aprile - Senza Soste
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www.senzasoste.it Periodico livornese indipendente di informazione, n° 15 OFFERTA LIBERA Quanti 25 aprile ancora? IVANO SCACCIARLI Per riuscire ad immaginare quanti 25 aprile ci attendono, bisogna capire quanti ne abbiamo dietro le spalle. Per esempio, solo gli storici e i militanti di lunghissimo corso ricordano che, proprio a ridosso della resistenza durante gli anni ’50 e una parte significativa dei ’60, le celebrazioni istituzionali del 25 aprile avvenivano in tono minore. Questo, sia per non sottolineare troppo una data che, per quanto costitutiva dell’intera Repubblica, era soprattutto celebrata dalle sinistre, sia per non irritare troppo la “sensibilità” di buona parte dell’amministrazione dello Stato e della giustizia che nel dopoguerra era stata ricostruita lungo l’ossatura del precedente regime. Il primo 25 aprile, quello minore, nasce quindi secondo le esigenze dello stato neocentrista democristiano: rispettare la data osservando la costituzione senza particolari attenzioni cerimoniali. Questo atteggiamento è stato rielaborato durante gli anni del governo del centrodestra e qui, essendo stata data per superata la costituzione, l’esigenza di mantenere un rispetto minimale verso il 25 aprile era dettata dalla necessità di non radicalizzare l’opposizione di centrosinistra. Del resto quest’errore strategico era stato fatto nel 1994 e rappresentò una delle cause principali della caduta del primo governo Berlusconi. Se il 25 aprile minimo ha quindi lontane radici, e sviluppi che arrivano fino ai nostri giorni, altrettanto lontane le ha il 25 aprile dell’unità nazionale che si è spesso alternato, seppur in forme e significati diversi, con la concezione minimale della festa della Liberazione. E qui ci dobbiamo addentrare all’interno di significati spesso mimetizzati nel 25 aprile e aggiunti successivamente al 1945 anche quando espressi in nome della sua portata originaria. Ci riferiamo non tanto all’idea del 25 aprile come secondo risorgimento, o come risorgimento compiuto, che nella retorica ufficiale serve a legittimare la Prima guerra mondiale come guerra d’indipendenza e non come tragedia in sé e genesi del fascismo. Pensiamo soprattutto alla concezione che vuole il 25 aprile come data di legittimazione delle politiche di emergenza, del primo corpo di leggi speciali in materia di ordine pubblico di questo paese, in quanto anche data di legittimazione dei partiti nati dalla resistenza che queste politiche di emergenza hanno poi promosso. È una concezione del 25 aprile che nasce subito a ridosso di quella dei primi anni ’70, quella delle istituzioni che devono essere garanzia contro la stagione delle stragi fasciste, che si rovescia pochissimi anni dopo in quella del 25 aprile contro il fascismo rosso dei cosiddetti anni di piombo e che arriva fino a noi, anche fuori contesto storico, tutte le volte che vengono invocate la politica della fermezza, quella della responsabilità nazionale e quella delle larghe intese. (continua a pagina 6) TAN libera tutti Tra i finanziatori del TAN, considerato l'avvenimento sportivo locale più prestigioso, spicca Vincenzo Onorato, presidente di Moby Lines. La società ex-Navarma, malgrado le evidenti responsabilità nel disastro del Moby Prince, non è mai stata giudicata da alcun tribunale LEILA CHINAPOLI Il TAN, Trofeo Accademia Navale, è la regata più prestigiosa del Mediterraneo. Nasce in occasione delle celebrazioni del centenario dell’Accademia con la denominazione di “Regata del Centenario”, poi le edizioni successive prendono il nome di “Trofeo Accademia Navale e Città di Livorno”. La XXIV edizione partirà il 27 aprile e tra i promotori ci sono tutte le maggiori istituzioni locali (a cominciare da Comune e Provincia) che fanno parte del cosiddetto Comitato d’Onore. Una kermesse che costa tanti soldi (quanti non è dato saperlo) in parte coperti dai numerosi sponsor. Oltre alle più note marche di abbigliamento da vela, arrivano soldi dall’industria strettamente legata al mondo militare e della guerra come Oto Melara, azienda leader nella produzione di cannoni e carri armati, e MBDA, principale consorzio europeo nella costruzione di missili antiaerei, aria-aria e bombe a caduta libera. Poco da stupirsi, il Comune ci ha abituato allo show della guerra. Ci ricordiamo lo spettacolo indecoroso dei carri armati sulla Terrazza Mascagni per la commemorazione della battaglia fascista di El Alamein, messi a disposizione per qualche macabra foto ricordo con soldati in divisa. Ma al peggio veramente non si pone mai fine. Scorrendo la lista degli sponsor un nome tuona su tutti: Moby. La famiglia Onorato, da sempre padrona della flotta exNavarma, non è stata mai chiamata a rispondere in sede processuale malgrado le pesanti responsabilità oggettive nella tragedia del Moby Prince. Un traghetto che al momento del disastro presentava carenze strutturali tali da avere l'abilitazione alla sola navigazione costiera: a bordo non funzionava l’impianto antincendio, la radio era praticamente inutilizzabile, un mozzo dell’elica destra era rotto da anni e anche i radar erano messi male. Un traghetto che, come se non bastasse, all’indomani della sciagura vide perfino la manomissione del timone. Un’azione di cui si autoaccusò l’allora nostromo del Moby, Ciro Di Lauro (ma che il pretore di Livorno assolse per «difetto di punibilità»), al quale erano arrivati ordini “dall’alto”. Ovviamente la famiglia Onorato (in primis Achille, padre di Vincenzo, al momento della tragedia a capo della flotta) non è l’unica che in questa storia sarebbe dovuta entrare da protagonista nelle aule di tribunale, ma la sua presenza e il suo contributo a questa così tanto “prestigiosa” iniziativa portano solo offesa alla memoria delle 140 persone morte in maniera così atroce, ai loro familiari e alla città tutta. La cerimonia di inaugurazione del trofeo avverrà proprio sulla stessa banchina dove giusto il 10 aprile è stata celebrata la commemorazione laica della strage e dal quale, come ogni anno, sono state lanciate in mare 140 rose. Da qui, quest’anno, il Sindaco di Livorno ha dichiarato che il Comune è pronto a costituirsi parte civile nel caso venisse riaperto il processo, precisando che verità e giustizia ancora non sono state ottenute. E come se non bastasse, Livorno potrebbe vedersi ulteriormente oltraggiata dalla premiazione di Onorato come miglior regatante dell'anno. Il mascalzone latino è infatti uno dei tre candidati alla conquista del premio. Ci viene da pensare che se fosse stato garantito alle famiglie delle vittimealmeno un equo risarcimento, forse Onorato non sarebbe in giro a fare lo skipper ultramiliardario e partecipare alle più importanti regate mondiali. E allora delle due cose l’una: se si reclamano verità e giustizia non è possibile promuovere un’iniziativa tra i cui finanziatori compare anche Onorato. L’apporto economico ad un trofeo che già si fregia di soldi insanguinati non può certo valere come risarcimento morale e proprio in ALL'INTERNO LA MIA CITTA' Moby Prince, un processo da rifare Maurizio Tortorici, a 14 anni dalla sua uccisione ancora nessuna giustizia Seconda parte dell'inchiesta sulle speculazioni in città CRONACA DALLA PROVINCIA Rosignano, nuovi e vecchi pericoli per la salute SPECIALE 1 MAGGIO Precarietà, un'emergenza ignorata dal governo - Sagra del precario 27/04-01/05 quest’ottica risulta decisamente ipocrita l’istituzione di un premio Unicef “rivolto ai bambini meno fortunati del mondo” (magari gli stessi bombardati dalle armi prodotte da Oto Melara e Mbda). Qual'è quindi l’idea di cultura che le istituzioni intendono promuovere appoggiando tali manifestazioni? Non c’è nessuna idea. La verità è che chi in questa città ci governa e vuole governare anche i nostri desideri ci propina come evento un tendone popolato dalla solita presenza femminile preconfezionata che attraverso dépliant propone carissimi golfini griffati e magari un’avventurosa mostra di nanotecnologie per far sparare proiettili (pagati con i nostri soldi) sempre più potenti in qualche parte del mondo. Ma tutto questo sarà meno truce grazie alla presenza di un Topolino gigante che si aggirerà festoso tra gli stand. Del resto la massima fruibilità della manifestazione sarà proprio l’accesso al megastand “Tuttovela”, allestito a fianco della lapide che ricorda le vittime del Moby. E allora non ci resta che liberarci noi di questi inutili eventi, boicottandoli e reclamando il diritto ad un altro tipo di socialità e di cultura. La verità è un diritto e nessuno è titolato a togliercela. Tocca a noi ricordare che chiedere giustizia per una delle pagine più vergognose della storia di questa città e del Paese intero è anche una questione di coesione sociale. Ed è quindi necessario che personaggi come Onorato siano considerati nemici della giustizia e della verità e che in alcun modo sia data loro credibilità nel nostro già provato e sfibrato tessuto sociale. . PER NON DIMENTICARE 25 aprile, i giorni della vittoria - Le parole di Gramsci a 70 anni dalla sua morte LETTERE E OPINIONI PAGINA OTTO Il decreto-Amato è legge - Filippo Raciti, cronologia di un mistero - Il caso Lucarelli Approfondimenti, ultim'ora e appuntamenti in città su: www.senzasoste.it Senza Soste, periodico livornese indipendente di informazione Lavoro - Capitale La mia citta' Moby, possibile la riapertura del processo Nel mirino della Procura la movimentazione di armi delle navi Usa la notte del disastro. Ma un processo equo dovrebbe partire dalle gravi carenze strutturali del Moby Prince TITO SOMMARTINO Il 10 aprile 1991, per circostanze tenute nascoste, 140 persone persero la vita sul Moby Prince. Dal 1 novembre 1997 ad oggi, ovvero dalla chiusura del processo-farsa, ogni ricorrenza si è consumata tra lacrime e rabbia, formalità e frasi di rito. I familiari hanno continuato ad invocare una verità negata loro con ogni mezzo e le amministrazioni locali, di fronte al muro di gomma issato sulla vicenda da poteri ben più forti dei loro, si sono limitate a garantire vicinanza e solidarietà ai parenti delle vittime anche se nessuno (Comune in primis) ha mai avuto la dignità di costituirsi parte civile. Quest’anno è invece emersa un’importante novità: la procura di Livorno ha acquisito l’attività informativa svolta dal Sisde sull’intera vicenda. Il procuratore Antonio Giaconi non ha però voluto