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Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr anno 22 | numero 23 | 15 GIuGno 2016 | 2,00 L’ultimo vero ambientalista Intervista a Massimiliano Filippi, paladino di allevatori, cacciatori, zoo e circhi. Uno che gli animali li ama come natura comanda EDITORIALE pARIsI A mILAnO Abbiamo ancora due settimane per sfruttare l’occasione Q uando qualche mese fa si iniziò a parlare della candidatura di Beppe Sala a sindaco di Milano, pareva non esserci storia. Matteo Renzi aveva fatto bingo e tanti saluti a tutti. Persona perbene, reduce dal successo di Expo, un profilo non di sinistra adatto ad attrarre il voto moderato, il neo-renziano Sala aveva l’immagine adatta per rassicurare una città delusa dall’esperienza arancione di Giuliano Pisapia. Poi è spuntato Stefano Parisi che, in poco tempo, con una campagna non urlata nei toni ma decisa nei contenuti, ha recuperato quei consensi che – noi pensiamo a causa di una motivata disillusione – s’indirizzavano verso Sala o verso l’astensione. Ed ora eccoci qui, a un punto percentuale di distacco a giocare una partita apertissima. Cosa ci piaccia di Parisi l’abbiamo detto e scritto: è un liberale e un garantista autentico, ha già dimostrato di saper far correre la macchina pubblica, è laico ma non laicista, vuole «rigenerare la politica», come dice lui, e non semplicemente e comodamente adagiarsi sulla recriminazione e sulle piagnucolose ninnenanne anticasta. Per noi, è il massimo. Ma, ci sia consentito dirlo, è il massimo anche per questa Italia un po’ sbrindellata, come anche certi segnali di questo primo turno di amministrative hanno evidenziato. E non stiamo parlando solo dell’astensione (che è cresciuta ancora), ma anche di situazioni come quella di Napoli dove si premia un sindaco che ne ha combinate di tutti i colori, e da pm e da primo cittadino. Un’alternativa c’è e, dove si pre- cOn bEppE sALA sEmbRAvA senta, è premiata dagli elettori. Dalla Venezia nOn EssERcI pARTITA, di Brugnaro alla Napoli di Lettieri fino a Milano, solo il centrodestra unito sa andare oltre il pOI È spunTATO un cAnDIDATO proprio perimetro tradizionale. Abbiamo due chE hA sApuTO TEnERE InsIEmE settimane per sfruttare l’occasione. un cEnTRODEsTRA DIsILLusO L’AuTRIcE DE “LA mAssERIA DELLE ALLODOLE” Il voto sul genocidio armeno ci mostra che esiste ancora un’anima europea c on il voto del Bundestag sul genocidio armeno, si è davvero incrinata la lunga alleanza fra turchi e tedeschi? È possibile, ma non probabile: fra i milioni di turchi che risiedono in Germania, sono ormai tanti quelli che ammettono apertamente le colpe dei loro antenati nella mattanza del 1915-16. Inoltre, molti sono di etnia curda: nipoti di coloro che collaborarono alle stragi, ma che hanno ufficialmente chiesto perdono agli armeni, come accadde anche a me durante uno straordinario incontro col capo della comunità curda in Italia. Piuttosto, questo voto dei parlamentari tedeschi, praticamente all’unanimità, ricorda ai molti che – all’interno della Turchia, in condizioni difficilissime – si battono per la verità storica e per i diritti civili, che l’Europa non è solo commercio, moneta, economia; essa è ancora in grado di combattere per riaffermare una verità storica cancellata e derisa in decenni di oblio: Unione dei diritti, non solo dei mercati. Il testo della mozione approvata lo dice con fermezza, chiamando in causa però anche l’Impero germanico, durante la prima guerra mondiale potente alleato di quello ottomano. Soldati, ufficiali, uomini d’affari, missionari tedeschi scrissero ai parenti, ai giornali, al governo centinaia di infuocate missive, denunciando l’inerzia della loro diplomazia e la vergogna per gli orrori a cui assistevano. Ma le lettere non venivano recapitate, e la linea ufficiale fu il silenzio: un silenzio imbarazzato, È bELLO chE, OggI, sIA colpevole, solo raramente violato da pochi uomini pROpRIO LA gERmAnIA, cOn LA QuAsI unAnImITà di buona volontà, come l’ufficiale Armin Wegner, il pastore Johannes Lepsius, il dottor Martin Niepage DEI suOI pARLAmEnTARI, ad Aleppo. È bello che, oggi, sia proprio la Germania A DARcI unA gRAnDE a darci una lezione di coraggio. Antonia Arslan scrittrice LEzIOnE DI cORAggIO L’ASCIA NEL CUORE Ma chi fa figli per la suocera? Nove mesi dopo il lancio di un ironico spot governativo che invitava i connazionali a fare figli «per la mamma», in Danimarca si è registrata un’impennata di nascite. Secondo un’indagine, in estate negli ospedali del paese, che come tutti quelli europei vive un drammatico inverno demografico, dovrebbero nascere 60 mila bambini, il 10 per cento in più di quelli dell’anno scorso. Lo spot spiegava che era necessario darsi da fare sotto le coperte perché in Danimarca il numero di figli per donna è di 1,7, quindi insufficiente per garantire il ricambio generazionale e sostenere il welfare (in Italia, sia detto tra parentesi, è dell’1,35). Alcuni osservatori, però, hanno fatto notare che già prima della messa in onda dello spot c’era stata una ripresa demografica, spiegando il fenomeno con la fine della crisi economica. Nell’un caso o nell’altro, per gente da Family Day come noi, c’è da festeggiare, anche se ci rimane qualche piccolo dubbio di cui vorremmo rendervi parte. È infatti assai singolare che questa esuberanza familista si manifesti nello stesso paese che vorrebbe essere “Down free”, così come poco convincente risulta la logica secondo cui un figlio è accettabile solo in base a un calcolo ragionieristico. Che sia quello del 27 del mese o che dipenda dalla tenuta del sistema pensionistico, alla fin fine, infatti, pur sempre un calcolo è. Ci sta anche questo, per carità, ma quanta gente conoscete che mette al mondo marmocchi per fare un favore all’Inps o alla suocera? Noi, nessuno. Conosciamo invece gente che ha salutato il dono del decimo figlio solo con un «eccolo, c’è un altro tra noi». | | 15 giugno 2016 | 3 SOMMARIO 10 PRIMALINEA IMMIGRATI, COSÌ L’EUROPA CI HA FREGATI | GUARNERI NUMERO 23 IN EDICOLA DAL 9 AL 15 GIUGNO 2016 Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr anno 22 | numero 23 | 15 GIuGno 2016 | 2,00 L’ultimo vero ambientalista Intervista a Massimiliano Filippi, paladino di allevatori, cacciatori, zoo e circhi. Uno che gli animali li ama come natura comanda LA SETTIMANA 20 COPERTINA IL PALADINO DEI CACCIATORI Il santino ambulante Luigi Amicone ................................7 Foglietto Alfredo Mantovano.......... 8 Boris Godunov Renato Farina............................ 19 Consequentia rerum P. G. Ghirardini ......................24 Vostro onore mi oppongo Maurizio Tortorella..... 25 26 CULTURA LEZIONI DI SOPRAVVIVENZA PER DHIMMI | CASADEI Mamma Oca Annalena Valenti .............. 35 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano ................. 39 Lettere dalla fine del mondo Aldo Trento .................................. 40 Sport über alles Fred Perri...........................................42 Appunti Marina Corradi ..................... 46 RUBRICHE Stili di vita .......................................... 34 Motorpedia ....................................... 36 Lettere a Tempi ...................... 38 Taz&Bao................................................44 30 CULTURA “LA RABBIA”, LA LITE DIMENTICATA TRA PASOLINI E GUARESCHI | BONA CASTELLOTTI Foto: Ansa IL SANTINO AMBULANTE MA COME FUNZIONA QUESTO METODO ELETTORALE? Passato? Ma che ne so Però è stato avvincente e ora tocca battere Sala | DI LUIGI AMICONE I l giorno 5 giugno ho festeggiato a tarcento i quarant’anni della scuola media fondata e forgiata da don Antonio Villa. Tirata su tra le macerie del terremoto del ’76, è più viva e allegra che mai. Con le due ventenni di allora, Eva e Luciana, venute a dare una mano dalle Marche e dalla Sardegna, che sono ancora lì. Sorprese da una vocazione che ha dato la vita per questo angolino di 9 mila anime del Friuli. Erano stu- ciara (Salvini). Adesso siamo ai momenti dentesse universitarie nel 1976. Nel 2016 sono donne in pensione. Mentre il “Villin” – di gloria e tocca correre per confermare o della “presenza solo presenza”, come diceva il ’68 – è rimasto emblema della meglio il migliore sindaco possibile per Milano. gioventù. A 86 anni. Perciò. È bella, ma è così bella, la strada che porta a casa, che se L’uomo Chili. Il tranquillo passista che Claudio Chieffo intonò le sue canzoni in mezzo a una tenda di alpini, domenica scorsa in sessanta giorni ha scalato una montac’era suo figlio Martino, dentro la tenda, in mezzo a un mare di bambini, a cantare la gna. E che nonostante lo scandalo di una elezione convocata dal governo Renzi cocanzone che il padre scomparso dedicò proprio a lui. E all’Imperatore. Poi, siccome dai nemici mi guardo io, al Sussidiario che mi ha dato per morto già me ciliegina su uno dei ponti più lunghi il 6 giugno scorso (come se la notizia di queste amministrative fosse che «alla fine Ami- dell’anno e un ballottaggio allo scoccare cone ha raccolto 1.548 preferenze che non dovrebbero essere sufficienti a farlo entra- dell’estate, è riuscito a prendere 15 punti re in consiglio comunale», mentre alla fine Amicone ne ha raccolte 1.579 di preferenze e a pareggiare il conto. Per il 19 c’è ancora molto da pedalae, causa complicatissimo computo dei resti, si sa mai che potrebbero essere sufficienti a farlo entrare in consiglio comunale addirittura prima della vittoria di Parisi attesa re. Bisogna convincere la gente che l’unico modo per non farper il 19 giugno), c’è proprio bisogno che si mettere sotto i piedi ci pensi uno Zeus alla Vittadini. ABBIAMO FATTO UN’IMpRESA ChE IN da quelli che “vedi RenDopo di che, non ho niente da dichia- FORZA ITALIA NON CI CREDE NESSUNO. TI zi e poi devi solo tirare rare. Se non che è stata un’esperienza avDOMANDANO COME SIA STATO pOSSIBILE un rigore”, è solo quello vincente. Pochi, ma buoni e fidati amici, di andare a votare. Renhanno fatto un’impresa che in Forza Ita- ChE SENZA UN QUATTRINO «AvETE zi, si sa, ha circonfuso la lia non ci crede ancora nessuno. E infatti, BRUCIATO DUE DEI NOSTRI DATI SICURI sua personalità di gloria, nella sede elettorale di via Valtellina do- E pURE IL vOSTRO Ex MINISTRO LUpI» anche senza passare dalve si festeggia il sensazionale 20 per cento forzista, con la bresciana Gelmini in L’amore non ci fa cadere mai nell’invidia la cabina elettorale. Lui della democracima alla classifica dei più votati a Mila- altrui. E soprattutto, non ci fa cadere per zia può farne a meno. Perché con la Cancelliera è di casa. E con la Casa Bianca è no, ti domandano come sia stato possibi- terra i sussidiari. Adesso fioccano telefonate. Tutti vo- di famiglia. Dunque, la sterminata ambile che senza il becco di un quattrino, senza un archivio elettronico con migliaia di gliono sapere. Ma sapere cosa, se nean- zione del bravo ragazzo neanche dovrebindirizzi, senza un call center e, soprat- che io so se il metodo elettorale Billings be soffrire questa faticaccia che è andare tutto, senza neppure un’accoppiata con i – o quel che l’è – mi ha fatto entrare an- a cercarsi i voti tra il popolo. Come altro consiglieri di zona, «avete bruciato un pa- che se sono ottavo e con soli 16 voti di spiegare l’invenzione del voto in una sola io dei nostri dati per sicuri e pure il vo- scarto dal buon De Pasquale, altro stori- giornata e casomai non vince il renziano stro ex ministro Lupi». E vogliamo parlare co forzista e politico navigato? Fatto sta al primo turno ci si rivede a votare in piedella competizione interna? Di quel biri- che, vadano come vadano i conti del cal- ni europei di calcio? Adesso guardi il pachino di Mariano e del Simone che ha fat- colo algoritmico, noi qui siamo già in pi- norama e capisci che i conti non tornano. to anche lui un bel risultato in Fi? Che se sta per quell’uomo mite e leonino che si C’è in giro un parapiglia che il Pd deve dil’uno avesse messo a partito quel cicinin è dimostrato Stefano Parisi. Due mesi fa fendersi a ogni latitudine. Roma e Napoli di 300 voti e l’altro i suoi 600… Ma va be- davano Sala avanti 15 punti e il massimo sono già uccellin di bosco. Adesso bisogna ne così. Perché come dice Silvio, l’amore problema del centrodestra era se perdere che Parisi vinca e che l’uomo di Renzi sia vince sempre. L’amore fa girare il mondo. con onore (Del Debbio) o perdere con ca- dichiarato “missing” a Milano. | | 15 giugno 2016 | 7 FOgLIETTO COME RICOSTRUIRE LA RAPPRESENTANZA Ricordate che la cura del prossimo passa per la cura della polis | dI ALFREdO MANTOvANO F dalle ultime elezioni amministrative vi è l’ormai consolidata irrilevanza del voto dei cattolici. Nessun candidato fra coloro che giungono al ballottaggio nelle città più importanti ha questo profilo, neanche implicito; durante la campagna elettorale non si sono ascoltati richiami a impegni concreti verso le famiglie, per la parte di competenza dei comuni. L’area del non voto somma il 38 per cento di coloro che si soL’INdIvIdUAZIONE dI UNA PERSONA no tenuti lontani dai segSTIMATA, SENZA CONNOTAZIONI gi con la quantità di scheIdEOLOgIChE POTREbbE ATTRARRE de bianche e nulle: per la IN MISURA MAggIORE RISPETTO A prima volta in competizioni con un così largo CANdIdATI IMPRObAbILI. MA qUESTO numero di elettori supeESIgE UN LAvORO dI FORMAZIONE ra la metà degli aventi diritto. Una parte di questo territorio non ne per ricostruire una rappresentanza: per rappresentato è costituito da cattolici. I il governo di una città l’individuazione di quali non sono scomparsi in natura: le una persona conosciuta e stimata sul termanifestazioni del 20 giugno dello scor- ritorio, affiancata da un lista civica omoso anno e del 30 gennaio di quest’anno genea, senza connotazioni ideologiche ma lo confermano. E non solo quelle manife- protesa alla soluzione delle difficoltà quostazioni: l’impegno generoso per fronteg- tidiane dei singoli e delle famiglie, potrebgiare gli effetti della crisi e le emergenze be attrarre in misura maggiore rispetto a che viviamo proviene quasi esclusivamen- candidati improbabili, scelti all’ultimo mite da un volontariato orientato dalla fede. nuto da partiti non più credibili. Ma queSe però oggi nel cuore di una città come sto esige un lavoro di formazione e di coRoma – con la quale la Chiesa cattolica ha ordinamento che non si improvvisa poche ancora qualcosa a che fare – la carica di settimane prima del voto. Esige che il tesindaco è contesa da due candidati che ma sia messo a fuoco nelle comunità e nei non hanno avuto di meglio negli ultimi movimenti ecclesiali, animato dalla consagiorni che concordare sullo spaccio libero pevolezza – che non manca ma forse va rie sul matrimonio same sex, vuol dire che avviata – che l’amore per il prossimo pasquel mondo non ha nessuno che ne inter- sa anche dall’amore per la polis, nel senso proprio del termine. preti i princìpi e gli obiettivi. Oggi tutto ciò appare non più delegaSi può accettare questo come una calamità, come la piena di un fiume. Ma pro- bile, in un tempo nel quale gli spazi di prio il voto amministrativo dà l’occasio- agibilità politica tendono a restringersi. 