L`OSSERVATORE ROMANO

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L`OSSERVATORE ROMANO
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVI n. 206 (47.341)
Città del Vaticano
venerdì 9 settembre 2016
.
Nuovo monito di Papa Francesco contro il terrorismo
Atteso un nuovo incontro a Ginevra tra Kerry e Lavrov
No a chi divide e distrugge
Non si ferma
la violenza in Siria
E agli abati benedettini chiede di essere custodi del silenzio
Papa Francesco è tornato a condannare la violenza commessa in nome
della religione e ha invitato i leader
spirituali a prendere le distanze «da
tutto ciò che cerca di avvelenare gli
animi» e «dividere e distruggere la
convivenza». L’appello è stato lanciato durante l’udienza ai partecipanti al simposio promosso dall’O rganizzazione degli Stati americani e
dall’Istituto del dialogo interreligioso di Buenos Aires, ricevuti nella
mattina di giovedì 8 settembre, nella
Sala del Concistoro.
A loro il Pontefice ha chiesto, in
particolare, di «promuovere la cura e
il rispetto dell’ambiente», di «proteggere e difendere i diritti umani»,
e di alimentare «una cultura di incontro» basata su «un dialogo sincero e rispettoso». Il credente infatti,
ha affermato, «non può restare muto
o con le braccia incrociate dinanzi a
tanti diritti impunemente annientati». Da qui la necessità di «difendere
la vita in tutte le sue fasi, l’integrità
fisica e le libertà fondamentali, come
la libertà di coscienza, di pensiero,
di espressione e di religione». Dal
Papa, in particolare, un severo monito contro il terrorismo e una nuova
condanna di tutte le «atrocità» e le
«azioni abominevoli» compiute in
nome della religione. «Occorre — ha
raccomandato — mostrare i valori
positivi inerenti alle nostre tradizioni
religiose per ottenere un solido apporto di speranza».
Nel successivo incontro con gli
abati benedettini, ricevuti nella Sala
Clementina, il Papa ha poi ricordato
che «il mondo di oggi dimostra
sempre più chiaramente di avere bisogno di misericordia», cuore della
vita cristiana. E li ha invitati perciò
a «puntare sempre più sull’essenziale», continuando soprattutto a tenere vive «le oasi dello spirito» attraverso «quel silenzio operoso ed
eloquente che lascia parlare Dio nella vita assordante e distratta del
mondo».
PAGINA 8
Esce un libro
che raccoglie interviste
a Benedetto XVI
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Il Regno Unito si accorda con la Francia per bloccare i migranti a Calais
L’Europa
innalza un’altra barriera
BRUXELLES, 8. Fa discutere l’annuncio da parte del Regno Unito
della costruzione di un muro che
correrà per un chilometro lungo
l’autostrada che arriva al porto
francese di Calais, sulla Manica.
Il muro sarà alto quattro metri e
sarà in cemento. Lo ha annunciato
il sottosegretario britannico per
l’Immigrazione, Robert Goodwill,
sottolineando che la sua costruzione dovrebbe iniziare «molto presto», forse già entro la fine del mese, e che i lavori potrebbero concludersi entro l’anno. Goodwill ha aggiunto che «è stato già fatto il recinto».
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Le credenziali
dell’ambasciatore di Australia
L’obiettivo è far fronte alla situazione vicino alla cosiddetta «giungla», il campo migranti di Calais,
nel nord della Francia. Un campo
che Parigi ha annunciato di dover
smantellare, ma al momento non
c’è certezza sui tempi. Qui circa
10.000 persone, per lo più provenienti da Africa e Medio oriente,
vivono in condizioni disperate.
Molte di loro, nel tentativo di raggiungere la città inglese di Dover,
rischiano la vita, e talvolta la perdono: undici morti solo quest’anno,
secondo il gruppo umanitario Auberge des Migrants.
Lunedì scorso conducenti di Tir
e agricoltori francesi hanno tenuto
una manifestazione di protesta,
bloccando una delle autostrade per
Calais, per chiedere la chiusura della «giungla». Il campo è nella zona
non lontano dalla più importante
arteria stradale che conduce al porto e dunque agli imbarchi per l’Inghilterra. E a decine ogni giorno
tentano di salire sui tir diretti a Dover, spesso incolonnati in attesa di
raggiungere i traghetti, causando
disagi.
Il muro si va ad aggiungere a
una serie di recinzioni e filo spinato
che hanno trasformato il terminal
dei traghetti e la zona circostante in
una sorta di roccaforte, tuttavia ancora facilmente violabile da gruppi
di profughi che periodicamente
vengono scoperti a bordo di camion dall’altra parte della Manica,
spesso nella contea inglese del
Kent.
Il muro è stato presentato come
parte di un pacchetto da 17 milioni
di sterline (20 milioni di euro) concordato tra Londra e Parigi nel
marzo scorso, in un incontro tra
l’allora premier David Cameron e il
Il commissario dell’Onu per i rifugiati
Nella mattina di giovedì 8 settembre Papa Francesco ha ricevuto in udienza
sua Eccellenza la signora Melissa Louise Hitchman, nuovo ambasciatore di Australia,
per la presentazione delle lettere con cui è stata accreditata presso la Santa Sede
Nessuna invasione
e i muri non servono
SILVINA PÉREZ
A PAGINA
3
presidente François Hollande. Nei
giorni scorsi ne hanno discusso i
ministri degli Interni.
Guardando
all’Italia,
invece,
l’Oxfam, una delle più importanti
confederazioni internazionali specializzate in aiuto umanitario e progetti di sviluppo, ha denunciato un
sistema di accoglienza che non riesce a fornire ai minori migranti il
supporto necessario.
Molti hanno parenti in altri Paesi
e non vogliono fermarsi in Italia.
Ma in attesa che la macchina italiana ed europea si metta in movimento per aiutarli, si sentono braccati e
in diversi fuggono dai centri di accoglienza e si ritrovano a vivere per
strada, trovandosi così esposti a rischi ancora maggiori.
Nei primi sei mesi dell’anno in
corso, 5222 minori non accompagnati sono stati dichiarati «scomparsi».
Dopo la chiusura della rotta dei
Balcani occidentali e l’accordo tra
l’Ue e la Turchia, l’Italia — sottolinea il rapporto dell’Oxfam — si è
ritrovata ancora una volta a essere il
principale punto di accesso per i
migranti diretti in Europa.
DAMASCO, 8. Ancora sangue in Siria dove almeno 15 persone sono
state uccise ieri in bombardamenti
aerei avvenuti ad Aleppo sullo stesso quartiere dove martedì fonti degli attivisti avevano denunciato un
attacco con gas cloro. Il quartiere è
quello di Al Sukkari, in mano a
forze ribelli. Inoltre, i jet israeliani
hanno compiuto raid contro alcuni
obiettivi siriani per la seconda volta in cinque giorni, dopo che un
colpo di mortaio ha raggiunto le
alture del Golan. Lo hanno riferito
le forze di difesa israeliane.
Il ministero della Difesa russo ha
sostenuto che seguitano i combattimenti in Siria. Secondo Mosca,
«formazioni del gruppo Jaysh Al
Islam, che si definisce di opposizione, hanno sparato con mortai e
lanciarazzi multipli sui centri abitati di Er-Rikhan, Haush-Duarah,
Duma, Nashabiyah, Jaubar e Harasta, nella provincia di Damasco».
Mentre il gruppo Ahrar ash-Sham
avrebbe aperto il fuoco su Rasha e
Saraf, nella provincia di Latakia,
con mortai e lanciagranate.
Sul piano diplomatico, l’opposizione siriana, armata e non, riunita
a Londra, compie un’apertura nei
confronti del Governo di Damasco.
E lo fa con un nuovo piano di
transizione negoziabile che, negli
intenti dichiarati, mira a mettere fine alla guerra che insanguina il
Paese, mentre le speranze di tregua
sembrano affidate a un ennesimo
faccia a faccia fra John Kerry e
Serghiei Lavrov in programma oggi
a Ginevra. Il piano prevede un
passaggio di poteri graduale verso
un Governo di coalizione a Damasco, ma riscopre la necessità di accettare un compromesso anche con
il presidente siriano, Bashar Al Assad.
Specchio d’una situazione bellica
confusa, ma certamente virata su
alcuni fronti cruciali a favore delle
forze lealiste grazie al sostegno russo e iraniano, il documento è stato
illustrato nel prestigioso Institute
for Strategic Studies con il sostegno del neoministro degli Esteri
britannico, Boris Johnson. E quindi condiviso in una riunione ristretta a porte chiuse con i capi delle
diplomazie di un “direttorio” di
Paesi occidentali e arabi del gruppo dei cosiddetti Amici della Siria
(Friends of Syria) in cui l’Italia è
stata rappresentata dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.
Il testo porta la firma dell’High
Negotiations Committee (Hnc),
ombrello sotto il quale si sono raccolti dissidenti politici e milizie armate siriane. Stando ai contenuti
emersi in pubblico, si tratta d’un
piano che offre ad Al Assad la possibilità di restare alla presidenza
della Siria per la durata di una fase
negoziale (con lo stop alle ostilità),
da concludersi in un arco di tempo
indicato in sei mesi; poi vi dovrebbe essere il passaggio di consegne
a un Governo di unità nazionale
incaricato di guidare un Paese in
rovina e allo stremo nei primi 18
mesi di un’ipotetica ricostruzione e
portarlo infine a nuove elezioni.
«Una buona visione del futuro»,
la definisce Gentiloni a conclusione
del meeting, avvertendo tuttavia
che la priorità adesso «è porre fine
alla violenza, alla tragedia di Aleppo, ai bombardamenti, all’emigrazione selvaggia» per dare una speranza concreta alla trattativa. E aggrappandosi alle «indicazioni positive» date da Kerry sul suo possibile incontro oggi con Lavrov nel
tentativo di «ingaggiare la Russia
sul cessate il fuoco» in Siria.
Dal canto suo, la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan — sconfinata
con tanto di tank per combattere il
cosiddetto Stato islamico (Is), ma
anche i curdi-siriani alleati degli
Stati Uniti — riapre in queste ore la
porta all’Amministrazione Obama
su possibili azioni congiunte con
Washington contro la roccaforte
jihadista di Raqqa. Nel frattempo
oggi Erdoğan incontra ad Ankara
il segretario generale della Nato,
Jens Stoltenberg, e l’alto rappresentante per la Politica estera e di
sicurezza comune dell’Ue, Federica
Mogherini.
Civili siriani soccorrono un ferito ad Aleppo (Afp)
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto in
udienza ieri pomeriggio l’Eminentissimo Cardinale Telesphore Placidus Toppo, Arcivescovo
di Ranchi (India).
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza Sua
Eccellenza la Signora Melissa
Louise Hitchman, Ambasciatore
di Australia, per la presentazione delle Lettere Credenziali.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza
l’Eminentissimo
Cardinale
George Pell, Prefetto della Segreteria per l’Economia.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza il
Professor Vincenzo Buonomo,
Docente presso la Pontificia
Università Lateranense.
Nomina
di Vescovo Ausiliare
Il Santo Padre ha trasferito
Sua Eccellenza Reverendissima
Monsignor Javier Salinas Viñals, finora Vescovo di Mallorca
(Spagna), all’incarico di Vescovo Ausiliare di Valencia, assegnandogli la sede titolare di
Monterano.
Il Santo Padre ha nominato
Amministratore Apostolico sede
vacante della Diocesi di Mallorca (Spagna) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Sebastià Taltavull Anglada, Vescovo
titolare di Gabi e Ausiliare di
Barcelona.
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venerdì 9 settembre 2016
Manifestazione dell’opposizione
contro Maduro a Los Teques
nei pressi di Caracas (Reuters)
Vertice della Bce a Francoforte
Misure per rilanciare
la crescita economica
FRANCOFORTE, 8. I mercati azionari europei sono oggi in fase di stallo, in attesa delle decisioni della
Banca centrale europea — che si
riunisce a Francoforte — e della
conferenza stampa di Mario Draghi di stasera. La Bce potrebbe
adottare nuove misure per rilanciare la crescita: alcuni economisti sono sicuri che Draghi annuncerà
una nuova estensione del piano di
acquisti di titoli oltre la scadenza
di marzo 2017, ma altri sottolineano che estendere il quantitative easing (qe) non è poi tanto facile,
perché Francoforte, avendo già
comprato oltre 1000 miliardi di euro di bond, rischia di non trovare
più sul mercato titoli idonei.
La maggior parte degli analisti
non prevede variazioni al costo del
denaro, dopo che lo scorso marzo
il principale tasso di rifinanziamento è stato azzerato, mentre il tasso
sui depositi custoditi per conto
delle banche, già negativo, è stato
portato al meno 0,40 per cento.
Né, in assenza di segnali preparatori in tal senso, sono attesi ulteriori potenziamenti delle massicce
misure non convenzionali con cui
da tempo ormai la Bce cerca di rivitalizzare l’economia, con l’obiettivo finale di favorire un ritorno
dell’inflazione a valori di sicurezza
(poco sotto il 2 per cento laddove
ora è vicina a zero). In particolare,
la mole mensile del programma di
acquisti di titoli di stato e privati, il
qe che, sempre a marzo, era stata
potenziata a 80 miliardi di euro dai
precedenti 60 miliardi al mese.
L’ammontare totale dei titoli pubblici rilevato con questo strumento
ha appena oltrepassato la soglia
simbolica dei 1000 miliardi.
Intanto, è stato confermato il
rallentamento della crescita economica, con il pil dell’area euro aumentato dello 0,3 per cento nel secondo trimestre (subito dopo,
quindi, l’ultimo potenziamento
monetario) a fronte del più 0,5 per
cento dei primi tre mesi. In Italia e
Francia la crescita si è proprio azzerata. E, in generale, gli economisti temono che il secondo semestre
— complici anche le conseguenze
del voto a favore della Brexit, che
però restano difficili da quantificare — si riveli più debole della prima metà dell’anno. Scenario di indebolimento che ha trovato ulteriori riscontri negli indicatori sull’atti-
vità economica delle imprese e nei
cali di ordini e produzione dell’industria in Germania.
Diversi osservatori non escludono, ma nemmeno danno per scontato, una possibile proroga del qe
oltre la scadenza attuale, fissata al
marzo del 2017. Il «Financial Times» rileva, tuttavia, che anche
questo semplice provvedimento potrebbe risultare problematico, a
causa dell’assottigliarsi dei titoli
idonei a essere acquistati.
C’è molta attesa per il discorso
di Draghi. Il presidente della Bce è
stato silenzioso nelle ultime settimane, anche prima del direttorio di
luglio, forse, indicano gli osservatori, a causa delle difficoltà nell’elaborare valutazioni sulle conseguenze dell’inatteso voto per la Brexit.
Non ha nemmeno partecipato al
consueto incontro tra banchieri
centrali a Jackson Hole, organizzato dalla Fed di Kansas City.
Nell’ultimo Consiglio, il 21 luglio
scorso, Draghi aveva rilevato che a
questo direttorio sarebbero state disponibili anche le nuove previsioni
su inflazione e crescita economica
dei tecnici dell’istituzione.
Teheran sostiene
l’Opec
per stabilizzare
il mercato
TEHERAN, 8. L’Iran «sostiene qualsiasi decisione dei produttori di petrolio per il ritorno alla stabilità del
mercato». Lo ha dichiarato il ministro del Petrolio iraniano, Bijan
Namdar Zanganeh, dopo l’incontro
a Teheran con il segretario generale
dell’Opec, Mohammed Barkindo.
