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Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
anno 22 | numero 23 | 15 GIuGno 2016 |  2,00
L’ultimo vero
ambientalista
Intervista a Massimiliano Filippi, paladino di allevatori, cacciatori,
zoo e circhi. Uno che gli animali li ama come natura comanda
EDITORIALE
pARIsI A mILAnO
Abbiamo ancora due settimane
per sfruttare l’occasione
Q
uando qualche mese fa si iniziò a parlare della candidatura di Beppe Sala a sindaco di
Milano, pareva non esserci storia. Matteo Renzi aveva fatto bingo e tanti saluti a tutti. Persona perbene, reduce dal successo di Expo, un profilo non di sinistra adatto
ad attrarre il voto moderato, il neo-renziano Sala aveva l’immagine adatta per rassicurare
una città delusa dall’esperienza arancione di Giuliano Pisapia. Poi è spuntato Stefano Parisi che, in poco tempo, con una campagna non urlata nei toni ma decisa nei contenuti, ha
recuperato quei consensi che – noi pensiamo a causa di una motivata disillusione – s’indirizzavano verso Sala o verso l’astensione. Ed ora eccoci qui, a un punto percentuale di distacco a giocare una partita apertissima. Cosa ci piaccia di Parisi l’abbiamo detto e scritto:
è un liberale e un garantista autentico, ha già dimostrato di saper far correre la macchina
pubblica, è laico ma non laicista, vuole «rigenerare la politica», come dice lui, e non semplicemente e comodamente adagiarsi sulla recriminazione e sulle piagnucolose ninnenanne anticasta. Per noi, è il massimo. Ma, ci sia consentito dirlo, è il massimo anche per
questa Italia un po’ sbrindellata, come anche certi segnali di questo primo turno di amministrative hanno evidenziato. E non stiamo parlando solo dell’astensione (che è cresciuta
ancora), ma anche di situazioni come quella di Napoli dove si premia un sindaco che ne
ha combinate di tutti i colori, e da pm e da primo cittadino. Un’alternativa c’è e, dove si pre- cOn bEppE sALA sEmbRAvA
senta, è premiata dagli elettori. Dalla Venezia nOn EssERcI pARTITA,
di Brugnaro alla Napoli di Lettieri fino a Milano, solo il centrodestra unito sa andare oltre il pOI È spunTATO un cAnDIDATO
proprio perimetro tradizionale. Abbiamo due chE hA sApuTO TEnERE InsIEmE
settimane per sfruttare l’occasione.
un cEnTRODEsTRA DIsILLusO
L’AuTRIcE DE “LA mAssERIA DELLE ALLODOLE”
Il voto sul genocidio armeno ci mostra
che esiste ancora un’anima europea
c
on il voto del Bundestag sul genocidio armeno, si è davvero incrinata la lunga alleanza
fra turchi e tedeschi? È possibile, ma non probabile: fra i milioni di turchi che risiedono in Germania, sono ormai tanti quelli che ammettono apertamente le colpe dei
loro antenati nella mattanza del 1915-16. Inoltre, molti sono di etnia curda: nipoti di coloro che collaborarono alle stragi, ma che hanno ufficialmente chiesto perdono agli armeni,
come accadde anche a me durante uno straordinario incontro col capo della comunità curda in Italia. Piuttosto, questo voto dei parlamentari tedeschi, praticamente all’unanimità,
ricorda ai molti che – all’interno della Turchia, in condizioni difficilissime – si battono per
la verità storica e per i diritti civili, che l’Europa non è solo commercio, moneta, economia;
essa è ancora in grado di combattere per riaffermare una verità storica cancellata e derisa
in decenni di oblio: Unione dei diritti, non solo dei mercati. Il testo della mozione approvata lo dice con fermezza, chiamando in causa però anche l’Impero germanico, durante la prima guerra mondiale potente alleato di quello ottomano. Soldati, ufficiali, uomini d’affari,
missionari tedeschi scrissero ai parenti, ai giornali, al governo centinaia di infuocate missive, denunciando l’inerzia della loro diplomazia e la vergogna per gli orrori a cui assistevano. Ma le lettere non venivano recapitate, e la linea ufficiale fu il silenzio: un silenzio imbarazzato,
È bELLO chE, OggI, sIA
colpevole, solo raramente violato da pochi uomini
pROpRIO LA gERmAnIA,
cOn LA QuAsI unAnImITà di buona volontà, come l’ufficiale Armin Wegner, il
pastore Johannes Lepsius, il dottor Martin Niepage
DEI suOI pARLAmEnTARI,
ad Aleppo. È bello che, oggi, sia proprio la Germania
A DARcI unA gRAnDE
a darci una lezione di coraggio.
Antonia Arslan scrittrice
LEzIOnE DI cORAggIO
L’ASCIA NEL CUORE
Ma chi fa figli
per la suocera?
Nove mesi dopo il lancio di un ironico spot governativo che invitava i connazionali a fare figli «per la mamma»,
in Danimarca si è registrata un’impennata di nascite. Secondo un’indagine, in estate negli ospedali del paese,
che come tutti quelli europei vive un
drammatico inverno demografico, dovrebbero nascere 60 mila bambini, il
10 per cento in più di quelli dell’anno
scorso. Lo spot spiegava che era necessario darsi da fare sotto le coperte perché in Danimarca il numero di figli
per donna è di 1,7, quindi insufficiente per garantire il ricambio generazionale e sostenere il welfare (in Italia, sia detto tra parentesi, è dell’1,35).
Alcuni osservatori, però, hanno fatto notare che già prima della messa
in onda dello spot c’era stata una ripresa demografica, spiegando il fenomeno con la fine della crisi economica. Nell’un caso o nell’altro, per gente
da Family Day come noi, c’è da festeggiare, anche se ci rimane qualche piccolo dubbio di cui vorremmo rendervi
parte. È infatti assai singolare che questa esuberanza familista si manifesti
nello stesso paese che vorrebbe essere
“Down free”, così come poco convincente risulta la logica secondo cui un figlio è accettabile solo in base a un calcolo ragionieristico. Che sia quello del
27 del mese o che dipenda dalla tenuta del sistema pensionistico, alla fin fine, infatti, pur sempre un calcolo è. Ci
sta anche questo, per carità, ma quanta gente conoscete che mette al mondo
marmocchi per fare un favore all’Inps
o alla suocera? Noi, nessuno. Conosciamo invece gente che ha salutato il dono del decimo figlio solo con un «eccolo, c’è un altro tra noi».
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| 15 giugno 2016 |
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SOMMARIO
10 PRIMALINEA IMMIGRATI, COSÌ L’EUROPA CI HA FREGATI | GUARNERI
NUMERO
23
IN EDICOLA DAL 9
AL 15 GIUGNO 2016
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
anno 22 | numero 23 | 15 GIuGno 2016 |  2,00
L’ultimo vero
ambientalista
Intervista a Massimiliano Filippi, paladino di allevatori, cacciatori,
zoo e circhi. Uno che gli animali li ama come natura comanda
LA SETTIMANA
20 COPERTINA IL PALADINO DEI CACCIATORI
Il santino ambulante
Luigi Amicone ................................7
Foglietto
Alfredo Mantovano.......... 8
Boris Godunov
Renato Farina............................ 19
Consequentia rerum
P. G. Ghirardini ......................24
Vostro onore mi oppongo
Maurizio Tortorella..... 25
26 CULTURA LEZIONI DI SOPRAVVIVENZA
PER DHIMMI | CASADEI
Mamma Oca
Annalena Valenti .............. 35
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano ................. 39
Lettere dalla fine
del mondo
Aldo Trento .................................. 40
Sport über alles
Fred Perri...........................................42
Appunti
Marina Corradi ..................... 46
RUBRICHE
Stili di vita .......................................... 34
Motorpedia ....................................... 36
Lettere a Tempi ...................... 38
Taz&Bao................................................44
30 CULTURA “LA RABBIA”, LA LITE DIMENTICATA TRA PASOLINI E GUARESCHI | BONA CASTELLOTTI
Foto: Ansa
IL SANTINO
AMBULANTE
MA COME FUNZIONA QUESTO METODO ELETTORALE?
Passato? Ma che ne so
Però è stato avvincente
e ora tocca battere Sala
|
DI LUIGI AMICONE
I
l giorno 5 giugno ho festeggiato a tarcento i quarant’anni della scuola media fondata e forgiata da don Antonio Villa. Tirata su tra le macerie del terremoto del ’76,
è più viva e allegra che mai. Con le due ventenni di allora, Eva e Luciana, venute a
dare una mano dalle Marche e dalla Sardegna, che sono ancora lì. Sorprese da una vocazione che ha dato la vita per questo angolino di 9 mila anime del Friuli. Erano stu- ciara (Salvini). Adesso siamo ai momenti
dentesse universitarie nel 1976. Nel 2016 sono donne in pensione. Mentre il “Villin” – di gloria e tocca correre per confermare
o della “presenza solo presenza”, come diceva il ’68 – è rimasto emblema della meglio il migliore sindaco possibile per Milano.
gioventù. A 86 anni. Perciò. È bella, ma è così bella, la strada che porta a casa, che se L’uomo Chili. Il tranquillo passista che
Claudio Chieffo intonò le sue canzoni in mezzo a una tenda di alpini, domenica scorsa in sessanta giorni ha scalato una montac’era suo figlio Martino, dentro la tenda, in mezzo a un mare di bambini, a cantare la gna. E che nonostante lo scandalo di una
elezione convocata dal governo Renzi cocanzone che il padre scomparso dedicò proprio a lui. E all’Imperatore.
Poi, siccome dai nemici mi guardo io, al Sussidiario che mi ha dato per morto già me ciliegina su uno dei ponti più lunghi
il 6 giugno scorso (come se la notizia di queste amministrative fosse che «alla fine Ami- dell’anno e un ballottaggio allo scoccare
cone ha raccolto 1.548 preferenze che non dovrebbero essere sufficienti a farlo entra- dell’estate, è riuscito a prendere 15 punti
re in consiglio comunale», mentre alla fine Amicone ne ha raccolte 1.579 di preferenze e a pareggiare il conto.
Per il 19 c’è ancora molto da pedalae, causa complicatissimo computo dei resti, si sa mai che potrebbero essere sufficienti a farlo entrare in consiglio comunale addirittura prima della vittoria di Parisi attesa re. Bisogna convincere la gente che l’unico modo per non farper il 19 giugno), c’è proprio bisogno che
si mettere sotto i piedi
ci pensi uno Zeus alla Vittadini.
ABBIAMO FATTO UN’IMpRESA ChE IN
da quelli che “vedi RenDopo di che, non ho niente da dichia- FORZA ITALIA NON CI CREDE NESSUNO. TI
zi e poi devi solo tirare
rare. Se non che è stata un’esperienza avDOMANDANO COME SIA STATO pOSSIBILE
un rigore”, è solo quello
vincente. Pochi, ma buoni e fidati amici,
di andare a votare. Renhanno fatto un’impresa che in Forza Ita- ChE SENZA UN QUATTRINO «AvETE
zi, si sa, ha circonfuso la
lia non ci crede ancora nessuno. E infatti, BRUCIATO DUE DEI NOSTRI DATI SICURI
sua personalità di gloria,
nella sede elettorale di via Valtellina do- E pURE IL vOSTRO Ex MINISTRO LUpI»
anche senza passare dalve si festeggia il sensazionale 20 per cento forzista, con la bresciana Gelmini in L’amore non ci fa cadere mai nell’invidia la cabina elettorale. Lui della democracima alla classifica dei più votati a Mila- altrui. E soprattutto, non ci fa cadere per zia può farne a meno. Perché con la Cancelliera è di casa. E con la Casa Bianca è
no, ti domandano come sia stato possibi- terra i sussidiari.
Adesso fioccano telefonate. Tutti vo- di famiglia. Dunque, la sterminata ambile che senza il becco di un quattrino, senza un archivio elettronico con migliaia di gliono sapere. Ma sapere cosa, se nean- zione del bravo ragazzo neanche dovrebindirizzi, senza un call center e, soprat- che io so se il metodo elettorale Billings be soffrire questa faticaccia che è andare
tutto, senza neppure un’accoppiata con i – o quel che l’è – mi ha fatto entrare an- a cercarsi i voti tra il popolo. Come altro
consiglieri di zona, «avete bruciato un pa- che se sono ottavo e con soli 16 voti di spiegare l’invenzione del voto in una sola
io dei nostri dati per sicuri e pure il vo- scarto dal buon De Pasquale, altro stori- giornata e casomai non vince il renziano
stro ex ministro Lupi». E vogliamo parlare co forzista e politico navigato? Fatto sta al primo turno ci si rivede a votare in piedella competizione interna? Di quel biri- che, vadano come vadano i conti del cal- ni europei di calcio? Adesso guardi il pachino di Mariano e del Simone che ha fat- colo algoritmico, noi qui siamo già in pi- norama e capisci che i conti non tornano.
to anche lui un bel risultato in Fi? Che se sta per quell’uomo mite e leonino che si C’è in giro un parapiglia che il Pd deve dil’uno avesse messo a partito quel cicinin è dimostrato Stefano Parisi. Due mesi fa fendersi a ogni latitudine. Roma e Napoli
di 300 voti e l’altro i suoi 600… Ma va be- davano Sala avanti 15 punti e il massimo sono già uccellin di bosco. Adesso bisogna
ne così. Perché come dice Silvio, l’amore problema del centrodestra era se perdere che Parisi vinca e che l’uomo di Renzi sia
vince sempre. L’amore fa girare il mondo. con onore (Del Debbio) o perdere con ca- dichiarato “missing” a Milano.
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FOgLIETTO
COME RICOSTRUIRE LA RAPPRESENTANZA
Ricordate che la cura
del prossimo passa
per la cura della polis
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dI ALFREdO MANTOvANO
F
dalle ultime
elezioni amministrative vi è l’ormai
consolidata irrilevanza del voto dei
cattolici. Nessun candidato fra coloro che
giungono al ballottaggio nelle città più
importanti ha questo profilo, neanche
implicito; durante la campagna elettorale non si sono ascoltati richiami a impegni concreti verso le famiglie, per la parte di competenza dei comuni. L’area del
non voto somma il 38 per
cento di coloro che si soL’INdIvIdUAZIONE dI UNA PERSONA
no tenuti lontani dai segSTIMATA, SENZA CONNOTAZIONI
gi con la quantità di scheIdEOLOgIChE
POTREbbE ATTRARRE
de bianche e nulle: per la
IN
MISURA
MAggIORE
RISPETTO A
prima volta in competizioni con un così largo
CANdIdATI IMPRObAbILI. MA qUESTO
numero di elettori supeESIgE UN LAvORO dI FORMAZIONE
ra la metà degli aventi diritto. Una parte di questo territorio non ne per ricostruire una rappresentanza: per
rappresentato è costituito da cattolici. I il governo di una città l’individuazione di
quali non sono scomparsi in natura: le una persona conosciuta e stimata sul termanifestazioni del 20 giugno dello scor- ritorio, affiancata da un lista civica omoso anno e del 30 gennaio di quest’anno genea, senza connotazioni ideologiche ma
lo confermano. E non solo quelle manife- protesa alla soluzione delle difficoltà quostazioni: l’impegno generoso per fronteg- tidiane dei singoli e delle famiglie, potrebgiare gli effetti della crisi e le emergenze be attrarre in misura maggiore rispetto a
che viviamo proviene quasi esclusivamen- candidati improbabili, scelti all’ultimo mite da un volontariato orientato dalla fede. nuto da partiti non più credibili. Ma queSe però oggi nel cuore di una città come sto esige un lavoro di formazione e di coRoma – con la quale la Chiesa cattolica ha ordinamento che non si improvvisa poche
ancora qualcosa a che fare – la carica di settimane prima del voto. Esige che il tesindaco è contesa da due candidati che ma sia messo a fuoco nelle comunità e nei
non hanno avuto di meglio negli ultimi movimenti ecclesiali, animato dalla consagiorni che concordare sullo spaccio libero pevolezza – che non manca ma forse va rie sul matrimonio same sex, vuol dire che avviata – che l’amore per il prossimo pasquel mondo non ha nessuno che ne inter- sa anche dall’amore per la polis, nel senso
proprio del termine.
preti i princìpi e gli obiettivi.
Oggi tutto ciò appare non più delegaSi può accettare questo come una calamità, come la piena di un fiume. Ma pro- bile, in un tempo nel quale gli spazi di
prio il voto amministrativo dà l’occasio- agibilità politica tendono a restringersi.
