L`estinzione odierna delle specie

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L`estinzione odierna delle specie
L’ESTINZIONE ODIERNA DELLE SPECIE
A cura di Simona BIANCHI
AA. 2008/2009
“Estinzione”…… cos’è?
L'estinzione è un fenomeno naturale che si verifica nel corso
dell'evoluzione a causa di meccanismi selettivi.
A partire dal XVII secolo, tuttavia, l'impatto delle attività umane e
un'eccessiva pressione venatoria sono state le principali cause della scomparsa
di numerose specie vegetali e animali.
In tempi geologicamente recenti, numerosi fenomeni di estinzioni si
sono verificati in isole oceaniche, come le Hawaii, dove le specie sono vissute
per centinaia di anni in assenza di nemici naturali.
I predatori, i competitori o le malattie introdotte dall’uomo, provenienti
dalle aree continentali, sono responsabili di molte di queste estinzioni, che
spesso hanno colpito animali o piante endemiche, cioè originarie di queste
aree.
Benché le specie siano minacciate o si estinguano per molte ragioni
diverse, la causa principale delle estinzioni attuali sembra essere la
distruzione del loro habitat operata dall’uomo.
La bonifica delle zone paludose, la conversione di zone arbustive in
pascoli, il disboscamento e la deforestazione (specialmente ai climi tropicali),
l’urbanizzazione e la costruzione di dighe e di autostrade hanno ridotto
drasticamente gli habitat disponibili. Questi, di conseguenza, in seguito agli
interventi umani, si frammentano sempre più in “isole”, costringendo le
popolazioni animali rimaste ad affollarsi in aree sempre più piccole e povere
di risorse.
La frammentazione degli habitat può indebolire e ridurre
numericamente una popolazione, al punto che eventi casuali, come cattive
condizioni atmosferiche, possono provocarne rapidamente l’estinzione.
La frammentazione degli habitat produce, inoltre, la separazione degli
individui appartenenti alla stessa specie in varie popolazioni, che non hanno
più modo di incontrarsi e di incrociarsi sessualmente: ciò si riflette in una
riduzione della variabilità genetica degli organismi e, di conseguenza, in una
minore adattabilità ai cambiamenti ambientali. Quindi, più una popolazione è
piccola, maggiore è il pericolo di estinzione.
L'umanità è quindi sia il testimone, che la causa di un'estinzione di
massa, la più grande mai registrata dopo la scomparsa dei dinosauri: senza un
impegno su vasta scala, la metà di tutte le specie esistenti potrebbe scomparire
durante questo secolo.
La biodiversità costituisce l'elemento di base in molti settori
dell'economia, dall'agricoltura alla medicina moderna e la sua perdita
rappresenta il principale problema ambientale. Possiamo annullare
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l'inquinamento, ma non possiamo ricreare le specie estinte. Jurassic Park è
pura fantasia.
Ma a che velocità stiamo perdendo specie?
Secondo alcuni scienziati, le specie vegetali e animali si estinguono a
un ritmo che non si era più riscontrato da quando scomparvero i dinosauri 65
milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo.
Nel 1990 il 12% dei mammiferi e l'11% degli uccelli del mondo furono
classificati tra le specie in via d'estinzione o a rischio. Negli Stati Uniti
d'America 540 specie sono in via d'estinzione e 150 sono a rischio.
Numero di specie che si estinguono ogni anno
Al momento attuale l'uomo minaccia l'esistenza almeno del 10% delle
piante, dei mammiferi, degli uccelli e di altre specie conosciute, che,
probabilmente, si estingueranno entro pochi decenni.
Le specie meno conosciute non se la caveranno meglio. Una perdita del
10%, media calcolata nell'arco dei prossimi decenni, indica che assisteremo
alla scomparsa di decine di migliaia di specie, molte delle quali non hanno un
nome. Perfino per quelle che lo hanno, non saremo in grado di indicare il
momento in cui si estingueranno. Sono come "morti viventi", specie destinate
a morire perché i loro habitat sono diventati troppo piccoli.
