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Il sito italiano per l’insegnamento dell’arabo on line — Corsi di Arabo
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Home
Presentazione
Come funziona
Quale Arabo?
I tipi di corso
◦ Corso 1: “Principianti”
◦ Corso 2: “Intermedio”
◦ Corso 3: “Avanzato”
◦ Corso 4: Lingua e Civiltà arabo-islamica
Tariffe
Testi consigliati
Traduzioni
Contatti
Ancora aperte le prenotazioni ai nuovi corsi 2010
Scritto da redazione
La prima classe “principianti” è partita il 13 Ottobre 2009 ed è terminata a metà Gennaio.
I nuovi corsi di arabo on line “principianti“, “intermedio” ed “avanzato” partiranno il 28 Gennaio 2010.
A seguire, i dettagli di ciascun corso:
Corso “principianti”
Le lezioni si terranno il giovedì sera (20,30-22,30) ed avranno una durata di 2 ore ciascuna, per un totale di 40 ore, ad un ritmo di
una lezione alla settimana (straordinariamente due, per terminare entro la fine di maggio, in giorni scelti di comune accordo tra tutti
gli iscritti).
La quota d’iscrizione è da corrispondere anticipatamente. Essa non comprende il costo del libro di testo e del dizionarietto, da
acquistare in originale (nel corso delle lezioni, verranno invece forniti altri materiali compilati dal docente).
Siccome i posti - a causa della modalità on line - sono limitati, avrà la precedenza chi si prenota in anticipo rispetto agli altri. La
classe viene attivata con un minimo di cinque studenti.
Il calendario dettagliato viene comunicato all’inizio del corso.
Corso “intermedio”
Le lezioni avranno una durata di 2 ore ciascuna, una volta alla settimana (straordinariamente, due volte, di comune accordo tra gli
iscritti), per un totale di 40 ore.
Esso si rivolge a coloro che hanno una conoscenza della Lingua araba che vada oltre la semplice conoscenza dell’alfabeto e dei primi
rudimenti grammaticali, nonché a tutti coloro che, volendo proseguire, hanno già seguito il corso “principianti”. È perciò importante
che coloro che, non avendo già seguito il nostro corso “principianti”, ci richiedono un corso-classe “intermedio” confrontino le loro
conoscenze con il programma del corso “principianti“.
Ad ogni modo, tutti gli interessati, sono pregati di contattarci per un test di livello, da effettuare su Skype (cerca sull’elenco di Skype:
“corsiarabo.com”), in modo da formare una classe quanto più possibile omogenea.
Quanto al giorno e all’orario, si tratta del martedì, dalle 20,30 alle 22,30.
La classe partirà perciò il 2 Febbraio 2010, con un minimo di cinque studenti.
La quota d’iscrizione è da corrispondere anticipatamente. Essa non comprende il costo del libro di testo e del dizionarietto, da
acquistare in originale.
Il calendario dettagliato viene comunicato all’inizio del corso.
Corso “avanzato”
Vale quanto detto per l’”intermedio”, tuttavia non essendoci pervenute significative richieste in tal senso, ci riserviamo di farlo
partire. Tuttavia, i potenziali interessati sono pregati di contattarci per un test del loro livello di padronanza della Lingua araba, da
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02/02/2010
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effettuare su Skype (contatto: “corsiarabo.com”). È possibile infatti che ci si consideri “avanzati” e, invece, sia opportuno frequentare
una classe “intermedio”.
Importante: per quanto riguarda tutti e tre i livelli, si ricorda che coloro che intendessero seguire un corso-classe al mattino o al
pomeriggio possono egualmente comunicarci il loro interessamento, poiché è possibile organizzare un corso anche in differenti fasce
orarie rispetto a quelle serali.
Lezioni “individuali”
Oltre ai corsi-classe, è possibile scegliere sin da subito altre opzioni per lo studio on line della lingua araba. Tra queste, le lezioni
“individuali”, che oltre all’apprendimento dell’arabo moderno standard prevedono, a richiesta, percorsi personalizzati
(conversazione, alcuni ‘dialetti’ con insegnante madrelingua, lingua e cultura arabo-islamica ecc.) e garantiscono un’estrema
flessibilità negli orari e negli appuntamenti.
Queste lezioni vengono offerte in un numero minimo di 10 ore, ma anche in “paccchetti” da 20 e 40 ore, che garantiscono un
risparmio per unità oraria.
Per prenotarsi, richiedere ulteriori informazioni e comunicare le Vostre esigenze (orario, frequenza ecc.) basta contattarci nei modi
descritti nella pagina “contatti“. Si ricorda di nuovo che i posti nei corsi-classe sono limitati, quindi è utile prenotarsi con un certo
anticipo.
13 dicembre, 2009 Nessun commento
Un corso di arabo per capire le differenze
Scritto da redazione
Il 20 Gennaio 2010, a Torino, parte “Incontro di Civiltà”, un corso di lingua araba per principianti (con nozioni di storia e cultura)
organizzato… [leggi tutto qua]
11 gennaio, 2010 Nessun commento
Riascoltare i suoni dell’arabo
Scritto da redazione
Specialmente dopo le prime lezioni nelle quali sono alle prese con suoni talvolta del tutto nuovi, alcuni studenti ci chiedono come
poter riascoltare i suoni dell’arabo. La cosa migliore è lanciare, durante la lezione, una delle applicazioni di Skype che permettono la
registrazione dell’audio della lezione o della parte che interessa riascoltare.
Altrimenti, si può fare un giro nella rete per vedere che cosa offre.
Su YouTube, ad esempio, è possibile ascoltare la pronuncia di tutte le lettere dell’alfabeto arabo, prima in posizione isolata, poi
vocalizzate, poi ancora vocalizzate ma in sequenza più veloce (attenzione: la traslitterazione in caratteri latini non è “scientifica”).
Per chi ha già superato questa fase propedeutica può essere utile esercitarsi all’ascolto con questi test-audio.
Mentre a coloro che hanno superato la fase dell’apprendimento dei suoni di base, proponiamo alcuni siti che permettono di ascoltare
semplici frasi in arabo. Una raccolta si trova qui (si notino anche i link).
