aprile - Senza Soste

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Periodico livornese indipendente di informazione, n° 15 OFFERTA LIBERA
Quanti 25 aprile ancora?
IVANO SCACCIARLI
Per riuscire ad immaginare quanti 25 aprile ci
attendono, bisogna capire quanti ne abbiamo
dietro le spalle. Per esempio, solo gli storici e
i militanti di lunghissimo corso ricordano che,
proprio a ridosso della resistenza durante gli
anni ’50 e una parte significativa dei ’60, le
celebrazioni istituzionali del 25 aprile avvenivano
in tono minore. Questo, sia per non sottolineare
troppo una data che, per quanto costitutiva
dell’intera Repubblica, era soprattutto celebrata
dalle sinistre, sia per non irritare troppo la
“sensibilità” di buona parte dell’amministrazione
dello Stato e della giustizia che nel dopoguerra
era stata ricostruita lungo l’ossatura del precedente regime.
Il primo 25 aprile, quello minore, nasce quindi
secondo le esigenze dello stato neocentrista
democristiano: rispettare la data osservando la
costituzione senza particolari attenzioni cerimoniali. Questo atteggiamento è stato rielaborato
durante gli anni del governo del centrodestra e
qui, essendo stata data per superata la costituzione, l’esigenza di mantenere un rispetto minimale verso il 25 aprile era dettata dalla necessità
di non radicalizzare l’opposizione di centrosinistra. Del resto quest’errore strategico era stato
fatto nel 1994 e rappresentò una delle cause
principali della caduta del primo governo Berlusconi.
Se il 25 aprile minimo ha quindi lontane radici,
e sviluppi che arrivano fino ai nostri giorni,
altrettanto lontane le ha il 25 aprile dell’unità
nazionale che si è spesso alternato, seppur in
forme e significati diversi, con la concezione
minimale della festa della Liberazione.
E qui ci dobbiamo addentrare all’interno di
significati spesso mimetizzati nel 25 aprile e
aggiunti successivamente al 1945 anche quando
espressi in nome della sua portata originaria. Ci
riferiamo non tanto all’idea del 25 aprile come
secondo risorgimento, o come risorgimento
compiuto, che nella retorica ufficiale serve a
legittimare la Prima guerra mondiale come
guerra d’indipendenza e non come tragedia in
sé e genesi del fascismo. Pensiamo soprattutto
alla concezione che vuole il 25 aprile come data
di legittimazione delle politiche di emergenza,
del primo corpo di leggi speciali in materia di
ordine pubblico di questo paese, in quanto anche
data di legittimazione dei partiti nati dalla resistenza che queste politiche di emergenza hanno
poi promosso. È una concezione del 25 aprile
che nasce subito a ridosso di quella dei primi
anni ’70, quella delle istituzioni che devono
essere garanzia contro la stagione delle stragi
fasciste, che si rovescia pochissimi anni dopo
in quella del 25 aprile contro il fascismo rosso
dei cosiddetti anni di piombo e che arriva fino
a noi, anche fuori contesto storico, tutte le volte
che vengono invocate la politica della fermezza,
quella della responsabilità nazionale e quella
delle larghe intese. (continua a pagina 6)
TAN libera tutti
Tra i finanziatori del TAN, considerato l'avvenimento sportivo locale più prestigioso, spicca
Vincenzo Onorato, presidente di Moby Lines. La società ex-Navarma, malgrado le evidenti
responsabilità nel disastro del Moby Prince, non è mai stata giudicata da alcun tribunale
LEILA CHINAPOLI
Il TAN, Trofeo Accademia Navale, è la regata
più prestigiosa del Mediterraneo. Nasce in occasione delle celebrazioni del centenario dell’Accademia con la denominazione di “Regata
del Centenario”, poi le edizioni successive prendono il nome di “Trofeo Accademia Navale e
Città di Livorno”.
La XXIV edizione partirà il 27 aprile e tra i
promotori ci sono tutte le maggiori istituzioni
locali (a cominciare da Comune e Provincia)
che fanno parte del cosiddetto Comitato d’Onore.
Una kermesse che costa tanti soldi (quanti non
è dato saperlo) in parte coperti dai numerosi
sponsor. Oltre alle più note marche di abbigliamento da vela, arrivano soldi dall’industria
strettamente legata al mondo militare e della
guerra come Oto Melara, azienda leader nella
produzione di cannoni e carri armati, e MBDA,
principale consorzio europeo nella costruzione
di missili antiaerei, aria-aria e bombe a caduta
libera.
Poco da stupirsi, il Comune ci ha abituato allo
show della guerra. Ci ricordiamo lo spettacolo
indecoroso dei carri armati sulla Terrazza Mascagni per la commemorazione della battaglia
fascista di El Alamein, messi a disposizione
per qualche macabra foto ricordo con soldati
in divisa.
Ma al peggio veramente non si pone mai
fine. Scorrendo la lista degli sponsor un
nome tuona su tutti: Moby. La famiglia
Onorato, da sempre padrona della flotta exNavarma, non è stata mai chiamata a rispondere in sede processuale malgrado le
pesanti responsabilità oggettive nella tragedia
del Moby Prince. Un traghetto che al momento del disastro presentava carenze
strutturali tali da avere l'abilitazione alla sola
navigazione costiera: a bordo non funzionava
l’impianto antincendio, la radio era praticamente inutilizzabile, un mozzo dell’elica
destra era rotto da anni e anche i radar erano
messi male. Un traghetto che, come se non
bastasse, all’indomani della sciagura vide
perfino la manomissione del timone. Un’azione di cui si autoaccusò l’allora nostromo
del Moby, Ciro Di Lauro (ma che il pretore
di Livorno assolse per «difetto di punibilità»),
al quale erano arrivati ordini “dall’alto”.
Ovviamente la famiglia Onorato (in primis
Achille, padre di Vincenzo, al momento della
tragedia a capo della flotta) non è l’unica che
in questa storia sarebbe dovuta entrare da protagonista nelle aule di tribunale, ma la sua
presenza e il suo contributo a questa così tanto
“prestigiosa” iniziativa portano solo offesa alla
memoria delle 140 persone morte in maniera
così atroce, ai loro familiari e alla città tutta.
La cerimonia di inaugurazione del trofeo avverrà
proprio sulla stessa banchina dove giusto il 10
aprile è stata celebrata la commemorazione
laica della strage e dal quale, come ogni anno,
sono state lanciate in mare 140 rose. Da qui,
quest’anno, il Sindaco di Livorno ha dichiarato
che il Comune è pronto a costituirsi parte civile
nel caso venisse riaperto il processo, precisando
che verità e giustizia ancora non sono state
ottenute. E come se non bastasse, Livorno
potrebbe vedersi ulteriormente oltraggiata dalla
premiazione di Onorato come miglior regatante
dell'anno. Il mascalzone latino è infatti uno dei
tre candidati alla conquista del premio. Ci viene
da pensare che se fosse stato garantito alle
famiglie delle vittimealmeno un equo risarcimento, forse Onorato non sarebbe in giro a
fare lo skipper ultramiliardario e partecipare
alle più importanti regate mondiali.
E allora delle due cose l’una: se si reclamano
verità e giustizia non è possibile promuovere
un’iniziativa tra i cui finanziatori compare anche
Onorato. L’apporto economico ad un trofeo che
già si fregia di soldi insanguinati non può certo
valere come risarcimento morale e proprio in
ALL'INTERNO
LA MIA CITTA'
Moby Prince, un processo da rifare Maurizio Tortorici, a 14 anni dalla sua
uccisione ancora nessuna giustizia Seconda parte dell'inchiesta sulle
speculazioni in città
CRONACA DALLA PROVINCIA
Rosignano, nuovi e vecchi pericoli per la
salute
SPECIALE 1 MAGGIO
Precarietà, un'emergenza ignorata dal
governo - Sagra del precario 27/04-01/05
quest’ottica risulta decisamente ipocrita l’istituzione di un premio Unicef “rivolto ai bambini
meno fortunati del mondo” (magari gli stessi
bombardati dalle armi prodotte da Oto Melara
e Mbda).
Qual'è quindi l’idea di cultura che le istituzioni
intendono promuovere appoggiando tali manifestazioni? Non c’è nessuna idea. La verità è
che chi in questa città ci governa e vuole governare anche i nostri desideri ci propina come
evento un tendone popolato dalla solita presenza
femminile preconfezionata che attraverso
dépliant propone carissimi golfini griffati e
magari un’avventurosa mostra di nanotecnologie
per far sparare proiettili (pagati con i nostri
soldi) sempre più potenti in qualche parte del
mondo. Ma tutto questo sarà meno truce grazie
alla presenza di un Topolino gigante che si
aggirerà festoso tra gli stand.
Del resto la massima fruibilità della manifestazione sarà proprio l’accesso al megastand “Tuttovela”, allestito a fianco della lapide che ricorda
le vittime del Moby. E allora non ci resta che
liberarci noi di questi inutili eventi, boicottandoli
e reclamando il diritto ad un altro tipo di socialità
e di cultura. La verità è un diritto e nessuno è
titolato a togliercela.
Tocca a noi ricordare che chiedere giustizia per
una delle pagine più vergognose della storia di
questa città e del Paese intero è anche una
questione di coesione sociale. Ed è quindi necessario che personaggi come Onorato siano
considerati nemici della giustizia e della verità
e che in alcun modo sia data loro credibilità nel
nostro già provato e sfibrato tessuto sociale.
.
PER NON DIMENTICARE
25 aprile, i giorni della vittoria - Le parole
di Gramsci a 70 anni dalla sua morte
LETTERE E OPINIONI
PAGINA OTTO
Il decreto-Amato è legge - Filippo Raciti,
cronologia di un mistero - Il caso Lucarelli
Approfondimenti, ultim'ora
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Lavoro
- Capitale
La mia
citta'
Moby, possibile la riapertura del processo
Nel mirino della Procura la movimentazione di armi delle navi Usa la notte del disastro.
Ma un processo equo dovrebbe partire dalle gravi carenze strutturali del Moby Prince
TITO SOMMARTINO
Il 10 aprile 1991, per circostanze tenute nascoste, 140 persone persero la vita sul Moby
Prince.
Dal 1 novembre 1997 ad oggi, ovvero dalla
chiusura del processo-farsa, ogni ricorrenza si
è consumata tra lacrime e rabbia, formalità e
frasi di rito. I familiari hanno continuato ad
invocare una verità negata loro con ogni mezzo
e le amministrazioni locali, di fronte al muro
di gomma issato sulla vicenda da poteri ben
più forti dei loro, si sono
limitate a garantire vicinanza e solidarietà ai parenti delle vittime anche se
nessuno (Comune in primis) ha mai avuto la
dignità di costituirsi parte
civile.
Quest’anno è invece
emersa un’importante novità: la procura di
Livorno ha acquisito l’attività informativa svolta
dal Sisde sull’intera vicenda. Il procuratore
Antonio Giaconi non ha però voluto rivelare
il contenuto della documentazione, limitandosi
a precisare che si tratta «dell'attività informativa
svolta dal servizio in seguito all'incidente».