Zanganeh, citato dall’agenzia di
stampa Shana, ha sottolineato che
la maggior parte dei Paesi membri
dell’Opec auspica un prezzo del
barile intorno ai 50-60 dollari.
Questo prezzo «porterà entrate
vantaggiose»
per
i
membri
dell’Opec, «mentre i loro competitori non saranno in grado di aumentare la produzione».
Intanto, prosegue il recupero del
prezzo del petrolio, alimentato
dall’indebolimento del dollaro e in
parte dall’accordo tra Russia e Arabia Saudita. Sui mercati asiatici il
light crude Wti avanza di 81 cent a
46,31 dollari al barile. Il Brent di
Londra guadagna 76 cent a 48,74
dollari al barile. Sono attesi nel pomeriggio i dati sulle scorte settimanali di greggio statunitense.
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Tra il Governo di Caracas e l’opposizione sul referendum contro Maduro
Scontro totale
CARACAS, 8. L’opposizione venezuelana è tornata ieri a manifestare nelle
principali città del Paese per esigere
che si tenga il referendum contro il
presidente, Nicolás Maduro.
I cortei si sono svolti in un clima
di tensione, segnato dalla presenza
di militanti pro governativi e unità
antisommossa intorno alle sedi locali
del Consiglio nazionale elettorale
(Cne). Dopo la manifestazione della
scorsa settimana, gli antichavisti
hanno concentrato la protesta di
piazza proprio contro il Cne, che accusano di ostacolare e ritardare la
convocazione del referendum, in
modo da evitare che si tenga o, almeno assicurarsi, che avvenga dopo
il 10 gennaio prossimo. L’opposizione preme affinché il voto avvenga
prima di questa data, perché solo in
questo modo una vittoria del sì —
data per scontata da sondaggi e analisti — porterebbe alla rimozione
dell’intero Governo e alla convocazione di nuove elezioni nazionali.
Fermate quattro persone dopo il ritrovamento di un’auto con sette bombole di gas
Allerta terrorismo a Parigi
PARIGI, 8. Altre due persone, un
uomo e una donna, sono state fermate questa mattina in relazione al
ritrovamento, vicino alla cattedrale
di Notre Dame di Parigi, di un’auto potenzialmente esplosiva. Ieri
sei persone erano state bloccate ma
poi solo una coppia era stata trattenuta in stato di fermo. Sospettate, dunque al momento sono due
coppie, originarie del dipartimento
di Loiret, nel centro della Francia.
La procura antiterrorismo della
capitale francese ha aperto un’inchiesta per associazione a delinquere per crimini terroristici. Nel contesto di allarme attuale in Francia,
gli inquirenti hanno preso molto
seriamente il ritrovamento dell’auto
con una bombola di gas vuota sul
sedile e altre sei piene, nel bagagliaio. Già il 24 maggio scorso, in
un’audizione davanti all’Assemblea
nazionale, Patrick Calvar, direttore
generale della sicurezza interiore
(Dgsi), si era detto «persuaso» che
miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is) «passeranno alla fase delle autobomba e degli ordigni
esplosivi».
Il ministro dell’Interno, Bernard
Cazeneuve, ha ricordato che solo
nel mese di agosto sarebbero stati
sventati tre possibili attacchi. Mentre il Governo di Parigi ha comunicato che per la prima volta gli
aspiranti jihadisti francesi che partono per la Siria stanno diminuendo. Si tratta della conseguenza delle sconfitte militari dell’Is, ma anche dell’effetto degli appelli a non
le persone fermate hanno età comprese tra i 26 e i 34 anni. La seconda coppia è stata fermata dalle forze di sicurezza nella tarda serata di
ieri a Montargis, nel dipartimento
del Loiret.
Il ritrovamento dell’auto è avvenuto verso le sette di domenica
mattina quando la polizia, dietro
segnalazione di un avventore di un
bar, ha individuato un veicolo sospetto, con i lampeggianti accesi.
Non c’era detonatore ma all’interno sarebbero stati rinvenuti degli
scritti in arabo.
Secondo le prime ricostruzioni, è
una ragazza di 19 anni ad aver
riempito di bombole di gas l’auto
poi abbandonata. La polizia ha
rintracciato il proprietario, un uomo che abita a Saint-Denis, in banlieue di Parigi. Questi ha riferito
che sua figlia se ne era impadronita, raccontando di voler trascorrere
il weekend con un’amica. La ragazza, è “radicalizzata”, schedata come
jihadista. Non si sa però chi abbia
guidato, chi abbia parcheggiato e
perché sia stata condotta un’azione
con bombole esplosive senza nessun innesco che potesse farle esplodere.
Oggi intanto, è ripreso l’interrogatorio di Salah Abdeslam, l’unico
terrorista ancora vivo protagonista
delle stragi del 13 novembre scorso
a Parigi. A cominciare dal 20 maggio, data del suo primo interrogatorio dopo il trasferimento il 27
aprile dal Belgio, Salah ha esercitato il suo diritto di non rispondere.
Forze antiterrorismo a Parigi (Afp)
uscire più dall’Europa ma a condurre gli attacchi direttamente in
patria.
Le forze dell’antiterrorismo hanno bloccato nella notte tra martedì
e mercoledì la prima coppia mentre
percorreva un’autostrada nei pressi
di Orange, nel dipartimento di
Vaucluse, nella regione Provenza Alpi - Costa Azzurra. Avevano con
sé tre bambini, tra i 3 e i 6 anni. I
due erano noti all’intelligence che
li aveva inseriti in una lista di persone da tenere sotto controllo, perché ritenuti aperti alle tesi del cosiddetto Stato islamico (Is). Tutte
Così i gruppi a sostegno dell’Esecutivo di Maduro hanno occupato
varie sedi del Cne — che per evitare
rischi ha obbligato i dipendenti a
non recarsi al lavoro — mentre la polizia e la Guardia nazionale hanno
impedito che si avvicinassero i cortei. Jesus Torrealba, segretario della
coalizione antichavista, ha messo in
allerta i manifestanti, avvisando sulla
presenza di «provocatori che potrebbero creare scontri o atti di violenza
a margine delle manifestazioni».
BRASILIA, 8. Con la cerimonia di
apertura, ieri sera allo stadio Maracanã di Rio de Janeiro, ha preso il via ufficialmente la XV Paralimpiade estiva, la prima nel continente sudamericano.
Oltre 4500 atleti, in rappresentanza di 176 Nazioni, hanno sfilato all’interno dell’impianto della
città carioca. La nutrita delegazione italiana è stata guidata dalla
portabandiera, Martina Caironi.
La manifestazione sportiva durerà
undici giorni: in palio 528 medaglie d’oro in 23 discipline. Per la
prima volta, partecipa alle gare
una delegazione di rifugiati sotto
la bandiera dell’International Paralympic Committee.
Nonostante le difficoltà nella
raccolta dei fondi necessari per il
regolare svolgimento dei Giochi,
negli ultimi giorni è cresciuta l’attenzione verso le Paralimpiadi,
con un incremento delle vendite
dei biglietti, che ha raggiunto il
milione e mezzo.
Per garantire la sicurezza delle
Paralimpiadi, che si svolgono 18
giorni dopo la chiusura delle
Olimpiadi, oltre 23.000 militari di
esercito, aeronautica e marina sono impegnati a Rio de Janeiro.
La chiusura dei Giochi, fissata
per il 18 settembre, vedrà ancora
una volta lo stadio Maracanã protagonista.
Alluvioni devastano la Grecia
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
un’altra donna è dispersa da quando è uscita dalla propria auto.
Le alluvioni hanno distrutto abitazioni e capannoni e spazzato via e
trascinato in mare numerose automobili. Sommerse in parte dall’acqua anche le città di Salonicco e
Sparta dove i soccorritori sono impegnati a portare aiuti alla popolazione. Il sindaco di Kalamata, citato dall’emittente Bbc, ha reso noto
che ieri, in una sola ora, sono caduti sulla sua città 140 millimetri di
pioggia.
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caporedattore
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
Il nuovo
ambasciatore
di Australia
Aperti
a Rio de Janeiro
i Giochi
paralimpici
Tre morti e un disperso nella città di Kalamata
ATENE, 8. Piogge torrenziali che
hanno provocato improvvise alluvioni e straripamenti in Grecia hanno fatto nelle ultime ore almeno tre
morti accertati, mentre per ora una
quarta persona è dispersa.
La zona più colpita, secondo i
media internazionali, è la città sudoccidentale di Kalamata, dove due
persone anziane sono state trovate
morte annegate nei seminterrati in
cui vivevano. In un’altra casa una
donna di 90 anni è stata trovata
morta, mentre nel nord della Grecia
A Caracas, invece dei cortei, l’opposizione ha organizzato un’altra
forma di protesta: per dieci minuti,
immediatamente dopo mezzogiorno,
i cittadini sono stati chiamati a interrompere ogni attività e a far suonare
sirene, clacson e pentole.
E mentre l’opposizione chiede a
gran voce di poter votare quanto
prima la destituzione di Maduro, lo
scontro istituzionale fra il Parlamento — dove siede una maggioranza
antichavista di due terzi — e il Tribunale supremo di giustizia (Tsj) è
diventato ormai totale. Henry Ramos Allup, presidente del Parlamento, ha detto che questo organismo
«non intende ubbidire a nessuna decisione del Tsj, né di nessun altro
potere che violi la Costituzione»,
dopo che l’Alta corte ha annunciato
che tutte le decisioni del Parlamento
sono da considerare prive di ogni
valore legale. Il Tsj ha dichiarato invalida ogni azione del Parlamento,
dopo che l’Assemblea ha formalizzato l’attribuzione dei seggi a tre deputati oppositori dello Stato di
Amazonas, eletti nelle politiche dello
scorso dicembre, che l’Alta corte ritiene “abusivi” perché la giustizia
non ha ancora deciso riguardo a una
serie di accuse di brogli presentate
dal partito di Governo.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Sua Eccellenza la signora Melissa
Louise Hitchman, nuovo ambasciatore di Australia presso la Santa Sede, è sposata e ha quattro figli, dei
quali tre figlie e uno deceduto.
Laureata in economia (Australian
National University, 1988), ha poi
ottenuto un master in sicurezza nazionale (Australian National University, 2012).
Ha ricoperto i seguenti incarichi:
funzionario presso l’Europe Division
del ministero degli Affari esteri
(1989-1991); consigliere presso la divisione internazionale del Gabinetto
del primo ministro (1991); Executive
Officer presso il ministero degli Affari esteri, responsabile del Women’s
Policy e Policy Planning per il Sudafrica, il Giappone, il DPRK (19912000); primo segretario presso l’High Commission a Londra (20012004); Executive Officer della Defence Policy & Liaison Section presso il ministero degli Affari esteri
(2006-2007); direttore della segreteria della Commissione internazionale
per la non-proliferazione nucleare e
per il disarmo presso il ministero degli Affari esteri (2008-2010); direttore della Intelligence Review presso il
ministero degli Affari esteri (20102011); direttore della sezione per la
Sicurezza regionale e nazionale presso il ministero degli Affari esteri
(2011); vice capo del Protocollo presso il ministero degli Affari esteri
(2013-2016).
A Sua Eccellenza la signora Melissa Louise Hitchman, nuovo ambasciatore di Australia presso la Santa
Sede, nel momento in cui si accinge
a ricoprire il suo alto incarico, giungano le felicitazioni del nostro giornale.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
Via Monte Rosa 91, 20149 Milano
telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
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Intesa San Paolo
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
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Migranti soccorsi
nel mar Mediterrnaeo (Reuters)
Intervista con l’Alto commissario dell’Onu per i rifugiati
Nessuna invasione e i muri non servono
di SILVINA PÉREZ
«Che si tratti di rifugiati o di migranti per ragioni economiche credere di respingerli con muri o barriere
è un po’ ingenuo oltre che inefficace. Accogliere chi fugge da guerre e
violenze è un principio fondamentale di civiltà nato in Europa». A sostenerlo è Filippo Grandi, cinquantottenne milanese, che da gennaio è
il nuovo Alto commissario dell’O nu
per i rifugiati, in un’intervista all’O sservatore Romano. L’Unhcr è
l’agenzia delle Nazioni Unite che
dal 1951 supervisiona le crisi umanitarie e gestisce la protezione internazionale e l’assistenza ai profughi.
In Europa vengono costruiti continuamente nuovi muri, servono?
No, assolutamente. Sono misure a
breve termine e anche molto deboli.
La chiave di volta resta l’imperativo
di risolvere guerre e povertà, generatrici di esodi. Respingere persone
con muri o barriere è inefficace. Si
dimentica troppo spesso che la Convenzione sui rifugiati è nata proprio
per gestire un problema europeo
all’inizio della guerra fredda e con
l’arrivo di tante persone dal blocco
sovietico in occidente. Questa è stata
l’origine della legislazione internazionale sui rifugiati. Bisogna armonizzare regole e pratiche dell’accoglienza, in primo luogo evitando
muri e respingimenti. Oggi molti sostengono che dobbiamo respingere
queste persone perché contrarie ai
valori della civiltà europea ma è proprio quel rifiuto che è contrario ai
nostri valori. Rifiutare, è una contraddizione in termini rifiutare. Rischiamo di mettere in pericolo uno
dei cardini del sistema internazionale
dei diritti umani.
Esiste una invasione di profughi?
Non bisogna sottovalutare il dato
che l’anno scorso in Europa sono arrivate più di un milione di persone
tra cui molti, la maggioranza, rifugiati. È un numero importante che
va gestito con una certa organizzazione. I movimenti di popolazioni,
oggi, sono inevitabili. Guardi, sono
tornato due giorni fa dall’Uganda
dove ogni giorno arrivano da 800 a
1000 rifugiati, provenienti dal Sud
Sudan, dal Burundi e dalla Repubblica del Congo e vengono ospitati
Tra i leader dell’Asean
Intesa per rafforzare
la cooperazione
VIENTIANE, 8. I leader dei Paesi
dell’Asean — più Cina, Giappone e
Corea del Sud — hanno ribadito il
rafforzamento della cooperazione
su commercio, investimenti e infrastrutture. L’intesa è stata raggiunta
oggi a Vientiane durante il cosiddetto summit “Asean più tre”, uno
dei formati di confronto tra i dieci
Paesi dell’Associazione delle Nazioni del sudest asiatico (Brunei,
Cambogia, Indonesia, Filippine,
Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam) con i
principali leader regionali.
I premier cinese e nipponico, Li
Keqiang e Shinzo Abe, e la presidente sudcoreana, Park Geun Hye,
hanno convenuto di rincontrarsi
nella “trilaterale”, il vertice avviato
nel 2008 e interrotto pochi anni
dopo per la crisi sulle isole contese
Riunione al Cairo
sugli aiuti
allo Yemen
IL CAIRO, 8. L’Egitto ospiterà a
marzo 2017 una conferenza internazionale sugli aiuti umanitari da destinare allo Yemen, Paese sconvolto da una sanguinosa
guerra civile — quasi ignorata
dai media — che secondo stime
delle Nazioni Unite ha già causato oltre 6500 morti, 30.000 feriti e circa tre milioni di sfollati.