Questo post verrà implementato in seguito…
7 gennaio, 2010 Nessun commento
I misteri della lettera Nûn
Scritto da redazione
La lettera nûn, nell’alfabeto arabo come in quello ebraico, occupa il quattordicesimo posto e ha il valore numerico 50; ma,
nell’alfabeto arabo, tale posizione è degna di nota anche per un’altra ragione, cioè perché conclude la prima metà dell’alfabeto, in
quanto il numero totale delle sue lettere è 28, invece delle 22 dell’afabeto ebraico. Inoltre, nelle sue corrispondenze simboliche
nell’ambito della tradizione islamica, questa lettera rappresenta soprattutto El-Hût, la balena, il che d’altronde si accorda con il senso
originario della stessa parola nûn che la designa, e che significa pure «pesce»; ed è per via di questo significato che Seyidnâ Yûnus (il
profeta Giona) viene chiamato Dhûn-Nûn.
[...] questa lettera è costituita dalla metà inferiore di una circonferenza, e da un punto che è il centro della circonferenza stessa. Ora, la
circonferenza inferiore è anche la figura dell’arca galleggiante sulle acque, e il punto che si trova al suo interno rappresenta il germe
che vi è contenuto o nascosto; la posizione centrale di tale punto mostra d’altronde che si tratta del ‘germe d’immortalità’, del
‘nucleo’ indistruttibile che sfugge a tutte le dissoluzioni esterne. Si può anche osservare che la semicirconferenza, con la sua
convessità rivolta verso il basso, è uno degli equivalenti schematici della coppa; come questa, ha dunque, in qualche modo, il
signifiato di una ‘matrice’ nella quale è rinchiuso il germe non ancora sviluppato, che s’identifica, come vedremo in seguito, con la
metà inferiore o ‘terrestre’ dell’ ‘Uovo del Mondo’.
Sotto questo aspetto di elemento ‘passivo’ della trasmutazione spirituale, El-Hût è anche, in qualche maniera, la figura di ogni
individualità, in quanto essa porta il ‘germe d’immortalità’ nel suo centro, rappresentato simbolicamente dal cuore; e possiamo
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ricordare a tale proposito gli stretti rapporti, da noi già esposti in altre occasioni, esistenti tra il sibolismo del cuore e quelli della
coppa e dell’ ‘Uovo del Mondo’. Lo sviluppo del germe spirituale implica l’uscita dell’essere dal suo stato individuale, e
dall’ambiente cosmico che ne costituisce il luogo proprio, come Giona è ‘resuscitato’ uscendo dal corpo della balena; e, se ci si
ricorda di quanto abbiamo scritto precedentemente, non si faticherà a comprendere come quest’uscita sia anche l’equivalente
dell’uscita dalla caverna iniziatica, la cui concavità è pure rappresentata da quella della semicirconferenza del nûn. La ‘nuova nascita’
presuppone necessariamente la morte al vecchio stato, che si tratti di un individuo o di un mondo; morte e nascita o resurrezione, sono
due aspetti inseparabili l’uno dall’altro, poiché non sono in realtà che le due facce opposte di uno stesso cambiamento di stato. Il nûn,
nell’alfabeto, segue immediatamente il mîm, che ha tra i suoi principali significati quello di morte (el-mawt), e la cui forma
rappresenta l’essere completamente ripiegato su se stesso, ridotto in qualche modo a pura virtualità, cui corrisponde ritualmente
l’atteggiamento della prosternazione; ma questa virtualità, che può sembrare un annientamento transitorio, diventa ben presto, per una
concentrazione di tutte le possibilità essenziali dell’essere in un punto unico e indistruttibile, il germe stesso da cui usciranno tutti i
suoi sviluppi negli stati superiori.
citazione da: René Guénon, I misteri della lettera Nûn, in Simboli della Scienza sacra, (trad. it.) Adelphi, Milano 1975.
5 ottobre, 2009 Nessun commento
Islamofobia. Attori, tattiche, finalità
Scritto da redazione
Enrico Galoppini : ISLAMOFOBIA. Attori, tattiche, finalità
(prefazione di A. Breigheche - postfazione di C. Preve)
Edizioni All’Insegna del Veltro, Parma 2008 (euro 18)
Duecento pagine fervide e pungenti contro l’ipocrisia, il pressappochismo e la grettezza di un Mondo Occidentale che - da sponde
“progressiste” e “conservatrici” - ama qualificarsi in contrapposizione all’Islam, dichiarandogli guerra non solo figurata.
Enrico Galoppini, valente arabista ed islamologo, esamina con disincanto l’approccio islamofobo sotto ogni aspetto: storico,
psicologico, religioso, evidenziando la profonda verità di una strumentalizzazione del fenomeno a fini geopolitici globali. In tal senso
un’artificiosa ed esasperata ostilità tra europei e “islamici” (fra l’altro, vicini di casa mediterranei) risulta funzionale alla politica
egemonica “occidentale”.
Il libro costituisce anche un’occasione di conoscenza dei lineamenti essenziali dell’Islam, espressi con chiarezza e sicura competenza.
[segnalazione di Aldo Braccio, redattore di "Eurasia - Rivista di Studi geopolitici"]
Per informazioni ulteriori su questo libro, utile per chi s’interessa allo studio della lingua araba e della civiltà arabo-islamica, si legga
qui.
8 settembre, 2009 Nessun commento
Uno “spauracchio linguistico”…
Scritto da redazione
Nel 1997, la Promolibri Magnanelli di Torino ha dato alle stampe un libretto dal titolo Parliamo arabo? Profilo (dal vero) d’uno
spauracchio linguistico (pp. 62, € 4,50), il cui autore, Michele Vallaro, è docente di Lingua e Letteratura araba presso la Unikore di
Enna (all’epoca insegnava a Torino).
Si tratta di un’opera atipica nel settore dell’arabistica, ben spiegata nella quarta di copertina:
«L’arabo si avvia a diventare (se già non lo è) la seconda lingua parlata nei paesi dell’Europa occidentale. In Italia,
proprio mentre la presenza di parlanti dell’arabo si accresce a ogni livello sociale, e l’arabo fa la sua comparsa nella vita
di tutti i giorni, rimangono presso il grande pubblico curiosi pregiudizi linguistici, compendiabili nella famosa frase: “Ma
parlo arabo?”.
Questo libretto vuol essere un primo ed elementarissimo aiuto a superare infondate diffidenze e paure nei confronti d’una
lingua che non è in realtà più difficile di tante altre, e che anzi, sotto certi punti di vista, ha con l’italiano parecchi punti di
contatto».