La vera nebbia, ormai è un dato di fatto, non
è quella che secondo alcuni sarebbe stata presente quella sera nel porto di Livorno, ma quella
che a partire dalle 22.26 di quella tragica notte,
ora esatta della collisione del Moby Prince con
la petroliera Agip Abruzzo, ha avvolto l’intera
vicenda. Una nebbia che in questi 16 anni ha
assunto varie forme e sembianze: depistaggi,
omissioni, bugie, minacce, processi-farsa. Di
ipotesi sulle possibili cause del disastro ne
sono fatte moltissime, tutte possibili, tutte più
o meno plausibili. Fatto sta che come ha giustamente ricordato Loris Rispoli, presidente
del Comitato Moby Prince 140 che riunisce
alcuni familiari delle vittime, «non può esistere
indagine onesta che non parta dalle gravi carenze strutturali del Moby». Come dargli torto?
Nell’ammiraglia dell’allora flotta Navarma
non funzionava il sistema sprinkler antincendio
(una rete di tubazioni posizionate a livello del
soffitto) e neppure le serrande taglia-fuoco,
quelle che in caso di incendio chiudono tutte
le condotte di ventilazione della nave per non
permettere al fumo di propagarsi nei locali
della nave. E che dire dei radar? Almeno due
dei tre previsti a bordo erano fuori uso. E poi
Maurizio Tortorici 14 anni dopo
Un ragazzo poco più che ventenne venne freddato da un poliziotto perché colpevole di
non essersi fermato all'alt. Una vicenda da ricordare per continuare a chiedere giustizia
LUCIO BAOPRATI
Alla sprovvista viene colto da tutti questi pensieri. È un attimo, una scelta istintiva, dá gas.
Parte l’inseguimento. Dal finestrino della Volante spunta una pistola. In piazzale Zara vengono esplosi due colpi. Una prima sbandata
della moto, poi la svolta in via delle Cateratte.
La strada si restringe, un camion gli viene
una tragedia immane, ma è tutta la città che si
sente ferita.
Nella notte non mancano momenti di tensione
Aprile 1993, Livorno è in piena crisi occupadavanti alla questura. Il giovedì successivo
zionale. Dalla Borma al Cantiere è cassa
5mila studenti scendono in piazza e convergono
integrazione. La politica parla di nuove aree
nuovamente alla questura dove protestano con
produttive e di porto turistico. I familiari del
un sit-in obbligando il Questore a scendere e
Moby Prince chiedono ancora verità.
dare spiegazioni. Allo staIl Livorno del patron
dio uno striscione per
Achilli e Lady Giusy
Maurizio fa il giro del
milita nei Dilettanti. Ma
campo. Un altro, Maurizio
è comunque Livornonel cuore della Nord è steso
mania: la squadra di
sopra lo striscione Fedayn.
Zoratti è in piena corsa
Partano le indagini, si
promozione. Domenica
ipotizza l’omicidio volon18 vince in trasferta a
tario. Ma l’arma è difettosa.
Sanremo e si porta ad un
Passano 10 anni, Pontanari
punto dalla capolista
viene condannato per
Vogherese. Segnano
omicidio colposo. Fa circa
Campistri e Moschetti,
due anni, poi la pena è sodoppietta, per la gioia dei
spesa. Torna a lavorare,
mille tifosi al seguito. Tra
prima a Viareggio poi alla
quei mille c’è anche un
questura di Lucca come
giovane meccanico di 22
impiegato civile.
anni, con la passione per
Intanto lo Stato vuole da lui
la moto, Maurizio Tori soldi che ha dovuto ritorici. Un ragazzo resarcire alla famiglia Torsponsabile e ben voluto.
torici. Il Tirreno ne racconta
Lo conoscono un po’ tutti
il dramma. In una clamonel quartiere San Marco,
abita in via Tranquilli, E' il 25 aprile 1993, ma è tutt'altro che una "Liberazione". Quel giorno si giocava rosa intervista il povero
omicida accusa la Polizia
una via che gli si addice: Livorno-Cuneo (1-0), partita del CND. La Nord ricorda Maurizio con un giro
di campo. (Foto tratta dal libro "La mia curva", di Massino Gnolfo. Si ringrazia stessa di mobbing nei suoi
per la gente è il classico
Claudio per l'aiuto datoci)
confronti. La mattina del 7
bravo bimbo. È martedì
febbraio 2006 sale sul tetto
20. Da giorni Maurizio
del Tribunale di Viareggio e minaccia di buttarsi
sta lavorando ad una moto, una Kawasaki X
incontro, Maurizio lo evita sterzando bruscadi sotto. Si dice disperato perché deve pagare
250. Verso le 13,15 esce di casa: è ansioso di
mente ma perde il controllo, sbanda violenteallo Stato 125mila euro. Il giorno dopo Stefania
provarla. Passa da via Solferino, al Bar Danila,
mente e cade. La moto si va ad incastrare nel
Tortorici, sorella di Maurizio, legge la notizia
dove è solito fermarsi, con lui un amico.
guard-rail.
e scrive immediatamente una lettera: altro che
Prendono via Salvatore Orlando, l’amico si
Sono circa le 14. Maurizio è a terra, stordito e
soldi, dovrebbe sentirsi disperato per aver
ferma alle Officine Lami, Maurizio prosegue
sulle ginocchia. Il poliziotto Pontanari, arma
ucciso suo fratello. Pontanari dice che da quel
il suo giro di prova, forse accelera, forse
in pugno, scende dall’auto. Gli balza davanti,
giorno la sua vita è diventata un inferno. Ma
impenna. Su quel tratto è in servizio la Volante
gli punta contro la Beretta ed esplode un colpo
è sempre la stessa storia, le solite lacrime di
della Polizia Stradale comandata dal livornese
che colpisce Maurizio all’addome. Pontanari
coccodrillo. Le armi in faccia continuano ad
Flavio Pontanari. Nel weekend i carabinieri
viene allontanato dal collega, la macchina viene
essere puntate lo stesso, difettose o meno che
hanno ritirato 5 patentini, 10 carte di circolacircondata da una folla rabbiosa. Arrivano tre
siano. Ed un brivido corre sulla schiena a
zione e sequestrato 25 ciclomotori. Probabilvolanti, si fanno strada con pistole e mitragliette.
ripensare alle parole, raccolte dai testimoni,
mente Maurizio lo sa, come sa che la sua
Maurizio nel frattempo viene soccorso da un
che Maurizio, sanguinante, pronunciò sul selmoto è senza assicurazione. Probabilmente
automobilista che lo porta all’ospedale. L’opeciato: «Mi hanno sparato. Non ho fatto niente.
pensa al padre, che ha problemi di salute: non
razione finisce alle 17.30, così come la sua
Muoio...».
vuole dargli pensieri, non vuole farlo agitare.
vita. Per i familiari e i molti amici accorsi è
l’attestazione di idoneità del Moby, che reca
l’indicazione di una abilitazione alla sola
navigazione costiera, forse perché il traghetto
viaggiava da anni con un mozzo dell’elica
destra rotto e con l’ordine del Registro italiano
navale di sostituirlo al più presto. Per finire
alla radio di bordo funzionava a singhiozzo,
proprio come la sera della tragedia? Se non
bastasse tutto questo a inchiodare Vincenzo
Onorato di fronte a responsabilità per cui non
ha mai pagato, vi è anche l’accertata manomissione del timone, avvenuta all’indomani
del disastro. Un’azione di cui si autoaccusò
l’allora nostromo del Moby, Ciro Di Lauro,
al quale erano arrivati ordini perentori dai
vertici della dirigenza Moby (allora Navarma).
Malgrado la confessione, il pretore di Livorno
assolse Di Lauro per «difetto di punibilità»,
una sentenza poi confermata sia dal processo
di appello che dalla Cassazione.
L’acquisizione dell’attività informativa del
Sisde sulla vicenda, dicevamo, sembra poter
aprire le porte ad una riapertura del processo.
A smuovere le acque è stata un’istanza dell’avvocato di parte civile, Carlo Palermo, che
ha raccolto indizi su quella che tutti hanno
sempre avanzato come una delle possibile
cause del disastro: una sostanziale abdicazione
della sovranità territoriale da parte dello Stato
italiano a favore di quello statunitense, con la
rada occupata da navi militari e militarizzate
americane impegnate a movimentare armi da
e per l’allora Guerra del Golfo. Da qui una
possibile spiegazione sull’incredibile ritardo
nella gestione delle misure di soccorso, l’altro
aspetto inconcepibile, forse il più incredibile,
della vicenda. Non è un caso che perfino
Cosimi abbia osato spingersi fino al punto di
puntare l’indice, in maniera perentoria, contro
l’operato dell’allora comandante del porto,
l’ammiraglio Sergio Albanese, responsabile
delle operazioni di soccorso. Albanese invece
non ha mai diretto le operazioni attraverso
proprie decisioni e disposizioni precise intese
a gestire tutti i mezzi navali che seppur con
grave ritardo erano stati convogliati nella zona.
Un’omissione frutto di incompetenza o di un
preciso ordine?
«Se emergesse con chiarezza la responsabilità
degli Usa – ha affermato Rispoli - riterrei
doveroso che tutte le amministrazioni locali
chiedessero la chiusura della base di Camp
Darby e che il governo statunitense risarcisse,
come per il Cermis, i familiari delle vittime».
Resta un fatto: se la prospettiva di una possibile
riapertura dell’inchiesta dopo anni di silenzio
non può che essere accolta con favore, al
tempo stesso un’inchiesta che vede gli Stati
Uniti come possibili principali responsabili
del disastro è già di per sé una battaglia persa
in partenza. La storia recente di casa nostra (e
non solo) ci insegna che in presenza degli
americani non esistono processi giusti, equi e
super partes. E spesso non esiste neppure il
processo semplicemente perché gli Stati Uniti,
si rifiutano di comparire in giudizio.
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LaLamia
citta
INCHIESTA
FRANCO REVELLI
(parte seconda) «Se non accelerate vado sui
giornali, anzi, mi rivolgo alla Magistratura».
È il 4 aprile 2003 e a parlare è un autorevole
esponente dei Ds, Mauro Penco (capogruppo
in Consiglio Comunale). Penco si rivolge così
all'assessore all'edilizia privata, Pasquale Guzzini, flemmatico esponente della Margherita
con un passato da ufficiale nella Marina Militare. Penco si rivolge a Guzzini perché la
Commissione Edilizia “intenda”.
