Infortuni sul lavoro e responsabilità del datore

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Infortuni sul lavoro e responsabilità del datore
Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
GIURISPRUDENZA
RAPPORTO DI LAVORO
Infortuni sul lavoro
e responsabilità del datore
I
I
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO
18 gennaio 2007, n. 8710 — Pres. Mattone — Est. De Renzis
— P.M. Sorrentino (concl. diff.) — Ti. c. Comune di Milano.
(Conferma, App. Brescia 22 aprile 2004, n. 179)
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Tribunale di
Bergamo, ritualmente depositato, Lu.Ti. esponeva:
— di essere dipendente del Comune di Mi. - Ca.Va. di
Za.Al. con mansioni di manutentore;
— che in data 5 febbraio 1996, mentre era intento a pulire le scale esterne antincendio, era scivolato sul ghiaccio riportando la frattura del femore;
— che al momento dell’infortunio non indossava idonee
calzature, che non gli erano state fornite, non essendo gli
scarponcini in dotazione antighiaccio ed in ogni caso non
essendo stato adeguatamente istruito e controllato rispetto all’uso delle stesse calzature.
Tutto ciò premesso, il Ti. chiedeva la condanna del convenuto al risarcimento del danno biologico e morale conseguente all’infortunio sul lavoro.
Il Comune di Mi. si costituiva contestando le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto del ricorso.
All’esito l’adito Tribunale di Bergamo, escussi i testi
ammessi, con sentenza n. 301 del 2003 respingeva il ricorso.
Tale decisione, a seguito di appello del Ti., è stata confermata dalla Corte di appello di Brescia con sentenza n.
179 del 2004.
Il giudice di appello ha condiviso le conclusioni del primo giudice ribadendo che nel caso di specie non sussistevano i presupposti per il riconoscimento di responsabilità
a carico del Comune per l’infortunio in questione, giacché l’ampia discrezionalità di movimento e di mansioni
dei manutentori, tra i quali il Ti., non poteva che determinare una altrettanto ampia discrezionalità nella scelta dell’uso delle misure antinfortunistiche di cui erano dotati, in
relazione alla situazione climatica, alle condizioni del terreno e delle scale. In questa situazione, ad avviso del giudice di appello, non poteva configurarsi un obbligo del direttore della Ca.Va. di andare a verificare di volta in volta
se fossero state adottate misure appropriate o, come nel
caso di specie, se il lavoratore indossasse gli scarponi in
dotazione o altri scarponi di sua proprietà meno idonei a
prevenire il pericolo di scivolamento sul ghiaccio.
Il Ti. ricorre per cassazione con due motivi.
Il Comune di Mi. resiste con controricorso.
Tutela delle condizioni di lavoro - Responsabilità ex art.
2087 c.c. - Obbligo di controllo dell’utilizzo delle misure
antinfortunistiche - Sussistenza - Limiti.
Il dovere di prevenzione imposto al datore di lavoro dall’art. 2087 c.c. non comporta un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad
evitare qualsiasi danno, e può dirsi violato solo nel caso
in cui l’infortunio sia riferibile a colpa del datore, per
violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati.
Il datore di lavoro non può essere ritenuto responsabile
ex art. 2087 c.c., per violazione dell’obbligo di controllare il corretto utilizzo dei mezzi di protezione antinfortunistici assegnati in dotazione, nel caso di infortunio occorso ad un lavoratore che gode di ampia discrezionalità
nella scelta del momento in cui svolgere le sue mansioni
e, perciò, di un’altrettanto ampia discrezionalità nella
scelta del mezzo di protezione di volta in volta idoneo allo scopo.
II
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO
12 aprile 2007, n. 10085 — Pres. De Luca — Est. Roselli —
P.M. Patrone (concl. diff.) — Lo. c. PA Ar. S.r.l.
(Conferma, App. Milano 27 aprile 2004, n. 367)
Tutela delle condizioni di lavoro - Responsabilità ex art.
2087 c.c. - Configurabilità - Infortunio occorso per mancata osservanza da parte del lavoratore di misure di prudenza comuni ad ogni persona adulta - Esclusione.
L’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di commisurare le misure di protezione alla particolarità del lavoro,
all’esperienza ed alla tecnica, e in tal modo non addossa al datore di lavoro una tutela del lavoratore adatta a
persona per età o condizioni mentali incapace di provvedere a sé stessa attraverso le misure di prudenza comuni ad ogni essere umano adulto.
