Gli zaleti - "G. Cipriani" di Adria

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Gli zaleti - "G. Cipriani" di Adria
Gli zaleti
“Signore mamme, trastullate i vostri bambini con questi gialletti; ma avvertite di non
assaggiarli se non volete sentirli piangere per caso molto probabile che a loro ne tocchi la
minor parte”.1 Così esordisce il grande Artusi nel presentare le due ricette di gialletti
presenti nel suo manuale, non nascondendo l’entusiasmo con cui i bambini accoglievano i
rustici dolcetti che devono il loro nome all’impiego di farina gialla. Presenti in tutta l’area
veneta, cadevano preferenzialmente nel periodo di carnevale ed appartenevano sia alla
cucina “alta” che a quella “bassa”.
Se due sono le ricette di Artusi, che nella seconda li prevede “più gentili”, due
risultano essere in un inedito ricettario manoscritto di un cuoco rodigino, Giacomo Basso,
alla metà dell’Ottocento: “Per formare li giallettini. Pigliate una libra farina sorgo finissima,
una libra butiro, libra zuchero, un q.to mandorle peste, un q. to pignolli pesti, ovi n° 6 intieri,
e trè senza chiara, cannella fina cm. 30, e s’impasta il tutto assieme, e si formi li suoi
pezzi, si monti la chiara e si formi li suoi giallettini involti nel zuchero panon 2, e poneteli
nel forno”. E, “Zalletini di lusso. Prendete mezza libra farina bianca e mezza gialla
passate pel sedacio finissimo e mezza pegnolli pestatti finissimi, e della scorza limone,
uva spagna mezza libra prima bullita, e zucchero on. 10, oto rossi di ovo, e il resto per
impastarli buttiro, e cucinati che serà zucchero, e vaniglia sopra; serviteli”.3
Molto più semplici nella cucina popolare ove, pur perdendo la ritualità calendariale,
hanno conservato intatto tutto il loro fascino: “C’era uno che i gialletti li vendeva anche al
mercato di Adria. Andava per la via urlando: -Zaliti caldi! Zaliti caldi…-. Li teneva in un
cesto appeso al braccio coperto da un canovaccio. Noi li facevamo anche in casa, una
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P. Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, Firenze, Bemporad Marzocco, 1960 90, p. 385.
Così detto perché posto in commercio in grossi pani accanto allo zucchero verzino, mascabà, fioreton e
peneto.
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Accademia dei Concordi di Rovigo, G. Basso, Libro di Cuciniere di Giacomo Basso – Domestico delli
Sig.ri Fratelli Cezza s.Rocco. Ricavato dal sandonati coco alle due Attori – (Rovigo – 1829), Fondo non
catalogato, rispettivamente Ric. n. 25 - p. 15; Ric. n. 57 - p. 40.
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qualche volta. Mia nonna faceva così: prendeva farina gialla e fiore, mescolava tutto con
un po’ di lievito e un po’ di latte perché rimanessero morbidi.
Ci metteva melassa, un uovo del limone grattugiato, dell’uvetta e dello strutto per farli
sfregolosi. Impastava, li faceva a forma di biscotto e poi friggeva con strutto nella padella.
Ma che buoni, quando si mangiavano ancora caldi…”. 4
Venditore di zaleti. Incisione XVIII secolo
Il profumo e la fragranza dei gialletti sembrano aleggiare ancora a Bottrighe, così
come ricorda Nicoletta Fantinati: “I miei nonni paterni avevano un piccolo forno cui si
rivolgevano gli abitanti della via per cuocere il loro pane e la domenica era sempre
speciale perché era il giorno degli zaleti, biscotti alquanto informi e grossolani ma
buonissimi. Si impiegava farina finemente macinata di quel granturco che i miei nonni
coltivavano, lo strutto del maiale allevato in casa, le uova del pollaio e l’uva della vigna,
fatta essiccare appositamente per i dolci...5, insomma, un gustoso guazzabuglio i cui
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Fonte: Jolanda Frazzon – Bellombra.
Nell’assenza di uvetta, altrimenti detta levantina, uva Spagna o uva di Corinto, si ricorreva alla
conservazione domestica, come documentano numerosi autori; cfr. G.M. Bonardo, Le Ricchezze
dell’Agricoltura…, In Venetia, Appresso Daniel Bisuccio MDLXXXV, ff. 45-46, mentre Agostino Gallo dà
indicazioni per tenere pergolati di uva marina, “perfetta per metter in ogni sorte di torte, sfogliate, offelle”,
un’uva che molti non curano di seccare per servirsene in casa “secondo le usanze nostre” e poi spendono
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ingredienti erano improvvisati e sempre variabili. Il profumo degli zaleti si spandeva per
tutta la via e a gruppetti i ragazzi del vicinato s’avvicinavano al cancello… Mai nessuno
andava via a mani vuote… Chissà com’era… Di zaleti ce n’era sempre per tutti”.6
In poche e semplici parole, la signora Nicoletta esprime una verità che gli
antropologi hanno discusso in migliaia di pagine. Perché gli zaleti dei nonni erano così
saporiti? Semplicemente perché erano fatti con le uova delle galline allevate nel pollaio
domestico, con lo strutto del maiale alimentato quotidianamente dalla nonna, con il mais
del campo dietro casa e con l’uva conservata per i dolci della festa. In sostanza c’era un
legame affettivo, un cordone ombelicale che univa uomini, animali, terra e raccolti ai piatti
che le massaie manipolavano e che facevano degli zaleti un dolce noto, familiare,
riconosciuto e riconoscibile.
Paolo Rigoni
(Grafica: Giorgia Stocco)
un occhio della testa “nel comprare la levantina, la quale non è così saporita, come è questa”, A Gallo, Le
dieci giornate della vera agricoltura, Vinegia, Appresso Domenico Farri, MDLXV, ff. 67 – 68.
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Fonte: Nicoletta Fantinati - Bottrighe.