I tassi di estinzione attuali procedono a ritmi cento volte superiori a
quelli naturali preistorici. Per il futuro, il tasso di estinzione subirà una
probabile accelerazione di oltre mille volte maggiore rispetto a quella naturale
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preistorica, dal momento che la deforestazione delle aree tropicali distrugge
anche gli ultimi rifugi di molte specie.
Esistono, poi, altre minacce, fra cui la diffusione di specie invasive e i
cambiamenti climatici. In alcuni "punti caldi" le piante e gli animali invasivi
(compresi gatti e topi) costituiscono la causa principale dell'estinzione.
L'evoluzione può generare nuove specie fino ad arrivare ad eguagliare
le cifre di oggi. Ma servirebbero diversi milioni di anni.
Una strategia promettente è quella di concentrarsi sui "punti caldi della
biodiversità", le aree ad alta concentrazione di specie che non si trovano in
altri luoghi e che corrono un grave rischio di distruzione del proprio habitat.
Attraverso la protezione delle aree ad alta concentrazione di specie in
pericolo, possiamo trasformare il problema in un'opportunità.
Circa il 40% delle specie si concentra in 25 "punti caldi" (15 dei quali si
trovano nelle foreste tropicali), che coprono solo l'1,4% della superficie
terrestre, molto meno rispetto all'originario (quasi 12%). La tutela dei punti
caldi imporrebbe un freno all'estinzione di massa.
Con uno sforzo maggiore si raddoppierebbero le dimensioni delle aree
protette, includendo i principali habitat della terra e, con essi, la maggior parte
delle specie terrestri, cui si aggiungerebbe anche il 30% degli habitat marini.
Il costo di un'iniziativa simile si aggirerebbe sui 50 miliardi di dollari
l'anno: una somma considerevole, ma inferiore al 3% degli 1,5 trilioni di
dollari di sovvenzioni "perverse" (come i 350 miliardi di dollari che l'UE
stanzia ogni anno per sovvenzioni all'agricoltura), che accelerano il degrado
ambientale. Inoltre, la conservazione della biodiversità offre molti benefici
derivati, come la protezione dei bacini idrografici, essenziali per l'acqua
potabile e la fauna ittica. (l'amministrazione di New York City ha tutelato le
riserve idriche ripristinando il bacino idrografico con un costo minimo
rispetto a nuove infrastrutture).
I tentativi a livello internazionale si riassumono nella CITES (Convention on
International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora), firmata
nel 1973 dai rappresentanti di 80 paesi, numero poi salito a 167. Lo scopo
della Convenzione è di limitare lo sfruttamento della fauna e della flora
selvatiche, regolandone e limitandone il commercio. Il documento
attualmente annovera circa 33.000 specie, di cui 5000 animali e 28.000
vegetali.
L’efficacia di queste leggi nei vari paesi dipende, tuttavia, da quanto
esse vengono applicate e dalla consapevolezza della popolazione. Quindi,
nonostante la protezione legale, il futuro di molte specie resta in forse, a causa
della mancata applicazione delle leggi, del bracconaggio e del commercio di
animali in estinzione o di prodotti da essi derivati.
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10 specie animali che si estingueranno entro 50 anni
Leopardo Amur
Le zone di proliferazione di questo magnifico felino sono il bacino del fiume
Amur, nelle montagne del nordest della Cina, e la penisola Coreana. Oggi
però rimangono pochissimi esemplari in una ristretta area dell’estremo est
russo e nella provincia del Jilin, in Cina.
La causa principale della scomparsa del
leopardo Amur è la caccia che lo vede
come preda a causa della sua pelliccia.
La medicina tradizionale cinese, poi, si
serve dell’animale per creare medicinali
e preparazioni varie. La diminuzione
delle prede naturali del leopardo ha poi
fatto si che il felino iniziasse a cacciare
gli animali domestici, il che ha fatto
aumentare le ritorsioni nei suoi
confronti. Il patrimonio genetico di questo splendido predatore si sta
contaminando: poichè la popolazione è molto diminuita, gli accoppiamenti fra
consanguinei sono l’unica via per la sopravvivenza della specie. L’ennesima
minaccia è rappresentata da un oleodotto che passerà direttamente all’interno
del suo ultimo residuo di habitat.