Questo libretto è, perciò, un tentativo riuscito di dimostrare, con una buona dose di umorismo, che il “pregiudizio” (linguistico)
secondo cui l’arabo sarebbe “difficile” è del tutto infondato…
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02/02/2010
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Riproduciamo anche l’indice del volumetto:
Introduzione
1. Arabista superman?
2. Il nobile alla crema
3. Alla scoperta della faringe
4. Lingue chic e lingue della mutua?
5. Libertà per le relative!
6. Arabo e italiano contro inglese (ma non sempre)
7. Colpo di scena finale
7 aprile, 2009 Nessun commento
Titus Burckhardt sulla Lingua araba
Scritto da redazione
Citazione tratta da T. Burckhardt, L’arte dell’Islam, (trad. it) Abscondita, Milano 2002 (ed. or. 1985).
ARTE ARABA O ARTE ISLAMICA?
Ci si può domandare se il termine «arte araba» corrisponda a una realtà ben definita, poiché un’arte araba anteriore
all’Islam è per noi praticamente inesistente, a causa della rarità delle sue vestigia; riguardo a quella araba nata sotto il cielo dell’Islam,
essa si confonde - ma fino a qual punto? - con l’arte islamica stessa. Gli storici dell’arte non trascurano mai di sottolineare che i primi
monumenti musulmani non sono stati costruiti dagli Arabi, che non disponevano di tecniche sufficienti, per cui si avvalsero di
artigiani siriani, persiani e greci, e che, via via che l’Islam conquistava le popolazioni sedentarie del Medio Oriente, la sua arte si
arricchì delle loro eredità artistiche. Malgrado questo, si può legittimamente parlare di arte araba, per la semplice ragione che lo stesso
Islam, se non viene limitato a un «fenomeno etnico» - e la storia lo dimostra - comporta nondimeno, nella sua espressione formale,
degli elementi arabi, tra cui il più importante è la lingua che, diventata la lingua sacra dell’Islam, determinò in modo più o meno
profondo, lo «stile di pensiero» di tutto il popolo musulmano. Certe disposizioni dell’anima tipicamente arabe, messe spiritualmente
in valore dalla sunna (costume) del Profeta, sono entrate nell’economia psichica dell’intero mondo islamico e si riflettono
immediatamente nell’arte. Dunque non si possono ridurre le manifestazioni dell’Islam all’arabismo. Ma, al contrario, è quest’ultimo
che è stato diffuso e come trasfigurato dall’Islam.
Per ben comprendere la natura dell’arte arabo-islamica, bisogna sempre tener conto di questo matrimonio tra un messaggio spirituale
a contenuto assoluto e una certa eredità etnica che, per questo stesso fatto, non appartiene più a una collettività radicalmente definita
ma diventa un «modo d’espressione» d’uso, in linea di principio, universale. L’arte arabo-islamica non è d’altronde la sola delle
grandi arti religiose a riposare su un tale connubio. L’arte buddhista, ad esempio, la cui area d’espansione comprende soprattutto i
popoli mongoli, mantiene sempre certi tratti tipicamente indiani, specialmente nell’iconografia che è per essa di primaria importanza.
In un quadro molto più ristretto, l’arte gotica, di ceppo latino-germanico, offre l’esempio di uno «stile» che si è generalizzato al punto
di identificarsi con l’arte cristiana d’occidente.
Senza l’Islam, la spinta araba del VII secolo - supponendo che avrebbe potuto prodursi senza l’impulso religioso - non sarebbe stata
che un episodio nella storia del Medio Oriente: le grandi civiltà sedentarie, per quanto decadenti, avrebbero assorbito queste orde di
beduini arabi, poiché i nomadi invasori finiscono sempre per accettare i costumi e le forme d’espressione proprie dei popoli sedentari.
Nel caso dell’Islam si produsse l’esatto contrario, almeno da un certo punto di vista: furono gli Arabi, in maggioranza nomadi, che
imposero ai popoli sedentari conquistati le loro forme di pensiero e di espressione, imponendo loro una lingua. Infatti la
manifestazione predominante e per così dire folgorante del genio arabo è la lingua, ivi compresa la scrittura. È la lingua che non
soltanto ha preservato l’eredità etnica degli Arabi al di fuori dell’Arabia, ma l’ha diffusa ben oltre il ceppo razziale: l’essenza del
genio arabo si è effettivamente comunicata a tutta la civiltà musulmana.
[segue]
16 marzo, 2009 Nessun commento
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La traslitterazione dall’arabo all’italiano (IIIa parte di 3)
Scritto da redazione
di Enrico Galoppini (anteprima da “La Porta d’Oriente”)
Tunisi, Baghdad, Beirut, Damasco, Il Cairo… Non si fa fatica a riconoscere la derivazione di queste trascrizioni dagli originali Tûnis,
Baghdâd (ricorro a “gh” per la trascrizione semplificata della lettera ghayn), Bayrût, Dimashq (”sh” per la shîn), al-Qâhira. Qua esiste
lo stesso rapporto che c’è tra Paris e Parigi, London e Londra, Frankfurt e Francoforte. Niente di nuovo, dunque.
Per motivi che vanno rintracciati quasi unicamente nella storia (ovvero in vicende che hanno reso familiare un certo luogo straniero),
del nome di alcune città estere esiste una trascrizione in caratteri latini molto simile alla parola originale, sebbene in qualche caso vi
siano delle varianti: si trova sia “Bagdad” che “Baghdad”, e del resto leggere “g” o “gh” ad un italiano cambia ben poco (esiste poi un
caso particolare: quello di Mecca, in arabo Makka, che nella trascrizione più diffusa in italiano presenta un inspiegabile “La” in più:
La Mecca). Ma vi sono toponimi arabi che entrano all’improvviso nelle cronache (spesso purtroppo per eventi che piuttosto che con la
cultura hanno a che fare con mire di dominio planetario), e allora come vanno trascritti? Qual è il miglior criterio da adottare?
Si prenda ad esempio an-Nâsiriyya, la città dell’Iraq dove fu acquartierato il contingente italiano inviato in Iraq. Questa città, prima
del 2003 non era nota al pubblico dei notiziari, ma solo agli arabisti e a coloro che hanno una buona conoscenza del mondo arabo. I
giornali ed i notiziari radio e tv, seguendo l’abitudine di raddoppiare la “s”, imposero “Nassiriyya” (con varianti scritte quali
“Nasiriya”, “Nassiriya”, “Nasriya”, “Nassirya”). Era senz’altro avvenuta una semplificazione, con “al-” eliminato (e si è imparato - v.
pt. 1 di quest’articolo - come ci si deve comportare per l’assimilazione della lâm alla consonante che la segue) e il consueto
raddoppiamento della “s” (in questo caso “enfatica” - v. pt. 2 di quest’articolo per gli abusi di questo tipo). Se si è capito bene quanto
scritto sin qui, è chiaro che “an-Nâsiriyya” si legge annàsirìyya, eppure si è sentito e letto di tutto, come al solito[1].
