di risarcimenti,
di riparazioni di cui lo Stato centrale dovrà farsi carico per espiare il
peccato unitario. Per il caso siciliano siamo di fronte alla solita
leggenda del Mezzogiorno paese ricco, ma sventurato per aver avuto
governi corrotti, alla melodrammatica epopea di un popolo
perennemente sotto il giogo straniero, dagli arabi ai piemontesi. La
via italiana al federalismo, insomma, passa anche attraverso il senso
comune storico. Se questo è l’aspetto politico più rilevante, però, dal
punto di vista culturale si registra un danno non minore.
Approfittando della maggiore visibilità di cui godono rispetto agli
storici professionisti, i divulgatori del sicilianismo possono continuare
a diffondere il mito del Sud “regalo di Garibaldi all’Italia”, soggetto a
una perfida conquista militare. Restano fuori da questo racconto gli
aspetti più intricati e intriganti del processo di unificazione italiano:
l’enorme pervasività della retorica nazionale a tutti i livelli della vita
dell’individuo; l’eccezionale carica emozionale evocata da figure
come Garibaldi, Vittorio Emanuele e perfino Pio IX; la diffusione delle
idee nazionali attraverso l’arte e la letteratura, in grado di diffondere
sul piano emotivo e simbolico l’ideale nazionale. Gli studi di Alberto
Mario Banti, Lucy Riall, Paul Ginsborg, Silvana Patriarca, non vogliono
difendere a tutti i costi le icone risorgimentali, ma si propongono di
capirne il successo, di valutarne la forza.
Piacerebbe pensare, almeno, che da questa polemica d’agosto
nascano serie iniziative di confronto, non soltanto nel corso di
quest’anno garibaldino, ma anche in occasione del prossimo
150° anniversario dell’Unità d’Italia. Nel primo mese di governo,
Lombardo ha mancato la data di consegna delle richieste di
finanziamento per le celebrazioni, ma è pronto a dare battaglia:
«Se ci sono ancora margini politici di movimento, li utilizzerò. Per
avere anche solo una fetta di quel miliardo e 200 milioni di euro,
sia chiaro, sono disposto pure a indossare la camicia rossa»3.
Sulla corsa ai finanziamenti, almeno, il Risorgimento continua ad
unire l’Italia.
3. «la Repubblica», sezione Palermo, 21 agosto 2008, p. 2.
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L’uomo moderno è angosciato da una
storia di cui è autore e di cui non conosce
il seguito. Questa
le idee storiche del concezione del
consigliere presidenziale tempo, che si dispiega secondo
[…] ci danno a vedere una una durata preciimmagine del passato sa e secondo una
unilaterale, eurocentrica, direzione determinata, è stato spela cui linearità, orientata rimentata per la
unicamente verso il prima volta da
progresso, sembra Roma e dal GiuPoi ci soprovenire da una daismo.
no voluti dei milconcezione ingenua e lenni affinché
accecata del mondo l’Occidente invenl’ideologia
contemporaneo tasse
del progresso. Ciò
non vuol dire che nelle altre civiltà non ci
siano stati dei progressi, delle invenzioni
cumulative. Ma l’ideologia del progresso,
così come noi la conosciamo, fa parte dell’eredità dell’Illuminismo.
I presupposti impliciti in queste poche righe sono numerosi, e inquietanti. Ci mostrano immediatamente le certezze e la chiusa vi-
sione del mondo, che caratterizza l’entourage
del presidente Sarkozy. Il lavoro di Enzo Traverso sulla genealogia europea della violenza
nazista9 ci ha tuttavia ricordato che la Shoah
non è stata solamente un problema specificatamente tedesco e che la violenza nazista è
iscritta nella lunga durata della storia europea,
per quanto non ne fosse una conseguenza ineluttabile. Ha messo in evidenza che la violenza e i crimini del nazismo appartengono tanto a fondo alla cultura europea, da esserne
uno dei prodotti possibili.