8 ra i dati che emergono | 15 giugno 2016 | | Se in qualche grande città al ballottaggio può vincere chi al primo turno ha superato di poco il 20 per cento dei consensi, vuol dire che è stato preferito da circa il 10 per cento dei residenti nel comune: la scarsa legittimazione democratica del primo cittadino non può che alimentare ulteriormente la disaffezione al voto, e con essa l’archiviazione della partecipazione attiva alla guida del territorio nel quale vive. In vista del referendum È un segnale grave: chi non si sente rappresentato né da un sindaco né dall’opposizione rischia di essere attratto da forme di protesta che di democratico non hanno nulla. Nelle prossime elezioni politiche il mix fra riforma costituzionale e nuovo sistema elettorale potrebbe far sì che una sola forza politica – fidando sul consolidamento della lontananza dalle urne di una parte ampia degli elettori – giunga ad avere la maggioranza dei deputati con poco più del 10 per cento degli iscritti ai registri elettorali. Può accadere a Renzi, ma può accadere al Movimento 5 Stelle. Al di là delle sorti dell’attuale primo ministro, un sistema elettorale come quello che – a riforma costituzionale approvata col prossimo referendum – entrerebbe in funzione dal primo turno delle politiche accentua l’assenza di rappresentatività e allontana ancora di più le istituzioni dal corpo sociale. È una valutazione da non trascurare in vista dell’appuntamento referendario di ottobre. Pensare che tutto ciò si vinca con la lontananza dall’impegno attivo fa rischiare brutte sorprese: peggiori di quelle – pur non lievi – patite finora. OLTRE L’ACCOGLIENZA Il piano fa acqua 10 | 15 giugno 2016 | | Foto: Ansa «L’accordo europeo sulla redistribuzione dei profughi è un fallimento e la chiusura delle frontiere al nord Nord Italia Italia può può metterci metterci in in affanno. affanno. Ma piano nientecon allarmismi, gli allarmismi, oggi i numeri oggi i numeri sono insono lineaincon linea il passato». col passato». Intervista Parla il capo al del capo dipartimento del dipartimento per l’immigrazione per l’immigrazione del Viminale del Viminale | DI DANIELE GUARNERI | | 15 giugno 2016 | 11 OLTRE L’ACCOGLIENZA PRIMALINEA «SEcoNdo I PAttI, PoSSoNo ESSERE RIPARtItI tRA gLI StAtI EuRoPEI SIRIANI, IRAchENI Ed ERItREI. gLI ALtRI No», SPIEgA IL PREFEtto MARIo MoRcoNE migranti arrivati in terra austriaca passando dai Balcani. Il giochetto austriaco lo conosciamo, ma speriamo sia concluso con l’elezione del nuovo presidente. Tuttavia, ritengo offensiva e ridicola l’accusa mossa alle nostre autorità di non fare controlli al Brennero. Al massimo è vero il contrario. Quando vengono intercettati, afghani e pachistani sono scortati alla questura di Udine. Lì fanno richiesta di asilo politico e quindi iniziano tutte le lunghissime trafile legate alla domanda. Gli afghani tendenzialmente lo ottengono, i pachistani no. E quindi fanno ricorso al giudice ordinario e rimangono in questo stallo anche un anno e mezzo, entrando in automatico, e di conseguenza affollando, il nostro sistema di accoglienza. Ma il piano di ricollocamento dei migranti approvato lo scorso anno dall’Unione Europea non era stato studiato proprio per evitare di lasciare Italia e Grecia da sole davanti al problema profughi? Il sistema rischia di andare in tilt. Estate che si annuncia drammatica. Questi sono alcuni dei titoli che sono finiti sulle pagine dei giornali in questi ultimi giorni. Effettivamente nella sola settimana dal 23 al 29 maggio sono sbarcati sulle coste della Sicilia e della Calabria 13 mila migranti, quasi tutti provenienti dall’Africa subsahariana, dall’Eritrea e alcuni anche dalla Siria. Ormai più di mille sono le vittime, disperati che non sono riusciti a portare a termine il loro lungo viaggio. Eppure il prefetto Mario Morcone, dal 2014 capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale, smorza i toni usati dai giornalisti, senza tuttavia negare i problemi che ci sono e che con il miglioramento delle condizioni meteo marine aumenteranno certamente: «Invasione, collasso delle strutture, sono termini abusati in maniera veramente sgradevole ed eccessi- 12 | 15 giugno 2016 | | va», dice a Tempi. «Certo noi non possiamo assorbire tutte le difficoltà di un continente come l’Africa, dove ci sono paesi in fiamme». Effettivamente, i numeri finora registrati dal Viminale parlano di 47.940 sbarchi da gennaio a fine maggio, soltanto 488 migranti in più rispetto allo stesso periodo del 2015, anno che si chiuse con un totale di 153.842 sbarchi. E se anche dal prossimo giugno e fino alla fine di dicembre gli arrivi dovessero seguire il trend di due anni fa, alla fine dell’anno potrebbero contarsi circa 180 mila arrivi, poco più rispetto al 2014 che in totale ne contò poco più di 170 mila. Ecco perché il prefetto non sminuisce affatto il problema, ma cerca di guardarlo per quello che è: «Per ora nulla di diverso rispetto al passato». Ciò che preoccupa Morcone non è tanto quello che avviene sulle coste meridionali dell’Italia, ma quanto accade ai nostri confini settentrionali. E ancora di più, l’accordo firmato a Bruxelles sulla redistribuzione dei migranti: «Un vero fallimen- to, un fiasco totale», lo definisce. Il limite di emergenza fissato dal Dipartimento sull’immigrazione è intorno ai 160 mila profughi accolti e le condizioni per lo sfondamento in tempi brevi sembrano esserci visto che il sistema italiano, sempre a fine maggio, aveva già in carico la non proprio tranquillizzante cifra di 121.306 stranieri. A imballare la macchina dell’accoglienza è il tappo che si è venuto a creare alle frontiere del Nord Italia? Certamente questo influisce pesantemente. Prima l’Italia era una tappa di un più lungo viaggio che aveva come meta finale i paesi più a nord come la Germania. Pochi facevano richiesta d’asilo, mentre oggi l’80 per cento la fa, allungando in questo modo la permanenza nelle strutture. Prima c’era un ricambio costante garantito da chi proseguiva il viaggio verso altre nazioni, oggi non è più così. Un reportage del Fatto Quotidiano ha rivelato come le autorità di Vienna favoriscono un esodo verso l’Italia dei Un passo indietro. Cosa prevede questo accordo? Foto: Ansa A lto livello di emergenza. L’accordo è stato un vero fallimento. La proposta di Jean-Claude Juncker prevedeva il binomio solidarietà-responsabilità. A noi veniva chiesta la responsabilità: identificare con la fingerprinting i migranti e garantire che nessuno sconosciuto potesse circolare nell’area Schengen. Questo lo abbiamo fatto e Bruxelles lo ha riconosciuto. Contestualmente dovevamo essere contraccambiati con la solidarietà degli altri paesi dell’Unione. Invece i numeri dimostrano il contrario e siccome il piano della redistribuzione non partiva, due mesi fa si era deciso di trasferire entro metà maggio almeno 20 mila persone sbarcate tra Italia e Grecia. Dall’inizio del piano, invece, ne sono state ricollocate circa 1.800. La redistribuzione dei rifugiati tra gli Stati. Il numero si calcola in base a un meccanismo che tiene conto di popolazione, Pil, disoccupazione e richiedenti asilo già accolti. Tuttavia, l’accordo prende in considerazione solo i migranti di quelle nazionalità che, secondo Eurostat, statisticamente nel 75 per cento dei casi ottengono asilo. Risultato: possono essere ripartiti siriani, iracheni ed eritrei, gli altri no. Sulle nostre coste sbarcano soprattutto africani, cosa serve questo accordo all’Italia? Perché il governo lo ha definito un grande successo? te molto salate, ma la verità è che intanto il migrante rimane un problema per Italia. Il governo ha creduto, in buona fede, alla decisione assunta a Bruxelles che, va ricordato, non è stata approvata all’unanimità. Quella di iracheni, siriani, eritrei è una regola che l’Italia ha dovuto “subire”. Ma la linea che separa il rifugiato dal migrante economico sappiamo bene quanto sia sottile. È una distinzione che qualcuno ha voluto costruire in modo astratto, ma la nostra cultura dell’accoglienza non può cadere in questa semplificazione. Comunque, se si rispettassero gli impegni presi e si ricollocassero anche solo gli eritrei, per l’Italia non sarebbe cosa da niente. Ma nemmeno questo si fa. Prima di tutto quello delle pratiche: complicate, lunghe, tortuose. Una volta che l’Italia ha elaborato il fascicolo elettronico per il singolo immigrato ed esso viene inviato agli organi preposti degli altri Stati, questi ti rispondono dopo molto tempo. E intanto l’immigrato rimane a casa nostra. Non solo, quasi sempre la risposta include ulteriori approfondimenti. Altro tempo. E prima che la pratica si concluda positivamente, il paese che dovrà ospitare l’immigrato vuole prima incontrarlo. E il tempo si allunga ancora. Così si rende molto più complicata una situazione che di partenza non è certo facile. I paesi che in teoria hanno dato la loro disponibilità, poi nel concreto la negano con questi piccoli trucchetti burocratici. E non è tutto. Perché? I problemi sono molti. Partiamo dal fatto che alcuni paesi europei, nonostante l’accordo, non accettano i migranti. E mi riferisco soprattutto ai paesi dell’Est. Ungheria e Slovacchia al momento hanno rifiutato ogni migrante. Altri paesi, invece, nonostante la disponibilità data a Bruxelles, hanno aperto le porte a un numero di rifugiati molto inferiore rispetto al previsto. Per fare due esempi, a fine maggio la Germania soltanto 20, la Spagna 18. Ma tra le proposte di revisione del trattato di Dublino non c’è anche quella di far pagare agli Stati che non rispettano le regole 250 mila euro per ogni profugo rifiutato? È vero, ma per ora rimane una proposta che ha fatto arrabbiare tutti i paesi dell’area di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) che rifiutano i profughi ma incassano cifre ragguardevoli dal bilancio comunitario. Sono paesi che abbiamo sostenuto e aiutato nei loro momenti di difficoltà e che ora hanno delle posizioni insopportabili. Credo che prima o poi si dovrà fare qualcosa, bisognerà chiedere conto dei loro atteggiamenti, perché le sanzioni pecuniarie vanno bene, ma non risolvono il problema. L’Italia per la situazione delle nostre carceri viene sanzionata da Bruxelles, ma il problema non lo abbiamo mai risolto. Vale la stessa cosa per i migranti: forse ci saranno mul- Quali sono gli altri problemi che avete riscontrato? Perché? Ancor prima di tutto questo, occorre convincere l’eritreo a fare richiesta d’asilo. Chi arriva sa già come funzionano le cose e quindi è restio a fare domanda, non ha alcuna intenzione di accettare la destinazione che gli sarà assegnata. Chi arriva vuole andare in posti precisi, dove magari vivono parenti o amici. Per non rischiare di finire altrove decidono di restare. E così tutto diventa più difficile per l’Italia. Il primo scoglio, dunque, è proprio nel rapporto con l’immigrato. Solo dopo che è stato convinto a farsi identificare e la sua application viene inviata a un paese che ha dato disponibilità di accoglienza, comincia l’infinito balletto burocratico che ho descritto prima. In questo periodo può succedere di tutto. L’eritreo comincia a credere di essere stato ingannato, e questo complica i rapporti non solo con lui ma con la sua comunità, che si fiderà sempre meno delle nostre autorità. Gli eritrei che da gennaio a oggi sono arrivati in Italia sono l’11 per cento del totale dei profughi sbarcati. Il restante 89 per cento rimane quindi un problema che dobbiamo gestirci da soli? Esattamente. E tra questi ci sono quelli che hanno diritto alla protezione internazionale, almeno noi li consideriamo così. | | 15 giugno 2016 | 13 OLTRE L’ACCOGLIENZA PRIMALINEA Penso soprattutto a nigeriani e maliani. Oppure a chi arriva dalla Sierra Leone o dalla Somalia. Persone che fuggono da contesti non certo migliori di quelli siriani o iracheni. Ma ripeto, al di là dei momenti di emergenza, di quei periodi in cui arrivano migliaia di migranti al giorno, per il momento i numeri che abbiamo sono sostenibili. Certo l’estate che si avvicina renderà le cose difficili, ma non credo più degli altri anni, o comunque non con i termini usati sui giornali. Eppure si parla di centinaia di migliaia di migranti pronti a salpare dalle coste della Libia. Il tema della migrazione si presta a un utilizzo vergognoso e ingiusto. Sulla pelle delle persone si gioca una partita di consenso politico. È chiaro che tutti hanno le proprie difficoltà e tutti temono che i migranti possano strapparci quel poco di benessere e sicurezza che a fatica si sono conquistati. Ma se si punta solo su lo Stato, ma i paesi europei a coordinarsi e condividere uno sforzo verso l’Africa. Una cooperazione comunitaria che riguarderà investimenti significativi in materia di istitution building, sviluppo locale, protezione delle persone, attuazione di diritti. Il problema non sono le risorse ma è imparare a non investire a pioggia e trovare obiettivi comuni per portare sviluppo nei paesi martoriati. Ce ne sono tanti, ma per noi ce ne sono alcuni più importanti: Niger, Sudan, Libia, Mali, Senegal e naturalmente Eritrea, Somalia ed Etiopia. Il tema è ricostruire lì delle opportunità di vita e di sviluppo. Si è sempre detto che il problema dell’immigrazione era da risolvere alla base. Ora mi sembra strano sentire dire che siccome la cooperazione ha sempre fallito, allora fallirà ancora. Mi sembra una critica superficiale, una scusa per essere a ogni costo contro questo governo. Tornando in Italia, hanno fatto discutere alcuni articoli in cui si descriveva la «NEssuNo NEgA I RIschI, soPRAttutto oRA chE ARRIvA LA bELLA stAgIoNE, MA L’EffEtto INvAsIvo cI sARà soLo PER LA coNcENtRAzIoNE dI ARRIvI IN uN tEMPo LIMItAto» queste paure si fa un gioco sporco. Nessuno nega i rischi che ci possono essere per il nostro paese, soprattutto ora che arriva la bella stagione, ma l’effetto invasivo, se così vogliamo chiamarlo, ci sarà per la concentrazione di arrivi in un tempo limitato. Se tutti si assumessero le proprie responsabilità fino in fondo, a partire dall’Europa e fino ai sindaci dei comuni italiani, il nostro paese sarebbe in grado di gestire le problematiche legate agli sbarchi, senza l’affanno a cui siamo costretti. La Commissione europea ha accolto con molto favore la proposta italiana del Migration compact. Di cosa si tratta? È un’iniziativa che vuole mettere a sistema i contatti bilaterale esistenti ma che sono risultati insufficienti e deboli rispetto alle esigenze di un continente come l’Africa. La proposta italiana è stata accolta da tutti con interesse e attenzione, ora la disponibilità si dovrà tradurre in concreta applicazione. Il Migration compact si muove in parallelo con l’accordo tra Unione Europea e Turchia: abbiamo fatto un passo importante verso Ankara, ora lo dobbiamo fare verso alcuni paesi africani. L’idea è che non sarà più il singo- giornata tipo del migrante nei centri di accoglienza. Vitto e alloggio pagati, tessere telefoniche, giornate perse davanti alla tv o al cellulare… Troppo spesso trascorrono la giornata in maniera inutile e in questo modo perdono la voglia di ricostruirsi la vita. Ribadisco quanto spiegato in diverse circolari: queste persone possono essere impiegate in lavori di volontariato, utili all’integrazione con il contesto sociale. E in questo caso non serve nemmeno l’assicurazione perché l’Inail fornisce già la copertura. Non esiste legge che vieta loro di lavorare, anzi, con il decreto legislativo 142 approvato lo scorso settembre abbiamo ridotto da 6 a 2 mesi il tempo che deve trascorrere dalla prima identificazione alla possibilità di trovare impiego legittimamente. Il concetto di accoglienza