Axolotl
L’Axolotl, chiamato anche “Mexican
walking fish”, è una salamandra
originaria dell’antico sistema fluviale
di Città del Messico. Preferisce i
fondali profondi e sassosi con molta
vegetazione. Le minacce al suo habitat
iniziano nel 17esimo secolo, quando il
sistema fluviale della città è stato
abbandonato a se stesso, poi è stato
prosciugato e convertito in sistema
fognario. La minaccia odierna è
rappresentata dall’ulteriore degrado dei
canali. Fortunatamente l’Axototl riesce
a sopravvivere bene in cattività e ciò forse permetterà ai ricercatori di
reintrodurlo in natura quando il suo ambiente naturale sarà ricreato.
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Rinoceronte bianco
Fra il 1970 e il 1992 il 96% dei
rinoceronti bianchi è stato ucciso per il
suo corno, usato nella medicina
tradizionale cinese e yemenita. Nel
momento peggiore della caccia erano
sopravvissuti solo 2400 esemplari
nell’Africa sub-Sahariana. Dal ‘92 in poi
un programma di protezione ha permesso
ai pochi esemplari rimasti di riprodursi e
ora si contano 3000 rinoceronti.
Nonostante le tutele questi splendidi
animali sono ancora minacciati e non si
può abbassare la guardia.
Alligatore cinese
E’ uno dei più piccoli coccodrilli e,
grazie alla distruzione del suo habitat e
alla bonifica delle paludi, ha anche una
delle
più
piccole
popolazioni.
Sopravvivono
oggi
solo
130
esemplari. Il suo ambiente naturale si
estendeva lungo lo Yangtze ma ora è
confinato in una piccola riserva lungo
il fiume. L’unica speranza per lui è
nella sua capacità di vivere e
riprodursi in cattività, il che potrebbe
aiutarlo a popolare nuove riserve.
Lupo rosso.
Nel 1980 fu dichiarato estinto in natura, dopo
che gli ultimi 17 esemplari furono catturati
per farli riprodurre in cattività. Oggi si
contano “ben” 100 lupi. Il suo habitat
naturale copre la parte sudorientale degli Stati
Uniti e la prima minaccia per la sua
sopravvivenza è proprio la scomparsa delle
foreste
che
vengono
convertite
in
appezzamenti per agricoltura.
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Rinoceronte di Java
Nei secoli la popolazione del rinoceronte
si estendeva lungo tutto il sudest asiatico
mentre ora sopravvive in una piccola area
di Java. Una ridottissima popolazione (10
esemplari) di una sua sottospecie, il
Rinoceronte Vietnamita Javanese, vive
solo in cattività nel Cat Tien National
Park, in Vietnam. La prima causa della
sua estinzione è la caccia per il corno. I
sopravvissuti sono talmente pochi che
anche una semplice malattia potrebbe
cancellare l’intera specie.
Antilope Saiga.
Vive nelle steppe e nelle zone semi
desertiche dell’Asia Centrale.
Durante l’Unione Sovietica è stato
protetto dalla caccia e la
popolazione era di svariati milioni
di
esemplari.
Dal
collasso
dell’impero sovietico le tutele sono
scomparse e l’ambiente naturale
per l’antilope si è ristretto.
L’aspettativa di vita media di un
antilope Saiga è di tre/quattro anni
e se le femmine non figliano ogni
anno (cosa impossibile visto che i
maschi sono cacciati in numero superiore alle femmine) la popolazione calerà
drasticamente in pochi anni.
Tigre Siberiana.
E’ la più grande fra le specie sopravvissute
di tigre, tutte minacciate dall’estinzione.