«C'era un incomprensibile rallentamento nelle
delibere delle pratiche» (testuale), avrà modo
di riferire Penco al Magistrato durante il dibattimento processuale. E poi: «Dietro queste
pratiche si registravano fatti umani. Tutto ciò
che era di rispetto delle Leggi e che era dovuto
ai cittadini, doveva essere fatto nella maniera
più precisa e puntuale». Su quanto accadeva
in quel periodo in seno alla Commissione
Edilizia avremo modo di tornare. Vale la pena
di aggiungere che oltre a Penco e Guzzini
anche l'Assessore Picchi, per quanto privo di
alcuna competenza in materia di edilizia pubblica e privata, mostra tutta la sua applicazione
sulla “pratica”. Al Magistrato riferirà che teneva
i collegamenti con la Circoscrizione 4 «per
mediare sui contenuti del provvedimento».
Fatto grave perché Picchi ammette anche la
presenza di una “commissione” all'interno della
Giunta (il gruppo di comando) che gli avrebbe
delegato, non si sa bene a quale titolo, le relazioni con il territorio e le categorie (circostanza
che si ripeterà con la Porta a Mare).
Sarà un caso, ma esattamente nello stesso
giorno in cui Penco sollecita la pratica di
Salviano 2 al collega di maggioranza Guzzini,
un fax garibaldino fende il Palazzo e plana
nell'Ufficio di Gabinetto del Sindaco. Si fanno
vivi i legali di Vitelli (futuro padrone della Stu
Porta a Mare) con perentorie richieste di adeguamento del regolamento urbanistico alle
caratteristiche della Nuova Porta a Mare (così
definiscono il piano le teste d'uovo di Vitelli,
uomo raccomandato a Lamberti direttamente
dal Quirinale). In sostanza, quel fax anticipa
la trasformazione urbana prossima ventura,
cioè la versione post-industriale di aree, già
appartenute all'ex-Cantiere Orlando, sottoposte
a vincolo produttivo. Fra le altre richieste, al
punto 3 del fax, quella di provvedere alla
introduzione nel piano particolareggiato di
un'area residenziale di 10mila m² (che poi in
fasi successive sarebbero diventate di 13.500
Provincia
ROSIGNANO SOLVAY
FRANCO MARINO
Con la pubblicazione, a livello internazionale,
della ricerca effettuata dal Cnr di Bologna sugli
effetti delle polveri pm10 e pm2,5 sulle persone
si passò dalla sensazione alla certezza che
determinati parametri della qualità dell’aria
incidevano, se superati, sulla vita delle persone
essendo sostanze nocive e cancerogene.
Dopo quello del Cnr un nuovo studio congiunto
delle università di Trento e Padova sull'impatto
di un impianto a Montecchio Maggiore (Vc)
ha sottolineato i rischi derivanti delle emissioni
di polveri fini ed ha alimentato le preoccupazioni recentemente espresse da cittadini di tutta
Italia in merito alla pericolosità delle emissioni
di polveri fini e ultrafini delle centrali turbogas,
cioè impianti a ciclo combinato alimentati a
gas naturale (metano).
Gli impianti turbogas come quelli realizzati a
Rosignano sono stati visti per un certo periodo
come una svolta positiva rispetto a centrali
ritenute ben più inquinanti come quelle a olio
o a carbone. La realtà è purtroppo ben diversa.
Le polveri emesse sono composte da particelle
con un diametro inferiore ai 10 millesimi di
millimetro (micrometri). Una parte di queste
polveri che respiriamo penetra in profondità
nei polmoni fino agli alveoli, dai quali può
Il fax che cambiò Livorno
Seconda parte de "L'inconfondibile odore dei soldi",
l'inchiesta dedicata alle modalità di gestione del patrimonio
pubblico da parte degli amministratori livornesi
4 Aprile 2003,
il diktat di Vitelli.
Questo il
contenuto delle
delibere e/o
dell’accordo di
programma del
nuovo assetto
urbanistico e
industriale delle
aree interessate
alla Nuova
Porta a Mare
e 14.500 m²) che come tale avrebbe ulteriormente “aggravato” la previsione edificatoria
dell'ex-distretto cantieristico, concepita in sede
di regolamento urbanistico (è il 1999) per favorire la patrimonializzazione di una cooperativa
altrimenti destinata alla liquidazione fallimentare.
Come dire, il precoce fallimento della Coop.
F.lli Orlando, grazie anche alla mediazione del
gruppo di comando lambertiano, anticipa la
trasformazione urbana delle aree industriali di
cui beneficerà l'imprenditore Vitelli, Mister
Azimut è interessato a remunerare il proprio
intervento risanatore con l'insediamento di un
porto turistico al Mediceo e soprattutto con la
prospettiva di una maxi-speculazione immobiliare sul cosiddetto fronte mare dell'ex porto
commerciale di Livorno. Per la cronaca, il
Cantiere è stato acquisito con appena 70 miliardi
di lire perché si trovava in sede di amministrazione controllata.
Tutto questo, come detto, in un fax, direttamente
all'attenzione del gruppo di comando, che a
questo punto decide di non interporre alcun
tipo di obiezione e anzi rilancia spuntando
condizioni ancor più favorevoli per
l'imprenditore piemontese pur di non perdere
l'appuntamento con il “salvataggio” del Cantiere e forse anche con la storia.
Così nasce il “piano particolareggiato della Porta a Mare” (che
inizierà il suo iter istituzionale
il 7 luglio 2003), mentre si fa
caldo il fronte interno ed esterno
all’amministrazione comunale
sulla questione Salviano 2.
A partire da quella primavera
bollente dove i rapporti fra Ds
e Margherita diventano incandescenti. L'assessore Guzzini,
che mal sopporta le mezze misure, già protagonista della mitica stagione dei “frazionamenti
immobiliari”, assume in Giunta
una posizione quanto meno
“competitiva”, palesemente insofferente nei confronti del
gruppo di comando e di quella
spregiudicata gestione (solo
apparentemente collegiale)
dell'urbanistica comunale. Insomma, non un conflitto di
competenze, più che altro di
personalità, se solo consideriamo
che questo straordinario lavorio
del gruppo di comando “seduce”
moltissimo gli organi di stampa
(«Calcio, basket e cmf sono i
miei fiori all'occhiello”, ha avuto
modo di dire Lamberti in occasione del suo decennale da
Sindaco) e costringe l'assessorato
di Guzzini (edilizia privata) ad
un lavoro sporco spesso ai limiti
di una legalità paradossale.
Quando si tratta di tirare le
somme (anche quelle politiche)
l'uomo che viene dal mare, da fedele esecutore
del gruppo di comando, si trasforma in una
spina nel fianco, e l'occasione gli viene data
da una duplice opportunità temporale: l'operazione di Salviano 2 e la straordinaria partita
della Porta a Mare. Ed è a partire da questo
momento che prende forma l'autorevole nervosismo di Penco sulla questione di Salviano
2. E si fa più intensa e problematica l'attività
della Commissione con il delegato Picchi su
ex Cantiere e territorio. (fine seconda parte)
Polveri fini e centrali turbogas, la salute
dei cittadini è sempre più in pericolo
raggiungere anche i vasi sanguigni. Le
conseguenze sono molteplici: tosse cronica,
bronchite, attacchi d'asma, infezioni polmonari e anche cancro ai polmoni. Possono
inoltre insorgere disturbi del sistema cardio-
L'entrata in funzione
della seconda centrale
turbogas compromette
ulteriormente la qualità
dell'aria di Rosignano
circolatorio. Più le polveri fini sono diffuse
nell'aria, più cresce il rischio d'infarto.
Vengono rilasciate dagli scarichi delle auto,
dagli scarichi degli inceneritori e, come
detto, dagli scarichi delle centrali turbogas,
ma fra gli aspetti dannosi di questi impianti
c'è anche l'innalzamento di 2-3 gradi della
temperatura in un perimetro di oltre 5
chilometri e l'utilizzo giornaliero di grandissimi quantitativi d'acqua (per molti il fiume
Cecina non reggerà l’impatto della seconda
turbogas di Rosignano).
A Rosignano, infatti, sono in funzione, all'interno
del perimetro della Solvay, due centrali turbogas
(la Rosen dal 1997 e la Roselectra in fase di
partenza) per la produzione di energia elettrica
della potenza di circa 400 Mw ciascuna. Esi-
stono inoltre quattro centraline per il rilevamento delle polveri e da controlli effettuati è
emerso che i parametri spesso sforano i livelli
massimi consentiti dalla legge. Alla richiesta
delle motivazioni di questi sforamenti agli
organi territoriali preposti (Arpat, Comune)
spesso adducono la causa a problemi atmosferici dovuti all’aerosol marino prodotto durante
le giornate di forti venti (libecciate e ponentate). Già con l'inizio dell'attività della prima
turbogas, con la sua notevole quantità di gas
immessi nell’atmosfera (da aggiungersi a
quelli che la Solvay produceva), l’immissione
di polveri pm10, pm2,5 e finissime iniziava
ad essere notevolmente superiore. E questo
aumento fu percepito subito dalla centralina
di via Vittorio Veneto, tra l'altro una via poco
trafficata e quindi totalmente condizionata da
queste emissioni.
Chi ha cercato di far qualcosa in proposito è
stata Rifondazione Comunista, che è intervenuta in consiglio comunale affinché si ponesse
più attenzione a questo problema chiedendo
in particolare di tutelare i bambini dell’asilo
nido di via Veneto durante gli sforamenti e di
verificare con una commissione tecnica la
possibilità di installare catalizzatori sulle
ciminiere delle turbogas per catturare quante
più polveri possibili.
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1 Maggio
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Precarietà, un'emergenza ignorata dal governo
Andrea Fumagalli, docente di economia politica all'Università di Pavia, propone un'analisi sulla recente
proposta-Alleva presentata dai partiti della cosiddetta "sinistra radicale" per il superamento della precarietà
FRANCO MARINO
La proposta-Alleva per il superamento
della precarietà presenta luci ed ombre.
Alcuni spunti sono sicuramente positivi.
La proposta di unificare le varie tipologie
atipiche del lavoro sotto la nozione di
“lavoro economicamente dipendente”
a prescindere dal contratto dato, è un
tentativo positivo di cogliere quella che
è l'essenza dell'odierno rapporto di lavoro, soprattutto in tempi in cui la
contrattazione individuale la fa da padrone: ovvero, la crudezza e la violenza
(più psichica e culturale che fisica) del
rapporto tra datore di lavoro e prestatore
di lavoro, a qualunque livello si manifesti. Un rapporto che, escludendo coloro
che sono in grado di far valere la propria
capacità contrattuale perché dotati di
competenze essenziali non alienabili,
si manifesta per quello che è: il ricatto
economico, la paura, l'incertezza del
domani.
Ciò che invece la proposta Alleva non
coglie (o non capisce) sono due constatazioni semplici, semplici. La prima
è che la prestazione lavorativa oggi è
la messa a lavoro delle soggettività, che
per definizione sono sfuggevoli, molteplici e variegate. Non è possibile individuare una figura del lavoro che le
contempli tutte come poteva essere l'operaiomassa della grande industria e sulla cui mobilitazione è stato possibile fondare il conflitto
sociale. La stessa condizione di precarietà è,
appunto, una condizione, non un soggetto
unico con un'unica percezione. È qualcosa che
accomuna diverse condizioni lavorative che
vivono desideri e bisogni differenziati. La
centralità di un unico rapporto di lavoro (quello
a tempo indeterminato) non può rinchiudere
l'insieme della condizione precaria. Occorre
quindi muoversi anche al di fuori della sola
condizione lavorativa. Non è un caso che oggi
le politiche del lavoro debbano essere considerate tutt'uno con le condizioni di “welfare”.