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Motivi della decisione. — 1. In via preliminare il controricorrente eccepisce improcedibilità del ricorso per cas-
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sazione per decorrenza dei termini di cui agli artt. 325326 c.p.c.
L’eccezione è infondata, atteso che la sentenza di appello è stata notificata il 15 settembre 2004 e il ricorso per
cassazione è stato ritualmente notificato, con rispetto del
termine previsto dall’art. 325 c.p.c., il 15 novembre
2004, cadendo il sessantesimo giorno il 14 novembre
2004, che era domenica.
2. Con il primo motivo del ricorso il Ti. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., nonché vizio di motivazione della sentenza su un punto decisivo
della controversia (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.).
Il ricorrente sostiene che la sentenza di appello ha dato
una lettura approssimativa delle risultanze istruttorie,
giacché non ha tenuto in considerazione il comportamento colposo del Comune di Mi., il quale, oltre a non
esercitare i doverosi controlli, non aveva distribuito ai dipendenti, ed in particolare ai manutentori addetti alle pulizie esterne, le necessarie calzature antiscivolo, tanto più
che nel caso di specie non si era in presenza di eventi
anomali od imprevedibili.
Lo stesso ricorrente aggiunge che l’ente resistente non ha
fornito la prova contraria in ordine alla propria responsabilità, non potendosi, a suo avviso e contrariamente all’assunto del giudice di appello, demandare al singolo dipendente la discrezionalità della scelta di idonee calzature alternative a quelle regolamentari antiscivolo.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alla contestata responsabilità ex artt. 2043-2051
c.c.
In particolare il Ti. osserva che la sentenza impugnata è
carente anche per non avere fatto riferimento ai motivi di
gravame circa la responsabilità del Comune ai sensi degli artt. 2043-2051 c.c., in relazione al fatto illecito di natura colposa ovvero per cose in custodia, fatto illecito
consistito quantomeno nel non avere reso sicura ed affidabile una via di fuga.
Gli esposti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono privi di
pregio e vanno pertanto disattesi in base alle considerazioni che seguono.
Secondo costante orientamento di questa Corte è devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del
proprio convincimento e pertanto anche la valutazione
delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta — tra le risultanze probatorie — di quelle ritenute idonee ad accertare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro spessore
probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua
motivazione del criterio adottato (ex plurimis Cass. sen-
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tenza n. 9834 del 1995; Cass. sentenza n. 10896 del
1998).
Il giudice di appello ha accertato con congrua e logica
motivazione, sulla base delle prove testimoniali raccolte
(in particolare deposizione teste Iv.Pa.), che ai manutentori (tra cui il Ti.), al momento dell’assunzione con contratto a termine, venivano consegnati gli indumenti di lavoro e due paia di calzature, le scarpe basse per guidare
e gli scarponi antinfortunistici, aventi la lamina antiforo
e il puntale di ferro, con suole di gomma a carrarmato.
Lo stesso giudice ha osservato che a fronte di tale accurata descrizione delle calzature, con particolare riferimento alle caratteristiche antisdrucciolo (puntale, lamine, carrarmatura), sarebbe stato onere dell’appellante
provare la loro inidoneità a prevenire infortuni, come
quello in questione.
Ad ulteriore sostegno delle esposte argomentazioni il
giudice di appello ha evidenziato che i manutentori godevano di ampia discrezionalità di movimento e di mansioni, il che si rifletteva anche nella scelta delle misure
antinfortunistiche, con la conseguente esclusione dell’obbligo del direttore delle Casa vacanza di verificare di
volta in volta l’uso delle misure appropriate, o, come nella fattispecie, se il lavoratore indossasse gli scarponi in
dotazione o altri scarponi di sua proprietà meno idonei a
prevenire il pericolo di scivolamento.
Il ricorrente da parte sua si è limitato a sottoporre all’esame di questa Corte una diversa valutazione e qualificazione della condotta delle parti in termini di responsabilità ai fini dell’adozione delle misure antinfortunistiche,
ed in particolare della condotta del datore di lavoro, rispetto a quella del giudice di appello, sorretta, come già
detto, da congrua e logica motivazione, e quindi non censurabile in sede di legittimità.
Per quanto riguarda in particolare il denunciato vizio di
violazione dell’art. 2087 c.c. corre l’obbligo di richiamare il principio di diritto affermato da questa Corte, secondo il quale dal dovere di prevenzione imposto al datore di lavoro da tale norma — che non configura una
ipotesi di responsabilità oggettiva —, non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni
cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità
del datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque verificato, occorrendo invece che l’evento sia
pur sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norma di fonte legale o
suggerita dalla tecnica, ma concretamente individuati
(Cass. n. 10510 del 2004; Cass. n. 6018 del 2000, Cass.
n. 7792 del 1998).