rivelare il contenuto della documentazione, limitandosi a precisare che si tratta «dell'attività informativa svolta dal servizio in seguito all'incidente». La vera nebbia, ormai è un dato di fatto, non è quella che secondo alcuni sarebbe stata presente quella sera nel porto di Livorno, ma quella che a partire dalle 22.26 di quella tragica notte, ora esatta della collisione del Moby Prince con la petroliera Agip Abruzzo, ha avvolto l’intera vicenda. Una nebbia che in questi 16 anni ha assunto varie forme e sembianze: depistaggi, omissioni, bugie, minacce, processi-farsa. Di ipotesi sulle possibili cause del disastro ne sono fatte moltissime, tutte possibili, tutte più o meno plausibili. Fatto sta che come ha giustamente ricordato Loris Rispoli, presidente del Comitato Moby Prince 140 che riunisce alcuni familiari delle vittime, «non può esistere indagine onesta che non parta dalle gravi carenze strutturali del Moby». Come dargli torto? Nell’ammiraglia dell’allora flotta Navarma non funzionava il sistema sprinkler antincendio (una rete di tubazioni posizionate a livello del soffitto) e neppure le serrande taglia-fuoco, quelle che in caso di incendio chiudono tutte le condotte di ventilazione della nave per non permettere al fumo di propagarsi nei locali della nave. E che dire dei radar? Almeno due dei tre previsti a bordo erano fuori uso. E poi Maurizio Tortorici 14 anni dopo Un ragazzo poco più che ventenne venne freddato da un poliziotto perché colpevole di non essersi fermato all'alt. Una vicenda da ricordare per continuare a chiedere giustizia LUCIO BAOPRATI Alla sprovvista viene colto da tutti questi pensieri. È un attimo, una scelta istintiva, dá gas. Parte l’inseguimento. Dal finestrino della Volante spunta una pistola. In piazzale Zara vengono esplosi due colpi. Una prima sbandata della moto, poi la svolta in via delle Cateratte. La strada si restringe, un camion gli viene una tragedia immane, ma è tutta la città che si sente ferita. Nella notte non mancano momenti di tensione Aprile 1993, Livorno è in piena crisi occupadavanti alla questura. Il giovedì successivo zionale. Dalla Borma al Cantiere è cassa 5mila studenti scendono in piazza e convergono integrazione. La politica parla di nuove aree nuovamente alla questura dove protestano con produttive e di porto turistico. I familiari del un sit-in obbligando il Questore a scendere e Moby Prince chiedono ancora verità. dare spiegazioni. Allo staIl Livorno del patron dio uno striscione per Achilli e Lady Giusy Maurizio fa il giro del milita nei Dilettanti. Ma campo. Un altro, Maurizio è comunque Livornonel cuore della Nord è steso mania: la squadra di sopra lo striscione Fedayn. Zoratti è in piena corsa Partano le indagini, si promozione. Domenica ipotizza l’omicidio volon18 vince in trasferta a tario. Ma l’arma è difettosa. Sanremo e si porta ad un Passano 10 anni, Pontanari punto dalla capolista viene condannato per Vogherese. Segnano omicidio colposo. Fa circa Campistri e Moschetti, due anni, poi la pena è sodoppietta, per la gioia dei spesa. Torna a lavorare, mille tifosi al seguito. Tra prima a Viareggio poi alla quei mille c’è anche un questura di Lucca come giovane meccanico di 22 impiegato civile. anni, con la passione per Intanto lo Stato vuole da lui la moto, Maurizio Tori soldi che ha dovuto ritorici. Un ragazzo resarcire alla famiglia Torsponsabile e ben voluto. torici. Il Tirreno ne racconta Lo conoscono un po’ tutti il dramma. In una clamonel quartiere San Marco, abita in via Tranquilli, E' il 25 aprile 1993, ma è tutt'altro che una "Liberazione". Quel giorno si giocava rosa intervista il povero omicida accusa la Polizia una via che gli si addice: Livorno-Cuneo (1-0), partita del CND. La Nord ricorda Maurizio con un giro di campo. (Foto tratta dal libro "La mia curva", di Massino Gnolfo. Si ringrazia stessa di mobbing nei suoi per la gente è il classico Claudio per l'aiuto datoci) confronti. La mattina del 7 bravo bimbo. È martedì febbraio 2006 sale sul tetto 20. Da giorni Maurizio del Tribunale di Viareggio e minaccia di buttarsi sta lavorando ad una moto, una Kawasaki X incontro, Maurizio lo evita sterzando bruscadi sotto. Si dice disperato perché deve pagare 250. Verso le 13,15 esce di casa: è ansioso di mente ma perde il controllo, sbanda violenteallo Stato 125mila euro. Il giorno dopo Stefania provarla. Passa da via Solferino, al Bar Danila, mente e cade. La moto si va ad incastrare nel Tortorici, sorella di Maurizio, legge la notizia dove è solito fermarsi, con lui un amico. guard-rail. e scrive immediatamente una lettera: altro che Prendono via Salvatore Orlando, l’amico si Sono circa le 14. Maurizio è a terra, stordito e soldi, dovrebbe sentirsi disperato per aver ferma alle Officine Lami, Maurizio prosegue sulle ginocchia. Il poliziotto Pontanari, arma ucciso suo fratello. Pontanari dice che da quel il suo giro di prova, forse accelera, forse in pugno, scende dall’auto. Gli balza davanti, giorno la sua vita è diventata un inferno. Ma impenna. Su quel tratto è in servizio la Volante gli punta contro la Beretta ed esplode un colpo è sempre la stessa storia, le solite lacrime di della Polizia Stradale comandata dal livornese che colpisce Maurizio all’addome. Pontanari coccodrillo. Le armi in faccia continuano ad Flavio Pontanari. Nel weekend i carabinieri viene allontanato dal collega, la macchina viene essere puntate lo stesso, difettose o meno che hanno ritirato 5 patentini, 10 carte di circolacircondata da una folla rabbiosa. Arrivano tre siano. Ed un brivido corre sulla schiena a zione e sequestrato 25 ciclomotori. Probabilvolanti, si fanno strada con pistole e mitragliette. ripensare alle parole, raccolte dai testimoni, mente Maurizio lo sa, come sa che la sua Maurizio nel frattempo viene soccorso da un che Maurizio, sanguinante, pronunciò sul selmoto è senza assicurazione. Probabilmente automobilista che lo porta all’ospedale. L’opeciato: «Mi hanno sparato. Non ho fatto niente. pensa al padre, che ha problemi di salute: non razione finisce alle 17.30, così come la sua Muoio...». vuole dargli pensieri, non vuole farlo agitare. vita. Per i familiari e i molti amici accorsi è l’attestazione di idoneità del Moby, che reca l’indicazione di una abilitazione alla sola navigazione costiera, forse perché il traghetto viaggiava da anni con un mozzo dell’elica destra rotto e con l’ordine del Registro italiano navale di sostituirlo al più presto. Per finire alla radio di bordo funzionava a singhiozzo, proprio come la sera della tragedia? Se non bastasse tutto questo a inchiodare Vincenzo Onorato di fronte a responsabilità per cui non ha mai pagato, vi è anche l’accertata manomissione del timone, avvenuta all’indomani del disastro. Un’azione di cui si autoaccusò l’allora nostromo del Moby, Ciro Di Lauro, al quale erano arrivati ordini perentori dai vertici della dirigenza Moby (allora Navarma). Malgrado la confessione, il pretore di Livorno assolse Di Lauro per «difetto di punibilità», una sentenza poi confermata sia dal processo di appello che dalla Cassazione. L’acquisizione dell’attività informativa del Sisde sulla vicenda, dicevamo, sembra poter aprire le porte ad una riapertura del processo. A smuovere le acque è stata un’istanza dell’avvocato di parte civile, Carlo Palermo, che ha raccolto indizi su quella che tutti hanno sempre avanzato come una delle possibile cause del disastro: una sostanziale abdicazione della sovranità territoriale da parte dello Stato italiano a favore di quello statunitense, con la rada occupata da navi militari e militarizzate americane impegnate a movimentare armi da e per l’allora Guerra del Golfo. Da qui una possibile spiegazione sull’incredibile ritardo nella gestione delle misure di soccorso, l’altro aspetto inconcepibile, forse il più incredibile, della vicenda. Non è un caso che perfino Cosimi abbia osato spingersi fino al punto di puntare l’indice, in maniera perentoria, contro l’operato dell’allora comandante del porto, l’ammiraglio Sergio Albanese, responsabile delle operazioni di soccorso. Albanese invece non ha mai diretto le operazioni attraverso proprie decisioni e disposizioni precise intese a gestire tutti i mezzi navali che seppur con grave ritardo erano stati convogliati nella zona. Un’omissione frutto di incompetenza o di un preciso ordine? «Se emergesse con chiarezza la responsabilità degli Usa – ha affermato Rispoli - riterrei doveroso che tutte le amministrazioni locali chiedessero la chiusura della base di Camp Darby e che il governo statunitense risarcisse, come per il Cermis, i familiari delle vittime». Resta un fatto: se la prospettiva di una possibile riapertura dell’inchiesta dopo anni di silenzio non può che essere accolta con favore, al tempo stesso un’inchiesta che vede gli Stati Uniti come possibili principali responsabili del disastro è già di per sé una battaglia persa in partenza. La storia recente di casa nostra (e non solo) ci insegna che in presenza degli americani non esistono processi giusti, equi e super partes. E spesso non esiste neppure il processo semplicemente perché gli Stati Uniti, si rifiutano di comparire in giudizio. Senza Soste, periodico livornese indipendente di informazione mia citta' Lavoro Capitale LaLamia citta INCHIESTA FRANCO REVELLI (parte seconda) «Se non accelerate vado sui giornali, anzi, mi rivolgo alla Magistratura». È il 4 aprile 2003 e a parlare è un autorevole esponente dei Ds, Mauro Penco (capogruppo in Consiglio Comunale). Penco si rivolge così all'assessore all'edilizia privata, Pasquale Guzzini, flemmatico esponente della Margherita con un passato da ufficiale nella Marina Militare. Penco si rivolge a Guzzini perché la Commissione Edilizia “intenda”. «C'era un incomprensibile rallentamento nelle delibere delle pratiche» (testuale), avrà modo di riferire Penco al Magistrato durante il dibattimento processuale. E poi: «Dietro queste pratiche si registravano fatti umani. Tutto ciò che era di rispetto delle Leggi e che era dovuto ai cittadini, doveva essere fatto nella maniera più precisa e puntuale». Su quanto accadeva in quel periodo in seno alla Commissione Edilizia avremo modo di tornare. Vale la pena di aggiungere che oltre a Penco e Guzzini anche l'Assessore Picchi, per quanto privo di alcuna competenza in materia di edilizia pubblica e privata, mostra tutta la sua applicazione sulla “pratica”. Al Magistrato riferirà che teneva i collegamenti