Lo ha annunciato ieri un ministro del Governo yemenita stando a quanto scrive il sito web
del quotidiano filo-governativo
egiziano «Al Ahram».
«Stiamo preparando una conferenza che si terrà a marzo a
Sharm El Sheikh — ha precisato
il ministro dell’Amministrazione
sociale Abdel-Raqeeb Fateh —
per ottenere aiuti da organizzazioni umanitarie, della società
civile e molti altri donatori».
I sanguinosi combattimenti
nello Yemen contrappongono da
quasi due anni i ribelli huthi, alleati con le milizie dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh, e le
forze del presidente yemenita,
Abd Rabbo Mansur Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale e appoggiato da una
coalizione guidata dall’Arabia
Saudita a cui prende parte anche l’Egitto.
tra Tokyo e Pechino. Il Giappone
vorrebbe ospitare il summit tra fine
novembre e inizio dicembre, a conferma di un miglior clima diplomatico tra Paesi vicini. Nei giorni
scorsi in Cina, al termine del vertice del G20 di Hangzhou, Abe e il
presidente cinese, Xi Jinping, hanno avuto un proficuo colloquio, da
cui è emerso il proposito di «riportare i rapporti sul giusto binario».
E per evitare pericolose escalation nel mar della Cina meridionale è prevista per oggi la firma di un
apposito protocollo tra Asean e Pechino. Uno degli argomenti al centro delle discussione a Vientiane è
proprio quello sulle isole contese.
A riguardo, il presidente degli
Stati Uniti, Barack Obama, presente al summit dell’Asean assieme ad
altri importanti leader mondiali, ha
detto che la sentenza dello scorso
luglio sul mar della Cina meridionale della Corte permanente di arbitrato dell’Aja va rispettata.
Due mesi fa, l’Aja ha infatti stabilito che Pechino non ha alcun diritto storico sulle isole del mar Cinese meridionale. «La sentenza è
vincolante e contribuisce a chiarire
i diritti del mare nella regione», ha
precisato Obama. «Riconosco che
possa sollevare tensioni, ma auspico che possa dare il via a discussioni su come sarà possibile progredire insieme in modo costruttivo per
diminuire le tensioni e promuovere
la democrazia e la stabilità nella regione», ha aggiunto.
Pechino — ricordano gli analisti
— considera sotto la sua sovranità
la quasi totalità del mar della Cina
meridionale, oggetto di contenziosi
territoriali con Filippine, Vietnam,
Malaysia e Brunei, tutti Paesi
membri dell’Asean. Le autorità degli Stati Uniti rivendicano i diritti
di libera navigazione aerea e marittima nella zona e Obama ha insistito che le navi del suo Paese possano «continuare a sorvolare e navigare» in quel tratto di mare.
E poco prima della cena di gala
dell’Asean nella capitale del Laos,
Obama e il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, hanno avuto un breve scambio amichevole,
con una stretta di mano e qualche
parola. Lo ha reso noto, informa
l’agenzia Associated Press, il ministro degli Esteri di Manila, Perfecto Yasay, sottolineando che le relazioni bilaterali rimangono «solide,
e molto forti». Qualche giorno fa,
Duterte aveva pesantemente insultato il presidente degli Stati Uniti,
che aveva poi deciso di annullare
un previsto incontro a due.
in un paese che ha molte meno risorse di qualsiasi stato europeo. Noi
europei, abbiamo una spiccata tendenza alla personalizzazione di una
crisi che ha numeri enormi. Eppure
paesi ben più poveri, vicini alle peggiori aeree di crisi, si fanno carico di
metà dei rifugiati e richiedenti asilo
di tutto il mondo. L’emergenza è altrove e colpisce soprattutto l’Africa il
Medio oriente e l’America latina. Per
questo consiglio di vedere le cose in
prospettiva. È vero che l’Europa ha
avuto molto arrivi durante il 2015
ma non parlerei proprio di una invasione, direi che è una situazione
complessa da gestire ma ce ne sono
altre di molto più gravi.
Come affrontare una situazione che non
è più emergenziale ma un fenomeno che
ormai si manifesta da anni e che proseguirà a lungo? Bisogna accoglierli
tutti?
Partiamo dal fatto che i rifugiati
non sono mendicanti, rivali per il lavoro, o terroristi, ma sono persone
come noi, le cui vite sono state sconvolte dalla guerra. In contrasto con
la narrazione sbagliata ripetutamente
presente nei media, certe cose vanno
ricordate. Però l’accoglienza va fatta
in modo organizzato, non possiamo
lasciare che sia anarchica come è lo
stata l’anno scorso. Serve un approccio più comunitario e redistributivo.
La Germania in particolare ha accolto in poco tempo un numero spropositato di persone mentre ci sono
altri paesi che non hanno accolto
nessuno. Anzi, invece di una ripartizione degli oneri, vediamo la chiusura delle frontiere. La solidarietà, oggi spesso criticata e vista con sospetto, è in realtà il punto di partenza
per qualsiasi soluzione delle crisi che
ci minacciano.
Conferenza
sugli investimenti
in Tunisia
TUNISI, 8. Si terrà tra il 28 e il 30
novembre a Tunisi la conferenza
internazionale sugli investimenti
preannunciata nel 2015 e inizialmente programmata per il primo
semestre 2016. L’appuntamento è
organizzato e promosso dal ministero dello Sviluppo e della Cooperazione internazionale, che ha
invitato capi di Stato e di Governo, dirigenti di istituzioni internazionali e di organizzazioni finanziarie di rilevanza mondiale.
Grandi potenze, tra cui Cina e
Giappone, hanno espresso l’intenzione di contribuire allo sviluppo
del Paese nordafricano, che sta attraversando un periodo difficile
dalla “rivoluzione dei gelsomini”
del 2011. La conferenza internazionale sugli investimenti sarà il
punto d’arrivo di una campagna
di promozione a livello globale
lanciata il 9 giugno scorso dal
Governo tunisino per presentare
il suo piano di sviluppo, “Tunisia
2020”, per i prossimi cinque anni.
L’accordo Ue con la Turchia per arginare la partenza dei flussi non rischia
di fare rimanere l’Italia intrappolata?
Il rischio di diventare un «ricevitore» di migranti, senza grandi sbocchi esterni c’è. Il disordine dell’attuale gestione giustifica questo allarme. La mancanza di coordinamento
e solidarietà dà forza a chi vuole alzare le barriere. Se non funziona la
“valvola” che consente la distribuzione delle persone, Italia e Grecia
ovviamente si troveranno in prima linea.
Il tema dell’accoglienza è sempre legato
alla solidità delle leadership nazionali.
Come dovrebbe agire la politica?
Una gestione ordinata dei profughi è la migliore ricetta per rassicurare l’opinione pubblica. La dimostrazione palese sono stati i flussi incontrollati per buona parte del 2015,
che hanno finito con l’avere un forte
impatto soprattutto sui paesi di primo transito come la Grecia e l’Italia
e su quelli che hanno ricevuto la
massa principale di arrivi, come la
Germania, Austria e la Svezia. L’Europa deve europeizzare l’accoglienza
e le due parole d’ordine sono solidarietà e organizzazione. Una solidarietà basata su principi internazionali
secondo i quali i rifugiati devono essere accolti quando non hanno più
protezione nel loro paese. È importante sottolineare che i numeri di rifugiati in Europa sono ancora gestibili. Con una popolazione di 400
milioni e un milione di migranti
(non solo rifugiati) arrivati nel 2015,
il rapporto è di uno a quattrocento,
ad esempio in Libano il rapporto è 1
a 3. In più di trent’anni di lavoro
con i rifugiati ne ho incontrati pochi
che fuggissero senza un disperato
rammarico di dover partire; e che
non desiderassero tornare a casa.
Abbiamo dato molti consigli ai paesi
europei in questa materia ma la questione fondamentale è che l’Europa
non ha saputo organizzarsi e lavorare insieme nella gestione dei flussi, si
è lavorato paese per paese in ordine
sparso.
Quanto è fondato il rischio che fra i
profughi si nascondano dei terroristi?
I protagonisti degli attacchi terroristici in Francia e Belgio non erano
immigrati ma cittadini locali discendenti di stranieri di terza generazione. E questo ci fa comprendere il
fallimento della politica dell’integrazione. Per questo bisogna fare di più
e ragionare a lungo termine. Non ci
sono alternative.
Secondo l’inviato speciale dell’Onu Martin Kobler
Dialogo costruttivo
tra le fazioni libiche
TRIPOLI, 8. «Il solo modo per mettere fine alla crisi libica è un Governo forte». Lo ha detto ieri l’inviato
speciale dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, nel corso di una conferenza stampa a Tunisi al termine
della riunione del dialogo inter-libico. Kobler si è felicitato della presenza all’incontro di alcune personalità politiche che avevano boicottato
il Consiglio presidenziale del premier designato, Fayez Al Sarraj, e ha
parlato di un «dialogo costruttivo».
Il tema della riconciliazione nazionale — il Parlamento di Tobruk non
ha infatti ancora conferito la fiducia
al Governo di accordo nazionale di
Tripoli presieduto da Al Sarraj — la
lotta al terrorismo, la sicurezza nel
Paese e il tema delle migrazioni rappresentano le prossime sfide per la
Libia, ha aggiunto Kobler.
E, intanto, il vice premier libico,
Musa Koni, ha chiesto a Italia e
Germania di accogliere i feriti nella
battaglia di Sirte ricoverati in un
ospedale tunisino. Il membro del
Consiglio di presidenza libico ha fatto visita ieri a un gruppo di soldati
ricoverati in un ospedale di Tunisi.
Il politico ha colto l’occasione per
pubblicare un messaggio nel quale
chiede «ai Paesi del mondo e in particolare a Germania e Italia di concedere un visto a queste persone
perché siano curate nei due Paesi».
Nel frattempo, mentre si stringe la
morsa sugli ultimi jihadisti a Sirte —
che si fanno scudo della popolazione rimasta, donne e bambini, nella
resistenza contro le forze di Tripoli
— un’autobomba è esplosa questa
mattina di fronte alla base navale
Busita nella capitale libica, vicino
agli edifici ministeriali nel distretto
di Al-Zawiat Dahmani. La bomba
non ha causato gravi danni e non si
registrano vittime. Al momento nessuno ha rivendicato l’attacco.
Sono adeguate le misure annunciate
dall’Europa per contrastare l’azione dei
trafficanti di esseri umani?
Capovolgo la domanda: perché
quasi un milione di persone nel 2015
ha dovuto scegliere di venire in Europa mettendosi nelle mani di trafficanti e scafisti? Per l’Unhcr è importante dare ai rifugiati, soprattutto i
più vulnerabili, la possibilità di essere trasferiti legalmente in paesi che
offrono asilo sicuro. In marzo avevamo proposto ai paesi che hanno più
risorse il reinsediamento del 10 per
cento di tutti rifugiati siriani che vivono nei Paesi limitrofi alla Siria, i
quali ospitano circa cinque milioni
di persone in grande difficoltà. Ma
la risposta è stata molto modesta.
Sempre più critica
la situazione
in Sud Sudan
KINSHASA, 8. Oltre cento militari
dell’opposizione del Sud Sudan
— «in condizioni di salute molto
gravi e allo stremo delle forze»,
rendono noto fonti delle Nazioni
Unite — hanno attraversato il
confine entrando in territorio
congolese e sono stati accompagnati in strutture sanitarie per cure
mediche.
Il
portavoce
dell’Onu, Stéphane Dujarric, ha
aggiunto che il Palazzo di Vetro è
in contatto con i Governi congolese e del Sud Sudan, «allo scopo
— si legge in una nota — di trovare una soluzione». Dujarric ha
spiegato che i sostenitori del leader d’opposizione, Riek Machar,
sono stati trovati attorno al parco
nazionale congolese di Garamba,
vicino al confine con il Sud Sudan. Uomini della missione di
pace dell’Onu li hanno poi accompagnati in ospedale per ricevere assistenza medica urgente,
«in attesa — conclude la nota —
del loro disarmo volontario».
A un anno dalla revoca dell’ordine di sgombero dopo il disastro di Fukushima in pochi sono tornati
Naraha rischia di diventare una città fantasma
TOKYO, 8. A distanza di un anno
dalla revoca dell’ordine di sgombero
dalla città giapponese di Naraha, il
primo centro urbano al confine dei
20 chilometri nella zona di evacuazione attorno alla disastrata centrale
nucleare di Fukushima, solo il 10 per
cento della popolazione ha fatto ritorno alle proprie abitazioni.
Secondo i dati della municipalità,
dei 7300 abitanti censiti appena 681
hanno ripreso possesso delle loro case. E un numero ancora più limitato
ha iniziato attività agricole rispetto a
un quarto della popolazione che prima dell’incidente lavorava la terra.
Attualmente, la coltivazione nelle risaie avviene solo in circa 20 ettari
del territorio, una percentuale equi-
valente al 5 per cento dell’intera area
prima del disastro ambientale.
In base alle rilevazioni dell’Agenzia per la ricostruzione, poco più
dell’8 per cento dei 2000 nuclei familiari ha dichiarato che intende ritornare, mentre la maggior parte della popolazione ha indicato che farà
ritorno solo se determinate condizioni verranno rispettate. All’indomani
dell’incidente a Fukushima che nel
marzo 2011 seguì un devastante terremoto e lo tsunami, il Governo di
Tokyo impose alla popolazione lo
sfollamento entro un raggio di 20
chilometri dalla centrale. Naraha fu
la prima delle sette municipalità dove la cittadinanza fu costretta allo
sgombero a causa delle radiazioni.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
venerdì 9 settembre 2016
Costumi e altri oggetti utilizzati dai Beatles
esposti a Londra (Afp)
Gli strani scherzi di Dio
Galeotto fu il libro
di ALBERTO FABIO AMBROSIO
l Signore gioca strani scherzi nella vita di un credente. Questi stratagemmi di Dio — come direbbero i musulmani — avvengono talvolta grazie ad un
libro. Da un lato la tradizione letteraria europea,
quella migliore si intende, ha sempre intravisto nella lettura di un libro l’origine di un innamoramento, di
una passione travolgente, talvolta nascosta, al limite del lecito. Famosa è quella di Paolo e Francesca, così magistralmente raccontata dal grande poeta Dante. La lettura di
una storia d’amore provoca l’amore nei lettori e svela la
passione della loro vita. E quanti sono gli amori che sbocciano nell’incontro intellettuale e nella comunanza di studio, se non di ricerca? È bello pensare, vedere e constatare
quanto la lettura amorosa provochi l’amore.
Questo stesso procedimento interiore ed emozionale lo
si intravede in un altro campo, in un’altra passione: quella di Dio. Non è infrequente nella storia della spiritualità
cristiana individuare casi di vocazione religiosa nata grazie alla lettura di un’agiografia, della vita interiore di un
santo o di un mistico. Si pensi a sant’Ignazio di Loyola,
che nel suo periodo di malattia lesse quante più agiografie poteva. E da quella lettura appassionata è nata la vocazione che ha segnato la storia della Chiesa cattolica.
Così è nata la vocazione anche di Edith Stein, santa Teresa Benedetta della Croce, che leggendo in una sola notte la vita di santa Teresa di Avila ha pronunciato il voto
di consacrare la sua vita al Signore nel Carmelo e il seguito lo conosciamo.