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ra i dati che emergono
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Se in qualche grande città al ballottaggio
può vincere chi al primo turno ha superato di poco il 20 per cento dei consensi, vuol dire che è stato preferito da circa
il 10 per cento dei residenti nel comune:
la scarsa legittimazione democratica del
primo cittadino non può che alimentare ulteriormente la disaffezione al voto,
e con essa l’archiviazione della partecipazione attiva alla guida del territorio nel
quale vive.
In vista del referendum
È un segnale grave: chi non si sente rappresentato né da un sindaco né dall’opposizione rischia di essere attratto da forme di protesta che di democratico non
hanno nulla. Nelle prossime elezioni politiche il mix fra riforma costituzionale e
nuovo sistema elettorale potrebbe far sì
che una sola forza politica – fidando sul
consolidamento della lontananza dalle
urne di una parte ampia degli elettori –
giunga ad avere la maggioranza dei deputati con poco più del 10 per cento degli
iscritti ai registri elettorali. Può accadere a Renzi, ma può accadere al Movimento 5 Stelle. Al di là delle sorti dell’attuale
primo ministro, un sistema elettorale come quello che – a riforma costituzionale
approvata col prossimo referendum – entrerebbe in funzione dal primo turno delle politiche accentua l’assenza di rappresentatività e allontana ancora di più le
istituzioni dal corpo sociale. È una valutazione da non trascurare in vista dell’appuntamento referendario di ottobre.
Pensare che tutto ciò si vinca con la lontananza dall’impegno attivo fa rischiare
brutte sorprese: peggiori di quelle – pur
non lievi – patite finora.
OLTRE L’ACCOGLIENZA
Il piano
fa acqua
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| Foto: Ansa
«L’accordo europeo sulla redistribuzione dei profughi è un fallimento
e la chiusura delle frontiere al nord
Nord Italia
Italia può
può metterci
metterci in
in affanno.
affanno.
Ma piano
nientecon
allarmismi,
gli allarmismi,
oggi i numeri
oggi i numeri
sono insono
lineaincon
linea
il passato».
col passato».
Intervista
Parla il capo
al del
capo
dipartimento
del dipartimento
per l’immigrazione
per l’immigrazione
del Viminale
del Viminale
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DI DANIELE GUARNERI
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OLTRE L’ACCOGLIENZA PRIMALINEA
«SEcoNdo I PAttI, PoSSoNo ESSERE RIPARtItI
tRA gLI StAtI EuRoPEI SIRIANI, IRAchENI Ed ERItREI.
gLI ALtRI No», SPIEgA IL PREFEtto MARIo MoRcoNE
migranti arrivati in terra austriaca passando dai Balcani.
Il giochetto austriaco lo conosciamo,
ma speriamo sia concluso con l’elezione del nuovo presidente. Tuttavia, ritengo offensiva e ridicola l’accusa mossa alle
nostre autorità di non fare controlli al
Brennero. Al massimo è vero il contrario.
Quando vengono intercettati, afghani e
pachistani sono scortati alla questura di
Udine. Lì fanno richiesta di asilo politico e
quindi iniziano tutte le lunghissime trafile legate alla domanda. Gli afghani tendenzialmente lo ottengono, i pachistani no. E
quindi fanno ricorso al giudice ordinario e
rimangono in questo stallo anche un anno
e mezzo, entrando in automatico, e di conseguenza affollando, il nostro sistema di
accoglienza.
Ma il piano di ricollocamento dei migranti approvato lo scorso anno dall’Unione
Europea non era stato studiato proprio
per evitare di lasciare Italia e Grecia da
sole davanti al problema profughi?
Il
sistema rischia di andare
in tilt. Estate che si annuncia drammatica. Questi
sono alcuni dei titoli che
sono finiti sulle pagine
dei giornali in questi ultimi giorni. Effettivamente nella sola settimana dal 23 al 29
maggio sono sbarcati sulle coste della Sicilia e della Calabria 13 mila migranti, quasi tutti provenienti dall’Africa subsahariana, dall’Eritrea e alcuni anche dalla Siria.
Ormai più di mille sono le vittime, disperati che non sono riusciti a portare a termine il loro lungo viaggio. Eppure il prefetto
Mario Morcone, dal 2014 capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale, smorza i toni usati dai
giornalisti, senza tuttavia negare i problemi che ci sono e che con il miglioramento delle condizioni meteo marine aumenteranno certamente: «Invasione, collasso
delle strutture, sono termini abusati in
maniera veramente sgradevole ed eccessi-
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va», dice a Tempi. «Certo noi non possiamo
assorbire tutte le difficoltà di un continente come l’Africa, dove ci sono paesi in fiamme». Effettivamente, i numeri finora registrati dal Viminale parlano di 47.940 sbarchi da gennaio a fine maggio, soltanto 488
migranti in più rispetto allo stesso periodo
del 2015, anno che si chiuse con un totale di 153.842 sbarchi. E se anche dal prossimo giugno e fino alla fine di dicembre
gli arrivi dovessero seguire il trend di due
anni fa, alla fine dell’anno potrebbero contarsi circa 180 mila arrivi, poco più rispetto al 2014 che in totale ne contò poco più
di 170 mila. Ecco perché il prefetto non
sminuisce affatto il problema, ma cerca di
guardarlo per quello che è: «Per ora nulla
di diverso rispetto al passato».
Ciò che preoccupa Morcone non è tanto quello che avviene sulle coste meridionali dell’Italia, ma quanto accade ai nostri
confini settentrionali. E ancora di più, l’accordo firmato a Bruxelles sulla redistribuzione dei migranti: «Un vero fallimen-
to, un fiasco totale», lo definisce. Il limite di emergenza fissato dal Dipartimento
sull’immigrazione è intorno ai 160 mila
profughi accolti e le condizioni per lo sfondamento in tempi brevi sembrano esserci
visto che il sistema italiano, sempre a fine
maggio, aveva già in carico la non proprio
tranquillizzante cifra di 121.306 stranieri.
A imballare la macchina dell’accoglienza è il tappo che si è venuto a creare alle
frontiere del Nord Italia?
Certamente questo influisce pesantemente. Prima l’Italia era una tappa di un
più lungo viaggio che aveva come meta
finale i paesi più a nord come la Germania. Pochi facevano richiesta d’asilo, mentre oggi l’80 per cento la fa, allungando in
questo modo la permanenza nelle strutture. Prima c’era un ricambio costante garantito da chi proseguiva il viaggio verso altre
nazioni, oggi non è più così.
Un reportage del Fatto Quotidiano ha
rivelato come le autorità di Vienna favoriscono un esodo verso l’Italia dei
Un passo indietro. Cosa prevede questo
accordo?
Foto: Ansa
A
lto livello di emergenza.
L’accordo è stato un vero fallimento. La
proposta di Jean-Claude Juncker prevedeva il binomio solidarietà-responsabilità. A
noi veniva chiesta la responsabilità: identificare con la fingerprinting i migranti e
garantire che nessuno sconosciuto potesse circolare nell’area Schengen. Questo lo
abbiamo fatto e Bruxelles lo ha riconosciuto. Contestualmente dovevamo essere contraccambiati con la solidarietà degli altri
paesi dell’Unione. Invece i numeri dimostrano il contrario e siccome il piano della
redistribuzione non partiva, due mesi fa si
era deciso di trasferire entro metà maggio
almeno 20 mila persone sbarcate tra Italia
e Grecia. Dall’inizio del piano, invece, ne
sono state ricollocate circa 1.800.
La redistribuzione dei rifugiati tra gli
Stati. Il numero si calcola in base a un
meccanismo che tiene conto di popolazione, Pil, disoccupazione e richiedenti asilo già accolti. Tuttavia, l’accordo prende
in considerazione solo i migranti di quelle nazionalità che, secondo Eurostat, statisticamente nel 75 per cento dei casi ottengono asilo. Risultato: possono essere ripartiti siriani, iracheni ed eritrei, gli altri no.
Sulle nostre coste sbarcano soprattutto africani, cosa serve questo accordo
all’Italia? Perché il governo lo ha definito un grande successo?
te molto salate, ma la verità è che intanto
il migrante rimane un problema per Italia.
Il governo ha creduto, in buona fede,
alla decisione assunta a Bruxelles che, va
ricordato, non è stata approvata all’unanimità. Quella di iracheni, siriani, eritrei
è una regola che l’Italia ha dovuto “subire”. Ma la linea che separa il rifugiato dal
migrante economico sappiamo bene quanto sia sottile. È una distinzione che qualcuno ha voluto costruire in modo astratto, ma la nostra cultura dell’accoglienza
non può cadere in questa semplificazione.
Comunque, se si rispettassero gli impegni
presi e si ricollocassero anche solo gli eritrei, per l’Italia non sarebbe cosa da niente. Ma nemmeno questo si fa.
Prima di tutto quello delle pratiche:
complicate, lunghe, tortuose. Una volta
che l’Italia ha elaborato il fascicolo elettronico per il singolo immigrato ed esso viene
inviato agli organi preposti degli altri Stati, questi ti rispondono dopo molto tempo. E intanto l’immigrato rimane a casa
nostra. Non solo, quasi sempre la risposta
include ulteriori approfondimenti. Altro
tempo. E prima che la pratica si concluda positivamente, il paese che dovrà ospitare l’immigrato vuole prima incontrarlo.
E il tempo si allunga ancora. Così si rende
molto più complicata una situazione che
di partenza non è certo facile. I paesi che
in teoria hanno dato la loro disponibilità,
poi nel concreto la negano con questi piccoli trucchetti burocratici. E non è tutto.
Perché?
I problemi sono molti. Partiamo dal
fatto che alcuni paesi europei, nonostante l’accordo, non accettano i migranti. E
mi riferisco soprattutto ai paesi dell’Est.
Ungheria e Slovacchia al momento hanno
rifiutato ogni migrante. Altri paesi, invece, nonostante la disponibilità data a Bruxelles, hanno aperto le porte a un numero
di rifugiati molto inferiore rispetto al previsto. Per fare due esempi, a fine maggio la
Germania soltanto 20, la Spagna 18.
Ma tra le proposte di revisione del trattato di Dublino non c’è anche quella di
far pagare agli Stati che non rispettano
le regole 250 mila euro per ogni profugo
rifiutato?
È vero, ma per ora rimane una proposta che ha fatto arrabbiare tutti i paesi dell’area di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) che rifiutano i profughi ma incassano cifre ragguardevoli dal bilancio comunitario. Sono paesi che abbiamo sostenuto e aiutato nei loro
momenti di difficoltà e che ora hanno delle posizioni insopportabili. Credo che prima o poi si dovrà fare qualcosa, bisognerà chiedere conto dei loro atteggiamenti,
perché le sanzioni pecuniarie vanno bene,
ma non risolvono il problema. L’Italia per
la situazione delle nostre carceri viene
sanzionata da Bruxelles, ma il problema
non lo abbiamo mai risolto. Vale la stessa
cosa per i migranti: forse ci saranno mul-
Quali sono gli altri problemi che avete
riscontrato?
Perché?
Ancor prima di tutto questo, occorre
convincere l’eritreo a fare richiesta d’asilo. Chi arriva sa già come funzionano le
cose e quindi è restio a fare domanda, non
ha alcuna intenzione di accettare la destinazione che gli sarà assegnata. Chi arriva
vuole andare in posti precisi, dove magari
vivono parenti o amici. Per non rischiare
di finire altrove decidono di restare. E così
tutto diventa più difficile per l’Italia. Il primo scoglio, dunque, è proprio nel rapporto con l’immigrato. Solo dopo che è stato
convinto a farsi identificare e la sua application viene inviata a un paese che ha dato
disponibilità di accoglienza, comincia l’infinito balletto burocratico che ho descritto prima. In questo periodo può succedere di tutto. L’eritreo comincia a credere di
essere stato ingannato, e questo complica
i rapporti non solo con lui ma con la sua
comunità, che si fiderà sempre meno delle
nostre autorità.
Gli eritrei che da gennaio a oggi sono
arrivati in Italia sono l’11 per cento del
totale dei profughi sbarcati. Il restante
89 per cento rimane quindi un problema
che dobbiamo gestirci da soli?
Esattamente. E tra questi ci sono quelli
che hanno diritto alla protezione internazionale, almeno noi li consideriamo così.
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OLTRE L’ACCOGLIENZA PRIMALINEA
Penso soprattutto a nigeriani e maliani. Oppure a chi arriva dalla Sierra Leone
o dalla Somalia. Persone che fuggono da
contesti non certo migliori di quelli siriani
o iracheni. Ma ripeto, al di là dei momenti di emergenza, di quei periodi in cui arrivano migliaia di migranti al giorno, per
il momento i numeri che abbiamo sono
sostenibili. Certo l’estate che si avvicina
renderà le cose difficili, ma non credo più
degli altri anni, o comunque non con i termini usati sui giornali.
Eppure si parla di centinaia di migliaia
di migranti pronti a salpare dalle coste
della Libia.
Il tema della migrazione si presta a
un utilizzo vergognoso e ingiusto. Sulla pelle delle persone si gioca una partita di consenso politico. È chiaro che tutti hanno le proprie difficoltà e tutti temono che i migranti possano strapparci quel
poco di benessere e sicurezza che a fatica
si sono conquistati. Ma se si punta solo su
lo Stato, ma i paesi europei a coordinarsi e
condividere uno sforzo verso l’Africa. Una
cooperazione comunitaria che riguarderà
investimenti significativi in materia di istitution building, sviluppo locale, protezione delle persone, attuazione di diritti. Il
problema non sono le risorse ma è imparare a non investire a pioggia e trovare obiettivi comuni per portare sviluppo nei paesi martoriati. Ce ne sono tanti, ma per noi
ce ne sono alcuni più importanti: Niger,
Sudan, Libia, Mali, Senegal e naturalmente Eritrea, Somalia ed Etiopia. Il tema è
ricostruire lì delle opportunità di vita e di
sviluppo. Si è sempre detto che il problema dell’immigrazione era da risolvere alla
base. Ora mi sembra strano sentire dire
che siccome la cooperazione ha sempre fallito, allora fallirà ancora. Mi sembra una
critica superficiale, una scusa per essere a
ogni costo contro questo governo.
Tornando in Italia, hanno fatto discutere alcuni articoli in cui si descriveva la
«NEssuNo NEgA I RIschI, soPRAttutto oRA chE ARRIvA
LA bELLA stAgIoNE, MA L’EffEtto INvAsIvo cI sARà soLo
PER LA coNcENtRAzIoNE dI ARRIvI IN uN tEMPo LIMItAto»
queste paure si fa un gioco sporco. Nessuno nega i rischi che ci possono essere per
il nostro paese, soprattutto ora che arriva
la bella stagione, ma l’effetto invasivo, se
così vogliamo chiamarlo, ci sarà per la concentrazione di arrivi in un tempo limitato.
Se tutti si assumessero le proprie responsabilità fino in fondo, a partire dall’Europa e fino ai sindaci dei comuni italiani, il
nostro paese sarebbe in grado di gestire le
problematiche legate agli sbarchi, senza
l’affanno a cui siamo costretti.
La Commissione europea ha accolto con
molto favore la proposta italiana del
Migration compact. Di cosa si tratta?
È un’iniziativa che vuole mettere a
sistema i contatti bilaterale esistenti ma
che sono risultati insufficienti e deboli rispetto alle esigenze di un continente
come l’Africa. La proposta italiana è stata accolta da tutti con interesse e attenzione, ora la disponibilità si dovrà tradurre in concreta applicazione. Il Migration
compact si muove in parallelo con l’accordo tra Unione Europea e Turchia: abbiamo fatto un passo importante verso Ankara, ora lo dobbiamo fare verso alcuni paesi
africani. L’idea è che non sarà più il singo-
giornata tipo del migrante nei centri di
accoglienza. Vitto e alloggio pagati, tessere telefoniche, giornate perse davanti
alla tv o al cellulare…
Troppo spesso trascorrono la giornata
in maniera inutile e in questo modo perdono la voglia di ricostruirsi la vita. Ribadisco quanto spiegato in diverse circolari: queste persone possono essere impiegate in lavori di volontariato, utili all’integrazione con il contesto sociale. E in questo caso non serve nemmeno l’assicurazione perché l’Inail fornisce già la copertura.