con la Circoscrizione 4 «per mediare sui contenuti del provvedimento». Fatto grave perché Picchi ammette anche la presenza di una “commissione” all'interno della Giunta (il gruppo di comando) che gli avrebbe delegato, non si sa bene a quale titolo, le relazioni con il territorio e le categorie (circostanza che si ripeterà con la Porta a Mare). Sarà un caso, ma esattamente nello stesso giorno in cui Penco sollecita la pratica di Salviano 2 al collega di maggioranza Guzzini, un fax garibaldino fende il Palazzo e plana nell'Ufficio di Gabinetto del Sindaco. Si fanno vivi i legali di Vitelli (futuro padrone della Stu Porta a Mare) con perentorie richieste di adeguamento del regolamento urbanistico alle caratteristiche della Nuova Porta a Mare (così definiscono il piano le teste d'uovo di Vitelli, uomo raccomandato a Lamberti direttamente dal Quirinale). In sostanza, quel fax anticipa la trasformazione urbana prossima ventura, cioè la versione post-industriale di aree, già appartenute all'ex-Cantiere Orlando, sottoposte a vincolo produttivo. Fra le altre richieste, al punto 3 del fax, quella di provvedere alla introduzione nel piano particolareggiato di un'area residenziale di 10mila m² (che poi in fasi successive sarebbero diventate di 13.500 Provincia ROSIGNANO SOLVAY FRANCO MARINO Con la pubblicazione, a livello internazionale, della ricerca effettuata dal Cnr di Bologna sugli effetti delle polveri pm10 e pm2,5 sulle persone si passò dalla sensazione alla certezza che determinati parametri della qualità dell’aria incidevano, se superati, sulla vita delle persone essendo sostanze nocive e cancerogene. Dopo quello del Cnr un nuovo studio congiunto delle università di Trento e Padova sull'impatto di un impianto a Montecchio Maggiore (Vc) ha sottolineato i rischi derivanti delle emissioni di polveri fini ed ha alimentato le preoccupazioni recentemente espresse da cittadini di tutta Italia in merito alla pericolosità delle emissioni di polveri fini e ultrafini delle centrali turbogas, cioè impianti a ciclo combinato alimentati a gas naturale (metano). Gli impianti turbogas come quelli realizzati a Rosignano sono stati visti per un certo periodo come una svolta positiva rispetto a centrali ritenute ben più inquinanti come quelle a olio o a carbone. La realtà è purtroppo ben diversa. Le polveri emesse sono composte da particelle con un diametro inferiore ai 10 millesimi di millimetro (micrometri). Una parte di queste polveri che respiriamo penetra in profondità nei polmoni fino agli alveoli, dai quali può Il fax che cambiò Livorno Seconda parte de "L'inconfondibile odore dei soldi", l'inchiesta dedicata alle modalità di gestione del patrimonio pubblico da parte degli amministratori livornesi 4 Aprile 2003, il diktat di Vitelli. Questo il contenuto delle delibere e/o dell’accordo di programma del nuovo assetto urbanistico e industriale delle aree interessate alla Nuova Porta a Mare e 14.500 m²) che come tale avrebbe ulteriormente “aggravato” la previsione edificatoria dell'ex-distretto cantieristico, concepita in sede di regolamento urbanistico (è il 1999) per favorire la patrimonializzazione di una cooperativa altrimenti destinata alla liquidazione fallimentare. Come dire, il precoce fallimento della Coop. F.lli Orlando, grazie anche alla mediazione del gruppo di comando lambertiano, anticipa la trasformazione urbana delle aree industriali di cui beneficerà l'imprenditore Vitelli, Mister Azimut è interessato a remunerare il proprio intervento risanatore con l'insediamento di un porto turistico al Mediceo e soprattutto con la prospettiva di una maxi-speculazione immobiliare sul cosiddetto fronte mare dell'ex porto commerciale di Livorno. Per la cronaca, il Cantiere è stato acquisito con appena 70 miliardi di lire perché si trovava in sede di amministrazione controllata. Tutto questo, come detto, in un fax, direttamente all'attenzione del gruppo di comando, che a questo punto decide di non interporre alcun tipo di obiezione e anzi rilancia spuntando condizioni ancor più favorevoli per l'imprenditore piemontese pur di non perdere l'appuntamento con il “salvataggio” del Cantiere e forse anche con la storia. Così nasce il “piano particolareggiato della Porta a Mare” (che inizierà il suo iter istituzionale il 7 luglio 2003), mentre si fa caldo il fronte interno ed esterno all’amministrazione comunale sulla questione Salviano 2. A partire da quella primavera bollente dove i rapporti fra Ds e Margherita diventano incandescenti. L'assessore Guzzini, che mal sopporta le mezze misure, già protagonista della mitica stagione dei “frazionamenti immobiliari”, assume in Giunta una posizione quanto meno “competitiva”, palesemente insofferente nei confronti del gruppo di comando e di quella spregiudicata gestione (solo apparentemente collegiale) dell'urbanistica comunale. Insomma, non un conflitto di competenze, più che altro di personalità, se solo consideriamo che questo straordinario lavorio del gruppo di comando “seduce” moltissimo gli organi di stampa («Calcio, basket e cmf sono i miei fiori all'occhiello”, ha avuto modo di dire Lamberti in occasione del suo decennale da Sindaco) e costringe l'assessorato di Guzzini (edilizia privata) ad un lavoro sporco spesso ai limiti di una legalità paradossale. Quando si tratta di tirare le somme (anche quelle politiche) l'uomo che viene dal mare, da fedele esecutore del gruppo di comando, si trasforma in una spina nel fianco, e l'occasione gli viene data da una duplice opportunità temporale: l'operazione di Salviano 2 e la straordinaria partita della Porta a Mare. Ed è a partire da questo momento che prende forma l'autorevole nervosismo di Penco sulla questione di Salviano 2. E si fa più intensa e problematica l'attività della Commissione con il delegato Picchi su ex Cantiere e territorio. (fine seconda parte) Polveri fini e centrali turbogas, la salute dei cittadini è sempre più in pericolo raggiungere anche i vasi sanguigni. Le conseguenze sono molteplici: tosse cronica, bronchite, attacchi d'asma, infezioni polmonari e anche cancro ai polmoni. Possono inoltre insorgere disturbi del sistema cardio- L'entrata in funzione della seconda centrale turbogas compromette ulteriormente la qualità dell'aria di Rosignano circolatorio. Più le polveri fini sono diffuse nell'aria, più cresce il rischio d'infarto. Vengono rilasciate dagli scarichi delle auto, dagli scarichi degli inceneritori e, come detto, dagli scarichi delle centrali turbogas, ma fra gli aspetti dannosi di questi impianti c'è anche l'innalzamento di 2-3 gradi della temperatura in un perimetro di oltre 5 chilometri e l'utilizzo giornaliero di grandissimi quantitativi d'acqua (per molti il fiume Cecina non reggerà l’impatto della seconda turbogas di Rosignano). A Rosignano, infatti, sono in funzione, all'interno del perimetro della Solvay, due centrali turbogas (la Rosen dal 1997 e la Roselectra in fase di partenza) per la produzione di energia elettrica della potenza di circa 400 Mw ciascuna. Esi- stono inoltre quattro centraline per il rilevamento delle polveri e da controlli effettuati è emerso che i parametri spesso sforano i livelli massimi consentiti dalla legge. Alla richiesta delle motivazioni di questi sforamenti agli organi territoriali preposti (Arpat, Comune) spesso adducono la causa a problemi atmosferici dovuti all’aerosol marino prodotto durante le giornate di forti venti (libecciate e ponentate). Già con l'inizio dell'attività della prima turbogas, con la sua notevole quantità di gas immessi nell’atmosfera (da aggiungersi a quelli che la Solvay produceva), l’immissione di polveri pm10, pm2,5 e finissime iniziava ad essere notevolmente superiore. E questo aumento fu percepito subito dalla centralina di via Vittorio Veneto, tra l'altro una via poco trafficata e quindi totalmente condizionata da queste emissioni. Chi ha cercato di far qualcosa in proposito è stata Rifondazione Comunista, che è intervenuta in consiglio comunale affinché si ponesse più attenzione a questo problema chiedendo in particolare di tutelare i bambini dell’asilo nido di via Veneto durante gli sforamenti e di verificare con una commissione tecnica la possibilità di installare catalizzatori sulle ciminiere delle turbogas per catturare quante più polveri possibili. Senza Soste, periodico livornese indipendente di informazione Speciale 1 Maggio Lavoro Capitale La mia citta Precarietà, un'emergenza ignorata dal governo Andrea Fumagalli, docente di economia politica all'Università di Pavia, propone un'analisi sulla recente proposta-Alleva presentata dai partiti della cosiddetta "sinistra radicale" per il superamento della precarietà FRANCO MARINO La proposta-Alleva per il superamento della precarietà presenta luci ed ombre. Alcuni spunti sono sicuramente positivi. La proposta di unificare le varie tipologie atipiche del lavoro sotto la nozione di “lavoro economicamente dipendente” a prescindere dal contratto dato, è un tentativo positivo di cogliere quella che è l'essenza dell'odierno rapporto di lavoro, soprattutto in tempi in cui la contrattazione individuale la fa da padrone: ovvero, la crudezza e la violenza (più psichica e culturale che fisica) del rapporto tra datore di lavoro e prestatore di lavoro, a qualunque livello si manifesti. Un rapporto che, escludendo coloro che sono in grado di far valere la propria capacità contrattuale perché dotati di competenze essenziali non alienabili, si manifesta per quello che è: il ricatto economico, la paura, l'incertezza del domani. Ciò che invece la proposta Alleva non coglie (o non capisce) sono due constatazioni semplici, semplici. La prima è che la prestazione lavorativa oggi è la messa a lavoro delle soggettività, che per definizione sono sfuggevoli, molteplici e variegate. Non è possibile individuare una figura del lavoro che le contempli tutte come poteva essere l'operaiomassa della grande industria e sulla cui mobilitazione è stato possibile fondare il conflitto sociale. La stessa condizione di precarietà è, appunto, una condizione, non un soggetto unico con un'unica percezione. È qualcosa che accomuna diverse condizioni lavorative che vivono desideri e bisogni differenziati. La centralità di un unico rapporto di lavoro (quello a tempo indeterminato) non può rinchiudere l'insieme della condizione precaria. Occorre quindi muoversi anche al di fuori della sola condizione lavorativa. Non è un caso che oggi le politiche del lavoro debbano essere considerate tutt'uno con le condizioni di “welfare”. La seconda constatazione ha a che fare con il fatto che le attuali forme di rappresentanze del lavoro (sindacati, partiti supposti “amici”) sono inadeguate e incapaci (culturalmente e politicamente) di sviluppare un simile conflitto o possibilità vertenziali che vadano in questa direzione. C'è un deficit di “capacità” di rappresentazione, che risulta manifesto soprattutto nelle forme di comunicazione e di linguaggio, nella difficoltà di creare immaginari alternativi, nella possibilità di sviluppare conflittualità “simbolica” e “reale”. Non si può chiedere a chi negli ultimi anni ha affossato qualsiasi forma di rappresentazione “altra” del lavoro, al di fuori di tatticismi politici e strumentali, che ha spesso negato la centralità della "condizione precaria", di farsi portavoce delle istanze e dei desideri della soggettività precaria. Tradotte in pratica concreta, un'ipotetica piattaforma sociale precaria potrebbe basarsi su tre punti iniziali. 