La seconda constatazione ha a che fare con il
fatto che le attuali forme di rappresentanze del
lavoro (sindacati, partiti supposti “amici”) sono
inadeguate e incapaci (culturalmente e politicamente) di sviluppare un simile conflitto o
possibilità vertenziali che vadano in questa
direzione. C'è un deficit di “capacità”
di rappresentazione, che risulta manifesto soprattutto nelle forme di comunicazione e di linguaggio, nella difficoltà
di creare immaginari alternativi, nella
possibilità di sviluppare conflittualità
“simbolica” e “reale”. Non si può
chiedere a chi negli ultimi anni ha affossato qualsiasi forma di rappresentazione “altra” del lavoro, al di fuori di
tatticismi politici e strumentali, che ha
spesso negato la centralità della "condizione precaria", di farsi portavoce
delle istanze e dei desideri della
soggettività precaria.
Tradotte in pratica concreta, un'ipotetica
piattaforma sociale precaria potrebbe
basarsi su tre punti iniziali.
1) Riduzione delle tipologie contrattuali atipiche a quattro categorie
principali: tempo parziale determinato;
tempo parziale indeterminato; tempo
pieno determinato; tempo pieno indeterminato. Queste 4 tipologie sono in
grado di accogliere la stragrande maggioranza dei rapporti di lavoro possibili
senza scomodare stage, job on call,
outsourcing, apprendistato, partecipazioni, collaborazioni occasionali e le
mille altre diavolerie oggi esistenti. Per
evitare trucchi strani, sono possibili solo
due contratti a tempo determinato per
la stessa azienda in un arco di due anni,
dopodichè scatta l'assunzione a tempo indeterminato regolata dallo Statuto dei Lavoratori.
Per chi non vuole timbrare il cartellino e ha
Andrea Fumagalli porterà il suo contributo anche in occasione del dibattito
sul precariato che si terrà il 28 aprile in Fortezza Nuova in occasione
della “Sagra del Precario”. Continuità del reddito, politiche del lavoro
legate ad una riforma radicale del welfare sono alcuni punti che quest'analisi
coglie, senza dimenticare però che lo Stato non deve pagare un disimpegno
progressivo nei servizi primari (scuola, sanità, trasporti), ma solo ridistribuire ricchezze che nell’ultimo decennio sono state accumulate in settori
della società ben definiti. Accanto a forme di reddito sociale servono
dunque forme di reddito indiretto rappresentate dall’accesso gratuito o
regolato a tutti quei servizi primari la cui privatizzazione significherebbe
un altro passo verso l’incertezza.
competenze tecniche e/o culturali specifiche è
possibile unicamente il contratto d'opera e
consulenza, di durata non inferiore ai 6 mesi e
con cassa previdenziale a cui deve essere possibile accedere anche senza alcun periodo di
lavoro dipendente. Ad ogni modo, il lavoro
autonomo e/o professionale soggetto a partita
Iva diventerebbe applicabile solo in caso di più
di due committenti e/o oltre una certa cifra
fatturata. Tale obiettivo è in linea con la parte
condivisibile della proposta-Alleva.
2) Istituzione di un salario minimo di almeno
10 euro lordi l'ora con forti maggiorazioni per
le ore supplementari e straordinarie, forte limitazione del lavoro festivo, nella prospettiva di
un salario minimo europeo che faccia da barriera
al di sotto di cui gli standard sociali non possano
cadere. Tale salario minimo è applicato a tutte
le prestazioni lavorative non contrattualizzate
e a tutti i contratti precari, per i quali non esiste
a livello contrattuale, la definizione di uno
stipendio/salario mensile continuativo, a prescindere dalla prestazione lavorativa effettuata.
Questo obiettivo di buon senso, teso a evitare
corse al ribasso nelle remunerazioni, non è
presente nella proposta Alleva: non è presente,
perché un salario minimo è sempre stato contrastato dai sindacati, allorquando essi erano in
grado di rappresentare la maggior parte dei
lavoratori. Ma oggi?
3) Garanzia di continuità di reddito per tutti
i 12 mesi dell'anno. Chi svolge prestazioni
lavorative intermittenti (qualunque esse siano),
riceve annualmente un conguaglio fiscale su
base locale o nazionale, sino a raggiungere un
livello minimo di reddito garantito su base
annua non inferiore ai 13mila euro l'anno (mille
euro al mese più bonus mensile, tipo tredicesima) e comunque in linea con le remunerazioni
ottenute nel periodo lavorativo (i 3-4 o 7, ...,
mesi di lavoro). Tale conguaglio viene pagato
tramite la restituzione delle eventuali trattenute
fiscali eventualmente pagate durante il periodo
lavorativo con un aggiunta monetaria le cui
modalità devono essere studiate. A tal fine si
costituisce una cassa apposita che viene finanziata sulla base della fiscalità generale e non
dei contributi lavorativi. Tale conguaglio è
individuale e incondizionato. Non è un reddito
di esistenza vero e proprio ma è un primo
tassello in questa direzione.
Precarietà: non un contratto ma una condizione di vita
Uso e abuso di un termine che si porta dietro varie contraddizioni diventato ormai oggetto di speculazione politica
UGO DIECI
Precarietà: un termine che è entrato, in questi
ultimi anni, in maniera dirompente nelle vita
collettiva, in special modo per le nuove generazioni. Un termine che però continua a portarsi
dietro innumerevoli contraddizioni nel suo
significato e nel suo portato sociale. Ormai
qualsiasi corrente politica è costretta a parlare
dei precari, ma spesso, anzi quasi sempre, in
maniera strumentale ai propri interessi elettorali
o di gestione del potere territoriale.
Con certezza sappiamo solo che quella di
precario è una condizione che si è venuta
delineando con forza nei mutamenti economici
e produttivi che dagli anni ‘80, con l’inizio dei
processi di de-industrializzazione e via via con
maggior forza negli anni ’90, con le privatizzazioni di massa dei grandi comparti industriali
statali, hanno caratterizzato la nostra società.
Precari sono diventati i contratti di lavoro, che
hanno perso quella stabilità e certezza che aveva
distinto la dimensione lavorativa degli anni del
dopo-guerra e del boom economico (anni ’60’70). Ma la condizione di precario non rimane
relegata al solo ambito lavorativo, le trasformazioni economiche sono così forti che investono
tutti gli aspetti della vita di chi ne è soggetto.
Il peggioramento delle condizioni di esistenza
si verifica anche in altri importanti settori, che
un tempo trovavano le loro forme di tutela e
garanzia: la casa, la pensione, la sanità, la scuola.
Proprio a seguito di tali cambiamenti tutto il
complesso dei diritti acquisiti in un secolo di
lotte e movimenti operai sembra svanire, sotto
i colpi di una ristrutturazione capitalista, dai
contorni ancora incerti, ma sicuramente impegnata nel liberarsi da tutti i vincoli e freni visti
come ostacolo al principio di accumulazione
per il profitto.
Da qui vorremmo partire per iniziare una riflessione che sappia tener conto dei cambiamenti,
per provare a costruire un punto di vista dei
precari rispetto alla società odierna.
Fortunato Depero, Gli automi, 1945
Non qualcosa che parli di precarietà per usarla
su finalità diverse e spesso che tendono
ad accentuare questa condizione. Ma
un percorso di lotta che sappia dar voce
ai precari e alle precarie, partendo dai
loro bisogni e dalle loro necessità,
arrivando ai loro desideri.
Ricomporre un blocco sociale che non
si ponga, né obiettivi di “retroguardia”,
mitizzando periodi stoici che in realtà
contenevano i semi di ciò che oggi
viviamo, né azzerando comunque
esperienze e diritti che hanno ancora
una loro ragion d’essere e una concreta
forza rivendicativa.
Provare a ricostruire un momento di
sintesi nella galassia delle situazioni
e dei contratti precari, per far emergere
una soggettività capace d’imporsi contro
un modello economico e sociale alienante
e svilente, fatto di automi che in silenzio
accettano passivamente il peggior contratto di
lavoro al prezzo più basso.
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Sagra del Precario: 27 aprile - 1 maggio
L'evento è organizzato dal coordinamento cittadino contro la precarietà e si terrà alla Fortezza Nuova
Il governo Prodi sta per compiere il suo primo
anno di vita ma non ha trovato ancora il tempo
di discutere dell'abolizione della Legge Biagi
e dell'urgente necessità di accompagnare nuove
politiche del lavoro con una riforma del welfare
indirizzata verso la previsione di forme di
“continuità” di reddito per tutti. Intanto, considerando l’andamento dei valori negli anni successivi alla riforma degli affitti (quindi il periodo
1999-2006), si è registrato un incremento del
112%.
Se il governo non trova tempo per questi argomenti vitali, proviamo intanto a parlarne noi,
a Livorno, un territorio che sta vivendo un
profondo mutamento economico e sociale.
Vecchie fabbriche che hanno accompagnato
tutto il dopoguerra e il boom economico degli
anni '60-'70 chiudono. Disoccupazione e riconversione produttiva sono le tappe forzate da
cui passano intere generazioni di giovani e
meno giovani. Anche nella piccola Livorno,
come nel resto delle metropoli italiane già nei
decenni precedenti, si delineano con forza
dirompente quei processi di precarizzazione
del lavoro e della vita che fanno pagare solo
alle nuove generazioni i costi di queste trasformazioni economiche.
Il ceto politico è completamente sordo e indifferente ed anzi, dipinge come futuro un mondo
fatto di diritti azzerati e garanzie sociali inesistenti, mentre chi ha sempre guadagnato sulle
spalle dei lavoratori continua a fare lauti profitti.
Cinque giorni per
discutere, pensare,
manifestare, ballare,
ascoltare, preparare la
cospirazione precaria.
Tutti i giorni e tutte le
notti concerti, dj-set,
dibattiti, proiezioni e
molto altro ancora.
Tutte le sere cena sociale
ore 16
Dibattito: Modalità di conflitto, rivendicazioni,
reddito per il precariato. Le vecchie forme di
organizzazione del conflitto e di sindacato tradizionale non riescono più a dare risposta concreta
e reale ai bisogni dei precari; questo workshop
è finalizzato all’istituzione di tavoli che sappiano
addentrarsi nella prospettiva di costruire strutture
e rivendicazioni per chi vive sulla sua pelle la
precarietà.
Per dar voce dall'interno alla galassia dei contratti di lavoro precario; perchè i precari e le
precarie possano riappropriarsi della propria
vita senza vederla esposta in vetrina venduta
al prezzo più basso... il conflitto deve essere
precario.