Non esiste legge che vieta loro di lavorare,
anzi, con il decreto legislativo 142 approvato lo scorso settembre abbiamo ridotto
da 6 a 2 mesi il tempo che deve trascorrere
dalla prima identificazione alla possibilità
di trovare impiego legittimamente. Il concetto di accoglienza non va slegato da quello di integrazione. Nel centro l’immigrato
può rimanere un anno, un anno e mezzo
a seconda della situazione, poi deve lasciare libero il posto che occupa. O in questo
periodo riesce a costruirsi una rete o finisce su un marciapiede. L’accoglienza non è
un vitalizio, dopo un determinato periodo
devi saper camminare con le tue gambe.
E se questo non accade? C’è il rischio
che una volta fuori dal centro comincino
a delinquere.
Sull’argomento voglio essere cauto, al
momento non abbiamo segnali di incremento di reati dovuti agli sbarchi. Anche
questo è un altro argomento che viene
strumentalizzato dalla politica. Bisogna
stare attenti a non permettere la nascita
di nuove marginalità, che si andrebbero
ad aggiungere a quelle degli italiani in difficoltà. Per chi non è in grado di proseguire da solo una volta abbandonato il centro di accoglienza, si profila la possibilità
del rimpatrio. Quello forzato per gli individui socialmente pericolosi e che riteniamo di accompagnare alla frontiera o addirittura nel loro paese d’origine. In questo
caso i soggetti sono soprattutto marocchini, tunisini, egiziani e nigeriani. Poi c’è il
rimpatrio volontario e assistito: per coloro che non sono riusciti a integrarsi e decidono volontariamente di tornare a casa, lo
Stato fornisce una piccola somma di denaro utile a ricostruirsi una vita nel paese di
origine.
Che rapporti ci sono con le amministrazioni comunali?
I sindaci dovrebbero avere il coraggio
di accettare i progetti Sprar (Sistema di
protezione per richiedenti asilo e rifugiati,
ndr). Sono progetti finanziati dal ministero dell’Interno, la best practice della integrazione.
Ma i soldi arrivano puntuali o ci sono le
solite ed estenuanti tempistiche dei pagamenti pubblici?
I soldi arrivano puntuali ogni tre mesi,
soprattutto nei progetti Sprar. Le cose si
complicano per quanto riguarda i Centri
di accoglienza straordinaria, quelli aperti temporaneamente per gestire particolari situazioni di emergenza. In questo caso
facciamo fatica, è vero. Comunque il vero
problema non è quello economico, ma
quello legato al consenso politico. In un
clima dove non si fa altro che parlare di
invasione, si genera paura e il sindaco che
accetta i progetti Sprar vede erodere inevitabilmente il proprio consenso.
Avete in mente altre azioni per andare
incontro alle esigenze dei comuni?
Stiamo portando il finanziamento dei
progetti al 95 per cento, mentre prima era
all’80. In questo modo i Comuni dovranno coprire solo il rimanente 5 per cento
dei costi. Abbiamo scritto circolari spie|
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PRIMALINEA OLTRE L’ACCOGLIENZA
gando che dove verranno attuati i progetti Sprar, i prefetti eviteranno di avere
un atteggiamento intrusivo nelle scelte,
ad esempio del luogo dove accogliere i profughi. Non vogliamo interferire nelle scelte del territorio a condizione però che gli
amministratori siano disponibili all’accoglienza. Stiamo anche pensando di destinare 1 euro per ogni migrante accolto che
il Comune potrà utilizzare per le spese correnti: pulizia delle strade, asfalti stradali,
riordino del verde.
Una critica che avete ricevuto da più
parti è quella di tentare di risolvere il
problema migranti con soldi statali. Pagate lo straniero e non l’italiano.
Ogni anno gli immigrati che lavorano
versano circa 8 miliardi di euro in contributi di cui solo 3 vengono restituiti sotto
forma di assistenza sociale e servizi. Per il
bilancio italiano si registra un saldo positivo di circa 5 miliardi di euro, praticamente l’accoglienza si paga da sé. E per quanto riguarda la questione del lavoro: provo a immaginare che cosa potrebbe essere
l’allevamento nelle stalle del centro nord
senza gli immigrati. Oppure l’agricoltura
al sud. Tutti dicono che gli italiani sono
pronti a fare qualsiasi lavoro, poi nessuno
va a raccogliere il pomodoro San Marzano.
Chi munge le vacche tutti i giorni, anche
a Natale? Gli indiani, non gli italiani. Bisognerebbe parlare, oltre che dell’emergenza profughi, delle possibilità che derivano
dall’arrivo di questi stranieri.
Tipo?
Le faccio l’esempio di Riace, uno dei
tantissimi e piccolissimi comuni di Italia, i cosiddetti comuni polvere, dove molto spesso la natalità è crollata, ci sono
solo anziani che percepiscono la pensione, dove non c’è più una stazione dei carabinieri o l’ufficio postale, figuriamoci le
scuole. Innestando in questi comuni alcune famiglie di profughi, magari con figli, il
tessuto sociale si è riattivato. A Riace hanno riaperto scuole, negozi, l’ufficio delle poste, sono rinate attività artigiane che
stavano scomparendo e ora stanno tornando a essere dei punti di forza, case disabitate sono state messe a disposizione degli
stranieri. Sono tutti meccanismi economici che generano altrettanta economia. Per
fare tutto questo ci vuole una visione a lungo termine dei progetti, ci vogliono sicuramente degli investimenti, ma soprattutto
occorre coraggio politico.
n
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DI COSA HA BISOGNO L’AFRICA
La cooperazione
dei missionari
Q
uando in un’area politico-economica come l’eurozona
il tasso di
disoccupazione generale si aggira attorno al 10 per cento e quello della disoccupazione giovanile sta al 21, e in quell’area arrivano 1 milione di immigrati all’anno, per i tre quarti giovani maschi in
cerca di prosperità, è normale che qualcuno pensi a come fare per arrestare o almeno ridurre il flusso. Perché è vero che metà di esso dipende da guerre e guerriglie mediorientali e africane, ma l’altra metà è di
natura strutturale: la popolazione dell’Africa è destinata ad aumentare
dagli attuali 1,2 miliardi di abitanti a 2,5 nel 2050. E se l’Africa attuale
ha prodotto centinaia di migliaia di migranti nonostante tassi di crescita del Pil superiori al 5 per cento dal 2009 fino all’anno scorso, figuriamoci cosa succederà se la crescita scenderà, come è successo nel 2015
con un modesto più 3 per cento rispetto all’anno precedente.
Le capitali dell’Eurozona rischiano di assomigliare in un futuro non
troppo lontano alle grandi metropoli africane, dove il centro direzionale e i quartieri benestanti sono circondati da distese di baraccopoli senza speranza. Per questo e per ragioni più ravvicinate (il peso della crisi
migratoria sui risultati delle elezioni) dall’Europa e dall’Italia in particolare, dove il tasso di disoccupazione giovanile è del 39 per cento, arrivano proposte per aiutare gli aspiranti emigranti a casa loro: molti (ultimo in ordine di tempo il cardinale Scola) evocano “un piano Marshall
per l’Africa”, il governo italiano è entrato nei detPERché IL PIANo
tagli presentando il Migration compact del valoMARshALL fuNzIoNò
re di 500 milioni di euro per investimenti nei paesi di origine e di transito dei migranti africani. Si
MENtRE I MILIARdI
dI doLLARI vERsAtI AL tratta di capire dove si andranno a prendere i soldi, dopo il rifiuto tedesco di emettere eurobond a
coNtINENtE NERo No?
questo fine.
L’Africa è al centro di vasti programmi di aiuti sin dal 1960, con
risultati scarsi e difficili da paragonare con quelli del vero piano Marshall, che fra il 1948 e il 1951 riversò sull’Europa occidentale 13 miliardi di dollari, pari a 130 miliardi di oggi. L’Africa nera fra il 1960 e il 2010
avrebbe ricevuto, secondo alcune stime, 300 miliardi di dollari in forma di Aiuti allo sviluppo (Aps). Perché il piano Marshall funzionò e l’Aps
all’Africa no? Padre Piero Gheddo l’ha spiegato mille volte: «Perché i
popoli europei, nonostante nazismo e fascismo, erano preparati da tutta la loro storia, educazione, cultura e religione, a far fruttare il denaro
lavorando e fondando nuove industrie; i popoli africani, per la loro storia, cultura e religione tradizionale, semplicemente non erano stati preparati a questo dalla colonizzazione, durata però solo circa 60-70 anni,
con due guerre mondiali in mezzo! La radice del sottosviluppo africano è storico-educativa-culturale-religiosa». Su questa radice antropologica si è innescata la corruzione a livello governativo: l’Aps è servito ad
arricchire le élites locali e a finanziare le campagne elettorali dei politici europei. La lotta alla corruzione non funzionerà senza un’autentica
formazione umana: l’Africa ha bisogno anzitutto di più famiglie cristiane e di più scuole cattoliche.
[rc]
boris
godunov
AndAre Alle urne è unA responsAbilità cristiAnA
Il ballottaggio è una cosa seria.
Non ci sono in amore, nel lavoro,
in politica, spazi per la PlayStation
|
di renAto fArinA
A
Boris piace citare Lev toLstoj, Guerra e pace. Nel libro secondo, parte terza, capitolo primo, scrive: «Nel 1808 lo
zar Alessandro si recò a Erfurt per un nuovo incontro con
l’imperatore Napoleone (...). Nel gran mondo si parlava persino
della possibilità di un matrimonio tra Napoleone e una delle sorelle di Alessandro. Oltre alle discussioni sulla politica estera, in
quel tempo l’attenzione della società russa era rivolta con particolare vivacità alle riforme interne, che venivano attuate allora
in tutte le zone dell’amministrazione imperiale. Intanto, la vita,
la vera vita degli uomini, con i suoi interessi sostanziali, di salute, di malattia, di lavoro, di riposo, con i suoi interessi di pensiero, di scienza, di poesia, di musica, d’amore, d’amicizia, di odio,
di passione, procedeva come sempre, indipendentemente e fuori
da ogni politica di alleanza o di inimicizia con Napoleone Bonaparte, fuori da tutte le possibili trasformazioni e riforme».
Ha ragione Tolstoj. Queste due sfere ci sono anche oggi. Le
elezioni, tutte le elezioni, che sono il nostro modo per dirigere le
riforme e spingere o frenare i Napoleoni di oggi, vengono vissute
a due livelli di coscienza. Uno è quello che ha a che fare con il nostro rapporto con i destini del mondo. L’altro con la nostra umana vicenda, vista però come scissa dagli accadimenti dell’universo. Non sto facendo una gran scoperta, mi rendo conto. Il mal
di testa che forse passerà con un’aspirina ha un peso maggiore nel determinare il nostro sguardo sul prossimo ma anche sulla rotazione del pianeta intorno al suo asse della consapevolezza dell’immane scontro tra le grandi potenze della fisica e della
politica in Africa.
Il cattivo umore degli americani
Il maestro Riccardo Muti in una conversazione trasferì il medesimo discorso sulla musica. La sera avrebbe dovuto dirigere il Requiem di Verdi, un capolavoro assoluto. L’infinita bellezza sarebbe stata nelle mani di violinisti e al peso dell’acidità di stomaco o
della volubilità della rispettiva moglie o del fidanzato. Ma anche
dell’umore del maestro stesso. Tale è la fragilità umana, la sua finitezza meschina rispetto ai balzi del cuore per cui sospiriamo
dinanzi a un’alba rosata.
Così in politica. Sappiamo che discenderanno conseguenze
decisive dalla vittoria di Trump o della Clinton (Boris non sa qua-
HA rAgione brecHt: in questo tempo
bisognA occupArsi del mAledetto
imbiAncHino piuttosto cHe stAr
seduti dAvAnti All’Albicocco in
fiore. questo è umAno, Accidenti
li, ma di certo esistono) sulle speranze di sopravvivenza delle comunità cristiane in Iraq. Eppure quel giorno in America molti
non andranno a votare per il cattivo umore, o si stancheranno
per la fila, o avranno irritazioni particolarissime contro la chioma arancione di Trump oppure contro il particolare uso dei sigari in voga nella famiglia Clinton, lato maschile.
Dalla sana ironia al quieto fatalismo
Credo che il compito dei cristiani oggi sia quello di mostrare
che ogni atto umano è attraversato dallo stesso anelito di felicità. Accarezzare un bimbo, votare. La responsabilità è offrire
ogni nostra azione al Tutto.
La politica è un bene. È sì relativa, lasciata al suo rischio, ma
il suo peso sui destini è tale che richiede consapevolezza e non
trascurataggine; sostegno di amici e della propria grande famiglia spirituale. Evitando i minimalismi sentimentali di chi si acquieta nel godimento del fiorellino profumato che ci ricorda
Dio, senza che questa memoria ci rimandi al sangue sparso sul
prato. Ha ragione Brecht: in questo tempo bisogna occuparsi del
maledetto imbianchino piuttosto che star seduti davanti all’albicocco in fiore. Le due cose insieme: questo è umano, accidenti.
Correre a soccorrere l’uomo ferito, avendo dentro di sé il roseo
albicocco chiomuto.
Perché ho fatto questa tiritera? Perché dinanzi a queste elezioni non vedo una sana ironia rispetto all’esito del nostro tentativo umano, ma una sorta di quieto fatalismo. L’ironia accompagnava anche i martiri prima che gli staccassero la testa, vedi
Thomas Moore, ma della testa gli importava eccome.
Per questo io dico: il ballottaggio per scegliere il sindaco è
una cosa seria. Perché riguarda il caso serio. Non ci sono in amore, nel lavoro, in politica, spazi per la PlayStation.
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COPERTINA
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L’uLtIMo AMbIentALIstA
DI PIETRO PICCININI
Te lo do io
l’amore per
gli animali
Intervista a Massimiliano Filippi, fondatore
di FederFauna, paladino di allevatori, cacciatori,
zoo e circhi. Lettura sconsigliata a un pubblico
sensibile alle campagne politicamente corrette
e a chi condivide foto di gattini su Facebook
A
MassiMiliano Filippi bisogna riconoscere come minino che ha del
coraggio. Veneto, allevatore rampollo di una famiglia di allevatori, nel
2008 davanti alla marea montante animalista ha deciso di suonare una sveglia per
l’associazionismo del suo mondo, dando
vita «con alcuni amici volenterosi» a una
confederazione sindacale un po’ più “spinta”, per così dire. A guardarli con freddezza sito web e vetrine social di FederFauna
sono uno spasso. Oltre ai contenuti da classica battaglia di rappresentanza, Filippi e i
suoi pubblicano un sacco di cose politicamente scorrettissime. Articoli che sembrano barzellette (“Monaco, struzzo del circo
liberato dagli animalisti viene investito e
ucciso da un’auto”), scherzi da gelo in sala
(vedi il disegno fanciullesco della chioccia che mangia becchime con la didascalia
“la campagna è quella cosa dove le galline
vanno in giro crude”, copyright del gruppo Facebook “Vegano stammi lontano”),
consigli che rasentano la provocazione
(“Mondo barbecue: 10 ricette con l’agnello
per Pasqua”), rappresentazioni della realtà abbastanza originali (“Il vento cambia!
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| Foto:Ansa
Nel 2015 in Italia il numero dei cacciatori
è cresciuto”). Celeberrimo il Premio Hitler,
una targa con il Führer che accarezza due
caprioli davanti al cancello di Auschwitz
sotto il motto “Animal Reich”, assegnato
ogni anno da FederFauna a personalità che
si distinguono per capacità di «calpestare i
Diritti Umani in nome di ideologici diritti
degli animali». FederFauna difende gli allevamenti, le macellerie, la caccia, lo zoo, il
circo. Tutto ciò che è diventato indifendibile nell’era dei gattini di Facebook. Ma quel
che alimenta l’impegno di Filippi non è la
faccia tosta del tale che si diverte a marciare contromano. Sembra tanto una battaglia culturale la sua. E in effetti «lo è», dice
lui a Tempi. «Noi difendiamo e promuoviamo quella che io chiamo la “cultura rurale”. Sono le nostre radici: la società le sta
perdendo e con esse perde un fondamento
della nostra umanità».
Perché combattete gli animalisti?
