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NEWSLETTER PRIVATE EQUITY Indice dei contenuti: Prefazione Processo cd. di dual track: IPO vs M&A. Pro e contro. L’emissione di bond quale strumento di rifinanziamento nell’ambito delle operazioni di MLBO L’impatto della Direttiva AIFM sulle operazioni di private equity: obblighi di trasparenza e divieto di asset stripping Legittimità fiscale delle operazioni di leveraged buy-out Le agevolazioni fiscali per i fondi di venture capital e per le start-up innovative Le operazioni di investimento in NPLs Il Welfare Aziendale Primavera 2013 Questo nuovo numero della nostra Newsletter inizia con un interessante articolo che analizza l’utilizzo degli “high yield bonds” quale strumento di acquisition finance nelle operazioni di LBO condotte sul mercato italiano alla luce delle novità introdotte dal cd. Decreto Crescita. Segue una nota sul percorso cd. «dual track» (IPO e vendita) sempre più seguito nelle operazioni di exit da parte degli operatori di private equity. Troverete poi una panoramica delle maggiori novità introdotte, dopo lungo e acceso dibattito, dalla Direttiva AIFM in materia di obblighi di trasparenza e di divieto di operazioni di cd. “asset stripping” da parte dei fondi di private equity. Seguono due interessantissime note in materia fiscale. La prima affronta le principali contestazioni mosse in tempi recenti da parte dell’Autorità fiscale alle operazioni di LBO in Italia. La seconda nota illustra invece le rilevanti novità introdotte in materia di agevolazioni fiscali per i fondi di VC e per le cd. “start-up innovative”. Si prosegue con un articolo che illustra i principali aspetti che riguardano le operazioni di investimento da parte di fondi in portafogli di crediti in sofferenza (“non performing loans”). Chiudiamo con una panoramica sul cd. “welfare aziendale” e le sue applicazioni quale possibile strumento di incentivazione al management. Come sempre ci auguriamo che la nostra Newsletter possa essere di vostro interesse ed offrire qualche spunto di riflessione. Restiamo naturalmente a disposizione per qualsiasi approfondimento sulle tematiche affrontate e vi ricordiamo che è gradito ogni suggerimento su altri argomenti da trattare nei prossimi numeri. Franco Agopyan (Editore) ([email protected]) CHIOMENTI STUDIO LEGALE © Copyright 2013 Le nostre sedi: Roma I-00187 Via XXIV Maggio 43 Tel.: +39 06 466221 Fax: +39 06 46622600 Email: [email protected] Londra EC2N 1AR 15th Floor 125 Old Broad Street Tel.: +44 20 75691500 Fax: +44 20 75691501 Email: [email protected] Pechino 100022 36/F, Yintai Office Tower No.2 Jianguomenwai Ave, Chaoyang District Tel.+86 10 65633988 Fax: +86 10 65633986 Email: [email protected] Milano I-20121 Via G. 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Pro e contro. collocamento basso e così optare per l’operazione di M&A anziché per l’IPO. - Migliori multipli e prezzi più alti: avviare un processo di IPO ingenera nel potenziale compratore interessato ad acquistare la società una sorta di urgenza nel portare avanti e concludere l’acquisizione nel minor tempo possibile, ciò implicando una maggiore capacità negoziale da parte del venditore della società target - anche in termini di prezzo d’acquisto e di multipli applicati ai fini del calcolo dello stesso -. Al contempo, potrebbe accadere che il prezzo di collocamento in fase di IPO, ove la società dovesse, in ultima istanza, preferire tale ipotesi (rispetto a quella di M&A), risenta positivamente dell’interesse riposto in tale società dal potenziale acquirente. - Minimizzazione dei costi: un processo di dual track permette di sostenere minori costi rispetto al totale dei costi che la società sosterrebbe ove ponesse in essere, in momenti separati, un processo di IPO ed un’operazione di M&A; questa riduzione dei costi (che ovviamente aumentano rispetto al caso di sola IPO o sola operazione di M&A, ma non a livello tale da raddoppiare) è resa possibile da economie di scala (in termini di costi legali/contabili, tempi impiegati, personale dedicato, etc.) Con la definizione di dual track si è soliti, anche in Italia, individuare il processo posto in essere da parte di una società (ed i suoi azionisti di riferimento) mediante il quale, sostanzialmente in parallelo, viene avviato su un doppio binario (cd. dual track) sia un progetto finalizzato alla quotazione delle azioni della società (IPO), sia un progetto volto alla cessione delle azioni di tale società mediante un’operazione straordinaria (M&A). Trattandosi di un processo complesso, ciascuna società (e, per essa, il proprio organo amministrativo) è tenuta a valutare se tale processo di dual track possa costituire una soluzione effettivamente percorribile per la società, anche in considerazione della propria struttura, delle proprie risorse e delle proprie opportunità. Ciascuna società dovrà, dunque, valutare attentamente i costi, da un lato, ed i benefici, dall’altro lato, nel porre in essere tale strategia: bisognerà, così, analizzare non soltanto i costi diretti (ad esempio, costi per consulenze legali, contabili, fiscali, commissioni per financial advisors, etc.), ma anche i costi indiretti (quelli che potrebbero rientrare nell’alveo dei cd. costiopportunità) derivanti dall’impiego di risorse interne (per lo più di alto livello) in un processo complesso ed impegnativo che potrebbe concludersi con un “nulla di fatto”, anziché impiegare le stesse risorse nell’attività tipica aziendale. I principali vantaggi collegati ad un processo di dual track sono classificabili come segue: - Maggiore probabilità di concludere un’operazione: poter godere contestualmente di due diverse soluzioni (IPO vs M&A) rende ovviamente più probabile il perfezionamento di una delle due operazioni, e soprattutto permette alla società di non essere eccessivamente esposta alle condizioni di mercato al momento del lancio dell’IPO e, in particolar modo, alla volatilità delle stesse. Un processo di dual track potrebbe infatti permettere alla società, ove al momento del lancio dell’offerta le condizioni di mercato non fossero favorevoli, di non accontentarsi di un prezzo di In subordine, anche nel caso peggiore – ossia nel caso in cui un processo di dual track dovesse concludersi senza l’IPO e senza l’operazione di M&A – il processo di IPO potrebbe comunque costituire una sorta di trampolino per la società (cd. profile-builder), in considerazione del fatto che la società potrebbe comunque rientrare nell’alveo di potenziali società target da tenere in considerazione per possibili future operazioni di M&A. Un processo di dual track si caratterizza anche per una serie di potenziali svantaggi, tra i quali quelli classificati come segue: - CHIOMENTI STUDIO LEGALE Potenziali impatti negativi sul management e sul business: un processo di IPO, seppur intenso e time consuming, si caratterizza per momenti in cui il management può non lavorare sul progetto di quotazione, così potendosi dedicare alla propria attività ordinaria. Ciò, invece, non avviene nel Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 2 caso di dual track considerato che, usualmente, quando il management non lavora operativamente sul progetto di quotazione (ad es. dopo il primo filing in attesa del primo giro di commenti da parte di Consob e/o delle altre autorità coinvolte) ne approfitta per sfruttare tale periodo per lavorare sulla possibile operazione di M&A, così riducendo drasticamente il tempo impiegato dal management per il business, i clienti, i fornitori, le strategie, ecc. - Potenziali scelte subottimali: perché un processo di dual track funzioni è strettamente necessario che le tempistiche di IPO e M&A si incastrino perfettamente al fine di concludersi, sostanzialmente, in contemporanea così da permettere che, pressoché in modo contestuale, la società possa decidere se procedere con l’IPO ovvero con l’operazione di M&A. Al contrario, potrebbe avvenire che le tempistiche non siano perfettamente allineate e, pertanto, la società sia costretta a prendere una decisione in un momento prematuro (ossia quando ancora uno dei due processi non è ancora ultimato); ciò potrebbe comportare scelte subottimali in termini di prezzo, condizioni contrattuali, dichiarazioni e garanzie, ecc. Un elemento importante da tenere in considerazione nel caso di dual track è, infine, la gestione del flusso informativo tra i vari soggetti coinvolti nei due diversi progetti, soprattutto per quanto riguarda le informazioni che vengono fornite al potenziale compratore quando, in contemporanea, la società sta predisponendo un prospetto di offerta al pubblico e di ammissione a quotazione. A tal proposito, è innanzitutto importante che il potenziale acquirente abbia sottoscritto un adeguato accordo di confidenzialità; inoltre, è opportuno evitare di trasmettere al potenziale compratore il prospetto fintantoché lo stesso non sia stato approvato, cercando nel frattempo di vincolare il più possibile il potenziale compratore in modo tale da limitare, per quanto possibile, la diffusione delle informazioni in suo possesso. Tale diffusione potrebbe infatti comportare che Consob (e/o ogni altra autorità coinvolta nel processo di quotazione) possa chiedere di riportare dette informazioni, ove rilevanti, anche nel prospetto, ciò potendo eventualmente costituire un grave problema per l’emittente, soprattutto nel caso in cui si tratti di informazioni sensibili (quali, ad esempio, particolari dati informazioni di mercato, proiezioni, Antonella Brambilla ([email protected]) Giovanni Filippo Pezzulo ([email protected]) L’emissione di bond quale strumento di rifinanziamento nell’ambito delle operazioni di MLBO 1. Introduzione Come noto, il 7 agosto 2012 il Parlamento ha convertito, con la legge n. 134 (“Legge di Conversione”), le disposizioni del decreto n. 83/2012, recanti misure urgenti per la crescita del paese (“Decreto Crescita”). Nell’ambito di tale intervento normativo è stata rimossa la disparità di trattamento, originariamente presente nel mercato italiano, tra società quotate e società non quotate nell’emissione di obbligazioni. In particolare, il decreto Crescita ha provveduto, tra l’altro, a: (i) rimuovere i limiti quantitativi all’emissione di obbligazioni fissati dall’articolo 2412 (Limiti all’emissione) del codice civile, modificando tale disposizione; (ii) risolvere il divario, in termini di trattamento fiscale, tra i titoli emessi da società non quotate rispetto ai titoli emessi da società quotate, ivi inclusa l’eliminazione del diverso trattamento sulla deducibilità degli interessi passivi. 