Intervengono: Chainworkers Milano, Andrea
Fumagalli (docente di economia politica
all'Università di Pavia), Collettivo Firenze Precaria, PrecAut Livorno, Rete del precariato
sociale Viareggio-Massa
Concerti
Three in one gentleman suit Plaisir (Roma MetalCore-Noise-Pop)
Dj-set,
Dr Papa Dj e Alfa Romero
PROGRAMMA
VENERDI’ 27 APRILE
Concerti
Humanoira (Indie from Livorno)
Teatro Degli Orrori (Pierpaolo Capovilla
from "One Dimensional Man", Francesco
Valente from "One Dimensional Man"
e Gionata Mirai from "Super Elastic Bubble
Plastic") e Canti In Asociale feat. Denok
(hip hop)
Dj-set, Antarex & Palline in " Remembering Imperiale"
SABATO 28 APRILE
DOMENICA 29 APRILE
La truffa dell'8 per mille
FRANCO MARINO
Cosa significa 8 per mille
Con il Concordato del 1929, lo Stato italiano
si impegnò a pagare direttamente lo stipendio
al clero cattolico, con il meccanismo della
“congrua”. La congrua era una specie di stipendio assegnato dallo Stato italiano ai sacerdoti
“in cura d'anime" (addetti cioè ai servizi di
assistenza spirituale). Con il “nuovo” Concordato del 1984 si decise un nuovo meccanismo
di finanziamento alla Chiesa cattolica, solo
in apparenza più democratico in quanto allargato
alle altre religioni: lo Stato decideva di devolvere
l’8 per mille dell’intero gettito IRPEF alla
Chiesa cattolica (per scopi religiosi o caritativi)
o alle altre confessioni o allo Stato stesso (per
scopi sociali o assistenziali), in base alle opzioni
espresse dai contribuenti sulla dichiarazione
dei redditi.
Come funziona il meccanismo?
Ogni cittadino che presenta la dichiarazione
dei redditi può scegliere la destinazione dell’8
per mille del gettito IRPEF tra sette opzioni:
Stato, Chiesa cattolica, Unione Chiese cristiane
avventiste del 7° giorno, Assemblee di Dio
in Italia, Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, Chiesa Evangelica Luterana in Italia,
Unione Comunità Ebraiche Italiane.
In realtà nessuno destina il proprio gettito: il
meccanismo assomiglia di più ad un gigantesco
sondaggio d’opinione, al termine del quale si
“contano” le scelte, si calcolano le percentuali
ottenute da ogni soggetto e, in base a queste
percentuali, vengono poi ripartiti i fondi. Anche
la mancata formulazione di un’opzione viene
ripartita in base alle scelte espresse. Alcune
confessioni, più coerentemente, lasciano allo
Stato le quote non attribuite, limitandosi a
prelevare solo quelli relativi ad opzioni esplicite
a loro favore: cosa che non fa la Chiesa cattolica,
ottenendo un finanziamento quasi triplo rispetto
ai consensi espliciti ottenuti a suo favore.
La distribuzione sui dati del 2001: 87,25%
Chiesa Cattolica, 10,28% Stato, 1,27% Valdesi,
0,42% Comunità Ebraiche, 0,31% Luterani,
0,27% Avventisti del settimo giorno, 0,20%
Assemblee di Dio in Italia. Su oltre 30 milioni
di contribuenti, solamente il 39,62% ha espresso
un’opzione e quindi solo il 34,56% della popolazione ha espresso una scelta a favore della
Chiesa cattolica (che invece ha incassato
l'87,25%), per un ammontare di 936,5 milioni
di euro (quasi 2.000 miliardi delle vecchie lire).
Come vengono spesi i soldi?
La Chiesa Cattolica sembra che prediliga destinare i fondi ricevuti dallo Stato alle cosiddette
“esigenze di culto” (47,2%): finanziamenti alla
catechesi, ai tribunali ecclesiastici, alla costruzione di nuove chiese, manutenzione dei propri
immobili e gestione del proprio patrimonio.
Ovvio che non vedremo mai alcuno spot su
queste tematiche: ai tanto strombazzati aiuti
al terzo mondo, cui è dedicata quasi tutta la
pubblicità cattolica, va guarda caso solo l’8%
del gettito. Ma anche lo Stato non scherza.
Come emerso a novembre 2006 dalle pagine
di Repubblica, nell'ultimo anno di legislatura
del governo Berlusconi l'8 per mille dato dai
cittadini italiani per l'arte, la cultura e il sociale
è finito nei fondi per la guerra in Iraq e solo
una minima parte per la fame nel mondo.
Gli altri aiuti dello Stato alla Chiesa
Tuttavia gli aiuti dello Stato alla Chiesa non
finiscono qui: esiste un fondo speciale pagamento
pensioni al clero dal disavanzo perennemente
in rosso; è prevista l'esenzione fiscale totale,
comprese imposte su successioni e donazioni,
per le parrocchie e gli enti ecclesiastici; i pagamenti degli stipendi agli insegnanti di religione,
nominati dai vescovi incidono per più di 500
milioni di euro sul bilancio statale; ci sono i
finanziamenti alle scuole cattoliche ed in varie
regioni, parte degli oneri di urbanizzazione a
disposizione dei comuni deve essere destinata
agli «edifici di culto».
Infine, nell’ambito del Decreto Fiscale collegato
alla Legge Finanziaria 2006, il Parlamento ha
introdotto l’esenzione ICI per gli immobili adibiti
a scopi commerciali per la Chiesa. Secondo
stime dell’ANCI, il provvedimento comporta
minori entrate per i Comuni nell’ordine di 700
milioni.
Che fare?
Abbiamo visto che non scegliere equivale a
dare alla Chiesa Cattolica. Per questo, oltre
alla classica scelta di devolvere l'8 per mille
allo Stato sperando che questa volta non lo
mandi in Afghanistan ma lo utilizzi per arte,
cultura e ricerca, la rivista MicroMega ha preso
una iniziativa laica di forte significato simbolico,
per replicare alla “crociata” di Bagnasco e Ratzinger sui Dico e su altre tematiche. Si tratta
di due appelli paralleli, diversi solo nelle motivazioni. Il primo firmato da atei, agnostici,
il secondo da personalità cattoliche, in maggioranza preti. Entrambi gli appelli si rivolgono
a tutti i cittadini democratici, perché in occasione
della denuncia dei redditi compiano il gesto
simbolico di non dare l’8 per mille alla Chiesa
cattolica e di devolverlo invece alla Chiesa
valdese.
Il 5 per mille
Il 5 per mille è un meccanismo che permette
ai contribuenti di destinare a favore di determinati
soggetti legati al non profit una quota pari al
5 per mille dell'IRPEF. Tale previsione normativa
è inserita nell'ambito delle misure relative al
"sostegno alle famiglie, alla solidarietà, alla
ricerca e sviluppo".
Il 5 per mille non è un'imposta aggiuntiva, lo
Stato rinuncia alla quota del 5 per mille per
destinarla alla finalità indicata dal contribuente.
La scelta di destinazione del 5 per mille e quella
dell' 8 per mille non sono in alcun modo alternative fra loro e inoltre questa scelta, come
per l' 8 per mille, non comporta ulteriori esborsi
per il contribuente.
Quindi si può scegliere di destinarlo ad associazioni riconosciute del Comune di residenza,
a Università ed enti di ricerca, a organizzazioni
non governative come Emergency o Medici
senza Frontiere o ad associazioni come Jalla
(www.jalla03.org) che promuove il progetto
Sport sotto l'assedio in Palestina a cui contribuisce
anche il nostro giornale.
ore 18
Dibattito: Diritto alla casa, proposte e strategie.
La casa è uno dei principali diritti erosi dalla
precarietà, oltre al contratto di lavoro. Affitti
alle stelle, mutui inaccessibili, fine dell'edilizia
popolare e svendita del patrimonio pubblico
fanno da sfondo ad un bisogno, quello di avere
un tetto sotto cui vivere, sempre più. Siamo
una generazione che non ha più alcuna garanzia
sociale ed alcuna prospettiva certa di accesso
al patrimonio ERP, siamo esclusi da qualsiasi
bando. Un momento, quindi, per discutere della
legislazione vigente e delle prospettive di lotta
concretamente attuate, nelle varie esperienze
territoriali, per far fronte a questo bisogno (come
le forme di auto-recupero). Anche per il tema
casa siamo convinti, che i precari e le precarie,
abbiano la necessità di darsi una strategia propria
per riconquistare e reclamare i loro diritti.
Intervengono: Coordinamento cittadino di
lotta per la casa Roma, Movimento di lotta
per la casa Firenze, Unione Inquilini Lvorno,
M.A.O. Bologna, PrecAut Livorno, Sergio
Nieri (Sequenza e Cultura)
Concerti
Carneigra (Folk Livorno)
Dj-set, Trinacria Gio Family Raggae - Dance
Hall
LUNEDI 30 APRILE
ore 18
Dibattito: Trasformazioni economiche e urbane
nella nostra città. Quella della deindustrializzazione e della riconversione al terziario avanzato
nel settore turistico sembra essere la strada decisa
dalle amministrazioni e dalle gerarchie padronali
per la nostra città. Ecco quindi imporsi un mondo
lavorativo fatto di contratti a progetto, intermittenti, temporanei e chi più ne ha più ne metta,
ma tutti accomunati da essere privi di diritti e
tutele reali e dove anche il volto urbanistico
di Livorno si stravolge. Quali risposte dare a
queste trasformazioni territoriali coi soggetti
ed i lavoratori che direttamente le subiscono?
Intervengono: Lavoratori Ex Delphi, Collettivo
lavoratori call center Telegate, Precari Atl,
PrecAut Livorno
ore 21
presentazione libro: Bologna marzo '77... fatti
nostri... A 30 anni di distanza torna disponibile
uno dei libri più importanti del '77 italiano in
una rinnovata versione con la pubblicazione
delle foto inedite sequestrate dalla magistratura
ed una postfazione a cura del Laboratorio
CRASH!
Teatro
Rappresentazione di Teatro dell'Oppresso sul
diritto alla casa
Dj-set, LELE PROX e C.U.B.A. Cabbal (Milano
drum'n'bass)
MARTEDI 1° MAGGIO
ore 18, piazza del Municipio
Parade contro il lavoro precario
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Per non
non dimenticare
dimenticare
Per
Le giornate della vittoria: la Liberazione
FABIO TROTTERRO
sovietiche e da quelle anglo/americane.
Lo stesso valeva per il fronte italiano, dove i
tedeschi resistevano tenacemente sulla linea
difensiva, denominata Gotica, posta a cavallo
dell’appennino tosco-emiliano. Scopo di questa
strenua resistenza era quello di guadagnar tempo
per far ritirare le truppe tedesche a ridosso delle
sul fronte tirrenico, liberando fra il 9 e il 10
aprile Massa, Carrara e le zone limitrofe a
queste due città. Gli alleati comunicarono ai
comandi partigiani che l’offensiva italiana era
partita ma che le formazioni partigiane non
dovevano intervenire, poiché non era ancora
giunto il momento per un loro utilizzo. Si
dalle masse popolari italiane. In questo articolo
ci limiteremo a raccontare per sommi capi i fatti
che portarono a quel fatidico 25 aprile del 1945.
