Omicidio Pasolini: un episodio della

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Omicidio Pasolini: un episodio della
Omicidio Pasolini: un episodio della “Guerra Politica”
Questa analisi sulla morte di Pier Paolo Pasolini non si prefigge nessuno scopo rivelatore né pretende di
dare certezze o verità su uno degli omicidi più controversi e celebri dell’intera storia repubblicana. Ci si
limiterà a far notare, invece, che la morte dell’intellettuale corsaro potrebbe fortemente rientrare nel
novero degli eventi collegati alla guerra politica anticomunista “a bassa intensità” combattuta per tutta la
Prima Repubblica. Infatti oggi, quarant’anni dopo i fatti, si può riconsiderare il contesto storico nel quale il
delitto avvenne grazie a tutta la documentazione giudiziaria a nostra disposizione proveniente dai vari
procedimenti penali riguardanti i tanti episodi della guerra politica e grazie al lavoro di molti storici e
giornalisti ed alle loro inchieste. Il lavoro è diviso in tre parti: la prima incentrata su una breve cronistoria
dei fatti, la seconda riguardante il quadro storico ed i collegamenti diretti ed indiretti con personaggi ed
avvenimenti relativi alla cosiddetta “strategia della tensione” e la terza che si concentra sul possibile
movente. Non mi occupo di agiografie (di cui tra l’altro il protagonista non ha assolutamente bisogno), ma
mi preme invece evidenziare, nel modo più documentato possibile, come Pier Paolo Pasolini per primo o
quasi avesse intuito la natura eterodiretta del terrorismo di quegli anni attraverso un’analisi sociologica ed
antropologica di un Paese ebbro di euforia consumista e conformista e che stava definitivamente
cambiando il proprio secolare modo di essere. Chi oggi si occupa di quel periodo deve molto a Pasolini ed
alla sua produzione, è arrivata l’ora di ammetterlo. Così facendo, forse, si riuscirà anche a capire qualcosa in
più sulla sua orribile morte.
1) Il delitto
“Non mi ricordo se c'era luna,
e nè che occhi aveva il ragazzo,
ma mi ricordo quel sapore in gola
e l'odore del mare come uno schiaffo”
A Pà - Francesco De Gregori
Non è mia intenzione approfondire nei particolari tutta la storia processuale del “caso Pasolini” né esporre
tutte le varie ipotesi che negli anni sono state formulate sulla dinamica dell’omicidio, poiché in questa sede
mi piacerebbe dare una visione del delitto più storica e contestuale. Mi limiterò pertanto a riportare
sinteticamente una cronistoria della vicenda, le circostanze nuove riaffiorate in questi quarant’anni e ad
evidenziare i pochi fatti accertati.
Pier Paolo Pasolini venne ammazzato la notte tra l’1 e il 2 Novembre 1975. Il suo corpo fu ritrovato
completamente sfigurato ed insanguinato (“un grumo di sangue” lo definisce la perizia medico-legale della
difesa al processo di primo grado) la mattina del 2 Novembre verso le ore 6:30 all’Idroscalo di Ostia nei
pressi di un campo da calcio da una signora che abitava nelle baracche adiacenti. Secondo la versione
ufficiale quella stessa notte veniva fermato dai carabinieri sul lungomare Duilio presso Ostia alla guida
dell’Alfa Gt di Pasolini, Pino Pelosi, un ragazzetto diciassettenne di borgata così simile ai protagonisti dei
romanzi del poeta. I carabinieri lo arrestarono per furto (constatati alcuni precedenti analoghi) e lo
portarono nel carcere minorile di Casal Bruciato. Gli abiti del ragazzo erano sostanzialmente puliti (anche se
come vedremo grazie a scoperte recenti pure questa resta una verità parziale) ed egli stesso riportava una
ferita sulla fronte e una frattura del naso, ma niente più. Chiese ai carabinieri se per caso avessero ritrovato
in macchina un anello con la scritta “US Army”, l’accendino e le sigarette, ma i carabinieri non trovarono
nulla di tutto ciò. Durante la notte Pelosi confessò al compagno di cella di aver ammazzato Pasolini. E nei
giorni seguenti spiegò come si erano svolti i fatti: dichiarazioni che non cambierà mai di una virgola (nelle
parti essenziali) fino alla fine dell’iter giudiziario ed addirittura fino al 2005. Era stato adescato da Pasolini di
fronte alla Stazione Termini di Roma, con la promessa di ventimila lire per qualche “toccatina”. Erano
