LA COSTRUZIONE DEL SOGGETTO TRA DIRITTO E PASSIONI

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LA COSTRUZIONE DEL SOGGETTO TRA DIRITTO E PASSIONI
LEZIONE I
LA COSTRUZIONE DEL SOGGETTO
TRA DIRITTO E PASSIONI
SOMMARIO: I.1. Un personaggio controverso: il soggetto unico di diritto. – I.2. I diritti al plurale: la tradizione medievale. – I.3. I diritti, predicati del soggetto: la nuova architettura del giusnaturalismo. – I.4. La libertà dei moderni e lo spirito di famiglia. – I.5. Le passioni e gli interessi.
I.1. UN PERSONAGGIO CONTROVERSO: IL SOGGETTO UNICO DI DIRITTO
Per quali vie l’affermazione inquietante secondo cui ciascun uomo
è padrone della propria vita è divenuta senso comune? E com’è accaduto che questo particolarissimo “dominio” si sia esteso non solo alle
opinioni religiose e politiche, ma anche alle scelte sessuali, affettiv e,
relazionali?
Queste tre lezioni intendono seguire alcuni tra i molti percorsi che
hanno reso possibile una simile costruzione discorsiva. In questo senso la parola chiave – individualismo – adottata per necessità di sintesi, va assunta con cautela. Attribuire infatti tempi di nascita e precisi
sviluppi cronologici all’individualismo – specie sotto il pr ofilo dei
sentimenti – sarebbe impresa storiograficamente avventata: l’inclusione delle scelte affettive nella sfera delle libertà giuridicamente tutelate è un processo tutt’altro che concluso e, come pochi, continua mente rimesso in discussione e minacciato; nell’avventura individuale espressione e censura delle passioni scandiscono ancor oggi gli itinerari tortuosi di ciò che definiamo identità personale. Non si tratta,
dunque, di ricostruire una vicenda in larga misura indecifrabile, ed in
ogni caso troppo complessa, lunga e contraddittoria perché se ne pos-
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Il soggetto e l’ordine
sa fare una breve storia, ma di scegliere alcuni snodi intellettuali e politici attraverso i quali è divenuto “legittimamente pensabile” ciò che
per molti secoli non lo era stato.
Con tale prospettive e cautele l’analisi prende avvio dalla costr uzione del soggetto come centro dell ’ordinamento, punto di riferimento obbligato, dall’età delle codificazioni, per l’attribuzione di diritti e doveri 1. Quest’esito fu preparato dalla lunghissima riflessione
del giusnaturalismo e del contrattualismo, espresso con accenti diversi nelle costituzioni americana e francese di fine S ettecento e, per
l’Europa continentale, dalla codificazione napoleonica. Le prime dichiararono “ciascun uomo”, a prescindere da appartenenze, ceto sociale o privilegi, destinatario dei diritti e delle libertà ormai “ fondamentali”; la seconda attribuì al soggetto giuridico astratto (il “chiunque” che ancora scandisce i nostri codici) i poteri e le attività tipiche
del diritto privato e commerciale, i divieti e le sanzioni del diritto penale. Anche nelle aree che sperimentarono una cittadinanza senza rivoluzione 2, come la Prussia e l’Austria, la costruzione astratta del soggetto di diritto, di tradizione giusnaturalista, e l’inclusione del benessere degli individui/sudditi tra i fini primari dell ’azione dello Stato,
ebbe largo spazio.
L’ipotesi teorica e normativa del soggetto unico di diritto ebbe, alla fine dell’antico regime, implicazioni più chiare ed univoche nella
sua pars destruens, assai più ambigue nella sua par te progettuale, da
subito attraversata da profonde contraddizioni. Intervenire con decisione su tutte le reti ed aggregazioni che impedivano una relazione diretta tra individuo e or dinamento, individuo e Stato, significava interrompere, almeno dal punto di vista della costruzione formale del
sistema normativo, quella tradizione feudale, corporativ a, confessionale, che aveva differenziato diritti e doveri del singolo individuo in
1
Per gli essenziali riferimenti sul punto cfr. almeno G. TARELLO, Storia della
cultura giuridica moderna. Assolutismo e codificazione del diritto, Il Mulino, Bologna
1976; P. BARCELLONA, I soggetti e le norme, Giuffrè, Milano 1984; N. BOBBIO, L’età
dei diritti, Einaudi, Torino 1990; G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Einaudi, Torino
1992; A.M. HESPANHA, Introduzione alla storia del diritto europeo, Il Mulino, Bologna 2003 (1999), ed. italiana a cura di A. Mazzacane.