Nell’esaminare il caso di specie la Corte di appello si è
attenuto all’esposto principio di diritto non riscontrando,
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come già evidenziato in precedenza, una condotta dolosa
o colposa del Comune di Mi., il quale aveva fatto tutto il
possibile per prevenire gli infortuni concretamente individuabili, come quello in esame, fornendo ai manutentori, come già detto, tutto il necessario materiale (indumenti di lavoro e due paia di calzature, le scarpe basse
per guidare e gli scarponi antinfortunistici, aventi la lamina antiforo e il puntale di ferro, con suole di gomma a
carrarmato), del cui uso gli stessi manutentori erano stati edotti in precedenza.
3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e
va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo (Omissis).
II
Sentenza. — Ritenuto che con sentenza dell’11 maggio
2004 la Corte d’appello di Milano confermava la decisione, emessa dal Tribunale di Pavia, di rigetto della domanda proposta da Va.Gi.Lo. contro la datrice di lavoro
s.r.l P.Ar. ed intesa al risarcimento del danno biologico
da incidente sul lavoro consistito nell’essere inciampato
in un filo telefonico ed avere battuto la fronte contro lo
spigolo di un armadio;
che la Corte escludeva l’imputabilità del danno alla datrice di lavoro giacché il minimo pericolo, dato dal filo
del telefono sito sulla scrivania, era pienamente avvertibile da chi si muoveva abitualmente nel luogo di lavoro,
potendo usare, per i movimenti anche il passaggio presso il lato opposto della scrivania;
che contro questa sentenza ricorre per cassazione il Lo.
mentre la S.r.l. P.Ar. resiste con controricorso;
che il Pubblico ministero ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;
che la controricorrente ha presentato memoria.
Considerato che col primo motivo il ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 2087 c.c. e vizi di motivazione, sostenendo non avere la datrice di lavoro assolto l’onere di
provare l’adozione di tutte le misure idonee ad evitare
danni patrimoniali e non patrimoniali al lavoratore;
che col secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di
motivazione circa la larghezza in centimetri del passaggio presso il lato della scrivania opposto a quello su cui
si trovava l’apparecchio telefonico;
che i due connessi motivi sono manifestamente infondati;
che l’art. 2087 c.c., il quale impone all’imprenditore di
adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica
dei prestatori di lavoro, richiede di commisurare le misure di protezione alla particolarità del lavoro, all’esperienza ed alla tecnica, ed in tal modo non addossa al datore
di lavoro una tutela del lavoratore adatta a persona per
età o condizioni mentali incapace di provvedere a se stessa attraverso le misure di prudenza comuni ad ogni essere umano adulto. Non è perciò imputabile al datore il
danno «biologico» conseguito al fatto che il lavoratore
sia inciampato sul filo telefonico corrente dall’apparecchio alla presa a muro, visibile e già noto, essendo altresì libero il passaggio sul lato opposto della scrivania;
che la fruibilità del passaggio ora detto è stato incensurabilmente accertato dal giudice di merito, non essendo
nel poter di questa Corte di legittimità di procedere ad un
nuovo calcolo dei centimetri; che, rigettato il ricorso, le
spese seguono la soccombenza (Omissis).
NOTA
L’obbligo del lavoratore di osservare
le regole di prudenza e la sua rilevanza
ai fini della responsabilità ex art. 2087 c.c.
1. - Nonostante sia affermazione comune in dottrina ed in giurisprudenza che la responsabilità del datore di
lavoro per gli infortuni occorsi ai dipendenti non ha natura oggettiva, e
presuppone per essere affermata la
prova, diretta o presunta, della violazione colpevole delle disposizioni
antinfortunistiche tipiche e atipiche
(1), un esame delle soluzioni date
dal Supremo Collegio ai diversi casi,
che tenga conto, nei limiti di quanto
è dato leggere nelle pronunce, delle
circostanze di fatto dell’infortunio e
delle doglianze espresse dal lavora-
(1) Cfr., ex plurimis, Cass. civ. Sez. 3ª 20 febbraio 2006, n. 3650; tra le sentenze oramai risalenti della Sezione lavoro, cfr. Cass. 16 settembre 1998, n. 9247, in questa rivista 1998, 822, con nota di A. VALLEBONA, Oneri di allegazione e di prova del lavoratore nell’azione
risarcitoria per violazione dell’obbligo di sicurezza; e, ancora, Cass. 7 agosto 1998, n. 7792, in «Giur. it.» 1999, 1167, con nota di M. MARAZZA, Prestazioni di sicurezza e responsabilità contrattuale del datore di lavoro. In dottrina, tra gli altri, M. PERSIANI, Introduzione, in
Problemi della sicurezza nei luoghi di lavoro, in «Quad. arg. dir. lav.» 2003, 4.
