Il diritto giapponese ha subito secondo i periodi storici diversi

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Il diritto giapponese ha subito secondo i periodi storici diversi
Emil Mazzoleni
LE RADICI FILOSOFICHE DEL DIRITTO GIAPPONESE
Liceo scientifico Mascheroni, 31 gennaio 2017
Il diritto giapponese ha subito secondo i periodi storici diversi influssi. Fu influenzato dalla Cina in epoca
Nara (710-784 d.C.) dal nome dell’antica capitale, quando si adottò lo stesso metodo di scrittura per
ideogrammi (kanji). I giapponesi non avevano un metodo di scrittura stabile che però si rendeva necessario
al crescere dei contatti esterni. Restarono le differenze: in Cina le cariche giudiziarie erano aperte a tutti, in
Giappone furono appannaggio della classe aristocratica, così come l’imperatore cinese nel momento
dell’elezione riceveva il mandato celeste mentre quello giapponese si definiva discendente diretto della dea
Amaterasu.
Durante il periodo Edo, il medioevo giapponese, ci fu interruzione di contatti con l’esterno. Il Giappone
reagiva all’aggressiva intraprendenza delle potenze coloniali europee con l’isolamento commerciale.
Nell’Ottocento, in periodo Meiji, il Giappone si modernizzò ricuperando la distanza culturale e scientifica che
lo separava dall’Occidente, adattando la struttura politica sociale economica su quel modello. Furono
mandati in giro per l’Europa funzionari e uomini di cultura a studiare quelle società compresi i sistemi
legislativi. In un primo tempo ci si confrontò con il Codice napoleonico, quando la Francia sembrava
emergente. Dopo la sconfitta di Sedan, si optò per il codice tedesco, tuttora alla base della legislazione
nipponica.
Altro cambiamento legislativo avvenne sotto l’occupazione americana dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Il Giappone prese dal sistema anglosassone della Common Low, un diritto basato sui casi giudiziari
precedenti.
In realtà per i giapponesi il diritto dei codici è solo sulla carta. Il vero diritto si applica fuori dai tribunali,
conseguente alla diffidenza giapponese nei riguardi del formalismo giuridico. Secondo l’etica confuciana la
collettività è lo specchio su cui l’uomo comune giapponese si riflette. Una buona comunità non si fa con la
spada della legge, secondo la massima di Confucio: “se governi un popolo con le leggi ottieni un popolo
cavilloso”. Quando nasce una questione l’uomo giapponese cerca la via conciliativa (kotei). Il contenzioso
giudiziario è ridotto al minimo. Chi ricorre al Tribunale è considerato incapace di gestire i rapporti sociali.
Una tradizione che ha le giustificazioni storiche: in epoca feudale i tribunali erano presenti solo nelle grandi
città. Il contadino non poteva lasciare i campi e si cercava la conciliazione davanti alla comunità. Se il giudice
interveniva e riconosceva la colpa, tutto il villaggio veniva punito per il disordine che si era creato.
Attualmente il numero degli avvocati in Giappone è di circa ottocento quando in Italia sono 250 mila. In
Giappone contano il mantenere l’impegno, la fiducia, l’onore. Forte è il senso del dovere (giri), concetto ben
illustrato nel libro di Ruth Benedict Il Crisantemo e la spada. E’ una società solidale e gerarchica, con scarsa
mobilità sociale. La mobilità si conquista sui banchi di scuola. Superare gli esami (shiken jigoku) con buoni
voti, accedere così alla classe migliore e alla scuola prestigiosa, e di seguito fino all’università, significa
conquistarsi un ruolo sociale di prestigio ed essere collocati in buona posizione gerarchica. La società, di
conseguenza il mondo del lavoro, è fatta di “inferiori e superiori” e questi rapporti vanno rispettati, pena
essere esclusi. Il giapponese si sente a servizio di capi e datori di lavoro, lo fa con lealtà e devozione, non si
risparmia perché tiene alla sua immagine sociale. I contratti di lavoro non sono mai ben definiti. I giapponesi
si mostrano affidabili; lavorano oltre i soliti orari; sono capaci di dormire in ufficio per completare le pratiche,
a tal punto che il fenomeno ha avuto un risvolto preoccupante (karoshi o morti per lavoro). Sempre gentili
con chi si rivolge loro, inquieti finché non possono dare piena soddisfazione. Tutto ciò ha anche un prezzo
sociale: lo si vede ad esempio nell’alto numero di suicidi, come succede tra gli studenti in caso di mancato
superamento degli esami.
Si accenna a due casi del diritto giapponese. Il primo riguarda i trapianti d’organo che in Italia sono possibili
sei ore dopo la morte della persona se questa non ha lasciato indicazione contraria scritta. In Giappone è
necessaria anche la dichiarazione dei medici di morte cerebrale. Caso particolare, che può sembrare
sconcertante, è quello del matrimonio con esseri virtuali, per il quale si è sollecitato da più parti una
legislazione. Il fenomeno era apparso negli anni ’90. Cominciarono a circolare videocassette che proiettavano
per qualche istante immagini di ragazze (manga), subito cancellate. La tecnologia che si è sviluppata, là prima
che altrove, le ha trasformate in immagini 2D, quindi 3D, e sono diventate “piccoli fantasmi” con cui le
persone interagiscono. Le figure virtuali conversano, rispondono, fanno domande, esprimono desideri,
eseguono richieste. E’ diventato un fenomeno di massa. C’è gente che non esce più di casa tutta presa da
questo mondo virtuale su cui è bene cominciare a riflettere anche noi.
A cura di Mauro Malighetti