Premetto che noi siamo assolutamente per il benessere animale: per me che
faccio l’allevatore è un ottimo investimento. Se la vacca non sta bene, non fa mica
il latte. Però, siccome molta gente viven|
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COPERTINA L’uLtimo ambientaLista
do nelle città ha perso il contatto con la
natura, cioè con la realtà, ecco che si fanno strada le ideologie fuorvianti, prima
fra tutte l’animalismo che noi combattiamo a spada tratta. Eravamo stufi di sentirci dire: “Ma dai, sono quattro gatti, che
male vi fanno se vanno dietro ai cagnolini?”. FederFauna è nata per questo, perché
questi quattro gatti, con la tattica del salame, una fetta alla volta sono arrivati a insidiare tutta la filiera zootecnica, tutte le
imprese e le professioni connesse.
Sono così fastidiosi?
Sono una lobby potente. Meglio: c’è un
gruppetto tutto sommato ristretto di faccendieri che sanno gestire il potere e trarne beneficio. Accusano noi di sfruttare gli
animali, ma loro cosa fanno? Pubblicano
una fotografia e chiedono i soldi. E mentre la mia vacca deve star bene per fare il
latte, il cagnolino della foto più è malconcio e più frutta donazioni. Ma non sfruttano solo gli animali, sfruttano anche tutta una serie di mentecatti (e questi sì che
sono tanti) che va da quelli che offendono
e minacciano di morte su internet fino a
quelli che fanno azioni di ecoterrorismo.
E voi quanti siete?
Sommando tutte le confederate rappresentiamo circa 100 mila persone. Ma
quelli che in Italia hanno attività economiche o ludiche con gli animali sono oltre
3 milioni. Saremmo una vera potenza.
Purtroppo siamo disorganizzati. Quando
si va in piazza si fa sempre una fatica micidiale a mettere insieme le persone.
Non c’è bisogno di arrivare fino in piazza. Basta vedere Facebook: la Lega Antivivisezione vi straccia in quanto a fan.
Lasci perdere i “mi piace”, quelli si fa
presto a gonfiarli. Comunque io sono il
primo a essere convinto che la stragrande
maggioranza degli italiani ami gli animali. Però tra gli amanti degli animali ci metto anche me che faccio l’allevatore, mangio la carne e ho le scarpe in pelle.
Quanti episodi di ecoterrorismo si sono
registrati in Italia?
Decine e decine, da perdere il conto.
Tra i più grossi che mi vengono in mente, uno recente è avvenuto l’anno scorso,
quando hanno dato fuoco ai camion di
Veronesi. Ha presente, no? Veronesi Mangimi a Ospedaletto, provincia di Padova.
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Sinceramente no.
Vede? È perché anche la stampa dedica
poco interesse a questo problema. Sappia
che a questa azienda hanno dato fuoco a
15 camion. Qualcosa di simile era successo al Centro Latticini di Montelupo Fiorentino nel 2013, stesso anno dell’assalto allo
stabulario del dipartimento di Farmacologia dell’Università di Milano. Nel novembre scorso sono entrati nell’allevamento
Rossi, nel Modenese. Gli hanno scavalcato il muro in pieno giorno, roba dell’altro mondo. Ti svegli una mattina e trovi
distrutto quello per cui hai lavorato anni.
E spesso resti lì senza sapere cosa fare.
Si può cominciare dal denunciare questi
reati alla magistratura.
Ma finché resteranno catalogati come
atti di vandalismo, le forze dell’ordine
avranno sempre di meglio da fare. Non
per niente sono anni che noi chiediamo
una norma contro l’ecoterrorismo come
quella che c’è negli Stati Uniti e in altri
paesi europei. È l’unico modo di arginare il problema. Non è possibile che questi
entrino nelle aziende di notte per rubare
gli animali, distruggere le attrezzature, a
volte mettendo a repentaglio la vita umana. Per non parlare poi di quella animale,
visto che gli animali sgabbiati nove su dieci crepano, e crepano male.
costituirsi parte civile e chiedere i danni.
Niente male.
Se il vigile incassasse le multe che fa,
ne farebbe centomila.
«La cosa più beLLa deL mio Lavoro? Le nascite: riempiono
di gioia. però quando è L’ora gLi animaLi Li maceLLo, Li
mangio, mi ci vesto. La natura non è buona né cattiva»
Lei personalmente ha subìto attacchi?
Sono venuti dentro l’allevamento due
o tre anni fa. Non hanno trovato niente da
denunciare, hanno solo pubblicato le foto
e scritto che ho quattromila visoni. Han
contato male: sono seimila.
Le è andata bene che non ci fosse neanche un animale ferito.
Ma sarebbe stata una cosa normale. L’altro giorno ho visto un servizio di
Report: una donna è entrata di nascosto
in una fattoria per far vedere che c’erano degli animali malati. Ma è andata dentro un locale infermeria, e si vedeva benissimo che era un locale infermeria. Poi
mostravano un operaio che faceva pipì
dentro un pollaio. Ma i polli lì di fianco
mica uscivano per andare al gabinetto…
Per scandalizzarsi di certe cose bisogna
proprio non aver mai messo piede in una
stalla. Lei ce l’ha un cane?
No.
Va bè, se avesse un cane saprebbe che
quando un animale sta poco bene si vede
innanzitutto dalla pelliccia, che diventa
opaca. Perciò è chiaro che chi come me
alleva animali da pelliccia deve badare al
«NOI dIfENdIAmO quEllA ChE IO ChIAmO “CulTuRA RuRAlE”.
SONO lE NOSTRE RAdICI: lA SOCIETà lE STA PERdENdO E CON
ESSE PERdE uN fONdAmENTO dEllA NOSTRA umANITà»
Il Fatto quotidiano poche settimane fa
ha riconosciuto che le lobby animaliste
sono le più efficaci in Italia. Anche voi
fate lobbying?
loro benessere: io vendo pelo, mica posso
vendere pelo opaco.
Abbiamo cominciato, certo. Sottolineo
però che noi ci muoviamo cercando di
difendere l’esistente, soprattutto le imprese e i lavoratori. Le lobby animaliste invece inventano leggi per far soldi. Credo che
la 189 sia l’unica legge al mondo che consente a uno stesso soggetto di denunciare
un presunto reato di maltrattamento di
animali, di collaborare al sequestro degli
animali coinvolti, di diventare affidatario
degli stessi, nonché destinatario dell’introito delle sanzioni nel caso in cui il processo porti a una condanna, e infine di
Ecco, prima si parlava di mentecatti e
faccendieri. I mentecatti sono quelli che
devono trovare per forza il nemico nell’uomo. Un sacco di gente si è affrettata a scrivere su internet che voleva uccidere il presunto killer di Spinea. Si dicono animalisti
ma non hanno un’idea di cosa sia la natura. Non c’era bisogno neanche di scomodare l’Istituto Zooprofilattico, tutti i contadini dei dintorni che hanno le galline sanno
benissimo che in certi periodi dell’anno
le volpi insegnano ai cuccioli a cacciare. E
quando si è accertato che effettivamente
Vuole fare un commento sulla strage
degli animali dell’Oasi di Spinea?
volte noi abbiamo ripreso il passo del Catechismo che parla dell’utilità della creazione. In quattro righe c’è tutto: allevamento,
caccia, pellicce, tutto. Posso leggerglielo?
Prego.
gli autori della strage erano volpi, i mentecatti zitti. Mentre i faccendieri avevano
già trovato il sistema di raccogliere soldi.
E sul caso del gorilla abbattuto allo zoo
di Cincinnati per salvare il bambino caduto nel suo recinto, con somma rabbia
degli animalisti?
Sto con i gestori dello zoo. C’era in gioco una vita umana e uccidere il gorilla era
l’unico sistema sicuro per salvarla. Gli animalisti non capiscono che io sarei pronto
ad ammazzare il gorilla anche se la vita in
pericolo fosse la loro. Tanti di loro con me
non farebbero altrettanto probabilmente.
Ma come si fa a schierarsi dalla parte
di uno zoo?
Che domande. Lo zoo ha un valore
unico, è una delle poche manifestazioni
rimaste di cultura materiale degli animali. Lo ha detto anche il grande entomologo Giorgio Celli prima di morire, tanto è
vero che gli animalisti lo avevano isolato.
Un documentario non ti dà la materialità
che ti offre lo zoo, non ti consente di sentire l’odore dell’animale.
Però arrivare a difendere la caccia è paradossale perfino per voi.
No che non lo è. La caccia è una forma
di conservazione e-c-c-e-z-i-o-n-a-l-e. I paesi
africani dove non sono minacciati i leoni e
gli elefanti, sono quelli dove i cacciatori ne
ammazzano di più. Io sono stato in Sudafrica e in Namibia: c’è una gestione faunistica straordinaria. Lì certi animali ci sono
ancora. In Europa è l’Ungheria che la fa da
leader in questo campo.
L’Ungheria?
Non so se lei è cacciatore, ma saprà che
quasi tutti i cacciatori almeno una volta
nella vita sono andati a caccia in Ungheria. Si vedono animali dappertutto lassù.
Merito della caccia?
Merito della caccia. La caccia non è predazione illimitata, ormai è gestione scientifica: vuol dire fare censimenti, determinare l’incremento utile annuo della popolazione e gestirla. Come si farebbe con un
frutteto: gli alberi vanno potati se si vuole
che diano frutti anche l’anno successivo.
Per le nutrie invece nessuna pietà. Voi
parlate di “eradicazione”.
Le nutrie vanno eradicate perché non
sono autoctone e dove sono fanno danni. Fanno danni alla fauna autoctona,
all’agricoltura, agli argini dei fiumi. Fanno danni a tutti. Mi viene da ridere perché per difenderle gli animalisti dicono
che sono stati gli allevatori a liberarle nelle nostre regioni. Ma la nutria è un animale da pelliccia che vale più da morto che
da vivo. Io conosco degli ex allevatori di
castorini: quando il mercato ha smesso di
tirare, li hanno abbattuti per incassare il
poco possibile. Se li avessero liberati non
avrebbero preso neanche quello.
Vuole dire qualcosa sul Premio Hitler?
Il Premio Hitler è nato come una provocazione ma lo è fino a un certo punto.
È stato Hitler, nel 1933, a firmare la prima legge che parlava dei cosiddetti diritti degli animali che non esistono. Il Reich
vietava la sperimentazione animale in
patria e poi sperimentava sugli ebrei nei
lager. Ebbene anche oggi c’è chi propone di fare la sperimentazione sui carcerati. Pensare di salvare un topo sacrificando una persona perché è “cattiva”: capisce
perché parlo di una perdita di umanità?
Perché criticate anche il boom di accessori per animali?
Non siamo contrari agli accessori in
generale. Ci sono accessori che sono utilissimi alla gestione dell’animale. Gabbie,
trasportine, ciottole e guinzagli servono.
Il cappottino coi diamanti un po’ meno.
Ci siamo capiti? Noi abbiamo fatto degli
esposti contro quelli che volevano dare le
crocchette vegane ai cani. Siamo contrari
a tutto quello che snatura l’animale: è una
forma di maltrattamento. Che fa del male
all’animale e fa del male a noi, perché
aumenta il nostro distacco dalla realtà.
Per questo avete messo il Papa sulla
copertina del vostro ultimo bollettino?
Il Papa è stato meraviglioso quando ha
detto in piazza San Pietro che non si può
avere compassione verso i cani e i gatti e
ignorare il vicino che ha bisogno. Tante
«Dio ha consegnato gli animali a colui
che egli ha creato a sua immagine. È dunque legittimo servirsi degli animali per
provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l’uomo nei suoi
lavori e anche a ricrearsi negli svaghi. Le
sperimentazioni mediche e scientifiche
sugli animali sono pratiche moralmente accettabili, se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o salvare vite umane. È contrario alla
dignità umana far soffrire inutilmente
gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita. È pure indegno dell’uomo spendere per gli animali somme che
andrebbero destinate, prioritariamente, a
sollevare la miseria degli uomini. Si possono amare gli animali; ma non si devono far oggetto di quell’affetto che è dovuto soltanto alle persone».
Chi sono gli intellettuali di riferimento
di Federfauna?
Deve parlare con Massimo Zaratin. È
lui il filosofo, io sono un povero contadino.
E i vostri peggiori nemici?
No guardi, noi non abbiamo nemici.
Nemica è l’ideologia.
Secondo lei gli animali hanno un’anima?
Domanda complicata, credo che una
risposta definitiva non esista. Se per anima intendiamo quel “soffio di vita” di
cui parlava Giovanni Paolo II, rispondo
di sì. Se parliamo di anima con le alucce e le nuvolette, probabilmente no. Però
io gliel’ho detto che faccio il contadino e
non il filosofo.
Non teme di passare per quello cattivo?
Perché mai? Io amo tantissimo i miei
animali. Ma veramente. La parte più bella del mio lavoro sono le nascite, la nuova vita. È una cosa che ti riempie il cuore di gioia. Poi però quando è il momento gli animali li macello, li mangio, mi ci
vesto, faccio tutte le cose che sono normali. La natura non è né buona né cattiva. È
la natura, punto. E in natura qualunque
essere vivente vive a spese di altri esseri
viventi. Negarlo è negare la realtà.
n
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VOSTRO ONORE
MI OPPONGO
CONSEQUENTIA
RERUM
I 5 STELLE CONOSCIUTI DA VICINO
CAMBIAMENTO O CONTINUITÀ?
Cari romani, farete
la fine dei parmigiani
Solo tagli sui servizi e
report sugli scontrini
Cosa si aspetta il governo
da Greco, nuovo capo
della procura più spinosa
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DI PIER GIACOMO GHIRARDINI
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C
Foto: Ansa
O
ra, perdonatemi, ma vivo a parma. Vorrei provare a raccontarvi la storia del Movimento 5 Stelle a Parma, sine ira et studio. Ma penso sia
inutile. Virginia Raggi, nella migliore delle ipotesi, sarà il curatore
fallimentare del Comune di Roma: i romani che la eleggeranno a sindaco non si troveranno in una situazione molto differente da quella in cui
si sono trovati i parmigiani quando hanno eletto Federico Pizzarotti, se
non che la Raggi appare più scolarizzata e disinvoltamente tecno-nichilista. Quasi una sorella bruna della Boschi.
Il Movimento 5 Stelle abita ormai il vuoto sistematico di offerta politica nell’area della sinistra e preda opportunisticamente il consenso dei
ceti medi abbandonati in pasto alla globalizzazione dal centrodestra.
Ma il Movimento 5 Stelle non è di sinistra, come non lo è, ovviamente,
il Pd di Renzi. Lo impareranno presto i romani “de sinistra” che voteranno la Raggi, sperando che torni a scorrere latte e miele dalle fontane
del welfare. Ma sbagliano doppiamente. Primo, scordatevi il Beppe Grillo che ha scritto il pamphlet contro la schiavitù dei precari con la prefazione di Stiglitz. I grillini, visti da vicino, si indispettiscono quanto Renzi a parlare di disoccupazione e povertà, e hanno in bocca solo imprese
e innovazione: non si capisce chi fa il verso a chi. Vedrete. Solo modernità, altro che pizza e fichi. E non gli si può parlare se non
CREDETE DI POTER via cavo. Paura dei microbi.
Secondo, in questa nuova Italia neocentralista e senza sovranità nazioPARTECIPARE ALLA
nale, non c’è più un becco di un quattrino per le amministrazioni locali, e
DEMOCRAZIA? QUI i sindaci, già in condizioni normali, rischiano di ridursi a fare i commissari
HANNO ALLONTANATO ad acta, dal primo giorno del loro insediamento fino alla fine del mandato.
QUALSIASI PERSONA Quindi, cari romani, il massimo che otterrete saranno report periodici sugli
ABBIA TENTATO scontrini di assessori e consiglieri, ma quando ci sarà da tagliare sugli asili nido, aspettatevi un Monti, più Monti di Monti. A Parma è stato così. Conti un
DI AVVICINARLI. po’ più in ordine, se va bene, ma rigorosamente «niente da cena».
CERTO, AVRETE UNA
Ma, direte voi, avremo la democrazia diretta. Parteciperemo. Vorrei poterAMMINISTRAZIONE vi raccontare del ringhiante giacobinismo con cui i pentastellati parmigiani
TRASPARENTE. COSì hanno tenuto alla larga chi voleva aiutarli, arrivando a mettere alla berlina
telematica chi rispondeva ai loro bandi. Vorrei potervi documentare l’olimTRASPARENTE CHE pica indifferenza nei confronti di autorità civili e religiose che li sollecitavaMANCO RIUSCIRETE no per problemi sociali come quello degli sfratti. Oh, certo. Avrete un’amA VEDERLA ministrazione trasparente. Così trasparente che manco riuscirete a vederla.