All’inizio del 1945 la guerra era sul punto di
terminare in tutta Europa. Le armate naziste
erano infatti in ritirata, circondate sia da est che
da ovest, in una tenaglia mortale, dalle truppe
Alpi, in una posizione ritenuta tatticamente più
vantaggiosa. Il comando alleato predispose un’ultima offensiva per i primi d’aprile al fine di
chiudere la partita anche in Italia. Le bande
partigiane, che avevano già liberato molte zone
delle retrovie, presero la palla al balzo e all’inizio
dell’offensiva scattarono subito al contrattacco
trattava dell’ultima manovra mirante ad impedire che le formazioni partigiane scendessero
dai monti e dalle vallate a liberare le grandi
città; le forze conservatrici italiane e straniere
temevano l’insurrezione popolare e nazionale.
Il Comando generale dei gruppi partigiani,
però, si mosse autonomamente e il 10 aprile
(continua dalla prima pagina)
sinistra istituzionale, strettamente legati ad una
concezione del governo dello Stato entro un’economia capitalistica e affermare grazie a questa
continuità l’eterna immaturità delle “sinistre”.
Lo scontro interno alla sinistra
Eppure, se si polarizzano i contesti e i contenuti,
possiamo affermare che lungo gli anni ’70 si
combattono due concezioni del 25 aprile con
un’altra che fa da posta in gioco per queste
due. Si parla dello scontro tra quella dell’unità
nazionale, che comincia il decennio contro il
neofascismo e lo finisce contro “il fascismo
rosso”, e quelle derivanti dall’idea di 25 aprile
come rivoluzione tradita o mancata secondo le
varie declinazioni anche molto diverse tra loro.
La posta in gioco, di fatto, è sia l’egemonia
nella sinistra italiana che la capacità di attrazione
della concezione del 25 aprile inteso come
stagione dei diritti ancora a venire e rimasta
solamente scritta nella carta costituente. Vincerà,
come sappiamo anche militarmente, la concezione dell’unità nazionale che in un colpo solo
si libererà anche della cultura del ’68 mai
veramente metabolizzata da buona
parte del Pci e della sinistra storica.
La mistificazione del presente attraverso
un’analisi faziosa del passato
All’inizio del XXI secolo, mettendo tra parentesi
il panorama di centrodestra, gli echi della cultura
emergenzialista e securitaria dell’unità nazionale
si ripetono spesso senza il contesto originario
di riferimento al 25 aprile. Anni di retorica del
“superamento” del 25 aprile hanno lasciato
intatto il nucleo, autoritario verso l’esterno del
sistema politico e concertativo verso l’interno,
del linguaggio dell’unità nazionale sganciandolo
sempre più dal contesto storico di riferimento.
Nascono così ibridi politici tipici delle stagioni
di congedo dal contesto culturale originario: le
missioni militari all’estero vengono benedette
in nome della costituzione nata dalla resistenza,
l’antifascismo viene dichiarato legittimo solo
a partire dalla nonviolenza, si tende a sottolineare più i presunti eccessi di quella stagione
piuttosto che ad evidenziarne l’importanza.
3 fattori di crisi del 25 aprile
Del resto, il 25 aprile come rivoluzione tradita
o incompiuta ha di fronte a sé, da un quarto di
secolo, tre formidabili fattori di crisi: la spoliticizzazione di massa che alimenta i linguaggi
della “fine delle ideologie” mentre il linguaggio
del 25 aprile è tutto in codice politico, le mutazioni delle destre che costringono a ripensare
linguaggi e modalità d’azione e l’emarginazione
dello stesso concetto di rivoluzione che rende
molto meno immediato ed intuitivo il concetto
di rivoluzione tradita o incompiuta. Si è quindi
creato un circolo vizioso: il richiamo all’esperienza originaria del 25 aprile rischia di non
trovare immediata traduzione mentre i linguaggi
che lo attualizzano rischiano di finire in braccio
alle retoriche del “superamento” e della sterilizzazione dell’esperienza originaria.
Berlusconi e l’antiberlusconismo: una doppia
sciagura
E proprio la situazione di questi anni ha creato
un prodotto culturale potenzialmente avanzato
quanto di fatto causa di una profonda arretratezza politica: l’antiberlusconismo. Partito come
protesta di massa contro la pervasività di un
network televisivo, aprendo quindi ai temi della
democrazia mediale, l’antiberlusconismo è stato
Il 25 aprile, insieme al 1° maggio Festa del
lavoro, rappresenta senza ombra di dubbio la
ricorrenza più importante da celebrare. Ma la
giornata della Liberazione rappresenta pure la
migliore espressione di lotta politica raggiunta
Partigiani sulle Alpi Apuane
Eterno incompiuto?
Questo 25 aprile dell’unità nazionale a volte
contiene, ma a volte allontana, l’idea della data
storicamente costituente dell’Italia contemporanea come affermazione di una concezione
dei diritti universali fino a quel momento inespressa in questo Paese. Per una prima lettura
di questa concezione, il 25 aprile non è mai
compiuto ed il suo spirito è sempre inapplicato
nelle leggi e nelle politiche. Per un’altra lettura
di questa concezione, variamente legata alle
esperienze concrete di governo delle sinistre,
il 25 aprile rappresenta la genesi storica delle
politiche delle amministrazioni progressiste in
Italia.
Va quindi considerato che tutte queste concezioni del 25 aprile, a diverso titolo facenti capo
a culture istituzionali, hanno storicamente dovuto fare i conti con il convitato di pietra delle
formazioni politiche in Italia che ha trovato
modo di riprodursi, anche in termini di massa,
dopo il ’45. Si tratta della concezione del 25
aprile come rivoluzione tradita o mancata che
non solo è stato patrimonio delle formazioni a
sinistra del Pci ma che ha anche attraversato il
maggior partito comunista d’occidente. Questa
concezione ha poi alimentato tutta la sinistra
extraparlamentare a partire dal ’68 nelle sue
molteplici esperienze comprese quelle con esiti
tragici. Ed è a partire da questa concezione che
la critica, a volte confusionaria, a volte solo
strumentale, alla sinistra di governo prende le
mosse: per dimostrare la continuità dell’idea
di rivoluzione tradita con i 25 aprile della
1945 diramò la direttiva n° 16. Questa richiamava
tutte le organizzazioni ad estendere l’azione
insurrezionale e procedere alla liberazione di
intere vallate e città.
Intanto le operazioni militari continuavano e
vaste offensive partigiane erano in corso dal
Piemonte al Friuli Venezia Giulia. Le azioni più
estese si svilupparono in Emilia, in concomitanza
dell’avanzata alleata. Il 14 aprile i partigiani
liberavano Imola, mentre il 18 aprile a Torino
vi fu un imponente sciopero pre-insurrezionale.
Nella notte tra il 20 e il 21 formazioni partigiane
capitanate dal livornese Ilio “Dario” Barontini,
passarono all’azione liberando Bologna e Modena.
Il 23 aprile dopo aspri combattimenti, le formazioni partigiane liberarono La Spezia, Reggio
Emilia e Ferrara.
La città di Genova insorse nella notte del 23 e
i combattimenti proseguirono furiosi fino alla
mattina del 25, quando la città viene finalmente
liberata grazie all’azione congiunta di partigiani
con la popolazione locale. Il 24 aprile fu il giorno
che insorse la città di Torino, dove operai, cittadini
e partigiani combatterono duramente per la difesa
delle fabbriche e dalla città.
La battaglia fra partigiani e nazifascisti proseguì
violentemente fino al giorno 27, ma alle ore 18
i nazifascisti si arresero. Fra il 25 e il 28 venivano
liberate le città di Aosta; Novara; Cuneo; Asti e
Alessandria.
A Milano l’insurrezione scatta alle 14 del 25
aprile e come a Torino e a Genova, operai e
partigiani si unirono a difendere le fabbriche e
la città, che fu liberata completamente il 27.
Mussolini, Pavolini e Bombacci vengono arrestati
il 27 aprile a Dongo mentre fuggono verso la
Svizzera: verranno fucilati il 28 aprile. La guerra
continuava feroce in Veneto e in Friuli Venezia
Giulia, che furono liberate dopo aspri combattimenti solo ai primi di maggio. Così finiva la
guerra in Italia.
Nella speranza che il sacrificio e il valore di chi
ha donato la vita per la nostra libertà sia ricordato
per sempre e non infangato da chiacchiere revisioniste, faziose e fasciste, mai come adesso
“resistere”, oltre ad un dovere morale è diventata
una stretta necessità.
incanalato come insofferenza collettiva verso
l’esistenza pubblica di un personaggio.
Come traduzione contemporanea dell’antifascismo, l’antiberlusconismo ne ha tutti gli svantaggi e nessuno dei vantaggi: comporta gli
svantaggi del frontismo (e quindi della forzata
convivenza tra culture politiche contraddittorie
tra loro) e manca del vantaggio dell’antifascismo, ovvero la distruzione dell’avversario in
quanto pericolo per la democrazia (obiettivo
storico dal quale le forze dell’Unione si tengono
ben lontane).
Andare oltre il contesto di riferimento
Insomma, questa temperie culturale contiene
ancora altri 25 aprile? L’esempio di come festeggiare questo 25 aprile dovrebbe essere dato
dalle celebrazioni del 14 luglio in Francia. La
data è lungi dall’essere messa in discussione
nonostante che l’avversario di riferimento della
rivoluzione, la monarchia, da tempo immemore
non sia più un problema per la Francia. Eppure
proprio un’eventuale scomparsa del 14 luglio
in Francia significherebbe per ipotesi la fine
della cultura antimonarchica. È quello che deve
accadere in Italia: la forza originaria del 25
aprile deve andare ben oltre il contesto di
riferimento, il fascismo storico, la cui celebrazione deve rappresentare una garanzia collettiva
di libertà come in Francia il 14 luglio. Le
popolazioni hanno bisogno della rappresentazione in piazza della libertà non a caso in questi
anni tutti si sentono meno liberi. Proprio perché
il 25 aprile è stato reso opaco o sterilizzato in
nome di un “superamento” o di una “pacificazione” che parlano solo il linguaggio di una
nuova sudditanza.
Senza Soste, periodico livornese indipendente di informazione
Per
non dimenticare
Lettere
e opinioni
tanto per cambiare senza scrupoli, supportati maggior esponente è al momento Serge Latouda amministratori e politici altrettanto privi di che, noto sociologo francese – quella da cui
scrupoli. Nei fatti dunque siamo ben lontani partire per una messa
dalle esigenze reali della collettività e della in discussione dei presopravvivenza stessa del nostro pianeta. supposti di quello che,
Naturalmente tutto ciò viene spacciato per generalizzando, posnecessario in nome ancora una volta del cosid- siamo chiamare la
progresso e dello sviluppo, senza garantire “modernità”.