Ma le idee storiche del consigliere presidenziale non ignorano soltanto una Shoah che
ha lacerato l’Europa del XX secolo. Ci rivelano ugualmente una concezione molto povera
della storia umana e della sua evoluzione. Ci
danno a vedere una immagine del passato unilaterale, eurocentrica, la cui linearità, orientata unicamente verso il progresso, sembra provenire da una concezione ingenua e accecata
del mondo contemporaneo, così come noi lo
conosciamo. Certamente, in questo caso non
si tratta che di un discorso di propaganda, che
ci fa comprendere meglio delle trovate che
non hanno nulla a che vedere con la storia.
Ma il rifiuto dell’alterità è patente.
In fin dei conti, questa visione della storia,
proprio perché vuole legittimare una primazia
dell’Occidente, fino a giustificarne a posteriori
i crimini e le pagine oscure, è assurda e dannosa. Ma, sfortunatamente, i guasti dell’uso pubblico del passato compiuti da Sarkozy non sono ancora finiti.
Una Casa per rinchiudere la storia
nell’«Anima» della nazione?
Arriviamo dunque al progetto della Maison
de l’Histoire, o meglio della Maison des siècles et de l’histoire (‘Casa dei secoli e della
storia’) secondo un’espressione di ispirazione
napoleonica, che potrebbe essere istituita nell’Hotel National des Invalides, ora allo studio,
in seguito alla pubblicazione di un rapporto
Un gruppo di
partigiani francesi
in una immagine
del 14 settembre
1944.
9. E.Traverso, La violence nazie, une généalogie européenne,
La Fabrique, Paris
2002.
10. H. Lemoine, Pour
la création d’un centre de recherche et de
collections permanentes dédié à l’histoire civile et militaire de la France. Si
tratta di una versione
dell’inizio 2008, consultata in aprile su Internet: lesrapports.la
documentationfrancai
se.fr/BRP/084000137/
11. Cfr. N. Offenstadt,
L’«âme» de la France
au musée, nell’edizione partecipativa di
«Mediapart» Usages et
mésusages de l’histoi-
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di Hervé Lemoine, conservatore del patrimonio10. Chiaramente incluso nelle iniziative memoriali del capo di Stato, questo progetto parte dalla constatazione della necessità del rinnovamento «del bisogno di storia della Repubblica», ma anche della «perdita dei quadri di riferimento […], in primo luogo del quadro cronologico, derivante dall’irruzione delle politiche memoriali, [che] alimentano i turbamenti
e i dubbi dei francesi nei confronti della propria storia» (p. 14). Si tratterebbe, né più né
meno, voltando le spalle alla pluralità della
storia, di «mettere in luce gli elementi costitutivi e singolari, nei due sensi del termine, di
quest’anima», in questo caso, quella della nazione francese (p. 14). Per lo storico Nicolas
Offenstadt, qui «si dimostra un essenzialismo
impressionante (la Francia in sé) che riporta
tutto ad una unità psicologica, che nasce dalla fede e non dall’esercizio del lavoro storiografico. Per non parlare dell’uso di un vocabolario psicologizzante, al quale gli storici hanno rinunciato da molto tempo» 11. Ma questo
rapporto non cessa di gettarci nella costernazione: «La Francia ha una lunga storia – così
conclude. La Francia è la casa dei secoli. Diamo dunque una “Casa della storia” alla Francia» (p. 41). Nessun dubbio che con questo
progetto la storia eurocentrica, del tutto incapace di farci comprendere il mondo reale, ha
ancora una lunga vita davanti a sé.
«Decostruire l’immaginario storico forgiato
dalla Terza Repubblica e rileggere il passato,
mi pare questo il cammino indispensabile di
una nuova francesità, nella quale ciascuno
sappia riconoscere l’altro in una storia comune e plurale», così ha scritto Suzanne Citron,
nella recente introduzione ad un suo vecchio
libro, appena ripubblicato12 (p. 16). Si era nel
1987, e, allora, quel libro ci aveva svelato i
meccanismi di costruzione della storia nazionale francese autocelebrativa, votata ad una
prospettiva identitaria, nella quale erano coinvolti anche i bambini delle colonie.