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tore, ingenera talora dubbi sull’aderenza delle soluzioni al principio (2).
Le sentenze in commento si inquadrano senz’altro in quel filone di
precedenti della Suprema Corte che,
anche nella soluzione del caso concreto, si attengono per così dire fedelmente al principio e concludono
per l’assenza di responsabilità nel
caso in cui il datore di lavoro abbia
dato la prova di aver assolto gli obblighi preventivi che il lavoratore assume specificamente violati e dimostrato, con ciò, di aver esattamente
adempiuto il suo obbligo di sicurezza.
Ciò che più caratterizza le sentenze
in commento, tuttavia, è la particolare rilevanza che nei casi al suo esame la Corte attribuisce, ai fini dell’esonero da responsabilità del datore
di lavoro, alla mancata osservanza
da parte del lavoratore dell’obbligo
di tenere una condotta diligente e
prudente in relazione alle circostanze. Obbligo la cui violazione viene
normalmente considerata al fine di
assegnare al lavoratore un concorso
di colpa nell’accadimento dell’infortunio (3), e ritenuta idonea ad escludere ogni responsabilità datoriale solo nel caso in cui la condotta negligente ed imprudente abbia assunto i
caratteri del comportamento abnorme o arbitrario, idoneo a fungere da
causa esclusiva dell’infortunio (4).
2. - Nel caso deciso da Cass. 18 gennaio 2007, n. 8710 si trattava di un
dipendente comunale assunto a termine e addetto a mansioni di manutentore che, mentre era intento a pulire una scala esterna antincendio, è
scivolato sul ghiaccio riportando la
frattura del femore.
Nel giudizio introdotto per ottenere
il risarcimento del danno il lavoratore ha imputato al datore di lavoro di
avergli fornito delle calzature non
idonee — non antighiaccio — e, comunque, di non averlo istruito sull’uso di tali calzature e di non aver
controllato che egli ne facesse effettivamente uso.
La Corte, confermando la pronuncia
di merito, ha escluso la responsabilità del datore ex art. 2087 c.c. e rigettato la domanda di risarcimento
danni del lavoratore affermando, da
un canto, che il datore di lavoro aveva dato prova di aver fornito al lavoratore, al momento dell’assunzione,
calzature idonee, con suola di gomma a carro armato; e, dall’altro, che
poiché i manutentori godevano di
ampia discrezionalità di movimento
e di mansioni godevano di altrettanto ampia discrezionalità nella scelta
delle misure antinfortunistiche, con
conseguente esclusione dell’obbligo
del direttore della struttura cui il lavoratore era addetto di verificare di
volta in volta l’uso delle misure ap-
propriate e, comunque, se nello specifico caso il lavoratore indossasse le
calzature in dotazione o altre calzature di sua proprietà meno idonee.
Nel pervenire a tale conclusione la
Suprema Corte precisa, con riguardo
all’obbligo di fornire adeguati mezzi
antinfortunistici, che, provata dal datore di lavoro la fornitura di calzature dotate, a prima vista, della necessaria caratteristica antisdrucciolo (5)
— nel caso di specie, la suola in carrarmato —, sarebbe stato onere del
lavoratore dimostrare la loro inidoneità a prevenire l’infortunio. Dedica, invece, solo un fugace accenno
all’obbligo di istruzione e formazione circa l’utilizzo delle calzature, affermando in chiusura di motivazione
che i manutentori erano stati «edotti» sull’uso delle stesse; ma dal testo
della sentenza, che non fa mai cenno
a tale obbligo — di cui pure il lavoratore aveva espressamente lamentato la violazione nell’atto introduttivo
del giudizio — non si comprende se
ed in che termini il datore ne avesse
allegato l’adempimento.
Nel caso deciso da Cass. 12 aprile
2007, n. 10085 si trattava di un dipendente inciampato sul filo del telefono sito sulla sua scrivania e collegato ad una presa a muro, e andato
ad urtare con la fronte contro lo spigolo di un armadio.