Ma che la questione dei toponimi esponga - come per tutto ciò che riguarda la traslitterazione/trascrizione dall’arabo - a qualche
figuraccia lo si vede anche sfogliando questa stessa rivista ["La Porta d'Oriente"], dove per imperizia di non so chi, nelle parti di
quest’articolo sin qui pubblicate sono apparsi alcuni orrori tipografici, con grafemi della traslitterazione trasformati in lettere
dell’alfabeto arabo e viceversa, e lettere che dovevano avere il puntino diacritico sostituite da un punto esclamativo! Verrebbe da
arrendersi definitivamente, poiché vi sarà chi, impietosamente, avrà pensato che proprio il sottoscritto, mentre pontificava sulla
traslitterazione, è incappato in pacchiani errori…[2] Per di più, nello stesso numero de “La Porta d’Oriente” (n. 2, feb. 2007) erano
contenute trascrizioni di toponimi arabi a dir poco ardimentose: “Irak”, “Abdhallah”, “Rhyad”. La nazione mesopotamica va scritta
con la “q” (che sta per la qâf), non con la “k” (e sorvoliamo sulla ‘ayn iniziale, le cui difficoltà di pronuncia per i non arabofoni sono
già state rilevate), il diffusissimo nome proprio (era quello del padre del Profeta dell’Islàm) non prevede “dh” per la traslitterazione
della dâl (”dh” si usa per la dhâl, che si pronuncia come il “th” dell’inglese “that”; ed anche qui vi sarebbe la ‘ayn iniziale da
traslitterare), mentre la capitale dell’Arabia Saudita, ar-Riyâd, al limite, si trascrive accettabilmente con “Riyad” (con l’Atlante De
Agostini che trascrive Riyadh, rendendo poco elegantemente con “dh” la “d” enfatica finale).
Vi sono poi dei toponimi arabi che presentano serie difficoltà di trascrizione a tutti coloro che non conoscono l’arabo. Prendasi ad
esempio la capitale yemenita San‘a’ (trascrizione semplificata). La corretta traslitterazione sarebbe San‘â’ (con la “s” col puntino
sotto), ma in giro si trova di tutto, da “Sanaa” a “Sana”, poiché, effettivamente, una ‘ayn preceduta da consonante e seguita da un
suono vocalico lungo “â” presenta qualche difficoltà anche per l’arabista alle prime armi!
Non si creda tuttavia che ricorrere ad un ausilio da parte di persone madrelingua riesca in qualche caso a risolvere i problemi più
ingarbugliati. Mi trovavo in Yemen (alcuni direbbero “nello Yemen”, ed è corretto) a svolgere un lavoro che comportava la
trascrizione di tutta una serie di nomi di cittadine e di piccoli centri abitati dell’area di Wâdî Hadramawt, così per cavare le gambe da
una cartina che non riportava la vocalizzazione breve mi rivolsi, per chiarire la corretta trascrizione di alcuni toponimi davvero
ambigui, ad abitanti del posto (o meglio, di San‘a’, discretamente lontana), convinto che mi sarebbero stati d’aiuto. Macché! Erano in
tre, e ciascuno mi forniva una versione diversa, vocalizzando “a”, “i” oppure “u” la medesima consonante! Ma questo è senz’altro un
caso limite, che evidenzia per di più come una scrittura delle sole consonanti e delle vocali lunghe presenti qualche problema anche
per gli arabofoni quando trattasi di parole completamente sconosciute: per tutto il resto, ovvero i toponimi più noti ed altri nomi
propri, basterebbe far circolare nelle redazioni di giornali e tv (sempre che vi sia l’interesse a svolgere un lavoro serio) degli appositi
elenchi che utilizzino un criterio univoco, corredati da alcune norme generali (ad es. sulla presenza, nell’originale arabo, di “al-” e
relative norme sulla sua “assimilazione” o meno, su come trascrivere i suoni delle “s”, le varie enfatiche, sull’abuso di “h” finali ecc.).
È inoltre da rilevare che la lingua europea di chi trascrive influenza la scelta dei grafemi utilizzati. Valga per tutti l’esempio del nome
della celebre tv satellitare Aljazeera, che già nella trascrizione internazionalmente adottata denota la scelta di privilegiare tra le lingue
europee l’inglese (tant’è vero che è stato inaugurato un canale in questa lingua), poiché il suono vocalico lungo “î” viene reso in
quella lingua con “ee”. In Francia, perciò, si troverà scritto “al-Djazira”, mentre in Italia si può optare per “al-Jazira” (o addirittura,
restando più fedeli all’italiano, che non ha la “j”, “al-Giazira”)[3]. Il nome proprio Mansûr (con la “s” enfatica) verrà reso quindi in
inglese con “Mansoor”, in francese con “Mansour” (in passato, anche “Mançour”). Il nome del noto pensatore tunisino Ibn Khaldûn,
in spagnolo viene trascritto con Ibn Jaldun, poiché la “j” rende lo stesso suono della (‫ )خ‬dell’arabo, che ho trascritto, semplificando,
con “kh” (che del resto in italiano non vuol dire nulla! Quindi anche “kh”, sebbene sia una semplificazione, e perciò un “aiuto”, non
veicola alcuna informazione utile a chi non sa nulla dell’arabo!), mentre in una traslitterazione “scientifica” si dovrebbe usare una “h”
con alla base una mezzaluna rivolta verso l’alto o un trattino.
Problemi particolari sono quelli di chi si trova a leggere un testo in arabo in cui compaiono parole trascritte da lingue non arabe.