non va slegato da quello di integrazione. Nel centro l’immigrato può rimanere un anno, un anno e mezzo a seconda della situazione, poi deve lasciare libero il posto che occupa. O in questo periodo riesce a costruirsi una rete o finisce su un marciapiede. L’accoglienza non è un vitalizio, dopo un determinato periodo devi saper camminare con le tue gambe. E se questo non accade? C’è il rischio che una volta fuori dal centro comincino a delinquere. Sull’argomento voglio essere cauto, al momento non abbiamo segnali di incremento di reati dovuti agli sbarchi. Anche questo è un altro argomento che viene strumentalizzato dalla politica. Bisogna stare attenti a non permettere la nascita di nuove marginalità, che si andrebbero ad aggiungere a quelle degli italiani in difficoltà. Per chi non è in grado di proseguire da solo una volta abbandonato il centro di accoglienza, si profila la possibilità del rimpatrio. Quello forzato per gli individui socialmente pericolosi e che riteniamo di accompagnare alla frontiera o addirittura nel loro paese d’origine. In questo caso i soggetti sono soprattutto marocchini, tunisini, egiziani e nigeriani. Poi c’è il rimpatrio volontario e assistito: per coloro che non sono riusciti a integrarsi e decidono volontariamente di tornare a casa, lo Stato fornisce una piccola somma di denaro utile a ricostruirsi una vita nel paese di origine. Che rapporti ci sono con le amministrazioni comunali? I sindaci dovrebbero avere il coraggio di accettare i progetti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ndr). Sono progetti finanziati dal ministero dell’Interno, la best practice della integrazione. Ma i soldi arrivano puntuali o ci sono le solite ed estenuanti tempistiche dei pagamenti pubblici? I soldi arrivano puntuali ogni tre mesi, soprattutto nei progetti Sprar. Le cose si complicano per quanto riguarda i Centri di accoglienza straordinaria, quelli aperti temporaneamente per gestire particolari situazioni di emergenza. In questo caso facciamo fatica, è vero. Comunque il vero problema non è quello economico, ma quello legato al consenso politico. In un clima dove non si fa altro che parlare di invasione, si genera paura e il sindaco che accetta i progetti Sprar vede erodere inevitabilmente il proprio consenso. Avete in mente altre azioni per andare incontro alle esigenze dei comuni? Stiamo portando il finanziamento dei progetti al 95 per cento, mentre prima era all’80. In questo modo i Comuni dovranno coprire solo il rimanente 5 per cento dei costi. Abbiamo scritto circolari spie| | 15 giugno 2016 | 15 PRIMALINEA OLTRE L’ACCOGLIENZA gando che dove verranno attuati i progetti Sprar, i prefetti eviteranno di avere un atteggiamento intrusivo nelle scelte, ad esempio del luogo dove accogliere i profughi. Non vogliamo interferire nelle scelte del territorio a condizione però che gli amministratori siano disponibili all’accoglienza. Stiamo anche pensando di destinare 1 euro per ogni migrante accolto che il Comune potrà utilizzare per le spese correnti: pulizia delle strade, asfalti stradali, riordino del verde. Una critica che avete ricevuto da più parti è quella di tentare di risolvere il problema migranti con soldi statali. Pagate lo straniero e non l’italiano. Ogni anno gli immigrati che lavorano versano circa 8 miliardi di euro in contributi di cui solo 3 vengono restituiti sotto forma di assistenza sociale e servizi. Per il bilancio italiano si registra un saldo positivo di circa 5 miliardi di euro, praticamente l’accoglienza si paga da sé. E per quanto riguarda la questione del lavoro: provo a immaginare che cosa potrebbe essere l’allevamento nelle stalle del centro nord senza gli immigrati. Oppure l’agricoltura al sud. Tutti dicono che gli italiani sono pronti a fare qualsiasi lavoro, poi nessuno va a raccogliere il pomodoro San Marzano. Chi munge le vacche tutti i giorni, anche a Natale? Gli indiani, non gli italiani. Bisognerebbe parlare, oltre che dell’emergenza profughi, delle possibilità che derivano dall’arrivo di questi stranieri. Tipo? Le faccio l’esempio di Riace, uno dei tantissimi e piccolissimi comuni di Italia, i cosiddetti comuni polvere, dove molto spesso la natalità è crollata, ci sono solo anziani che percepiscono la pensione, dove non c’è più una stazione dei carabinieri o l’ufficio postale, figuriamoci le scuole. Innestando in questi comuni alcune famiglie di profughi, magari con figli, il tessuto sociale si è riattivato. A Riace hanno riaperto scuole, negozi, l’ufficio delle poste, sono rinate attività artigiane che stavano scomparendo e ora stanno tornando a essere dei punti di forza, case disabitate sono state messe a disposizione degli stranieri. Sono tutti meccanismi economici che generano altrettanta economia. Per fare tutto questo ci vuole una visione a lungo termine dei progetti, ci vogliono sicuramente degli investimenti, ma soprattutto occorre coraggio politico. n 16 | 15 giugno 2016 | | DI COSA HA BISOGNO L’AFRICA La cooperazione dei missionari Q uando in un’area politico-economica come l’eurozona il tasso di disoccupazione generale si aggira attorno al 10 per cento e quello della disoccupazione giovanile sta al 21, e in quell’area arrivano 1 milione di immigrati all’anno, per i tre quarti giovani maschi in cerca di prosperità, è normale che qualcuno pensi a come fare per arrestare o almeno ridurre il flusso. Perché è vero che metà di esso dipende da guerre e guerriglie mediorientali e africane, ma l’altra metà è di natura strutturale: la popolazione dell’Africa è destinata ad aumentare dagli attuali 1,2 miliardi di abitanti a 2,5 nel 2050. E se l’Africa attuale ha prodotto centinaia di migliaia di migranti nonostante tassi di crescita del Pil superiori al 5 per cento dal 2009 fino all’anno scorso, figuriamoci cosa succederà se la crescita scenderà, come è successo nel 2015 con un modesto più 3 per cento rispetto all’anno precedente. Le capitali dell’Eurozona rischiano di assomigliare in un futuro non troppo lontano alle grandi metropoli africane, dove il centro direzionale e i quartieri benestanti sono circondati da distese di baraccopoli senza speranza. Per questo e per ragioni più ravvicinate (il peso della crisi migratoria sui risultati delle elezioni) dall’Europa e dall’Italia in particolare, dove il tasso di disoccupazione giovanile è del 39 per cento, arrivano proposte per aiutare gli aspiranti emigranti a casa loro: molti (ultimo in ordine di tempo il cardinale Scola) evocano “un piano Marshall per l’Africa”, il governo italiano è entrato nei detPERché IL PIANo tagli presentando il Migration compact del valoMARshALL fuNzIoNò re di 500 milioni di euro per investimenti nei paesi di origine e di transito dei migranti africani. Si MENtRE I MILIARdI dI doLLARI vERsAtI AL tratta di capire dove si andranno a prendere i soldi, dopo il rifiuto tedesco di emettere eurobond a coNtINENtE NERo No? questo fine. L’Africa è al centro di vasti programmi di aiuti sin dal 1960, con risultati scarsi e difficili da paragonare con quelli del vero piano Marshall, che fra il 1948 e il 1951 riversò sull’Europa occidentale 13 miliardi di dollari, pari a 130 miliardi di oggi. L’Africa nera fra il 1960 e il 2010 avrebbe ricevuto, secondo alcune stime, 300 miliardi di dollari in forma di Aiuti allo sviluppo (Aps). Perché il piano Marshall funzionò e l’Aps all’Africa no? Padre Piero Gheddo l’ha spiegato mille volte: «Perché i popoli europei, nonostante nazismo e fascismo, erano preparati da tutta la loro storia, educazione, cultura e religione, a far fruttare il denaro lavorando e fondando nuove industrie; i popoli africani, per la loro storia, cultura e religione tradizionale, semplicemente non erano stati preparati a questo dalla colonizzazione, durata però solo circa 60-70 anni, con due guerre mondiali in mezzo! La radice del sottosviluppo africano è storico-educativa-culturale-religiosa». Su questa radice antropologica si è innescata la corruzione a livello governativo: l’Aps è servito ad arricchire le élites locali e a finanziare le campagne elettorali dei politici europei. La lotta alla corruzione non funzionerà senza un’autentica formazione umana: l’Africa ha bisogno anzitutto di più famiglie cristiane e di più scuole cattoliche. [rc] boris godunov AndAre Alle urne è unA responsAbilità cristiAnA Il ballottaggio è una cosa seria. Non ci sono in amore, nel lavoro, in politica, spazi per la PlayStation | di renAto fArinA A Boris piace citare Lev toLstoj, Guerra e pace. Nel libro secondo, parte terza, capitolo primo, scrive: «Nel 1808 lo zar Alessandro si recò a Erfurt per un nuovo incontro con l’imperatore Napoleone (...). Nel gran mondo si parlava persino della possibilità di un matrimonio tra Napoleone e una delle sorelle di Alessandro. Oltre alle discussioni sulla politica estera, in quel tempo l’attenzione della società russa era rivolta con particolare vivacità alle riforme interne, che venivano attuate allora in tutte le zone dell’amministrazione imperiale. Intanto, la vita, la vera vita degli uomini, con i suoi interessi sostanziali, di salute, di malattia, di lavoro, di riposo, con i suoi interessi di pensiero, di scienza, di poesia, di musica, d’amore, d’amicizia, di odio, di passione, procedeva come sempre, indipendentemente e fuori da ogni politica di alleanza o di inimicizia con Napoleone Bonaparte, fuori da tutte le possibili trasformazioni e riforme». Ha ragione Tolstoj. Queste due sfere ci sono anche oggi. Le elezioni, tutte le elezioni, che sono il nostro modo per dirigere le riforme e spingere o frenare i Napoleoni di oggi, vengono vissute a due livelli di coscienza. Uno è quello che ha a che fare con il nostro rapporto con i destini del mondo. L’altro con la nostra umana vicenda, vista però come scissa dagli accadimenti dell’universo. Non sto facendo una gran scoperta, mi rendo conto. Il mal di testa che forse passerà con un’aspirina ha un peso maggiore nel determinare il nostro sguardo sul prossimo ma anche sulla rotazione del pianeta intorno al suo asse della consapevolezza dell’immane scontro tra le grandi potenze della fisica e della politica in Africa. Il cattivo umore degli americani Il maestro Riccardo Muti in una conversazione trasferì il medesimo discorso sulla musica. La sera avrebbe dovuto dirigere il Requiem di Verdi, un capolavoro assoluto. L’infinita bellezza sarebbe stata nelle mani di violinisti e al peso dell’acidità di stomaco o della volubilità della rispettiva moglie o del fidanzato. Ma anche dell’umore del maestro stesso. Tale è la fragilità umana, la sua finitezza meschina rispetto ai balzi del cuore per cui sospiriamo dinanzi a un’alba rosata. Così in politica. Sappiamo che discenderanno conseguenze decisive dalla vittoria di Trump o della Clinton (Boris non sa qua- HA rAgione brecHt: in questo tempo bisognA occupArsi del mAledetto imbiAncHino piuttosto cHe stAr seduti dAvAnti All’Albicocco in fiore. questo è umAno, Accidenti li, ma di certo esistono) sulle speranze di sopravvivenza delle comunità cristiane in Iraq. Eppure quel giorno in America molti non andranno a votare per il cattivo umore, o si stancheranno per la fila, o avranno irritazioni particolarissime contro la chioma arancione di Trump oppure contro il particolare uso dei sigari in voga nella famiglia Clinton, lato maschile. Dalla sana ironia al quieto fatalismo Credo che il compito dei cristiani oggi sia quello di mostrare che ogni atto umano è attraversato dallo stesso anelito di felicità. Accarezzare un bimbo, votare. La responsabilità è offrire ogni nostra azione al Tutto. La politica è un bene. È sì relativa, lasciata al suo rischio, ma il suo peso sui destini è tale che richiede consapevolezza e non trascurataggine; sostegno di amici e della propria grande famiglia spirituale. Evitando i minimalismi sentimentali di chi si acquieta nel godimento del fiorellino profumato che ci ricorda Dio, senza che questa memoria ci rimandi al sangue sparso sul prato. Ha ragione Brecht: in questo tempo bisogna occuparsi del maledetto imbianchino piuttosto che star seduti davanti all’albicocco in fiore. Le due cose insieme: questo è umano, accidenti. Correre a soccorrere l’uomo ferito, avendo dentro di sé il roseo albicocco chiomuto. Perché ho fatto questa tiritera? Perché dinanzi a queste elezioni non vedo una sana ironia rispetto all’esito del nostro tentativo umano, ma una sorta di quieto fatalismo. L’ironia accompagnava anche i martiri prima che gli staccassero la testa, vedi Thomas Moore, ma della testa gli importava eccome. Per questo io dico: il ballottaggio per scegliere il sindaco è una cosa seria. Perché riguarda il caso serio. Non ci sono in amore, nel lavoro, in politica, spazi per la PlayStation. | | 15 giugno 2016 | 19 COPERTINA | L’uLtIMo AMbIentALIstA DI PIETRO PICCININI Te lo do io l’amore per gli animali Intervista a Massimiliano Filippi, fondatore di FederFauna, paladino di allevatori, cacciatori, zoo e circhi. Lettura sconsigliata a un pubblico sensibile alle campagne politicamente corrette e a chi condivide foto di gattini su Facebook A MassiMiliano Filippi bisogna riconoscere come minino che ha del coraggio. Veneto, allevatore rampollo di una famiglia di allevatori, nel 2008 davanti alla marea montante animalista ha deciso di suonare una sveglia per l’associazionismo del suo mondo, dando vita «con alcuni amici volenterosi» a una confederazione sindacale un po’ più “spinta”, per così dire. A guardarli con freddezza sito web e vetrine social di FederFauna sono uno spasso. Oltre ai contenuti da classica battaglia di rappresentanza, Filippi e i suoi pubblicano un sacco di cose politicamente scorrettissime. Articoli che sembrano barzellette (“Monaco, struzzo del circo liberato dagli animalisti viene investito e ucciso da un’auto”), scherzi da gelo in sala (vedi il disegno fanciullesco della chioccia che mangia becchime con la didascalia “la campagna è quella cosa dove le galline vanno in giro crude”, copyright del gruppo Facebook “Vegano stammi lontano”), consigli che rasentano la provocazione (“Mondo barbecue: 10 ricette con l’agnello per Pasqua”), rappresentazioni della realtà abbastanza originali (“Il vento cambia! 20 | 15 giugno 2016 | | Foto:Ansa Nel 2015 in Italia il numero dei cacciatori è cresciuto”). Celeberrimo il Premio Hitler, una targa con il Führer che accarezza due caprioli davanti al cancello di Auschwitz sotto il motto “Animal Reich”, assegnato ogni anno da FederFauna a personalità che si distinguono per capacità di «calpestare i Diritti Umani in nome di ideologici diritti degli animali». FederFauna difende gli allevamenti, le macellerie, la caccia, lo zoo, il circo. Tutto ciò che è diventato indifendibile nell’era dei gattini di Facebook. Ma quel che alimenta l’impegno di Filippi non è la faccia tosta del tale che si diverte a marciare contromano. Sembra tanto una battaglia culturale la sua. E in effetti «lo è», dice lui a Tempi. «Noi difendiamo e promuoviamo quella che io chiamo la “cultura rurale”. Sono le nostre radici: la società le sta perdendo e con esse perde un fondamento della nostra umanità». Perché combattete gli animalisti? Premetto che noi siamo assolutamente per il benessere animale: per me che faccio l’allevatore è un ottimo investimento. Se la vacca non sta bene, non fa mica il latte. Però, siccome molta gente viven| | 15 giugno 2016 | 21 COPERTINA L’uLtimo ambientaLista do nelle città ha perso il contatto con la natura, cioè con la realtà, ecco che si fanno strada le ideologie fuorvianti, prima fra tutte l’animalismo che noi combattiamo a spada tratta. Eravamo stufi di sentirci dire: “Ma dai, sono quattro gatti, che male vi fanno se vanno dietro ai cagnolini?”