andati via per un po’ per poi tornare in piazza dei Cinquecento, giusto il tempo di dare le chiavi della
macchina ad un amico e rimontare su quella del poeta. Successivamente si erano recati al ristorante “Il
Biondo Tevere” nei pressi di San Paolo a mangiare qualcosa per poi raggiungere l’Idroscalo di Ostia, luogo
prescelto per la prestazione sessuale concordata. Pasolini aveva praticato un rapporto orale a Pelosi e
successivamente quest’ultimo era uscito dalla macchina per urinare. “Paolo” allora era uscito dalla
macchina a sua volta chiedendo altre prestazioni sessuali al ragazzo e, al suo rifiuto, si era alterato dicendo
di volerlo violentare con un paletto di legno mentre lo picchiava. Al che Pino “la rana” aveva reagito
colpendo violentemente lo scrittore con una tavoletta e un paletto entrambi di legno bagnato e friabile e
dandogli un calcio nel basso ventre durante la colluttazione. Immobilizzato così il suo avversario, era salito
sulla macchina di Pasolini sormontando inavvertitamente il suo corpo crollato a terra e in tal modo,
uccidendolo. Poi la fuga sul lungomare e l’incontro con i carabinieri. Questa la versione portata in aula
davanti al presidente della corte Carlo Alfredo Moro (il fratello di Aldo Moro) nel processo di primo grado
da Pelosi assistito dall’avvocato Rocco Mangia, mentre la famiglia Pasolini era rappresentata dagli avvocati
Guido Calvi e Nino Marazzita. La sentenza condannò il ragazzo a nove anni per omicidio ma respinse la tesi
della lite tra omosessuali finita male con Pelosi unico colpevole senza complici. Sentenziò al contrario un
“concorso con ignoti” ampiamente dimostrato dagli avvocati in dibattimento ma soprattutto dalla perizia
medico-legale del professor Faustino Durante. Questo elemento però, venne incredibilmente negato dalla
sentenza del processo di appello nel 1976, dove i giudici sostennero la colpevolezza del solo “ragazzo di
vita”. Nel 1979 la Suprema Corte di Cassazione confermò il verdetto del processo di secondo grado. Però
tanti dubbi vennero subito a molti su quella dinamica dei fatti. Il settimanale “L’Europeo” già in quel mese
di Novembre del ’75 pubblicò una controinchiesta condotta da Oriana Fallaci ed altri, secondo la quale sulla
scena del crimine era presente una moto Gilera con altri due soggetti insieme al Pelosi e in tale inchiesta
spuntava anche un testimone che aveva chiesto di rimanere anonimo. Vi invito a leggere l’articolo
intitolato: ”E’ stato un massacro”, in cui è riportato il colloquio con questo ragazzo, poiché è indicativo del
clima in cui si viveva in quella Roma degli anni ’70 ed in particolare quella vicenda.
Per trent’anni questa versione dei fatti rimase immutabile, fino ai primi di maggio del 2005. In questa data
infatti Pino Pelosi, intervistato da Franca Leosini durante la trasmissione “Ombre sul Giallo”, si dichiarava
innocente. Secondo questa nuova versione, appena dopo essere uscito dalla macchina del poeta per
urinare, il ragazzo era stato bloccato e picchiato da “una persona sui quarant’anni con la barba” e
minacciosamente invitato a farsi gli affari suoi mentre altri balordi avevano tirato fuori di forza dall’auto
Pasolini e lo avevano massacrato. Dopo il pestaggio, rimasto solo, Pino era fuggito con la macchina
dell’intellettuale sormontandolo accidentalmente.
Durante l’ultimo decennio, dunque, sono emersi nuovi fatti inediti che hanno raccontato definitivamente
una verità diversa da quella processuale. Innanzitutto dal punto di vista giudiziario. Nel 2010, grazie al
lavoro dell’avvocato Stefano Maccioni (legale del cugino di Pasolini Guido Mazzon) e della criminologa
Simona Ruffini, c’è stata la riapertura delle indagini che ha certificato, tramite analisi chimiche sui reperti
superstiti della mattanza dell’Idroscalo, almeno cinque profili di dna diversi sulla scena del crimine. Inoltre,
tra le varie testimonianze, risultano decisive quelle di Sergio Citti (regista ed amico stretto del poeta,
testimonianza rilasciata poco prima di morire nel 2005) e di Silvio Parrello (pittore, “Er Pecetto” di “Ragazzi
di vita” ed amico dello scrittore, che ha condotto indagini personali per oltre un decennio).