Molte volte, traducendo per il sito Aljazira.it, trovavo nomi propri europei trascritti in arabo: a meno che - grazie alla buona
conoscenza dell’argomento - non s’intuisca subito di chi o che cosa si tratta, l’unico sistema per uscirne con successo è tentare una
trascrizione in caratteri latini e controllare su un motore di ricerca i risultati, e, nei casi più disperati, cercare direttamente nel motore
di ricerca il nome non arabo trascritto in arabo così come viene trovato, sperando che il motore di ricerca fornisca qualche sito
bilingue arabo-inglese in cui risulti, anche in caratteri latini, il nome cercato assieme alle necessarie informazioni per attribuirlo con
certezza. Ma questo, dicevo, è un caso particolare che interessa solo chi conosce piuttosto bene l’arabo. Basti comunque
quest’esempio per ricordarsi un fatto banale: che anche gli arabi si producono in trascrizioni ardite (talvolta per pura e semplice
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incomprensione, come capita a noi), sebbene anche loro abbiano adottato dei criteri generalmente accettati (Milano diventa perciò
“Mîlânû”, Roma “Rûmâ” e così via, con le vocali lunghe utilizzate quando vi sono vocali nella lingua d’origine, in modo da non
creare ambiguità; ma se trattasi di toponimi che hanno un legame con la storia arabo-musulmana, l’arabo prevede una trascrizione
distante da quella “letterale”: “Ishbîliyâ” per Siviglia, “Tulaytula” - con la “t” enfatica - per Toledo, e non “Tûlîdû”, tanto per
intenderci)[4].
A questo punto, senza alcuna pretesa d’aver esaurito l’argomento (che, s’è capito, è vastissimo, e non solo per ‘pedanti’ un po’
fissati), resta solo da accennare ad alcune soluzioni escogitate da chi non ha voluto rinunciare ad una vera e propria traslitterazione (ad
un grafema arabo corrisponde un grafema latino)[5], onde evitare ogni margine d’incertezza. Tra questi ne segnaliamo due,
decisamente curiosi ma ingegnosi.
Il primo è quello che utilizza anche le cifre (”cifra”, dall’arabo “sifr”=zero), così per la ‘ayn si ha un “3″, per la hâ’ (aspirata forte) un
“7″ e così via per tutte quelle lettere che presentano dei problemi utilizzando l’alfabeto latino di base. Tuttavia, anche questo sistema,
usatissimo per i messaggini da cellulare e per la posta elettronica, per salvaguardare il carattere della biunivocità, essenziale per
qualsiasi traslitterazione efficace, deve ricorrere a dei doppi apici (”) da aggiungere a certe cifre per distinguere, ad esempio, tra la
‘ayn e la ghayn[6].
Il secondo è una variante di quello “scientifico”, sviluppatosi da quello scelto in occasione di un convegno di arabisti tenutosi a Roma
nel 1938 (si noti che all’epoca l’Italia era, in virtù del fatto che aveva una propria politica mediterranea ed araba, un faro degli studi di
settore). Quello “scientifico”, adottato dalla rivista “Oriente Moderno” lo si può consultare a questo indirizzo:
http://mondodomani.org/mneme/gms.htm#par53.
Ma il problema è sempre lo stesso: se non si possiedono i font adatti [nella colonna dei "collegamenti utili" sono segnalati siti dai
quali è possibile scaricarne molti] non lo si può adottare, e comunque, poiché non tutti li hanno, tali font vanno usati esclusivamente
tra un gruppo ristretto di persone, ad esempio i redattori di una rivista, in modo che tutti i testi siano convertiti in quel dato font. C’è
però chi ha pensato, con un semplice escamotage, di aggirare l’ostacolo: per ovviare alla mancanza dei caratteri coi punti diacritici, si
è optato per la scrittura di un punto immediatamente dopo la lettera che dovrebbe avere il puntino sopra o sotto, e di mettere un
trattino sotto alle coppie di lettere (”digrammi”) utilizzate per rendere una sola lettera dell’arabo. Il sistema è semplice: per scrivere
sinâ‘a, che comincia con la “s” enfatica (v. pt. 1 dell’articolo), si farà così: s.inâ’a. Altri esempi: h.adîth (”tradizione profetica”), qit.t.
(”gatto”), d.âbit. (”ufficiale”)[7].
Al termine di questa disamina di alcune questioni poste dalla traslitterazione/trascrizione dall’arabo all’italiano, una cosa è certa. Che
in tutto ciò riesce a districarsi solo chi ha un livello di conoscenza almeno sufficiente della lingua araba. Per gli altri, l’unica cosa che
vale la pena di fare è sperare di trovare all’inizio di ogni libro contenente termini arabi una pagina che spieghi chiaramente il sistema
di traslitterazione/trascrizione usato[8]…
Se proprio non vogliamo dare ragione a T. E. Lawrence, che scriveva ne I sette pilastri della saggezza: “I nomi arabi non possono
essere trascritti in inglese… Esistono alcuni «sistemi scientifici» di traslitterazione: sono utili alle persone che sanno l’arabo
sufficientemente bene da non aver bisogno di aiuto, ma per il resto del mondo sono un completo fallimento. Io scrivo i nomi come
capita proprio per mostrare che questi sistemi non servono a nulla”.
***
Note:
[1] A complicare ulteriormente le cose ci si mette il fatto che in italiano la “s” intervocalica viene pronunciata come “sonora”, come la
“s” di “rosa”, che in arabo corrisponde alla zây! Ciò giustifica in un certo senso il ricorso, in alcune trascrizioni, della doppia “s”, che
obbliga così gli italiani a pronunciare la “s” come in “sole”. Fa eccezione il caso dei toscani, che spontaneamente pronunciano anNâsiriyya (annàsirìyya) con la “s” di “sole”.
[2] A parziale rimedio di questa ‘figuraccia’, va detto che le tre parti di quest’articolo, adeguatamente riviste ed integrate (da tabelle e
glossari), verranno - in shâ’a Llâh - ripubblicate in forma d’opuscolo.
[3] Nei libri pubblicati fino agli anni Cinquanta-Sessanta non è difficile trovare scritto “sciarìa”, correttissimo seguendo la fonetica
dell’italiano, a cui oggi si preferiscono soluzioni come “shari‘a”.
[4] È bene precisare che ciò si verifica non perché gli arabi ’sentano’ quei nomi (ad es. lo spagnolo “Sevilla”) in quel modo. In questo
caso, trattasi dunque di un passo ulteriore rispetto ad una semplice trascrizione.
[5] O comunque più grafemi uniti tra una lineetta che faccia capire che, assieme, rappresentano un unico grafema della lingua che si
traslittera.
[6] Per alcune informazioni su questo sistema cfr.: http://www.haridy.com/ib/archive/index.php/t-68848.html.