. FederFauna è nata per questo, perché questi quattro gatti, con la tattica del salame, una fetta alla volta sono arrivati a insidiare tutta la filiera zootecnica, tutte le imprese e le professioni connesse. Sono così fastidiosi? Sono una lobby potente. Meglio: c’è un gruppetto tutto sommato ristretto di faccendieri che sanno gestire il potere e trarne beneficio. Accusano noi di sfruttare gli animali, ma loro cosa fanno? Pubblicano una fotografia e chiedono i soldi. E mentre la mia vacca deve star bene per fare il latte, il cagnolino della foto più è malconcio e più frutta donazioni. Ma non sfruttano solo gli animali, sfruttano anche tutta una serie di mentecatti (e questi sì che sono tanti) che va da quelli che offendono e minacciano di morte su internet fino a quelli che fanno azioni di ecoterrorismo. E voi quanti siete? Sommando tutte le confederate rappresentiamo circa 100 mila persone. Ma quelli che in Italia hanno attività economiche o ludiche con gli animali sono oltre 3 milioni. Saremmo una vera potenza. Purtroppo siamo disorganizzati. Quando si va in piazza si fa sempre una fatica micidiale a mettere insieme le persone. Non c’è bisogno di arrivare fino in piazza. Basta vedere Facebook: la Lega Antivivisezione vi straccia in quanto a fan. Lasci perdere i “mi piace”, quelli si fa presto a gonfiarli. Comunque io sono il primo a essere convinto che la stragrande maggioranza degli italiani ami gli animali. Però tra gli amanti degli animali ci metto anche me che faccio l’allevatore, mangio la carne e ho le scarpe in pelle. Quanti episodi di ecoterrorismo si sono registrati in Italia? Decine e decine, da perdere il conto. Tra i più grossi che mi vengono in mente, uno recente è avvenuto l’anno scorso, quando hanno dato fuoco ai camion di Veronesi. Ha presente, no? Veronesi Mangimi a Ospedaletto, provincia di Padova. 22 | 15 giugno 2016 | | Sinceramente no. Vede? È perché anche la stampa dedica poco interesse a questo problema. Sappia che a questa azienda hanno dato fuoco a 15 camion. Qualcosa di simile era successo al Centro Latticini di Montelupo Fiorentino nel 2013, stesso anno dell’assalto allo stabulario del dipartimento di Farmacologia dell’Università di Milano. Nel novembre scorso sono entrati nell’allevamento Rossi, nel Modenese. Gli hanno scavalcato il muro in pieno giorno, roba dell’altro mondo. Ti svegli una mattina e trovi distrutto quello per cui hai lavorato anni. E spesso resti lì senza sapere cosa fare. Si può cominciare dal denunciare questi reati alla magistratura. Ma finché resteranno catalogati come atti di vandalismo, le forze dell’ordine avranno sempre di meglio da fare. Non per niente sono anni che noi chiediamo una norma contro l’ecoterrorismo come quella che c’è negli Stati Uniti e in altri paesi europei. È l’unico modo di arginare il problema. Non è possibile che questi entrino nelle aziende di notte per rubare gli animali, distruggere le attrezzature, a volte mettendo a repentaglio la vita umana. Per non parlare poi di quella animale, visto che gli animali sgabbiati nove su dieci crepano, e crepano male. costituirsi parte civile e chiedere i danni. Niente male. Se il vigile incassasse le multe che fa, ne farebbe centomila. «La cosa più beLLa deL mio Lavoro? Le nascite: riempiono di gioia. però quando è L’ora gLi animaLi Li maceLLo, Li mangio, mi ci vesto. La natura non è buona né cattiva» Lei personalmente ha subìto attacchi? Sono venuti dentro l’allevamento due o tre anni fa. Non hanno trovato niente da denunciare, hanno solo pubblicato le foto e scritto che ho quattromila visoni. Han contato male: sono seimila. Le è andata bene che non ci fosse neanche un animale ferito. Ma sarebbe stata una cosa normale. L’altro giorno ho visto un servizio di Report: una donna è entrata di nascosto in una fattoria per far vedere che c’erano degli animali malati. Ma è andata dentro un locale infermeria, e si vedeva benissimo che era un locale infermeria. Poi mostravano un operaio che faceva pipì dentro un pollaio. Ma i polli lì di fianco mica uscivano per andare al gabinetto… Per scandalizzarsi di certe cose bisogna proprio non aver mai messo piede in una stalla. Lei ce l’ha un cane? No. Va bè, se avesse un cane saprebbe che quando un animale sta poco bene si vede innanzitutto dalla pelliccia, che diventa opaca. Perciò è chiaro che chi come me alleva animali da pelliccia deve badare al «NOI dIfENdIAmO quEllA ChE IO ChIAmO “CulTuRA RuRAlE”. SONO lE NOSTRE RAdICI: lA SOCIETà lE STA PERdENdO E CON ESSE PERdE uN fONdAmENTO dEllA NOSTRA umANITà» Il Fatto quotidiano poche settimane fa ha riconosciuto che le lobby animaliste sono le più efficaci in Italia. Anche voi fate lobbying? loro benessere: io vendo pelo, mica posso vendere pelo opaco. Abbiamo cominciato, certo. Sottolineo però che noi ci muoviamo cercando di difendere l’esistente, soprattutto le imprese e i lavoratori. Le lobby animaliste invece inventano leggi per far soldi. Credo che la 189 sia l’unica legge al mondo che consente a uno stesso soggetto di denunciare un presunto reato di maltrattamento di animali, di collaborare al sequestro degli animali coinvolti, di diventare affidatario degli stessi, nonché destinatario dell’introito delle sanzioni nel caso in cui il processo porti a una condanna, e infine di Ecco, prima si parlava di mentecatti e faccendieri. I mentecatti sono quelli che devono trovare per forza il nemico nell’uomo. Un sacco di gente si è affrettata a scrivere su internet che voleva uccidere il presunto killer di Spinea. Si dicono animalisti ma non hanno un’idea di cosa sia la natura. Non c’era bisogno neanche di scomodare l’Istituto Zooprofilattico, tutti i contadini dei dintorni che hanno le galline sanno benissimo che in certi periodi dell’anno le volpi insegnano ai cuccioli a cacciare. E quando si è accertato che effettivamente Vuole fare un commento sulla strage degli animali dell’Oasi di Spinea? volte noi abbiamo ripreso il passo del Catechismo che parla dell’utilità della creazione. In quattro righe c’è tutto: allevamento, caccia, pellicce, tutto. Posso leggerglielo? Prego. gli autori della strage erano volpi, i mentecatti zitti. Mentre i faccendieri avevano già trovato il sistema di raccogliere soldi. E sul caso del gorilla abbattuto allo zoo di Cincinnati per salvare il bambino caduto nel suo recinto, con somma rabbia degli animalisti? Sto con i gestori dello zoo. C’era in gioco una vita umana e uccidere il gorilla era l’unico sistema sicuro per salvarla. Gli animalisti non capiscono che io sarei pronto ad ammazzare il gorilla anche se la vita in pericolo fosse la loro. Tanti di loro con me non farebbero altrettanto probabilmente. Ma come si fa a schierarsi dalla parte di uno zoo? Che domande. Lo zoo ha un valore unico, è una delle poche manifestazioni rimaste di cultura materiale degli animali. Lo ha detto anche il grande entomologo Giorgio Celli prima di morire, tanto è vero che gli animalisti lo avevano isolato. Un documentario non ti dà la materialità che ti offre lo zoo, non ti consente di sentire l’odore dell’animale. Però arrivare a difendere la caccia è paradossale perfino per voi. No che non lo è. La caccia è una forma di conservazione e-c-c-e-z-i-o-n-a-l-e. I paesi africani dove non sono minacciati i leoni e gli elefanti, sono quelli dove i cacciatori ne ammazzano di più. Io sono stato in Sudafrica e in Namibia: c’è una gestione faunistica straordinaria. Lì certi animali ci sono ancora. In Europa è l’Ungheria che la fa da leader in questo campo. L’Ungheria? Non so se lei è cacciatore, ma saprà che quasi tutti i cacciatori almeno una volta nella vita sono andati a caccia in Ungheria. Si vedono animali dappertutto lassù. Merito della caccia? Merito della caccia. La caccia non è predazione illimitata, ormai è gestione scientifica: vuol dire fare censimenti, determinare l’incremento utile annuo della popolazione e gestirla. Come si farebbe con un frutteto: gli alberi vanno potati se si vuole che diano frutti anche l’anno successivo. Per le nutrie invece nessuna pietà. Voi parlate di “eradicazione”. Le nutrie vanno eradicate perché non sono autoctone e dove sono fanno danni. Fanno danni alla fauna autoctona, all’agricoltura, agli argini dei fiumi. Fanno danni a tutti. Mi viene da ridere perché per difenderle gli animalisti dicono che sono stati gli allevatori a liberarle nelle nostre regioni. Ma la nutria è un animale da pelliccia che vale più da morto che da vivo. Io conosco degli ex allevatori di castorini: quando il mercato ha smesso di tirare, li hanno abbattuti per incassare il poco possibile. Se li avessero liberati non avrebbero preso neanche quello. Vuole dire qualcosa sul Premio Hitler? Il Premio Hitler è nato come una provocazione ma lo è fino a un certo punto. È stato Hitler, nel 1933, a firmare la prima legge che parlava dei cosiddetti diritti degli animali che non esistono. Il Reich vietava la sperimentazione animale in patria e poi sperimentava sugli ebrei nei lager. Ebbene anche oggi c’è chi propone di fare la sperimentazione sui carcerati. Pensare di salvare un topo sacrificando una persona perché è “cattiva”: capisce perché parlo di una perdita di umanità? Perché criticate anche il boom di accessori per animali? Non siamo contrari agli accessori in generale. Ci sono accessori che sono utilissimi alla gestione dell’animale. Gabbie, trasportine, ciottole e guinzagli servono. Il cappottino coi diamanti un po’ meno. Ci siamo capiti? Noi abbiamo fatto degli esposti contro quelli che volevano dare le crocchette vegane ai cani. Siamo contrari a tutto quello che snatura l’animale: è una forma di maltrattamento. Che fa del male all’animale e fa del male a noi, perché aumenta il nostro distacco dalla realtà. Per questo avete messo il Papa sulla copertina del vostro ultimo bollettino? Il Papa è stato meraviglioso quando ha detto in piazza San Pietro che non si può avere compassione verso i cani e i gatti e ignorare il vicino che ha bisogno. Tante «Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. È dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l’uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi. Le sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali sono pratiche moralmente accettabili, se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o salvare vite umane. È contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita. È pure indegno dell’uomo spendere per gli animali somme che andrebbero destinate, prioritariamente, a sollevare la miseria degli uomini. Si possono amare gli animali; ma non si devono far oggetto di quell’affetto che è dovuto soltanto alle persone». Chi sono gli intellettuali di riferimento di Federfauna? Deve parlare con Massimo Zaratin. È lui il filosofo, io sono un povero contadino. E i vostri peggiori nemici? No guardi, noi non abbiamo nemici. Nemica è l’ideologia. Secondo lei gli animali hanno un’anima? Domanda complicata, credo che una risposta definitiva non esista. Se per anima intendiamo quel “soffio di vita” di cui parlava Giovanni Paolo II, rispondo di sì. Se parliamo di anima con le alucce e le nuvolette, probabilmente no. Però io gliel’ho detto che faccio il contadino e non il filosofo. Non teme di passare per quello cattivo? Perché mai? Io amo tantissimo i miei animali. Ma veramente. La parte più bella del mio lavoro sono le nascite, la nuova vita. È una cosa che ti riempie il cuore di gioia. Poi però quando è il momento gli animali li macello, li mangio, mi ci vesto, faccio tutte le cose che sono normali. La natura non è né buona né cattiva. È la natura, punto. E in natura qualunque essere vivente vive a spese di altri esseri viventi. Negarlo è negare la realtà. n | | 15 giugno 2016 | 23 VOSTRO ONORE MI OPPONGO CONSEQUENTIA RERUM I 5 STELLE CONOSCIUTI DA VICINO CAMBIAMENTO O CONTINUITÀ? Cari romani, farete la fine dei parmigiani Solo tagli sui servizi e report sugli scontrini Cosa si aspetta il governo da Greco, nuovo capo della procura più spinosa | | DI PIER GIACOMO GHIRARDINI | 15 giugno 2016 | | C Foto: Ansa O ra, perdonatemi, ma vivo a parma. Vorrei provare a raccontarvi la storia del Movimento 5 Stelle a Parma, sine ira et studio. Ma penso sia inutile. Virginia Raggi, nella migliore delle ipotesi, sarà il curatore fallimentare del Comune di Roma: i romani che la eleggeranno a sindaco non si troveranno in una situazione molto differente da quella in cui si sono trovati i parmigiani quando hanno eletto Federico Pizzarotti, se non che la Raggi appare più scolarizzata e disinvoltamente tecno-nichilista. Quasi una sorella bruna della Boschi. Il Movimento 5 Stelle abita ormai il vuoto sistematico di offerta politica nell’area della sinistra e preda opportunisticamente il consenso dei ceti medi abbandonati in pasto alla globalizzazione dal centrodestra. Ma il Movimento 5 Stelle non è di sinistra, come non lo è, ovviamente, il Pd di Renzi. Lo impareranno presto i romani “de sinistra” che voteranno la Raggi, sperando che torni a scorrere latte e miele dalle fontane del welfare. Ma sbagliano doppiamente. Primo, scordatevi il Beppe Grillo che ha scritto il pamphlet contro la schiavitù dei precari con la prefazione di Stiglitz. I grillini, visti da vicino, si indispettiscono quanto Renzi a parlare di disoccupazione e povertà, e hanno in bocca solo imprese e innovazione: non si capisce chi fa il verso a chi. Vedrete. Solo modernità, altro che pizza e fichi. E non gli si può parlare se non CREDETE DI POTER via cavo. Paura dei microbi. Secondo, in questa nuova Italia neocentralista e senza sovranità nazioPARTECIPARE ALLA nale, non c’è più un becco di un quattrino per le amministrazioni locali, e DEMOCRAZIA? QUI i sindaci, già in condizioni normali, rischiano di ridursi a fare i commissari HANNO ALLONTANATO ad acta, dal primo giorno del loro insediamento fino alla fine del mandato. QUALSIASI PERSONA Quindi, cari romani, il massimo che otterrete saranno report periodici sugli ABBIA TENTATO scontrini di assessori e consiglieri, ma quando ci sarà da tagliare sugli asili nido, aspettatevi un Monti, più Monti di Monti. A Parma è stato così. Conti un DI AVVICINARLI. po’ più in ordine, se va bene, ma rigorosamente «niente da cena». CERTO, AVRETE UNA Ma, direte voi, avremo la democrazia diretta. Parteciperemo. Vorrei poterAMMINISTRAZIONE vi raccontare del ringhiante giacobinismo con cui i pentastellati parmigiani TRASPARENTE. COSì hanno tenuto alla larga chi voleva aiutarli, arrivando a mettere alla berlina telematica chi rispondeva ai loro bandi. Vorrei potervi documentare l’olimTRASPARENTE CHE pica indifferenza nei confronti di autorità civili e religiose che li sollecitavaMANCO RIUSCIRETE no per problemi sociali come quello degli sfratti. Oh, certo. Avrete un’amA VEDERLA ministrazione trasparente. Così trasparente che manco riuscirete a vederla. 