1) Riduzione delle tipologie contrattuali atipiche a quattro categorie principali: tempo parziale determinato; tempo parziale indeterminato; tempo pieno determinato; tempo pieno indeterminato. Queste 4 tipologie sono in grado di accogliere la stragrande maggioranza dei rapporti di lavoro possibili senza scomodare stage, job on call, outsourcing, apprendistato, partecipazioni, collaborazioni occasionali e le mille altre diavolerie oggi esistenti. Per evitare trucchi strani, sono possibili solo due contratti a tempo determinato per la stessa azienda in un arco di due anni, dopodichè scatta l'assunzione a tempo indeterminato regolata dallo Statuto dei Lavoratori. Per chi non vuole timbrare il cartellino e ha Andrea Fumagalli porterà il suo contributo anche in occasione del dibattito sul precariato che si terrà il 28 aprile in Fortezza Nuova in occasione della “Sagra del Precario”. Continuità del reddito, politiche del lavoro legate ad una riforma radicale del welfare sono alcuni punti che quest'analisi coglie, senza dimenticare però che lo Stato non deve pagare un disimpegno progressivo nei servizi primari (scuola, sanità, trasporti), ma solo ridistribuire ricchezze che nell’ultimo decennio sono state accumulate in settori della società ben definiti. Accanto a forme di reddito sociale servono dunque forme di reddito indiretto rappresentate dall’accesso gratuito o regolato a tutti quei servizi primari la cui privatizzazione significherebbe un altro passo verso l’incertezza. competenze tecniche e/o culturali specifiche è possibile unicamente il contratto d'opera e consulenza, di durata non inferiore ai 6 mesi e con cassa previdenziale a cui deve essere possibile accedere anche senza alcun periodo di lavoro dipendente. Ad ogni modo, il lavoro autonomo e/o professionale soggetto a partita Iva diventerebbe applicabile solo in caso di più di due committenti e/o oltre una certa cifra fatturata. Tale obiettivo è in linea con la parte condivisibile della proposta-Alleva. 2) Istituzione di un salario minimo di almeno 10 euro lordi l'ora con forti maggiorazioni per le ore supplementari e straordinarie, forte limitazione del lavoro festivo, nella prospettiva di un salario minimo europeo che faccia da barriera al di sotto di cui gli standard sociali non possano cadere. Tale salario minimo è applicato a tutte le prestazioni lavorative non contrattualizzate e a tutti i contratti precari, per i quali non esiste a livello contrattuale, la definizione di uno stipendio/salario mensile continuativo, a prescindere dalla prestazione lavorativa effettuata. Questo obiettivo di buon senso, teso a evitare corse al ribasso nelle remunerazioni, non è presente nella proposta Alleva: non è presente, perché un salario minimo è sempre stato contrastato dai sindacati, allorquando essi erano in grado di rappresentare la maggior parte dei lavoratori. Ma oggi? 3) Garanzia di continuità di reddito per tutti i 12 mesi dell'anno. Chi svolge prestazioni lavorative intermittenti (qualunque esse siano), riceve annualmente un conguaglio fiscale su base locale o nazionale, sino a raggiungere un livello minimo di reddito garantito su base annua non inferiore ai 13mila euro l'anno (mille euro al mese più bonus mensile, tipo tredicesima) e comunque in linea con le remunerazioni ottenute nel periodo lavorativo (i 3-4 o 7, ..., mesi di lavoro). Tale conguaglio viene pagato tramite la restituzione delle eventuali trattenute fiscali eventualmente pagate durante il periodo lavorativo con un aggiunta monetaria le cui modalità devono essere studiate. A tal fine si costituisce una cassa apposita che viene finanziata sulla base della fiscalità generale e non dei contributi lavorativi. Tale conguaglio è individuale e incondizionato. Non è un reddito di esistenza vero e proprio ma è un primo tassello in questa direzione. Precarietà: non un contratto ma una condizione di vita Uso e abuso di un termine che si porta dietro varie contraddizioni diventato ormai oggetto di speculazione politica UGO DIECI Precarietà: un termine che è entrato, in questi ultimi anni, in maniera dirompente nelle vita collettiva, in special modo per le nuove generazioni. Un termine che però continua a portarsi dietro innumerevoli contraddizioni nel suo significato e nel suo portato sociale. Ormai qualsiasi corrente politica è costretta a parlare dei precari, ma spesso, anzi quasi sempre, in maniera strumentale ai propri interessi elettorali o di gestione del potere territoriale. Con certezza sappiamo solo che quella di precario è una condizione che si è venuta delineando con forza nei mutamenti economici e produttivi che dagli anni ‘80, con l’inizio dei processi di de-industrializzazione e via via con maggior forza negli anni ’90, con le privatizzazioni di massa dei grandi comparti industriali statali, hanno caratterizzato la nostra società. Precari sono diventati i contratti di lavoro, che hanno perso quella stabilità e certezza che aveva distinto la dimensione lavorativa degli anni del dopo-guerra e del boom economico (anni ’60’70). Ma la condizione di precario non rimane relegata al solo ambito lavorativo, le trasformazioni economiche sono così forti che investono tutti gli aspetti della vita di chi ne è soggetto. Il peggioramento delle condizioni di esistenza si verifica anche in altri importanti settori, che un tempo trovavano le loro forme di tutela e garanzia: la casa, la pensione, la sanità, la scuola. Proprio a seguito di tali cambiamenti tutto il complesso dei diritti acquisiti in un secolo di lotte e movimenti operai sembra svanire, sotto i colpi di una ristrutturazione capitalista, dai contorni ancora incerti, ma sicuramente impegnata nel liberarsi da tutti i vincoli e freni visti come ostacolo al principio di accumulazione per il profitto. Da qui vorremmo partire per iniziare una riflessione che sappia tener conto dei cambiamenti, per provare a costruire un punto di vista dei precari rispetto alla società odierna. Fortunato Depero, Gli automi, 1945 Non qualcosa che parli di precarietà per usarla su finalità diverse e spesso che tendono ad accentuare questa condizione. Ma un percorso di lotta che sappia dar voce ai precari e alle precarie, partendo dai loro bisogni e dalle loro necessità, arrivando ai loro desideri. Ricomporre un blocco sociale che non si ponga, né obiettivi di “retroguardia”, mitizzando periodi stoici che in realtà contenevano i semi di ciò che oggi viviamo, né azzerando comunque esperienze e diritti che hanno ancora una loro ragion d’essere e una concreta forza rivendicativa. Provare a ricostruire un momento di sintesi nella galassia delle situazioni e dei contratti precari, per far emergere una soggettività capace d’imporsi contro un modello economico e sociale alienante e svilente, fatto di automi che in silenzio accettano passivamente il peggior contratto di lavoro al prezzo più basso. Senza Soste, periodico livornese indipendente di informazione Speciale 1 Maggio Lavoro Capitale La mia citta Sagra del Precario: 27 aprile - 1 maggio L'evento è organizzato dal coordinamento cittadino contro la precarietà e si terrà alla Fortezza Nuova Il governo Prodi sta per compiere il suo primo anno di vita ma non ha trovato ancora il tempo di discutere dell'abolizione della Legge Biagi e dell'urgente necessità di accompagnare nuove politiche del lavoro con una riforma del welfare indirizzata verso la previsione di forme di “continuità” di reddito per tutti. Intanto, considerando l’andamento dei valori negli anni successivi alla riforma degli affitti (quindi il periodo 1999-2006), si è registrato un incremento del 112%. Se il governo non trova tempo per questi argomenti vitali, proviamo intanto a parlarne noi, a Livorno, un territorio che sta vivendo un profondo mutamento economico e sociale. Vecchie fabbriche che hanno accompagnato tutto il dopoguerra e il boom economico degli anni '60-'70 chiudono. Disoccupazione e riconversione produttiva sono le tappe forzate da cui passano intere generazioni di giovani e meno giovani. Anche nella piccola Livorno, come nel resto delle metropoli italiane già nei decenni precedenti, si delineano con forza dirompente quei processi di precarizzazione del lavoro e della vita che fanno pagare solo alle nuove generazioni i costi di queste trasformazioni economiche. Il ceto politico è completamente sordo e indifferente ed anzi, dipinge come futuro un mondo fatto di diritti azzerati e garanzie sociali inesistenti, mentre chi ha sempre guadagnato sulle spalle dei lavoratori continua a fare lauti profitti. Cinque giorni per discutere, pensare, manifestare, ballare, ascoltare, preparare la cospirazione precaria. Tutti i giorni e tutte le notti concerti, dj-set, dibattiti, proiezioni e molto altro ancora. Tutte le sere cena sociale ore 16 Dibattito: Modalità di conflitto, rivendicazioni, reddito per il precariato. Le vecchie forme di organizzazione del conflitto e di sindacato tradizionale non riescono più a dare risposta concreta e reale ai bisogni dei precari; questo workshop è finalizzato all’istituzione di tavoli che sappiano addentrarsi nella prospettiva di costruire strutture e rivendicazioni per chi vive sulla sua pelle la precarietà. Per dar voce dall'interno alla galassia dei contratti di lavoro precario; perchè i precari e le precarie possano riappropriarsi della propria vita senza vederla esposta in vetrina venduta al