Riporto la testimonianza di quest’ultimo che cita anche quella di Citti, pubblicata sul sito
www.articolo21.org:
“Indagine sul delitto di PP Pasolini”
di Silvio Parrello
Antefatto alla sera del 1° novembre 1975 quando PP Pasolini aveva con Pino Pelosi un appuntamento
fissato nei giorni precedenti. Nell’agosto del 1975 erano stai rubati i negativi del film “Salò o le 120 giornate
di Sodoma”, prodotto dalla PEA di Alberto Grimaldi dai due fratelli Franco e Giuseppe Borsellino (criminali
comuni romani, dediti al traffico di stupefacenti con simpatie di estrema destra e morti di AIDS negli anni
novanta) all’epoca dei fatti amici di Pino Pelosi, dallo stabilimento della Technicolor di Roma. Questo furto,
su suggerimento di un delinquente comune, noto alla polizia perché sospettato di gestire il racket della
prostituzione giovanile alla stazione Termini a Roma ma alcune fonti sostengono che il vero mandante del
furto era stato un amico di PP Pasolini indebitato per l’acquisto di droga.
Tramite Sergio Citti, (morto l’11 ottobre del 2005) i ladri chiesero un riscatto alla PEA di Alberto Grimaldi
prima di 600 milioni di lire, poi si sarebbero accontentati anche di 50 milioni di lire. Le stesse fonti
sostengono che tramite Sergio Citti alla fine i ladri erano disposti a restituire i negativi poiché qualcuno
aveva pagato e il mediatore della restituzione dei negativi sarebbe stato Pino Pelosi che frequentava PP
Pasolini da alcuni mesi. Il 1° novembre 1975 alla stazione Termini Pino Pelosi aveva un appuntamento con il
Poeta, stabilito da tempo per accompagnare PP Pasolini ad Ostia e recuperare le due bobine dei negativi del
film “Salò e le 120 giornate di Sodoma” a cui il regista teneva, molto più del produttore.
Pasolini e Pino Pelosi dopo il loro incontro alla stazione Termini andarono alla Trattoria il “Biondo Tevere” e
dopo la cena prima di avviarsi verso Ostia i due si appartarono dietro delle baracche di Porta Portese e PP
Pasolini fece un rapporto orale a Pino Pelosi. Quando i due si avviarono verso Ostia con l’Alfa Romeo Giulia
GT 2000 del poeta erano seguiti dai fratelli Borsellino, autori del furto, in sella ad una Gilera 125 rubata.
Lungo il percorso si accodò anche una fiat 1500 con tre balordi e una Alfa Romeo simile a quella di Pasolini
guidata da Antonio Pinna e a bordo insieme a lui viaggiava un giovane quindicenne. Arrivati ad Ostia, PP
Pasolini e Pino Pelosi aspettavano le persone per riavere il negativo della pellicola, i tre Balordi che li
avevano seguiti con la FIAT 1500 presero il Poeta e lo massacrarono di botte, mentre i fratelli Borsellino
minacciarono il Pelosi. Il giovane quindicenne che viaggiava con il Pinna si mise alla guida dell’Alfa Romeo,
simile a quella di Pasolini e passò sul corpo del Poeta schiacciandolo sotto le ruote. Alcuni vorrebbero
incolpare Antonio Pinna dell’omicidio, ma questo non è vero, poiché mai si sarebbe macchiato di questo
crimine. Io conoscevo bene Antonio, eravamo amici d’infanzia ed era molto amico di Pasolini, i due si
frequentavano assiduamente, confidenza che il Pinna mi fece pochi giorni prima dell’omicidio e confermato
da alcuni amici del quartiere (Monteverde).