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L’espressione è utilizzata da Pietro COSTA: cfr. Civitas. Storia della cittadinanza in Europa. 2. L’età delle rivoluzioni, Laterza, Roma-Bari 2000, cap. II.
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ragione delle sue molteplici appartenenze. Alla comunità, al mestiere,
al ceto, alla confessione religiosa. Questi legami determinavano precise forme di acquisizione e trasmissione di beni, diritti dotali ed ereditari delle donne, competenze giudiziarie particolari e talora confusamente sovrapposte.
Questa ipotesi individualistica, quest’azzeramento formale del
principio gerarchico che aveva retto l’ordine e gli ordini (ceti) d’antico regime aveva indubbi effetti liberatori, postulando – sul piano teorico – il riconoscimento di una pari dignità degli esseri umani, nella
cui realizzazione il diritto e la tecnica legislativa giocav ano un ruolo
fondamentale. Restava tuttavia irrisolto, da diversi profili, il rapporto
tra il soggetto astratto dei codici ed i concreti individui della realtà, segnati da peculiarità derivanti sia dalla propria identità “naturale” – caratteristiche genetiche, sessuali, caratteriali – che dall ’appartenenza a
comunità e culture diverse. Nel discorso settecentesco, la fiducia nella comune ragionevolezza degli esseri umani, nell ’inarrestabile estendersi dei diritti, nella pr evalenza della felicità pubblica rispetto alla
privata, aveva fondato la previsione ottimistica di una progressiva trasformazione – realizzabile anche attraverso “la scienza della legislazione” e lo Stato – degli individui particolari nei ragionevoli, industriosi,
felici soggetti previsti dall’ordinamento.
Il dibattito contemporaneo, ormai del tutto scettico rispetto alle
spontanee capacità inclusive (cioè di estensione di diritti, tutele e benessere alle categorie più deboli) del diritto e dello Stato, e sulla stessa categoria di “progresso”, s’interroga piuttosto sugli esiti ultimi di
quella remota cancellazione delle appar tenenze e del par ticolarismo
giuridico, e osserva con disincanto il v olto negativo del proprio irrinunziabile individualismo e dei suoi presupposti antropologici. Nelle
autocritiche interne al mondo occidentale, ci si chiede quali sbocchi
possa avere questa nostra “liquida” modernità 3 – senza legami, senza
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Il riferimento è qui al sociologo Zygmunt Bauman, che considera fluidità e liquidità metafore assolutamente pertinenti alla contemporaneità, ai suoi processi di
accelerazione e alleggerimento. Questa modernità leggera, ben rappresentata dal
software (che rende volatili capitale e lavoro) avrebbe ormai sostituito la modernità
pesante dell’hardware (ma anche del capitale, del lavoro, della fabbrica radicata nel
territorio): in questa nuova modernità, anche il dominio è assicurato dalla velocità:
«Coloro che si muovono e agiscono più velocemente, che giungono più vicini alla
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solidarietà, senza radicamento – e se essa non condanni alla dissoluzione le nostre società opulente. Da decenni ormai, voci autorevoli
del dibattito giuridico puntano il dito sulle trappole di una soggettività indifferenziata, senza corpo, senza sesso, senza identità r eligiosa,
e falsificano radicalmente una costruzione meramente teorica del soggetto di diritto, che prescinda dalle reti comunitarie, dalle confessioni religiose, dalle tradizioni culturali che rendono gli individui “riconoscibili”. Le espressioni “lotte per il riconoscimento”, politiche per il
riconoscimento identificano le posizioni di esponenti importanti del
fronte multiculturalista come Charles Taylor: la sua riflessione assume sovente, quale caso emblematico, quello della minoranza francofona del Quebeq, in Canada, la cui sopravvivenza culturale non
può essere garantita dalle politiche di tolleranza e protezione “neutrale” dei diritti individuali pr opria del modello garantista liberale, ma
esige azioni positive di protezione – riconoscimento – della cultura e
della lingua del gruppo, in grado di contrastare l’egemonia della maggioranza anglofona. Più in generale, per Taylor «la richiesta di un
uguale riconoscimento non si ferma ad una presa d’atto dell’egual valore potenziale di tutti gli umani ma comprende anche l’uguale valore di ciò che essi hanno ricavato, di fatto, da questa potenzialità» 4.