24
DI MAURIZIO TORTORELLA
certo, il nuovo procuratore è sempre stahe Francesco Greco, procuratore aGGiunto a Milano e da sempre in corsa per il
to molto legato a Bruti. E non soltanto per
vertice dell’ufficio giudiziario, fosse uno dei candidati favoriti per diventare il
contiguità di corrente (i due sono rispettisuccessore di Edmondo Bruti Liberati, era stato evidente da subito: da quando
vamente esponenti di Area e di MagistraBruti si era messo in pensione, il 16 novembre 2015, aprendo ufficialmente la corsa
tura democratica, entrambe di sinistra).
alla sua poltrona. Che il 30 maggio scorso Greco avrebbe sicuramente ottenuto quelDa procuratore aggiunto e capo del pool
la nomina dal Consiglio superiore della magistratura, invece, è stato evidente dalle
reati finanziari, Greco ha preso parte mol15 di quel giorno, un’ora prima che iniziasse la riunione del plenum del Csm: quanto attiva nella “guerra” che nel 2014-15 ha
do Giovanni Melillo, capo di gabinetto del ministro della Giustizia e uno degli altri
trasformato in trincea i corridoi al quardue concorrenti residui, ha annunciato la revoca della candidatura.
to piano del tribunale: con un’audizione
Sostengono i maligni che il via libera a Greco, in realtà, sia arrivato dal ministro
al Csm si era rivelato come uno degli avAndrea Orlando, e che sia stato il guardasigilli a chiedere a Melillo di fare un pasversari più tignosi di Alfredo Robledo, l’ex
so indietro. Melillo, va detto esplicitamente, respinge la tesi con forza: «Una falsità»,
procuratore aggiunto che
dice, «nessuno mi ha chiesto nulla». E alin quel periodo accusava
lora perché si è ritirato? «Quando uno caNEL 2015 È STATA SANCITA L’INEDITA
pisce che sta per andare a uno scontro ca“MORATORIA” NELLE INDAGINI SULL’ExPO. di parzialità e abusi vari
Bruti Liberati (e poi è stapace di spezzare in due il Csm», risponde
RENZI hA PUBBLICAMENTE RINGRAZIATO
to censurato e trasferito
Melillo, «si ritira, quantomeno per rispetBRUTI PER qUESTO. IL SUCCESSORE AVRÀ
per incompatibilità amto delle istituzioni».
bientale a Torino). In quel
Il duello tra i due candidati apparenUGUALE «SENSIBILITÀ ISTITUZIONALE»?
periodo travagliato, Gretemente più forti stava comunque favorendo l’ascesa del classico terzo litigante:
nella gestione della procura più importan- co aveva anche ispirato e firmato il “maAlberto Nobili, già procuratore aggiunto
te e delicata d’Italia. Nobili non avrebbe nifesto” dei 62 pubblici ministeri milanemilanese, considerato un “conservatore”.
mai fatto, per esempio, quel che nel mag- si favorevoli a Bruti.
Una gioventù da extraparlamentaNon nel senso politico del termine, o pergio 2015 era stato stabilito sotto Bruti: una
ché aderente alla corrente di Magistratura
“moratoria” nelle indagini sull’Expo 2015. re di sinistra, una maturità spesa dietro
indipendente, bensì in senso tecnico: NoIniziativa per la quale Renzi lo scorso ago- a tutte le più importanti inchieste finanbili infatti passa per “rigorista”, e la rigisto ha pubblicamente ringraziato Bruti ziarie d’Italia, stando ai giornali Greco è
dità (si sa) non piace all’attuale vertice del
con queste parole: «L’Expo si è fatto grazie sempre stato in corsa per qualche nomina
Pd, né al premier Matteo Renzi che è l’ina un lavoro istituzionale eccezionale, gra- e pronto a dialogare con la politica. L’ulventore del Partito della nazione, la cui cizie al prefetto e alla procura di Milano che tima gara l’aveva ingaggiata (e persa) nel
fra è lo sprint verbale e l’elasticità.
ringrazio per aver gestito la vicenda con 2014, per sostituire Attilio Befera al vertice dell’Agenzia delle entrate. Del resto,
Non che Greco possa essere considesensibilità istituzionale».
rato assai “flessibile”, professionalmente.
Ecco, ora il governo dalla procura di Greco dal febbraio di quello stesso anno è
Ma Nobili impensieriva molto di più il goMilano si aspetta probabilmente un’ugua- stato consulente del governo sul “dossier
verno in quanto di certo meno propenso
le «sensibilità istituzionale». Si vedrà se Svizzera” per il rimpatrio dei capitali.
al dialogo e meno garante di continuità
Greco garantirà l’auspicata continuità. Di
Twitter @mautortorella
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CULTURA
IL LIBRO DI PHILIP JENKINS
Lezioni di
sopravvivenza
per dhimmi
«Si possono deplorare i legami fra stati e chiese,
ma senza tali alleanze oggi non ci sarebbero
più cristiani in grado di lamentarsi».
Il dramma dei nostri fratelli d’Oriente secondo
uno storico al di sopra di ogni sospetto
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DI RODOLFO CASADEI
CULTURA IL LIBRO DI PHILIP JENKINS
Q
uest’estate non dimenticate di
leggere La storia perduta
del cristianesimo di Philip Jenkins. Scoprirete una
quantità di fatti storici sorprendenti intorno al cristianesimo dell’Oriente, dagli splendori delle
origini al crepuscolo dei giorni nostri passando attraverso terribili persecuzioni di
cui quella dell’Isis è solo l’ultimo atto. E
avrete abbondante materiale per fare comparazioni con la situazione odierna del
cristianesimo e le sue prospettive. A partire da scomode verità storiche, come quella che le religioni si radicano e si espandono solo se il potere politico le sostiene, e viceversa prima o poi scompaiono
se il potere si identifica con una religione
diversa. O come quella che le conversioni
da una religione a un’altra sono avvenute non a motivo delle virtù misericordiose
degli evangelizzatori, ma a causa di miracoli o per opportunismo. O come quella che i musulmani non sono stati affatto i più intolleranti credenti e governanti della storia, ma semplicemente hanno
fatto quello che tutti i credenti, quando
hanno il potere, fanno; pian pianino, un
po’ con le buone e un po’ con le cattive,
si sono presi tutto quello che apparteneva alla religione sottomessa: i suoi fedeli, i
suoi templi, la sua eredità.
Il bello è che nessuno può attaccare Jenkins, accademico della Baylor University (Texas), con insinuazioni ideologiche: è un ex cattolico, scrive su The Christian Century, rivista di protestanti liberal, è antiputiniano, è un fautore della teologia pluralista, quella cioè che pensa che
le religioni sono allo stesso tempo tutte
vere e tutte false, che è un peccato quando
scompare una religione, non importa quale, perché il mondo spirituale diventa più
povero. Non ha pregiudizi sull’islam e sui
musulmani, le cui sacre scritture lui dice
contengono meno appelli alla violenza
sacra di quanti ne contenga l’Antico Testamento. Auspica che i cristiani possano «un
giorno accettare che l’islam svolga un ruolo positivo, e che la sua crescita nella storia rappresenti un’altra forma di rivelazione divina che integra, ma non sostituisce,
il messaggio cristiano».
Ma Jenkins è anche uno studioso rigoroso, onesto e schietto, e non nasconde
mai i fatti storici che potrebbero imbarazzare liberal e cristiani modernisti. Prima
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però cominciamo coi “forse non tutti sanno che…”.
La maggioranza degli europei crede
che, col trionfo politico-militare dell’islam
nel Vicino Oriente e Nordafrica nella
seconda metà del VII secolo, il cristianesimo sia collassato in Asia e in Africa e sia
diventato una cosa prettamente europea.
Sbagliato: all’indomani dell’anno Mille,
quando i califfi regnavano già da tre secoli, un terzo di tutti i cristiani del mondo
viveva in Asia e un altro dieci per cento in
Africa (Egitto, Nubia ed Etiopia). In Europa
vivevano 30 milioni di cristiani, in Oriente fra i 17 e i 20 milioni, in Africa 5. Centinaia di diocesi con vescovi, metropoliti e
patriarchi si stendevano lungo 3.500 chilometri fra Alessandria e Samarcanda.
Molti credono che l’evangelizzazione
IL SAGGIO
LA STORIA
PERDUTA DEL
CRISTIANESIMO
Autore Ph. Jenkins
Editore
Emi
Pagine
352
Prezzo
22 euro
si Ripete che «il sangue dei maRtiRi è il seme
dei cRistiani». Jenkins cinicamente nota
che nelle teRRe di teRtulliano i cRistiani
sono scompaRsi in meno di due secoli
dell’Estremo Oriente sia stata tentata da
gesuiti, francescani e saveriani fra il XIII e
il XVI secolo. Errore: fra il VI e il XIII secolo nestoriani e giacobiti (cristiani monofisiti mesopotamici e siriani) hanno inviato
missioni, tradotto il Vangelo nella lingua
locale e creato diocesi in Persia, Afghanistan, India, Cina, Tibet, Uzbekistan, Turkmenistan e altrove.
Le radici “nazarene” dell’islam
Gli europei cristiani ferventi ripetono
stentorei, con le parole di Tertulliano, «il
sangue dei martiri è il seme dei cristiani».
Jenkins fa cinicamente notare che nelle
terre dove visse Tertulliano, a cavallo fra
le attuali Tunisia e Algeria, i cristiani sono
scomparsi completamente in meno di due
secoli: «Nel VI secolo, circa 500 vescovi
operavano in quella regione; nell’VIII secolo, non ce n’era neanche uno». Gli europei
progressisti si piccano di contrapporre la
tolleranza islamica nella Spagna dominata dagli arabi all’intolleranza dei regni cristiani successivi che deportarono musulmani ed ebrei. Jenkins ridimensiona gli
ardori politicamente corretti: «Quando la
Reconquista cominciò sul serio, le autorità musulmane avviarono deportazioni
di massa di cristiani ed ebrei. Anche se
in seguito la Spagna divenne famosa per
l’espulsione delle minoranze religiose, il
suo regime non fece nulla di diverso da
quello che i suoi predecessori moreschi
avevano fatto secoli prima».
Altra grande sorpresa del libro è la
descrizione dell’islam come nuova religione imitazione del cristianesimo. Alcuni dei tratti più caratteristici dell’islam
sarebbero in realtà elementi importati
dal cristianesimo orientale: «La forma delle moschee deriva da quella delle chiese cristiane orientali nei primi tempi
dell’islam. Allo stesso modo, la maggior
parte delle pratiche religiose dei musulmani all’interno delle moschee deriva
dall’esempio dei cristiani d’Oriente, comprese le prostrazioni, che sembrano così
strane agli occidentali moderni. Il rigore
del Ramadan si basava originariamente
sulla pratica orientale della Quaresima. Il
Corano presenta spesso analogie sorprendenti con gli scritti, i testi devozionali e
gli inni cristiani orientali, e alcuni studiosi hanno sostenuto addirittura che la maggior parte del testo tragga origine da lezionari siriaci, o collezioni di letture per uso
ecclesiastico. (…) Dopo la morte, gli adepti sufi continuano ad attirare devoti alle
loro tombe, in modo che i venerati sceic-
chi svolgono per i musulmani esattamente lo stesso ruolo che i santi cristiani svolgevano nell’epoca precedente».
Il cuore del libro è la drammatica
vicenda delle Chiese orientali, non meno
ricche di spiritualità, vita monastica e
spirito missionario di quelle cattoliche
e ortodosse, anzi in molti casi superiori.
Sfortuna però ha voluto che non riuscissero a convertire se non temporaneamente
re e governanti dei popoli che cercavano
di evangelizzare, che si siano imbattute in
antiche e nuove religioni molto organizzate (buddhismo e islam), che si siano ritrovate in balìa di sovrani e maggioranze di
popolazione di religione diversa.
Fine di una presenza pubblica
Schematicamente: all’inizio i musulmani non impongono conversioni forzate,
ma presto iniziano le discriminazioni e
pressioni sociali per spingere i cristiani
alla conversione; vengono trattati come
dhimmi secondo il Corano: devono pagare una tassa e subire pubblica umiliazione in cambio della protezione da parte
dello Stato musulmano. Si lasciano costruire nuove chiese, anche se la dhimmitudine non lo permetterebbe, ma si verificano
sommosse popolari dei musulmani contro i cristiani che le autorità reprimono
a fatica. I musulmani ci mettono due-tre
secoli a diventare maggioranza nelle terre conquistate. Attorno al 1300 le cose per
i cristiani precipitano: nel 1258 i mongoli
invadono Mesopotamia, Siria e Asia minore e uccidono milioni di persone. Le Crociate dei due secoli precedenti al confronto sono punture di vespa. Alcuni loro capi
sono cristiani, e per un breve momento i
cristiani locali sognano un ribaltamento
del rapporto coi musulmani. Il sogno dura
poco perché la maggior parte dei mongoli
si fa musulmana e incomincia a perseguitare furiosamente i cristiani.
I mongoli non arrivano in Egitto, ma
i mamelucchi scatenano la persecuzione
contro i cristiani temendo che si schiereranno con gli invasori. Distruggono pure
i regni cristiani di Armenia e Georgia. Per
il profilo pubblico del cristianesimo è la
fine: «I dhimmi furono licenziati da qualsiasi incarico pubblico e costretti a indossare indumenti particolari per distinguersi: turbanti blu per i cristiani, gialli per
gli ebrei. Gli effetti di tale crisi perdurano fino ai giorni nostri, perché il rigoro-
Jenkins non simpatizza per l’alleanza fra
trono e altare, ma non ha dubbi: se gli arabi
avessero occupato l’europa, i cristiani
avrebbero avuto davanti «un triste futuro»
so legalismo islamico che emerse intorno
al 1300 ha plasmato gran parte dei moderni movimenti fondamentalisti. Dagli anni
Novanta del XIII secolo i giuristi musulmani produssero interpretazioni sempre più
dure delle leggi che governano le minoranze. (…) Intorno alla metà del secolo gli
scrittori musulmani disponevano di un
intero catalogo di accuse contro i cristiani,
che assomigliava moltissimo ai vergognosi
pamphlet antiebraici del primo Novecento
come i Protocolli dei Savi di Sion».
Sotto l’Impero ottomano i cristiani
d’Oriente si assestano, ma con l’avvento
del XX secolo le cose precipitano di nuovo,
per ragioni simili ai fatti del 1300: sospettando che i cristiani diventeranno le quinte colonne delle potenze europee, i turchi organizzano lo sterminio degli armeni e degli assiri, e la cacciata dei greci
dall’Anatolia. In un secolo i cristiani scendono dall’11 al 3 per cento del totale della
popolazione del Medio Oriente. E si arriva
ai giorni nostri.
Alla fine di tutta questa storia Jenkins,
che pure non è per nulla un simpatizzante dell’alleanza fra trono e altare, spiega
chiaramente che a fare la differenza fra il
destino delle Chiese d’Occidente e quello
delle Chiese d’Oriente sono state le vicende militari e politiche. «I cristiani possono deplorare la persistenza di legami fra
gli stati e le chiese, ma senza tali alleanze oggi forse non ci sarebbero più cristiani in grado di lamentarsi. Se non ci fossero stati quei legami, il cristianesimo forse non sarebbe niente di più che una nota
a piè di pagina nei manuali di storia islamici o cinesi, come il manicheismo». «Nel
corso del tempo, il fatto che una data religione detenesse il potere in uno stato le
garantiva maggiori probabilità di essere
sempre più maggioritaria. Così la posizione dominante diventava sempre più dominante». È quello che i musulmani hanno
fatto in Oriente, mentre i cristiani lo facevano in Europa: «A prescindere dal tema
della violenza e della costrizione, i regimi
musulmani attraverso i secoli sono riusciti benissimo a creare società e culture che
esercitavano una pressione schiacciante
verso il conformismo religioso, stabilendo la fede di Muhammad come religione
naturalmente priva di alternative, tale da
permeare tutta la cultura. La piena appartenenza alla società era possibile solo ai
musulmani, mentre tutti gli altri sostenevano oneri di varia intensità». Se gli arabi
fossero riusciti a occupare l’Europa, Jenkins non ha dubbi: «Con ogni probabilità
il cristianesimo avrebbe dovuto affrontare
un triste futuro».