L'esercito israeliano usa bam- detto
i quali non sarebbe possibile assicurare il nostro L'attenzione per il
bini palestinesi come scudo attuale standard di vita. Una palese menzogna. pensiero di Latouche è
Ma quello che ci preoccupa di più è il fatto che spinta dunque da un
questa menzogna sia stata interiorizzata interesse a monte per
Il dottor Ghassan, responsabile del Medical
dall'uomo comune che di fronte a scelte ener- una critica - anche efRelief a Nablus, mi ha informato che ieri,
getiche chiaramente dissennate e a forte impatto fettuale - dell'economia
ambientale e sociale accetti capitalistica, che della
rassegnato tutto quanto come modernità è il fulcro. In
una sorta di “male necessario” questo senso ci intefinalizzato a garantire la nostra ressa anche capire
“prosperità” (questo nel mi- meglio che cosa sia
gliore dei casi), mentre nel l'economia del dono (o
peggiore manco si accorge di informale) a cui fa
tutto quello che stanno tra- spesso riferimento lo
mando intorno a lui e a suo stesso Latouche nei
danno.
suoi scritti parlandone
Proprio dall'esigenza di smon- come di un tipo di
tare finalmente questo mar- economia di fatto alchingegno ideologico e de- ternativa a quella merstrutturarne l'immaginario, cificante del capitalismo. Vorremmo cioè
Nablus - La polizia israeliana tiene Mohammed Badwan, 13 anni, sulla propria storicamente legato alla mitojeep come scudo umano. (Fonte: G.M. and The Alternative Information Center) logia del progresso e dello
verificare se questa
sviluppo e ad una visione prevalentemente (se “altra economia” può
mercoledì 11, i soldati israeliani hanno distrutto
non esclusivamente) economicistica e mercifi- effettivamente rappreun edificio nelle vicinanze del campo rifugiati
cante dell'esistente, è nato un gruppo di studio sentare qualcosa di aldi Balata ed hanno ferito sei civili. Ricordo
che vuol cercare di mettere in gioco questi ternativo o piuttosto è
che lo scorso mercoledì 4 aprile, ai microfoni
aspetti e rimettere in circolo altre istanze. Il solo la forma che ne prende lo scarto, cioè che
di Radio Rai Programmi dell'Accesso, abbiamo
tentativo ultimo è quello di mettere in questione, prende ciò che resta a margine e non trova
registrato la trasmissione che andrà in onda
e cercare di comprendere, cosa rende possibile spazi di arricchimento o vitali entro il paradigma
alle 14,50 di lunedì 16 aprile prossimo sulla
la nascita di un'esigenza come quella di un capitalistico.
stazione regionale della RAI. In essa denunrigassificatore al largo di Livorno o una centrale Vorremmo capire anche se la decrescita (ovvero
ciamo che l'esercito israeliano a Nablus si fa
a carbone altamente inquinante a Tarquinia. la fine dell'ideale di crescita economica infinita
scudo dei bambini palestinesi. Abbiamo valuPer questo motivo i partecipanti hanno indivi- che caratterizza le nostre società “sviluppate”)
tato attentamente le testimonianze, abbiamo
duato nella tematica della decrescita - il cui può rappresentare un elemento di crisi e di
calibrato con molta cura le nostre espressioni
di denuncia, ma c'è poco da calibrare o mediare: soldati di Tel Aviv prendono bambini palestinesi come scudi umani! Come abbiamo
detto in trasmissione, alcuni non crederanno
alle proprie orecchie, altri semplicemente non
crederanno, altri ancora diranno che stiamo
mentendo. Invece è tutto vero e documentato,
«Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non
persino pubblicato da un coraggioso giornalista
può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria,
israeliano sul quotidiano israeliano Haaretz in
non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L'indifferenza è il peso morto della storia. L'indifferenza
un articolo del 16 marzo scorso. Invito chi
opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non
legge questo messaggio a diffonderlo perché
si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i
piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l'intelligenza.
sino ad ora queste notizie sono state consapeCiò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la
volmente o inconsapevolmente censurate.
massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le
Giorgio Stern (Salaam Ragazzi dell'Olivo,
leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere
comitato di Trieste)
uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La massa
ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità
Nasce il “Gruppo di studio
a travolgere tutto e tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva
e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni
sulla decrescita”
piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma
nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch'io il mio dovere,
Caro Senza Soste, scrivo per rendere noto che
se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò
alcuni appartenenti al comitato contro il rigasche è successo?
sificatore di Livorno hanno sentito l'esigenza
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro
di dare un respiro più ampio alla lotta locale
piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del
contro l'ennesimo scempio che si vuole attuare
come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotial largo della costa livornese. La costruzione
dianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere
del rigassificatore va infatti inserita in un
inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
progetto di politica energetica che, in contrasto
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l'attività della città futura
con l'allarme ambientale tanto amplificato dai
che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa
media, prevede il proliferare di impianti di
che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in
morte e altamente inquinanti come appunto,
essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano.
solo per fare due esempi, i rigassificatori e le
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti». (Antonio Gramsci)
centrali a carbone (vedi il caso di Tarquinia,
Ivan Ferrucci aggiungono nientemeno che Anrecentemente salito agli onori della cronaca).
Buffoni
tonio Gramsci (ripudiato anche dal salottaro
Tutto questo rivela abbastanza chiaramente
La
incoerenza
della
classe
dirigente
diessina
Bertinotti).
cosa stia dietro a queste manovre: interessi
non ha limiti. Se da una parte la rincorsa al Ma a nostro avviso, nessuno supera il sindaco
economici enormi, gestiti da multinazionali
partito democratico impone il taglio degli ulti- di Firenze, Leonardo Domenici. Colui che ha
missimi legami col passato comunista, dall’altra trasformato l’acqua in merce (vedi privatizzavengono riesumate le salme di mostri sacri zione con Publiacqua) ha risposto Karl Marx.
della tradizione comunista. Al congresso toscano Senza parole. (t.s.)
dei Ds recentemente tenutosi a Carrara, alla
Mensile. Sede: via dei Mulini, 29
precisa domanda di indicare tre nomi da inserire L'APPUNTAMENTO
Direttore responsabile: David Bianco
nel Pantheon del futuro Pd, molti politici Ds 25 APRILE 2007, ore 15
Tipografia: Marengo, via G.Ferraris, 4/f
hano indicato Enrico Berlinguer, il segretario Centro sociale comunale Bettino Pilli, via
Registrazione del Tribunale di Livorno
del Pci degli anni ‘70. L’assessore regionale Bettino Pilli, Frazione Vallecchia, Pietrasanta
n° 5/06 del 02/03/2006
alla sanità Enrico Rossi e il segretario di Pisa Incontro di approfondimento teorico "Gramsci
In via eccezionale riserviamo
lo spazio di questa pagina alla
rubrica lettere poiché il babbo
dell'Esca è... di nuovo babbo!
Auguri al nostro K. Solin, alla
mamma e al piccolo Brenno.
SCRIVI A
[email protected]
uscita dal capitalismo o non sia invece un
qualche modo per salvarlo e/o integrarlo (come
alcune prospettive, ad
esempio quella di Michele Boato, già sembrano indicare).
La breve discussione
sinora svolta ha però
messo in evidenza come non sia per niente
scontato cosa significhi
mettere in crisi il capitalismo, se non addirittura che cosa sia
una "crisi" per esso. Per
questo occorre dapprima capire bene di cosa
si stia parlando, ovvero
che cos'è il capitalismo.
E' nata allora l'esigenza
di utilizzare alcuni testi
di Marx, o parte di essi.
Marx e Latouche saranno così i “numi tutelari” di questa avventura teorica, che si
spera porti a risultati
molto efficaci anche sul
lato pratico.
Il gruppo di studio si
incontra settimanalmente per ora in forma
non aperta, questo soprattutto perché è ancora un lavoro di ricerca che si presenta molto
vago e incerto. Come prima tappa vorremmo
arrivare ad una presentazione pubblica delle
conclusioni, in seguito aprire – se vedremo
che ne vale la pena – un vero e proprio dibattito
da porre all'attenzione del movimento. Sonia
Bibbolino
Modello italiano
«Odio gli indifferenti. Credo che
vivere voglia dire essere partigiani»
Senza Soste
Andrebbe chiesto ai tifosi del Manchester
United se i finanzieri in servizio allo stadio
Olimpico smandibolavano, in evidente e continuo stato di eccitazione da cocaina, se i
carabinieri li offendevano e se i poliziotti hanno
sputato sulle loro bandiere, li hanno presi a
pedate e quindi picchiati con i manganelli al
rovescio. Io credo di sì, come del resto hanno
sempre fatto con noi tifosi livornesi ogni volta
che ci siamo presentati all’Olimpico. Mi dispiace per i tifosi inglesi, ma grazie a loro le
angherie e i soprusi di cui si è sempre resa
protagonista la sbirraglia in servizio all’Olimpico è adesso sotto gli occhi di tutto il mondo.
Alla faccia del prefetto Serra e di chi ha sempre
celato le malefatte del suo reparto. Marco
Landi
SOLIDARIETA'
Continua la raccolta fondi per aiutare
Domenico Ognibene, l'uomo che in un
incendio doloso appiccato da ignoti lo scorso 13 marzo ha perso tutto quel che aveva,
compresi molti dei suoi affezionatissimi
animali.
Vi invitiamo a indirizzare anche la più
piccola delle donazioni sul seguente conto
corrente:
c/c 1931/8, “periodico Senza Soste
in favore di Domenico Ognibene”
Cassa di Risparmio di Volterra,
Agenzia 1 (piazza Roma)
Pagina otto
Legge-Amato, roba da Codice Rocco
Diventa legge il cosiddetto "decreto anti-violenza", una norma che ricorda da
vicino il famoso codice legale fascista. Ecco cosa cambia con la sua applicazione
TITO SOMMARTINO
Ricordate Cristiano Lucarelli mentre festeggia
uno dei suoi tanti gol sotto lo striscione in favore
dei cassaintegrati della Delphi? Oppure le bandiere per la Palestina contro il Maccabi? E gli
striscioni di solidarietà agli operai della Lips o
della Cosmos? E quelli contro le morti bianche?
Bene, oggi tutto questo non è più possibile.
Esporre tali striscioni sarebbe considerato una
violazione della legge anziché delle libertà di
espressione del cittadino.