Dal punto di vista di altr e tradizioni giuridiche, dall’osservatorio
oggi ineludibile del mondo islamico, non solo fondamentalista, que st’individualismo esasperato, deciso a rivendicare di volta in volta adesione o distanziamento rispetto all’insieme di relazioni in cui nascita,
razza, sesso, religione vogliono stringerlo, pronto a rimetter e costantemente in discussione persino le trame che lui stesso, in un tornante
diverso o remoto della propria esistenza ha liberamente intessuto, raffigura il volto negativo ed inquietante dell’Occidente, che pretende di
estendere anche alle donne le sue smisurate, laiche libertà. Nell’uno e
fulmineità del movimento sono quelli che dominano. Mentre chi non è in grado di
muoversi altrettanto rapidamente, e in particolare la categoria di persone incapaci
di lasciare a piacimento il posto in cui si trovano, è dominato … la modernità fluida è l’epoca del disimpegno, dell’elusività, dell’evasione facile e dell’inseguimento
senza speranze»: cfr. Modernità liquida. Traduzione di Sergio Minucci, Laterza, Roma-Bari 20022, (ed. or. Oxford 2000), pp. 136-137.
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Cfr. J. HABERMAS-CH. TAYLOR, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento,
Feltrinelli, Milano 2001, p. 29.
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nell’altro campo, la penalizzazione o l ’esaltazione della libertà degli
individui alimenta la propaganda politica e diffonde un ’immagine
stereotipata delle molte realtà del campo “nemico”. Nell’uno e nell’altro campo, guadagna ampio spazio la retorica della catastrofe, sicura
nel prevedere la dissoluzione del campo avv erso – o del pr oprio – a
motivo dell’incontrollato espandersi dei suoi interni elementi distruttivi.
La tradizione dei diritti fondamentali e dei codici a “soggetto unico”, così connotata nelle sue origini illuministe, laiche, borghesi, non
sembra in grado né di favorir e il dialogo tra cultur e e tradizioni diverse, né di mettere in comunicazione, all’interno dello stesso mondo
occidentale, i diversi sistemi normativi – politico, economico, religioso – organizzati ciascuno secondo propri principi, ed aspiranti all’egemonia rispetto agli altri. Proprio a fini comunicativi viene perciò promossa da giuristi e sociologi un concezione minimalista, “ mite”, riflessiva del diritto, che ne auspica la conv ersione in un insieme di
confini condivisi, piuttosto che un “codice” di norme prescrittive, di
fattispecie disciplinanti a contenuto rigido . Un sistema duttile di rimedi, che controbilanci costantemente la sfera necessariamente for male e “contraddittoria” della giurisdizione con quella, più flessibile e
socialmente condivisa, della mediazione, della riconciliazione, della
transazione.
Nel fortunato saggio di Gustavo Zagrebelsky 5, la radicale messa in
discussione del positivismo giuridico, cioè dell’equazione diritto/norma positiva, indica come via d’uscita possibile per gli ordinamenti sovranazionali il ricorso ai valori espressi dalla tradizione costituzionale
europea, e la mediazione di una giurispr udenza capace di applicare
un diritto duttile, sensibile alle differenze.
Nell’universo disegnato per il prossimo futuro dal sociologo
Gunther Teubner il compito del diritto sarà quello di assicurare adeguate garanzie alla molteplicità irriducibile dei discorsi e delle logiche
sociali, impedendo – soprattutto in riferimento alle pr etese totalizzanti del sistema economico – l’egemonia di uno solo di essi rispetto
a tutti gli altri.
Nel pluralismo radicale della contemporaneità, contrassegnato
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G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit.
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dalla coesistenza di sistemi dalle logiche diversissime, il diritto non
può più rivendicare il proprio tradizionale ruolo di monopolio delle
norme, di riferimento per l’insieme della società, ma deve necessariamente assumere quello di garante della coesistenza dei sistemi, o discorsi normativi: «non la realizzazione di un’unità sociale, ma la chiara definizione dei confini tra numer ose identità, la protezione dalla
sopraffazione di discorsi e la limitazione dei danni definirebbero i
compiti attuali del diritto» 6.