Stretta parente della tigre del Caspio,
popolava tutta l’ovest e il centro dell’Asia.
La popolazione occidentale si è estinta nel
20° secolo a causa della scomparsa del suo
habitat e della caccia e ora rimangono solo
pochi esemplari, confinati nel lontano est
sovietico.
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Silky Sifaka.
E’ una delle 25 specie più minacciate
dall’estinzione e si trova solo nel
Madagascar nordorientale. Rimangono
ormai solo 100 esemplari di questo
primate.
Orangutan di Sumatra.
Il suo habitat si estendeva lungo tutto il sudest Asiatico, mentre oggi è
confinato nell’isola di Sumatra dove
subisce
enormi
pressioni
dalla
scomparsa dei terreni selvaggi. Negli
ultimi 20 anni l’80% delle foreste dove
vive sono state rase al suolo per favorire
le miniere d’oro, l’edilizia e le
piantagioni di palme da olio. Negli
incendi del 1997 e 1998 un terzo della
popolazione è stato ucciso e ora è in
costante declino. L’estinzione definitiva
potrebbe avvenire entro pochi
Biodiversità 2009: le specie a rischio in Italia 22 Maggio 2009
In occasione della Giornata mondiale della Biodiversità, il WWF ha
definito una lista di specie, animali e vegetali, a rischio estinzione in Italia a
causa della frammentazione del territorio, dei cambiamenti climatici e della
caccia, e per il salvataggio delle quali poco viene fatto
Orsi, Lontre, Stambecchi alpini, Lupi, Caprioli, Aquile del Bonelli,
Capovaccai, Pernici bianche, Galline prataiole, Anatre mediterranee, Pelobate
fosco, Pesci delle acque interne e tartarughe marine, sono tra le specie più a
rischio per quanto riguarda il nostro territorio. Ma non mancano i vegetali:
arance, limoni, mele, pere, ciliegie, mandorle, varietà di angurie e melone
sono quelli citati, ma le specie a rischio sono molte, molte di più
L’estinzione delle specie della flora Italiana
Il nostro paese è ricco di specie animali e vegetali e questa enorme
ricchezza e diversità è determinata da condizioni e fenomeni ambientali
peculiari. Basta pensare alle grandi differenze di clima e di ambienti fisici che
ci sono tra il Nord e il Sud della penisola.
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Attualmente per l'Italia si stimano oltre 6000 specie vegetali, malgrado
aumenti il rischio di scomparsa a causa degli effetti distruttivi di varie attività
dell'uomo.
Molte aree protette costituiscono solo frammenti di habitat, troppo
piccoli e isolati per garantire la sopravvivenza a lungo termine delle
popolazioni selvatiche. Per molte specie anche le aree protette più grandi non
sono sufficienti per assicurarne la sopravvivenza (come nel caso dell'orso, del
cervo, del lupo). Inoltre ci sono poche aree che consentono lo sviluppo delle
capacità degli ecosistemi di recupero in seguito al verificarsi di cambiamenti
catastrofici, come un incendio o un'inondazione.
Ogni specie vegetale rappresenta un elemento indispensabile
all'equilibrio naturale e alla vita di altre entità vegetali o animali, infatti la
scomparsa di una pianta potrebbe portare all'estinzione di una o più specie
zoologiche legate ad essa dai complessi e a volte ancora misteriosi rapporti
che reggono gli equilibri ecologici. L'I.U.C.N (Unione Mondiale per la
conservazione della Natura) ha redatto una Lista Rossa dei vegetali in
pericolo e, secondo le valutazioni più recenti sono circa 60000 le specie
vegetali a rischio sull'intero pianeta.
Oggi si calcola che le piante viventi sulla terra scompaiono al ritmo di
una al giorno e non sembra lontano il momento in cui ne verranno distrutte
alla cadenza di una ogni ora. Anche la flora italiana presenta molte piante in
pericolo come ad esempio la Primula di Palinuro, localizzata in pochissime
località costiere tra Campania e Calabria, e la Stella alpina appenninica,
situata nella zona montuosa centrale d'Italia, risulta ancora più fragile e rara
della Primula.