Non si comprende dal testo della
(2) Cfr., ad esempio, Cass. 6 gennaio 2007, n. 11622, cit. infra. In dottrina, propende per la tesi della natura «sostanzialmente oggettiva»
della responsabilità del datore (che, dimostrato il nesso di causalità, può liberarsi da responsabilità solo fornendo la prova che l’evento è
riferibile a caso fortuito o all’irragionevole ed imprevedibile intervento del lavoratore), L. MONTUSCHI, di recente in Salute e lavoro: principi guida dell’ordinamento comunitario e della Costituzione Italiana, scritto per l’Incontro di Studio organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura il 2/4 maggio 2007; cfr., anche, L. MONTUSCHI, La Corte Costituzionale e gli standard di sicurezza del lavoro», in
«Arg. dir. lav.», 2006, 3.
(3) Cfr. Cass. 10 gennaio 2007, n. 238, secondo cui in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali si ha concorso di colpa del
lavoratore quando lo stesso abbia concorso a cagionare l’evento con comportamenti negligenti o imprudenti ulteriori rispetto a quelli, appartenenti al rischio professionale, le cui conseguenze pregiudizievoli le norme sulla prevenzione infortuni intendono prevenire, con precetti rivolti al datore di lavoro e la cui osservanza è ad esso rimessa (conf. Cass. 14 marzo 2006, n. 5493). Cfr. anche Cass. 14 febbraio
2006, n. 3209, che esclude possa assegnarsi un concorso di colpa al lavoratore nel caso in cui, se il datore avesse assolto correttamente i
suoi obblighi, ne avrebbe impedito condotta colpevole; e Cass. 22 luglio 2002, n. 10706, che esclude il concorso di colpa nel caso del lavoratore che nella concitazione del momento abbia commesso un’imprudenza o un’imperizia intervenendo in operazioni di soccorso di
altro lavoratore.
(4) Cfr. Cass. 23 marzo 2007, n. 7127.
(5) Cfr. punto 3.1.2.1. Allegato II al d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 475, secondo il quale le suole di usura delle calzature atte a prevenire gli
scivolamenti debbono essere progettate, fabbricate o dotate di dispositivi applicati appropriati, in modo da assicurare una buona aderenza
mediante ingranamento o sfregamento, in funzione della natura e dello stato del suolo.
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sentenza se il lavoratore abbia lamentato nel ricorso introduttivo la
violazione di specifiche disposizioni
antinfortunistiche o si sia limitato ad
affermare la violazione dell’art.
2087 c.c., e nella sentenza non è
contenuto alcun cenno a specifiche
disposizioni.
La Corte, confermando la pronuncia
di merito, ha escluso la responsabilità del datore ex art. 2087 c.c. e rigettato la domanda di risarcimento
danni del lavoratore affermando che
l’art. 2087 c.c. non addossa al datore
di lavoro l’obbligo di garantire una
«tutela […] adatta a persona per età
o condizioni mentali incapace di
provvedere a se stessa attraverso misure di prudenza comuni ad ogni essere umano adulto»; sicché, acclarato nel caso all’esame che il filo era
visibile e noto al lavoratore e che sul
lato opposto della scrivania il passaggio era libero, doveva escludersi
che l’infortunio fosse «imputabile»
al datore di lavoro.
Non risulta del tutto chiaro se la
Corte di merito, prima, e la Suprema
Corte, poi, abbiano escluso la responsabilità del datore di lavoro per
il fatto che nel caso concreto il pericolo era «minimo», tale che non vi
era la necessità di eliminarlo o ridurlo; oppure perché hanno ritenuto che
la condotta del lavoratore, contraria
alle misure di prudenza comuni ad
ogni persona capace di provvedere a
se stessa, abbia assunto, in relazione
al contesto, il carattere della quasi
abnormità, divenendo causa unica
dell’infortunio.
3. - L’obbligo di controllo, sancito
dall’art. 4, lett. f), d.lgs. n. 626/1994,
costituisce l’anello di una catena di
misure protettive integrate che, procedendo dall’obbligo di approntare
un ambiente lavorativo sicuro quanto ai luoghi in cui si svolge l’attività,
alle macchine ed ai processi produttivi impiegati, ai dispositivi di protezione individuale e collettiva messi a
disposizione —, transita attraverso
l’obbligo di informazione e formazione dei lavoratori sui rischi cui sono esposti e le misure antinfortunistiche adottate, e si chiude, appunto,
con l’obbligo del datore di richiedere l’osservanza da parte dei singoli
lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in
materia di sicurezza e di igiene del
lavoro e di uso dei mezzi collettivi e
dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione.