La conversione del re
I copti, però, dimostrano che si può resistere per tredici secoli in ambiente ostile,
anche se il prezzo è scendere dal 100 al 10
per cento della popolazione. Non per merito delle qualità morali e della bellezza della vita cristiana di cui si dà testimonianza:
spiega Jenkins che le conversioni al cristianesimo nell’antichità nascevano da miracoli e guarigioni di re da parte di monaci. Un re attribuiva un fatto miracoloso
al cristianesimo, si convertiva e sulla sua
scia tutto il popolo si faceva battezzare.
Fra i cristiani generici sorgevano nel tempo esperienze individuali o monastiche di
profonda fede e santità, ma queste erano
esposte alla estinzione come la fede superficiale delle masse: vedi l’Africa di Agostino e Tertulliano. Perché l’Egitto cristiano
ha resistito mentre lo splendido cristianesimo africano si è estinto? Perché il secondo era fatto solo di coloni romani urbanizzati che sono fuggiti all’arrivo degli
invasori, mentre il primo aveva tradotto
in lingua locale libri sacri e liturgia e aveva evangelizzato anche le campagne: «Le
Chiese hanno successo quando raccolgono
fedeli da tutti i settori della società e rendono la loro religione parte della normale
vita vissuta di una vasta gamma di comunità. Se un individuo può accettare, sotto
costrizione, di cambiare un’etichetta religiosa un po’ consunta, è molto improbabile che tale mutamento si verifichi quando la fedeltà religiosa è intimamente legata alle tradizioni e alla visione del mondo
della comunità più ampia».
n
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CULTURA UN CASO DIMENTICATO
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DI Marco Bona castellottI
Don Camillo
e Pier Paolo
Pasolini e Guareschi, due autori divisi su tutto
ma uniti da un film del 1963. Ecco come e perché
fallì l’esperimento de “La rabbia”, un documentario
pensato “per il popolo” che degenerò subito in rissa
davanti al popolo. E sparì dalla circolazione
L
a rabbia, film del 1963, ricompare
raramente e a scadenze distanziate
nell’arco di oltre mezzo secolo. Più
che di un vero e proprio film si tratta di
un documentario in bianco e nero, 100
minuti di durata, ripartito quasi equamente in un primo lotto di immagini
selezionate e assemblate da Pier Paolo
Pasolini, e in un secondo da Giovannino
Guareschi, che erano stati arruolati dal
produttore e giornalista Gastone Ferranti, al fine di accendere un dibattito ideologico che si consumò, sul nascere, soltanto fra i due autori.
Nello spezzone pasoliniano compaiono alcuni inserti a colori che illustrano
quadri di Renato Guttuso, come la Crocefissione del 1941-42, che venne colpita da censure non solo clericali. Il compianto Renato Guttuso insieme a Giorgio Bassani sono le voci fuori campo che
commentano la carrellata pasoliniana,
mentre Guareschi affida tale compito a
un paio di lettori, Carlo Romano e Gigi
Artuso, uno dei quali dotato di un pungente accento emiliano-romagnolo, consono alla narrazione di fatti di cronaca
rosa più che di tragedie.
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Uno dei temi iniziali enunciato da
Guareschi, e immediatamente sopito,
è l’accusa indignata e sostanzialmente
ridanciana della divulgazione pubblica
del sesso nell’Italia degli anni Sessanta, testimoniata da un fotogramma della Dolce vita e da un un proto esempio
di “terzo sesso”, precursore ma non profetico: due travestiti o forse transessuali (ricostruiti benissimo) vennero allontanati dalla questura romana perché «irregolari» e rispediti in Francia, «due belle
ragazze» che erano «in realtà due gagliardi giovanotti». Altre immagini si soffermano su Lascia o raddoppia, i lager sovietici, i funerali di re Giorgio VI, il massacro dei bianchi in Congo, «la potentissima America che ha molte facce. Quale la
vera?», l’invasione dell’Ungheria, la disintegrazione della famiglia, un ripugnante esperimento, compiuto in Russia, di
inserzione della testa di un cane entro
quella di un consimile quadrupede amico dell’uomo.
I temi del troncone pasoliniano (primo in ordine di esposizione) si concentrano su eventi della storia del Dopoguerra: dalle esequie di De Gasperi
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cultura un caso dimenticato
Pasolini in La rabbia ha il merito
di ricostruire come il ritratto
erotico-materno di Marilyn
Monroe, pieno di ingenua
dolcezza, fu una riuscitissima
invenzione dell’industria
hollywoodiana, frutto della
metamorfosi pilotata di una
ragazzotta di Los Angeles
all’immersione del Cristo degli abissi a San Fruttuoso, dalla guerra di Corea
alla rivoluzione ungherese, da Gandhi
alla rivoluzione cubana, salutata con fervida simpatia, dall’incoronazione di Elisabetta II all’elezione di Giovanni XXIII,
dalla guerra d’indipendenza algerina a
Sophia Loren, ripresa nel 1953 in Polesine, dov’era convenuta per girare un film
di Mario Soldati, La donna del fiume, che
osserva, piena di interesse, un groviglio
di anguille che le guizzano davanti. Gli
episodi sono accomunati fra loro dalla
volontà di dare una risposta alla domanda esistenziale «perché la nostra vita è
dominata dalla scontentezza e dall’angoscia, dalla paura della guerra e dalla guerra?», domanda cui, in realtà, non è palese
come gli autori rispondano.
È la medesima domanda ad avviare il
motore di Guareschi, ma essendo la sua
carrellata impostata su argomenti diversi
da quelli dello scrittore di Casarsa, i documentari risultano troppo nettamente
separati, sì che il film è diviso in due blocchi pressoché non comunicanti fra loro.
GUareschI rIbatté: «LeI mI accUsa dI razzIsmo, qUesto
perché LeI è Un borGhese dI sInIstra e come taLe
conformIsta. Le dIttatUre non toLLerano L’UmorIsmo»
Inizialmente era stato interpellato
Pasolini, che aveva ricevuto da Ferranti
«il materiale di repertorio e i residuati di
un cinegiornale Mondo Nuovo». È Pasolini ad asserirlo nel corso di un’intervista a
Paese sera, di cui troviamo notizia nell’eccellente scheda critica de La rabbia pubblicata nei Meridiani Mondadori (2001) a
cura di Walter Siti e Franco Zabagli. Pasolini asserisce: «Attratto da queste immagini [di Mondo Nuovo] ho pensato di farne
un film a patto di commentarlo con dei
versi». Così fu. Il commento di Pasolini è
poetico, mentre quello di Guareschi, convocato in un secondo tempo, prosastico.
Entrambi condividono, pur nell’assoluta
difformità stilistica e ideologica, uno stile retorico, tipicamente italiota.
Marilyn e “Gli spostati”
Prosegue Pasolini: «La mia ambizione è
stata quella di inventare un nuovo genere cinematografico. Fare un saggio ideologico e poetico con delle sequenze nuove.
E mi sembra di esserci riuscito soprattut32
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to nell’episodio di Marilyn» (Monroe). Alla
morte dell’attrice di Hollywood, accaduta nel 1962, è infatti dedicato un ampio
capitolo del documentario che ha il merito di rendere edotto il pubblico – purché
sappia aguzzare lo sguardo e abbia ancora sentore o quanto meno il ronzio del
nome di Marilyn Monroe nelle orecchie
–, che il suo ritratto erotico-materno, pieno di ingenua dolcezza, fu una riuscitissima invenzione dell’industria cinematografica americana, la quale, rimodellando una simpatica ma non particolarmente attraente ragazzotta di Los Angeles, ne
tirò fuori l’emblema vivente di una donna molto affascinante, fascino che albergava nella perfetta armonizzazione delle
componenti dell’eros, del candore e della tenerezza dei sentimenti. La Monroe
che tutti conoscono è quindi il frutto di
una metamorfosi pilotata, che però racchiude tracce di una verità umana presente ab origine e che possiamo riscontrare in parecchi dei suoi film, non soltanto in A qualcuno piace caldo di Billy
Wilder, che è il più famoso e giustamente
osannato dalla critica, quanto in Fermata d’autobus, dove Marilyn sfodera quella ingenuità, e soprattutto nell’ultimo, al
cui riguardo la critica invece non fu tenerissima, Gli spostati del 1961, poco anteriore alla tragica morte della diva: regia
di John Huston, sceneggiatura di Arthur
Miller, che di lei era stato marito, con
Clark Gable e Montgomery Clift, un insieme di nomi da far impallidire il cinema
contemporaneo italiano. Negli Spostati
la Monroe svela la sua malinconia, quasi
un presentimento, che si acconcia al personaggio, e che si imprime nella memoria come un simbolo. Un film molto bello, pieno della tristezza dell’umano tramonto, che, in lei, di lì a poco si sarebbe manifestato nei modi tragici che più o
meno sono noti.
A rileggerlo oggi, il carme di Pasolini
ridonda di retorica, specie del paragone
con le «mendicanti di colore, le zingare,
le figlie dei commercianti».
Ma udite cosa scrive Pasolini a proposito del Papa buono, Giovanni XXIII,
di cui nutriva somma stima. È lo stralcio testuale di un discorso più lungo.
«Uguale al padre furbo e al nonno bevitore di vinelli pregiati, figura umana sconosciuta ai sottoproletari della Terra,
ma anch’esso coltivatore di Terra, il nuovo Papa nel suo dolce, misterioso sorriso
di tartaruga, pare di aver capito di dover
essere il Pastore dei Miserabili; pescatori
di pescecani, pastori di jene, cacciatori di
avvoltoi, dei seminatori di ortiche, perché è loro il Mondo Antico, e son essi che
lo trascineranno avanti nei secoli, con la
storia della nostra grandezza».
uno strano ritratto del Papa buono
P.P.P. volle ricordare Marilyn con una poesia che commenta le sequenze fotografiche. La trascrivo integralmente.
«Sparì, come una colombella d’oro./ Il mondo te l’ha insegnata. Così la tua bellezza
divenne sua./ Dello stupido mondo antico
e del feroce mondo futuro era rimasta una
Foto: ansa
Ansa
Quando P.P.P. vide la Parte di Guareschi tentò di farsi
indietro: «non voGlio renderMi coMPlice»; «non è solo
QualunQuista, conservatore o reazionario. è PeGGio…»
bellezza che non si vergognava/ di alludere ai piccoli seni di sorellina, al piccolo ventre così facilmente nudo./ E per questo era bellezza, la stessa che hanno le dolci mendicanti di colore, le zingare, le figlie
dei commercianti vincitrici ai concorsi a
Miami o a Roma./ Il mondo te l’ha insegnata, e così la tua bellezza non fu più bellezza./ Ma tu continuavi ad essere bambina, sciocca come l’antichità, crudele come
il futuro…/ e fra te e la tua bellezza posseduta dal potere si mise tutta la stupidità e
la crudeltà del presente…/ Sparì come una
bianca ombra d’oro».
Un fiasco colossale
Pari dose di retorica ideologica, mutatis
mutandis, la ritroviamo, sul fronte opposto, in taluni commenti di Guareschi
alle immagini. Qualcuno però potrebbe
argomentare che Giovannino è più sim-
patico di Pier Paolo. È vero; ci vuol poco.
Le ultime parole del film di Guareschi
sono intrise di positività: «In noi è ancora più forte la speranza che la paura. Grazie a Dio».
Mettere a confronto il senso tragico e
il cattolicesimo pauperista e sottoproletario di Pasolini con quello ultimamente gaio e monarchico di Guareschi avrebbe inevitabilmente suscitato il battibecco che il produttore Ferranti auspicava,
ma che fu sin troppo aspro. Risultato: un
colossale fiasco. Il film rimase nei circuiti pochi giorni, indi scomparve, come
del resto il Ferranti, che non si oppose
a toglierlo di torno per paura di essere
incolpato di aver avvallato l’apologia del
colonialismo guareschiana. Riapparve in
un numero limitatissimo di circostanze,
forse cinque o sei volte in cinquant’anni, e talvolta dimezzato, vale a dire privato del capitolo di Guareschi per ragioni di opportunità o di opportunismo ideologico, e in un caso (a Trieste?) di quello di mano di Pasolini. Nel 2007-2008 la
pellicola originale venne mirabilmente
restaurata a cura della Cineteca di Bologna e oggi circola completa. Nel 2007 fu
riproposta alla Festa del Cinema di Roma,
affiancata da un dibattito con Massimo
D’Alema, Giuliano Ferrara, Lamberto Dini
e Tatti Sanguineti che ne curò la pubblicazione in dvd, corredata da un interessante apparato di notizie storico-critiche.
Recentemente è riapparso al Meeting di
Rimini all’interno di una mostra su Guareschi.
Pier Paolo e Giovannino erano troppo lontani perché da loro sortisse un prodotto unitario quanto meno nella forma. Quando P.P.P. vide la parte affidata
a Guareschi tentò di farsi indietro: «Non
voglio rendermi complice di una cosa
così orrenda»; «non è un film solo qualunquista, o conservatore o reazionario.
È peggio…». Da par suo Guareschi ribatté: «Lei mi accusa di razzismo, questo perché Lei è un borghese di sinistra e come
tale conformista. Le dittature non tollerano l’umorismo, di cui hanno paura, e
sulla soglia del tetro e sconfinato impero
comunista, la Storia ha scritto col sangue
dei milioni di assassinati “qui è proibito
ridere”». Di rimando Pasolini gli rispose:
«Come ogni umorista che si rispetti – e io
voglio rispettarla – lei è un reazionario.
Perciò so bene quale sarà la sua rabbia, la
sua rabbia reazionaria, sarà la rabbia di
chi vede il mondo cambiare, cioè sfuggirgli, perché i reazionari sono degli ammalati, degli spiriti senza piedi». «E appunto
perché Lei userà le armi della mediocrità,
del qualunquismo, della demagogia, del
buon senso, Lei risulterà vincitore in questa nostra polemica. Ma qual è la vera vittoria, quella che fa battere le mani o quella che fa battere i cuori?».
Il senso dell’arte
Nessuno uscì vincitore. Il film passò inosservato. Più tardi, entrambi furono giudicati “conservatori” e cattolici (D’Alema).
Se riflettiamo, P.P.P. e Guareschi sono state due voci di una cultura sostanzialmente catto-populista, che nutre diuturna aspirazione di stratificarsi a vari livelli, da quello popolare, al ceto medio e
più su, ma che fatica a spingersi oltre la
dimensione di un sentimentalismo tragico o gaio che sia, che rischia di scivolare nel provincialismo retorico, amato dalle masse, sotto la spada di Damocle dello scrupolo che ogni opera che non possa
dirsi realizzata “per il popolo” sia sostanzialmente falsa e bugiarda. Va comunque
riconosciuto che né l’uno né l’altro furono dei borghesi, anche se con tale categoria sociale condivisero l’inconfessato
amor retorico.
n
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STILI DI VITA
Crudità pugliesi irrinunciabili
Julieta,
di Pedro Almodóvar
IN BOCCA ALL’ESPERTO
di Tommaso Farina
G
ai pugliesi. Quando sentono parlare del sushi, anzi del finto sushi cinesizzato che costituisce il 90 per cento del
sushi in Italia, inarcano il sopracciglio: ma come, noi mangiamo pesce
crudo da secoli, devono insegnarcelo gli orientali? Il dibattito, nato sui blog di
cucina e food, nel 2009 approdò addirittura a UnoMattina Estate, appassionando non poco la bella conduttrice Miriam Leone. A difendere le crudità nostrane,
il pugliese Antonio Tomacelli.
E pugliese, brindisino purosangue, di Ceglie Messapica, è anche Rocco Urso,
che dal 1995 conduce a Milano un ristorante piacevolmente fuori dal coro: lo
Charmant. Fuori dal coro perché sta in una zona residenziale tranquilla, dove
non si deve imprecare per un parcheggio. Perché l’arredo è elegante e non concede nulla ai vezzi modaioli, anzi dispone di bellissimi e comodi divanetti. E soprattutto, perché qui vanno in scena le crudità pugliesi, senza cedimenti.
Che ordiniate ostriche, tartufi, gamberi o altro, avrete la garanzia di un prodotto d’eccezione, ottimamente trattato. Il crudo, qui, è semplicemente irrinunciabile. Ma i crudi non sono la sola pietanza che merita di attirare voi gastrodevoti. Potreste cominciare, ad esempio, con la padellata di gamberi, carciofi e
bottarga; con l’aragosta alla catalana; col ghiottissimo novellame alla pugliese,
semplicemente scottato.