2. Soggetti interessati Le innovazioni introdotte dal Decreto Crescita trovano applicazione nei confronti delle società non emittenti strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati o su sistemi multilaterali di negoziazione, diverse dalle banche e dalle microimprese. Vi sono incluse, dunque, oltre alle imprese non quotate di maggiori dimensioni, anche le piccole e medie imprese (PMI), non emittenti strumenti finanziari quotati, che rientrano nella definizione dettata dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea, cioè quelle imprese che (a) occupano meno di 250 persone, (b) il cui fatturato annuo non superi i 50 milioni di Euro CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 3 oppure (c) il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di Euro. (i) Esenzione dalla ritenuta: le società non quotate potranno avvalersi dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte (aliquota 20%) sugli interessi e sugli altri proventi, corrisposti ad investitori esteri, sulle obbligazioni, le cambiali finanziarie e titoli similari negoziati su mercati regolamentati o su sistemi multilaterali di negoziazione. Resta fermo il rispetto delle condizioni previste dal D.Lgs. 1 aprile 1996, n. 239 per l’individuazione degli investitori esteri che hanno diritto all’esenzione. (ii) Deducibilità degli interessi passivi: le società non quotate potranno dedurre gli interessi passivi corrisposti sulle obbligazioni e sulle cambiali finanziarie secondo le stesse regole previste per le società quotate (in sostanza, nei limiti del 30% del Risultato Operativo Lordo della gestione caratteristica). In particolare, se le obbligazioni sono inizialmente sottoscritte da, e successivamente circolano tra, investitori qualificati, che non siano, direttamente o indirettamente soci della società emittente, non si applica lo specifico regime di parziale indeducibilità dal reddito dell’emittente degli interessi passivi corrisposti sui titoli emessi da società diverse dalle banche e non quotate. (iii) Deducibilità delle spese di emissione: le società non quotate potranno dedurre le spese di emissione nell’esercizio in cui sono sostenute, indipendentemente dal criterio di imputazione a bilancio. 4. I bond nell’ambito delle operazioni di Sono invece escluse le banche e le imprese che occupano meno di 10 persone e realizzano un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di Euro (microimprese). 3. Le innovazioni introdotte dal Decreto Crescita 3.1 Rimozione dei limiti quantitativi all’emissione Ai sensi dell’articolo 2412 (Limiti all’emissione) del codice civile, (a) le società possono emettere obbligazioni per somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato, fermo restando che (b) tale limite può essere superato se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali (in caso di successiva circolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde, tuttavia, della solvenza della società emittente nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali). Nella previgente disciplina i limiti previsti dal primo e dal secondo comma dell’articolo 2412 del codice civile, sopra richiamati, non trovavano applicazione all'emissione di obbligazioni effettuata da società con azioni quotate in mercati regolamentati, limitatamente alle obbligazioni destinate ad essere quotate negli stessi o in altri mercati regolamentati. In virtù degli interventi apportati dal Decreto Crescita, tale deroga applicabile alle sole società con azioni quotate, è adesso estesa alle società con azioni non quotate, a condizione che le obbligazioni emesse siano destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione. 3.2 Il regime fiscale applicabile Il Decreto Crescita, così come convertito dalla Legge di Conversione, ha allineato il regime fiscale applicabile ai titoli obbligazionari in esame – a certe condizioni – al più favorevole regime fiscale previsto per i titoli emessi dai c.d. grandi emittenti (ossia, banche e società quotate). In particolare, si segnala l’introduzione delle seguenti previsioni: merger leveraged buy-out La rimozione dei limiti quantitativi all’emissione, insieme alla rimodulazione del regime fiscale applicabile hanno reso appetibile il ricorso all’emissione di bond anche da parte delle società non quotate. Analogamente, il medesimo strumento è diventato appetibile anche per la realizzazione di operazioni finanziarie complesse, usualmente realizzate tramite la concessione di finanziamenti bancari, quali le operazioni di merger leveraged buy out. Nell’ordinamento italiano, secondo la disciplina dettate dall’art. 2501-bis (Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento) e seguenti del codice civile, le operazioni di merger leveraged buy-out sono caratterizzate da due elementi predominanti: (i) CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 4 l’assunzione di debiti da parte della società acquirente (BidCo), al fine di conseguire il controllo della società bersaglio (Target) e (ii) la funzione di garanzia generica, o di fonte di rimborso, assolta dal patrimonio della società Target in relazione al finanziamento ottenuto dalla società acquirente, per realizzare l’operazione di acquisizione stessa. Le operazioni di merger leveraged buy-out si sviluppano, pertanto, attraverso le seguenti fasi: (i) la società sponsor costituisce una nuova società (la BidCo) al fine specifico di realizzare l’operazione di acquisizione; (ii) la BidCo ricorre ad un finanziamento a breve termine (bridge facility) per raccogliere fondi sufficienti per procedere all’acquisto del pacchetto azionario della Target; (iii) a seguito dell’acquisizione si procede alla fusione tra la BidCo e la Target (la c.d. MergerCo)e, successivamente, (iv) si procede al rifinanziamento del bridge facility attraverso un finanziamento di medio-lungo periodo garantito dagli asset della MergerCo. A seguito delle innovazioni introdotte dal Decreto Crescita e, in particolare, dall’allargamento della capacità delle imprese non quotate di fare ricorso al mercato obbligazionario, gli operatori del private equity hanno iniziato a guardare – anche nel mercato italiano – allo strumento dei prestiti obbligazionari in aggiunta o in sostituzione dei prestiti bancari. Lo strumento dei bond emessi da società non quotate è stato, infatti, di recente utilizzato anche nell’ambito di operazioni di merger leveraged buy-out realizzate in Italia. In particolare, nel contesto di tali operazioni, l’emissione del prestito obbligazionario può innestarsi in due distinti momenti dell’operazione di mlbo. Infatti, a seguito dell’acquisizione della Target da parte della BidCo, l’emissione da parte di quest’ultima di secured highyield bonds può avvenire o in momento successivo alla fusione, come strumento, quindi, di rifinanziamento del bridge financing ricevuto da BidCo in sede di acquisizione o, in alternativa, può essere la prima forma di finanziamento diretto dell’acquisizione, senza alcun intervento ponte da parte del sistema bancario. Nonostante le peculiarità di tali tipologia di operazioni, si riesce così a coniugare un’operazione straordinaria dalla particolare complessità operativa e di gestione dei flussi, come il merger leveraged buy-out, con l’emissione di titoli obbligazionari, gli high-yield bonds, che rappresentano una delle fonti di finanziamento delle società di media dimensione, non quotate, caratterizzate da ottimi indici finanziari e patrimoniali e alti ritorni sull’investimento. 