[7] L’importanza della lineetta sotto alcune coppie di lettere latine che devono rendere una sola lettera araba si comprende meglio col
seguente esempio: madhhab (”scuola giuridica”), così traslitterato, a chi non conosce l’arabo può dare l’idea che vi siano una “d” e
due “h” (ma in realtà tre consonanti di fila non possono esservi), mentre scrivendo madhhab è più facile comprendere che vi sono un
suono “dh” e una “h”. Tuttavia, la “h” in italiano non rappresentando alcun suono se non è apposta alla “c” o alla “g”, è ben difficile
che chi non sa nulla della lingua araba ricavi un’informazione utile dalla sua trascrizione… Gli basti sapere che si è in presenza di un
suono consonantico (aspirato) a tutti gli effetti. Altro esempio è quello della parola hadîth: con la lineetta tracciata sotto “th” s’indica
che “th” rende un unico grafema, da rendersi con un suono simile al “th” dell’inglese “thin”, mentre senza la lineetta un profano
potrebbe pensare che vi sono in successione i suoni “t” e “h”.
[8] Se non altro si sarà compreso che la traslitterazione è sempre “scientifica”, ovvero non deve mai lasciare dubbi sulla possibilità di
risalire dal testo con caratteri latini a quello in caratteri arabi. In tutti gli altri casi si è in presenza di trascrizioni, che comunque hanno
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il pregio di porre maggior attenzione alla fonetica e perciò mettono in condizione chi non sa l’arabo di leggere accettabilmente i
termini trascritti.
17 febbraio, 2009 Nessun commento
Corsiarabo.com a Parigi
Scritto da redazione
Il 12-13 gennaio 2009, organizzato dall’ISESCO e da Granada Editions presso la sede di Parigi dell’UNESCO, si è tenuto il I° Forum
europeo per la promozione e l’insegnamento della Lingua araba ai non arabofoni.
Ospite tra i relatori il prof. Enrico Galoppini, che nella seconda sessione dedicata ai libri di
testo, ai programmi e all’insegnamento dell’arabo in Occidente ha esposto una relazione, in arabo, sul tema de “L’insegnamento della
lingua araba ai non arabofoni in Occidente: realtà, sfide e prospettive di sviluppo”*.
Tra i punti affrontati nella relazione: la necessità di un approccio alla materia che consideri l’arabo come “lingua viva”; l’importanza
dell’arabo “letterario” nell’apprendimento dell’arabo per i non arabofoni; i problemi connessi alla gestione di classi composte da
studenti con differenti motivazioni; la difficile scelta di testi equilibrati tra le esigenze degli studenti e l’efficacia del metodo; il ruolo
dell’insegnante, tra competenza nella materia e gestione della classe, onde mantenere sempre vivo l’interesse degli studenti ecc.
Al termine della relazione, Corsiarabo.com è stato presentato al vasto e qualificato pubblico
presente in sala, composto da ministri della Cultura, dell’Educazione e degli Affari Sociali di vari Paesi islamici, rappresentanti
dell’OIC (Organizzazione della Conferenza Islamica) e del Consiglio d’Europa, dirigenti di organizzazioni arabe e islamiche
impegnate nel campo della promozione della lingua araba, docenti di lingua araba, esperti nella comunicazione e nei media, esperti
nella formazione degli insegnanti e nel campo della pedagogia provenienti da ogni parte del mondo arabo e islamico; pubblico che ha
mostrato un grande interesse per questa nuova iniziativa volta all’insegnamento della lingua araba on line.
* Prossimamente saranno disponibili gli atti del Forum.
1 febbraio, 2009 Nessun commento
La traslitterazione dall’arabo all’italiano (IIa parte di 3)
Scritto da redazione
di Enrico Galoppini (”La Porta d’Oriente”, n.s., a. II, n. 4, aprile 2008, pp. 37-42).
Nella prima parte di quest’articolo sono state fornite alcune indicazioni propedeutiche sui problemi che pone la traslitterazione
dall’arabo all’italiano, determinati in primo luogo dal tipo di pubblico al quale ci si rivolge. Il medesimo condizionamento opera
anche per buona parte delle questioni che verranno affrontate in questa seconda parte[1].
L’arabo, per i sostantivi, contempla una terminazione “at” - e, in un minor numero di casi, “ât” - nella quale la “t” della
traslitterazione indica la tâ’ marbûta, cioè “legata” (il cui grafema (‫ )ة‬corrisponde esattamente a quello della hâ’ (‫)ه‬, sormontato da
due puntini), che è da leggersi come una ‫ ت‬/ tâ’ mamdûda (”distesa”, quindi “slegata”, la cui pronuncia è come quella della nostra “t”)
e che con essa ha in comune, appunto, i due puntini. Non si tratta di una vera e propria lettera dell’alfabeto (difatti non fa mai parte
della radice - perlopiù triconsonantica - delle parole), bensì di un grafema che sta ad indicare, nella maggior parte dei casi, il
femminile singolare: es. madrasat (”scuola”), in arabo ‫مدرسة‬.
Se però la parola viene traslitterata isolatamente è usuale omettere la “t” corrispondente alla tâ’ marbûta, perché la lettura va fatta “in
pausa”: quindi, si scriverà madrasa, omettendo appunto la tâ’ marbûta, che andrà trascritta solo nel caso in cui s’intenda leggere
anche il caso (nominativo, accusativo ecc., il cui grafema segue la tâ’ marbûta), oppure se la parola terminante con la tâ’ marbûta è il
primo termine di una “annessione”, in modo da rendere la lettura del sintagma fluida, come in arabo: ad es., madrasat al-madîna (”La
scuola della città”).
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Quando la parola con la tâ’ marbûta viene traslitterata isolatamente, la lettura “in pausa” è quella che ricorre più spesso sulle
pubblicazioni in italiano, sennonché alla fine, al posto della tâ’ marbûta traslitterata “t” appare talvolta una “h”, per cui si trova scritto
madrasah, sebbene la parola sia traslitterata secondo una lettura “in pausa”. Di nuovo, credo si debba tener conto innanzitutto del tipo
di lettori ai quali ci si rivolge, e se trattasi di non specialisti a mio avviso l’aggiunta di una “h” risulta fuorviante perché li induce a
pensare che “scuola” sia da leggersi con un’aspirata finale. Quindi, per ricapitolare, possiamo trovare madrasat, madrasah e madrasa,
con la prima variante in uso se vi è da rendere in caratteri latini il primo termine di una “annessione” e le altre due nel caso di
traslitterazione di una parola presa isolatamente.