prezzo più basso... il conflitto deve essere precario. Intervengono: Chainworkers Milano, Andrea Fumagalli (docente di economia politica all'Università di Pavia), Collettivo Firenze Precaria, PrecAut Livorno, Rete del precariato sociale Viareggio-Massa Concerti Three in one gentleman suit Plaisir (Roma MetalCore-Noise-Pop) Dj-set, Dr Papa Dj e Alfa Romero PROGRAMMA VENERDI’ 27 APRILE Concerti Humanoira (Indie from Livorno) Teatro Degli Orrori (Pierpaolo Capovilla from "One Dimensional Man", Francesco Valente from "One Dimensional Man" e Gionata Mirai from "Super Elastic Bubble Plastic") e Canti In Asociale feat. Denok (hip hop) Dj-set, Antarex & Palline in " Remembering Imperiale" SABATO 28 APRILE DOMENICA 29 APRILE La truffa dell'8 per mille FRANCO MARINO Cosa significa 8 per mille Con il Concordato del 1929, lo Stato italiano si impegnò a pagare direttamente lo stipendio al clero cattolico, con il meccanismo della “congrua”. La congrua era una specie di stipendio assegnato dallo Stato italiano ai sacerdoti “in cura d'anime" (addetti cioè ai servizi di assistenza spirituale). Con il “nuovo” Concordato del 1984 si decise un nuovo meccanismo di finanziamento alla Chiesa cattolica, solo in apparenza più democratico in quanto allargato alle altre religioni: lo Stato decideva di devolvere l’8 per mille dell’intero gettito IRPEF alla Chiesa cattolica (per scopi religiosi o caritativi) o alle altre confessioni o allo Stato stesso (per scopi sociali o assistenziali), in base alle opzioni espresse dai contribuenti sulla dichiarazione dei redditi. Come funziona il meccanismo? Ogni cittadino che presenta la dichiarazione dei redditi può scegliere la destinazione dell’8 per mille del gettito IRPEF tra sette opzioni: Stato, Chiesa cattolica, Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, Assemblee di Dio in Italia, Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, Chiesa Evangelica Luterana in Italia, Unione Comunità Ebraiche Italiane. In realtà nessuno destina il proprio gettito: il meccanismo assomiglia di più ad un gigantesco sondaggio d’opinione, al termine del quale si “contano” le scelte, si calcolano le percentuali ottenute da ogni soggetto e, in base a queste percentuali, vengono poi ripartiti i fondi. Anche la mancata formulazione di un’opzione viene ripartita in base alle scelte espresse. Alcune confessioni, più coerentemente, lasciano allo Stato le quote non attribuite, limitandosi a prelevare solo quelli relativi ad opzioni esplicite a loro favore: cosa che non fa la Chiesa cattolica, ottenendo un finanziamento quasi triplo rispetto ai consensi espliciti ottenuti a suo favore. La distribuzione sui dati del 2001: 87,25% Chiesa Cattolica, 10,28% Stato, 1,27% Valdesi, 0,42% Comunità Ebraiche, 0,31% Luterani, 0,27% Avventisti del settimo giorno, 0,20% Assemblee di Dio in Italia. Su oltre 30 milioni di contribuenti, solamente il 39,62% ha espresso un’opzione e quindi solo il 34,56% della popolazione ha espresso una scelta a favore della Chiesa cattolica (che invece ha incassato l'87,25%), per un ammontare di 936,5 milioni di euro (quasi 2.000 miliardi delle vecchie lire). Come vengono spesi i soldi? La Chiesa Cattolica sembra che prediliga destinare i fondi ricevuti dallo Stato alle cosiddette “esigenze di culto” (47,2%): finanziamenti alla catechesi, ai tribunali ecclesiastici, alla costruzione di nuove chiese, manutenzione dei propri immobili e gestione del proprio patrimonio. Ovvio che non vedremo mai alcuno spot su queste tematiche: ai tanto strombazzati aiuti al terzo mondo, cui è dedicata quasi tutta la pubblicità cattolica, va guarda caso solo l’8% del gettito. Ma anche lo Stato non scherza. Come emerso a novembre 2006 dalle pagine di Repubblica, nell'ultimo anno di legislatura del governo Berlusconi l'8 per mille dato dai cittadini italiani per l'arte, la cultura e il sociale è finito nei fondi per la guerra in Iraq e solo una minima parte per la fame nel mondo. Gli altri aiuti dello Stato alla Chiesa Tuttavia gli aiuti dello Stato alla Chiesa non finiscono qui: esiste un fondo speciale pagamento pensioni al clero dal disavanzo perennemente in rosso; è prevista l'esenzione fiscale totale, comprese imposte su successioni e donazioni, per le parrocchie e gli enti ecclesiastici; i pagamenti degli stipendi agli insegnanti di religione, nominati dai vescovi incidono per più di 500 milioni di euro sul bilancio statale; ci sono i finanziamenti alle scuole cattoliche ed in varie regioni, parte degli oneri di urbanizzazione a disposizione dei comuni deve essere destinata agli «edifici di culto». Infine, nell’ambito del Decreto Fiscale collegato alla Legge Finanziaria 2006, il Parlamento ha introdotto l’esenzione ICI per gli immobili adibiti a scopi commerciali per la Chiesa. Secondo stime dell’ANCI, il provvedimento comporta minori entrate per i Comuni nell’ordine di 700 milioni. Che fare? Abbiamo visto che non scegliere equivale a dare alla Chiesa Cattolica. Per questo, oltre alla classica scelta di devolvere l'8 per mille allo Stato sperando che questa volta non lo mandi in Afghanistan ma lo utilizzi per arte, cultura e ricerca, la rivista MicroMega ha preso una iniziativa laica di forte significato simbolico, per replicare alla “crociata” di Bagnasco e Ratzinger sui Dico e su altre tematiche. Si tratta di due appelli paralleli, diversi solo nelle motivazioni. Il primo firmato da atei, agnostici, il secondo da personalità cattoliche, in maggioranza preti. Entrambi gli appelli si rivolgono a tutti i cittadini democratici, perché in occasione della denuncia dei redditi compiano il gesto simbolico di non dare l’8 per mille alla Chiesa cattolica e di devolverlo invece alla Chiesa valdese. Il 5 per mille Il 5 per mille è un meccanismo che permette ai contribuenti di destinare a favore di determinati soggetti legati al non profit una quota pari al 5 per mille dell'IRPEF. Tale previsione normativa è inserita nell'ambito delle misure relative al "sostegno alle famiglie, alla solidarietà, alla ricerca e sviluppo". Il 5 per mille non è un'imposta aggiuntiva, lo Stato rinuncia alla quota del 5 per mille per destinarla alla finalità indicata dal contribuente. La scelta di destinazione del 5 per mille e quella dell' 8 per mille non sono in alcun modo alternative fra loro e inoltre questa scelta, come per l' 8 per mille, non comporta ulteriori esborsi per il contribuente. Quindi si può scegliere di destinarlo ad associazioni riconosciute del Comune di residenza, a Università ed enti di ricerca, a organizzazioni non governative come Emergency o Medici senza Frontiere o ad associazioni come Jalla (www.jalla03.org) che promuove il progetto Sport sotto l'assedio in Palestina a cui contribuisce anche il nostro giornale. ore 18 Dibattito: Diritto alla casa, proposte e strategie. La casa è uno dei principali diritti erosi dalla precarietà, oltre al contratto di lavoro. Affitti alle stelle, mutui inaccessibili, fine dell'edilizia popolare e svendita del patrimonio pubblico fanno da sfondo ad un bisogno, quello di avere un tetto sotto cui vivere, sempre più. Siamo una generazione che non ha più alcuna garanzia sociale ed alcuna prospettiva certa di accesso al patrimonio ERP, siamo esclusi da qualsiasi bando. Un momento, quindi, per discutere della legislazione vigente e delle prospettive di lotta concretamente attuate, nelle varie esperienze territoriali, per far fronte a questo bisogno (come le forme di auto-recupero). Anche per il tema casa siamo convinti, che i precari e le precarie, abbiano la necessità di darsi una strategia propria per riconquistare e reclamare i loro diritti. Intervengono: Coordinamento cittadino di lotta per la casa Roma, Movimento di lotta per la casa Firenze, Unione Inquilini Lvorno, M.A.O. Bologna, PrecAut Livorno, Sergio Nieri (Sequenza e Cultura) Concerti Carneigra (Folk Livorno) Dj-set, Trinacria Gio Family Raggae - Dance Hall LUNEDI 30 APRILE ore 18 Dibattito: Trasformazioni economiche e urbane nella nostra città. Quella della deindustrializzazione e della riconversione al terziario avanzato nel settore turistico sembra essere la strada decisa dalle amministrazioni e dalle gerarchie padronali per la nostra città. Ecco quindi imporsi un mondo lavorativo fatto di contratti a progetto, intermittenti, temporanei e chi più ne ha più ne metta, ma tutti accomunati da essere privi di diritti e tutele reali e dove anche il volto urbanistico di Livorno si stravolge. Quali risposte dare a queste trasformazioni territoriali coi soggetti ed i lavoratori che direttamente le subiscono? Intervengono: Lavoratori Ex Delphi, Collettivo lavoratori call center Telegate, Precari Atl, PrecAut Livorno ore 21 presentazione libro: Bologna marzo '77... fatti nostri... A 30 anni di distanza torna disponibile uno dei libri più importanti del '77 italiano in una rinnovata versione con la pubblicazione delle foto inedite sequestrate dalla magistratura ed una postfazione a cura del Laboratorio CRASH! Teatro Rappresentazione di Teatro dell'Oppresso sul diritto alla casa Dj-set, LELE PROX e C.U.B.A. Cabbal (Milano drum'n'bass) MARTEDI 1° MAGGIO ore 18, piazza del Municipio Parade contro il lavoro precario Senza Soste, periodico livornese indipendente di informazione Per non non dimenticare dimenticare Per Le giornate della vittoria: la Liberazione FABIO TROTTERRO sovietiche e da quelle anglo/americane. Lo stesso valeva per il fronte italiano, dove i tedeschi resistevano tenacemente sulla linea difensiva, denominata Gotica, posta a cavallo dell’appennino tosco-emiliano. Scopo di questa strenua resistenza era quello di guadagnar tempo per far ritirare le truppe tedesche a ridosso delle sul fronte tirrenico, liberando fra il 9 e il 10 aprile Massa, Carrara e le zone limitrofe a queste due città. Gli alleati comunicarono ai comandi partigiani che l’offensiva italiana era partita ma che le formazioni partigiane non dovevano intervenire, poiché non era ancora giunto il momento per un loro utilizzo. Si dalle masse popolari italiane. In questo articolo ci limiteremo a raccontare per sommi capi i fatti che portarono a quel fatidico 25 aprile del 1945. All’inizio del 1945 la guerra era sul punto di terminare in tutta Europa. Le armate naziste erano infatti in ritirata, circondate sia da est che da ovest, in una tenaglia mortale, dalle truppe Alpi, in una posizione ritenuta tatticamente più vantaggiosa. Il comando alleato predispose un’ultima