I
A Londra una mostra sugli anni Sessanta
Il sergente Pepe sempre in servizio
di GAETANO VALLINI
hi li ha vissuti non esita ancora oggi a definire favolosi gli anni Sessanta del secolo scorso,
ricordandone l’afflato
creativo e rivoluzionario, in parte
utopico, che li animò. Chi è arrivato dopo ne coglie tuttora l’eco nelle
storie dei personaggi che s’imposero in quegli anni e nelle loro idee o
opere, che sono divenute icone senza tempo. Magari qualcuna un po’
meno brillante col passare degli anni, tuttavia pur sempre capace di
suscitare un certo fascino. Ma cosa
furono realmente gli anni Sessanta,
qual è stata la loro importanza, che
impatto hanno avuto sulla società
contemporanea e dunque sulla vita
attuale? Sono gli interrogativi a cui
cerca di dare risposta «You Say
You Want a Revolution? Records
and Rebels 1966–1970», l’originale
mostra allestita al Victoria and Albert Museum (V&A) di Londra che
aprirà i battenti il 10 settembre, che
scandaglia le tendenze culturali, le
battaglie politiche, le scoperte
C
Non è infrequente nella storia cristiana
individuare casi di vocazione religiosa nata
grazie alla lettura di un’agiografia
sulla vita interiore di un santo o di un mistico
Non voglio certo paragonarmi a questi giganti dello spirito o delle lettere, ma questo pensiero mi è nato per un
“caso” di cui sono testimone in prima persona. Per un fortuito azzardo della vita mi sono dovuto recare a Pesaro, la
città di Rossini. Un po’ di corsa, come è la vita oggi, ho
imboccato il cosiddetto corso e dopo pochi metri mi sono
imbattuto in una libreria. Mi si obietterà che nulla di particolarmente eccezionale si trova in una libreria. Nulla per
tanti, tanto più che questa in particolare ha un sapore di
altri tempi, quasi retrò. L’iscrizione “Buona stampa” come
si diceva fino ad alcuni anni fa, sovrasta ancora l’entrata,
un mobilio quasi antico sorregge i numerosi libri di stampo chiaramente cattolico. Eppure quel luogo ha segnato la
mia vita: lì ho preso la decisione — o meglio ho risposto
alla chiamata — di entrare nell’Ordine di san Domenico.
Due sono i libri che avevo chiesto alla responsabile più di
venticinque anni fa. Mi sarei fidato del più critico e scientifico che avrei trovato, avevo deciso. Due erano i personaggi che mi conquistavano senza conoscerli veramente:
sant’Ignazio appunto, fondatore dei gesuiti e san Domenico, fondatore dei domenicani. Del primo mi fu portata
una biografia senza note critiche che mi scoraggiava perché nel mio intelletto volevo e desideravo solo dedicarmi
ad un Ordine il cui fondatore potessi conoscere nella sua
vera realtà. Mi fu presentata una biografia senza la minima
nota. Con rammarico — perché quella forse era la mia prima scelta — declinai per La legenda di san Domenico, biografia realizzata da un frate domenicano, avrei scoperto in
seguito, di origini ungheresi. Il desiderio di consacrarmi al
Signore era troppo impellente. In cuor mio dissi: «e sia
per san Domenico!». Galeotto fu il libro e chi lo scrisse,
ma in senso buono.
Poi, tanti anni dopo, passo davanti a questa vetrina e
ritrovo tutto il mobilio intatto. Il pensiero di rendimento
di grazie è salito al cielo.
La nostra fede non è quella della gente del libro, come
dicono i musulmani, ma è vero che la parola di Dio, Cristo, è parola breve come dicevano i medievali. Il libro nel
cristianesimo ha un valore immenso, ma non idolatrico.
La parola di Dio incarnatasi anche nella Scrittura diventa
la cifra, il simbolo, il segno che la parola scritta è capace
di comunicare una grazia unica.
Forse verrebbe la pena in questi tempi virtuali, per appassionarsi di più alla vita, all’amore e a Dio frequentare
di più i libri scritti, immergersi nella cellulosa che sprigiona qualcosa di inimmaginabile alla logica puramente
umana.
Non tutti condivideranno
una lettura entusiastica del periodo
ma l’eredità lasciata è consistente
E non solo nei costumi
scientifiche che caratterizzarono in
particolare l’ultimo lustro — 1826
giorni, precisano i curatori — di
quel formidabile decennio.
Certo, non tutti condividono una
lettura entusiastica del periodo, almeno non di tutto. E di sicuro i
più critici non si troveranno a proprio agio visitando la mostra. Anche perché lo sguardo non è propriamente
storico,
concentrato
com’è sui fenomeni giovanili che
animarono quegli anni, la musica in
particolare, con la sua scia di “fumo” e di acido lisergico che s’insinuò anche nelle arti figurative, alimentando le avanguardie più disparate. E ciononostante l’eredità lasciata è di quelle consistenti, non
solo nei costumi. Si dovrà ammette-
Il viaggio umano dell’Enterprise
«Spazio, ultima frontiera. Eccovi i viaggi
dell’astronave Enterprise durante la sua
missione quinquennale, diretta
all’esplorazione di strani, nuovi mondi, alla
ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino
ad arrivare là dove nessun uomo è mai
giunto prima». Era l’8 settembre 1966
quando questa frase faceva da introduzione
al primo episodio di una serie di telefilm,
come si diceva all’epoca, che avrebbe a suo
modo segnato un’epoca. Star Trek non è
stato solo un travolgente successo, televisivo
prima e cinematografico dopo. Milioni di
persone si sono appassionate alle avventure
intergalattiche del capitano Kirk e del suo
fido equipaggio, perché in quegli anni di
guerra fredda — mentre i costruttori di rifugi
antiatomici facevano soldi a palate
soprattutto negli Stati Uniti — Star Trek
proponeva un vero modello di cooperazione.
Scopo dei viaggi stellari della Enterprise era
avvicinare nuove civiltà per proporre
relazioni pacifiche su una base di
eguaglianza. E in questa ricerca il
comandante della nave era accompagnato da
un gruppo composito in cui figuravano tra
gli altri un giapponese, una nera e anche un
alieno, il mitico dottor Spock (interpretato
da Leonard Nimoy), un po’ troppo umano
per essere del tutto libero dalle emozioni,
come la sua natura vulcaniana avrebbe
invece reclamato. Oggi potrebbe apparire
tutto normale, ma bisogna ricordare che
quell’America era da poco uscita da una
sanguinosa guerra combattuta anche contro
il Giappone ed era attraversata da profonde
tensioni razziali. Per non parlare poi dei
rapporti con i Paesi di oltrecortina, distanti
come nemmeno Vulcano. Un viaggio stellare
tutto umano, quindi, alla ricerca di nuovi
modi per capirsi. Un viaggio di cui c’è
sempre bisogno. (giuseppe fiorentino)
re che molto di ciò che viviamo oggi, di ciò che per alcuni ha cambiato il mondo — in meglio o in peggio a seconda dei punti di vista —
arriva proprio da lì.
Un progetto ambizioso, come riconosce lo stesso Martin Roth, direttore del V&A, secondo il quale
questa «inquadratura della controcultura della fine degli anni Sessanta mostra l’incredibile rilevanza che
quel periodo rivoluzionario ha per
la nostra vita attuale», gettando
«nuova luce sui vasti cambiamenti
sociali, culturali e intellettuali della
fine degli anni Sessanta, seguiti
all’austerità degli anni del dopoguerra, non solo nel Regno Unito,
ma in tutto il mondo occidentale».
Oltre 350 oggetti — foto, poster,
dischi, libri, riviste, film, oggetti di
moda e di design — che hanno definito la controcultura, raccontano
infatti in che modo un’intera generazione, nata nell’immediato dopoguerra, si è scrollata di dosso quelli
che considerava i limiti del passato
e i modelli di vita dei loro genitori,
rivoluzionando in modo radicale il
modo di vivere proprio e delle generazioni a venire. E non a caso il
titolo della mostra — corredata da
un catalogo di 320 pagine ampiamente illustrato — è tratto dal verso
iniziale di una nota canzone dei
Beatles di quegli anni che ben descrive lo spirito dell’epoca, in cui la
cultura giovanile catalizzò l’idealismo che l’alimentava, spingendo le
persone a mettere in discussione costumi e strutture in ogni ambito
della società.
Gli oggetti provengono dalle collezioni del V&A, a cui si sono aggiunti importanti prestiti, ed evidenziano il collegamento tra persone, luoghi e movimenti dal Regno
Unito agli Stati Uniti. Insomma
dal glamour della londoniana Carnaby Street al regno hippy tra Haight e Hasbury Street a San Francisco. Una parte importante è giocata
dalla musica, che viene diffusa attraverso
auricolari,
utilizzando
un’audioguida dalla tecnologia innovativa, che adatta il suono alla
posizione del visitatore nella galleria. Non mancano spettacoli di luce
psichedelici e proiezioni di film
dell’epoca — da Blow Up a Easy Rider, da 2001: Odissea nello spazio ad
Alfie — per creare un’esperienza audiovisiva piena.
La mostra è suddivisa in sei sezioni, ognuna delle quali presenta
una diversa rivoluzione ricreandone
l’atmosfera. Si parte proprio con
una riproduzione di Carnaby
Street, esplorando il rinnovamento
dell’identità dei giovani nel 1966. È
l’anno in cui la rivista «Time» dà a
Londra il soprannome «The Swinging City», che riflette la sua
straordinaria crescita come centro
culturale per la moda, la musica,
l’arte e la fotografia. Si potranno
ammirare, ad esempio, opere d’arte
originali di Richard Hamilton, i costumi disegnati per Mick Jagger e
Sandie Shaw, le fotografie di David
Bailey e Terry O’Neill che ritraggono personaggi che vanno da Michael Caine ai Rolling Stones, Robert Fraser e i fratelli Kray.
Si passa poi ai club e alla controcultura, dove si esploravano forme
di sperimentazione, stili di vita alternativi e l’idea di rivoluzione nella
mente, tra uso delle droghe e fascino per l’occulto. Ci si imbatte, così,
in riviste underground come «Oz»
e «International Times», più cono-
sciuta come «It», anche se la visita
è incentrata sul club londinese Ufo,
un luogo d’incontro noto per combinare la musica dal vivo — qui si
esibivano i Pink Floyd — con spettacoli di luce e film d’avanguardia.
L’influenza senza precedenti dei
Beatles è evidenziata in particolare
in uno spazio dedicato alla pubblicazione del rivoluzionario Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band nel
luglio 1967, nel quale si trovano gli
abiti indossati da John Lennon e
George Harrison per la copertina
dell’album, il testo manoscritto di
Lucy in the Sky with Diamonds, oltre
a illustrazioni originali di Alan Aldridge, il sitar e il diario del 1967 di
Harrison.
La rivoluzione nelle strade partì
in Europa ma attraversò l’oceano,
me alla tuta spaziale indossata da
William Anders, che durante la
missione Apollo 8 scattò l’epocale
fotografia del «sorgere della Terra»;
così come un raro computer Apple
1 (per la verità realizzato più tardi,
nel 1977).
Non manca uno spazio dedicato
ai grandi raduni musicali giovanili,
con le folle spesso spinte da una visione utopistica del vivere insieme.
Strumenti musicali e costumi — tra
i cimeli una giacca e una chitarra di
Jimi Hendrix — sono esposti su
uno sfondo di grandi schermi che
mostrano spezzoni di noti festival,
da
Monterey
a
Glastonbury,
dall’Isola di Wight al Newport Jazz
Festival. Ma il fulcro è naturalmente Woodstock. Si getta uno sguardo dietro le quinte, illustrando l’or-
Manifestazione contro la guerra in Vietnam davanti alla sede del Pentagono (Berni Boston, Getty Images)
sfidando la politica e sfociando anche nelle manifestazioni violente
della fine degli anni Sessanta. Qui
ci si concentra sulle rivolte studentesche del 1968 a Parigi — si può
leggere una lista della spesa scritta
dietro le barricate — con i manifesti
di Atelier Populaire incollati ai muri durante le contestazioni, accompagnati da spezzoni di cinegiornali
e musica relativi alle dimostrazioni.
Il periodo è caratterizzato anche da
una diffusa opposizione alla guerra
in Vietnam. Si possono così vedere,
tra l’altro, il materiale propagandistico raccolto da un soldato americano al fronte e i burattini utilizzati
nelle manifestazioni a San Francisco. Non mancano le figure rivoluzionarie, dal presidente Mao a Che
Guevara e Martin Luther King,
quest’ultimo icona della lotta per i
diritti civili, un altro dei temi forti
del periodo.
Slogan, pubblicità e jingle introducono l’ambiente dedicato alla rivoluzione nel consumismo, alimentata da una rapida crescita della ricchezza personale e dall’arrivo della
carta di credito. Le esposizioni internazionali del 1967 a Montreal e
del 1970 a Osaka mostrarono a migliaia di visitatori scorci di un futuro guidato dai consumatori. Qui
viene riproposta una vasta vetrina
di prodotti di design e tecnologia
di massa. Primo fra tutti il televisore, che portò nelle case della gente,
in diretta, la guerra in Vietnam ma
anche la conquista della Luna. Qui
si può osservare una pietra lunare
avuta in prestito dalla Nasa, insie-
ganizzazione del raduno di giovani
più grande di sempre, dai contratti
degli artisti al menù della mensa
del personale.
Quasi di conseguenza si passa alle comunità alternative che all’epoca vivevano sulla West Coast statunitense, fondate sul rock psichedelico, la liberazione sessuale, il rifiuto
delle istituzioni e la filosofia del
«ritorno alla terra». Di lì a poco alle stesse latitudini si sarebbe sviluppato un tipo diverso di comunità:
quella dei pionieri della moderna
informatica. Tutte però ritenevano
che condividere in modo più equo
la conoscenza umana fosse il presupposto per un mondo migliore.
Questa enfasi è riassunta dal
«Whole Earth Catalog», la rivista
di controcultura statunitense pubblicata da Stewart Brant, poi definita da Steve Jobs «google in versione paperback». Qui viene anche
approfondita l’enfasi sull’ambientalismo, iniziata nei tardi anni Sessanta, con un manifesto per la prima «giornata della Terra» disegnato da Robert Rauschenberg, esposto accanto a un poster psichedelico Save Earth Now.
L’ultimo spazio della mostra, che
resterà aperta fino al 27 febbraio
2017, tenta di delineare l’eredità di
quegli anni. Il giudizio, se sia stato
tutto positivo o meno, lo si lascia ai
visitatori. Molti dei quali all’epoca
— ma non mancherà qualche sergente Pepe ancora in servizio — saranno stati davvero convinti di poter cambiare il mondo. Consapevoli
di esserci in parte riusciti.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 9 settembre 2016
pagina 5
Nel 1987 a Pentling
Esce un libro che raccoglie interviste a Benedetto
XVI
Conversazioni
Esce il 9 settembre, nelle edicole italiane con il
«Corriere della Sera» e in libreria con Garzanti, un
volume che raccoglie interviste a Benedetto XVI e di
cui il quotidiano milanese ha pubblicato alcune
anticipazioni. Il testo è stato curato da Peter
Seewald e tradotto da Chicca Galli (Ultime
conversazioni, pagine 240, euro 12,90) ed è il quarto
realizzato dal giornalista e scrittore tedesco dopo le
interviste al cardinale Joseph Ratzinger su
cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo (Sale
della terra, 1996), su fede e vita oggi (Dio e il mondo,
2000) e a Benedetto XVI sul pontificato, la Chiesa e
i segni dei tempi (Luce del mondo, 2010). Del libro
anticipiamo alcuni stralci.
