Uno sguardo nella pittura dell`Ottocento: i Macchiaioli

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Uno sguardo nella pittura dell`Ottocento: i Macchiaioli
Uno sguardo nella pittura dell’Ottocento: i
Macchiaioli
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Il termine Macchiaioli venne usato per la prima volta sulla Gazzetta del Popolo nel 1862. Il
movimento tuttavia nasce di fatto a Firenze nel 1856, affermando che la forma non esiste, ma è
creata dalla luce, come macchie di colore distinte o sovrapposte ad altre macchie di colore, perché la
luce, colpendo gli oggetti, viene rinviata al nostro occhio come colore. I giovani pittori, che si
riunivano nella saletta del Caffè Michelangiolo provenienti dalla vicina Accademia, si scambiavano le
proprie idee, spesso al di fuori di ogni regola scolastica ed accademica e avvertivano la necessità di
confrontare il loro lavoro con i cambiamenti artistici in ambito europeo, soprattutto con quanto
stavano facendo i pittori in Francia. Questo movimento ha meritato il nome di scuola, sia per la
comunità di intenti che legava i componenti del gruppo provenienti da diverse regioni e tradizioni
artistiche, sia per l’alta qualità complessiva dei risultati pittorici raggiunti.
I precursori dei Macchiaioli
A Firenze nel 1854 si era formato un gruppo di giovani appassionati di un “genere” allora trascurato
nella tradizione toscana: il paesaggio. Questi artisti avevano dato vita ad una comunità chiamata
“Scuola di Staggia”, capitanata da Serafino De Tivoli. I pittori di questa scuola. prediligevano un tipo
di rappresentazione della natura privo dei toni solenni ed immobili delle vedute classiche,
dipingevano all’aperto nei pressi del Castello di Staggia. Purtroppo delle opere allora dipinte non ne
è sopravvissuta una attribuibile con certezza.
Saverio Altamura (1826-1897) fu uno dei primi pittori che portarono al Caffè Michelangiolo di
Firenze la nuova tendenza pittorica, avendo visitato, nel 1855, il padiglione realista di Gustave
Courbet, realizzato a Parigi in occasione della Esposizione Universale. In quell’occasione erano con
lui Domenico Morelli e Serafino De Tivoli (1826-1892), così, proprio a partire dal 1855, Firenze
divenne il centro in cui andò maturando il nuovo stile, Macchiaiolo, con il concorso di artisti toscani
e di altra provenienza che si concentravano sulla resa dei rapporti cromatici e tonali di due
frammenti di realtà, prescindendo dal disegno e dal chiaroscuro perchè in natura i contorni non
esistono.
La prima importante occasione di confronto tra le diverse componenti del Realismo Italiano, fu
l’Esposizione Nazionale di Firenze del 1861, dove vennero esposte anche opere di Domenico
Morelli che teorizzava la pittura come rappresentazione di “figure e cose, non viste, ma immaginate
e vere a un tempo”, ma anche opere effettivamente dipinte “dal vero”, come paesaggi e scene di vita
quotidiana.
La corrente dei Macchiaioli ha fornito alla pittura italiana della seconda metà dell’Ottocento, Artisti
molto impegnati nella teorizzazione della pittura e preparati dal punto di vista tecnico. Nonostante
alcuni di loro abbiano goduto più di altri di considerazione da parte del pubblico e della critica,
come Giovanni Fattori , Giuseppe de Nittis, Telemaco Signorini e Giovanni Boldini, molti altri
stanno arricchendo molte Gallerie d’Arte in tutto il mondo, come Cristiano Banti, Odoardo Borrani,
Raffaello Sernesi, Vincenzo Cabianca, Vito D’Ancona, Giuseppe Abbati, Silvestro Lega, Saverio
Altamura e Lorenzo Gelati, completando l’immagine dell’arte pittorica italiana dell’Ottocento, al
fianco dei Pittori del realismo lombardo e della napoletana Scuola di Posillipo.
Dalle teorie elaborate dai Macchiaioli, prende le mosse il movimento degli Impressionisti
Francesi, nato ben più tardi ed informato delle nuove tendenze dalle frequentazioni dei nostri artisti
a Parigi.
Fin dall’Antichità, le arti visive si definiscono prima di tutto per l’analogia con la poesia, come l’arte
di imitare la natura (Aristotele): analogia che segnerà – come sappiamo – l’insieme della teoria
dell’arte nell’epoca moderna. Nessun testo teorico sulle arti ignora il concetto di imitazione, così
come non ci sono discorsi critici che non vi si riferiscano. Il “dal naturale” è dovunque presente,
come una nozione chiave. Ciò non toglie che questo riferimento non abbia mai cessato di definirsi e
di ridefinirsi, a seconda dei luoghi e dei periodi. Perché l’“arte dal naturale” di Vasari non ha niente
a che vedere con quella del Caravaggio, così come “il modello naturale” di Watteau è ben lontano da
quello di Mengs. Oscillando tra percezione sensibile, ricerca della verosimiglianza, posizione di
principio, visione ideale di una natura sublimata o ancora abbandono dell’imitazione diretta della
natura a beneficio della “bella natura”, queste interpretazioni testimoniano a che punto il “dal
naturale” diventi lo specchio delle tensioni che toccano la definizione stessa dell’arte. Perché
definire il “dal naturale” vuol dire tentare di determinare uno dei fini dell’arte.”