Finito il pestaggio con la morte di PP Pasolini causa il passaggio della macchina sul suo corpo steso a terra, i
balordi, i sicari, che avevano avuto questo mandato, fuggirono e sul luogo del delitto rimasero solo due
persone Pino Pelosi e Giuseppe Mastini detto “Johnny lo zingaro” che presero la macchina del poeta per
fuggire, ma fatti alcuni metri il Pelosi si sentì male, scese dalla macchina e vomitò, mentre il suo caro amico
lo abbandonò, proseguì la fuga e giunto sulla Tiburtina, lasciò l’ Alfa Romeo di Pasolini e si dileguò. Un
plantare e un maglione verde che erano del ragazzo quindicenne, furono rinvenuti nella macchina dello
scrittore, elemento curioso, accertato che il giovane guidava un’altra Giulietta Alfa Romeo, quella che era
passata sopra il corpo di PP Pasolini quando era a terra nella polvere di Ostia. Il Pelosi, rimasto nei pressi
dell’Idroscalo solo e appiedato, fu fermato ad Ostia in Piazza Gasparri dalle Forze dell’Ordine, a poche
centinaia di metri dal luogo del delitto.
Alle tre del mattino, due ore dopo l’omicidio due poliziotti telefonarono a casa di Pasolini all’EUR, e
comunicarono alla cugina Graziella Chiarcossi che la macchina di PP Pasolini era stata trovata abbandonata
sulla via Tiburtina. Di questa telefonata la Chiarcossi, né parlò più volte con Sergio Citti, il quale cinque mesi
prima della sua morte, verbalizzò questo fatto alla presenza dell’Avvocato Guido Calvi. Durante il Processo
l’Alfa Romeo di Pasolini fu periziata dai periti Ronchi, Rocchetti e Merli, ma si capì immediatamente che non
era stata fatta con grande approfondimento, ma in modo blando e superficiale, anche perché questi tre
periti non si recarono mai sul luogo del delitto. La perizia presentata dal perito Faustino Durante, nominato
dalla famiglia, è ben diversa, e appare con chiarezza che sul luogo del delitto ci fu almeno un’altra
macchina, quella che poi uccise PP Pasolini.
Il giorno dopo il delitto, l’automobile Alfa Romeo, simile a quella del poeta, fu portata da Antonio Pinna in
riparazione presso una carrozzeria al Portuense. Il carrozziere, Marcello Sperati, vista la condizione
dell’auto, si rifiutò di eseguire il lavoro, mentre un secondo carrozziere Luciano Ciancabilla, la riparò.
Il 12 febbraio 1976, nello svolgere l’indagine sull’omicidio di PP Pasolini il maresciallo dei carabinieri Renzo
Sansone, arrestò i fratelli Borsellino. La notizia fu data alla stampa il 14 febbraio 1976, lo stesso giorno in cui
scomparve Antonio Pinna, la cui auto fu trovata all’aereoporto di Fiumicino. Di lui si erano perse le tracce
fino al venerdì di Pasqua del 2006 quando venne a trovarmi nel mio studio di pittore e poeta, un sedicente
figlio di Antonio Pinna, tale Massimo Boscato, di cui nessuno conosceva l’esistenza, neanche i parenti più
stretti, nato da una relazione del Pinna con una donna del Nord Italia. Il sedicente figlio era alla ricerca del
padre e tramite un suo amico che prestava servizio alla DIGOS e un approfondimento condotto da lui,
risultava che Antonio Pinna era stato fermato a Roma nel 1976, alla guida di un’auto con la patente
scaduta, e queste informazioni erano in un fascicolo con la scritta TOP SECRET.
Ho conosciuto in giovinezza PP Pasolini e sono stato testimone delle sue intrigate vicende che portarono alla
sua tragica fine. Ho cominciato questa mia personale indagine sulla morte di PP Pasolini, oltre 10 anni fa, ed
a mio modestissimo avviso emerge una verità completamente diversa da quella processuale. Da allora ho
provato a riportare l’attenzione su questo crimine irrisolto, che ha una motivazione molto complessa, sono
convinto che la verità processuale è diversa da quella reale, ma i miei appelli sono sempre stati frustrati. Il
processo ha stabilito che esiste un’unica verità, la colpevolezza dell’omicidio di PP Pasolini al solo Pino
Pelosi.
In queste poche righe ho ricordato solamente gli esecutori materiali dell’omicidio, ma tengo a dimostrare
che quella sera del 1° novembre 1975 i fatti che portarono alla morte di PP Pasolini erano stati preparati
precedentemente con molta cura.