Questo libro, ora, ci è riproposto con un
re, da consultare su
www.mediapart.fr/clu
b/edition/usages-etmesusages-de-l-histoi
re/article/220408/lame
-de-la-france-au-musee.
12. S. Citron, Le mythe national. L’histoire de France revisitée
(1987), L’Atelier, Paris
2008.
aggiornamento ben fatto. Ci ricorda quei progressi, nella scelta dei temi della storia scolastica, che ci consentono di non occultare più
gli aspetti problematici della tratta dei negri,
del regime di Vichy o della guerra di Algeria.
Ma sottolinea che «il suo scopo iniziale, la messa sotto accusa delle modalità complessive della costruzione e del contenuto di quel racconto chiamato “Storia di Francia” è più che mai
attuale» (p. 13). Questa constatazione concerne in particolare la mania di far risalire l’identità francese ai tempi più remoti. In effetti, «in
una Francia eterna la storia degli altri non esiste affatto» (p. 96).
Ha ancora valore una delle domande centrali del libro. Perché la nuova scuola delle
«Annales», fondata da Marc Bloch e da Lucien
Febvre, non ha prodotto un nuovo modo di
insegnare la storia francese? Perché i progressi della storiografia faticano tanto a entrare nei
contenuti dell’insegnamento? Qui tocchiamo,
senza alcun dubbio, uno degli aspetti fondamentali della riflessione sull’insegnamento della storia e sulla didattica. Come fare sì che gli
allievi riescano a liberarsi dal senso comune,
e riescano ad esercitare un pensiero critico,
nutrito dalle domande della storia sul mondo,
declinata in tutte le sue scale?
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Charles De Gaulle
visita Algeri dopo il
putsch militare del
13 maggio 1958.
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Charles Heimberg
Le manipolazioni del passato di Nicolas Sarkozy
Suzanne Citron constata l’obsolescenza, per
quanto riguarda la storia nazionale, della vecchia cultura repubblicana, quella che data a
prima del 1914. Mostra che è necessario prima di tutto decostruire. E perciò invoca lo sviluppo di una storia scolastica diversificata, di
un altro rapporto col passato che ci apra a
nuove prospettive. E questo ci porterebbe a
postulare una memoria collettiva più larga, più
inclusiva, che sappia riconoscere la pluralità.
Ma come arrivarci, quando chi ha il compito
di curare gli affari dello Stato torna indietro alle vecchie ricette di una storia identitaria, ripiegata su se stessa?
Il pericoloso incanto
dell’identità nazionale
Proprio per far fronte all’uso smodato che ne
fa Nicolas Sarkozy, lo storico Gérard Noiriel ci
propone una riflessione utile sull’identità nazio-
32
nale, sulle sue utilizzazioni e sulle sue conseguenze13. Il principio della nazionalità, che ha trionfato in Europa nel tornante dei secoli XVIII e XIX,
si basava sulle nozioni di “mêmeté” (‘comunanza’), ossia sull’idea che i membri di una stessa
nazione condividono caratteristiche comuni, e
sulla nozione di “ipséité” (‘ipseità’), ossia il fatto
che i cittadini hanno chiara coscienza di questa
comunanza, attraverso le loro tradizioni e la loro memoria. La crescita dei nazionalismi della fine del secolo XIX ha consacrato una “identità nazionale” più chiusa e iscritta in una dinamica di
confronto con le altre nazioni. Da quel momento in poi ci si è dedicati prioritariamente alla conservazione delle tradizioni identitarie, più che a
una qualsiasi prospettiva rivoluzionaria.
La questione dell’identità nazionale ha sempre causato degli scontri fra destra e sinistra.
Essenzialista e celebrativo del culto dei morti,
il nazionalismo di un Maurice Barrès era anche diretto contro i nemici esterni e interni, e
ammiccava ai pregiudizi razziali e antisemiti. Prima di essere spazzato via dalla Grande Guerra, il patriottismo più
aperto di Jean Jaurès aveva
cercato di contribuire al progresso dell’umanità.