5. Caratteristiche dell’emissione Scendendo in maggiore dettaglio in merito alle caratteristiche adottate nell’ambito di tali operazioni, appare rilevante segnalare che i bond emessi sono sempre stati destinati a investitori qualificati e hanno avuto una denominazione pari o superiore a Euro 100.000, in modo da beneficiare dell’esenzione dall’applicazione delle disposizioni in tema di sollecitazione all’investimento. I titoli, anche per soddisfare i requisiti previsti dal Decreto Crescita per l’applicazione del regime fiscale sono stati quotati presso uno o più mercati regolamenti. Un aspetto di rilievo dell’utilizzo dello strumento bond è anche rappresentato dalla possibilità, tramite appositi meccanismi di subordinazione, di creare una vero e proprio tranching nel debito di BidCo. Ciò consente di adottare una efficiente struttura di finanziamento da parte della società e, allo stesso tempo, diversificare e allargare la base degli investitori. La subordinazione può avvenire o in base alle disposizioni codicistiche (quindi con valenza anche societaria) o attraverso appositi meccanismi contrattuali. In entrambi i casi appare possibile la definizione di una struttura del passivo di BidCo che contenga, accanto all’equity, tanto indebitamento senior, che mezzanino e/o subordinato. Un ulteriore elemento di interesse in tale tipologia di operazioni è rappresentato dal security package dei titoli in questione. Infatti, in linea con la struttura dei finanziamenti mlbo, i bond emessi nell’ambito di tali operazioni possono godere di un articolato pacchetto di garanzie reali. Tali garanzie possono includere, in particolare, pegni sulle azioni della BidCo, nonché pegni su quote e azioni delle società controllate da BidCo, a cui si aggiungono, a seguito della fusione con la Target, garanzie rilasciate su asset della stessa. Peraltro, ciò comporta che – in genere – le operazioni in questione siano regolate da una pluralità di leggi applicabili. In genere, infatti, gli high yield bond destinati al collocamento sul mercato americano sono regolati dalla legge dello Stato di New York. CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 5 Naturalmente, qualora gli strumenti siano collocati presso investitori europei, ben può essere adottata la legge italiana o inglese. Il security package, invece, è in genere disciplinato dalla legge italiana. Gregorio Consoli ([email protected]) Benedetto La Russa ([email protected]) L’impatto della Direttiva AIFM sulle operazioni di private equity: obblighi di trasparenza e divieto di c.d. “asset stripping” Premessa L’industria dei fondi di investimento alternativi sarà interessata, nei prossimi mesi, da significativi cambiamenti normativi derivanti dal recepimento della Direttiva 2011/61/UE (“AIFMD” o la “Direttiva”). Come noto, l’AIFMD introduce un quadro normativo armonizzato in relazione ai gestori (“GEFIA”) di fondi di investimento alternativi (“FIA”). Quest’ultima nozione è idonea, tra l’altro, a ricomprendere (oltre ai fondi hedge, immobiliari, etc.) anche i fondi di private equity. In vista della scadenza del termine per il recepimento della Direttiva – 22 luglio 2013 – di seguito si offre una sintetica descrizione delle disposizioni dell’AIFMD relative agli obblighi di trasparenza e al divieto di c.d. “asset stripping” e alcune prime valutazioni in ordine al possibile impatto di tali previsioni sulle operazioni di private equity. Ambito di applicazione Le disposizioni in materia di trasparenza e asset stripping si applicano ai GEFIA che gestiscono uno o più FIA che, individualmente o congiuntamente (in base a un accordo volto all’acquisizione del controllo, eventualmente anche in cooperazione con uno o più GEFIA che gestiscono altri FIA) acquisiscono il controllo1 di società quotate o non quotate. Specifici obblighi di trasparenza sono poi dettati Per controllo si intende la detenzione di oltre il 50% dei diritti di voto nella società; in caso di emittenti quotati, la nozione rilevante è quella ricavabile dalla disciplina in materia di OPA obbligatoria (nel nostro ordinamento, dovrà farsi riferimento all’articolo 106 del TUF, che, come noto, prevede in via generale, come soglia rilevante per l’obbligo di OPA, l’acquisto di una partecipazione superiore al 30%). 1 in relazione all’acquisto di partecipazioni non di controllo in società non quotate. Un’importante esenzione dall’applicazione delle disposizioni in esame è prevista per le partecipazioni acquisite in piccole e medie imprese (“PMI”), definite nella Raccomandazione 2003/361/CE come le imprese che (i) impiegano meno di 250 persone e (ii) hanno un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di Euro e/o un totale di bilancio inferiore a 43 milioni di Euro. La citata Raccomandazione prevede, tra l’altro, che per la valutazione dei requisiti descritti si debba tener conto dei dati riferibili anche ad eventuali imprese “collegate” o “associate” all’impresa rilevante, per come risultanti, eventualmente, dal bilancio consolidato. Inoltre, le norme dell’AIFMD non interessano le partecipazioni acquisite in società-veicolo istituite per la detenzione o l’amministrazione di beni immobili. Obblighi di trasparenza L’AIFMD impone ai GEFIA di comunicare o rendere disponibili una serie di informazioni in caso di acquisto di partecipazioni rilevanti o di controllo nella società target, secondo quanto di seguito precisato. (a) Obblighi di notifica in caso di acquisto di partecipazioni rilevanti in società non quotate Qualora un FIA acquisti una partecipazione in una società non quotata che raggiunga, superi o scenda al di sotto di determinate soglie2, il relativo GEFIA deve comunicare – al più presto o comunque entro 10 giorni lavorativi dalla data rilevante – alle autorità competenti del proprio Stato membro d’origine la percentuale di diritti di voto detenuta nell’impresa partecipata. (b) Obblighi di notifica in caso di acquisto del controllo di società non quotate Nel caso in cui il FIA acquisiti il controllo di una società non quotata, il relativo GEFIA trasmette, nel medesimo termine di cui sopra, apposita comunicazione alla società, ai relativi azionisti e alle autorità competenti del proprio Stato membro d’origine. Tale comunicazione deve fornire informazioni in merito a: (i) la situazione risultante in termini di diritto di voto; (ii) le E cioè il 10%, 20%, 30%, 50% e 75% delle partecipazioni con diritti di voto nell’impresa. 2 CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 6 condizioni in base alle quali è stato acquisito il controllo (i.e. gli azionisti coinvolti, i soggetti legittimati all’esercizio del diritto di voto e, se del caso, la catena di controllo attraverso la quale i diritti di voto sono effettivamente detenuti); (iii) la data di acquisto del controllo. (c) Obblighi di disclosure in caso di acquisto del controllo di società quotate o non quotate Nel caso in cui il FIA acquisti il controllo di una società quotata o non quotata, il GEFIA deve mettere a disposizione dei soggetti specificati alla lettera (b) che precede3 informazioni in merito a: (i) l’identità dei GEFIA che hanno acquisito il controllo; (ii) le politiche adottate per la prevenzione e la gestione di conflitti di interesse tra il GEFIA, il FIA e la società target; (iii) le politiche in materia di comunicazione (esterna e interna) relativa alla società, in particolare per quanto riguarda i rapporti con i lavoratori. Con particolare riferimento alle partecipazioni di controllo acquisite in società non quotate, il GEFIA deve altresì (i) rendere disponibili alla società e ai relativi azionisti informazioni circa i propri programmi per lo sviluppo del business della società e le ripercussioni probabili sull’occupazione, e (ii) informare le autorità competenti del proprio Stato membro d’origine e gli investitori del FIA in merito alle modalità di finanziamento dell’acquisizione. L’AIFMD prevede, inoltre, che il GEFIA debba richiedere e adoperarsi al meglio affinché il consiglio di amministrazione della società target comunichi le informazioni di cui alle lettere (b) e (c) – ad eccezione delle informazioni sul finanziamento dell’acquisizione, a cui tale previsione non si applica – ai rappresentanti dei lavoratori o, in mancanza, ai lavoratori stessi. Con riferimento alle società non quotate, gli obblighi di trasparenza continuano a trovare applicazione anche dopo l’acquisto del controllo, essendo previsto, in queste ipotesi, che il GEFIA debba includere specifiche informazioni (ad esempio, sull’andamento e il prevedibile sviluppo della società) nella relazione annuale del FIA ovvero debba fare in modo che tali informazioni siano incluse nella relazione annuale della società target. Tali informazioni devono essere in entrambi i casi messe a disposizione del Gli Stati membri possono prevedere, in sede di recepimento, che tali informazioni siano altresì fornite nei confronti delle autorità competenti dello Stato membro della società target, in caso di società non quotate. 3 personale della società target e degli investitori del FIA, secondo le modalità specificate nella Direttiva. Divieto di asset stripping Al fine di evitare la realizzazione di operazioni di acquisizione volte a “depredare” le attività della società target, la Direttiva prevede che, per un periodo di 24 mesi dall’acquisto del controllo di una società quotata o non quotata da parte del FIA, il relativo GEFIA non possa approvare – o contribuire a che vengano approvate4 – operazioni di distribuzione, riduzione del capitale5, rimborso o acquisto di azioni proprie aventi le caratteristiche di seguito descritte, essendo di contro obbligato ad adoperarsi al meglio per impedire che tali operazioni siano realizzate. Più in particolare, il divieto di asset stripping si applica a: (a) qualsiasi distribuzione6 agli azionisti effettuata quando, alla data di chiusura dell’ultimo esercizio, l’attivo netto risultante dal bilancio annuale è, o in seguito a tale distribuzione diverrebbe, inferiore all’importo del capitale sottoscritto aumentato delle riserve che possono essere non distribuite in forza di previsioni di legge o statutarie; (b) qualsiasi distribuzione agli azionisti di importo superiore all’ammontare degli utili dell’ultimo esercizio (i) aumentato degli utili portati a nuovo e delle somme prelevate dalle riserve disponibili e (ii) diminuito delle eventuali perdite degli esercizi precedenti e delle somme iscritte a riserva conformemente alla legge o allo statuto; La norma dispone, infatti, che il GEFIA non possa “facilitare, sostenere o istruire” tali operazioni, né possa votare a favore delle stesse, nella misura in cui è legittimato a partecipare alle adunanze degli organi societari della società target. 5 Il divieto relativo alle operazioni di riduzione del capitale non si applica in caso di riduzione del capitale per perdite o qualora le somme liberate siano iscritte in una riserva indisponibile purché, a seguito di tale operazione, l’importo di detta riserva non sia superiore al 10% del valore del capitale sottoscritto risultante dall’operazione di riduzione. 