Di primo, l’equilibrio dei tagliolini con calamaretti e zucchine, o con scampi,
cappesante e bottarga; se siete in due, anche i risotti di pesce; per i single, linguine alle sarde e gnocchetti alle triglie. Di secondo, anzitutto pesci di grossa pezzatura, ossia di pesca: pescatrice, orata alla siciliana, branzino. Se no, fritto misto,
padellata di crostacei all’aglio, olio e peperoncino, guazzetto alla mediterranea.
La chiusura in dolcezza è affidata alla zuppa di more e alla terrina di cioccolato. La cantina non è affatto male, meriterebbe una carta meglio organizzata ma
è servita alla perfezione. Prevedete una spesa di circa 60-65 euro, giusti per tanta grazia.
uai a toccargli il pesce crudo,
SANITà
nuOVI InTerVenTI
Oggi il reflusso
si cura on demand
Si stima che circa il 10 per cento degli italiani soffra di reflusso
gastroesofageo, il malfunzionamento della valvola muscolare situata tra esofago e stomaco (cardias o sfintere esofageo
inferiore), che normalmente regola il passaggio degli alimenti ed evita la risalita dei succhi
gastrici. Il professor Luigi Bona| 15 giugno 2016 |
Ritorno al miglior
Almodóvar
Una donna cerca di riallacciare il rapporto con la
figlia che non vede da anni.
Pedro in gran spolvero. Non
è Tutto su mia madre o
Parla con lei ma questo Ju-
lieta è un po’ il ritorno al
melodramma classico di Almodóvar e traccia una bella distanza dagli ultimi morbosi La Mala Educación,
La pelle che abito e il debole Gli amanti passeggeri.
Qui si torna ai primi e primissimi piani dei suoi film
migliori. Con Julieta che
riempie lo schermo ed è alle prese con la più classi-
ca delle storie d’amore e di
dolore. Almodóvar, quando non la butta sul malsano,
è un maestro nel raccontare l’amore selvaggio e viscerale che ha la pretesa di non
morire mai. Lo racconta qui
con il suo solito stile fatto di
colori accesissimi, interpretazioni sanguigne e simboli-
smi più o meno facili e riesce
a rendere veri e umani i suoi
personaggi a caccia più che
dell’amore e di un punto fermo nella vita, di una parola di
perdono e di comprensione
per la propria miseria.
visti da simone Fortunato
Diversamente
allegre vacanze
mAmmA OcA
il regista
pedro
almodóvar
di annalena Valenti
R
notizie e
pareri sui compiti delle vacanze, mi sono resa conto che la vita dei bambini sta diventando sempre
più dura, impegnata, napisanizzata e
diversamente allegra. Senza arrivare
(ancora) alla giornata del protagonista
bambino dell’ultimo libro della Tamaro Salta Bart! che segue corsi di cinese,
arpa celtica, flauto del Borneo, violino
metodo Suzuki, pittura con le mani,
ceramica Raki, acquerello, cartapesta,
clownerie ed equilibrismo, i bambini,
con la scuola, finiscono anche le lezioni di calcio, inglese, danza, arte, canto
e tutto ciò che la creativa madre può
permettersi di pagare per riempire loro la giornata. Tutte cose bellissime, direte voi; certo, tutte cose bellissime che
riempiono ogni spazio di libertà e che
col finire delle lezioni vengono rimpiazzate da corsi di equitazione, di arte-teatro-clownerie in inglese, di giardinaggio in inglese, per poi passare al
villaggio vacanze, alla crociera o alla
spiaggia attrezzata, sognati da mamma e papà dove la parola magica è club
piccoli, gara di nuoto, di arrampicata,
gara di pittura, di teatro, di trampoli,
di trucco, corso di danza, animazione
serale e i compiti delle vacanze a coronare una giornata che rimane del tutto impegnata senza lasciare spazio alcuno a respiro libero, silenzio, e alla
più temuta di tutti, la noia. Un all inclusive giornaliero e perenne per costruire il bambino perfetto.
mammaoca.com
HOME VIDEO
Good Kill,
di Andrew Niccol
Un film di domande
La routine di un maggiore
dell’esercito, pilota in remoto di
alcuni droni impegnati in guerra.
Film insolito. È un film bellico con
più psicologia che azione vera. E
lo dirige Andrew Niccol, già sceneggiatore di The Truman Show
e regista di Gattaca. È un film di
domande: si può rimanere impassibili di fronte a un drone pilotato come se si fosse all’interno di
un videogioco? Come tenere separate la vita privata da quella di
combattente? Un po’ statico, ma
interessante come documento
della guerra dei nostri tempi.
Per informazioni
Charmant
ristorantecharmant.com
Via G. Colombo, 42
Milano
Tel. 0270100136
Chiuso la domenica
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bambini stRaimpegnati
CINEMA
ChArmAnT, mILAnO
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vina, responsabile dell’unità di
chirurgia generale dell’Irccs Policlinico San Donato, ha effettuato il primo impianto per via
laparoscopica di un nuovo sistema di stimolazione dello sfintere
esofageo inferiore in un paziente affetto da reflusso gastroesofageo. Si tratta di una nuova
modalità chirurgica, distinta dalle consuete tecniche laparoscopiche mininvasive (plicatura dello stomaco o impianto di anello
magnetico Linx), che prevede
l’utilizzo di due elettrodi connessi a un piccolo generatore di impulsi, posizionato in una tasca
sottocutanea dell’addome. Gli
elettrodi, conducendo con una
frequenza programmata impulsi a bassa energia, determinano
la contrazione del muscolo, impedendo il reflusso proveniente dallo stomaco. La vera novità
di questo device consiste nella sua modulabilità e reversibilità: lo specialista analizzando le
sensazioni riportate dal paziente
può modulare l’intensità di energia trasmessa al cardias, ma anche decidere di rimuovere il dispositivo non appena lo reputi
opportuno. Questo tipo di intervento rappresenta un’alternativa
sia alla terapia continuativa con
farmaci inibitori della secrezione
gastrica, sia agli interventi chirurgici più complessi, particolarmente indicata nei casi di malattia da reflusso in fase iniziale e
non complicata. Per informazioni: www.grupposandonato.it
Amici miei
libRi/1
Santa maria Goretti
raccontata da Picca
Marietta ci conquista subito. I
tratti semplici e vividi con cui
Aurelio Picca racconta la storia
di santa Maria Goretti in Capelli
di Stoppia (ed. San Paolo, 12 euro), quella famiglia, quella situazione, e anche il fiore nero della tragedia, portano al presente.
Non è il racconto di una Italia esotica, passata, favolistica:
Maria aveva solo 12 anni quando morì pugnalata nel 1902 resistendo a un tentativo di stupro
da parte di un “orco” del tempo,
ma il suo martirio, la storia della sua adolescenza tradita in un
battito di ciglia, raccontata attraverso la cronaca potente di
Picca, parla all’uomo di oggi intrecciandosi alle vicende di una
dodicenne contemporanea. Una
fede formidabile, capace di resistere e scolpirsi nel tempo. Come quel pianto terribile che si levò il giorno dell’aggressione: «Il
pianto di Teresa è l’annuncio della tragedia. È l’urlo che dichiara la nascita di una santa. Pri-
agionando e ricercando
ma ancora che Marietta muoia.
Prima ancora che la Chiesa la
faccia davvero Santa. È il pianto sconsolato della sorellina di
Maria che, anzitempo, accende i
cuori degli uomini perbene e non
li farà mai più spegnere». Il libro
fa parte della collana “Vite esagerate” diretta da Davide Rondoni per San Paolo.
libRi/2
La virtù dimenticata
Padre Livio Fanzaga pubblica per Piemme La grandezza
dell’umiltà (180 pagine, 15 eu-
ro), una riflessione dedicata alla caratteristica fondamentale di Gesù che tuttavia oggi non
gode la fama di altre virtù eccellenti. Emarginata o surrogata in
forme di modestia e pietà, è solo
grazie all’umiltà che anche la carità, regina delle virtù, non compromette mai se stessa. «L’umile
non fa fatica a riconoscersi peccatore», i santi, più avanzavano
nella conversione, più si battevano il petto. «Tuttavia non fermavano lo sguardo sulle proprie
miserie, ma lo elevavano sulla compassione divina, pronta a
perdonare». Ed accendere uno
sguardo vero sulla realtà.
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motorpedia
WWW.red-LiVe.it
WWW.RED-LIVE.IT
LamonoVoLumEREnauLTaSETTEpoSTI
CRESCEInDImEnSIonIEabITabILITà
a CUra di
La rivoluzione radicale
della Grand Scenic
C
dUe rUote iN meNo
KTM RC 390
La piccola sportiva di KTM vuole coniugare super leggerezza e un
motore pimpante da 44 cavalli. La RC 390 nasce da una costola della 390 Duke ma si connota in modo maggiormente sportivo non solo
per l’adozione della carenatura integrale, ma anche per piccole modifiche alla ciclistica che adotta ad esempio un cannotto più “chiuso”
che migliora la maneggevolezza. Confermato il motore: il pimpante
monocilindrico quattro tempi da 375 cc caratterizzato da soluzioni
tecnologiche all’avanguardia è in grado di erogare ben 44 cavalli
e consente alla RC 390 di essere guidata anche da possessori di patente A2. Le novità del 2016 sono l’arrivo dell’omologazione Euro 4
Stefano Cordara
e dell’acceleratore Ride by Wire.
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Ilvanodicaricopuòcontare
suunacapienzadi765litri
concinquepersoneabordo
ambia tutto, cambia in lungo: dopo la presentazione della (radicalmente) rinnovata Scénic, Renault completa la gamma delle proprie monovolume introducendo la variante a 7 posti e interasse maggiorato Grand Scénic.
Analogamente alla sorella “corta”, Grand Scénic – più
lunga di 24 centimetri – s’ispira esteticamente alla crossover Captur, finiture bicolore incluse. Il passo aumenta di 35
millimetri, la lunghezza complessiva di 75 e il vano di carico
può contare su di una capienza di 765 litri con cinque persone a bordo contro i 702 litri del precedente modello. Sviluppata sulla base della piattaforma modulare CMF, punta sul
comfort e, caso più unico che raro nel panorama delle monovolume, adotta di serie cerchi in lega da 20 pollici abbinati a pneumatici specifici nella misura 195/55. Una scelta dettata dalla volontà di ridurre al minimo, a detta della Casa, la
resistenza al rotolamento.
Radicalmente rivista la plancia, così come il quadro strumenti che integra l’head-up display, mentre alla possibilità
di accogliere 7 persone si accompagnano il divanetto scorrevole in longitudine e la funzione One Touch Folding, di derivazione Espace: permette di ripiegare automaticamente ed
elettricamente i sedili posteriori, ottenendo un vano di carico piatto. Soluzioni funzionali cui si aggiunge la possibilità
di abbattere integralmente lo schienale del passeggero anteriore, così da caricare oggetti lunghi fino a 2,85 metri. L’abitacolo si completa con il moderno sistema d’infotainment
R-Link 2 di derivazione Mégane, gestibile mediante display
verticale a colori da 8,7 pollici.
La vocazione rivoluzionaria delle
DEbuTTaun
InEDITopoWERTRaIn nuova Grand Scénic trova il proprio
apice nel debutto di un’inedita vaIbRIDoagaSoLIo
riante ibrida, forte dell’abbinamento
Da110CaVaLLI.
DoTazIonEDI
del 1.5 dCi da 110 cavalli a un motoSICuREzzaCompLETa re elettrico alimentato con una batEInfoTaInmEnT
teria a 48 Volt. Tale powertrain, forDIgRanDELIVELLo
te di un cambio manuale a 6 marce,
s’affianca alle tradizionali proposte a
iniezione diretta di benzina, 1.2 turbo da 115 o 130 cavalli,
e a gasolio, 1.5 td da 110 cavalli oppure 1.6 td mono turbo e
biturbo (130 e160 cavalli). Alle trasmissioni manuali a 6 rapporti e a doppia frizione EDC (a 6 o 7 marce) si accompagna
un’ulteriore novità: la disponibilità di 5 programmi di marcia che armonizzano l’erogazione del motore, la rapidità del
cambio EDC (se presente) e la servoassistenza dello sterzo.
La frenata automatica con riconoscimento dei pedoni
rafforza la dotazione di sicurezza, forte dell’avviso di superamento involontario della corsia, dell’assistenza al mantenimento della carreggiata, del rilevatore di stanchezza del
conducente, del cruise control adattivo, del riconoscimento della segnaletica stradale e dell’avviso d’ostacolo in corrispondenza dell’angolo di visuale cieco, della gestione automatica degli abbaglianti e della telecamera in retromarcia.
SebastianoSalvetti
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LETTERE
A TEMPI
RISPONDE LUIGI AMICONE
[email protected]
L* teori* del gender
non esist*, ma esiston*
un sacc* di somar*
che mi segnala l’uscita di
«un nuovo numero di AG About Gender - Rivista internazionale di studi di genere». Per sua informazione, si tratta di una pubblicazione dell’Università di
Genova che – copio e incollo dal sito – «si pone l’obiettivo
di rappresentare un riferimento concreto per studios*, accademic* e non, impegnat* in percorsi di ricerca e riflessione sul genere». Ecco, già di per sé sarebbero facili le ironie su questo gradevole diluvio di asterischi, che secondo
me sintetizza meglio di mille ragionamenti il reale contenuto di questo sforzo letterario e perfino accademico, ovvero il nulla applicato a tutto. Ma forse è anche peggio di
così. E questo sospetto mi pare lecito perché l’email in questione incomincia così: «Gentile lettor*». Ora, rifletto io, tale formuletta vuole indicare con ogni evidenza l’inclusione
tanto del potenziale “lettore” (al maschile) quanto della corrispondente
“lettora” (al femminile). O magari della
“lettoressa”, chennesò. Una eventuale “lettrice”, però, resterebbe purtroppo esclusa dal saluto, giacché solo un
«Gentile lett*» avrebbe potuto garantirne la non discriminazione. Ma perché le scrivo tutte queste cazzate, caro Amicone? Non si preoccupi. Serve
solo a ricordare a lei e ai suoi redattori sessisti che è giunta l’ora di rassegnarvi: la teoria del gender non esiste,
e infatti finalmente si sta trascinando nella non esistenza anche l’italiano,
questa nostra sopravvalutatissima linguaccia omofoba. Cordial* salut*
PacoMinelli Ferrar*
L*teori*delgendernonesist*,ma
esiston*unsacc*disomar*.
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Diversamente da Roberto Benigni che
nel preannunciare il suo orientamento in ordine al voto sul referendum
confermativo della riforma costituzionale distingue tra le ragioni del cuore e quelle della mente, per me cuore e
mente vanno nella medesima direzione, nel senso che, pur essendo estremamente grato al lavoro dei padri costituenti che a mio avviso licenziarono
una buona carta costituzionale, la ritengo legittimamente modificabile in
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GLIALIMENTIDELLOSPIRITO
Il mese di giugno
per imparare a vivere
da “consanguinei”
di Maria e di Gesù
Caro Amicone, su uno degli ultimi numeri di Tempi ho visto la foto dell’esultanza di Vladimiro, Cirinnà, Concia per il “passaggio” della loro
legge. Chissà perché spontaneamente
mi si è associata la frase di una canzone di Dalla: «Sono morti anche se possono respirare».
MauroMazzoldi via internet
Suvvia,nonsiamocosìmacabri.
CARTOLINA DAL PARADISO
di PippoCorigliano
I
relazione ai cambiamenti intervenuti nel Paese in 70 anni di storia repubblicana. Ma se e quando la si modifica, ritengo che non si possa alterare il
principio del bilanciamento dei poteri
statuali, e poiché il testo proposto, letto anche in parallelo con la legge elettorale, prefigura un consistente sbilanciamento in favore dell’esecutivo, che
acquisterebbe maggiori poteri e verrebbe sottoposto a controlli assai deboli rispetto agli attuali, per me dire no
diventa un atto dovuto.
DanieleBagnai Firenze
Segnalo un interessante articolo sul
“poliamore” uscito lunedì 30 maggio
sul quotidiano Il gazzettino, intitolato “Monogamia addio: ecco il ‘quad’,
dove la coppia raddoppia”. D’altronde
se “l’amore è amore” (e ogni capriccio
è un diritto), anche questa forma così moderna e all’avanguardia merita lo
stesso riconoscimento della famiglia
“naturale”… ops, volevo dire della famiglia “frutto dello stereotipo cristiano” imposto dalla Chiesa cattiva. Saluti e buona lettura.