Insomma, da molti decenni e da più fr onti, l’universalismo illuminista ed una delle sue creature più significative, il soggetto giuridico astratto, sono sotto accusa. Nella stagione ormai remota degli anni settanta, furono soprattutto i movimenti studenteschi, operai,
femministi, a porre sotto processo l’ingannevole neutralità del
“chiunque” degli ordinamenti giuridici, che nascondeva a malapena il
protagonismo del soggetto maschio, bianco, economicamente intraprendente. Dall’orizzonte femminista sarebbero derivati frutti duraturi, e nuove prospettive sul terreno storiografico, a partire dalla categoria di gender, che definiva la costruzione sociale della differenza sessuale, e suggeriva nuovi itinerari, nuovi punti di attraversamento degli ordinamenti giuridici d’età moderna. Il protagonismo delle donne
– sepolto dalla scrittura maschile della storia – il loro modo peculiare
di trasmettere beni, tutelare i figli, porsi in rapporto con le istituzioni
nonostante l’esclusione loro riservata a livello di ordinamenti formali, apriva prospettive diverse per la storia istituzionale e sociale, chiavi
di lettura meno scontate e asfittiche.
Successivamente, l’attacco frontale alla “razionalità universale”, sarebbe stato sferrato dalle molte voci del post-modernismo, che contestavano radicalmente valori e paradigmi della modernità. La generalità e l’astrattezza, la razionalità, la pianificazione, la funzionalità venivano capovolte, “destrutturate” senza scampo. Per usare la sintesi
efficace di un impor tante storico del diritto, Antonio Manuel H e6
G. TEUBNER, Diritto policontesturale: prospettive giuridiche della pluralizzazione dei mondi sociali, a cura di A. Rufino, Città del Sole, Napoli 1999, p. 68, e ancora: «I conflitti individuali non possono essere risolti da un’autorità centrale, dato
che le autorità sociali si trovano in un conflitto irrisolvibile tra di loro»: resta irrisolto, come si vede, il problema della definizione delle autorità sociali “disseminate”, ciascuna con un proprio discorso normativo.
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spanha, il punto di vista postmoderno: «Al generale oppone il par ticolare; al gigantismo del grande oppone la bellezza del “piccolo” … al
sistema oppone il “caso”; all’etero-regolamentazione oppone l’autoregolamentazione; al funzionale oppone il ludico; all’oggettivo oppone
il soggettivo, alla verità oppone la “politica” (la “testimonianza”,
l’“impegno”)» 7. Il post-modernismo diffida così di ogni teoria generale, e della possibilità di spiegare attraverso di essa i fenomeni sociali. Le concettualizzazioni, le categorie universali, l’esaltazione dell’individuo, la presunzione di una razionalità comune segner ebbero un
tempo storico per sempre scomparso: quello, appunto, della modernità.
In America i movimenti giuridici post-moderni hanno mostrato
particolare vivacità, avviando con la cultura giuridica più tradizionale, di segno liberal, una polemica che riguar da proprio la tradizione
costituzionale e le politiche di integrazione delle minoranze improntate ad una logica assimilazionista; le tematiche post-moderne alimentavano – tra gli anni ottanta a novanta dello scorso secolo – una
serie di movimenti di forte contestazione: tra essi, particolarmente rilevanti per la critica all ’ordinamento giuridico americano la teoria
giuridica femminista, la teoria della differenza razziale, i Critical legal
studies 8. Questi ultimi investivano frontalmente anche lo studio tradizionale del diritto, e le relative roccaforti universitarie. Venivano
così posti in discussione gli stessi nuclei fondativi del sistema giuridico americano, a partire dall’enfasi da esso assegnata al concetto di autonomia individuale e di libero arbitrio sino alla generale attribuzione, al diritto, di un caratter e neutrale, oggettivo, e concettualmente
coerente. Teorie del diritto e pratica giudiziaria avrebbero soprattutto occultato la contraddizione fondamentale tra l’io e gli altri, le concrete relazioni comunitarie del soggetto che vicev ersa avrebbero dovuto costituire i reali punti di riferimento dell ’azione di avvocati e
giuristi.
Anche in questo caso, la pretesa universalità del soggetto di diritto veniva sottoposta ad una puntuale decostr uzione, ed accusata di
7
Cfr. A.M. HESPANHA, Introduzione alla storia del diritto, cit., p. 280.
Faccio riferimento, per questi brevissimi cenni, a G. MINDA, Teorie postmoderne del diritto, Il Mulino, Bologna 2001 (New York 1995).
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essere uno strumento del legalismo liberale volto a negare i valori della comunità e delle relazioni umane, e della stessa reale partecipazione democratica, ponendo viceversa al centro dell’ordinamento esclusivamente i valori “dell’autonomia e dell’interesse personale individuale” 9.