L’integrazione e l’interferenza tra i
diversi obblighi, di cui la legge richiede la contemporanea osservanza
ai fini dell’esatto adempimento dell’obbligo di sicurezza, risulta solo se
si considera che, in generale, la messa a disposizione di mezzi lavorativi
sicuri conformi alle prescrizioni non
può realizzare pienamente il suo effetto se il lavoratore non ne conosce
le corrette modalità di funzionamento ed i rischi insiti, e che un’adeguata informazione e formazione sull’uso ed i rischi non è idonea di per sé a
scongiurare l’infortunio se il lavoratore omette di attenersi alle disposizioni su cui è stato informato e formato.
Ne consegue, dunque, che ai fini di
valutare l’esatto adempimento di
ciascuno degli obblighi in parola finisce per venire in rilievo anche l’osservanza di ciascuno degli altri.
In particolare, tale interferenza si registra tra l’obbligo di informazione e
formazione e l’obbligo di controllo,
nel senso che la misura e le modalità
di adempimento del primo contribuiscono a definire il limite entro il quale è ragionevole pretendere dal datore l’adempimento del secondo, anche
alla luce dell’indubbio rafforzamento
ad opera del d.lgs. n. 626/1994 del
ruolo assegnato al lavoratore nell’attuale sistema antinfortunistico, divenuto da soggetto passivo soggetto attivo di tutela, cui ora è espressamente imposto, in generale, al di là dell’osservanza delle disposizioni cui
deve attenersi nell’esecuzione dello
specifico compito, di prendersi cura
della propria sicurezza e della propria salute (art. 5 d.lgs.) (6).
L’interferenza ed il reciproco condizionamento degli obblighi in parola
sono suscettibili di determinare notevoli conseguenze sullo svolgimento dei processi per infortunio e sui
loro esiti, atteso che se è vero che
l’assolvimento di un solo obbligo
non è per legge e per esperienza sufficiente a scongiurare l’accadimento
dell’infortunio quando non risulti
l’adempimento anche degli altri, appare inevitabile che il giudice, nei limiti dei fatti che gli constano, possa
concludere che, pur provato l’adempimento dello specifico obbligo di
cui il lavoratore ha lamentato l’inadempimento, la responsabilità sussiste perché il datore non ha dato prova di aver assolto anche gli ulteriori
obblighi che la normativa gli impone
e che apparivano idonei ad evitare
l’infortunio (7).
Chi agisce in giudizio, invero, ha
l’onere di esporre i fatti sui quali si
(6) v. A. MONEA, D.lgv. n. 626/94: un ruolo nuovo per il lavoratore, in «Dir. prat. lav.» 1995, 18.
(7) Cfr., al riguardo, Cass. 18 marzo 2007, n. 11622, intervenuta nel caso di un apprendista rimasto schiacciato mentre aiutava due operai
esperti a collocare una lastra di marmo sul banco da lavoro. La Suprema Corte, in tale occasione, ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del datore solo perché questi aveva dato prova di aver osservato le specifiche prescrizioni antinfortunistiche di
cui il lavoratore contestava la violazione; e, considerato che il lavoratore era un apprendista, che nell’ambiente lavorativo si stava svolgendo un’operazione assai pericolosa e che il lavoratore non si era reso responsabile di una condotta né imprevedibile né abnorme, ha concluso che ai fini dell’esonero da responsabilità il datore di lavoro avrebbe dovuto dar prova di aver adottato tutte le cautele, anche quelle
relative all’assetto del lavoro e all’informazione e formazione del dipendente. Circa la particolare intensità dell’obbligo di controllo nei
confronti del lavoratore inesperto e di giovane età addetto ad una lavorazione pericolosa, cfr. Cass. 12 gennaio 2002, n. 326.
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fonda la sua domanda, ex art. 414, n.
4, c.p.c., ma da tale disposizione non
può derivare un’inversione dell’onere della prova come configurato dalle disposizioni sostanziali.
Se, dunque, quale riflesso dell’obbligo preventivo del datore di lavoro di
adottare tutte le cautele tipiche previste dal complesso delle disposizioni
antinfortunistiche, spetta al datore di
lavoro allegare e dimostrare di aver
osservato tutte le misure concretamente idonee ad evitare l’infortunio,
da un canto, l’onere di allegazione
del lavoratore dovrebbe ritenersi
contenuto nei limiti dei fatti concernenti l’infortunio, e non della violazione di questo o quello specifico obbligo (8); dall’altro, nell’ambito dei
fatti che risultano il giudice dovrebbe
poter ritenere non assolto l’onere della prova quando verifichi l’inadempimento di un obbligo di legge la cui
inosservanza il lavoratore non abbia
contestato, ma nemmeno esplicitamente o implicitamente escluso (9).