Quando ho scritto madrasat al-madîna (‫ )مدرسة المدينة‬ho lasciato in sospeso una questione, e ne approfitto per spiegare meglio la
questione della “pausa”, che ha le sue ripercussioni sulla scelta della traslitterazione.
Ovviamente, in “la scuola della città”, “la scuola” può essere soggetto, complemento oggetto ecc., ma la vocalizzazione indicante il
caso (u, a, i) portata dalla tâ’ marbûta è stata omessa, così la lettura, scegliendo la traslitterazione madrasat al-madîna, scorre dalla
“t” alla “a” di “al” (l’articolo determinativo per tutti i generi e numeri) che, però, in arabo non va letta quando “al” non è all’inizio di
frase, per cui si dà la precedenza alla vocale indicante il caso, dalla quale si passa a leggere la lâm (suono “l”) di “al” (se la
consonante che segue è “lunare”, altrimenti si raddoppia il suono della consonante “solare” - v. la 1ª parte di quest’articolo).
Quindi, traslitterando le tre possibilità (si noti il cambiamento di vocale dopo madrasat) che si presentano in arabo (non entro nella
questione del “diptoto” o della duplice declinazione che serve i tre casi):
1)
madrasatu l-madîna (”La scuola della città [è bella]“; sogg.).
2)
madrasata l-madîna (”[Ho visto] la scuola della città”; compl. ogg.)
3)
madrasati l-madîna (”[Ho studiato nel] la scuola della città”; caso obliquo, ovvero tutti gli altri casi)
Questa triplice possibilità offerta dalla lingua araba è in uso nelle traslitterazioni solo nelle pubblicazioni scientifiche, quando ad es. si
rende dall’arabo una frase, un brano, un testo intero, perché in quel caso si deve dare conto della posizione che i vari elementi
occupano nella/e frase/i. Per il resto, per la traslitterazione di una semplice “annessione” si omettono i casi e si traslittera solo la “t”
corrispondente alla tâ’ marbûta. Quindi, nessuno dei tre esempi summenzionati viene seguito se si vuol traslitterare solo “la scuola
della città”, ma si scriverà, come detto sopra, madrasat al-madîna.
Un caso intermedio è la traslitterazione di titoli di libri in arabo, tuttavia prevale la tendenza (v. il “Bollettino d’islamistica” curato da
Roberto Tottoli su “Oriente Moderno”, rivista edita dall’Ist. per l’Oriente dal 1921) a non traslitterare il caso dopo la tâ’ marbûta.
Per concludere con questo argomento, ritorniamo un attimo a madrasat al-madîna.
Anche madîna (”città”), in arabo ‫مدينة‬, termina con la tâ’ marbûta, ma per questo secondo termine della “annessione” la lettura in
arabo va fatta “in pausa”, per cui è davvero opportuno trascrivere (e non traslitterare, poiché, appunto, la tâ’ marbûta viene omessa)
fermandosi alla “a” della terminazione “at” di madîna(t).
Un’ultima cosa è da dire sull’accento; questione legata alla traslitterazione, poiché - basti pensare allo scempio che delle parole arabe
è fatto nei telegiornali - le parole traslitterate (o trascritte) vanno poi lette…
Chi ha letto màdrasa o madràsa alzi rispettivamente la mano. La lettura giusta è… màdrasa… e perché?
In arabo le sillabe si dividono in:
1)
“chiuse”: vocale breve tra due consonanti - es. “qul” in qultu;
2)
“aperte”:
2.a: consonante e vocale lunga - es. “qâ” in qâla;
2.b: consonante e vocale breve - es. “tu” in qultu;
ma anche in:
a)
“lunghe”: 1 e 2.a
b)
“brevi”: 2.b
Nell’arabo classico non esiste in effetti una regola stabilita per l’accento, sennonché - fatte salve le varianti dialettali - si può
affermare che l’accento cade sulla terzultima sillaba a meno che la penultima sia lunga (l’ultima non conta ai fini dell’accento).
Diamo alcuni esempi:
kataba (”scrivere”) - ka-ta-ba: tutte “brevi” - si legge kàtaba;
katabahu (”lo scrisse”) - ka-ta-ba-hu: tutte “brevi” - si legge katàbahu;
katabtum (”voi avete scritto”) - ka-tab-tum: “breve”-”lunga”-”lunga” - si legge katàbtum;
madîna (”città”) - ma-dî-na: “breve”-”lunga”-”breve” - si legge madìna;
madrasa (”scuola”) - mad-ra-sa: “lunga”-”breve”-”breve” - si legge màdrasa (ma madràsatun se si vuol leggere ad es. il caso al
nominativo indeterminato che dopo la tâ’ marbûta è “un”, perché stavolta la sillabazione è mad-ra-sa-tun e “ra” è la terzultima
sillaba).
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madrasatuhu (”la sua scuola”) - mad-ra-sa-tu-hu: “lunga” e poi tutte “brevi” - si legge madrasàtuhu;
yatamarkazu ([egli] “si stabilisce”) - ya-ta-mar-ka-zu: “breve”-”breve”-”lunga”-”breve”-”breve” - si legge yatamàrkazu, mentre
yatamarkazna ([esse] “si stabiliscono”) - ya-ta-mar-kaz-na: “breve”-”breve”-”lunga”-”lunga”-”breve” - si legge yatamarkàzna.
Adesso si capirà l’errore che fanno coloro che leggono madràsa (o addirittura madràssa, con raddoppiamento della “s”: ci
occuperemo anche di questo vizio), e quelli che leggono Omàr, quando il nome del pulcherrimo mullâ è ‘Umar, la cui terzultima
sillaba (va considerata la sillabazione ‘u-ma-ru [diptoto]) è “‘u” (l’apostrofo rovesciato sta, come si è detto nella 1ª parte, per la ‘ayn,
ragion per cui alcuni optano per una grafia minuscola della “u”, la ‘ayn essendo una consonante, sebbene per i nomi propri sia
preferibile mantenere almeno una maiuscola): quindi si deve leggere “Òmar”.
Si noti ora che ho scritto mullâ e non mullah (o mullâh), come di solito si trova.