In conclusione voglio chiuder con le parole del famoso articolo dei PP Pasolini “Io so ma non ho le prove”
pubblicato sul Corriere della Sera nel 1974, poiché quello che scritto è quanto ho messo insieme, con le mie
povere forze, con la mia personale indagine. Sono convinto che la VERITA’ quella perfetta è forse destinata
a rimanere imprigionata nella più buia burocrazia e non la sapremo mai. La mia speranza è che chi sa, chi
conosce i fatti, parli.
Sicuramente questa ricostruzione (nonostante le molte imprecisioni e suggestioni, le tante inesattezze ed
alcuni punti addirittura contraddittori) contiene elementi oggettivi e verificati:
- Il furto delle pizze di “Salò” e le due strane richieste di riscatto, una spropositata, l’altra accomodata. E’ un
dato di fatto che nella macchina del regista furono trovate varie banconote e che, durante la perquisizione
della casa dei Borsellino dopo il loro arresto nel Febbraio del ’76, vennero rinvenuti all’incirca tre milioni di
lire, cifra molto vicina a quella che quella notte Pasolini si sarebbe portato dietro per riavere le pellicole.
Inoltre il furto è confermato sia da Citti che dallo stesso Pelosi in una delle ultime sue “versioni” nella quale
si descrive proprio come “intermediario” della trattativa.
- Il ritrovamento dell’Alfa Gt del poeta in zona Tiburtina, annunciato alla Chiarcossi dalle forze dell’ordine
presentatesi a casa verso le tre di notte, fatto confermato definitivamente dalla stessa cugina in
un’intervista a Repubblica nell’Ottobre del 2015. Cade quindi anche la fantasiosa tesi dell’inseguimento
contromano sull’Ostiense del Pelosi alla guida di quella Alfa Gt con conseguente fermo ed arresto, ma
soprattutto “cade” il verbale dei carabinieri che la attesterebbe, cosa di gran lunga più grave ed
inquietante.
- La riparazione dell’altra Alfa Gt di Antonio Pinna identica a quella di Pasolini ad opera del carrozziere
Ciancabilla dopo il rifiuto del carrozziere Sperati, fatto ammesso da entrambi su sollecitazione del Parrello e
confermato durante la trasmissione “Chi l’ha visto” nel 2011. Singolare questa figura del Pinna (su cui
tornerò), legato alla cosiddetta “Banda dei Marsigliesi”, confidente di Pasolini (figura in alcune foto insieme
al poeta) e sparito dalla circolazione senza lasciare più tracce di sé in concomitanza con l’arresto dei
Borsellino.
- Le innumerevoli prove che attestano ormai senza ombra di dubbio che si trattò di una vera e propria
esecuzione compiuta da almeno 5/6 persone. Fatto attestato, oltre che dalle inchieste giudiziarie, in
particolar modo l’ultima (abbastanza inspiegabilmente chiusasi con un’archiviazione), anche e soprattutto
da una numerosa saggistica che, in special modo nell’ultimo decennio, ha scavato nei fatti e sulla scena del
delitto dell’Idroscalo trovando le prove che seppelliscono la tesi della “lite tra froci” finita male. Meritevole
di menzione e soprattutto di lettura se si volessero approfondire le tematiche legate al delitto (e non solo)
è l’inchiesta della giornalista Simona Zecchi intitolata “Pasolini, massacro di un poeta” dove l’autrice,
attraverso una scrupolosa analisi dei fascicoli processuali, smonta una verità “ufficiale” propinataci a mo’ di
litania per quarant’anni dalla stragrande maggioranza dei media nazionali, i quali non si sono fatti scrupoli
di confezionare l’ennesima versione di comodo per chiudere definitivamente il caso attraverso l’istigazione
del peggior lato voyeuristico, conformista, bigotto e moralista dei propri lettori. Ulteriore merito di questa
inchiesta è stato il voler mettere in luce preziosi elementi ambigui ignorati per quarant’anni. Mi riferisco in
particolare alla presenza dell’altra Alfa Gt e più in generale di elementi doppi e similari utili a confondere le
acque e distinguibili solo attraverso la lettura dei fatti su più “livelli”, modalità d’azione tipica dei servizi
segreti come si può appurare dall’analisi di altre vicende riguardanti la cosiddetta “strategia della tensione”
(Piazza Fontana su tutte). Tornerò spesso su questo testo poiché offre spunti preziosi per descrivere il
contesto del delitto e soprattutto per riflettere sul legame dei fatti in questione con molti personaggi noti
per aver combattuto la guerra politica anticomunista durante la Prima Repubblica.