Tornando alle sentenze, nella prima
delle due in commento, la n. 8710
dell’11 aprile 2007, la Suprema Corte accede, condivisibilmente, ad una
concezione relativa dell’obbligo di
controllo, escludendo che l’obbligo
importi la verifica circa l’uso, di volta in volta, da parte del lavoratore di
misure appropriate; ed esclude che
nel caso di un manutentore, che può
decidere quali interventi di manutenzione effettuare e quando effettuarli,
il datore di lavoro possa ritenersi responsabile di un controllo serrato.
Non emerge dalla sentenza se il datore di lavoro abbia allegato di aver
messo comunque in atto un sistema
di controllo, seppure non capillare, e
se ciò sia risultato provato.
Sorge, dunque, la perplessità che la
Corte possa aver escluso in toto, nel
caso di lavoratori che prestano la loro attività con le medesime modalità
di quel manutentore, l’obbligo del
datore di controllare l’utilizzo delle
misure protettive.
Si tratta, tuttavia, di una perplessità
fugace, non essendo ragionevole ritenere che la Suprema Corte abbia
voluto escludere l’esistenza di un
obbligo che la legge sancisce senza
eccezioni, e di cui si tratta, piuttosto,
di verificare di volta in volta, in relazione alle concrete modalità della
prestazione lavorativa, se il datore
l’abbia assolto in modo adeguato, disponendo, ad esempio, controlli a
campione, tenuto conto delle modalità con le quali il lavoratore è stato
istruito e formato all’utilizzo dei
mezzi in dotazione.
Nella sentenza in commento è contenuto solo un rapido accenno all’istruzione ed alla formazione del lavoratore — assunto a termine —, per
via del richiamo in chiusura di motivazione al fatto che i manutentori
erano stati edotti sull’uso delle misure di protezione (nella specie, degli
scarponcini antisdrucciolo); non è
possibile stabilire, dunque, in base al
solo testo della sentenza, se la Suprema Corte sia stata portata ad
escludere nel caso di specie la violazione dell’obbligo di controllo anche
a fronte del tenore dell’istruzione e
della formazione impartiti all’inizio
del rapporto.
Indubbiamente nel caso deciso dalla
Corte ha giocato un ruolo decisivo
anche il fatto che l’infortunio è avvenuto per un rischio comune, cui,
cioè, sono soggetti tutti coloro che
per qualunque motivo decidano di
muoversi — camminando o salendo
scale, ecc. —, in determinate condizioni atmosferiche, del quale le persone adulte sono comunemente avvertite dall’esperienza e che in base
alla comune esperienza sono in grado di fronteggiare; in altri termini,
più concreti, chiunque sa che in determinate condizioni può formarsi
del ghiaccio e che per calpestare il
ghiaccio senza scivolare è necessario
indossare determinate calzature.
Esula dall’ambito del ragionevole,
sembra leggersi tra le righe della
sentenza, che il datore di lavoro sia
tenuto a controllare che il lavoratore
faccia quello che qualunque persona
ragionevole fa per tutelarsi dal rischio di infortunio.
Considerazioni analoghe sembrano
alla base della seconda sentenza in
commento, la n. 10085 del 12 aprile
2007.
La Suprema Corte, in questa occa-
(8) Secondo la sentenza citata nella nota che precede, il lavoratore che assuma la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorsogli non ha l’onere di provare specifiche omissioni del datore in relazione alle norme antinfortunistiche, essendo soltanto tenuto a provare l’infortunio, il danno derivatone, il nesso di causa tra l’uno e l’altro e la nocività dell’ambiente di lavoro. Nella motivazione di uno
dei precedenti conformi richiamati nella sentenza (tra gli altri, Cass. 24 luglio 2006, n. 16881 e Cass. 7 marzo 2006, n. 4840), è specificato, peraltro, che seppure il datore di lavoro è gravato dell’obbligo di adottare tutte le misure di prevenzione necessarie per la tutela dell’integrità fisica del lavoratore e di provare di averlo adempiuto, l’oggetto della prova (misure da adottare e, in ipotesi, adottate) è necessariamente correlato all’identificazione delle modalità del fatto rappresentate dal lavoratore e presuppone, in relazione ad esse, che il lavoratore dia la prova delle cause che l’hanno determinato (Cass. 26 giugno 2004, n. 11932).