ٌ senza la hâ’ finale, ma la mania d’infilare dappertutto “h” (lo si è visto in
La parola - che non è d’origine araba - è infatti ‫مال‬,
“madrasah“, anche se in quel caso può avere un senso)[2] o di raddoppiare le “s” (enfatiche o meno) imperversa tra coloro che
improvvisano una traslitterazione di termini arabi senza le minime conoscenze dell’argomento. Ecco come saltano fuori le
“madràsse“, i “Yassèr Arafàt” (quando il nome è Yâsir, e allora sarebbe accettabile Yaser (o Yàser), mentre si perdona l’assenza della
‘ayn, ché sarebbe da scrivere ‘Arafât), gli “Assàd” (con un doppio errore, poiché l’abuso della “s” induce a spostare l’accento di
“Asad“, che è da leggersi Àsad), i “Nassèr“, quando il ra’îs egiziano si chiamava ‘Abd an-Nâsir (quindi sarebbe accettabile
traslitterare con “Abd en-Nàser“). Una variante sul tema, che non riguarda direttamente le traslitterazioni, è “mussulmani”, diffuso
fino agli anni Cinquanta-Sessanta.
La “s”, d’altronde, non è l’unica lettera che esalta gl’improvvisati traslitteratori… è il caso infatti di ricordare la “d” (enfatica o
meno): chi non ha mai letto “mujaheddìn“? Bene, si tratta invece di mujâhidîn, plurale di mujâhid (”combattente”, colui che compie il
jihàd), per cui il colmo del ridicolo si raggiunge quando si sente dire “un mujaheddìn” (negli anni Settanta c’era comunque “un
Fedayn”, trascrizione di una declinazione del plurale di fidâ’î…).
“Il jihàd” ci ricorda inoltre che bisogna stare attenti al maschile e al femminile dei termini arabi, quindi scrivere “la jihâd” è sbagliato
(ed è quindi sbagliato tradurre il movimento palestinese al-Jihâd al-Islâmî con “Jihad islamica”), anche se in questo caso è quasi
impossibile per chi non conosce un minimo d’arabo capire se una parola è maschile o femminile… Così com’è sbagliato scrivere,
‘alla francese’, “l’hammâm” (”il bagno”), perché in tal modo un italiano pronuncia “l’ammàm”, come se la “h” aspirata forte
(consonante) non esistesse: si deve scrivere quindi “lo hammâm”.
Chi ama la precisione e, conoscendo l’arabo, intende fornire un’accettabile traslitterazione, deve poi stare attento a traslitterare la
hamza (un’interruzione nell’emissione del suono, se mediana o in finale di parola - sempre che si legga anche il caso che segue)[3]
con l’apostrofo (’), mentre la ‘ayn (‫ )ع‬- come si è già visto nella 1ª parte - va resa con l’apostrofo rovesciato (‘). Esempi: ra’îs
(”capo”), da leggersi ra-îs, come se tra “a” e “î” vi fosse uno stacco; ‘ulamâ’ (”dotti”), dove il primo apice è la ‘ayn e il secondo è la
hamza (quindi, il compianto Pier Giovanni Donini aveva scelto proprio l’esempio sbagliato, nell’ottimo Il mondo arabo-islamico
(Roma 1995, p. 25), traslitterando la parola araba ‫”( أُمراء‬emiri”; sing. amîr) con ‘umarâ’, poiché la hamza iniziale, che graficamente
indica l’attacco vocalico, non è da traslitterare, e semmai, se proprio lo si volesse, si dovrebbe scrivere ’umarâ’, invece che
umarâ’ (che è corretto). Ma il colmo è che lo stesso Donini, a p. 23 dello stesso libro, proponeva una tabella con l’alfabeto arabo e le
relative traslitterazioni nella quale vi sono ben quattro errori, sebbene citasse come fonte la tabella contenuta nel Dizionario compatto
italiano-arabo arabo-italiano (Bologna 1994, pp. 11-12) curato da Eros Baldissera, la quale non contiene alcun errore!).
Quest’esempio credo sia la prova più eclatante delle trappole che le traslitterazioni ‘tendono’ anche ad un decano degli studi arabi e
d’islamistica…
Inoltre, siccome spesso ci si mette anche il computer a complicare le cose rovesciando gli apici accuratamente scritti nei due modi su
indicati, sarà utile segnalare che, per non sbagliarsi, il simbolo della ‘ayn corrisponde a Alt+0145, quello della hamza a Alt+0146.
Una difficoltà particolare presentano poi i toponimi. Un caos totale!
Ma di questo parleremo nella terza ed ultima parte di quest’articolo, nella quale ci sarà senz’altro da divertirsi…
***
Note:
[1] Forse è il caso di chiarire meglio la differenza tra “traslitterazione” e “trascrizione”, cui accennavo solo di passata nella prima
parte. Quando la rappresentazione di una parola araba in alfabeto latino è condizionata dal tipo di pubblico al quale ci si rivolge, si
rimane in effetti nel campo della “trascrizione”. È la “trascrizione” dei termini arabi che, a seconda del pubblico al quale si rivolge,
deve portare chi non conosce l’arabo a pronunciare termini arabi secondo un’approssimazione che sia la più vicina all’originale. La
vera e propria “traslitterazione” serve invece solo a chi l’arabo lo conosce o lo studia. È chiaro anche che una buona trascrizione - per
intenderci una trascrizione rivolta ad un generico pubblico italiano, del tipo dàr as-sinà’a (v. 1a parte) - può essere realizzata soltanto
da chi conosce bene l’arabo (la fonologia, la morfologia e la sintassi della lingua) e l’italiano. Quindi, la risposta alle domande “Quali
sono i criteri da seguire per ottenere una buona traslitterazione dell’arabo?” e “Quali sono i criteri da seguire per ottenere una buona
trascrizione dall’arabo, la quale, per definizione, non è oggettiva ma, anzi relativa al destinatario?” è alquanto diversa e, mentre per
leggere correttamente una buona traslitterazione dell’arabo occorre conoscere l’arabo, una buona trascrizione è esattamente ciò che
consente di leggere, pur non conoscendo alcunché della lingua araba, termini arabi discostandosi il meno possibile dalla pronuncia
corretta.
[2] Alla luce del fatto che originariamente esisteva un’aspirazione in finale, mentre la “tâ’ marbûta” sarebbe stata introdotta in
seguito.
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[3] A voler essere precisi, bisognerebbe osservare che la hamza è sempre semplicemente una consonante (infatti può far parte della
radice delle parole).
26 gennaio, 2009 Nessun commento
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