Esercizi
spirituali
Negli anni Cinquanta
Come vedeva sé stesso?
Eravamo progressisti. Volevamo rinnovare la teologia e con essa la Chiesa,
rendendola più viva. Eravamo fortunati perché vivevamo in un’epoca in cui,
sulla spinta del movimento giovanile e di quello liturgico, si aprivano nuovi
orizzonti, nuove vie. Volevamo che la Chiesa progredisse ed eravamo convinti
che in questo modo sarebbe ringiovanita. Tutti noi nutrivamo un certo disprezzo — allora era una moda — per il XIX secolo, cioè per il nuovo gotico e tutte
quelle immagini e statue di santi un po’ kitsch; per la devozione e l’eccessivo
sentimentalismo un po’ ristretti e anch’essi un po’ kitsch. Volevamo superarli
entrando in una nuova fase della devozione, e il rinnovamento partì proprio
dalla liturgia, recuperandone la sobrietà e la grandezza originarie.
Era esistenzialista?
Non le pesa enormemente non prendere
più in mano la penna?
Niente affatto. Preparo ogni settimana le mie omelie per la domenica
e per questo ho sempre un compito
spirituale da svolgere: devo trovare le
parole per interpretare un testo. Ma
non potrei più scrivere. Dietro la
scrittura c’è un lavoro metodico e
adesso per me sarebbe semplicemente troppo faticoso.
Scrive omelie per quattro, cinque persone?
Perché no? [ride] Certo! Che siano
solo tre o venti o mille persone, la
Parola di Dio deve sempre raggiungere l’uomo.
Ci sono determinati esercizi spirituali
che ora le sono più cari e hanno per lei
più valore?
Be’, adesso posso soffermarmi sul
breviario, immergermi nella sua lettura e approfondire in questo modo la
vicinanza con i Salmi, con i Padri. E
come ho già detto, ogni domenica
tengo anche una breve omelia. Per
tutta la settimana lascio che i miei
pensieri si avvicinino un po’ all’argo-
Si ricorda il giorno della sua partenza
per Roma?
Prima andammo a visitare le
tombe dei vescovi nel duomo di
Colonia, il cardinale Frings, [il segretario Hubert] Luthe e io. Il cardinale sostò a lungo di fronte al
punto in cui sarebbe stato sepolto.
Poi ci dirigemmo all’aeroporto.
Eravate alloggiati tutti e tre nello storico collegio tedesco-austriaco per sacerdoti, l’Anima?
Il cardinale e Luthe alloggiavano
all’Anima [al collegio di Santa Maria dell’Anima], come tutti i vescovi
austriaci. Per me non c’era più posto, perciò il rettore mi procurò una
camera all’Hotel Zanardelli, che è
proprio all’angolo. Ma dalla colazione, a cominciare dalla messa
mattutina, ero all’Anima, tranne che
per la pennichella, che a Roma,
l’ho imparato allora, è molto importante. Fino a quel momento non
sapevo cosa fosse la pennichella,
ma poi è diventata un’abitudine.
Nel secondo periodo conciliare abitavo nel Palazzo Pamphilj, che è
adiacente a Sant’Agnese in piazza
Navona. Solo durante il terzo e
quarto periodo alloggiai all’Anima.
Le piaceva la vita romana? Piazza
Navona per esempio?
Per me era tutto nuovo. La mattina presto passavano i bambini che
andavano a scuola con il grembiule:
non avevano cartelle, ma portavano
i libri in mano legati da un elastico.
Lo trovavo molto divertente.
Tutt’intorno pullulava di vita, c’erano i commercianti e le botteghe dei
barbieri erano affollate di clienti
con la faccia coperta di schiuma: allora si usava ancora farsi radere.
Ogni giorno facevo la mia passeggiata, così imparai a conoscere il
quartiere. A volte veniva anche il
cardinale, era cieco, bisognava accompagnarlo. Una volta mi capitò
di perdere l’orientamento e di non
sapere più da che parte andare. Fu
una situazione imbarazzante. «Mi
descriva la piazza in cui ci troviamo», mi disse Frings. Gli descrissi
allora la statua che ospitava. Rappresentava un politico italiano.
«Ah, è Minghetti, allora dobbiamo
proseguire per di lì e poi per di là»,
mento, così che maturino pian piano
e io possa saggiare un testo nelle sue
diverse parti. Che cosa mi dice? Che
cosa dice agli uomini qui nel monastero? È questa la novità, se così si
può dire: il fatto che io possa calarmi
con ancor più tranquillità nei Salmi,
che possa entrare in sempre maggior
familiarità con loro. E che in questo
modo i testi della liturgia, soprattutto quelli domenicali, mi accompagnino per tutta la settimana.
Non ho letto molto di Heidegger, ma qualcosa sì e l’ho trovato interessante.
Facevamo nostra quella filosofia, quei concetti, con una certa eccitazione. Come
ho già detto, io volevo uscire dal tomismo classico — e qui mi aiutò Agostino,
facendomi da guida — e non potevo prescindere dal confronto e dal dialogo con
le nuove filosofie. Ma di certo non sono mai stato esistenzialista.
Si legge nelle sue memorie: il «dialogo con Agostino», per il quale ora si sentiva sufficientemente preparato, è un dialogo «che in molti modi avevo già da lungo tempo tentato».
[ride] Be’, quando si è giovani si ha molta considerazione di sé stessi, si crede
di poter raggiungere alti traguardi. Non mi facevo impressionare dal fatto che
altri avessero già scritto sull’argomento. Non avevo quel complesso, anzi, pensavo: noi siamo giovani, abbiamo un nuovo punto di vista. E la certezza di poter
costruire un mondo nuovo faceva sì che non avessi paura di cimentarmi in grandi imprese. È vero, all’inizio del 1946 avevo scoperto Agostino, letto qualcosa e
il conflitto interiore che egli esprime nelle sue opere mi aveva toccato molto.
Tommaso in fondo scrive testi scolastici, in un certo senso impersonali, sebbene
anche dietro le sue pagine si celi una grande lotta; ma lo si scopre solo in un secondo momento. Agostino, invece, lotta con sé stesso, anche dopo la conversione, ed è questo che rende la sua esperienza tanto bella e drammatica.
Ha una preghiera preferita?
Ce n’è più d’una. C’è quella di
sant’Ignazio: «Prendi, Signore, e ricevi tutta la mia libertà...». Poi una di
san Francesco Saverio: «Io ti amo
non perché puoi darmi il paradiso o
condannarmi all’inferno, ma perché
sei il mio Dio. Ti amo perché Tu sei
Tu». O quella di san Nicola di Flüe:
«Prendimi come sono...». E poi mi
piace in particolare — l’avrei vista bene inserita nel Gotteslob [libro di preghiere e di canti in uso nelle diocesi
cattoliche di lingua tedesca], ma mi
sono dimenticato di proporla —
l’«orazione comune» di san Pietro
Canisio che risale al XVI secolo ma è
ancora bella e attuale.
Con il parroco Max Blumschein nel 1951
Al concilio
mi spiegò indicandomi la strada.
Trovavo divertente e interessante la
vita romana: l’allegria, il fatto che
la maggior parte della giornata si
svolgesse per strada e tutto quel rumore. All’Anima era bello conoscere tanta gente, i vescovi austriaci, i
giovani cappellani del collegio. Il
cardinale Frings radunava cardinali
provenienti da tutte le parti. Il vescovo Volk, un uomo di elevato rigore intellettuale e spiccate doti organizzative, convocava riunioni di
gruppi internazionali di vescovi nel
suo appartamento nella Villa Mater
Dei, a cui partecipavo sempre anch’io. Lì conobbi anche de Lubac...
Come fu la prima volta? Era entusiasta, gratificato?
Ero piuttosto tiepido. Naturalmente i grandi luoghi del cristianesimo primitivo mi entusiasmarono,
le catacombe, Santa Priscilla, la
chiesa di San Paolo dentro le Mura,
San Clemente. Anche la necropoli
sotto San Pietro, ovvio. Non però
nel senso che mi sentivo in sospeso
sulle nuvole, ma perché l’origine
era lì, si toccava con mano la grandezza della continuità.
Quando vi siete trovati per la prima
volta in piazza San Pietro non vi siete
saltati al collo, lei non ha detto: «Eccoci qui, caro Georg, nella nostra patria, nel centro della cristianità»?
Noi Ratzinger non siamo così
emotivi. Non che non fosse impressionante, beninteso. Anzitutto, appunto, l’incontro con la continuità
a partire dalle origini, da Pietro e
dagli apostoli. Per esempio nel carcere mamertino, dove si può rivivere l’epoca del primo cristianesimo.
Questo fascino, tuttavia, si espresse
più a livello intellettuale, interiore,
senza, per così dire, farci prorompere in grida di giubilo.
Il viaggio costituiva già una preparazione al Concilio?
Anche noi eravamo stati contagiati dall’entusiasmo destato da
Giovanni XXIII. I suoi modi anticonvenzionali mi avevano subito af-
Soprattutto
un pastore
fascinato. Mi piaceva che fosse così
diretto, così semplice, così umano.
Lei era un sostenitore di Giovanni
XXIII?
Certo che lo ero.
Un autentico fan?
Un autentico fan. Si può dire
così.
Si ricorda come e dove ha saputo
dell’annuncio del Concilio?
Non con esattezza. L’avrò sentito
dire alla radio. Poi, naturalmente,
ne parlammo tra noi professori. Fu
un momento di grande commozione. L’annuncio del Concilio poneva
delle domande — come si metteranno le cose, come fare perché vadano per il verso giusto? — ma suscitava anche grandi speranze.
Fu sempre presente dal primo all’ultimo giorno, in tutti e quattro i periodi
conciliari?
Quale esperienza ricorda più volentieri?
Per Ognissanti andammo a Capri
con il cardinale. Prima avevamo visitato Napoli, le varie chiese e via
dicendo. A quei tempi il viaggio a
Capri era ancora un’avventura, a
bordo di una barca che ballava
moltissimo. Vomitarono tutti, anche
il cardinale, mentre io riuscii a trattenermi. Poi, però, a Capri fu bellissimo. Fu un vero e proprio momento di sollievo.
Di quale schieramento si considerava
parte, di quello progressista?
Direi di sì. All’epoca essere
progressisti non significava ancora
rompere con la fede, ma imparare a
comprenderla meglio e viverla in
modo più giusto, muovendo dalle
origini. Allora credevo ancora che
tutti noi volessimo questo. Anche
progressisti famosi come de Lubac,
Daniélou e altri avevano un’idea simile. Il mutamento di tono si
percepì già il secondo anno del
Concilio e si è poi delineato con
chiarezza nel corso degli anni successivi.
La chiamavano “professor papa” o “il papa teologo”. Trovava che fossero appellativi azzeccati?
Direi che cercavo di essere
soprattutto un pastore. E uno
dei compiti di un pastore è
trattare con passione la Parola di Dio, che è anche quello
che dovrebbe fare un professore. Sono stato anche un
confessore. I concetti di “professore” e “confessore” hanno
filologicamente quasi lo stesso significato, anche se il
compito di un pastore è più
vicino a quello del confessore.
Finora, per quanto lontano si
possa spingere il nostro sguardo, in nessun luogo c’è qualcosa
che ci potremmo immaginare come il cielo in cui dovrebbe troneggiare Dio.
[ride] È perché non esiste
un luogo in cui Lui troneggia. Dio stesso è il luogo al di
sopra di tutti i luoghi. Se lei
guarda nel mondo, non vede
il cielo, ma vede ovunque le
tracce di Dio: nella struttura
della materia, nella razionalità
della realtà. E anche dove vede gli uomini, trova le tracce
Sì, sempre. In questi casi un professore ottiene un congedo temporaneo dal ministero dell’Istruzione.
Come vi capivate? Lei parlava poco
italiano.
Poco, sì, ma in qualche modo
funzionava. Prima di tutto, conoscevo abbastanza il latino, anche se
non avevo mai studiato teologia in
latino, come i Germanici [gli studenti di lingua tedesca del collegio
Germanicum]. Facevamo tutto in
tedesco. Per questo anche parlare
latino per me era un’esperienza
completamente nuova che limitava
le mie possibilità di partecipazione.
Conoscevo anche un po’ il francese
naturalmente.
Non si era concesso un corso di italiano?
No [ride]. Non c’era tempo. Avevo così tanto da fare!
Aveva portato con sé un dizionario?
Quello sì.
Con il cardinale Franz König durante il Vaticano
II
di Dio. Vede il vizio, ma anche la virtù, l’amore. Sono
questi i luoghi dove c’è Dio.
Bisogna staccarsi da queste
antiche concezioni spaziali,
che non sono più applicabili
non fosse che perché l’universo non è infinito nel senso
stretto del termine, pur se è
abbastanza grande perché noi
uomini lo si possa definire
come tale. Dio non può essere da qualche parte dentro o
fuori di esso, la sua presenza
è completamente diversa. È
molto importante rinnovare
anche il nostro modo di pensare, liberarsi delle categorie
spaziali e intenderle da una
nuova prospettiva. Come esiste una presenza spirituale tra
gli uomini — due persone
possono essere vicine pur vivendo in continenti diversi
perché questa dimensione di
prossimità non si identifica
con quella spaziale — così
Dio non è «in qualche posto», ma è la realtà. La realtà
fondamento di tutte le realtà.
E per questa realtà non ho bisogno di un «dove» perché
«dove» è già una delimitazione, non è già più l’infinito, il
creatore, che è l’universo, che
comprende ogni tempo e non
è lui stesso tempo, ma lo crea
ed è sempre presente. Credo
che molte delle nostre percezioni vadano riviste. Anche la
nostra
idea
complessiva
dell’uomo è cambiata. Non
abbiamo più seimila anni di
storia [come si calcola nella
Bibbia], ma non so quanti di
più. Lasciamo pure aperte
queste ipotesi numeriche. In
ogni caso, sulla base di questa
conoscenza, la struttura del
tempo, quello della storia, oggi si rivela mutata. Qui il
compito primario della teologia è di svolgere un lavoro
ancor più approfondito e offrire agli uomini nuove possibilità di rappresentare Dio.
La traduzione della teologia e
della fede nella lingua odierna è ancora molto carente; è
necessario creare schemi di
rappresentazione, aiutare gli
uomini a capire che oggi non
devono cercare Dio in «qualche posto». C’è molto da
fare.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 9 settembre 2016
L’assassinio di san Tommaso Becket
in una miniatura del XIII secolo
di JOHN STROYAN*
San Cirillo di Gerusalemme ha
scritto: «I martiri degli ultimi
giorni supereranno tutti i martiri». Negli anni recenti il linguaggio del martirio è stato esteso così da includere tutti coloro che
muoiono per le proprie convinzioni, a prescindere dal contenuto di tali convinzioni. Inoltre, esso è stato addirittura rivendicato
da parte di persone le cui convinzioni ideologiche o religiose
sono, nel migliore dei casi, indifferenti e, nel peggiore, apertamente ostili alla fede cristiana.
