MICHAEL MILLER

Transcript

MICHAEL MILLER
MICHAEL MILLER
Leonard Freed: gli italiani *
Una volta, Leonard Freed ebbe a parlare del suo rapporto con l’Italia come di “una storia d’amore”. Una
passione di lunga data, che va oltre la sua carriera di fotografo e all’origine è radicata nel suo interesse per
l’arte, che risale al suo primo viaggio in Europa, nel 1952. Come altri artisti appartenenti a famiglie ebraiche
emigrate in America dall’Europa orientale, sentiva il bisogno di tornare in Europa per scoprire se stesso e
gettare le fondamenta di una carriera artistica, prendendo le distanze da un ambiente familiare che discordava
con la sua ambizione. Freed voleva diventare un pittore, benché sua madre sostenesse ostinatamente che
gliene mancava il talento. Si trovava in Italia e faceva la vita del giovane artista quando il suo compagno di
viaggio, un pittore, gli suggerì che – per guadagnare qualcosa – avrebbe potuto fare delle fotografie e provare
a venderle ai giornali americani. Freed seguì il suo consiglio, e l’espediente che doveva semplicemente
procurargli un po’ di denaro in più divenne una passione che avrebbe dato forma a gran parte della sua vita
adulta.
Freed imparò a sviluppare i negativi e a stampare (cose che in seguito, Brigitte, sua moglie, e altri avrebbero
fatto per lui). Fece i suoi primi tentativi con il formato medio della Rolleiflex, che – sebbene gli piacesse – gli
sembrava troppo lenta per i racconti fotografici che intendeva creare. Finalmente comprò una Leica
d’occasione, a cui sarebbe rimasto fedele per tutta la vita, avvalendosi per lo più di obiettivi di 35 e 50 mm e
della pellicola Tri-X di Kodak. La maggior parte dei fotografi che hanno fatto grandi progressi si sono imposti
un processo di semplificazione, a cominciare dall’attrezzatura. Dopo tutto, lo sviluppo di uno stile personale
non è che l’effetto di un processo di riduzione. Quando il fotografo trova uno strumento che risponde ai suoi
scopi, tende a non lasciarlo più, facendolo diventare parte di sé. La macchina fotografica, di cui Freed faceva
un uso istintivo (regolava l’esposizione a occhio, senza affidarsi all’esposimetro), divenne parte del suo
sguardo. Una volta egli stesso commentò che la macchina fotografica è la sola macchina che possa fare arte.
D’altronde, nelle mani di un fotografo come Freed, la macchina fotografica perde la sua valenza meccanica
per diventare un’estensione dell’occhio, come un gessetto o una penna possono diventare un’estensione del
braccio o delle dita di un artista. In tal modo, Leonard divenne uno dei fotografi più aperti e trasparenti.
Quando guardiamo una delle sue immagini, non facciamo altro che vedere con i suoi occhi.
Se osserviamo le sue foto di famiglia, vediamo un uomo aperto e caloroso, a cui piaceva essere circondato da
familiari, amici o completi sconosciuti. Se leggiamo uno qualsiasi dei brevi testi che scriveva, uno dei diari, una
delle interviste, ci accorgiamo che era un profondo conoscitore dei suoi simili, capace di porre tra sé e gli altri
una certa distanza mentale. Le persone che incontrava l’incuriosivano enormemente: anche quando lo
infastidivano, lo ferivano o si trovava a disapprovarne il comportamento, la sua reazione era mitigata da
un’accettazione realistica della multiforme natura umana. Freed era in primo luogo uno che fotografava la
gente. L'amore della sua vita erano gli italiani, molto più di quanto non lo fossero l’arte, l’architettura o il
paesaggio italiani, sebbene le sue rare fotografie di paesaggi siano davvero emozionanti. In questo libro ci
sono non poche rappresentazioni d’opere d’arte e di paesaggi, ma l’elemento umano non manca mai, sia
come presente che come passato dell’umanità attraverso i suoi manufatti.
Prima di addentrarci in queste immagini e nel modo in cui sono state create, dovremmo capire meglio che
artista fosse Freed, poiché si tratta di una personalità sorprendentemente poliedrica, e anche elusiva. Qualche
aspetto del suo carattere o della sua opera può sembrare semplice, ovvio, ma non lo è. Le sue fotografie
vanno oltre la fotografia, perché arricchite dall’umanesimo della sua prospettiva – della sua Weltanschauung –
e queste immagini rientrano tanto nella tradizione di Shakespeare o Dickens quanto in quella puramente
fotografica di Henri Cartier-Bresson, il primo grande modello di Freed.
Leonard Freed era un artista, non un fotoreporter. Ne era totalmente consapevole, come lo era di ogni aspetto
della fotografia. Evitava accuratamente sia la banalità del reportage sia i "messaggi" sociali o politici – tutto ciò
che considerava propagandistico – tuttavia lavorava come freelance con la tecnica, lo stile e i soggetti del
fotoreportage. Dunque si poneva nell’àmbito del fotoreportage convenzionale; ma era un artista – in verità, un
poeta –, e la sua opera è ben più sottile e complessa di quella che ci si può aspettare dal reportage. Ogni sua
“poesia” esprime sentimenti umani: dalla gioia o dal coinvolgimento amichevole alla noia, alla violenza, al
terrore... e molte altre cose. Tutto questo potrebbe aver a che fare – direttamente o indirettamente – con
l’attualità (come una catastrofe, una guerra, il movimento dei diritti civili in America o la vita quotidiana dei
poliziotti di New York), però Freed non prende mai alla lettera gli avvenimenti: ne rappresenta invece l’effetto
su coloro che vi sono coinvolti. Se mostra un personaggio noto – spesso gli fu chiesto di fotografare celebrità
– lo presenta come una persona semplicemente immersa nella situazione in cui si trova; si veda, ad esempio,
la sua celebre foto di Martin Luther King, Jr.
Milano, 19 ottobre 2011
* Estratto dal testo in catalogo Admira Edizioni