6 Il termine “distribuzione” comprende, in particolare, il pagamento di dividendi o altri proventi relativi alle azioni. 4 CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 7 (c) gli acquisti di azioni proprie, nella misura in cui sia possibile procedere agli stessi, che determinino una riduzione dell’attivo netto al di sotto della soglia individuata alla lettera (a) che precede. Possibili elementi di rilievo per le operazioni di private equity Le previsioni dell’AIFMD sopra descritte dovrebbero verosimilmente acquisire rilievo non secondario nella strutturazione delle operazioni di private equity e nella redazione della relativa documentazione contrattuale. Tra le conseguenze di maggiore possibile impatto, può segnalarsi l’esigenza di verificare, prima dell’acquisizione e durante tutta la durata dell’investimento, la sussistenza dei requisiti (abbastanza articolati) perché l’impresa target possa essere eventualmente qualificata come PMI, nonché la necessità di disciplinare opportunamente in via contrattuale le attività che dovranno essere svolte, al fine di adempiere alle previsioni della Direttiva, dai diversi soggetti coinvolti nell’acquisizione e nella gestione della società target, avendo a mente, in particolare, gli obblighi di best efforts imposti al GEFIA rispetto ad attività o operazioni che potrebbero non ricadere nella sua sfera di controllo “immediato”. Quanto alle disposizioni in materia di asset stripping, queste potrebbero in astratto influire sulla scelta della struttura finanziaria ottimale per la realizzazione dell’operazione di acquisizione, sebbene l’effettivo impatto di tali norme potrebbe essere non particolarmente determinante in considerazione dei limiti già previsti nell’ordinamento italiano con riferimento ad alcune delle operazioni societarie interessate dalle norme della Direttiva. Infine, si segnala che l’AIFMD consente dagli Stati membri di introdurre obblighi anche più stringenti di quelli sopra descritti, sì che occorrerà comunque attendere le disposizioni di attuazione della Direttiva, allo stato non disponibili, per comprendere l’effettiva portata delle nuove previsioni. Le disposizioni di recepimento dovranno altresì provvedere a dettagliare ulteriormente gli obblighi informativi gravanti sui GEFIA e a coordinare le norme della Direttiva, tra l’altro, con le disposizioni del diritto comune societario e la disciplina sulle OPA. Alessandro Portolano ([email protected]) Angelo Messore ([email protected]) Legittimità fiscale delle operazioni di leveraged buy-out Recentemente l’Amministrazione finanziaria ha in più occasioni contestato la legittimità fiscale delle operazioni di leveraged buy out, nonostante esse abbiano avuto pieno riconoscimento in ambito civilistico (in presenza di determinate cautele di ordine economico e finanziario, nonché informative). Le principali contestazioni mosse dall’Agenzia delle entrate riguardano essenzialmente: (i) la legittimità della interessi passivi; e deduzione degli (ii) la presenza di un servizio reso dalla società veicolo appositamente costituita (Newco) a favore dei soci, rappresentato dall’assunzione del debito per l’acquisizione della società Target, da remunerarsi con un corrispettivo normalmente pari o superiore agli interessi passivi sostenuti. Il primo ordine di contestazioni, che normalmente si muove nell’ambito del concetto dell’elusione o dell’abuso del diritto, vede – secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate - nella fusione della Newco con la società acquisita (i.e., la società Target) il solo scopo di consentire la deducibilità degli oneri finanziari sostenuti per la sua acquisizione (analogo risultato sarebbe raggiunto, in assenza di fusione, con l’elezione per il regime del consolidato fiscale tra Newco e la società target). Tale tesi omette di considerare le ragioni di ordine economico sottostanti alla necessità di dover creare un apposito veicolo finalizzato all’acquisizione della società target. E’ noto infatti che la costituzione di Newco, nonché la sua eventuale fusione con la società Target, non rappresenta il frutto di una libera scelta del soggetto acquirente, bensì deriva tipicamente da una specifica richiesta delle banche finanziatrici. Gli enti finanziatori, in tal modo, ottengono numerosi vantaggi, tra i quali, a mero titolo esemplificativo, l’ottenimento di un doppio livello di garanzia sul finanziamento concesso, rappresentato dal pegno iscrivibile sia sulle azioni di Newco che su quelle della società target (e, successivamente alla fusione, anche sul CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 8 patrimonio di tale ultima società), e avere il debito collocato il più possibile vicino alle fonti generatrici di cassa in modo tal da usare il cash flow per il rimborso del finanziamento. E’ altresì doveroso ricordare che la tesi dell’Amministrazione finanziaria omette di considerare che il regime di deducibilità degli interessi passivi recato dall’articolo 96 del TUIR si basa su principi di inerenza e competenza fiscale aventi natura di presunzione assoluta. E’ opportuno osservare che gran parte della giurisprudenza si è espressa a sostegno della legittimità fiscale delle operazioni di Leveraged buy out (si veda, ex multis, Corte di Cass. 21 gennaio 2011, n. 1372; Commissione Tributaria Regionale di Milano 13 aprile 2011, n. 36; Commissione Tributaria Regionale di Torino 24 agosto 2012, n. 39). Con riferimento alla seconda tipologia di contestazioni, inquadrabili nell’ambito della disciplina del transfer pricing, è anch’essa da ritenersi priva di fondamento. Tali contestazioni poggerebbero infatti sull’erronea interpretazione del divieto stabilito dalle Linnee Guida OCSE, in capo alla società controllante, di addebitare alle società controllate i costi relativi alle attività svolte in qualità di azionista. Nella sostanza, invece, la sussistenza di un servizio fornito da Newco ai propri soci e consistente nell’acquisizione della società Target e nella raccolta dei fondi a tal fine necessari non è ravvisabile da alcuna volontà delle parti ed è principalmente escluso dalla natura stessa dell’operazione (in senso analogo, cfr. Commissione Tributaria Provinciale di Milano 23 febbraio 2013, n. 57). E’ tuttavia opportuno evidenziare che con una precedente sentenza, la Commissione Tributaria Regionale di Milano (sentenza 5 marzo 2012, n. 26) aveva ritenuto soggetta alla disciplina del transfer pricing un’operazione di mlbo effettuata da un veicolo italiano posseduto da una società lussemburghese, in quanto, a parere dei Giudici, l’operazione sarebbe avvenuta attraverso un “sotteso” finanziamento infruttifero a favore della casa madre estera. In conclusione, nonostante l’orientamento dell’Agenzia delle entrate, si ritiene che le operazioni di mlbo laddove fisiologicamente supportate da valide ragioni economiche e adeguatamene strutturate, sono legittime anche da un punto di vista fiscale. Massimo Antonini ([email protected]) Luca Bazzoni ([email protected]) Le agevolazioni fiscali per i fondi di venture capital e per le start-up innovative Premessa Nell’ambito delle misure adottate recentemente dal Governo al fine di agevolare la crescita delle piccole e medie imprese, rivestono particolare rilevanza quelle riferite (i) agli investitori in fondi di venture capital e (ii) alle c.d. start-up innovative. Quanto alla prima delle misure, si tratta di una misura agevolativa, avente mera natura fiscale, diretta a facilitare l’investimento in organismi di investimento collettivo di risparmio che investono almeno il 75% del proprio capitale in piccole e medie imprese di recente costituzione (di seguito, “FVC”). La normativa di riferimento, di seguito commentata, prevede nella sostanza che i proventi percepiti dagli investitori nei FVC sono esenti dalle imposte sul reddito. Tale misura si colloca sulla scia della comunicazione “Europa 2020” del 3 marzo 2010 (COM (2010)2020), con la quale la Commissione Europea ha prospettato la necessità di sviluppare «un mercato del venture capital veramente efficiente, in modo da facilitare considerevolmente l'accesso diretto delle imprese ai mercati dei capitali». Per quanto concerne, invece, le misure rivolte alle imprese definite “start-up innovative”, il legislatore, agli artt. 25 e ss. del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito nella Legge 17 dicembre 2012, n. 221, (di seguito, “D.L. 179/2012”), ha inteso incoraggiare la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione mediante l’introduzione di norme e di deroghe tanto di diritto societario, quanto di diritto del lavoro e tributario (nel prosieguo verranno unicamente illustrate queste ultime). Le start-up innovative si caratterizzano per essere società di nuova o recente costituzione, aventi ad oggetto lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi ad elevato valore tecnologico ovvero operanti nel campo delle energie rinnovabili. CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 9 A fianco alle start-up innovative è prevista anche la figura degli “incubatori certitificati”, il cui compito è quello di offrire servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo delle medesime start-up. dubbio non risulta chiarito dalla decisione della Commissione Europea C(2012)6451 final, punto 26, ove si fa generico riferimento «a qualsiasi veicolo di investimento». Al ricorrere di taluni requisiti (che sono illustrati al paragrafo 2.) sono riconosciuti benefici fiscali (i) alle start-up innovative e agli incubatori, (ii) ai loro dipendenti, amministratori e collaboratori e (iii) ai loro investitori. Infine, per quanto attiene il raccordo tra le due normative, è utile segnalare che la decisione della Commissione Europea C(2012)6451 final, ha stabilito che le agevolazioni fiscali riferite agli investitori in FVC non sono cumulabili con altre misure di aiuto. Il divieto di cumulo potrebbe interessare le misure agevolative previste per gli investitori nelle start-up innovative (art. 29, D.L. 179/2012), le quali, peraltro, attendono l’autorizzazione della Commissione Europea. 