offensiva per i primi d’aprile al fine di chiudere la partita anche in Italia. Le bande partigiane, che avevano già liberato molte zone delle retrovie, presero la palla al balzo e all’inizio dell’offensiva scattarono subito al contrattacco trattava dell’ultima manovra mirante ad impedire che le formazioni partigiane scendessero dai monti e dalle vallate a liberare le grandi città; le forze conservatrici italiane e straniere temevano l’insurrezione popolare e nazionale. Il Comando generale dei gruppi partigiani, però, si mosse autonomamente e il 10 aprile (continua dalla prima pagina) sinistra istituzionale, strettamente legati ad una concezione del governo dello Stato entro un’economia capitalistica e affermare grazie a questa continuità l’eterna immaturità delle “sinistre”. Lo scontro interno alla sinistra Eppure, se si polarizzano i contesti e i contenuti, possiamo affermare che lungo gli anni ’70 si combattono due concezioni del 25 aprile con un’altra che fa da posta in gioco per queste due. Si parla dello scontro tra quella dell’unità nazionale, che comincia il decennio contro il neofascismo e lo finisce contro “il fascismo rosso”, e quelle derivanti dall’idea di 25 aprile come rivoluzione tradita o mancata secondo le varie declinazioni anche molto diverse tra loro. La posta in gioco, di fatto, è sia l’egemonia nella sinistra italiana che la capacità di attrazione della concezione del 25 aprile inteso come stagione dei diritti ancora a venire e rimasta solamente scritta nella carta costituente. Vincerà, come sappiamo anche militarmente, la concezione dell’unità nazionale che in un colpo solo si libererà anche della cultura del ’68 mai veramente metabolizzata da buona parte del Pci e della sinistra storica. La mistificazione del presente attraverso un’analisi faziosa del passato All’inizio del XXI secolo, mettendo tra parentesi il panorama di centrodestra, gli echi della cultura emergenzialista e securitaria dell’unità nazionale si ripetono spesso senza il contesto originario di riferimento al 25 aprile. Anni di retorica del “superamento” del 25 aprile hanno lasciato intatto il nucleo, autoritario verso l’esterno del sistema politico e concertativo verso l’interno, del linguaggio dell’unità nazionale sganciandolo sempre più dal contesto storico di riferimento. Nascono così ibridi politici tipici delle stagioni di congedo dal contesto culturale originario: le missioni militari all’estero vengono benedette in nome della costituzione nata dalla resistenza, l’antifascismo viene dichiarato legittimo solo a partire dalla nonviolenza, si tende a sottolineare più i presunti eccessi di quella stagione piuttosto che ad evidenziarne l’importanza. 3 fattori di crisi del 25 aprile Del resto, il 25 aprile come rivoluzione tradita o incompiuta ha di fronte a sé, da un quarto di secolo, tre formidabili fattori di crisi: la spoliticizzazione di massa che alimenta i linguaggi della “fine delle ideologie” mentre il linguaggio del 25 aprile è tutto in codice politico, le mutazioni delle destre che costringono a ripensare linguaggi e modalità d’azione e l’emarginazione dello stesso concetto di rivoluzione che rende molto meno immediato ed intuitivo il concetto di rivoluzione tradita o incompiuta. Si è quindi creato un circolo vizioso: il richiamo all’esperienza originaria del 25 aprile rischia di non trovare immediata traduzione mentre i linguaggi che lo attualizzano rischiano di finire in braccio alle retoriche del “superamento” e della sterilizzazione dell’esperienza originaria. Berlusconi e l’antiberlusconismo: una doppia sciagura E proprio la situazione di questi anni ha creato un prodotto culturale potenzialmente avanzato quanto di fatto causa di una profonda arretratezza politica: l’antiberlusconismo. Partito come protesta di massa contro la pervasività di un network televisivo, aprendo quindi ai temi della democrazia mediale, l’antiberlusconismo è stato Il 25 aprile, insieme al 1° maggio Festa del lavoro, rappresenta senza ombra di dubbio la ricorrenza più importante da celebrare. Ma la giornata della Liberazione rappresenta pure la migliore espressione di lotta politica raggiunta Partigiani sulle Alpi Apuane Eterno incompiuto? Questo 25 aprile dell’unità nazionale a volte contiene, ma a volte allontana, l’idea della data storicamente costituente dell’Italia contemporanea come affermazione di una concezione dei diritti universali fino a quel momento inespressa in questo Paese. Per una prima lettura di questa concezione, il 25 aprile non è mai compiuto ed il suo spirito è sempre inapplicato nelle leggi e nelle politiche. Per un’altra lettura di questa concezione, variamente legata alle esperienze concrete di governo delle sinistre, il 25 aprile rappresenta la genesi storica delle politiche delle amministrazioni progressiste in Italia. Va quindi considerato che tutte queste concezioni del 25 aprile, a diverso titolo facenti capo a culture istituzionali, hanno storicamente dovuto fare i conti con il convitato di pietra delle formazioni politiche in Italia che ha trovato modo di riprodursi, anche in termini di massa, dopo il ’45. Si tratta della concezione del 25 aprile come rivoluzione tradita o mancata che non solo è stato patrimonio delle formazioni a sinistra del Pci ma che ha anche attraversato il maggior partito comunista d’occidente. Questa concezione ha poi alimentato tutta la sinistra extraparlamentare a partire dal ’68 nelle sue molteplici esperienze comprese quelle con esiti tragici. Ed è a partire da questa concezione che la critica, a volte confusionaria, a volte solo strumentale, alla sinistra di governo prende le mosse: per dimostrare la continuità dell’idea di rivoluzione tradita con i 25 aprile della 1945 diramò la direttiva n° 16. Questa richiamava tutte le organizzazioni ad estendere l’azione insurrezionale e procedere alla liberazione di intere vallate e città. Intanto le operazioni militari continuavano e vaste offensive partigiane erano in corso dal Piemonte al Friuli Venezia Giulia. Le azioni più estese si svilupparono in Emilia, in concomitanza dell’avanzata alleata. Il 14 aprile i partigiani liberavano Imola, mentre il 18 aprile a Torino vi fu un imponente sciopero pre-insurrezionale. Nella notte tra il 20 e il 21 formazioni partigiane capitanate dal livornese Ilio “Dario” Barontini, passarono all’azione liberando Bologna e Modena. Il 23 aprile dopo aspri combattimenti, le formazioni partigiane liberarono La Spezia, Reggio Emilia e Ferrara. La città di Genova insorse nella notte del 23 e i combattimenti proseguirono furiosi fino alla mattina del 25, quando la città viene finalmente liberata grazie all’azione congiunta di partigiani con la popolazione locale. Il 24 aprile fu il giorno che insorse la città di Torino, dove operai, cittadini e partigiani combatterono duramente per la difesa delle fabbriche e dalla città. La battaglia fra partigiani e nazifascisti proseguì violentemente fino al giorno 27, ma alle ore 18 i nazifascisti si arresero. Fra il 25 e il 28 venivano liberate le città di Aosta; Novara; Cuneo; Asti e Alessandria. A Milano l’insurrezione scatta alle 14 del 25 aprile e come a Torino e a Genova, operai e partigiani si unirono a difendere le fabbriche e la città, che fu liberata completamente il 27. Mussolini, Pavolini e Bombacci vengono arrestati il 27 aprile a Dongo mentre fuggono verso la Svizzera: verranno fucilati il 28 aprile. La guerra continuava feroce in Veneto e in Friuli Venezia Giulia, che furono liberate dopo aspri combattimenti solo ai primi di maggio. Così finiva la guerra in Italia. Nella speranza che il sacrificio e il valore di chi ha donato la vita per la nostra libertà sia ricordato per sempre e non infangato da chiacchiere revisioniste, faziose e fasciste, mai come adesso “resistere”, oltre ad un dovere morale è diventata una stretta necessità. incanalato come insofferenza collettiva verso l’esistenza pubblica di un personaggio. Come traduzione contemporanea dell’antifascismo, l’antiberlusconismo ne ha tutti gli svantaggi e nessuno dei vantaggi: comporta gli svantaggi del frontismo (e quindi della forzata convivenza tra culture politiche contraddittorie tra loro) e manca del vantaggio dell’antifascismo, ovvero la distruzione dell’avversario in quanto pericolo per la democrazia (obiettivo storico dal quale le forze dell’Unione si tengono ben lontane). Andare oltre il contesto di riferimento Insomma, questa temperie culturale contiene ancora altri 25 aprile? L’esempio di come festeggiare questo 25 aprile dovrebbe essere dato dalle celebrazioni del 14 luglio in Francia. La data è lungi dall’essere messa in discussione nonostante che l’avversario di riferimento della rivoluzione, la monarchia, da tempo immemore non sia più un problema per la Francia. Eppure proprio un’eventuale scomparsa del 14 luglio in Francia significherebbe per ipotesi la fine della cultura antimonarchica. È quello che deve accadere in Italia: la forza originaria del 25 aprile deve andare ben oltre il contesto di riferimento, il fascismo storico, la cui celebrazione deve rappresentare una garanzia collettiva di libertà come in Francia il 14 luglio. Le popolazioni hanno bisogno della rappresentazione in piazza della libertà non a caso in questi anni tutti si sentono meno liberi. Proprio perché il 25 aprile è stato reso opaco o sterilizzato in nome di un “superamento” o di una “pacificazione” che parlano solo il linguaggio di una nuova sudditanza. Senza Soste, periodico livornese indipendente di informazione Per non dimenticare Lettere e opinioni tanto per cambiare senza scrupoli, supportati maggior esponente è al momento Serge Latouda amministratori e politici altrettanto privi di che, noto sociologo francese – quella da cui scrupoli. Nei fatti dunque siamo ben lontani partire per una messa dalle esigenze reali della collettività e della in discussione dei presopravvivenza stessa del nostro pianeta. supposti di quello che, Naturalmente tutto ciò viene spacciato per generalizzando, posnecessario in nome ancora una volta del cosid- siamo chiamare la progresso e dello sviluppo, senza garantire “modernità”. L'esercito israeliano usa bam- detto i quali non sarebbe possibile assicurare il nostro L'attenzione per il bini palestinesi come scudo attuale standard di vita. Una palese menzogna. pensiero di Latouche è Ma quello che ci preoccupa di più è il fatto che spinta dunque da un questa menzogna sia stata