24 DI MAURIZIO TORTORELLA certo, il nuovo procuratore è sempre stahe Francesco Greco, procuratore aGGiunto a Milano e da sempre in corsa per il to molto legato a Bruti. E non soltanto per vertice dell’ufficio giudiziario, fosse uno dei candidati favoriti per diventare il contiguità di corrente (i due sono rispettisuccessore di Edmondo Bruti Liberati, era stato evidente da subito: da quando vamente esponenti di Area e di MagistraBruti si era messo in pensione, il 16 novembre 2015, aprendo ufficialmente la corsa tura democratica, entrambe di sinistra). alla sua poltrona. Che il 30 maggio scorso Greco avrebbe sicuramente ottenuto quelDa procuratore aggiunto e capo del pool la nomina dal Consiglio superiore della magistratura, invece, è stato evidente dalle reati finanziari, Greco ha preso parte mol15 di quel giorno, un’ora prima che iniziasse la riunione del plenum del Csm: quanto attiva nella “guerra” che nel 2014-15 ha do Giovanni Melillo, capo di gabinetto del ministro della Giustizia e uno degli altri trasformato in trincea i corridoi al quardue concorrenti residui, ha annunciato la revoca della candidatura. to piano del tribunale: con un’audizione Sostengono i maligni che il via libera a Greco, in realtà, sia arrivato dal ministro al Csm si era rivelato come uno degli avAndrea Orlando, e che sia stato il guardasigilli a chiedere a Melillo di fare un pasversari più tignosi di Alfredo Robledo, l’ex so indietro. Melillo, va detto esplicitamente, respinge la tesi con forza: «Una falsità», procuratore aggiunto che dice, «nessuno mi ha chiesto nulla». E alin quel periodo accusava lora perché si è ritirato? «Quando uno caNEL 2015 È STATA SANCITA L’INEDITA pisce che sta per andare a uno scontro ca“MORATORIA” NELLE INDAGINI SULL’ExPO. di parzialità e abusi vari Bruti Liberati (e poi è stapace di spezzare in due il Csm», risponde RENZI hA PUBBLICAMENTE RINGRAZIATO to censurato e trasferito Melillo, «si ritira, quantomeno per rispetBRUTI PER qUESTO. IL SUCCESSORE AVRÀ per incompatibilità amto delle istituzioni». bientale a Torino). In quel Il duello tra i due candidati apparenUGUALE «SENSIBILITÀ ISTITUZIONALE»? periodo travagliato, Gretemente più forti stava comunque favorendo l’ascesa del classico terzo litigante: nella gestione della procura più importan- co aveva anche ispirato e firmato il “maAlberto Nobili, già procuratore aggiunto te e delicata d’Italia. Nobili non avrebbe nifesto” dei 62 pubblici ministeri milanemilanese, considerato un “conservatore”. mai fatto, per esempio, quel che nel mag- si favorevoli a Bruti. Una gioventù da extraparlamentaNon nel senso politico del termine, o pergio 2015 era stato stabilito sotto Bruti: una ché aderente alla corrente di Magistratura “moratoria” nelle indagini sull’Expo 2015. re di sinistra, una maturità spesa dietro indipendente, bensì in senso tecnico: NoIniziativa per la quale Renzi lo scorso ago- a tutte le più importanti inchieste finanbili infatti passa per “rigorista”, e la rigisto ha pubblicamente ringraziato Bruti ziarie d’Italia, stando ai giornali Greco è dità (si sa) non piace all’attuale vertice del con queste parole: «L’Expo si è fatto grazie sempre stato in corsa per qualche nomina Pd, né al premier Matteo Renzi che è l’ina un lavoro istituzionale eccezionale, gra- e pronto a dialogare con la politica. L’ulventore del Partito della nazione, la cui cizie al prefetto e alla procura di Milano che tima gara l’aveva ingaggiata (e persa) nel fra è lo sprint verbale e l’elasticità. ringrazio per aver gestito la vicenda con 2014, per sostituire Attilio Befera al vertice dell’Agenzia delle entrate. Del resto, Non che Greco possa essere considesensibilità istituzionale». rato assai “flessibile”, professionalmente. Ecco, ora il governo dalla procura di Greco dal febbraio di quello stesso anno è Ma Nobili impensieriva molto di più il goMilano si aspetta probabilmente un’ugua- stato consulente del governo sul “dossier verno in quanto di certo meno propenso le «sensibilità istituzionale». Si vedrà se Svizzera” per il rimpatrio dei capitali. al dialogo e meno garante di continuità Greco garantirà l’auspicata continuità. Di Twitter @mautortorella | | 15 giugno 2016 | 25 CULTURA IL LIBRO DI PHILIP JENKINS Lezioni di sopravvivenza per dhimmi «Si possono deplorare i legami fra stati e chiese, ma senza tali alleanze oggi non ci sarebbero più cristiani in grado di lamentarsi». Il dramma dei nostri fratelli d’Oriente secondo uno storico al di sopra di ogni sospetto | DI RODOLFO CASADEI CULTURA IL LIBRO DI PHILIP JENKINS Q uest’estate non dimenticate di leggere La storia perduta del cristianesimo di Philip Jenkins. Scoprirete una quantità di fatti storici sorprendenti intorno al cristianesimo dell’Oriente, dagli splendori delle origini al crepuscolo dei giorni nostri passando attraverso terribili persecuzioni di cui quella dell’Isis è solo l’ultimo atto. E avrete abbondante materiale per fare comparazioni con la situazione odierna del cristianesimo e le sue prospettive. A partire da scomode verità storiche, come quella che le religioni si radicano e si espandono solo se il potere politico le sostiene, e viceversa prima o poi scompaiono se il potere si identifica con una religione diversa. O come quella che le conversioni da una religione a un’altra sono avvenute non a motivo delle virtù misericordiose degli evangelizzatori, ma a causa di miracoli o per opportunismo. O come quella che i musulmani non sono stati affatto i più intolleranti credenti e governanti della storia, ma semplicemente hanno fatto quello che tutti i credenti, quando hanno il potere, fanno; pian pianino, un po’ con le buone e un po’ con le cattive, si sono presi tutto quello che apparteneva alla religione sottomessa: i suoi fedeli, i suoi templi, la sua eredità. Il bello è che nessuno può attaccare Jenkins, accademico della Baylor University (Texas), con insinuazioni ideologiche: è un ex cattolico, scrive su The Christian Century, rivista di protestanti liberal, è antiputiniano, è un fautore della teologia pluralista, quella cioè che pensa che le religioni sono allo stesso tempo tutte vere e tutte false, che è un peccato quando scompare una religione, non importa quale, perché il mondo spirituale diventa più povero. Non ha pregiudizi sull’islam e sui musulmani, le cui sacre scritture lui dice contengono meno appelli alla violenza sacra di quanti ne contenga l’Antico Testamento. Auspica che i cristiani possano «un giorno accettare che l’islam svolga un ruolo positivo, e che la sua crescita nella storia rappresenti un’altra forma di rivelazione divina che integra, ma non sostituisce, il messaggio cristiano». Ma Jenkins è anche uno studioso rigoroso, onesto e schietto, e non nasconde mai i fatti storici che potrebbero imbarazzare liberal e cristiani modernisti. Prima 28 | 15 giugno 2016 | | però cominciamo coi “forse non tutti sanno che…”. La maggioranza degli europei crede che, col trionfo politico-militare dell’islam nel Vicino Oriente e Nordafrica nella seconda metà del VII secolo, il cristianesimo sia collassato in Asia e in Africa e sia diventato una cosa prettamente europea. Sbagliato: all’indomani dell’anno Mille, quando i califfi regnavano già da tre secoli, un terzo di tutti i cristiani del mondo viveva in Asia e un altro dieci per cento in Africa (Egitto, Nubia ed Etiopia). In Europa vivevano 30 milioni di cristiani, in Oriente fra i 17 e i 20 milioni, in Africa 5. Centinaia di diocesi con vescovi, metropoliti e patriarchi si stendevano lungo 3.500 chilometri fra Alessandria e Samarcanda. Molti credono che l’evangelizzazione IL SAGGIO LA STORIA PERDUTA DEL CRISTIANESIMO Autore Ph. Jenkins Editore Emi Pagine 352 Prezzo 22 euro si Ripete che «il sangue dei maRtiRi è il seme dei cRistiani». Jenkins cinicamente nota che nelle teRRe di teRtulliano i cRistiani sono scompaRsi in meno di due secoli dell’Estremo Oriente sia stata tentata da gesuiti, francescani e saveriani fra il XIII e il XVI secolo. Errore: fra il VI e il XIII secolo nestoriani e giacobiti (cristiani monofisiti mesopotamici e siriani) hanno inviato missioni, tradotto il Vangelo nella lingua locale e creato diocesi in Persia, Afghanistan, India, Cina, Tibet, Uzbekistan, Turkmenistan e altrove. Le radici “nazarene” dell’islam Gli europei cristiani ferventi ripetono stentorei, con le parole di Tertulliano, «il sangue dei martiri è il seme dei cristiani». Jenkins fa cinicamente notare che nelle terre dove visse Tertulliano, a cavallo fra le attuali Tunisia e Algeria, i cristiani sono scomparsi completamente in meno di due secoli: «Nel VI secolo, circa 500 vescovi operavano in quella regione; nell’VIII secolo, non ce n’era neanche uno». Gli europei progressisti si piccano di contrapporre la tolleranza islamica nella Spagna dominata dagli arabi all’intolleranza dei regni cristiani successivi che deportarono musulmani ed ebrei. Jenkins ridimensiona gli ardori politicamente corretti: «Quando la Reconquista cominciò sul serio, le autorità musulmane avviarono deportazioni di massa di cristiani ed ebrei. Anche se in seguito la Spagna divenne famosa per l’espulsione delle minoranze religiose, il suo regime non fece nulla di diverso da quello che i suoi predecessori moreschi avevano fatto secoli prima». Altra grande sorpresa del libro è la descrizione dell’islam come nuova religione imitazione del cristianesimo. Alcuni dei tratti più caratteristici dell’islam sarebbero in realtà elementi importati dal cristianesimo orientale: «La forma delle moschee deriva da quella delle chiese cristiane orientali nei primi tempi dell’islam. Allo stesso modo, la maggior parte delle pratiche religiose dei musulmani all’interno delle moschee deriva dall’esempio dei cristiani d’Oriente, comprese le prostrazioni, che sembrano così strane agli occidentali moderni. Il rigore del Ramadan si basava originariamente sulla pratica orientale della Quaresima. Il Corano presenta spesso analogie sorprendenti con gli scritti, i testi devozionali e gli inni cristiani orientali, e alcuni studiosi hanno sostenuto addirittura che la maggior parte del testo tragga origine da lezionari siriaci, o collezioni di letture per uso ecclesiastico. (…) Dopo la morte, gli adepti sufi continuano ad attirare devoti alle loro tombe, in modo che i venerati sceic- chi svolgono per i musulmani esattamente lo stesso ruolo che i santi cristiani svolgevano nell’epoca precedente». Il cuore del libro è la drammatica vicenda delle Chiese orientali, non meno ricche di spiritualità, vita monastica e spirito missionario di quelle cattoliche e ortodosse, anzi in molti casi superiori. Sfortuna però ha voluto che non riuscissero a convertire se non temporaneamente re e governanti dei popoli che cercavano di evangelizzare, che si siano imbattute in antiche e nuove religioni molto organizzate (buddhismo e islam), che si siano ritrovate in balìa di sovrani e maggioranze di popolazione di religione diversa. Fine di una presenza pubblica Schematicamente: all’inizio i musulmani non impongono conversioni forzate, ma presto iniziano le discriminazioni e pressioni sociali per spingere i cristiani alla conversione; vengono trattati come dhimmi secondo il Corano: devono pagare una tassa e subire pubblica umiliazione in cambio della protezione da parte dello Stato musulmano. Si lasciano costruire nuove chiese, anche se la dhimmitudine non lo permetterebbe, ma si verificano sommosse popolari dei musulmani contro i cristiani che le autorità reprimono a fatica. I musulmani ci mettono due-tre secoli a diventare maggioranza nelle terre conquistate. Attorno al 1300 le cose per i cristiani precipitano: nel 1258 i mongoli invadono Mesopotamia, Siria e Asia minore e uccidono milioni di persone. Le Crociate dei due secoli precedenti al confronto sono punture di vespa. Alcuni loro capi sono cristiani, e per un breve momento i cristiani locali sognano un ribaltamento del rapporto coi musulmani. Il sogno dura poco perché la maggior parte dei mongoli si fa musulmana e incomincia a perseguitare furiosamente i cristiani. I mongoli non arrivano in Egitto, ma i mamelucchi scatenano la persecuzione contro i cristiani temendo che si schiereranno con gli invasori. Distruggono pure i regni cristiani di Armenia e Georgia. Per il profilo pubblico del cristianesimo è la fine: «I dhimmi furono licenziati da qualsiasi incarico pubblico e costretti a indossare indumenti particolari per distinguersi: turbanti blu per i cristiani, gialli per gli ebrei. Gli effetti di tale crisi perdurano fino ai giorni nostri, perché il rigoro- Jenkins non simpatizza per l’alleanza fra trono e altare, ma non ha dubbi: se gli arabi avessero occupato l’europa, i cristiani avrebbero avuto davanti «un triste futuro» so legalismo islamico che emerse intorno al 1300 ha plasmato gran parte dei moderni movimenti fondamentalisti. Dagli anni Novanta del XIII secolo i giuristi musulmani produssero interpretazioni sempre più dure delle leggi che governano le minoranze. (…) Intorno alla metà del secolo gli scrittori musulmani disponevano di un intero catalogo di accuse contro i cristiani, che assomigliava moltissimo ai vergognosi pamphlet antiebraici del primo Novecento come i Protocolli dei Savi di Sion». Sotto l’Impero ottomano i cristiani d’Oriente si assestano, ma con l’avvento del XX secolo le cose precipitano di nuovo, per ragioni simili ai fatti del 1300: sospettando che i cristiani diventeranno le quinte colonne delle potenze europee, i turchi organizzano lo sterminio degli armeni e degli assiri, e la cacciata dei greci dall’Anatolia. In un secolo i cristiani scendono dall’11 al 3 per cento del totale della popolazione del Medio Oriente. E si arriva ai giorni nostri. Alla fine di tutta questa storia Jenkins, che pure non è per nulla un simpatizzante dell’alleanza fra trono e altare, spiega chiaramente che a fare la differenza fra il destino delle Chiese d’Occidente e quello delle Chiese d’Oriente sono state le vicende militari e politiche. «I cristiani possono deplorare la persistenza di legami fra gli stati e le chiese, ma senza tali alleanze oggi forse non ci sarebbero più cristiani in grado di lamentarsi. Se non ci fossero stati quei legami, il cristianesimo forse non sarebbe niente di più che una nota a piè di pagina nei manuali di storia islamici o cinesi, come il manicheismo». «Nel corso del tempo, il fatto che una data religione detenesse il potere in uno stato le garantiva maggiori probabilità di essere sempre più maggioritaria. Così la posizione dominante diventava sempre più dominante». È quello che i musulmani hanno fatto in Oriente, mentre i cristiani lo facevano in Europa: «A prescindere dal tema della violenza e della costrizione, i regimi musulmani attraverso i secoli sono riusciti benissimo a creare società e culture che esercitavano una pressione schiacciante verso il conformismo religioso, stabilendo la fede di Muhammad come religione naturalmente priva di alternative, tale da permeare tutta la cultura. La piena appartenenza alla società era possibile solo ai musulmani, mentre tutti gli altri sostenevano oneri di varia intensità». Se gli arabi fossero riusciti a occupare l’Europa, Jenkins non ha dubbi: «Con ogni probabilità il cristianesimo avrebbe dovuto affrontare un triste futuro». La conversione del re I copti, però, dimostrano che si può resistere per tredici secoli in ambiente ostile, anche se il prezzo è scendere dal 100 al 10 per cento della popolazione. Non per merito delle qualità morali e della bellezza della vita cristiana di cui si dà testimonianza: spiega Jenkins che le conversioni al cristianesimo nell’antichità nascevano da miracoli e guarigioni di re da parte di monaci. Un re attribuiva un fatto