Tuttavia, c’è sempre stato bisogno di una qualche forma di
scrematura nel discernimento dei
martiri. Eusebio nella sua Storia
ecclesiastica descrive una specie di
competizione nel martirio tra le
sette cristiane (e tra queste i
montanisti e marcioniti), in cui
spesso il numero dei martiri veniva messo in correlazione con la
verità delle proprie convinzioni
di fede. Riguardo ai marcioniti
egli scrive: «Sostengono di avere
un gran numero di martiri di
Cristo, ma poi non riconoscono
neppure Cristo stesso secondo
verità».
Cercherò di far emergere tre
dimensioni caratteristiche del
martirio cristiano dalla prospetti-
A Bose il convegno di spiritualità ortodossa su martirio e comunione
Signore
benedici i miei nemici
se stesso, neppure la gloria del
martirio».
Eliot parla del martire come di
uno «che ha perduto la sua volontà nella volontà di Dio».
Questo linguaggio fa eco alle
parole di Diadoco di Fotice (V
secolo), il quale ha scritto che
«tutti noi uomini siamo a immagini di Dio, ma l’essere a sua somiglianza è solo di coloro che
con grande amore hanno asservi-
Beato Angelico, «Lapidazione di santo Stefano» (1447-1448, particolare)
va del tema «martirio e comunione». La prima è il martirio
come necessariamente determinato dalla comunione con Dio in
Cristo: il martire è “uno nel quale vive Cristo”. La seconda, il
martirio come manifestazione di
“appartenenza” al Corpo di Cristo, un corpo che comprende e
trascende ogni identità etnica e
culturale: quando uno soffre,
tutti soffrono. La terza, il martirio cristiano come una manifestazione dell’amore di Dio “per tutti”; e questo include coloro che
si trovano “fuori” della Chiesa
visibile e perfino (o forse in maniera speciale) i “nemici”.
Thomas S. Eliot, forse il più
noto poeta occidentale del XX
secolo, era un anglicano che è
stato profondamente influenzato
dal vescovo ed erudito del XVI
secolo Lancelot Andrewes (la vita e gli scritti di Andrewes sono
stati a loro volta riconosciuti e
apprezzati all’interno dell’ortodossia). Nel dramma teatrale Assassinio nella cattedrale, Eliot esamina gli ultimi giorni di Thomas
Becket, arcivescovo di Canterbury. Nel suo sermone del giorno
di Natale, intitolato La gloria di
Dio, predicato quattro giorni prima della sua morte, Becket dice:
«Un martirio cristiano non è un
caso. I santi non sono fatti a caso. Un martirio non è mai un disegno d’uomo; poiché vero martire è colui che è divenuto strumento di Dio, che ha perduto la
sua volontà nella volontà di Dio,
e che non desidera più nulla per
to la loro libertà a Dio». Quindi
potremmo vedere il martirio come il frutto di una volontaria
consegna di se stessi ai disegni
di Dio.
Quando i cavalieri giungono a
Canterbury per assassinare l’arcivescovo, i suoi preti lo sollecitano a fuggire. Ma Becket risponde: «Aprite le porte! Io do la
mia vita, sono pronto a offrire il
mio sangue». Quindi la sua vita,
in questo senso, non è tanto presa, quanto piuttosto consegnata
liberamente. La vita cristiana, il
martirio cristiano scaturisce dalla
vita di Cristo in noi, Cristo che
dice: «Nessuno mi prende la vita, ma sono io a deporla da me
stesso» (Giovanni, 10, 18).
Nel suo sermone Becket chiede: «Credete che sia per caso
che il giorno del primo martire
segua immediatamente il giorno
della nascita di Cristo?». E risponde: «Certamente no!». Vi è
un’inesorabile connessione tra
l’incarnazione di Cristo, la nostra immersione in Cristo attraverso il battesimo e il martirio.
Siamo battezzati nella morte e
risurrezione di Cristo. Secondo
le parole dell’arcivescovo Anastasios di Albania, i cristiani sono
chiamati a «una partecipazione
esistenziale alla morte e vita di
Cristo».
Nella Mosca degli anni Venti
del XX secolo, Julia de Beausobre era vicina alla disperazione
nel momento in cui suo marito
fu imprigionato, quando i comunisti perseguitavano i cristiani.
Descrive di aver udito ciò che
chiama «le parole silenziose di
un Altro», quando le disse: «A
causa della mia incarnazione e
del vostro battesimo, non c’è altra via, se sei d’accordo».
Vi un’intrinseca conformazione alla croce in ogni vita cristiana. Gli anglicani e gli ortodossi
nel 2006 hanno affermato insieme che «informata dalla vita e
dall’opera di Dio nella liturgia
battesimale ed eucaristica, la
Chiesa cerca sempre di morire e
di essere risuscitata di nuovo». Il
teologo giapponese Kosuke Koyama scrive, dal contesto della
devastazione di Hiroshima e Nagasaki, che la «verità biblica non
è una verità intatta ma una verità sofferta», Come scrive san
Paolo: «Moribondi, eppure viviamo» (2 Corinzi, 6, 9).
Il secondo filone tematico di
martirio e comunione deriva dalla dimensione corporativa del
Corpo di Cristo. Il martirio di
un solo membro del corpo ha un
impatto sull’intero corpo di Cristo. San Paolo scrive: «Se un
membro soffre, tutte le membra
soffrono con lui» (1 Corinzi, 12,
26). San Silvano del Monte
Athos scrive: «La sofferenza
dell’altro è la mia sofferenza, la
guarigione del mio prossimo è la
mia guarigione. La gloria del
mio fratello è la mia gloria».
L’autore della Lettera agli Ebrei
scrive: «Ricordatevi dei carcerati
come se foste loro compagni di
carcere, e di quelli che sono maltrattati, come se foste torturati
anche voi» (13, 3). Il martirio anche di un solo cristiano è un
evento che accade all’intera
Chiesa, al di là di ogni confine
nazionale e culturale. Come
espressione di questa solidarietà,
che va al di là dei confini etnici
e confessionali, l’Abbazia di Westminster celebra nella pietra le
vite e la testimonianza di dieci
martiri del XX secolo appartenenti a diversi Paesi e a diverse parti
della famiglia ecclesiale. Scrivo
questo, tuttavia, con la piena coscienza di quanto la Chiesa occidentale sia spesso incapace a
esprimere adeguatamente la propria solidarietà e il proprio sostegno nei confronti delle Chiese
orientali sofferenti, una solidarietà alla quale siamo inevitabilmente chiamati.
È ancora viva nelle nostre
menti — e nelle nostre continue
preghiere — la testimonianza dei
due metropoliti di Aleppo, Gregorios Yohanna Ibrahim della
Chiesa siro-ortodossa e Pavlos
Yazigi della Chiesa greco-ortodossa, rapiti quando si trovavano
insieme in missione per il rilascio
di due preti a loro volta sequestrati. Questa solidarietà in Cristo che doveva dimostrarsi a caro
prezzo riflette qualcosa della
profondità della koinonìa evidente tra i capi delle Chiese di tutte
le confessioni presenti ad Aleppo; ciò di cui ho avuto il privilegio di essere testimone nella mia
visita nel 2007. Si incontravano
regolarmente per pregare, dando
testimonianza a Cristo «che ha
abbattuto il muro di separazione» (Efesini, 2, 14). «Se un mem-
bro soffre, tutte le membra soffrono con lui» (1 Corinzi, 12, 26).
Ci sono stati molti esempi simili di solidarietà tra Chiese sorelle di diversi Paesi che esprimono un legame organico tra testimonianza a caro prezzo e koinonìa, tra martirio e comunione.
Allertati da padre Nikolaj Velimirović riguardo alla difficile situazione del popolo serbo che
subiva gli effetti del tifo e della
guerra, molti medici inglesi e
scozzesi, operatori sanitari, operatori umanitari e cappellani offrirono i loro servizi ai malati e
ai soldati serbi feriti. Nel 1918 il
primo ministro serbo Nikola
Pašić disse: «La Chiesa anglicana si è presa cura della sua sorella Serbia: auguriamoci che con
l’aiuto dell’Onnipotente quest’opera di carità in favore della
Chiesa di Serbia possa essere la
base per il riavvicinamento e
l’unione delle nostre due Chiese
per il bene di tutta l’umanità».
Il clero anglicano fece pressioni sul Parlamento britannico per
prendere posizione contro i massacri armeni e nel novembre 1915
i capi anglicani e ortodossi sollecitarono insieme il presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, a fare pressioni sulla Germania perché intervenisse presso
il Governo turco per far cessare i
massacri.
Più recentemente, negli ultimi
decenni dell’Unione sovietica,
dalla fine degli anni Sessanta, il
canonico Michael Bourdeaux e il
Keston College fecero un lavoro
straordinario ed esemplare, spesso in circostanze pericolose, per
mettere in allerta l’Occidente riguardo alla persecuzione dei cristiani — nonché dei credenti di
altre religioni — da parte del regime sovietico. Simili testimonianze sulle sofferenze della
Chiesa in Russia contribuirono
non poco a suscitare una solidarietà di preghiera tra i cristiani
occidentali. Il martirio cristiano
serviva a ispirare un più profondo senso di appartenenza e di
comunione all’interno del più
ampio Corpo di Cristo.
In terzo luogo, il martirio può
essere visto come un riflesso
dell’amore incondizionato di
Cristo per tutti, anche i nemici.
Sulla croce Gesù pronuncia parole di perdono: «Padre perdona
loro, perché non sanno quello
che fanno» (Luca, 23, 34). Quando santo Stefano viene lapidato
a morte, cade in ginocchio e grida: «Signore, non imputar loro
questo peccato» (Atti degli apostoli, 7, 60). San Silvano descrive
«l’amore dei tuoi nemici come
l’unico vero criterio di ortodossia». San Nikolaj Velimirović
(1881-1956), che incontrò san Silvano, esprime un simile amore
nelle sue Preghiere lungo il lago:
«Benedici i miei nemici, o Signore. E anch’io li benedico e
non li maledico. I miei nemici
mi hanno guidato tra le tue
braccia più di quanto abbiano
fatto i miei amici. I miei amici
mi hanno legato alla terra; i miei
nemici hanno allentato i miei legami con la terra e hanno distrutto tutte le mie speranze nel
mondo. Benedici i miei nemici,
Signore, e anch’io li benedico».
Questo amore — l’amore di
Cristo — che include perfino i
nemici, trascende ogni appartenenza (nonché inimicizia) nazionale, etnica o culturale. È l’amore che ha abbattuto ogni muro
di divisione tra gli esseri umani.
Lo vediamo in Edith Cavell
(1865-1915), un’infermiera inglese
e figlia di un prete anglicano.
Prestò servizio nel Belgio occupato dai tedeschi durante la prima guerra mondiale. Accudiva
tutti coloro che erano feriti salvando le vite non solo dei soldati alleati, ma anche dei soldati
tedeschi, senza alcuna discriminazione. Fu accusata di tradimento per aver salvato la vita di
alcuni soldati alleati aiutandoli a
scappare in Olanda. Poco prima
di essere fucilata da parte del
plotone di esecuzione disse:
«Non provo paura né stringimento. Ho visto la morte così
spesso che non è cosa strana o
temibile per me. Direi questo,
stando come ora davanti a Dio e
all’eternità».
Lo vediamo in Shahbaz Bhatti
(1968-2011), un ministro federale
per le minoranze in Pakistan,
cattolico. Egli criticò apertamente le leggi sulla blasfemia in base
alle quali i cristiani sono stati —
e sono tuttora — perseguitati,
imprigionati e sottoposti a giustizia sommaria. Bhatti si espresse non solo a favore dei cristiani
ma anche di altre fedi non musulmane. Ricevette molte minacce di morte. Nel marzo 2011 fu
assassinato. Prima della sua morte aveva detto: «Credo in Gesù
Cristo, che ha dato la sua vita
per noi e sono pronto a morire.
Vivo per la mia comunità, e morirò per difendere i loro diritti».
Lo vediamo nel martirio dei
sette monaci trappisti di Tibhirine in Algeria, che scelsero di restare nel loro monastero, pur essendo stati minacciati da uomini
armati e conoscendo il rischio
cui erano esposte le loro vite e
quelle delle persone intorno a loro. Scelsero di restare vivendo
una vita di semplicità, preghiera e accoglienza, una vita
anche di servizio ai più
poveri che vivevano
Dio per tutta l’umanità. Secondo
le parole di Gregorio di Nissa,
«scopriamo in ogni essere umano, qualunque sia la sua posizione di fede o storia di vita, un
fratello o una sorella per i quali
Cristo è morto». Questo è
l’amore che si identifica a tal
punto con coloro che soffrono,
da essere disposto a prendere su
di sé la loro sofferenza e addirittura a mettersi al loro posto. Lo
vediamo nella Grecia occupata
dai tedeschi, quando l’arcivescovo Damaskinos Papanandreou,
opponendosi alla deportazione
degli ebrei, scrive al primo ministro greco collaborazionista Konstantinos Logothetopoulos: «La
nostra santa religione non riconosce qualità superiori o inferiori
fondate sulla religione. Come è
stato detto: Non c’è greco né
giudeo». Per il suo pronunciamento fu minacciato di fucilazione con il plotone d’esecuzione.
Lo vediamo a Zante nel 1944,
quando il metropolita Chrysostomos con il sindaco Lucas Carrer
fecero tutto il possibile per proteggere gli ebrei dalla deportazione nei campi di concentramento. E quando venne loro
chiesto di consegnare una lista
di tutti gli ebrei dell’isola,
Chrysostomos consegnò una lista
con due soli nomi, il suo e quello del sindaco, dicendo: «Se scegliete di deportare gli ebrei di
Zante, dovete prendere anche me
e io condividerò il loro destino».
Scorgiamo una simile identificazione anche in madre Maria
Skobtsova. Quando gli ebrei venivano presi di mira dai nazisti a
Parigi e obbligati a portare la
stella di Davide, madre Maria
scrisse: «Se fossimo veri cristiani, tutti noi porteremmo la stella». Nel marzo 1945 fu lei stessa
deportata a Ravensbrook e, secondo quanto si racconta, prese
il posto di una giovane donna
che andava nella camera a gas.
Madre Maria fu martirizzata
non per la sua solidarietà con i
Padre Christian de Chergé (1937-1996)
attorno a loro. Sapendo la probabilità della loro morte imminente, padre Christian de Chergé scrisse nel suo testamento spirituale: «Venuto il momento,
vorrei poter avere quell’attimo di
lucidità che mi permettesse di
sollecitare il perdono di Dio e
quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi
avesse colpito». E nelle parole rivolte allo sconosciuto che lo
avrebbe ucciso, scrive: «E anche
te, amico dell’ultimo minuto che
non avrai saputo quel che facevi.
Sì, anche per te voglio questo
“grazie”, e questo “a-D io” nel
cui volto ti contemplo. E che ci
sia dato di ritrovarci, ladroni
beati, in Paradiso, se piace a
Dio, Padre nostro, di tutti e
due». In tutti questi martirî, come nella testimonianza di Charles de Foucauld, assassinato fuori dal forte che aveva costruito
per i tuareg nel Sahara, vediamo
una manifestazione dell’amore di
cristiani ma con gli ebrei, e il
suo martirio esprimeva il profondo amore di Dio per l’intera
umanità.
Il martirio cristiano rivela
l’amore di Dio per tutti, un
amore che supera ogni umana
frontiera, oltrepassando tutte le
appartenenze nazionalistiche e
tribali. Ogni essere umano è
creato a immagine di Dio. Ogni
essere umano è, secondo la frase
memorabile di Christian de
Chergé, «un fratello o una sorella in umanità». Ogni fratello o
sorella è qualcuno per cui Cristo
è morto.