(9) In ordine al problema dell’individuazione degli oneri di allegazione e prova delle parti nel processo per infortunio sul lavoro, si veda
A. VALLEBONA, cit. nota 1, secondo il quale il lavoratore ha l’onere di individuare con chiarezza nel ricorso introduttivo quale causa petendi ex art. 414, n. 4, c.p.c., la specifica misura di sicurezza nominata o innominata dalla cui violazione a suo dire è derivato l’infortunio;
aggiungendo che sarebbe inammissibile, contrario ai principi di civiltà del processo, un processo esplorativo sulla base della generica accusa di violazione dell’obbligo di sicurezza ritenuta sufficiente ad addossare al datore di lavoro l’onere di scolparsi al buio, mediante la
prova di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento dannoso, lasciando così all’arbitrio del giudice di individuare, alla fine della causa, la specifica misura eventualmente rimasta inadempiuta.
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Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
GIURISPRUDENZA
RAPPORTO DI LAVORO
sione, nega la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. per
l’infortunio occorso ad un dipendente, che ben conosceva il luogo di lavoro, e che si è infortunato inciampando sul filo che collegava il telefono sulla sua scrivania alla presa a
muro collocata di lato, essendo, peraltro, provato che egli poteva lasciare la scrivania transitando dal lato
opposto della stessa, completamente
libero.
Anche in tal caso il rischio che ha
determinato l’infortunio era un rischio generico e comune, cui è esposta qualunque persona, anche all’interno delle mura domestiche; del
quale, dunque, si è comunemente
avvertiti e che ogni persona capace
di provvedere a se stesso è in grado
contrastare adottando la condotta
prudente che è necessaria.
Non risulta dalla sentenza per quale
motivo il lavoratore abbia lasciato la
scrivania, finendo per inciampare.
Deve presumersi, tuttavia, che non
vi fosse alcuna ragione di necessità
ed urgenza, la quale, determinando
un impulso immediato all’allontanamento, avrebbe condizionato il giudizio sull’esigibilità in concreto del-
la condotta prudente del lavoratore.
Pur intesa in questi termini la sentenza suscita qualche perplessità laddove omette ogni considerazione
circa l’obbligo del datore di approntare un ambiente di lavoro sicuro
(artt. 30 e ss. d.lgs. n. 626/1994) ed
assegna rilevanza esclusiva ai fini
dell’accadimento dell’infortunio ad
una condotta che, per quanto imprudente, non presenta, in base agli atti,
i connotati dell’abnormità e dell’esorbitanza (10).
Non v’è dubbio, alla stregua della
comune esperienza, che un filo pendente in uno spazio destinato al transito costituisca una fonte di rischio,
che, per quanto minimo — di «minimo pericolo» parla la Corte di merito —, deve essere senz’altro rimosso.
Il d.lgs. n. 626/1994, infatti, impone
specificamente al datore di lavoro di
eliminare tutti i rischi, generici e
specifici, e, ove ciò non sia possibile
— ma non sembra questo il caso —
di ridurli al minimo (art. 3, lett. b));
e non assegna alcun rilievo allo standard di prudenza cui si conforma la
condotta delle persone comuni in relazione agli stessi rischi.
Può darsi, tuttavia, che la Suprema
Corte abbia ritenuto di confermare la
sentenza di merito per il fatto che il
lavoratore non ha invocato la violazione di alcuna specifica disposizione antinfortunistica, rendendo conseguente, se non favorendo, un approccio generico alla soluzione del
caso.
L’occasione è utile per evidenziare,
in chiusura, che se il lavoratore non
può considerarsi onerato dell’obbligo di indicare gli specifici obblighi
di sicurezza di cui lamenta la violazione, ma può limitarsi ad allegare le
modalità di accadimento dell’infortunio e dimostrare le cause che
l’hanno determinato — che per il datore comporta il pesante onere di
specificare tutte le misure adottate in
relazione al caso —, l’omesso richiamo a specifici obblighi del datore comporta il rischio che alcuni profili di pericolosità della situazione
concreta rimangano in ombra e non
assumano la rilevanza dovuta ai fini
del giudizio di responsabilità ex art.
2087 c.c.
Stefano Visonà
Giudice del lavoro in Roma
(10) Si segnala, per completezza, che il Pubblico Ministero ha concluso per l’accoglimento del ricorso del lavoratore in camera di consiglio, ex art. 375 c.p.c., per manifesta fondatezza.
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