interiorizzata interesse a monte per Il dottor Ghassan, responsabile del Medical dall'uomo comune che di fronte a scelte ener- una critica - anche efRelief a Nablus, mi ha informato che ieri, getiche chiaramente dissennate e a forte impatto fettuale - dell'economia ambientale e sociale accetti capitalistica, che della rassegnato tutto quanto come modernità è il fulcro. In una sorta di “male necessario” questo senso ci intefinalizzato a garantire la nostra ressa anche capire “prosperità” (questo nel mi- meglio che cosa sia gliore dei casi), mentre nel l'economia del dono (o peggiore manco si accorge di informale) a cui fa tutto quello che stanno tra- spesso riferimento lo mando intorno a lui e a suo stesso Latouche nei danno. suoi scritti parlandone Proprio dall'esigenza di smon- come di un tipo di tare finalmente questo mar- economia di fatto alchingegno ideologico e de- ternativa a quella merstrutturarne l'immaginario, cificante del capitalismo. Vorremmo cioè Nablus - La polizia israeliana tiene Mohammed Badwan, 13 anni, sulla propria storicamente legato alla mitojeep come scudo umano. (Fonte: G.M. and The Alternative Information Center) logia del progresso e dello verificare se questa sviluppo e ad una visione prevalentemente (se “altra economia” può mercoledì 11, i soldati israeliani hanno distrutto non esclusivamente) economicistica e mercifi- effettivamente rappreun edificio nelle vicinanze del campo rifugiati cante dell'esistente, è nato un gruppo di studio sentare qualcosa di aldi Balata ed hanno ferito sei civili. Ricordo che vuol cercare di mettere in gioco questi ternativo o piuttosto è che lo scorso mercoledì 4 aprile, ai microfoni aspetti e rimettere in circolo altre istanze. Il solo la forma che ne prende lo scarto, cioè che di Radio Rai Programmi dell'Accesso, abbiamo tentativo ultimo è quello di mettere in questione, prende ciò che resta a margine e non trova registrato la trasmissione che andrà in onda e cercare di comprendere, cosa rende possibile spazi di arricchimento o vitali entro il paradigma alle 14,50 di lunedì 16 aprile prossimo sulla la nascita di un'esigenza come quella di un capitalistico. stazione regionale della RAI. In essa denunrigassificatore al largo di Livorno o una centrale Vorremmo capire anche se la decrescita (ovvero ciamo che l'esercito israeliano a Nablus si fa a carbone altamente inquinante a Tarquinia. la fine dell'ideale di crescita economica infinita scudo dei bambini palestinesi. Abbiamo valuPer questo motivo i partecipanti hanno indivi- che caratterizza le nostre società “sviluppate”) tato attentamente le testimonianze, abbiamo duato nella tematica della decrescita - il cui può rappresentare un elemento di crisi e di calibrato con molta cura le nostre espressioni di denuncia, ma c'è poco da calibrare o mediare: soldati di Tel Aviv prendono bambini palestinesi come scudi umani! Come abbiamo detto in trasmissione, alcuni non crederanno alle proprie orecchie, altri semplicemente non crederanno, altri ancora diranno che stiamo mentendo. Invece è tutto vero e documentato, «Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non persino pubblicato da un coraggioso giornalista può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, israeliano sul quotidiano israeliano Haaretz in non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L'indifferenza è il peso morto della storia. L'indifferenza un articolo del 16 marzo scorso. Invito chi opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non legge questo messaggio a diffonderlo perché si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l'intelligenza. sino ad ora queste notizie sono state consapeCiò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la volmente o inconsapevolmente censurate. massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le Giorgio Stern (Salaam Ragazzi dell'Olivo, leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere comitato di Trieste) uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità Nasce il “Gruppo di studio a travolgere tutto e tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni sulla decrescita” piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch'io il mio dovere, Caro Senza Soste, scrivo per rendere noto che se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò alcuni appartenenti al comitato contro il rigasche è successo? sificatore di Livorno hanno sentito l'esigenza Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro di dare un respiro più ampio alla lotta locale piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del contro l'ennesimo scempio che si vuole attuare come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotial largo della costa livornese. La costruzione dianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere del rigassificatore va infatti inserita in un inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. progetto di politica energetica che, in contrasto Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l'attività della città futura con l'allarme ambientale tanto amplificato dai che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa media, prevede il proliferare di impianti di che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in morte e altamente inquinanti come appunto, essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. solo per fare due esempi, i rigassificatori e le Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti». (Antonio Gramsci) centrali a carbone (vedi il caso di Tarquinia, Ivan Ferrucci aggiungono nientemeno che Anrecentemente salito agli onori della cronaca). Buffoni tonio Gramsci (ripudiato anche dal salottaro Tutto questo rivela abbastanza chiaramente La incoerenza della classe dirigente diessina Bertinotti). cosa stia dietro a queste manovre: interessi non ha limiti. Se da una parte la rincorsa al Ma a nostro avviso, nessuno supera il sindaco economici enormi, gestiti da multinazionali partito democratico impone il taglio degli ulti- di Firenze, Leonardo Domenici. Colui che ha missimi legami col passato comunista, dall’altra trasformato l’acqua in merce (vedi privatizzavengono riesumate le salme di mostri sacri zione con Publiacqua) ha risposto Karl Marx. della tradizione comunista. Al congresso toscano Senza parole. (t.s.) dei Ds recentemente tenutosi a Carrara, alla Mensile. Sede: via dei Mulini, 29 precisa domanda di indicare tre nomi da inserire L'APPUNTAMENTO Direttore responsabile: David Bianco nel Pantheon del futuro Pd, molti politici Ds 25 APRILE 2007, ore 15 Tipografia: Marengo, via G.Ferraris, 4/f hano indicato Enrico Berlinguer, il segretario Centro sociale comunale Bettino Pilli, via Registrazione del Tribunale di Livorno del Pci degli anni ‘70. L’assessore regionale Bettino Pilli, Frazione Vallecchia, Pietrasanta n° 5/06 del 02/03/2006 alla sanità Enrico Rossi e il segretario di Pisa Incontro di approfondimento teorico "Gramsci In via eccezionale riserviamo lo spazio di questa pagina alla rubrica lettere poiché il babbo dell'Esca è... di nuovo babbo! Auguri al nostro K. Solin, alla mamma e al piccolo Brenno. SCRIVI A [email protected] uscita dal capitalismo o non sia invece un qualche modo per salvarlo e/o integrarlo (come alcune prospettive, ad esempio quella di Michele Boato, già sembrano indicare). La breve discussione sinora svolta ha però messo in evidenza come non sia per niente scontato cosa significhi mettere in crisi il capitalismo, se non addirittura che cosa sia una "crisi" per esso. Per questo occorre dapprima capire bene di cosa si stia parlando, ovvero che cos'è il capitalismo. E' nata allora l'esigenza di utilizzare alcuni testi di Marx, o parte di essi. Marx e Latouche saranno così i “numi tutelari” di questa avventura teorica, che si spera porti a risultati molto efficaci anche sul lato pratico. Il gruppo di studio si incontra settimanalmente per ora in forma non aperta, questo soprattutto perché è ancora un lavoro di ricerca che si presenta molto vago e incerto. Come prima tappa vorremmo arrivare ad una presentazione pubblica delle conclusioni, in seguito aprire – se vedremo che ne vale la pena – un vero e proprio dibattito da porre all'attenzione del movimento. Sonia Bibbolino Modello italiano «Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani» Senza Soste Andrebbe chiesto ai tifosi del Manchester United se i finanzieri in servizio allo stadio Olimpico smandibolavano, in evidente e continuo stato di eccitazione da cocaina, se i carabinieri li offendevano e se i poliziotti hanno sputato sulle loro bandiere, li hanno presi a pedate e quindi picchiati con i manganelli al rovescio. Io credo di sì, come del resto hanno sempre fatto con noi tifosi livornesi ogni volta che ci siamo presentati all’Olimpico. Mi dispiace per i tifosi inglesi, ma grazie a loro le angherie e i soprusi di cui si è sempre resa protagonista la sbirraglia in servizio all’Olimpico è adesso sotto gli occhi di tutto il mondo. Alla faccia del prefetto Serra e di chi ha sempre celato le malefatte del suo reparto. Marco Landi SOLIDARIETA' Continua la raccolta fondi per aiutare Domenico Ognibene, l'uomo che in un incendio doloso appiccato da ignoti lo scorso 13 marzo ha perso tutto quel che aveva, compresi molti dei suoi affezionatissimi animali. Vi invitiamo a indirizzare anche la più piccola delle donazioni sul seguente conto corrente: c/c 1931/8, “periodico Senza Soste in favore di Domenico Ognibene” Cassa di Risparmio di Volterra, Agenzia 1 (piazza Roma) Pagina otto Legge-Amato, roba da Codice Rocco Diventa legge il cosiddetto "decreto anti-violenza", una norma che ricorda da vicino il famoso codice legale fascista. Ecco cosa cambia con la sua applicazione TITO SOMMARTINO Ricordate Cristiano Lucarelli mentre festeggia uno dei suoi tanti gol sotto lo striscione in favore dei cassaintegrati della Delphi? Oppure le bandiere per la Palestina contro il Maccabi? E gli striscioni di solidarietà agli operai della Lips o della Cosmos? E quelli contro le morti bianche? Bene, oggi tutto questo non è più possibile. Esporre tali striscioni sarebbe considerato una violazione della legge anziché delle libertà di espressione del cittadino. Attraverso la Legge Amato , una delle più illiberali e antidemocratiche che la storia repubblicana italiana ricordi, lo Stato pensa invece di aver fatto uno sgarbo alle cosiddette “bestie da stadio”, le stesse che hanno spesso raccolto soldi per le cause più nobili