John Donne (1572-1631), poeta
e decano della cattedrale di San
Paolo a Londra, afferma nella
sua poesia Nessun uomo è un’isola: «Ogni morte d’uomo mi diminuisce, perché io son parte
dell’umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona
la campana: essa suona per te».
*Vescovo anglicano di Warwick
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 9 settembre 2016
pagina 7
Messa a Santa Marta
Non saranno «i grandi manifesti» e «i
grandi incontri internazionali», con tutte
«le splendide parole» di una «conferenza
di successo», a costruire la pace che «oggi
tutti chiedono», perché «stiamo vivendo
una guerra». E così Papa Francesco ha
sollecitato ad avere anzitutto «la saggezza
di fare la pace nelle piccole cose di ogni
giorno ma puntando all’orizzonte di tutta
l’umanità». Con lo stile dell’artigiano, ha
suggerito, bisogna iniziare da
se stessi, dalla propria famiglia, nel quartiere e
sul posto di lavo-
Piccoli artigiani della pace
ro. È questa l’essenza della vera pace che
il Pontefice ha rilanciato nella messa celebrata giovedì mattina, 8 settembre, festa
della natività della Beata Vergine Maria,
nella cappella della Casa Santa Marta.
«Nell’orazione colletta all’inizio della
messa — ha fatto subito notare — abbiamo chiesto al Signore,
Icona della «Natività di Maria»
pregato il Signore, il dono di crescere in
unità nella pace». La parola «pace», dunque, è decisiva e si tratta di «crescere nella
pace: oggi — ha esortato — preghiamo che
tutti noi possiamo crescere nella pace,
nell’unità, perché la pace fa l’unità».
Nella liturgia del giorno la parola «pace» appare subito «nell’orazione all’inizio
della messa». Ma è anche ripetuta nella
prima lettura, tratta dal libro del profeta
Michèa (5, 1-4): «Quando lui annunzia la
venuta del Salvatore, finisce così: “Egli
stesso sarà la pace”». E ancora ritorna nel
Vangelo di Matteo (1, 1-16.18-23): «Dopo
la genealogia di Gesù, viene il sogno di
Giuseppe e l’angelo dice: “A lui sarà dato
il nome di Emmanuele” che significa Dio
con noi». E «Dio con noi è la pace».
Ecco che per «tre volte oggi si parla
della pace» nella liturgia, ha insistito il
Papa, aggiungendo: «E chiediamo questo:
crescere nella pace. La liturgia di oggi è
tutta coinvolta su questa strada e tutti noi,
anche il mondo intero, abbiamo bisogno
di pace».
«Se noi chiediamo la pace — ha spiegato — è perché la pace è un dono: un dono
che ci dà il Signore. Ma anche chiediamo
di crescere nella pace: è un dono, ma anche un dono che ha il suo cammino di vita, il suo cammino di storia; un dono che
ognuno di noi deve prendere e lavorare
per aiutarlo a crescere». E «nella storia
della salvezza, dalla prima promessa del
Signore nel paradiso terrestre fino alla venuta di Gesù, c’è una lunga strada che abbiamo sentito nel Vangelo: questo generò
quello, quello generò l’altro».
Proprio «questa strada di santi e peccatori — ha affermato il Papa — ci dice che
anche noi dobbiamo prendere questo dono della pace e farlo strada nella nostra
vita, farlo entrare in noi, farlo entrare nel
mondo». Del resto, «la pace non si fa da
un giorno all’altro: la pace è un dono, ma
un dono che deve essere preso e lavorato
ogni giorno». Per questo, ha proseguito
Francesco, «possiamo dire che la pace è
un dono che diviene artigianale nelle mani
degli uomini: siamo noi uomini, ogni
giorno, a fare un passo per la pace, è il
nostro lavoro. È il nostro lavoro con il dono ricevuto: fare la pace».
A questo punto è importante capire come svolgere questo “lavoro artigianale”
per la pace. E per aiutarci, ha spiegato il
Papa, «c’è un’altra parola nella liturgia di
oggi che ci può far riflettere, una parola
che ci parla di piccolezza». Sempre
«nell’orazione colletta si parla della nascita, della natività della Madonna: c’è una
bimba piccola, di cui oggi è la festa». Anche «nella profezia di Michèa si incomincia sottolineando» la piccolezza: «E tu,
Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda...”». Parole chiare per dire che Betlemme è «talmente piccola» da non essere neppure riportata
«nelle carte geografiche».
Sempre riferendosi alla liturgia del
giorno, il Pontefice ha indicato anche che
«nel Vangelo, dopo quella lunga storia di
gente, troviamo il piccolo, il piccolo di
una decisione presa da Giuseppe, il piccolo di una promessa». Tutto questo, ha
affermato Francesco, ci aiuta a capire che
«la pace è un dono, è un dono artigianale
che dobbiamo lavorare, tutti i giorni, ma
lavorarlo nelle piccole cose, nelle piccolezze quotidiane». Tanto che di certo
«non bastano i grandi manifesti per la
pace, i grandi incontri internazionali se
poi non si fa questa pace nel piccolo».
Anzi, ha insistito il Papa, «tu puoi parlare
della pace con parole splendide, fare una
conferenza di successo, ma se nel tuo piccolo, nel tuo cuore, non c’è pace, nella
tua famiglia non c’è pace, nel tuo quartiere non c’è pace, nel tuo posto di lavoro
non c’è pace, non ci sarà neppure nel
mondo».
«Oggi, tutti lo sappiamo, stiamo vivendo una guerra e tutti chiedono la pace»
ha affermato il Pontefice. Di fronte a questa realtà, ha aggiunto, «io soltanto farò
questa domanda, prima a me e poi a voi e
a tutti: come è il tuo cuore oggi, è in pace? Se non è in pace, prima di parlare di
pace, sistema il tuo cuore in pace. Come è
la tua famiglia oggi: è in pace? Se tu non
sei capace di portare avanti la tua famiglia, il tuo presbiterio, la tua congregazione, portarla avanti in pace, non bastano
parole di pace per il mondo».
Ecco allora, ha proseguito Francesco,
«la domanda che oggi io vorrei fare: come
è il cuore di ognuno di noi: è in pace?
Come è la famiglia di ognuno di noi: è in
pace?». Si deve partire infatti dalle piccole
cose «per arrivare al mondo in pace».
«Abbiamo chiesto al Signore, oggi, il
giorno della natività della Madonna — ha
ricordato il Papa — di crescere nella pace e
nell’unità, ovviamente perché dove è pace
c’è unità». E «abbiamo visto che la pace è
un dono: un dono che si lavora ogni giorno in modo artigianale e anche, come tutte le cose artigianali, si fa nel piccolo per
arrivare al grande».
In conclusione, prima di riprendere la
celebrazione, il Papa ha chiesto nella preghiera «al Signore che ci dia questa saggezza di fare la pace nelle piccole cose di
ogni giorno, ma puntando all’orizzonte di
tutta l’umanità».
Il segretario di Stato per il giubileo della Guardia svizzera e della Gendarmeria vaticana
Arsenale segreto
Da oggi guardie svizzere e gendarmi hanno «nuove armi» a disposizione per svolgere al meglio il loro servizio, un vero e
proprio «arsenale segreto». A consegnarle
è stato personalmente il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, che ha anche
suggerito loro le istruzioni per l’uso: «Il
pane e il vino eucaristici, qualche parola
di vita, un piccolo rosario e una porta santa da attraversare sono le “armi” di Dio,
disponibili e alla portata di tutti, apparentemente deboli, eppure più forti di ogni
astuzia umana e di ogni ostacolo».
Occasione per questa particolare “consegna” è stata la celebrazione del giubileo
della Guardia svizzera e della Gendarmeria vaticana, nel pomeriggio di giovedì 8
settembre. Varcata insieme la porta santa
della basilica Vaticana, i componenti dei
due corpi pontifici hanno partecipato alla
messa, accompagnati dai comandati e dai
cappellani.
Il cardinale Parolin, nell’omelia, non ha
mancato di far presente come la basilica
sia per guardie svizzere e gendarmi «anche un luogo di lavoro», dove svolgono le
loro «importanti funzioni per assicurare
ordine, tranquillità e decoro». Servizi, ha
fatto notare, «sono per così dire silenziosi,
perché nel momento in cui sono presenti
non si notano; ad alcuni sembrano addirittura sorgere spontaneamente, mentre sono il risultato della lealtà, dedizione, professionalità e spirito di sacrificio di tutte le
persone che, con il loro quotidiano lavoro,
garantiscono la sicurezza all’interno dello
Stato della Città del Vaticano, specie in
tempi nei quali occorre la massima vigilanza».
Celebrare insieme il giubileo, in una basilica che è anche abituale luogo di servizio, significa dunque fare «una sosta per
accostarsi a una sorgente d’acqua pura e
riprendere il cammino con più slancio e
sicura speranza» ha spiegato il porporato,
aggiungendo: «Siete qui per un momento
di preghiera e di riflessione, per cibarvi
della parola di Dio e per rinsaldare la vostra fede. Vi siete preparati con gli esercizi
spirituali e la preghiera individuale e comunitaria e con il sacramento della confessione celebrato individualmente».
Il gesto che caratterizza il giubileo è
quello di varcare la porta santa. Per viverne l’essenza il cardinale ha consigliato di
fare proprio, in particolare, «il racconto
del pellegrino russo, un bel libretto di spiritualità orientale», che «suggerisce la preghiera da ripetersi come un rosario al ritmo del respiro: “Gesù, Figlio di Dio, abbi
pietà di me, peccatore”». E di riscoprire le
forti parole di Giovanni Paolo I circa
l’umiltà: «Io rischio di dire uno sproposito, ma lo dico: il Signore tanto ama
l’umiltà che, a volte, permette dei peccati
gravi. Perché? Perché quelli che li hanno
commessi, questi peccati, dopo, pentiti,
restino umili. Non vien voglia di credersi
dei mezzi santi, dei mezzi angeli, quando
si sa di aver commesso delle mancanze
gravi. Il Signore ha tanto raccomandato:
siate umili. Anche se avete fatto delle
grandi cose, dite: siamo servi inutili. Invece la tendenza, in noi tutti, è piuttosto al
contrario: mettersi in mostra. Bassi, bassi:
è la virtù cristiana che riguarda noi stessi».
Ecco che «varcare la porta santa — ha
spiegato il porporato — significa lasciare
fuori dalla casa del Signore e dalla nostra
coscienza il male, la corruzione, il mondo
del peccato, la vana pretesa di poter vivere
Un particolare della divisa dei gendarmi
come se Dio non esistesse, lontani da lui, senza
fargli spazio nella vita
reale e concreta, personale, famigliare, professionale e sociale». Ma
significa anche «compiere un gesto profondamente ecclesiale, comunitario, poiché non siete
entrati singolarmente e
quasi privatisticamente,
ma insieme ai vostri colleghi e accompagnati
dai sacerdoti ai quali è
stata affidata la vostra
cura pastorale». Varcare
la soglia della porta santa «inoltre ci mette in
stretta relazione con tutti coloro che nel corso
dei secoli, fin dal primo
giubileo, hanno compiuto questo gesto e in solidarietà con i defunti, ai
quali potete applicare
l’indulgenza plenaria».
In sostanza, ha proseNoëlle Herrenschmidt, «Guardia svizzera» (acquerello)
guito il cardinale Parolin, «varcare la porta
santa è un atto di fede, di carità e di spe- umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopranza che apre a un rinnovamento della portandovi a vicenda e perdonandovi gli
vita e a una più convinta sequela del Si- uni gli altri”». Questi sentimenti tuttavia
gnore. Il vostro gesto manifesta infine che «non possono sorgere e rafforzarsi soltantutti abbiamo bisogno di sostare ai piedi to come conseguenza di uno sforzo umadella croce, di meditare la parola di Dio, no, dell’impegno e della buona volontà:
che ogni essere umano ha bisogno della affinché davvero crescano e trovino stabile
consolazione e della misericordia divina, dimora occorre ancora una volta rivolgersi
che tutti siamo nelle mani del Signore».
al Signore, nella preghiera e nell’ascolto
Ai gendarmi e alle guardie svizzere il della sua voce.
segretario di Stato ha voluto quindi ramA ciascuno infine, ha fatto presente il
mentare la loro duplice missione: «La pri- cardinale Parolin, è stata consegnata una
ma è quella di rafforzare la vostra fede in corona del rosario: «Rivolgetevi fiduciosi
Cristo risorto in modo da aprire, anzi spa- alla Vergine Maria, presentate a lei i vostri
lancare a lui la porta del vostro cuore e desideri e le vostre difficoltà, le vostre
permettergli di portarvi la pace, quella au- gioie e le vostre speranze. Fate uso del rotentica e profonda che proviene dal saper- sario per le vostre necessità e nelle prove».
si amati e riconciliati con Dio; e la secon- Dante Alighieri, nel canto XXXIII del Pada missione è quella di svolgere al meglio radiso, «affermò che è tale la grandezza e
delle vostre possibilità i compiti che vi il potere di Maria che chiunque desiderasvengono affidati».
se una grazia e pretendesse di non ricorre«Perché questo possa accadere — ha af- re a lei, per sua disgrazia, è come se volesfermato — è necessario mantenere la giusta se volare senz’ali». Il rosario, ha spiegato
fierezza per il fatto di essere scelti per un il porporato, «è una preghiera tanto semcompito delicato, che va realizzato con al- plice quanto potente. Non pensate che
to senso di responsabilità e, d’altro canto, Dio ci chieda cose molto complicate o che
riconoscere che, nonostante la buona vo- sia necessario attraversare i mari per trovalontà di tutti, non sempre tutto potrà esse- re alla fine di chissà quale impegnativa e
re come dovrebbe, che il limite delle situa- spossante ricerca qualche frammento di
zioni e delle persone rendono necessario verità o qualche barlume divino. Si può
fare quello che l’apostolo Paolo raccoman- anche camminare in una strada polverosa
dava ai colossesi, vale a dire rivestirsi “di o rimanere nella propria casa e, con la resentimenti di misericordia, di bontà, di cita del rosario, entrare nel cuore di Dio».
L’OSSERVATORE ROMANO
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venerdì 9 settembre 2016
Il Papa ricorda che senza rispetto non c’è dialogo
No a violenze e atrocità
in nome della religione
Papa Francesco è tornato a condannare la
violenza commessa in nome della religione e
ha invitato i leader spirituali a prendere le
distanze «da tutto ciò che cerca di avvelenare
gli animi» e «dividere e distruggere la
convivenza». L’appello è stato lanciato
durante l’udienza ai partecipanti al simposio
promosso dall’Organizzazione degli Stati
americani e dall’Istituto del dialogo
interreligioso di Buenos Aires, ricevuti nella
mattina di giovedì 8 settembre, nella Sala
del Concistoro. Di seguito una nostra
traduzione del discorso pronunciato dal
Pontefice in spagnolo.
Signori e Signore,
Sono lieto di dare il benvenuto a tutti voi
che partecipate a questo Primo incontro:
America in dialogo – Nostra casa comune,
che ha luogo qui a Roma. Ringrazio la
Organización de los Estados Americanos
e l’Instituto del Diálogo Interreligioso di
Buenos Aires per gli sforzi compiuti per
fare di questo evento una realtà, e anche il
Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso per la sua collaborazione. So che
state lavorando congiuntamente al progetto di costituire un Istituto di Dialogo che
comprenda tutto il continente americano.