miracoloso al cristianesimo, si convertiva e sulla sua scia tutto il popolo si faceva battezzare. Fra i cristiani generici sorgevano nel tempo esperienze individuali o monastiche di profonda fede e santità, ma queste erano esposte alla estinzione come la fede superficiale delle masse: vedi l’Africa di Agostino e Tertulliano. Perché l’Egitto cristiano ha resistito mentre lo splendido cristianesimo africano si è estinto? Perché il secondo era fatto solo di coloni romani urbanizzati che sono fuggiti all’arrivo degli invasori, mentre il primo aveva tradotto in lingua locale libri sacri e liturgia e aveva evangelizzato anche le campagne: «Le Chiese hanno successo quando raccolgono fedeli da tutti i settori della società e rendono la loro religione parte della normale vita vissuta di una vasta gamma di comunità. Se un individuo può accettare, sotto costrizione, di cambiare un’etichetta religiosa un po’ consunta, è molto improbabile che tale mutamento si verifichi quando la fedeltà religiosa è intimamente legata alle tradizioni e alla visione del mondo della comunità più ampia». n | | 15 giugno 2016 | 29 CULTURA UN CASO DIMENTICATO | DI Marco Bona castellottI Don Camillo e Pier Paolo Pasolini e Guareschi, due autori divisi su tutto ma uniti da un film del 1963. Ecco come e perché fallì l’esperimento de “La rabbia”, un documentario pensato “per il popolo” che degenerò subito in rissa davanti al popolo. E sparì dalla circolazione L a rabbia, film del 1963, ricompare raramente e a scadenze distanziate nell’arco di oltre mezzo secolo. Più che di un vero e proprio film si tratta di un documentario in bianco e nero, 100 minuti di durata, ripartito quasi equamente in un primo lotto di immagini selezionate e assemblate da Pier Paolo Pasolini, e in un secondo da Giovannino Guareschi, che erano stati arruolati dal produttore e giornalista Gastone Ferranti, al fine di accendere un dibattito ideologico che si consumò, sul nascere, soltanto fra i due autori. Nello spezzone pasoliniano compaiono alcuni inserti a colori che illustrano quadri di Renato Guttuso, come la Crocefissione del 1941-42, che venne colpita da censure non solo clericali. Il compianto Renato Guttuso insieme a Giorgio Bassani sono le voci fuori campo che commentano la carrellata pasoliniana, mentre Guareschi affida tale compito a un paio di lettori, Carlo Romano e Gigi Artuso, uno dei quali dotato di un pungente accento emiliano-romagnolo, consono alla narrazione di fatti di cronaca rosa più che di tragedie. 30 | 15 giugno 2016 | | Uno dei temi iniziali enunciato da Guareschi, e immediatamente sopito, è l’accusa indignata e sostanzialmente ridanciana della divulgazione pubblica del sesso nell’Italia degli anni Sessanta, testimoniata da un fotogramma della Dolce vita e da un un proto esempio di “terzo sesso”, precursore ma non profetico: due travestiti o forse transessuali (ricostruiti benissimo) vennero allontanati dalla questura romana perché «irregolari» e rispediti in Francia, «due belle ragazze» che erano «in realtà due gagliardi giovanotti». Altre immagini si soffermano su Lascia o raddoppia, i lager sovietici, i funerali di re Giorgio VI, il massacro dei bianchi in Congo, «la potentissima America che ha molte facce. Quale la vera?», l’invasione dell’Ungheria, la disintegrazione della famiglia, un ripugnante esperimento, compiuto in Russia, di inserzione della testa di un cane entro quella di un consimile quadrupede amico dell’uomo. I temi del troncone pasoliniano (primo in ordine di esposizione) si concentrano su eventi della storia del Dopoguerra: dalle esequie di De Gasperi | | 15 giugno 2016 | 31 cultura un caso dimenticato Pasolini in La rabbia ha il merito di ricostruire come il ritratto erotico-materno di Marilyn Monroe, pieno di ingenua dolcezza, fu una riuscitissima invenzione dell’industria hollywoodiana, frutto della metamorfosi pilotata di una ragazzotta di Los Angeles all’immersione del Cristo degli abissi a San Fruttuoso, dalla guerra di Corea alla rivoluzione ungherese, da Gandhi alla rivoluzione cubana, salutata con fervida simpatia, dall’incoronazione di Elisabetta II all’elezione di Giovanni XXIII, dalla guerra d’indipendenza algerina a Sophia Loren, ripresa nel 1953 in Polesine, dov’era convenuta per girare un film di Mario Soldati, La donna del fiume, che osserva, piena di interesse, un groviglio di anguille che le guizzano davanti. Gli episodi sono accomunati fra loro dalla volontà di dare una risposta alla domanda esistenziale «perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza e dall’angoscia, dalla paura della guerra e dalla guerra?», domanda cui, in realtà, non è palese come gli autori rispondano. È la medesima domanda ad avviare il motore di Guareschi, ma essendo la sua carrellata impostata su argomenti diversi da quelli dello scrittore di Casarsa, i documentari risultano troppo nettamente separati, sì che il film è diviso in due blocchi pressoché non comunicanti fra loro. GUareschI rIbatté: «LeI mI accUsa dI razzIsmo, qUesto perché LeI è Un borGhese dI sInIstra e come taLe conformIsta. Le dIttatUre non toLLerano L’UmorIsmo» Inizialmente era stato interpellato Pasolini, che aveva ricevuto da Ferranti «il materiale di repertorio e i residuati di un cinegiornale Mondo Nuovo». È Pasolini ad asserirlo nel corso di un’intervista a Paese sera, di cui troviamo notizia nell’eccellente scheda critica de La rabbia pubblicata nei Meridiani Mondadori (2001) a cura di Walter Siti e Franco Zabagli. Pasolini asserisce: «Attratto da queste immagini [di Mondo Nuovo] ho pensato di farne un film a patto di commentarlo con dei versi». Così fu. Il commento di Pasolini è poetico, mentre quello di Guareschi, convocato in un secondo tempo, prosastico. Entrambi condividono, pur nell’assoluta difformità stilistica e ideologica, uno stile retorico, tipicamente italiota. Marilyn e “Gli spostati” Prosegue Pasolini: «La mia ambizione è stata quella di inventare un nuovo genere cinematografico. Fare un saggio ideologico e poetico con delle sequenze nuove. E mi sembra di esserci riuscito soprattut32 | 15 giugno 2016 | | to nell’episodio di Marilyn» (Monroe). Alla morte dell’attrice di Hollywood, accaduta nel 1962, è infatti dedicato un ampio capitolo del documentario che ha il merito di rendere edotto il pubblico – purché sappia aguzzare lo sguardo e abbia ancora sentore o quanto meno il ronzio del nome di Marilyn Monroe nelle orecchie –, che il suo ritratto erotico-materno, pieno di ingenua dolcezza, fu una riuscitissima invenzione dell’industria cinematografica americana, la quale, rimodellando una simpatica ma non particolarmente attraente ragazzotta di Los Angeles, ne tirò fuori l’emblema vivente di una donna molto affascinante, fascino che albergava nella perfetta armonizzazione delle componenti dell’eros, del candore e della tenerezza dei sentimenti. La Monroe che tutti conoscono è quindi il frutto di una metamorfosi pilotata, che però racchiude tracce di una verità umana presente ab origine e che possiamo riscontrare in parecchi dei suoi film, non soltanto in A qualcuno piace caldo di Billy Wilder, che è il più famoso e giustamente osannato dalla critica, quanto in Fermata d’autobus, dove Marilyn sfodera quella ingenuità, e soprattutto nell’ultimo, al cui riguardo la critica invece non fu tenerissima, Gli spostati del 1961, poco anteriore alla tragica morte della diva: regia di John Huston, sceneggiatura di Arthur Miller, che di lei era stato marito, con Clark Gable e Montgomery Clift, un insieme di nomi da far impallidire il cinema contemporaneo italiano. Negli Spostati la Monroe svela la sua malinconia, quasi un presentimento, che si acconcia al personaggio, e che si imprime nella memoria come un simbolo. Un film molto bello, pieno della tristezza dell’umano tramonto, che, in lei, di lì a poco si sarebbe manifestato nei modi tragici che più o meno sono noti. A rileggerlo oggi, il carme di Pasolini ridonda di retorica, specie del paragone con le «mendicanti di colore, le zingare, le figlie dei commercianti». Ma udite cosa scrive Pasolini a proposito del Papa buono, Giovanni XXIII, di cui nutriva somma stima. È lo stralcio testuale di un discorso più lungo. «Uguale al padre furbo e al nonno bevitore di vinelli pregiati, figura umana sconosciuta ai sottoproletari della Terra, ma anch’esso coltivatore di Terra, il nuovo Papa nel suo dolce, misterioso sorriso di tartaruga, pare di aver capito di dover essere il Pastore dei Miserabili; pescatori di pescecani, pastori di jene, cacciatori di avvoltoi, dei seminatori di ortiche, perché è loro il Mondo Antico, e son essi che lo trascineranno avanti nei secoli, con la storia della nostra grandezza». uno strano ritratto del Papa buono P.P.P. volle ricordare Marilyn con una poesia che commenta le sequenze fotografiche. La trascrivo integralmente. «Sparì, come una colombella d’oro./ Il mondo te l’ha insegnata. Così la tua bellezza divenne sua./ Dello stupido mondo antico e del feroce mondo futuro era rimasta una Foto: ansa Ansa Quando P.P.P. vide la Parte di Guareschi tentò di farsi indietro: «non voGlio renderMi coMPlice»; «non è solo QualunQuista, conservatore o reazionario. è PeGGio…» bellezza che non si vergognava/ di alludere ai piccoli seni di sorellina, al piccolo ventre così facilmente nudo./ E per questo era bellezza, la stessa che hanno le dolci mendicanti di colore, le zingare, le figlie dei commercianti vincitrici ai concorsi a Miami o a Roma./ Il mondo te l’ha insegnata, e così la tua bellezza non fu più bellezza./ Ma tu continuavi ad essere bambina, sciocca come l’antichità, crudele come il futuro…/ e fra te e la tua bellezza posseduta dal potere si mise tutta la stupidità e la crudeltà del presente…/ Sparì come una bianca ombra d’oro». Un fiasco colossale Pari dose di retorica ideologica, mutatis mutandis, la ritroviamo, sul fronte opposto, in taluni commenti di Guareschi alle immagini. Qualcuno però potrebbe argomentare che Giovannino è più sim- patico di Pier Paolo. È vero; ci vuol poco. Le ultime parole del film di Guareschi sono intrise di positività: «In noi è ancora più forte la speranza che la paura. Grazie a Dio». Mettere a confronto il senso tragico e il cattolicesimo pauperista e sottoproletario di Pasolini con quello ultimamente gaio e monarchico di Guareschi avrebbe inevitabilmente suscitato il battibecco che il produttore Ferranti auspicava, ma che fu sin troppo aspro. Risultato: un colossale fiasco. Il film rimase nei circuiti pochi giorni, indi scomparve, come del resto il Ferranti, che non si oppose a toglierlo di torno per paura di essere incolpato di aver avvallato l’apologia del colonialismo guareschiana. Riapparve in un numero limitatissimo di circostanze, forse cinque o sei volte in cinquant’anni, e talvolta dimezzato, vale a dire privato del capitolo di Guareschi per ragioni di opportunità o di opportunismo ideologico, e in un caso (a Trieste?) di quello di mano di Pasolini. Nel 2007-2008 la pellicola originale venne mirabilmente restaurata a cura della Cineteca di Bologna e oggi circola completa. Nel 2007 fu riproposta alla Festa del Cinema di Roma, affiancata da un dibattito con Massimo D’Alema, Giuliano Ferrara, Lamberto Dini e Tatti Sanguineti che ne curò la pubblicazione in dvd, corredata da un interessante apparato di notizie storico-critiche. Recentemente è riapparso al Meeting di Rimini all’interno di una mostra su Guareschi. Pier Paolo e Giovannino erano troppo lontani perché da loro sortisse un prodotto unitario quanto meno nella forma. Quando P.P.P. vide la parte affidata a Guareschi tentò di farsi indietro: «Non voglio rendermi complice di una cosa così orrenda»; «non è un film solo qualunquista, o conservatore o reazionario. È peggio…». Da par suo Guareschi ribatté: «Lei mi accusa di razzismo, questo perché Lei è un borghese di sinistra e come tale conformista. Le dittature non tollerano l’umorismo, di cui hanno paura, e sulla soglia del tetro e sconfinato impero comunista, la Storia ha scritto col sangue dei milioni di assassinati “qui è proibito ridere”». Di rimando Pasolini gli rispose: «Come ogni umorista che si rispetti – e io voglio rispettarla – lei è un reazionario. Perciò so bene quale sarà la sua rabbia, la sua rabbia reazionaria, sarà la rabbia di chi vede il mondo cambiare, cioè sfuggirgli, perché i reazionari sono degli ammalati, degli spiriti senza piedi». «E appunto perché Lei userà le armi della mediocrità, del qualunquismo, della demagogia, del buon senso, Lei risulterà vincitore in questa nostra polemica. Ma qual è la vera vittoria, quella che fa battere le mani o quella che fa battere i cuori?». Il senso dell’arte Nessuno uscì vincitore. Il film passò inosservato. Più tardi, entrambi furono giudicati “conservatori” e cattolici (D’Alema). Se riflettiamo, P.P.P. e Guareschi sono state due voci di una cultura sostanzialmente catto-populista, che nutre diuturna aspirazione di stratificarsi a vari livelli, da quello popolare, al ceto medio e più su, ma che fatica a spingersi oltre la dimensione di un sentimentalismo tragico o gaio che sia, che rischia di scivolare nel provincialismo retorico, amato dalle masse, sotto la spada di Damocle dello scrupolo che ogni opera che non possa dirsi realizzata “per il popolo” sia sostanzialmente falsa e bugiarda. Va comunque riconosciuto che né l’uno né l’altro furono dei borghesi, anche se con tale categoria sociale condivisero l’inconfessato amor retorico. n | | 15 giugno 2016 | 33 STILI DI VITA Crudità pugliesi irrinunciabili Julieta, di Pedro Almodóvar IN BOCCA ALL’ESPERTO di Tommaso Farina G ai pugliesi. Quando sentono parlare del sushi, anzi del finto sushi cinesizzato che costituisce il 90 per cento del sushi in Italia, inarcano il sopracciglio: ma come, noi mangiamo pesce crudo da secoli, devono insegnarcelo gli orientali? Il dibattito, nato sui blog di cucina e food, nel 2009 approdò addirittura a UnoMattina Estate, appassionando non poco la bella conduttrice Miriam Leone. A difendere le crudità nostrane, il pugliese Antonio Tomacelli. E pugliese, brindisino purosangue, di Ceglie Messapica, è anche Rocco Urso, che dal 1995 conduce a Milano un ristorante piacevolmente fuori dal coro: lo Charmant. Fuori dal coro perché sta in una zona residenziale tranquilla, dove non si deve imprecare per un parcheggio. Perché l’arredo è elegante e non concede nulla ai vezzi modaioli, anzi dispone di bellissimi e comodi divanetti. E soprattutto, perché qui vanno in scena le crudità pugliesi, senza cedimenti. Che ordiniate ostriche, tartufi, gamberi o altro, avrete la garanzia di un prodotto d’eccezione, ottimamente trattato. Il crudo, qui, è semplicemente irrinunciabile. Ma i crudi non sono la sola pietanza che merita di attirare voi gastrodevoti. Potreste cominciare, ad esempio, con la padellata di gamberi, carciofi e bottarga; con l’aragosta alla catalana; col ghiottissimo novellame alla pugliese, semplicemente scottato. Di primo, l’equilibrio dei tagliolini con calamaretti e zucchine, o con scampi, cappesante e bottarga; se siete in due, anche i risotti di pesce; per i single, linguine alle sarde e gnocchetti alle triglie. Di secondo, anzitutto pesci di grossa pezzatura, ossia di pesca: pescatrice, orata alla siciliana, branzino. Se no, fritto misto, padellata di crostacei all’aglio, olio e peperoncino, guazzetto alla mediterranea. La chiusura in dolcezza è affidata alla