1. Fondi di venture capital Le agevolazioni fiscali fruibili dagli investitori nei FVC (par. 1.2.) sono subordinate al rispetto di taluni requisiti che devono sussitere in capo (i) ai FVC medesimi e (ii) alle società nelle quali i FVC investono i propri capitali (par. 1.1.). 1.1 I requisiti per beneficiare dell’agevolazione I FVC sono organismi di investimento collettivo del risparmio che prevedono nel proprio regolamento l’obbligo di investire almeno il 75% del proprio capitale in società non quotate allo stadio di sperimentazione, costituzione, avvio o sviluppo (art. 31, D.L. 98/2011 e art. 1, del D.M. 21 dicembre 2012). Stante il riferimento contenuto nell’art. 1, del D.M. 21 dicembre 2012 agli «organismi di investimento collettivo del risparmio» (di seguito, “OICR”), rientrano nella nozione di FVC sia i fondi comuni di investimento, aperti o chiusi, sia le SICAV. I FVC possono essere anche OICR esteri, purché situati in Stati membri dell’Unione Europea o aderenti allo Spazio Economico Europeo inclusi nella white list prevista dal D.M. 4 settembre 1996 (art. 1, comma 6, D.M. 21 dicembre 2012). Appare dubbia, invece, l’estensione della nozione di FVC alle investment companies, sebbene spesso utilizzate nell’ambito del venture capital. Il La quota d’investimento del FVC nella società target deve essere inferiore al limite massimo di € 2,5 milioni su un periodo di dodici mesi. Tale limite è stato ritenuto congruo dalla Commissione Europea per evitare che la normativa sui FVC si traduca in un aiuto di Stato, materia di esclusiva competenza dell’Unione Europea. Infine, per il primo anno dall’avvio del FVC o dall’adeguamento del regolamento del FVC alle norme sopra richiamate, il valore dell’investimento nelle società target non deve scendere al di sotto del limite del 75% del valore degli attivi del FVC per più di tre mesi. Oltre ai requisiti che devono sussitere in capo ai FVC, si affiancano ulteriori requisiti relativi alle società oggetto d’investimento da parte dei medesimi fondi. Le società devono essere piccole e medie imprese, come individuate dalla raccomandazione della Commissione n. 2003/261/CE del 6 maggio 2003. Devono altresì essere società non quotate, con sede operativa in Italia e con compagine sociale formata per almeno il 51% da persone fisiche. È, infine, previsto che le società devono essere soggette a IRES (o all’analoga imposta in altro Stato), non devono esercitare attività d’impresa da oltre 36 mesi e devono possedere un fatturato inferiore a € 50 milioni. 1.2 Incentivi fiscali per gli investitori in FVC L’agevolazione fiscale consiste nell’esenzione dalle imposte sui redditi dei proventi di cui all’art. 44, comma 1, lett. g), TUIR, percepiti dagli investitori nei FVC. Pertanto, i proventi distribuiti dai FVC non sono soggetti alla ritenuta alla fonte del 20%, ordinariamente applicabile a taluni investitori ex art. 26-quinquies, D.P.R. 600/73, né concorrono alla formazione del reddito imponibile del percettore. I destinatari dell’esenzione sono le persone fisiche, che detengono le partecipazioni anche in regime d’impresa, e le persone giuridiche (anche soggette a IRES), fiscalmente residenti o non CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 10 residenti in Italia, che rispettano i requisiti sopra indicati. Secondo l’art. 2, D.M. 21 dicembre 2012, gli investitori che possono beneficiare dell’esenzione sono quelli qualificabili come “professionali” secondo la Direttiva 2004/39/CE (c.d. “Direttiva MIFID”), ovvero che possono essere trattati come tali ai sensi della medesima Direttiva. Inoltre, l’agevolazione spetta a investitori diversi dai precedenti, purché: a. si impegnino ad investire almeno € 100.000,00 nel FVC; b. dichiarino per iscritto di conoscere i rischi connessi all’investimento; c. il gestore del FVC valuti la competenza e l’esperienza dell’investitore e sia ragionevolmente certo che l’investitore sia capace di assumere decisioni autonome in relazione all’investimento; d. il gestore confermi per iscritto la valutazione del requisito di cui alla precedente lettera c. 1.3. residenti in Italia (ex art. 73, TUIR) e devono, inoltre, stabilire in Italia la sede principale dei propri affari e interessi. Possono accedere al regime non solo le società neo costituite, ma anche le società già operative, purchè svolgano attività d’impresa da meno di 48 mesi. In entrambi i casi, è necessario che le società non originino da operazioni di fusione, scissione o cessione d’azienda o di ramo d’azienda. L’oggetto esclusivo o prevalente dell’attività svolta dalle start-up innovative deve essere lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico (ad esempio nei settori delle telecomunicazioni, Ict ed energie rinnovabili). In relazione alla partecipazione al capitale, è previsto che le azioni o quote delle start-up innovative non debbano essere quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione e debbano essere detenute per la maggioranza da persone fisiche (almeno per i primi 24 mesi dalla costituzione). È, infine, richiesto che le start-up innovative: a. L’attività di controllo sui FVC Per consentire alla Amministrazione Finanziaria il controllo del requisito minimo di investimento (il 75% del capitale del FVC), le SGR e gli intermediari residenti che intervengono nel pagamento dei proventi dei FVC devono tenere appositi prospetti di rendiconto, anche su supporti informatici, sino al termine di decadenza previsto per l’accertamento dei redditi (ex art. 43, D.P.R. 600/1973). b. non distribuiscano utili; c. Nel caso in cui i FVC non rispettino i limiti di investimento (75% del proprio capitale), l’Agenzia delle Entrate procede nei confronti delle SGR o degli intermediari residenti al recupero delle ordinarie imposte dovute sui proventi distribuiti e delle relative sanzioni. 2. Start-up certificati innovative e incubatori 2.1. Requisiti per qualificare una società come startup innovativa Le società che intendono qualificarsi come startup innovative, ai fini dell’applicazione del regime introdotto dal D.L. 179/2012, devono costituirsi nella forma di società di capitali, fiscalmente a partire dal secondo anno di attività, abbiano un valore della produzione annua non superiore a € 5 milioni; 2.2. (cenni) siano in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti: spese in ricerca e sviluppo almeno pari al 20% del maggiore fra costo e valore totale della produzione; almeno 1/3 della forza lavoro sia rappresentato da personale altamente qualificato; siano titolari di almeno una privativa industriale relativa a un’invenzione industriale o biotecnologica. Deroghe al diritto societario e fallimentare Per le start-up innovative sono previste deroghe al regime ordinario delle società in tema di: CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 11 a. riduzione del capitale sociale per perdite di oltre 1/3 e al di sotto del minimo legale; b. emissione di quote di S.r.l. dotate di particolari diritti, sia economici sia amministrativi (es. diritto di voto escluso, limitato o subordinato); c. inapplicabilità di alcune procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare. 2.3. Disciplina fiscale di favore per le start-up innovative Le società che si qualificano come start-up innovative beneficiano delle agevolazioni fiscali e degli incentivi all’investimento illustrati nel prosieguo. 2.3.1. l’avvio Deroghe fiscali e riduzione degli oneri per Alle start-up innovative, per l’intera durata del regime, non si applicano la disciplina delle “società di comodo” (ex art. 30, L. 724/1994) e quella delle società “in perdita sistematica” (ex art. 2, commi da 36-decies a 36-duodecies, D.L. 138/2011). Ulteriori esenzioni di minor conto riguardano la fase di costituzione e registrazione presso il Registro delle Imprese. 2.3.2. Remunerazione di dipendenti, amministratori e collaboratori con strumenti finanziari Qualora le start-up innovative prevedano piani di incentivazione per i propri dipendenti, amministratori o collaboratori basati sull’assegnazione di strumenti finanziari, il reddito di lavoro derivante dalle assegnazioni non concorre alla formazione del reddito imponibile di questi soggetti, sia ai fini IRPEF sia ai fini contributivi. Gli strumenti finanziari devono essere emessi dalle start-up innovative o dagli incubatori certificati che ne sostengono l’avvio e la crescita (come meglio definiti dal successivo par. 2.4.) o da loro controllate, con cui gli assegnatari intrattengono il rapporto di lavoro. Inoltre, non devono essere successivamente riacquistati dalle start-up innovative, dagli incubatori o da società correlate. Possono essere oggetto di assegnazione azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o ogni altro diritto che preveda l’attribuzione di strumenti finanziari o similari. È ammessa la possibilità per le start-up innovative di emettere strumenti finanziari a fronte dell’apporto di opere e servizi, inclusi quelli professionali (c.d. work-for-equity) che non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti apportanti. Sono in ogni caso soggette a tassazione le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso degli strumenti finanziari sopra indicati. 