Lavorare insieme è un’iniziativa lodevole e
vi esorto ad andare avanti per il bene non
solo dell’America, ma del mondo intero.
Questo primo incontro si è incentrato
sullo studio dell’Enciclica Laudato si’. In
essa ho voluto richiamare l’attenzione
sull’importanza di amare, rispettare e salvaguardare la nostra casa comune. Non
possiamo smettere di meravigliarci per la
bellezza e l’armonia che esistono in tutto
il creato; è il dono che Dio ci fa perché
possiamo trovarlo e contemplarlo nella
sua opera. È importante puntare su una
“ecologia integrale”, in cui il rispetto per
le creature valorizzi la ricchezza che racchiudono in sé e ponga l’essere umano come culmine della creazione.
Le religioni hanno un ruolo molto importante in questo compito di promuovere
la cura e il rispetto dell’ambiente, soprattutto in questa ecologia integrale. La fede
in Dio ci porta a riconoscerlo nella sua
creazione, che è frutto del suo Amore verso di noi, e ci invita a prenderci cura della
natura e a proteggerla. Perciò è necessario
che le religioni promuovano una vera educazione, a tutti i livelli, che aiuti a diffondere un atteggiamento responsabile e attento verso le esigenze della cura del nostro mondo; e, in modo particolare, a proteggere, promuovere e difendere i diritti
umani (cfr. Enciclica Laudato si’, n. 201).
Per esempio, una cosa interessante sarebbe
che ognuno dei partecipanti si domandasse come nel suo Paese, nella sua città, nel
suo ambiente, o nella sua credenza religiosa, nella sua comunità religiosa, nelle
scuole, ha integrato tutto ciò. Credo che
in questo siamo ancora a livello di “asilo
nido”. Ossia, integrare la responsabilità,
non solo come materia ma anche come coscienza, in un’educazione integrale.
Le nostre tradizioni religiose sono una
fonte necessaria d’ispirazione per promuovere una cultura di incontro. È fondamentale la cooperazione interreligiosa, basata
sulla promozione di un dialogo sincero e
rispettoso. Se non ci sarà rispetto reciproco, non ci sarà dialogo interreligioso. Ricordo che, quando ero bambino, nella mia
città, un parroco di lì ordinò di bruciare le
tende degli evangelici, ma, grazie a Dio,
questo è stato superato; se non esisterà rispetto reciproco non esisterà un dialogo
interreligioso, è la base per poter camminare insieme e affrontare sfide. Questo
dialogo è fondato sulla propria identità e
sulla mutua fiducia che nasce quando sono capace di riconoscere l’altro come dono di Dio e accetto che ha qualcosa da
dirmi. L’altro ha qualcosa da dirmi. Ogni
incontro con l’altro è un piccolo seme che
si deposita; se si annaffia con una cura assidua e rispettosa, basata sulla verità, crescerà un albero rigoglioso, con una moltitudine di frutti, dove tutti potranno ripararsi e alimentarsi, e nessuno resterà escluso, e in esso tutti faranno parte di un progetto comune, unendo i loro sforzi e le loro aspirazioni.
In questo cammino di dialogo, siamo
testimoni della bontà di Dio, che ci ha dato la vita; questa è sacra e deve essere ri-
spettata, non disprezzata. Il credente è un
difensore della creazione e della vita, non
può restare muto o con le braccia incrociate dinanzi a tanti diritti impunemente
annientati; l’uomo e la donna di fede sono
chiamati a difendere la vita in tutte le sue
fasi, l’integrità fisica e le libertà fondamentali, come la libertà di coscienza, di
pensiero, di espressione e di religione. È
un dovere che abbiamo, perché crediamo
che Dio sia l’artefice della creazione e noi
strumenti nelle sue mani per far sì che tutti gli uomini e le donne siano rispettati
nella loro dignità e nei loro diritti, e possano realizzarsi come persone.
Il mondo osserva costantemente noi
credenti, per appurare qual è il nostro atteggiamento dinanzi alla casa comune e ai
diritti umani; inoltre ci chiede di collaborare tra noi e con gli uomini e le donne di
buona volontà, che non professano alcuna
religione, affinché diamo risposte effettive
a tante piaghe del nostro mondo, come la
La nostra casa comune
Davanti alle sfide attuali, è importante che i credenti delle differenti tradizioni religiose cerchino insieme le modalità per amare, curare e custodire il creato per il
bene di tutta l’umanità. Lo ha detto il vescovo Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, nel saluto a Papa
Francesco. Il presule ha presentato al Pontefice i partecipanti al primo incontro
sul tema «America in dialogo. La nostra casa comune», promosso dal dicastero
insieme con l’Organizzazione degli Stati americani (Oea) e l’Istituto del dialogo
interreligioso (Idi) di Buenos Aires. Si tratta di persone appartenenti a varie tradizioni religiose di diversi Paesi, riunite per discutere sulla creazione di un istituto
di dialogo che abbia una dimensione continentale americana. In questa prima riunione, il tema principale all’ordine del giorno è stato l’enciclica Laudato si’.
guerra e la fame, la miseria che affligge
milioni di persone, la crisi ambientale, la
violenza, la corruzione e il degrado morale, la crisi della famiglia, dell’economia, e
soprattutto la mancanza di speranza. Il
mondo di oggi soffre e ha bisogno del nostro aiuto congiunto, così ce lo sta chiedendo. Vi rendete conto che questo è ad
anni luce da qualsiasi concezione proselitista?
Inoltre costatiamo con dolore che a volte il nome della religione è usato per commettere atrocità, come il terrorismo, e seminare paura e violenza e, di conseguenza, le religioni vengono indicate quali responsabili del male che ci circonda. È necessario condannare in maniera congiunta
e decisa queste azioni abominevoli e prendere le distanze da tutto ciò che cerca di
avvelenare gli animi, dividere e distruggere la convivenza; occorre mostrare i valori
positivi inerenti alle nostre tradizioni religiose per ottenere un solido apporto di
speranza. Per questo motivo, sono importanti gli incontri, come quello presente. È
necessario che condividiamo i dolori come
pure le speranze, per poter camminare insieme, prendendoci cura l’uno dell’altro, e
anche del creato, nella difesa e nella promozione del bene comune. Che bello sarebbe lasciare il mondo migliore di come
l’abbiamo trovato. In un dialogo tenutosi
un paio di anni fa, un entusiasta della cura della casa comune ha detto: dobbiamo
lasciare per i nostri figli un mondo migliore. Ci saranno figli?, ha risposto l’altro.
Infine, questo incontro si svolge nell’anno dedicato al Giubileo della Misericordia; questa ha un valore universale che include sia i credenti sia quanti non lo sono,
perché l’amore misericordioso di Dio non
ha limiti: né di cultura, né di razza, né di
lingua, né di religione; abbraccia tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito.
Inoltre l’amore di Dio avvolge tutta la sua
creazione; e noi come credenti abbiamo la
responsabilità di difendere, prenderci cura
e guarire chi ne ha bisogno. Che questa
circostanza dell’Anno Giubilare sia un’occasione per aprire ulteriori spazi di dialogo, per andare incontro al fratello che soffre, come pure per lottare affinché la nostra casa comune sia una famiglia, dove ci
sia posto per tutti e nessuno venga escluso
né eliminato. Ogni essere umano è il dono
più grande che Dio ci può dare.
Vi invito a lavorare e a promuovere iniziative in modo congiunto, affinché tutti
insieme prendiamo coscienza della cura e
della tutela della casa comune, costruendo
un mondo sempre più umano, dove nessuno è di troppo e dove tutti siamo necessari. E chiedo a Dio di benedire tutti noi.
Agli abati benedettini Francesco chiede di tenere vive le oasi dello spirito
Custodi del silenzio
«Tenere vive le oasi dello spirito» attraverso
«quel silenzio operoso ed eloquente che lascia
parlare Dio nella vita assordante e distratta
del mondo»: è la «speciale responsabilità»
affidata dal Papa agli abati benedettini
riuniti a convegno, durante l’udienza svoltasi
nella mattina di giovedì 8 settembre, nella
Sala Clementina.
Cari Padri Abati,
Care Sorelle,
con gioia do il mio benvenuto a tutti voi.
Saluto l’Abate Primate Dom Notker Wolf,
che ringrazio per le sue cortesi parole e soprattutto per il prezioso servizio svolto in
questi anni. Dopo sedici anni di girare,
penso: chi lo ferma quest’uomo? Il vostro
Congresso Internazionale, che vi vede periodicamente riuniti a Roma per riflettere
sul carisma monastico ricevuto da San Benedetto e su come rimanere ad esso fedeli
in un mondo che cambia, riveste in questa
circostanza un significato particolare nel
contesto del Giubileo della Misericordia. È
lo stesso Cristo che ci invita ad essere «misericordiosi come è misericordioso il Pa-
dre» (Lc 6, 36); e voi siete testimoni privilegiati di questo “come”, di questo “modo”
di operare misericordioso di Dio. Difatti,
se è soltanto nella contemplazione di Gesù
Cristo che si coglie il volto della misericordia del Padre (cfr. Bolla Misericordiae vultus, 1), la vita monastica costituisce una via
maestra per fare tale esperienza contemplativa e tradurla in testimonianza personale e
comunitaria.
Il mondo di oggi dimostra sempre più
chiaramente di avere bisogno di misericordia; ma questa non è uno slogan o una ricetta: è il cuore della vita cristiana e al
tempo stesso il suo stile concreto, il respiro
che anima le relazioni interpersonali e rende attenti ai più bisognosi e solidali con
loro. È ciò che, in definitiva, manifesta
l’autenticità e la credibilità del messaggio
di cui la Chiesa è depositaria e annunciatrice. Ebbene, in questo tempo e in questa
Contemplativi
in azione
Ben settemila monaci e quattordicimila monache e suore vivono il carisma di san Benedetto. Molteplici sono le attività che vengono svolte nei
loro monasteri, in particolare nel
campo dell’accoglienza dei profughi,
soprattutto in Germania e in Austria,
dove molte persone trovano ospitalità
nelle comunità. Lo ha detto dom
Notker Wolf, abate primate della
confederazione benedettina, nel salutare il Papa. Ben 160.000 studenti
vengono formati nelle scuole benedettine che si ispirano alle linee guida sull’educazione composte da una
commissione internazionale. A questo
proposito, l’abate ha ricordato l’incontro svoltosi a Roma con centosettanta professori provenienti da ventuno Paesi per riflettere sul tema della
leadership nella Regola di san Benedetto. Dom Wolf ha ringraziato il
Pontefice per la costituzione apostolica Vultum Dei quaerere e ha ricordato le iniziative intraprese fin dal 1979
per sviluppare il dialogo tra le religioni, in particolare gli incontri con i
buddisti Zen e, da alcuni anni, con
esponenti musulmani.
Chiesa chiamata a puntare sempre più
sull’essenziale, i monaci e le monache custodiscono per vocazione un peculiare dono e una speciale responsabilità: quella di
tenere vive le oasi dello spirito, dove pastori e fedeli possono attingere alle sorgenti
della divina misericordia. Per questo, nella
recente Costituzione apostolica Vultum Dei
quaerere, così mi rivolgo alle monache, e
per estensione a tutti i monaci: «Sia per
voi ancora e sempre valido il motto della
tradizione benedettina “ora et labora”, che
educa a trovare un rapporto equilibrato tra
la tensione verso l’Assoluto e l’impegno
nelle responsabilità quotidiane, tra la quiete della contemplazione e l’alacrità del servizio» (n. 32).
Cercando, con la grazia di Dio, di vivere
da misericordiosi nelle vostre comunità, voi
annunciate la fraternità evangelica da tutti
i vostri monasteri sparsi in ogni angolo del
pianeta; e lo fate mediante quel silenzio
operoso ed eloquente che lascia parlare
Dio nella vita assordante e distratta del
mondo. Il silenzio che voi osservate e di
cui siete i custodi sia il necessario «presupposto per uno sguardo di fede che colga la
presenza di Dio nella storia personale, in
quella dei fratelli e delle sorelle che il Signore vi dona e nelle vicende del mondo
contemporaneo» (ibid., 33). Pur se vivete
separati dal mondo, la vostra clausura non
è sterile, anzi, è «una ricchezza e non un
impedimento alla comunione» (ibid., 31). Il
vostro lavoro, in armonia con la preghiera,
vi rende partecipi dell’opera creativa di
Dio e vi fa «essere solidali con i poveri che
non possono vivere senza lavorare» (ibid.,
32). Con la vostra tipica ospitalità, voi potete incontrare i cuori dei più smarriti e
lontani, di quanti si trovano in una condizione di grave povertà umana e spirituale.
Anche il vostro impegno per la formazione
e l’educazione della gioventù è molto apprezzato e altamente qualificato. Gli studenti delle vostre scuole, attraverso lo studio e la vostra testimonianza di vita, possano diventare anch’essi esperti di quell’umanesimo che promana dalla Regola Benedettina. E la vostra vita contemplativa è
anche un canale privilegiato per alimentare
la comunione con i fratelli delle Chiese
O rientali.
L’occasione del Congresso Internazionale rafforzi la vostra Federazione, affinché
sempre più e meglio sia al servizio della
comunione e cooperazione tra i monasteri.
Non lasciatevi scoraggiare se i membri delle comunità monastiche diminuiscono di
numero o invecchiano; al contrario, conser-
vate lo zelo della vostra testimonianza, anche in quei Paesi oggi più difficili, con la
fedeltà al carisma e il coraggio di fondare
nuove comunità. Il vostro servizio alla
Chiesa è molto prezioso. Anche nel nostro
tempo c’è bisogno di uomini e donne che
non antepongono nulla all’amore di Cristo
(cfr. Regola di San Benedetto, 4, 21; 72, 11),
che si nutrono quotidianamente della Parola di Dio, che celebrano degnamente la
santa liturgia, che lavorano lieti e operosi
in armonia con il creato.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la
vostra visita. Vi benedico e vi accompagno
con la mia preghiera; e anche voi, per favore, pregate per me, ne ho bisogno.
Grazie.
Nomina episcopale
in Spagna
La nomina di oggi riguarda la Chiesa
in Spagna.
Javier Salinas Viñals
ausiliare di Valencia
È nato a Valencia il 23 gennaio
1948. Ordinato sacerdote a Valencia
il 23 giugno 1974, ha ottenuto il dottorato in catechetica presso la Pontificia università Salesiana di Roma nel
1982. Nell’arcidiocesi di Valencia è
stato coadiutore nella parrocchia di
San Jaime, di Moncada (1974-1976);
formatore nel seminario minore
(1976-1977); assistente diocesano del
movimento junior di Azione cattolica
(1977-1978); delegato episcopale di catechesi (1982-1992); cappellano nel
collegio Seminario Corpus Christi di
Valencia (1987-1992); vicario episcopale (1990-1992). Nominato vescovo
di Ibiza il 26 maggio 1992, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 6 settembre successivo. È stato trasferito
alla diocesi di Tortosa il 5 settembre
1997. È stato anche amministratore
apostolico della diocesi di Lleida
dall’8 marzo 2007 al 16 luglio 2008.
Il 16 novembre 2012 è stato trasferito
alla diocesi di Mallorca.