zuppa di more e alla terrina di cioccolato. La cantina non è affatto male, meriterebbe una carta meglio organizzata ma è servita alla perfezione. Prevedete una spesa di circa 60-65 euro, giusti per tanta grazia. uai a toccargli il pesce crudo, SANITà nuOVI InTerVenTI Oggi il reflusso si cura on demand Si stima che circa il 10 per cento degli italiani soffra di reflusso gastroesofageo, il malfunzionamento della valvola muscolare situata tra esofago e stomaco (cardias o sfintere esofageo inferiore), che normalmente regola il passaggio degli alimenti ed evita la risalita dei succhi gastrici. Il professor Luigi Bona| 15 giugno 2016 | Ritorno al miglior Almodóvar Una donna cerca di riallacciare il rapporto con la figlia che non vede da anni. Pedro in gran spolvero. Non è Tutto su mia madre o Parla con lei ma questo Ju- lieta è un po’ il ritorno al melodramma classico di Almodóvar e traccia una bella distanza dagli ultimi morbosi La Mala Educación, La pelle che abito e il debole Gli amanti passeggeri. Qui si torna ai primi e primissimi piani dei suoi film migliori. Con Julieta che riempie lo schermo ed è alle prese con la più classi- ca delle storie d’amore e di dolore. Almodóvar, quando non la butta sul malsano, è un maestro nel raccontare l’amore selvaggio e viscerale che ha la pretesa di non morire mai. Lo racconta qui con il suo solito stile fatto di colori accesissimi, interpretazioni sanguigne e simboli- smi più o meno facili e riesce a rendere veri e umani i suoi personaggi a caccia più che dell’amore e di un punto fermo nella vita, di una parola di perdono e di comprensione per la propria miseria. visti da simone Fortunato Diversamente allegre vacanze mAmmA OcA il regista pedro almodóvar di annalena Valenti R notizie e pareri sui compiti delle vacanze, mi sono resa conto che la vita dei bambini sta diventando sempre più dura, impegnata, napisanizzata e diversamente allegra. Senza arrivare (ancora) alla giornata del protagonista bambino dell’ultimo libro della Tamaro Salta Bart! che segue corsi di cinese, arpa celtica, flauto del Borneo, violino metodo Suzuki, pittura con le mani, ceramica Raki, acquerello, cartapesta, clownerie ed equilibrismo, i bambini, con la scuola, finiscono anche le lezioni di calcio, inglese, danza, arte, canto e tutto ciò che la creativa madre può permettersi di pagare per riempire loro la giornata. Tutte cose bellissime, direte voi; certo, tutte cose bellissime che riempiono ogni spazio di libertà e che col finire delle lezioni vengono rimpiazzate da corsi di equitazione, di arte-teatro-clownerie in inglese, di giardinaggio in inglese, per poi passare al villaggio vacanze, alla crociera o alla spiaggia attrezzata, sognati da mamma e papà dove la parola magica è club piccoli, gara di nuoto, di arrampicata, gara di pittura, di teatro, di trampoli, di trucco, corso di danza, animazione serale e i compiti delle vacanze a coronare una giornata che rimane del tutto impegnata senza lasciare spazio alcuno a respiro libero, silenzio, e alla più temuta di tutti, la noia. Un all inclusive giornaliero e perenne per costruire il bambino perfetto. mammaoca.com HOME VIDEO Good Kill, di Andrew Niccol Un film di domande La routine di un maggiore dell’esercito, pilota in remoto di alcuni droni impegnati in guerra. Film insolito. È un film bellico con più psicologia che azione vera. E lo dirige Andrew Niccol, già sceneggiatore di The Truman Show e regista di Gattaca. È un film di domande: si può rimanere impassibili di fronte a un drone pilotato come se si fosse all’interno di un videogioco? Come tenere separate la vita privata da quella di combattente? Un po’ statico, ma interessante come documento della guerra dei nostri tempi. Per informazioni Charmant ristorantecharmant.com Via G. Colombo, 42 Milano Tel. 0270100136 Chiuso la domenica 34 bambini stRaimpegnati CINEMA ChArmAnT, mILAnO | vina, responsabile dell’unità di chirurgia generale dell’Irccs Policlinico San Donato, ha effettuato il primo impianto per via laparoscopica di un nuovo sistema di stimolazione dello sfintere esofageo inferiore in un paziente affetto da reflusso gastroesofageo. Si tratta di una nuova modalità chirurgica, distinta dalle consuete tecniche laparoscopiche mininvasive (plicatura dello stomaco o impianto di anello magnetico Linx), che prevede l’utilizzo di due elettrodi connessi a un piccolo generatore di impulsi, posizionato in una tasca sottocutanea dell’addome. Gli elettrodi, conducendo con una frequenza programmata impulsi a bassa energia, determinano la contrazione del muscolo, impedendo il reflusso proveniente dallo stomaco. La vera novità di questo device consiste nella sua modulabilità e reversibilità: lo specialista analizzando le sensazioni riportate dal paziente può modulare l’intensità di energia trasmessa al cardias, ma anche decidere di rimuovere il dispositivo non appena lo reputi opportuno. Questo tipo di intervento rappresenta un’alternativa sia alla terapia continuativa con farmaci inibitori della secrezione gastrica, sia agli interventi chirurgici più complessi, particolarmente indicata nei casi di malattia da reflusso in fase iniziale e non complicata. Per informazioni: www.grupposandonato.it Amici miei libRi/1 Santa maria Goretti raccontata da Picca Marietta ci conquista subito. I tratti semplici e vividi con cui Aurelio Picca racconta la storia di santa Maria Goretti in Capelli di Stoppia (ed. San Paolo, 12 euro), quella famiglia, quella situazione, e anche il fiore nero della tragedia, portano al presente. Non è il racconto di una Italia esotica, passata, favolistica: Maria aveva solo 12 anni quando morì pugnalata nel 1902 resistendo a un tentativo di stupro da parte di un “orco” del tempo, ma il suo martirio, la storia della sua adolescenza tradita in un battito di ciglia, raccontata attraverso la cronaca potente di Picca, parla all’uomo di oggi intrecciandosi alle vicende di una dodicenne contemporanea. Una fede formidabile, capace di resistere e scolpirsi nel tempo. Come quel pianto terribile che si levò il giorno dell’aggressione: «Il pianto di Teresa è l’annuncio della tragedia. È l’urlo che dichiara la nascita di una santa. Pri- agionando e ricercando ma ancora che Marietta muoia. Prima ancora che la Chiesa la faccia davvero Santa. È il pianto sconsolato della sorellina di Maria che, anzitempo, accende i cuori degli uomini perbene e non li farà mai più spegnere». Il libro fa parte della collana “Vite esagerate” diretta da Davide Rondoni per San Paolo. libRi/2 La virtù dimenticata Padre Livio Fanzaga pubblica per Piemme La grandezza dell’umiltà (180 pagine, 15 eu- ro), una riflessione dedicata alla caratteristica fondamentale di Gesù che tuttavia oggi non gode la fama di altre virtù eccellenti. Emarginata o surrogata in forme di modestia e pietà, è solo grazie all’umiltà che anche la carità, regina delle virtù, non compromette mai se stessa. «L’umile non fa fatica a riconoscersi peccatore», i santi, più avanzavano nella conversione, più si battevano il petto. «Tuttavia non fermavano lo sguardo sulle proprie miserie, ma lo elevavano sulla compassione divina, pronta a perdonare». Ed accendere uno sguardo vero sulla realtà. | | 15 giugno 2016 | 35 motorpedia WWW.red-LiVe.it WWW.RED-LIVE.IT LamonoVoLumEREnauLTaSETTEpoSTI CRESCEInDImEnSIonIEabITabILITà a CUra di La rivoluzione radicale della Grand Scenic C dUe rUote iN meNo KTM RC 390 La piccola sportiva di KTM vuole coniugare super leggerezza e un motore pimpante da 44 cavalli. La RC 390 nasce da una costola della 390 Duke ma si connota in modo maggiormente sportivo non solo per l’adozione della carenatura integrale, ma anche per piccole modifiche alla ciclistica che adotta ad esempio un cannotto più “chiuso” che migliora la maneggevolezza. Confermato il motore: il pimpante monocilindrico quattro tempi da 375 cc caratterizzato da soluzioni tecnologiche all’avanguardia è in grado di erogare ben 44 cavalli e consente alla RC 390 di essere guidata anche da possessori di patente A2. Le novità del 2016 sono l’arrivo dell’omologazione Euro 4 Stefano Cordara e dell’acceleratore Ride by Wire. 36 | 15 giugno 2016 | | Ilvanodicaricopuòcontare suunacapienzadi765litri concinquepersoneabordo ambia tutto, cambia in lungo: dopo la presentazione della (radicalmente) rinnovata Scénic, Renault completa la gamma delle proprie monovolume introducendo la variante a 7 posti e interasse maggiorato Grand Scénic. Analogamente alla sorella “corta”, Grand Scénic – più lunga di 24 centimetri – s’ispira esteticamente alla crossover Captur, finiture bicolore incluse. Il passo aumenta di 35 millimetri, la lunghezza complessiva di 75 e il vano di carico può contare su di una capienza di 765 litri con cinque persone a bordo contro i 702 litri del precedente modello. Sviluppata sulla base della piattaforma modulare CMF, punta sul comfort e, caso più unico che raro nel panorama delle monovolume, adotta di serie cerchi in lega da 20 pollici abbinati a pneumatici specifici nella misura 195/55. Una scelta dettata dalla volontà di ridurre al minimo, a detta della Casa, la resistenza al rotolamento. Radicalmente rivista la plancia, così come il quadro strumenti che integra l’head-up display, mentre alla possibilità di accogliere 7 persone si accompagnano il divanetto scorrevole in longitudine e la funzione One Touch Folding, di derivazione Espace: permette di ripiegare automaticamente ed elettricamente i sedili posteriori, ottenendo un vano di carico piatto. Soluzioni funzionali cui si aggiunge la possibilità di abbattere integralmente lo schienale del passeggero anteriore, così da caricare oggetti lunghi fino a 2,85 metri. L’abitacolo si completa con il moderno sistema d’infotainment R-Link 2 di derivazione Mégane, gestibile mediante display verticale a colori da 8,7 pollici. La vocazione rivoluzionaria delle DEbuTTaun InEDITopoWERTRaIn nuova Grand Scénic trova il proprio apice nel debutto di un’inedita vaIbRIDoagaSoLIo riante ibrida, forte dell’abbinamento Da110CaVaLLI. DoTazIonEDI del 1.5 dCi da 110 cavalli a un motoSICuREzzaCompLETa re elettrico alimentato con una batEInfoTaInmEnT teria a 48 Volt. Tale powertrain, forDIgRanDELIVELLo te di un cambio manuale a 6 marce, s’affianca alle tradizionali proposte a iniezione diretta di benzina, 1.2 turbo da 115 o 130 cavalli, e a gasolio, 1.5 td da 110 cavalli oppure 1.6 td mono turbo e biturbo (130 e160 cavalli). Alle trasmissioni manuali a 6 rapporti e a doppia frizione EDC (a 6 o 7 marce) si accompagna un’ulteriore novità: la disponibilità di 5 programmi di marcia che armonizzano l’erogazione del motore, la rapidità del cambio EDC (se presente) e la servoassistenza dello sterzo. La frenata automatica con riconoscimento dei pedoni rafforza la dotazione di sicurezza, forte dell’avviso di superamento involontario della corsia, dell’assistenza al mantenimento della carreggiata, del rilevatore di stanchezza del conducente, del cruise control adattivo, del riconoscimento della segnaletica stradale e dell’avviso d’ostacolo in corrispondenza dell’angolo di visuale cieco, della gestione automatica degli abbaglianti e della telecamera in retromarcia. SebastianoSalvetti | | 15 giugno 2016 | 37 LETTERE A TEMPI RISPONDE LUIGI AMICONE [email protected] L* teori* del gender non esist*, ma esiston* un sacc* di somar* che mi segnala l’uscita di «un nuovo numero di AG About Gender - Rivista internazionale di studi di genere». Per sua informazione, si tratta di una pubblicazione dell’Università di Genova che – copio e incollo dal sito – «si pone l’obiettivo di rappresentare un riferimento concreto per studios*, accademic* e non, impegnat* in percorsi di ricerca e riflessione sul genere». Ecco, già di per sé sarebbero facili le ironie su questo gradevole diluvio di asterischi, che secondo me sintetizza meglio di mille ragionamenti il reale contenuto di questo sforzo letterario e perfino accademico, ovvero il nulla applicato a tutto. Ma forse è anche peggio di così. E questo sospetto mi pare lecito perché l’email in questione incomincia così: «Gentile lettor*». Ora, rifletto io, tale formuletta vuole indicare con ogni evidenza l’inclusione tanto del potenziale “lettore” (al maschile) quanto della corrispondente “lettora” (al femminile). O magari della “lettoressa”, chennesò. Una eventuale “lettrice”, però, resterebbe purtroppo esclusa dal saluto, giacché solo un «Gentile lett*» avrebbe potuto garantirne la non discriminazione. Ma perché le scrivo tutte queste cazzate, caro Amicone? Non si preoccupi. Serve solo a ricordare a lei e ai suoi redattori sessisti che è giunta l’ora di rassegnarvi: la teoria del gender non esiste, e infatti finalmente si sta trascinando nella non esistenza anche l’italiano, questa nostra sopravvalutatissima linguaccia omofoba. Cordial* salut* PacoMinelli Ferrar* L*teori*delgendernonesist*,ma esiston*unsacc*disomar*. 2 Diversamente da Roberto Benigni che nel preannunciare il suo orientamento in ordine al voto sul referendum confermativo della riforma costituzionale distingue tra le ragioni del cuore e quelle della mente, per me cuore e mente vanno nella medesima direzione, nel senso che, pur essendo estremamente grato al lavoro dei padri costituenti che a mio avviso licenziarono una buona carta costituzionale, la ritengo legittimamente modificabile in 38 | 15 giugno 2016 | | GLIALIMENTIDELLOSPIRITO Il mese di giugno per imparare a vivere da “consanguinei” di Maria e di Gesù Caro Amicone, su uno degli ultimi numeri di Tempi ho visto la foto dell’esultanza di Vladimiro, Cirinnà, Concia per il “passaggio” della loro legge. Chissà perché spontaneamente mi si è associata la frase di una canzone di Dalla: «Sono morti anche se possono respirare». MauroMazzoldi via internet Suvvia,nonsiamocosìmacabri. CARTOLINA DAL PARADISO di PippoCorigliano I relazione ai cambiamenti intervenuti nel Paese in 70 anni di storia repubblicana. Ma se e quando la si modifica, ritengo che non si possa alterare il principio del bilanciamento dei poteri statuali, e poiché il testo proposto, letto anche in parallelo con la legge elettorale, prefigura un consistente sbilanciamento in favore dell’esecutivo, che acquisterebbe maggiori poteri e verrebbe sottoposto a controlli assai deboli rispetto agli attuali, per me dire no diventa un atto dovuto. DanieleBagnai Firenze Segnalo un interessante articolo sul “poliamore” uscito lunedì 30 maggio sul quotidiano Il gazzettino, intitolato “Monogamia addio: ecco il ‘quad’, dove la coppia raddoppia”. D’altronde se “l’amore è amore” (e ogni capriccio è un diritto), anche questa forma così moderna e all’avanguardia merita lo stesso riconoscimento della famiglia “naturale”… ops, volevo dire della famiglia “frutto dello stereotipo cristiano” imposto dalla Chiesa cattiva. Saluti e buona lettura. LucaPauletti via internet RoccoBenignivolevadire. SemprediRoccostiamoparlando. 