2.3.3. Agevolazioni per le assunzioni di personale altamente qualificato Le start-up innovative possono beneficiare di un credito d’imposta pari al 35% del costo sostenuto per l’assunzione a tempo indeterminato di personale altamente qualificato (dipendenti in possesso di dottorato di ricerca o di laurea magistrale in taluni settori tecnicoscientifici). Il credito d’imposta è concesso entro il limite massimo di € 200.000,00 annuo. 2.3.4. Incentivi innovative all’investimento nelle start-up Per gli anni 2013, 2014 e 2015 le persone fisiche che investono nel capitale sociale di start-up innovative possono detrarre, ai fini IRPEF, il 19% della somma investita (anche qualora l’investimento avvenga in via mediata tramite OICR che investono prevalentemente in start-up innovative). La detrazione è aumentata al 25% per gli investimenti in start-up innovative c.d. a “vocazione sociale” (ossia quelle che operano, ad esempio, nei settori dell’assistenza sociale e sanitaria) e in start-up innovative che operano in ambito energetico. Analogamente, gli investitori diversi dalle persone fisiche e dalle start-up innovative possono fruire della deduzione dal reddito imponibile ai fini IRES del 20% della somma investita (o del 27% in relazione alle start-up a vocazione sociale e in ambito energetico). L’investimento massimo detraibile, per le persone fisiche, o deducibile, per gli altri soggetti, non può eccedere rispettivamente € 500.000,00 e € 1.800.000,00 per periodo d’imposta. In entrambi i casi l’investimento deve essere detenuto per almeno 2 anni. Il disinvestimento prima del termine biennale comporta la decadenza dal beneficio fiscale e CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 12 l’obbligo di versare l’importo indebitamente detratto. 2.4. Agevolazioni fiscali per gli incubatori certificati Sono definiti incubatori certificati le società di capitali, residenti in Italia ex art. 73 del TUIR, che offrono servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative. Al fine di qualificarsi come incubatori certificati le società devono: a. possedere strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere le start-up innovative; b. affidare l’amministrazione a soggetti con competenze in materia di impresa e innovazione; c. intrattenere rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari; d. avere adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative. Al ricorrere dei citati requisiti, gli incubatori certificati possono beneficiare di agevolazioni analoghe a quelle previste per le start-up innovative: a. riduzione degli oneri per l’avvio (par. 2.3.1.); b. esclusione dal reddito imponibile ai fini IRPEF degli strumenti finanziari assegnati a fronte di prestazioni lavorative (par. 2.3.2.); c. credito d’imposta del 35% per l’assunzione di personale altamente qualificato (2.3.3.). Giuseppe A. Giannantonio ([email protected]) Luca Di Nunzio ([email protected]) Giulia Bighignoli ([email protected]) Le operazioni di investimento in NPLs Con l’espressione “non performing loans”, più brevemente, “NPLs”, gli operatori del settore sono soliti intendere tutte quelle attività finanziarie che la Banca d’Italia, ai sensi della circolare n. 272 del 30 luglio 2008 come più volte aggiornata, definisce sommariamente come crediti in sofferenza, le esposizioni per cassa e fuori bilancio nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili ad essa. L’Associazione Bancaria Italiana, nella pubblicazione mensile di aprile di quest’anno, ha stimato, solo in Italia, 133.3 miliardi di Euro di massa totale di NPLs al mese di aprile 2013, riscontrando un aumento del 22.3% rispetto allo stesso mese del 2012. E’ evidente quindi che molti investitori stiano guardando (o più correttamente stiano tornando a guardare) al mercato italiano degli NPLs come ad una interessante opportunità di investimento. La gestione dei crediti non performing risulta particolarmente onerosa per le banche tanto in termini di capitale regolamentare che in termini gestionali, considerando l’eccezionale dispiego di risorse umane e di capitali necessari per porre in essere le attività di gestione e recupero delle posizioni creditizie in discorso. Per quanto vi sia quindi anche da parte degli istituti di credito, in astratto, un interesse ad alleggerire il peso delle sofferenze iscritte nei propri bilanci rimangono ancora distanze importanti in termini di prezzo per far incontrare domanda ed offerta. Considerando il potenziale di questo mercato nei prossimi mesi, può essere utile ripercorrere quali sono ad oggi gli schemi più consolidati per consentire ad operatori (italiani ed esteri) di investire in questo tipo di assets. Seppur l’ordinamento giuridico riconosca molteplici modalità di trasferimento del credito, la cessione mediante lo schema della cartolarizzazione, ai sensi della legge n. 130 del 30 aprile 1999 (la “Legge sulla Cartolarizzazione”), è la tecnica di dismissione che più si confà agli investimenti in NPLs. Non è un caso, infatti, che le prime operazioni di finanza strutturata con sottostanti NPLs abbiano tutte avuto inizio, in Italia, a partire dalla fine degli anni ’90 con l’introduzione della Legge sulla Cartolarizzazione e l’articolo 58 del d.lgs. n. 385 del 1 settembre 1993 (il “Testo Unico Bancario”), a cui la Legge sulla Cartolarizzazione espressamente rinvia. Le peculiarità delle operazioni di cartolarizzazione di crediti derivanti da NPLs Rispetto ad un’operazione di cartolarizzazione di crediti in bonis, gli investimenti in NPLs mediante la tecnica della cartolarizzazione presentano tre fondamentali peculiarità legate a (i) la struttura ed il ruolo della preliminare due diligence; (ii) la CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 13 corporate governance dell’operazione con, particolare riguardo, ai poteri degli investitori; ed, infine, (iii) il ruolo e l’attività del servicer. (i) La due diligence Nell’ottica di una corretta formulazione del prezzo è essenziale una appropriata due diligence. Considerando l’elevato numero di posizioni generalmente ricomprese in un singolo portafoglio oggetto di investimento è fondamentale una corretta impostazione nella definizione del campione oggetto di indagine. L’indagine deve contribuire a definire la tipologia dei debitori, la loro dislocazione geografica e, soprattutto, il livello qualitativo da parte del soggetto cedente nella gestione documentale e processuale delle sofferenze oggetto di cessione. Tale ultimo aspetto influenzerà molto la capacità dell’investitore di poter agire in tempi rapidi sulle attività di servicing al fine di massimizzare in un tempo ragionevole il ritorno sul proprio investimento. È sulla base di una due diligence di questo tipo che il servicer, con la collaborazione degli investitori, stilerà un business plan in relazione alle percentuali ed agli ammontari dei crediti che egli si aspetta di recuperare, prevedendo scenari con concretizzazioni variamente realizzabili. (ii) portatori dei titoli junior su questioni di significativa rilevanza; (b) il diritto di opzione di vendita o di acquisto dei titoli riconosciuto agli altri investitori nel caso in cui gli investitori junior esercitino il loro diritto di veto e si crei una situazione di stallo decisionale insanabile (deadlock); (c) il diritto di prelazione o prima offerta, azionabile qualora un investitore intenda cedere (in tutto o in parte) la propria partecipazione e, subordinatamente al mancato esercizio del diritto di prelazione, il diritto di covendita (tag-along right). Il contratto di joint-venture non sostituisce, né tanto meno confligge, con il regolamento dei titoli, dove sono tipicamente inserite le regole di partecipazione e di voto alle decisioni che devono essere assunte dai noteholders (tramite assemblea o written resolution). Corporate governance e poteri degli investitori In ipotesi di co-investimento di più soggetti in un medesimo portafoglio di NPLs è fondamentale prevedere una corretta disciplina dei meccanismi con cui gli investitori assumono alcune scelte strategiche durante la vita dell’investimento. Come già visto sopra, questi condividono la redazione del business plan effettuata dal servicer. In aggiunta, gli investitori, nelle eventuali diverse tipologie di titoli (senior, junior, mezzanine), sono soliti stipulare un contratto di joint-venture volto a disciplinare i loro interessi e potenziali conflitti, soprattutto, qualora siano previsti strumenti finanziari con diversi gradi di subordinazione. Alcune delle disposizioni più comuni a questi contratti sono: (a) l’esercizio del diritto di voto (in via esclusiva o congiuntamente agli investitori senior) dei (iii) L’attività del servicer La riuscita dell’intera operazione dipende grandemente dall’efficacia con cui il servicer svolge il proprio mandato di gestione e recupero dei crediti. Nel rispetto del business plan concordato, ed in conformità con le risultanze della due diligence, il servicer (o lo special servicer) perseguirà il recupero dei crediti mediante (a) la coltivazione e gestione di procedimenti giudiziali, (b) la stipulazione di accordi stragiudiziali e (c) la messa in opera di strategie alternative. Tra queste strategie alternative segnaliamo (senza entrare nel dettaglio delle modalità tecniche di intervento) l’utilizzo di una c.d. “real estate owned company” (“Reoco”), ovvero una società immobiliare direttamente o indirettamente collegata agli investitori che, in presenza di taluni presupposti, partecipa alle procedure d’asta aventi ad oggetto immobili oggetto di esecuzione immobiliare da parte dello special servicer rendendosi acquirente dell’immobile. Con riguardo ai procedimenti