Tra gli alberi possiamo trovare entità da proteggere con impegno e
urgenza come l'Abete dei Nebrodi, localizzato in Sicilia, e il Pino Loricato,
che è diventato il simbolo delle piante in pericolo in quanto sono state
combattute molte battaglie per la tutela di questa specie e delle aree in cui
essa vive (Monte Pollino).
Stime per il futuro
Attualmente il nostro pianeta sta sperimentando una situazione che in
passato non si era mai verificata, almeno nella misura che oggi possiamo
rilevare: una rapida scomparsa di specie dovuta appunto all’uomo. Gli
scienziati ritengono che la velocità odierna di erosione della biodiversità sia
paragonabile a quella che ha caratterizzato i grandi eventi di estinzione del
passato, con l’unica differenza che questa volta la causa risiede
principalmente nelle attività antropiche.
Diversamente da quanto affermato a proposito delle cinque estinzioni
storiche, allora, in questo caso si ha a che fare con un processo che, oltre ad
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avere ovvie implicazioni ecologiche, assume anche una valenza etica e
culturale che non si può trascurare. Ci si chiede infatti se sia giusto che
l’uomo dilapidi la ricchezza biologica del pianeta senza pensare alle sue
responsabilità nei confronti della sopravvivenza della natura e delle
generazioni umane future. Molti autori sostengono che la “crisi ecologica”
che stiamo attraversando potrebbe avere conseguenze negative sulla qualità
della nostra vita in tempi molto stretti, ed è ovvio che questa preoccupazione
accenda riflessioni e discussioni non soltanto di carattere scientifico.
La causa della prossima, della più grande estinzione di massa
conosciuta dalla Terra, potremmo essere noi. Da poco più di un secolo
abbiamo iniziato a sfruttare intensamente le risorse naturali non rinnovabili, in
particolare i combustibili fossili, introducendo nell’atmosfera 3 miliardi di
tonnellate di polveri e 24 miliardi di tonnellate di anidride carbonica ogni
anno, da 300 a 500 volte di più di quello che fanno tutte le sorgenti naturali
messe insieme, comprese le più violente eruzioni vulcaniche.
La situazione è drammatica, e sembra destinata a peggiorare con la
scomparsa totale di alcuni habitat. Al tasso attuale la stima più probabile è che
stiano scomparendo circa 27.000 specie all’anno. Anche volendo essere
ottimisti, tenendo per buoni i tassi dell’ultimo secolo, tra circa 250 anni
avremo distrutto il 75% delle specie viventi. Più o meno quello che è successo
65 milioni di anni fa.
Tra uno o due secoli al massimo, finito il metano, il petrolio ed il
carbone, si sarà raggiunto il massimo d’inquinamento. Probabilmente avremo
scongelato le calotte polari e gli oceani si saranno alzati di una ventina di
metri; probabilmente tra quattro o cinquecento anni i livelli di anidride
carbonica e di altri gas serra cominceranno a tornare alla normalità, e forse nel
3000 l’atmosfera sarà di nuovo pulita, e le temperature torneranno accettabili.
Bibliografia
E’
nata
un'interessantissima
pubblicazione, edita dalla Bradt Travel
Guides e tradotta in italiano da FBE
Edizioni, che si basa sui dati delle
statistiche del progetto EDGE
(Evolutionary Distinct and Globally
Endangered) e una più capillare
(redattore, fotografo e illustratore),
della Zoological Society of London
intitolata "100 animali da vedere
prima che scompaiano".
In essa i due autori, Nick Garbutt
(fotografo di natura e scrittore) e Mike Unwin tracciano la mappa delle
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specie a rischio estinzione (con descrizione del comportamento di ogni
animale, del suo habitat, dei pericoli che affronta per sopravvivere e del modo
per i viaggiatori di poter ancora osservarli nel loro contesto naturale)
dividendo la Terra in diverse macroregioni biogeografiche.
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