2 2 Foto: Ansa M i è arrivata un’email l mese di giugno è in singolare sintonia con il tema del Giubileo della Misericordia anche perché le feste del Cuore di Gesù e di Maria ci riportano all’amore misericordioso di Dio. Sant’Agostino (De sancta virginitate, 6) dice che «Maria cooperò col suo amore alla nascita nella Chiesa dei fedeli, membra di quel Capo di cui ella è madre secondo il corpo». È un motivo in più per considerarci “consanguinei” di Gesù, come diceva san Josemaría Escrivá: «Figli miei sapete perché vi voglio così bene? Perché vedo scorrere in voi lo stesso sangue di Gesù». Questa “fisicità” del considerarci figli di Maria e fratelli di Gesù ci aiuta nell’identificazione con Cristo. Lo Spirito Santo è l’autore di questa identificazione. Quello stesso Spirito che ha inondato l’anima e il corpo di Maria per farci pervenire Gesù. «Lo Spirito come il vento, soffia dove vuole» (Gv 3,8) vien detto a Nicodemo: a me tocca non frapporre ostacoli e tenere le finestre del mio animo ben aperte a questa benefica corrente. La lettura quotidiana del Vangelo e di un libro spirituale, la frequente confessione e la santa comunione, l’orazione mentale e la recita del rosario, assieme alle altre pratiche sono le finestre spalancate, sono l’alimento del bambino che sono io che ha bisogno di pasti frequenti. Tanto più frequenti quanto più piccolo è il bambino. Nella mia corsa forsennata nell’impiegare inutilmente il tempo, queste pratiche sono il rimedio che non me lo fa sprecare e agevolano l’identificazione con Cristo. 2 A un anno dalla grande manifestazione a San Giovanni contro l’ideologia Gender nelle scuole, le famiglie sono profondamente preoccupate per il documento che il ministero dell’Istruzione sta elaborando sull’attuazione del comma 16 della riforma scolastica, che prevede l’inserimento nei Piani triennali dell’offerta formativa di corsi e attività fondate proprio sul concetto di genere. Siamo delusi per la poca considerazione rivolta ai nostri rilievi e le notizie che ci giungono sui lavori della commissione non ci rendono affatto sereni. Inoltre vogliamo dire con molta chiarezza che se dovessimo avere sentore di un testo non chiaro nel rigetto di qualsiasi sfumatura dell’ideologia gender saremmo pronti a un’azione di protesta sistematica davanti al ministero dell’Istruzione, che a partire dal giorno 25 giu- gno porremo in essere presentando un Manifesto insieme ai rappresentanti delle Associazioni in difesa della libertà educativa. Seguiranno altre azioni mirate durante tutto il prossimo anno scolastico. Premessa la necessità di legare, nel testo che sta elaborando il Miur, il concetto di genere a quello di sesso, onde evitare le derive ideologiche che hanno portato alla moltiplicazione scriteriata di infinite, presunte “identità di genere” e di richiamare alla circolare ministeriale del 15 settembre 2015 che afferma «tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo», il Comitato difendiamo i nostri figli considera anche necessario il chiarimento di tre punti fondamentali: 1) l’obbligo in capo alla scuola di richiedere il consenso informato preventivo alle famiglie in forma scritta a inizio anno, comprensivo dei dettagli di svolgimento di ogni attività progettata; 2) l’esonero di alunni e studenti dalle attività non condivise dalla famiglia con diniego di consenso informato; 3) la predisposizione di attività scolastiche contemporanee e alternative a quelle per cui la famiglia non abbia prestato consenso. Per sostenere queste richieste al ministero, il Cdnf ha redatto un apposito manifesto per l’adesione del maggior numero di enti e realtà associative che hanno a cuore l’educazione dei nostri figli e la libertà delle famiglie per sceglierne l’ispirazione generale di fondo. MassimoGandolfini 2 Non ho ancora capito se Tempi è per il sì o per il no al referendum su Renzi. PaoloScauri via internet Ineffettipersonalizzareilreferendumsullariformacostituzionale èunpo’comepoetareconBrecht, «dopodime/nientedegnodinota». | | 15 giugno 2016 | 39 LETTERE DALLA FINE DEL MONDO A cOsA cI sFIDA IL TITOLO DEL MEETINg Un gesto di carità concreto. Così ho imparato che “Tu sei un bene per me” | DI ALDO TRENTO M i chiamano dalla recepción della clinica perché una signora vuole darmi personalmente un contributo per le opere. Mi dice: «Padre, mentre l’aspettavo, sono rimasta colpita dal via vai della gente che viene a portare di tutto, da pacchi di pannoloni, a stock di medicine o che, come me, danno il loro contributo in soldi». Torno a casa, suona il campanello, apro la porta e una signora mi dice: «Sono di Luque (una città a 20 chilometri da Asunción) e insieme ad altre amiche abbiamo raccolto questo denaro per i suoi poveri». Non faccio in tempo a sedermi, che mi chiamano nuovamente dalla recepción: «Padre, c’è un gruppo di studenti della facoltà di diritto dell’università nazionale con un camion pieno di viveri». Mi raccontano che tutto è partito da uno striscione in città con su scritto “Padre Aldo ha bisogno di…”. Uno studente l’ha letto e subito si è messo all’opera con i compagni che si sono mossi con grande generosità. Una foto ricordo e se ne vanno con la promessa di tornare con un nuovo carico. La responsabile del Banco Alimentare ha avuto il suo daffare per ordinare tutti quei viveri che in settimana sfameranno cinquecento persone che gravitano intorno alle opere della fondazione San Rafael. «Grazie per avermi dato, come penitenza, di compiere un gesto di carità», mi dice una donna a cui avevo chiesto, prima di darle l’assoluzione, di comprare un pacco di pannolini per i miei ammalati. Don Luigi Giussani ci ha educato alla carità attraverso il gesto della caritativa, ma anche attraverso la scuola di un’umile casa che condivide«chE gRANDE OpERA DI DIO», hA comunità, che terminava sempre con la propova con padre Romano ScalDETTO IL pApA, RIcONOscENDO IN sta di un impegno concreto. Si impara facendo fi, e quando avevo la grazia e non parlando della carità. di visitarlo mi chiedeva semEssA LA sTEssA RAgIONE pER cuI Mi è arrivato in questi giorni l’avviso del pre di cosa avevo bisogno e MIA MAMMA DONAvA FAgIOLI E Meeting 2016. Un titolo bellissimo, “Tu sei un se era vicina l’ora del pranbene per me”, ma anche una sberla per tutti: FORMAggIO A chI chIEDEvA AIuTO zo mi invitava a mangiare quanti sono coloro che hanno questa cosciencon lui. E come non ricordare za? Spero che non prevalgano le tavole rotonquando nell’estate 1989, prima di mandarmi in te prendeva al bar! L’amore è un avvenimende o i discorsi filosofici o teologici su chi è l’alParaguay, mi ha tenuto con sé sapendomi vitto, ma si manifesta nei dettagli, e lo si vede dal tro e perché è un bene per me. Penso alla mia tima di un grave esaurimento! È perchè mi socriterio con cui uno decide di comprarsi una povera mamma che, nonostante più volte abno sentito un bene prezioso per lui che oggi macchina e il tipo di macchina, dal luogo che biamo sofferto la fame, quando veniva un poogni persona che incontro è un bene concreto sceglie per le vacanze o dalle cene luculliane a vero o un frate questuante gli dava un chilo per me. «Che grande opera di Dio c’è laggiù», cui partecipa. di fagioli e un po’ di formaggio. Da lei ho imha detto il Papa, riconoscendo in essa la stessa Come il buon samaritano parato chi è l’altro e perché è un bene per me. ragione per cui mia mamma donava un po’ di È passato quasi un anno da quando il Papa è Per questo, mi duole quando, via mail, chiedo fagioli e un pezzo di formaggio a chi, durante venuto a casa mia, e non passa giorno che non agli amici, la maggioranza dei quali frequenta il freddo inverno, bussava alla porta chiedendica: «Signore, perché proprio a un poveraccio il Meeting, di aiutare quest’opera di Dio, come do aiuto: era Gesù, cioè il Bene supremo per di prete questa grazia? E perché ha voluto, per l’ha definita papa Francesco, offrendo il costo lei. E questo è il motivo, ultimo e profondo, del sua decisione, regalare la Fiat Idea che aveva di una pizza margherita, e loro non rispondoperché l’altro è un bene grande per me. Speusato durante il suo soggiorno in Paraguay alno. Non lo chiedo per padre Aldo, ma per l’alro che il Meeting tenga questa posizione, quella fondazione?». Ma ancor prima di papa Frantro che è un bene per me. Come sarebbe bella di mia madre, quella di chi scende da cavallo cesco, don Giussani mi aveva educato, contilo ascoltare la testimonianza di quell’amico che e, in ginocchio, chinandosi sul malcapitato, facnuando il cammino di mia madre, all’altro che per aiutare i miei numerosi figli ha rinunciato cia come il buon samaritano. [email protected] è un bene per me. Viveva in via Martinengo, in da molto tempo al caffè che quotidianamen- 40 | 15 giugno 2016 | | SPORT ÜBER ALLES Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 22 – N. 23 dal 9 al 15 giugno 2016 DIRETTORE RESPONSABILE: EMANUELE BOFFI REDAZIONE: Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, Francesco Leone Grotti, Daniele Guarneri, Elisabetta Longo, Pietro Piccinini PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director) FOTOLITO E STAMPA: Reggiani spa Via Alighieri, 50 21010 Brezzo di Bedero (Va) DISTRIBUZIONE: a cura della Press Di Srl SEDE REDAZIONE: Via Confalonieri 38, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it SE LA CINA SI COMPRA TUTTO Baüscia e casciavit indistintamente uguali | DI FRED PERRI G uarda che la politica è veramente come il calcio. Lo dico sempre, è un mio maledetto ritornello e i bastardi che seguono con affetto questa rubrica lo sanno bene. E anche se non volessi, anche se per una volta pensassi di sviluppare un altro tema poi finisco sempre qua. Sono la realtà, l’urgenza dei fatti che accadono che mi spingono a cimentarmi con questo mio storico assioma. E in questo caso ecco l’intreccio canonico che si manifesta a Milano. Tutti a dire che l’uno e l’altro non sono diversi, anzi in realtà si assomigliano moltissimo, infatti mentre scrivo queste poche, sporche e inutili righe sono lì, quasi la stessa faccia, quasi lo stesso modo di fare. E noi qua a cercare di vedere le differenze, ma anche se l’uno e l’altro si sforzano di manifestarle in tutte le maniere, si impuntano, sostengono che non c’entrano nien- 42 | 15 giugno 2016 | | Foto: Ansa/AP Exchange te l’uno con l’altro, come si fa a comprendere veramente? Ah le vecchie distanze di una volta, ah le vecchie divisioni di Milano: baüscia e casciavit, centro e periferia, gente con la puzza sotto il naso e gente che parla in dialetto, champagne e barbera, ristoranti e trani (a go go), risotto/ossobuco e cassoeula. Ah, i vecchi personaggi di un tempo: l’Armando e il Cerutti Gino, il giovin signore del Parini e quelli del Verziere del Porta, l’Innominato e San Carlo, Gianni Rivera e Sandro Mazzola, Moratti e Berlusconi, Craxi e Di Pietro. Tutto era ben distinto. E ora? Come, state cercando di dirmi che Parisi è diverso da Sala? Ma io stavo parlando di calcio, compagni e amici. Stavamo parlando di Inter e Milan di cui non distingueremo più la faccia. Tutto cinese, tutto uguale. La Cina è vicina, adesso vediamo se si avvicinerà pure la Juventus. EDITORE: Vita Nuova Società Cooperativa, Via Confalonieri 38, Milano. La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 PUBBLICAZIONE A STAMPA: Cartaceo: ISSN 2037-1241 Online: ISSN 2499-4308 CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Emotional Pubblicità Srl Via Melzi d’Eril 29 – 20154 Milano Tel. 02/76318838 [email protected] Amministratore Delegato: Fabrizio Verdolin Contabilità e Tesoreria: Lucia de Felice Ufficio traffico: Chiara Cibien GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Via Confalonieri 38 • 20124 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/31923730, fax 02/34538074 [email protected] Abbonamento annuale 60 euro. Per abbonarti: www.settimanale.tempi.it GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Vita Nuova Società Cooperativa, Via Federico Confalonieri, 38 – 20124 Milano. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico di Vita Nuova Società Cooperativa verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali). taz&bao Il grest sotto le bombe «Sono giorni terribili, hanno ripreso a bombardare senza sosta. Siamo colpiti da bombole di gas, attacchi aerei e missili lanciati in continuazione. Nel quartiere armeno di Midan la situazione è peggiore. Proprio sotto le bombe abbiamo cominciato il nostro centro estivo. Sono 350 i ragazzi iscritti, con un’età che va dai tre ai quindici anni, cento in più rispetto all’anno scorso. Ma ogni giorno arrivano altri genitori a iscrivere i figli» Padre Firas Lutfi francescano della Custodia di Terra Santa e superiore del collegio di Al Ram ad Aleppo, Avvenire, 5 giugno 2016 44 | 15 giugno 2016 | | Aleppo, 30 maggio. La giornata d’inizio dell’oratorio estivo della parrocchia latina di San Francesco APPUNTI «DORMI, DORMI, PICCOLINO» Ninna nanna africana M ilano, maggio. In un commissariato di zona, tra la gente in coda, c’è una giovane donna dalla pelle nerissima, con un neonato avvolto in un fagotto legato al collo. Si guarda attorno spaurita, fra i poliziotti in uniforme. Il bambino dorme. Dopo un po’ si sveglia, e comincia a piangere. Non sembra fame, ma un ciangottio borbottante che reclama carezze. La mamma si alza e prende a dondolarsi dolcemente sulle anche, in un movimento femminile e antico, e già il figlio si acquieta – cullato ancora come quando era in lei, nel buio del ventre. Poi la ragazza a bassa voce, come intimidita da chi la osserva, intona una nenia in una lingua africana, che ripete sempre gli stessi suoni, in un’armonia dolcissima. Ninna nanna africana a Milano: la gente sta a guardare, intenerita, e quasi in soggezione. Mi viene in mente un episodio di un vecchio libro di mio padre Egisto Corradi, Africa a cronometro (Corbaccio), il reportage di un rally automobilistico attraverso l’Africa del 1951. In un’Africa ancora coloniale, oggi inimmaginabile, mio padre in Congo belga incontra una famiglia di coloni occidentali. Sul lodge nella savana scrosciano le piogge tropicali, e si trascorre la giornata a chiacchierare. Mio padre a un certo punto – l’Africa, nella gran corsa del rally, gli scorre davanti tanto veloce da lasciargliene già la nostalgia – dice che gli piacerebbe ascoltare la ninna nanna di una mamma negra (allora si diceva così). La moglie del colono, una belga matura e madre di tre figlie, scoppia a ridere: «I negri non hanno nenie. Sono barbari, come vuole che le loro donne abbiano sentimenti materni?». 46 | 15 giugno 2016 | | di Marina Corradi La signora sostiene che le madri nere, per far smettere di piangere i figli, li scuotono violentemente fra le braccia. Mio padre, incredulo, insiste, fino a convincere i suoi ospiti a raggiungere un villaggio vicino, e ad andare a vedere di persona. Il gruppetto di bianchi si presenta fra le capanne, e le donne, intimorite e meravigliate dalla richiesta tradotta da un interprete, esitano. Poi una si fa coraggio, e canta a bassa voce una tenera ninna nanna. «Cosa dicono le parole?», domanda mio padre. «Dormi, dormi, piccolino…», traduce l’interprete. Poi altre donne si mettono a cantare, in un coro di voci materne. Nella stanza di un commissariato, a Milano, nel 2016, sorrido di quella domanda di mio padre, oltre sessant’anni fa, e un mondo intero di mezzo. La sconosciuta nera ha smesso di cantare e il bambino si è riaddormentato, rannicchiato contro il suo petto. Dormono tutti allo stesso modo. E piangono tutti allo stesso modo: come in un lontano film di Don Camillo il gran prete di Guareschi, in trasferta con Peppone in Urss, osservava, chino sotto a una finestra da cui veniva una ninna nanna russa. Piangono, dormono tutti allo stesso modo. Cosa che non è superfluo osservare, quando ogni giorno, nella nostra rassegnata indifferenza, di bambini così ne affogano in mare – come fossero creature da niente.