giudiziali di cui al punto (a), va segnalato come, ai sensi dell’espresso rinvio all’articolo 58, comma 3, del Testo Unico Bancario operato dall’articolo 4, comma 1, della Legge sulla Cartolarizzazione, alla società per la cartolarizzazione (e, dunque, al servicer, in quanto suo mandatario) continuano ad applicarsi le discipline speciali, anche di carattere CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 14 processuale, previste per i crediti ceduti. Di conseguenza, nelle operazioni di cartolarizzazione di NPLs aventi ad oggetto crediti ipotecari erogati ai sensi della disciplina del credito fondiario – ossia ai sensi degli articoli 38 e ss. del Testo Unico Bancario il servicer beneficia delle disposizioni di favore che l’articolo 41 del Testo Unico Bancario prevede in relazione al procedimento esecutivo. In particolare, il servicer (i) è esonerato dal notificare il titolo contrattuale esecutivo al debitore moroso; (ii) non è pregiudicato dalla dichiarazione di fallimento del debitore con riguardo all’instaurazione o alla prosecuzione dell’azione esecutiva sui relativi beni ipotecati; (iii) nelle more del procedimento esecutivo riscuote le rendite degli immobili ipotecati; e (iv) con il provvedimento che dispone la vendita o l’assegnazione, se l’assegnatario o l’acquirente non subentra nella posizione del debitore ceduto, riceve direttamente il versamento della parte del prezzo ad esso corrispondente. Un ulteriore, ed ultimo, aspetto di interesse per quanto concerne l’attività del servicer nelle operazioni di cartolarizzazione di crediti in sofferenza riguarda il meccanismo degli incentivi di cui, generalmente, questi beneficia. In aggiunta alle ordinarie commissioni con forti componenti variabili legate ai risultati che il servicer riuscirà ad ottenere rispetto a quanto inizialmente previsto nel business plan, talvolta il servicer, al fine di allineare ancor più i suoi interessi con quelli degli investitori, effettua vere e proprie partecipazioni all’investimento nel portafoglio medesimo sottoscrivendo una tranche di titoli. Carmelo Raimondo ([email protected]) Danilo Santoboni ([email protected]) Il Welfare Aziendale 1. Introduzione L’adozione di un piano di welfare è oggi uno strumento di estrema attualità e sempre più parte di un’efficiente e moderna politica di gestione delle risorse umane, in grado non solo di venire incontro alle effettive e concrete esigenze del proprio personale, in un’ottica di implementazione delle migliori best practices in tema di “company care”, ma, invero anche di colmare, almeno in parte, le carenze strutturali del servizio pubblico (si pensi all’asilo nido, alle prestazioni assistenziali, all’assistenza agli anziani, ai servizi di trasposto, etc.), che l’attuale crisi economica sta sempre più accentuando. Le politiche di welfare aziendale consentono, in estrema sintesi, di poter mettere a disposizione dei propri dipendenti e/o di specifiche categorie di essi (ovvero ai loro famigliari) un insieme di variegati servizi, utilità e/o prestazioni (alla persona, alla famiglia, all’educazione, di assistenza sanitaria, inerenti attività ricreative, servizi sociali, etc.), tali da comportare un beneficio concreto e tangibile per il destinatario, ottimizzando al contempo i relativi costi aziendali. 2. Inquadramento normativo: i compensi in natura che non costituiscono reddito L’art. 51, comma 2, del Tuir (D.p.R. n. 917/1986) elenca tassativamente le somme e i valori percepiti in relazione al rapporto di lavoro dipendente che, in tutto e in parte, sono esclusi dal reddito imponibile, in deroga al principio dell’onnicomprensività statuito dal citato art. 51, comma 1, in applicazione del quale: “tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro” costituiscono reddito di lavoro dipendente, anche ai fini contributivi. Ed infatti, l’art. 51, comma 2, lett. f) bis, del Tuir stabilisce come non concorrano a formare reddito di lavoro dipendente le somme erogate “dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la frequenza di asili e di colonie climatiche da parte dei familiari indicati nell’art. 12, nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari”. CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 15 Accanto poi alla suddetta forma “tradizionale” di welfare, la normativa fiscale - sempre al citato art. 51, comma due, lett. f) prevede, altresì, che non costituiscano parimenti reddito imponibile, sia a fini fiscali sia contributivi, anche “l'utilizzazione delle opere e dei servizi di cui al comma 1 dell'articolo 100 da parte dei dipendenti”; il comma 1 dell’art. 100 del Tuir si riferisce espressamente alle “spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto”. E’ proprio quest’ultima fattispecie che merita particolare attenzione per la sua potenziale capacità di consentire l’adozione di una nuova frontiere del welfare aziendale, in grado di rendere accettabile una politica di “bonus sacrifice” ed introdurre l’effettiva percezione soggettiva del dipendente di ricevere in cambio un concreto e tangibile valore; si può così garantire un vero e proprio “corrispettivo welfare” la cui capacità di acquisto è addirittura maggiore dell’importo monetario (bonus), di cui si è prevista la diminuzione. formativi, i compiti educativi delle famiglie; (vi) misure per favorire l'armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare; (vii) interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonché per l'accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali per coloro che non siano assistibili a domicilio. L’Agenzia delle Entrate, con le Risoluzioni n. 34/2004 e n. 26/2010, nonché con un recente risposta ad interpello n. 954-551/2011 del 13 giugno 2012, ha chiarito che ai fini dell’esclusione dei predetti servizi (così come degli altri servizi e/o utilità individuati dal datore di lavoro in ragione delle sue peculiari esigenze) dalla formazione del reddito di lavoro dipendente, devono ricorrere congiuntamente le seguenti condizioni, e cioè che: (i) servizi dedicati alla persona e alla famiglia: (i) asili nido; (ii) circoli privati e club; (iii) impianti sportivi; (iv) corsi di formazione extraprofessionale; i servizi di welfare siano offerti alla generalità dei dipendenti ovvero a specifiche categorie di essi; non si riconosce l’esenzione, quindi, ogni qual volta che le somme e/o i servizi sono rivolti ad personam ovvero costituiscono dei vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori7. Deve, quindi, esistere un raggruppamento omogeneo di lavoratori; (ii) attività ricreative: (i) concessione di biglietti o abbonamenti per spettacoli (cinematografici, teatrali e sportivi), mostre e musei, etc.; (ii) viaggi aventi finalità culturali, ricreative e/o di culto; (iii) abbonamenti alle riviste, corsi di lingua, viaggi studio, etc. i servizi di welfare mantengano l’intrinseca natura di elargizione volontaria8, ossia la spesa deve essere sostenuta volontariamente dal datore di lavoro e non in adempimento di un vincolo contrattuale; e (iii) siano appunto correlati perseguimento di finalità, Dalla prassi dell’amministrazione finanziaria è possibile anche trarre alcune casistiche di opere e servizi aventi specifiche finalità educative, di istruzione ricreazione, assistenza sociale e/o sanitaria, ossia: prestazioni di assistenza sanitaria: (i) ambulatori; (ii) servizi di check-up presso strutture mediche, etc. servizi di assistenza sociale: (i) servizi di babysitting e badanti forniti attraverso contratti con strutture specializzate; (ii) sostegno domiciliare per le persone non autosufficienti; (iii) servizi socio-educativi della prima infanzia; (iv) servizi formativi ed informativi di sostegno alla genitorialità; (v) servizi per l'affido familiare, per sostenere, con qualificati interventi e percorsi 7 8 al ad Al riguardo, cfr. Circolari n. 326/1997 e n. 188/1998 dell’Agenzia delle Entrate, con le quali si è chiarito che l’espressione “generalità o categorie di dipendenti”, utilizzata dal legislatore, non va intesa soltanto con riferimento alle categorie previste dal Codice Civile (dirigenti, quadri, operai, etc.), bensì a tutti i dipendenti di un certo tipo, e.g. ad una categoria omogenea (tutti i dirigenti o tutti i dipendenti che hanno un certo livello o una certa qualifica o svolgono certe funzioni, etc.). Il requisito della volontarietà del piano da parte del datore di lavoro non può ritenersi rispettato laddove l’implementazione dello stesso scaturisca da un obbligo contrattuale o di legge. CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 16 esempio, educative, d’istruzione, ricreative, di assistenza sociale, sanitarie, legate al culto, etc. L’Agenzia delle Entrate ha, altresì, ritenuto che l’esclusione dall’imposizione (fiscale e contributiva) operi anche nell’ipotesi in cui detti servizi siano messi a disposizione dei dipendenti tramite il ricorso a strutture esterne all’azienda (si vedano sempre le citate Risoluzioni n. 34/2004 e 26/2010). In particolare, l’Agenzia delle Entrate9 ha chiarito che: “nell’ipotesi in cui le strutture utilizzate non siano di proprietà del datore di lavoro, ai fini dell’esclusione il dipendente deve essere estraneo al rapporto che intercorre tra l’azienda e l’effettivo prestatore del servizio (principio di terzietà)”. Aggiungasi, come l’Agenzia delle Entrate - con la citata risposta ad interpello n. 954-551/2011 del 13 giugno 2012 - abbia chiarito come anche l’impiego da parte del datore di lavoro di un cd “budget figurativo”, in quanto rappresentativo del valore e/o “corrispettivo welfare” a disposizione del dipendente ed operante su un circuito elettronico, non rappresenti: “un titolo di credito, ma consenta di