LucaPauletti via internet
RoccoBenignivolevadire.
SemprediRoccostiamoparlando.
2
2
Foto: Ansa
M
i è arrivata un’email
l mese di giugno è in singolare sintonia con
il tema del Giubileo della Misericordia
anche perché le feste del Cuore di Gesù e
di Maria ci riportano all’amore misericordioso di Dio. Sant’Agostino (De sancta virginitate, 6) dice che «Maria cooperò col suo amore
alla nascita nella Chiesa dei fedeli, membra di
quel Capo di cui ella è madre secondo il corpo». È un motivo in più per considerarci “consanguinei” di Gesù, come diceva san Josemaría
Escrivá: «Figli miei sapete perché vi voglio così
bene? Perché vedo scorrere in voi lo stesso sangue di Gesù».
Questa “fisicità” del considerarci figli di
Maria e fratelli di Gesù ci aiuta nell’identificazione con Cristo. Lo Spirito Santo è l’autore
di questa identificazione. Quello stesso Spirito
che ha inondato l’anima e il corpo di Maria per
farci pervenire Gesù. «Lo Spirito come il vento,
soffia dove vuole» (Gv 3,8) vien detto a Nicodemo: a me tocca non frapporre ostacoli e tenere le finestre del mio animo ben aperte a questa benefica corrente. La lettura quotidiana del
Vangelo e di un libro spirituale, la frequente
confessione e la santa comunione, l’orazione
mentale e la recita del rosario, assieme alle altre pratiche sono le finestre spalancate, sono
l’alimento del bambino che sono io che ha bisogno di pasti frequenti. Tanto più frequenti
quanto più piccolo è il bambino.
Nella mia corsa forsennata nell’impiegare
inutilmente il tempo, queste pratiche sono il
rimedio che non me lo fa sprecare e agevolano
l’identificazione con Cristo.
2
A un anno dalla grande manifestazione a San Giovanni contro l’ideologia Gender nelle scuole, le famiglie sono profondamente preoccupate per il
documento che il ministero dell’Istruzione sta elaborando sull’attuazione
del comma 16 della riforma scolastica, che prevede l’inserimento nei Piani
triennali dell’offerta formativa di corsi
e attività fondate proprio sul concetto di genere. Siamo delusi per la poca considerazione rivolta ai nostri rilievi e le notizie che ci giungono sui
lavori della commissione non ci rendono affatto sereni. Inoltre vogliamo
dire con molta chiarezza che se dovessimo avere sentore di un testo non
chiaro nel rigetto di qualsiasi sfumatura dell’ideologia gender saremmo
pronti a un’azione di protesta sistematica davanti al ministero dell’Istruzione, che a partire dal giorno 25 giu-
gno porremo in essere presentando un
Manifesto insieme ai rappresentanti
delle Associazioni in difesa della libertà educativa. Seguiranno altre azioni mirate durante tutto il prossimo anno scolastico. Premessa la necessità di
legare, nel testo che sta elaborando il
Miur, il concetto di genere a quello di
sesso, onde evitare le derive ideologiche che hanno portato alla moltiplicazione scriteriata di infinite, presunte
“identità di genere” e di richiamare alla circolare ministeriale del 15 settembre 2015 che afferma «tra le conoscenze da trasmettere non rientrano
in nessun modo né “ideologie gender”
né l’insegnamento di pratiche estranee
al mondo educativo», il Comitato difendiamo i nostri figli considera anche
necessario il chiarimento di tre punti
fondamentali: 1) l’obbligo in capo alla
scuola di richiedere il consenso informato preventivo alle famiglie in forma scritta a inizio anno, comprensivo
dei dettagli di svolgimento di ogni attività progettata; 2) l’esonero di alunni
e studenti dalle attività non condivise
dalla famiglia con diniego di consenso
informato; 3) la predisposizione di attività scolastiche contemporanee e alternative a quelle per cui la famiglia
non abbia prestato consenso. Per sostenere queste richieste al ministero,
il Cdnf ha redatto un apposito manifesto per l’adesione del maggior numero di enti e realtà associative che hanno a cuore l’educazione dei nostri figli
e la libertà delle famiglie per sceglierne l’ispirazione generale di fondo.
MassimoGandolfini
2
Non ho ancora capito se Tempi è per il
sì o per il no al referendum su Renzi.
PaoloScauri via internet
Ineffettipersonalizzareilreferendumsullariformacostituzionale
èunpo’comepoetareconBrecht,
«dopodime/nientedegnodinota».
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LETTERE DALLA
FINE DEL MONDO
A cOsA cI sFIDA IL TITOLO DEL MEETINg
Un gesto di carità concreto.
Così ho imparato che
“Tu sei un bene per me”
|
DI ALDO TRENTO
M
i chiamano dalla recepción della clinica perché una signora vuole darmi personalmente un contributo per le opere. Mi dice: «Padre, mentre l’aspettavo, sono rimasta colpita
dal via vai della gente che viene a portare di tutto, da pacchi di pannoloni, a stock di medicine o che, come me, danno il loro contributo in soldi». Torno a casa, suona il campanello, apro la
porta e una signora mi dice: «Sono di Luque (una città a 20 chilometri da Asunción) e insieme ad
altre amiche abbiamo raccolto questo denaro per i suoi poveri». Non faccio in tempo a sedermi,
che mi chiamano nuovamente dalla recepción: «Padre, c’è un gruppo di studenti della facoltà di diritto dell’università nazionale con un camion pieno di viveri». Mi raccontano che tutto è partito da
uno striscione in città con su scritto “Padre Aldo ha bisogno di…”. Uno studente l’ha letto e subito si è messo all’opera con i compagni che si sono mossi con grande generosità. Una foto ricordo
e se ne vanno con la promessa di tornare con un nuovo carico. La responsabile del Banco Alimentare ha avuto il suo daffare per ordinare tutti quei viveri che in settimana sfameranno cinquecento persone che gravitano intorno alle opere della fondazione San Rafael. «Grazie per avermi dato, come penitenza, di compiere un gesto di carità», mi dice una donna a cui avevo chiesto, prima
di darle l’assoluzione, di comprare un pacco di pannolini per i miei ammalati. Don Luigi Giussani ci
ha educato alla carità attraverso il gesto della caritativa, ma anche attraverso la scuola di
un’umile casa che condivide«chE gRANDE OpERA DI DIO», hA
comunità, che terminava sempre con la propova con padre Romano ScalDETTO IL pApA, RIcONOscENDO IN
sta di un impegno concreto. Si impara facendo
fi, e quando avevo la grazia
e non parlando della carità.
di visitarlo mi chiedeva semEssA LA sTEssA RAgIONE pER cuI
Mi è arrivato in questi giorni l’avviso del
pre di cosa avevo bisogno e
MIA MAMMA DONAvA FAgIOLI E
Meeting 2016. Un titolo bellissimo, “Tu sei un
se era vicina l’ora del pranbene per me”, ma anche una sberla per tutti:
FORMAggIO A chI chIEDEvA AIuTO zo mi invitava a mangiare
quanti sono coloro che hanno questa cosciencon lui. E come non ricordare
za? Spero che non prevalgano le tavole rotonquando nell’estate 1989, prima di mandarmi in
te prendeva al bar! L’amore è un avvenimende o i discorsi filosofici o teologici su chi è l’alParaguay, mi ha tenuto con sé sapendomi vitto, ma si manifesta nei dettagli, e lo si vede dal
tro e perché è un bene per me. Penso alla mia
tima di un grave esaurimento! È perchè mi socriterio con cui uno decide di comprarsi una
povera mamma che, nonostante più volte abno sentito un bene prezioso per lui che oggi
macchina e il tipo di macchina, dal luogo che
biamo sofferto la fame, quando veniva un poogni persona che incontro è un bene concreto
sceglie per le vacanze o dalle cene luculliane a
vero o un frate questuante gli dava un chilo
per me. «Che grande opera di Dio c’è laggiù»,
cui partecipa.
di fagioli e un po’ di formaggio. Da lei ho imha detto il Papa, riconoscendo in essa la stessa
Come il buon samaritano
parato chi è l’altro e perché è un bene per me.
ragione per cui mia mamma donava un po’ di
È passato quasi un anno da quando il Papa è
Per questo, mi duole quando, via mail, chiedo
fagioli e un pezzo di formaggio a chi, durante
venuto a casa mia, e non passa giorno che non
agli amici, la maggioranza dei quali frequenta
il freddo inverno, bussava alla porta chiedendica: «Signore, perché proprio a un poveraccio
il Meeting, di aiutare quest’opera di Dio, come
do aiuto: era Gesù, cioè il Bene supremo per
di prete questa grazia? E perché ha voluto, per
l’ha definita papa Francesco, offrendo il costo
lei. E questo è il motivo, ultimo e profondo, del
sua decisione, regalare la Fiat Idea che aveva
di una pizza margherita, e loro non rispondoperché l’altro è un bene grande per me. Speusato durante il suo soggiorno in Paraguay alno. Non lo chiedo per padre Aldo, ma per l’alro che il Meeting tenga questa posizione, quella fondazione?». Ma ancor prima di papa Frantro che è un bene per me. Come sarebbe bella di mia madre, quella di chi scende da cavallo
cesco, don Giussani mi aveva educato, contilo ascoltare la testimonianza di quell’amico che
e, in ginocchio, chinandosi sul malcapitato, facnuando il cammino di mia madre, all’altro che
per aiutare i miei numerosi figli ha rinunciato
cia come il buon samaritano.
[email protected]
è un bene per me. Viveva in via Martinengo, in
da molto tempo al caffè che quotidianamen-
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|
SPORT
ÜBER ALLES
Reg. del Trib. di Milano n. 332
dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
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Anno 22 – N. 23
dal 9 al 15 giugno 2016
DIRETTORE RESPONSABILE:
EMANUELE BOFFI
REDAZIONE:
Rodolfo Casadei (inviato speciale),
Caterina Giojelli, Francesco
Leone Grotti, Daniele Guarneri,
Elisabetta Longo, Pietro Piccinini
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Enrico Bagnoli, Francesco Camagna
UFFICIO GRAFICO:
Matteo Cattaneo (Art Director)
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21010 Brezzo di Bedero (Va)
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SE LA CINA SI COMPRA TUTTO
Baüscia e casciavit
indistintamente uguali
|
DI FRED PERRI
G
uarda che la politica è veramente come il calcio. Lo dico sempre, è un mio
maledetto ritornello e i bastardi che
seguono con affetto questa rubrica lo sanno
bene. E anche se non volessi, anche se per
una volta pensassi di sviluppare un altro tema poi finisco sempre qua. Sono la realtà,
l’urgenza dei fatti che accadono che mi spingono a cimentarmi con questo mio storico
assioma. E in questo caso ecco l’intreccio canonico che si manifesta a Milano.
Tutti a dire che l’uno e l’altro non sono
diversi, anzi in realtà si assomigliano moltissimo, infatti mentre scrivo queste poche, sporche e inutili righe sono lì, quasi
la stessa faccia, quasi lo stesso modo di fare. E noi qua a cercare di vedere le differenze, ma anche se l’uno e l’altro si sforzano di
manifestarle in tutte le maniere, si impuntano, sostengono che non c’entrano nien-
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| Foto: Ansa/AP Exchange
te l’uno con l’altro, come si fa a comprendere veramente? Ah le vecchie distanze di
una volta, ah le vecchie divisioni di Milano:
baüscia e casciavit, centro e periferia, gente
con la puzza sotto il naso e gente che parla
in dialetto, champagne e barbera, ristoranti e trani (a go go), risotto/ossobuco e cassoeula. Ah, i vecchi personaggi di un tempo:
l’Armando e il Cerutti Gino, il giovin signore del Parini e quelli del Verziere del Porta,
l’Innominato e San Carlo, Gianni Rivera e
Sandro Mazzola, Moratti e Berlusconi, Craxi e Di Pietro.
Tutto era ben distinto. E ora? Come, state
cercando di dirmi che Parisi è diverso da Sala? Ma io stavo parlando di calcio, compagni
e amici. Stavamo parlando di Inter e Milan
di cui non distingueremo più la faccia. Tutto
cinese, tutto uguale. La Cina è vicina, adesso vediamo se si avvicinerà pure la Juventus.
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taz&bao
Il grest
sotto le bombe
«Sono giorni terribili, hanno ripreso
a bombardare senza sosta. Siamo
colpiti da bombole di gas, attacchi
aerei e missili lanciati in continuazione.
Nel quartiere armeno di Midan
la situazione è peggiore. Proprio sotto
le bombe abbiamo cominciato il nostro
centro estivo. Sono 350 i ragazzi iscritti,
con un’età che va dai tre ai quindici
anni, cento in più rispetto all’anno
scorso. Ma ogni giorno arrivano altri
genitori a iscrivere i figli»
Padre Firas Lutfi francescano della Custodia
di Terra Santa e superiore del collegio
di Al Ram ad Aleppo,
Avvenire, 5 giugno 2016
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| Aleppo, 30 maggio. La giornata d’inizio dell’oratorio estivo della parrocchia latina di San Francesco
APPUNTI
«DORMI, DORMI, PICCOLINO»
Ninna nanna
africana
M
ilano, maggio. In un commissariato
di zona, tra la gente in coda, c’è una
giovane donna dalla pelle nerissima, con un neonato avvolto in un fagotto legato al collo. Si guarda attorno spaurita, fra
i poliziotti in uniforme. Il bambino dorme.
Dopo un po’ si sveglia, e comincia a piangere. Non sembra fame, ma un ciangottio borbottante che reclama carezze. La mamma si
alza e prende a dondolarsi dolcemente sulle
anche, in un movimento femminile e antico,
e già il figlio si acquieta – cullato ancora come
quando era in lei, nel buio del ventre.
Poi la ragazza a bassa voce, come intimidita da chi la osserva, intona una nenia in una
lingua africana, che ripete sempre gli stessi
suoni, in un’armonia dolcissima. Ninna nanna africana a Milano: la gente sta a guardare,
intenerita, e quasi in soggezione.
Mi viene in mente un episodio di un vecchio libro di mio padre Egisto Corradi, Africa a cronometro (Corbaccio), il reportage di
un rally automobilistico attraverso l’Africa
del 1951. In un’Africa ancora coloniale, oggi inimmaginabile, mio padre in Congo belga incontra una famiglia di coloni occidentali. Sul lodge nella savana scrosciano le
piogge tropicali, e si trascorre la giornata a
chiacchierare. Mio padre a un certo punto –
l’Africa, nella gran corsa del rally, gli scorre
davanti tanto veloce da lasciargliene già la
nostalgia – dice che gli piacerebbe ascoltare
la ninna nanna di una mamma negra (allora
si diceva così). La moglie del colono, una belga matura e madre di tre figlie, scoppia a ridere: «I negri non hanno nenie. Sono barbari,
come vuole che le loro donne abbiano sentimenti materni?».
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di Marina Corradi
La signora sostiene che le madri nere, per
far smettere di piangere i figli, li scuotono violentemente fra le braccia. Mio padre, incredulo, insiste, fino a convincere i suoi ospiti a raggiungere un villaggio vicino, e ad andare a
vedere di persona. Il gruppetto di bianchi si
presenta fra le capanne, e le donne, intimorite e meravigliate dalla richiesta tradotta da
un interprete, esitano. Poi una si fa coraggio,
e canta a bassa voce una tenera ninna nanna.
«Cosa dicono le parole?», domanda mio padre. «Dormi, dormi, piccolino…», traduce l’interprete. Poi altre donne si mettono a cantare,
in un coro di voci materne.
Nella stanza di un commissariato, a Milano, nel 2016, sorrido di quella domanda di
mio padre, oltre sessant’anni fa, e un mondo
intero di mezzo. La sconosciuta nera ha smesso di cantare e il bambino si è riaddormentato, rannicchiato contro il suo petto. Dormono
tutti allo stesso modo. E piangono tutti allo
stesso modo: come in un lontano film di Don
Camillo il gran prete di Guareschi, in trasferta con Peppone in Urss, osservava, chino sotto a una finestra da cui veniva una ninna nanna russa. Piangono, dormono tutti allo stesso
modo. Cosa che non è superfluo osservare,
quando ogni giorno, nella nostra rassegnata
indifferenza, di bambini così ne affogano in
mare – come fossero creature da niente.