Attraverso la Legge Amato , una delle più illiberali e antidemocratiche che la storia repubblicana italiana ricordi, lo Stato
pensa invece di aver fatto uno
sgarbo alle cosiddette “bestie
da stadio”, le stesse che hanno
spesso raccolto soldi per le
cause più nobili e allestito
coreografie come quella per
Luca Rondina.
appunto, ma anche striscioni
e bandiere devono passare
dall'insindacabile autorità
delle forze dell'ordine e dimostrare di non avere
contenuti ingiuriosi, politici, nonché di essere
realizzate in materiale ignifugo. Se qualcuno
non è visto di buon occhio e in passato si è visto
comminare una diffida può
anche subire il daspo preventivo. E se per disgrazia
qualcuno si rende responsabile del ferimento di un
poliziotto rischia fino a 18
anni di carcere. Chiunque
abbia seguito la propria
squadra, soprattutto in trasferta, sa bene quanto sia
facile trovarsi nel mezzo a
cariche ingiustificate da
parte delle forze dell’ordine.
In quel caso, se proprio non
è possibile darsela a gamba,
il consiglio è di cercare di
prenderne meno possibile senza mai reagire.
Insomma, non è certo un caso che l’Unione delle
Camere penali abbia parlato di decreto anticostituzionale, ma la sua autorevole voce è stata
praticamente ignorata.
Questa legge iniqua, antidemocratica e secondo
alcuni giuristi perfino anticostituzionale (tale è
l’aumento delle pene che vede come aggravante
il fatto che le violenze si compiono allo stadio
e nelle sue immediate vicinanze) serve quantomeno a scardinare alcune ingiustificate certezze,
a cominciare da quella secondo cui i reticoli di
potere che negano o limitano la libertà individuale vengono innalzati solo nelle dittature più
sanguinarie. Una legge così, al giorno d’oggi,
la può studiare chiunque, anche un governo
“amico”, di “sinistra”, socialdemocratico. La
studia, la scrive e la fa approvare.
Questa legge funesta dà anche il colpo di grazia
al cosiddetto “movimento ultras”, ad onor del
vero già da tempo agonizzante per motivi che
non staremo qua a ricordare. E se vogliamo, la
morte degli ultras, proprio per le forme in cui è
stata decisa, è paradigmatico di una società che
non riesce a metabolizzare anomalie se non in
termini di ordine pubblico.
Infine una riflessione: lo stadio, in particolare
la curva, era rimasta l’unica vera “piazza” in
cui era possibile esprimere – essendo ascoltati
– le proprie opinioni. Un vero e proprio sistema
di comunicazione alternativa. Lo striscione
esposto allo stadio - che piaccia o no e indipendentemente dal messaggio che veicola - è l’espressione di una comunità spesso molto ampia
e come tale è informazione, “notizia”, per dirla
in termini giornalistici. Zittire le curve in modo
preventivo è una gravissima restrizione della
libertà d’opinione. Non a caso, per approvare il
decreto Amato, il governo ha tappato la bocca
anche al settimanale più venduto in Italia, L’Espresso, imponendogli di congelare fino al giorno
dell’approvazione del decreto lo scoop sulla
vera morte di Raciti. (red.)
Caso Raciti: cronologia di un mistero
Come la tradizione democratica italiana impone, sembra sia stato smarrito il
fegato dell’agente, organo chiave nella ricostruzione della dinamica del decesso
FRANCO MARINO
Per molti era ormai un dato di fatto che la morte
dell’ispettore Raciti fosse avvenuta per il lancio
di un oggetto da parte di un ultras catanese con
la conseguente emorragia mortale al fegato. Per
tre mesi le inchieste, gli atti processuali, gli
interrogatori sono stati coperti dall’omertà e
dalla retorica, cioè gli elementi giusti per poter
covare nelle stanze del potere un decreto anticostituzionale che blinda gli stadi e cerca di dare
un po’di fascino repressivo ad un governo zoppicante a cui non resta che curare l’immagine
visto che per i contenuti serve ben altro coraggio.
Ma vediamo gli eventi delle ultime due settimane
che ridisegnano i fatti realmente accaduti e che
tuttavia sembrano marginali rispetto al vero
obiettivo del governo: la resa dei conti con il
mondo ultras.
3 aprile: il Senato, con un grosso mal di pancia,
approva il decreto sugli stadi. Amato scende in
campo direttamente, chiedendo in maniera esplicita l’appoggio di tutti i partiti di maggioranza
per non far decadere il decreto già più volte
modificato e che altrimenti sarebbe scaduto il
9 aprile. Amato si impegna anche a modificare
il decreto una volta in vigore in cambio dell’approvazione. Erano molti i senatori interni alla
maggioranza, oltre alla Lega, a ritenere che il
decreto contenga misure anticostituzionali tanto
che molti paventavano che Napolitano potesse
non firmare.
5 aprile: L’Espresso esce con lo scoop di regime,
la testimonianza di un collega di Raciti che
afferma di aver colpito il collega con lo sportello
aperto della jeep mentre faceva retromarcia.
Scoop di regime perchè sapientemente tenuto
nei cassetti e dato in pasto al popolo solo dopo
che il Senato aveva approvato il decreto. Un
vero esempio di giornalismo libero, non c’è che
dire.
12 aprile: Lipera e Coco, avvocati difensori del
17enne ancora in carcere, riportano un passaggio
delle motivazioni con cui il Gip ha rigettato la
richiesta di ulteriore perizia. Nel documento si
sostiene che quest’ultima è «da effettuarsi inevitabilmente sugli atti, attesa la natura dell’organo
lesionato, oramai disperso».
14 aprile: spunta un nuovo filmato, stavolta di
Antenna Sicilia tv, all’interno del quale la Polizia
trova alcune sequenze che riguardano proprio
Raciti. Le immagini sono da collocare intorno
alle 20.15, poco più di un’ora dopo il presunto
scontro con i tifosi nella porta d’ingresso della
curva Nord dello stadio Massimino, 18 minuti
prima del presunto impatto che il poliziotto
avrebbe avuto con lo stesso Discovery. Si vede
Filippo Raciti che cammina (zoppicando?) aggrappato con una mano allo sportello anteriore
destro aperto del Discovery e con l’altra appoggiata sul tettuccio del veicolo che procede lentamente. Raciti non è riconoscibile perchè è
preso di spalle e sembra palese che questo filmato
si tratti di una risposta all’articolo de L’Espresso.
Sembra poco plausibile che se le ferite riportate
dipendessero dalla lamiera lanciata intorno alle
19.10, un uomo con quattro costole rotte e
un’emorragia al fegato abbia continuato a partecipare agli scontri per un’altra ora almeno
prima di morire.
Una morte da cavalcare.
Al di là della cronaca, resta la drammaticità di
un lutto. Adesso non c'è più Raciti, non c'è più
il suo fegato, ma in compenso c'è una legge che
in tema di libertà d'espressione e di contenimento
delle libertà personali non ha niente da invidiare
con la Russia di Putin, e con il regime di Myanmar.
Sappiamo che molti non andranno mai a leggersi
la Legge Amato, che altrettanti pensano che
stiamo esagerando e che “comunque qualcosa
andava fatto”, che “gli ultras sono indifendibili”
e che tutto il resto sono “vicende marginali”.
Tuttavia, come tradizione italiana impone, ci
troviamo di fronte ad un giallo sulla morte di
una persona e con un decreto che questa morte
l’ha cavcalcata confidando in un clima da unità
nazionale che non è stato rotto neppure da qualche puntualizzazione della cara sinistra “radicale”, arcobaleno e responsabile.
Avanti Cristiano,
non ti curar di loro
FRANCO MARINO
Il pareggio con la Reggina ha lasciato pesanti
strascichi. Addentrandosi nei meandri del
web o semplicemente nei bar, emerge un
elemento chiaro e forse inaspettato proprio
per le dimensioni: una parte della città ha
vissuto accucciata e nascosta in silenzio
aspettando che Cristiano sbagliasse qualcosa
o rompesse quel che lui stesso chiama “il
cordone ombelicale” per esplodere e dare la
via agli ormeggi: battute su quanto guadagna,
sul “fratellino”, su quale scusa sta cercando
per andarsene a guadagnare di più. E fra
questi ce ne sono tanti che fino a poco tempo
fa gli facevano baciare i nipotini come se
fosse il Papa. Diciamocelo, la figura di Cristiano turbava questa città addormentata e
solo i suoi classici 20 gol a stagione placavano
questo fiume di mediocri spettatori (allo
stadio come nella vita).
Li vediamo già gli sportivi da cappellino e
popcorn che vogliono vivere la partita in
tranquillità, ragionare solo di “pallone” e
guardare Controcampo la sera. Magari senza
dover “sopportare” Cristiano che provoca il
sistema-calcio dopo l'ennesimo rigore non
dato, oppure accostato a Di Canio come
esempio negativo del calcio oppure perché
ha dato una spallata a Pandev reo di aver
sbeffeggiato la curva.
È proprio vero, in questi anni Cristiano ha
scombussolato la vita di questi onesti cittadini
che fanno della pace dei sensi uno stile di
vita. Li vediamo già gli “spinelliani di ferro”
(quelli che “Spinelli prima di tutto”) dire che
morto un centravanti se ne fa un altro, senza
accorgersi che se Lucarelli e Protti non fossero
venuti a Livorno per amore della maglia e
della città, il nostro bomber principe sarebbe
stato Danilovic (senza per questo negare i
meriti del presidente).
E già vediamo i solerti amministratori, che
in questo momento di crisi del calcio si
dileguano quatti quatti, consci che ormai lo
stadio è solo un problema e non un vantaggio
elettorale, ridacchiare sotto i baffi vedendo
Cristiano abbandonato da una parte consistente della città. Dopo le dichiarazioni sulla
chiusura dello stadio, il ceto politico si è
accorto che non poteva più vivere di rendita
sul terrazzino della tribuna e le dichiarazioni
di Cristiano hanno accelerato questa sensazione. Così come vediamo già tutti i destri
della città appoggiare una mano sulla spalla
di figli e amici e bisbigliare: «Ve l’avevo
detto che era solo un miliardario che faceva
finta di essere comunista per compiacere i
suoi amici!».
Diciamo questo malgrado pensiamo che la
sua reazione ai fischi in campo sia stata
eccessiva e che i continui battibecchi con
Spinelli abbiano stancato la tifoseria. Nonostante questo, ciò che è accaduto in questi
giorni appartiene alla categoria dell’irriconoscenza e della vergogna. Se in questi anni le
vicissitudini del Livorno hanno fatto il giro
del mondo e sono state parte integrante della
vita di questa città è proprio perchè personaggi
come Protti e Lucarelli hanno vissuto il loro
essere calciatori professionisti in maniera
“non conforme” al mondo del calcio (un
ambiente ultraconformista), esponendosi
sempre in prima persona e dicendo sempre
quel che pensavano, infischiandosene delle
leggi di mercato e di potere che affliggono
questo sport. Sicuramente se la storia recente
del Livorno l’avessero fatta Vieri o Inzaghi,
molti di noi si sarebbero disaffezionati a
questo sport/business già da molto tempo.
A noi gli uomini e i calciatori piacciono così.
Comunque vada, massimo rispetto per le
scelte di Cristiano.