individuare in tempo reale il lavoratore che attiva un servizio previsto dal piano”, aggiungendo, anzi, come detto sistema consentirebbe proprio di “scongiurare un eventuale utilizzo improprio e/o fraudolento dei servizi stessi, quale potrebbe essere, ad esempio, la richiesta di altri servizi oltre quelli offerti dal datore di lavoro ovvero una loro diversa modalità di erogazione che possa comportare una maggiore spesa”. Occorre rammentare, infine, che ai sensi del combinato disposto dell’art. 95, comma 1 e dell’art. 100, comma 1, Tuir le spese relative ad opere e servizi di utilità sociale sono deducibili nel limite del 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultanti dalla dichiarazione dei redditi: “sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di 9 Dunque, il dipendente non deve beneficiare (anche indirettamente) dei pagamenti effettuati dal proprio datore di lavoro in relazione alla fornitura dei servizi medesimi. L’Agenzia delle Entrate, con Risoluzione n. 127/2006, in un caso relativo ai c.d. “ticket trasporto” messi a disposizione dei dipendenti, ha ritenuto che non sussistesse il requisito di “estraneità” del dipendente al rapporto intercorrente tra il datore di lavoro e il vettore esterno, in quanto al dipendente era data la possibilità di acquistare direttamente il servizio presso il vettore utilizzando il ticket per ottenere una semplice riduzione di prezzo. lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi”; tale limitazione deve essere letta in coordinamento con la deroga recata dall’art. 109, comma 5, del Tuir in base al quale non è richiesto per gli oneri di utilità sociale il rispetto del requisito di inerenza ad attività o beni da cui derivano proventi imponibili; pertanto, detti oneri sono deducibili dal datore di lavoro (nei predetti limiti) per il solo fatto di essere imputati a conto economico. 3. Il benefici correlati all’adozione di un piano di “welfare aziendale” sia per il datore di lavoro sia per i suoi dipendenti Il welfare aziendale è, quindi, uno strumento vantaggioso non solo per i lavoratori, ma anche per le aziende. a. Più in particolare, al datore di lavoro consente di poter: (i) implementare un sistema di incentivazione e/o retention aziendale che includa - quale forma innovativa ed alternativa ai tradizionali fringe benefits e/o incentivi monetari beni/servizi/prestazioni in natura di elevata qualità e funzionalità; (ii) ottimizzare, al contempo, il relativo costo aziendale, evitando, ad esempio, l’incidenza contributiva ovvero quella sugli istituti diretti, indiretti e differiti della retribuzione, anche relativamente alla fase di cessazione del contratto di lavoro (evitando, al ricorrere delle necessarie condizioni, l’incidenza del valore del bene in natura - inter alia - nella determinazione della base imponibile della retribuzione globale di fatto o nel calcolo del TFR, dell’indennità sostitutiva del preavviso, dell’indennità supplementare, etc.); (iii) usufruire - entro certi limiti ed al ricorrere delle necessarie condizioni - della deducibilità dell’onere sostenuto; (iv) favorire un miglioramento del clima interno, che motivi e fidelizzi il personale, favorendo così l’incremento della produttività e la CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 17 capacità di attrarre e trattenere talenti; (v) migliorare la reputazione aziendale. b. Quanto ai dipendenti, questi hanno la possibilità di: (i) essere destinatari di piani di “incentivazione” aziendale che accanto a possibili benefici economici e/o finanziari, aumenti retributivi e/o passaggi di livello professionale, etc., offrano anche una serie di servizi, beni e/o strumenti dedicati all’individuo e/o al suo nucleo familiare, in grado di migliorare la qualità della stessa prestazione lavorativa, il benessere sociale, la vita di relazione, il tempo libero, e così via; (ii) ricevere benefici in natura non condizionati al raggiungimento di performance individuali e/o risultati aziendali o, addirittura, soggetti a strumenti di ripetizione degli stessi (clausole di malus o clawback, etc.); (iii) accedere a prestazioni/servizi in natura, grazie al network, a condizioni e/o con modalità e/o una tempistica decisamente agevolati rispetto a quelli reperibili personalmente sul mercato ovvero ad un costo molto più vantaggioso in comparazione al valore normale di detti servizi; (iv) ricevere un bene/servizio il cui controvalore netto spesso è superiore al beneficio economico che consegue al ricevimento di un incentivo monetario, una volta operate tutte le ritenute fiscali e previdenziali relative allo stesso. Un piano welfare ben costruito consente di raggiungere molteplici obiettivi, riassumibili in un miglioramento del contesto lavorativo e della produttività, ad un costo inferiore (ovvero non superiore) rispetto a quello che deriverebbe dalle mere erogazioni in denaro. 4. La strutturazione di un piano di welfare aziendale L’ideazione e realizzazione di un piano di welfare aziendale deve tener conto di un insieme articolato di misure ed accorgimenti legali e di precipui strumenti tecnici a salvaguardia delle sua stessa sostenibilità e delle finalità perseguite dal datore di lavoro. In primo luogo, è fondamentale definire la strategia di comunicazione: occorre, infatti, non soltanto individuare i contenuti sostanziali delle misure che si intendono intraprendere, ma anche le modalità formali per la loro fruizione, così da poterle condividere con le organizzazioni sindacali aziendali e poi con i dipendenti. Deve, infatti, emergere con chiarezza la natura del beneficio, che è frutto di una concessione aziendale e che spetta al ricorrere di precise condizioni definite dall’impresa medesima. Al riguardo, è importante ed opportuno predisporre un apposito regolamento relativo al piano di welfare aziendale che includa misure, clausole e specifiche previsioni volte ad impedire o limitare l’eventualità che il beneficio in natura (ii) possa integrare la fattispecie dell’uso aziendale; (ii) dia luogo a trattamenti discriminatori (ad esempio nell’individuazione della categoria dei beneficiari); (iii) non possa essere revocato, modificato e/o sostituito discrezionalmente dal datore di lavoro, ovvero (iv) venga qualificato come reddito da lavoro dipendente anche ai fini contributivi. Naturalmente, è altresì importante valutare le condizioni di sostenibilità, anche finanziaria, di un piano di welfare aziendale; occorre, quindi, ponderare i possibili termini di stabilità e durata del piano, nonché definire (anche tramite esemplificazioni) l’alveo dei possibili beneficiari. Nella strutturazione di un piano di welfare occorre tener presente che la tipologia di servizi richiesti cambia notevolmente a seconda delle fasi ciclo di vita del lavoratore: il lavoratore giovane sarà, quindi, maggiormente interessato a servizi che gli consentano di risparmiare tempo o di effettuare un attività sportiva, il lavoratore con figli riterrà importanti gli asili aziendali (o in convenzione), il lavoratore più anziano darà priorità a misure di assistenza agli anziani, e così via. Ne discende che una condizione rilevante per un welfare aziendale di successo è quella di considerare i bisogni dei singoli lavoratori, evitando di “calare dall’alto” soluzioni preconfezionate. Inoltre, diventa fondamentale considerare il contesto territoriale in cui l’azienda si trova ad operare, così da cogliere le peculiari esigenze e cercando - se possibile - di estendere le proprie CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 18 iniziative e i propri servizi anche alla comunità territoriale, in un’ottica di responsabilità sociale e in uno sforzo congiunto con le istituzioni locali. Il welfare aziendale non costituisce neppure uno strumento del tutto avulso rispetto agli altri strumenti di incentivazione adottati dal datore di lavoro, sicché è senz’altro possibile prevedere forme di “cumulo” e/o di “balance” tra i servizi di welfare aziendale ed i tradizionali sistemi di incentivazione. Per altro verso, è possibile prevedere piani che introducano e disciplinino una “multiple choice” dei servizi in natura offerti, ferma sempre la necessità di rispettare i requisiti formali e sostanziali che consentono la non imponibilità sia fiscale sia contributiva degli stessi. In linea teorica potrebbe anche ipotizzarsi, rispettando tutti i requisiti di legge e contratto, una parziale sostituzione delle forme di incentivazione discrezionali (bonus discrezionali e/o aumenti premiali una tantum, futuri superminimi, etc.) con servizi in natura che non costituiscono “reddito”. Emanuele Barberis ([email protected]) Alessandro Premoli ([email protected]) La Private Equity Newsletter è una pubblicazione di Chiomenti Studio Legale. Per informazioni o segnalazioni si prega di contattare [email protected]. Private Equity Practice Group Francesco Ago – Roma Franco Agopyan - Milano Edoardo Andreoli – Milano Massimo Antonini – Milano Salvo Arena – New York Luca Bonetti – Milano Michele Carpinelli – Milano Carlo Croff - Milano Michele Delfini - Milano Luca Fossati - Milano Stefano Mazzotti - Milano Filippo Modulo – Roma Marco Nicolini – Milano / Hong Kong Carmelo Raimondo – Milano Annalisa Reale – Milano Francesco Tedeschini – Roma Vincenzo Troiano – Roma Manfredi Vianini Tolomei - Milano Luigi Vaccaro - Milano Tutti i diritti sui dati, materiali ed informazioni contenuti nella Newsletter sono riservati a Chiomenti Studio Legale; è vietato copiare, vendere, riprodurre, rielaborare o altrimenti utilizzare, in tutto o in parte, la Newsletter senza il consenso scritto di Chiomenti Studio Legale. CHIOMENTI STUDIO LEGALE - Private Equity Newsletter Primavera 2013 Pagina 19