Nel corso del Sessantotto, il
discorso sulla sicurezza si è separato dal tema degli stranieri
e dalla nozione dell’identità nazionale, allora per nulla di moda, se non per sostenere i diritti nazionali delle minoranze.
Ma gli anni Ottanta hanno costituito un tornante. Su iniziativa di una destra intellettuale
Il presidente
francese,
Nicolas Sarkozy.
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rimpannucciata, sostenuta massicciamente da
media in cerca di audience, l’identità nazionale
è tornata di moda, rimettendo i giovani immigrati al centro del problema della sicurezza.
L’uso recente del tema dell’identità nazionale non costituisce dunque una novità. Per Gérard
Noiriel, non ha fatto altro che rafforzare i processi di stigmatizzazione e una logica di divisione:
“noi” e gli “altri”. Sono fenomeni che da molto
tempo si stanno sviluppando sotto la spinta del
Fronte Nazionale. La grande differenza dei nostri giorni, proprio mentre gli immigrati diminuiscono, è che questo uso perverso, simbolizzato
dalla creazione, da parte di Nicolas Sarkozy, di
un apposito Ministero dell’Immigrazione e dell’Identità nazionale, lascia intendere che, d’ora in
poi, ci saranno immigrati buoni e meno buoni.
Gérard Noiriel mostra, dunque, che questo
scontro, fra la concezione nazionale aperta ad una
comunità di destino planetaria e il nazionalismo
poliziesco e stigmatizzante, ha una lunga durata:
e questo ci spinge a conservarne la memoria.
Gli escamotages di Nicolas Sarkozy,
fuori della Francia
Una delle riutilizzazioni più assurde e insensate di Nicolas Sarkozy riguarda lo storico Marc
Bloch. Come sottolinea lo stesso Gérard Noiriel,
il cofondatore delle «Annales» non ha mai difeso altro che il pensiero critico. Non ha mai optato per un consenso nazionale obbligato, sostenendo che questo non va confuso, in nessun
modo, con quelle feste popolari, capaci di mobilitare il popolo intorno agli ideali democratici. Ha sempre combattuto «per un insegnamento della storia libero dalla tirannia dell’evento e
del tempo presente, a tutto vantaggio di uno
13. G. Noiriel, À quoi
sert l’identité «nationale», Agone, Marseille 2007. Questo volume ha aperto la collana sopramenzionata
del CVUH.
14. G. Noiriel, Marc
Bloch, in Comment
Nicolas Sarkozy cit.,
pp. 36-39.
studio serio delle grandi civilizzazioni»14. Obbiettivi il cui raggiungimento è ancora, purtroppo,
di grande attualità.
L’uso recente del tema
Le manifestazioni molteplici di ma- dell’identità nazionale
nipolazione della non costituisce dunque
storia, da parte di
una novità. […] La grande
Nicolas Sarkozy, non
si riducono a un fe- differenza dei nostri
nomeno franco-fran- giorni […] è che questo
cese. Hanno effetti
uso perverso,
anche al di fuori dell’Esagono. Una volta simbolizzato dalla
esaurito l’elenco de- creazione […] di un
gli spettacoli e delle
apposito Ministero
caricature, che distingue questa poli- dell’Immigrazione e
tica culturale, questi dell’Identità nazionale,
usi perversi della
lascia intendere che,
storia e della memoria meritano di esse- d’ora in poi, ci saranno
re sottoposti ad immigrati buoni
un’indagine compae meno buoni
rata. In effetti, sono
trasferibili e possono ricordarci situazioni analoghe in altri paesi, in Italia, come in Spagna,
ivi compresa la Svizzera, dove l’estrema destra
ha promosso un uso inquietante dell’identità nazionale.
Di fronte alla pressione della demagogia populista, alla storia non resta che affermarsi come scienza sociale, i cui apporti sono specifici
per la comprensione del mondo. Perciò, è importante scoprire le manipolazioni che caratterizzano il discorso politico sul passato, e il loro
pervasivo uso mediatico. Da questo punto di vista, Nicolas Sarkozy costituisce una fonte, a tutta vista, inesauribile.
33