e allestito coreografie come quella per Luca Rondina. appunto, ma anche striscioni e bandiere devono passare dall'insindacabile autorità delle forze dell'ordine e dimostrare di non avere contenuti ingiuriosi, politici, nonché di essere realizzate in materiale ignifugo. Se qualcuno non è visto di buon occhio e in passato si è visto comminare una diffida può anche subire il daspo preventivo. E se per disgrazia qualcuno si rende responsabile del ferimento di un poliziotto rischia fino a 18 anni di carcere. Chiunque abbia seguito la propria squadra, soprattutto in trasferta, sa bene quanto sia facile trovarsi nel mezzo a cariche ingiustificate da parte delle forze dell’ordine. In quel caso, se proprio non è possibile darsela a gamba, il consiglio è di cercare di prenderne meno possibile senza mai reagire. Insomma, non è certo un caso che l’Unione delle Camere penali abbia parlato di decreto anticostituzionale, ma la sua autorevole voce è stata praticamente ignorata. Questa legge iniqua, antidemocratica e secondo alcuni giuristi perfino anticostituzionale (tale è l’aumento delle pene che vede come aggravante il fatto che le violenze si compiono allo stadio e nelle sue immediate vicinanze) serve quantomeno a scardinare alcune ingiustificate certezze, a cominciare da quella secondo cui i reticoli di potere che negano o limitano la libertà individuale vengono innalzati solo nelle dittature più sanguinarie. Una legge così, al giorno d’oggi, la può studiare chiunque, anche un governo “amico”, di “sinistra”, socialdemocratico. La studia, la scrive e la fa approvare. Questa legge funesta dà anche il colpo di grazia al cosiddetto “movimento ultras”, ad onor del vero già da tempo agonizzante per motivi che non staremo qua a ricordare. E se vogliamo, la morte degli ultras, proprio per le forme in cui è stata decisa, è paradigmatico di una società che non riesce a metabolizzare anomalie se non in termini di ordine pubblico. Infine una riflessione: lo stadio, in particolare la curva, era rimasta l’unica vera “piazza” in cui era possibile esprimere – essendo ascoltati – le proprie opinioni. Un vero e proprio sistema di comunicazione alternativa. Lo striscione esposto allo stadio - che piaccia o no e indipendentemente dal messaggio che veicola - è l’espressione di una comunità spesso molto ampia e come tale è informazione, “notizia”, per dirla in termini giornalistici. Zittire le curve in modo preventivo è una gravissima restrizione della libertà d’opinione. Non a caso, per approvare il decreto Amato, il governo ha tappato la bocca anche al settimanale più venduto in Italia, L’Espresso, imponendogli di congelare fino al giorno dell’approvazione del decreto lo scoop sulla vera morte di Raciti. (red.) Caso Raciti: cronologia di un mistero Come la tradizione democratica italiana impone, sembra sia stato smarrito il fegato dell’agente, organo chiave nella ricostruzione della dinamica del decesso FRANCO MARINO Per molti era ormai un dato di fatto che la morte dell’ispettore Raciti fosse avvenuta per il lancio di un oggetto da parte di un ultras catanese con la conseguente emorragia mortale al fegato. Per tre mesi le inchieste, gli atti processuali, gli interrogatori sono stati coperti dall’omertà e dalla retorica, cioè gli elementi giusti per poter covare nelle stanze del potere un decreto anticostituzionale che blinda gli stadi e cerca di dare un po’di fascino repressivo ad un governo zoppicante a cui non resta che curare l’immagine visto che per i contenuti serve ben altro coraggio. Ma vediamo gli eventi delle ultime due settimane che ridisegnano i fatti realmente accaduti e che tuttavia sembrano marginali rispetto al vero obiettivo del governo: la resa dei conti con il mondo ultras. 3 aprile: il Senato, con un grosso mal di pancia, approva il decreto sugli stadi. Amato scende in campo direttamente, chiedendo in maniera esplicita l’appoggio di tutti i partiti di maggioranza per non far decadere il decreto già più volte modificato e che altrimenti sarebbe scaduto il 9 aprile. Amato si impegna anche a modificare il decreto una volta in vigore in cambio dell’approvazione. Erano molti i senatori interni alla maggioranza, oltre alla Lega, a ritenere che il decreto contenga misure anticostituzionali tanto che molti paventavano che Napolitano potesse non firmare. 5 aprile: L’Espresso esce con lo scoop di regime, la testimonianza di un collega di Raciti che afferma di aver colpito il collega con lo sportello aperto della jeep mentre faceva retromarcia. Scoop di regime perchè sapientemente tenuto nei cassetti e dato in pasto al popolo solo dopo che il Senato aveva approvato il decreto. Un vero esempio di giornalismo libero, non c’è che dire. 12 aprile: Lipera e Coco, avvocati difensori del 17enne ancora in carcere, riportano un passaggio delle motivazioni con cui il Gip ha rigettato la richiesta di ulteriore perizia. Nel documento si sostiene che quest’ultima è «da effettuarsi inevitabilmente sugli atti, attesa la natura dell’organo lesionato, oramai disperso». 14 aprile: spunta un nuovo filmato, stavolta di Antenna Sicilia tv, all’interno del quale la Polizia trova alcune sequenze che riguardano proprio Raciti. Le immagini sono da collocare intorno alle 20.15, poco più di un’ora dopo il presunto scontro con i tifosi nella porta d’ingresso della curva Nord dello stadio Massimino, 18 minuti prima del presunto impatto che il poliziotto avrebbe avuto con lo stesso Discovery. Si vede Filippo Raciti che cammina (zoppicando?) aggrappato con una mano allo sportello anteriore destro aperto del Discovery e con l’altra appoggiata sul tettuccio del veicolo che procede lentamente. Raciti non è riconoscibile perchè è preso di spalle e sembra palese che questo filmato si tratti di una risposta all’articolo de L’Espresso. Sembra poco plausibile che se le ferite riportate dipendessero dalla lamiera lanciata intorno alle 19.10, un uomo con quattro costole rotte e un’emorragia al fegato abbia continuato a partecipare agli scontri per un’altra ora almeno prima di morire. Una morte da cavalcare. Al di là della cronaca, resta la drammaticità di un lutto. Adesso non c'è più Raciti, non c'è più il suo fegato, ma in compenso c'è una legge che in tema di libertà d'espressione e di contenimento delle libertà personali non ha niente da invidiare con la Russia di Putin, e con il regime di Myanmar. Sappiamo che molti non andranno mai a leggersi la Legge Amato, che altrettanti pensano che stiamo esagerando e che “comunque qualcosa andava fatto”, che “gli ultras sono indifendibili” e che tutto il resto sono “vicende marginali”. Tuttavia, come tradizione italiana impone, ci troviamo di fronte ad un giallo sulla morte di una persona e con un decreto che questa morte l’ha cavcalcata confidando in un clima da unità nazionale che non è stato rotto neppure da qualche puntualizzazione della cara sinistra “radicale”, arcobaleno e responsabile. Avanti Cristiano, non ti curar di loro FRANCO MARINO Il pareggio con la Reggina ha lasciato pesanti strascichi. Addentrandosi nei meandri del web o semplicemente nei bar, emerge un elemento chiaro e forse inaspettato proprio per le dimensioni: una parte della città ha vissuto accucciata e nascosta in silenzio aspettando che Cristiano sbagliasse qualcosa o rompesse quel che lui stesso chiama “il cordone ombelicale” per esplodere e dare la via agli ormeggi: battute su quanto guadagna, sul “fratellino”, su quale scusa sta cercando per andarsene a guadagnare di più. E fra questi ce ne sono tanti che fino a poco tempo fa gli facevano baciare i nipotini come se fosse il Papa. Diciamocelo, la figura di Cristiano turbava questa città addormentata e solo i suoi classici 20 gol a stagione placavano questo fiume di mediocri spettatori (allo stadio come nella vita). Li vediamo già gli sportivi da cappellino e popcorn che vogliono vivere la partita in tranquillità, ragionare solo di “pallone” e guardare Controcampo la sera. Magari senza dover “sopportare” Cristiano che provoca il sistema-calcio dopo l'ennesimo rigore non dato, oppure accostato a Di Canio come esempio negativo del calcio oppure perché ha dato una spallata a Pandev reo di aver sbeffeggiato la curva. È proprio vero, in questi anni Cristiano ha scombussolato la vita di questi onesti cittadini che fanno della pace dei sensi uno stile di vita. Li vediamo già gli “spinelliani di ferro” (quelli che “Spinelli prima di tutto”) dire che morto un centravanti se ne fa un altro, senza accorgersi che se Lucarelli e Protti non fossero venuti a Livorno per amore della maglia e della città, il nostro bomber principe sarebbe stato Danilovic (senza per questo negare i meriti del presidente). E già vediamo i solerti amministratori, che in questo momento di crisi del calcio si dileguano quatti quatti, consci che ormai lo stadio è solo un problema e non un vantaggio elettorale, ridacchiare sotto i baffi vedendo Cristiano abbandonato da una parte consistente della città. Dopo le dichiarazioni sulla chiusura dello stadio, il ceto politico si è accorto che non poteva più vivere di rendita sul terrazzino della tribuna e le dichiarazioni di Cristiano hanno accelerato questa sensazione. Così come vediamo già tutti i destri della città appoggiare una mano sulla spalla di figli e amici e bisbigliare: «Ve l’avevo detto che era solo un miliardario che faceva finta di essere comunista per compiacere i suoi amici!». Diciamo questo malgrado pensiamo che la sua reazione ai fischi in campo sia stata eccessiva e che i continui battibecchi con Spinelli abbiano stancato la tifoseria. Nonostante questo, ciò che è accaduto in questi giorni appartiene alla categoria dell’irriconoscenza e della vergogna. Se in questi anni le vicissitudini del Livorno hanno fatto il giro del mondo e sono state parte integrante della vita di questa città è proprio perchè personaggi come Protti e Lucarelli hanno vissuto il loro essere calciatori professionisti in maniera “non conforme” al mondo del calcio (un ambiente ultraconformista), esponendosi sempre in prima persona e dicendo sempre quel che pensavano, infischiandosene delle leggi di mercato e di potere che affliggono questo sport. Sicuramente se la storia recente del Livorno l’avessero fatta Vieri o Inzaghi, molti di noi si sarebbero disaffezionati a questo sport/business già da molto tempo. A noi gli uomini e i calciatori piacciono così. Comunque vada, massimo rispetto per le scelte di Cristiano.