Sebbene lo slancio propulsivo delle prime due generazioni dei
giuristi critici sembri oggi attraversare una fase discendente, alle prese con un’opinione pubblica ed un’amministrazione governativa assai poco propense ad adottare il disincanto ironico degli intellettuali post-moderni, il tema dei diritti delle minoranze e della convivenza
tra culture è ancora al centro della riflessione politica delle università
americane.
Se dunque il soggetto degli ordinamenti formali, è da molti anni e
da molti fronti al centro di un tiro incr ociato orchestrato da voci assai autorevoli, perché farne ancora un punto di partenza per questa
analisi, per un ragionamento intorno ai per corsi dell’individualismo? 10. Anzitutto, direi, proprio per la sua radicale, intrigante ambi9
Ivi, p. 188.
Proprio ragionando su questi percorsi, N. Luhmann nega radicalmente la validità della prospettiva umanistica, ossia della costruzione unitaria dell’essere umano, nelle società contemporanee. In virtù della differenziazione funzionale che le caratterizza, in base alla quale coesistono sistemi diversi, autoreferenziali, autoripro duttivi e tendenzialmente non comunicanti (politico, giuridico, religioso, economico) nei quali l’individuo è immerso, sia l’unità umanistica che quella trascendentale del soggetto (l’io pensante punto di osservazione sintetica del mondo) non può
essere accettata, e la ricostruzione dell’individualismo deve passare dalla cancella zione del soggetto. L’individualità non può che essere identificata come attività autoreferenziale: «We can drop as futile all attempt to reintegrate a decomposed self.
If consciousness operates at all, it does so as an individual system, using its own
unity and its own conscious events to reproduce its own unity and its own con scious events» (= Possiamo lasciar perdere il vano tentativo di reintegrare un sé ormai decomposto. Se la coscienza alla fine opera, lo fa come un sistema individuale,
usando la propria unità ed i propri eventi consapevoli per riprodurre la propria
unità ed i propri eventi consapevoli). Cfr. N. LUHMANN, The Individuality of the individual: Historical Meanings and Contemporary Problems in Th.C. Heller, M. Sosna, D.E. Wellbery edd., Recontructing Individualism. Autonomy, Individuality, and
the Self in Western Thought, Stanford University Press Stanford, California 1986, p.
325 (ora in Essays on Self-Reference, Columbia University Press, New York 1990,
cap.VI).
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guità 11. Il chiunque dei codici, il cittadino delle costituzioni hanno
rappresentato infatti, al tempo stesso, una indiscutibile mistificazione
– occultando sotto la generalità ed astratte zza della formulazione diseguaglianze ed esclusioni a tutt’oggi irrisolte – e, nello stesso tempo,
un prezioso luogo discorsivo per l’estensione dei diritti, uno spazio
aperto per le rivendicazioni e le pratiche politiche di nuovi soggetti.
L’ingresso di questo discusso personaggio nella tradizione giuridica europea inaugura l’età della contraddizione tra eguaglianza formale ed esercizio concreto dei diritti, e – lasciando largo spazio alla discriminazione – contribuisce a renderla teoricamente infondata.
Nell’antico regime tale contraddizione non era pensabile, per ché la
corrispondenza tra ampiezza dei diritti e differenziazione sociale – ma
anche sessuale, razziale, confessionale – era, dal punto di vista dell’ordinamento e della “costituzione” come tessuto normativo condiviso,
perfettamente legittima. Che la misura dei diritti fosse differente per
ciascuno corrispondeva pienamente alle costituzioni delle società della prima età moderna, ed al principio di gerarchia – tra i sessi, le religioni, le professioni, le cor ti di giustizia – che dava “ forma” all’ordinamento.
Vi sono poi ancora altre ragioni della scelta, non legate alla riflessione sugli ordinamenti giuridici della prima età moderna, ma al dibattito contemporaneo: la dimensione universale dei diritti, la necessità di minimi denominatori condivisi, non sembrano, proprio in relazione al tema ineludibile della difesa delle minoranze, del rispetto
delle culture altre, per niente al tramonto. Voci pur attente alle differenze, li assumono come terr eno fondamentale di una possibile co struzione trasversale, comunicativa dei diritti, e prendono le distanze
tanto dal punto di vista “ avalutativo” delle correnti post-moderne,
che dalle posizioni del multiculturalismo radicale, soprattutto nella
tesi secondo cui «la giustizia di un atto non può esser e giudicata se
non in base ai criteri di valore delle società in cui l’atto si inserisce» 12.
Cfr. sul punto, l’intelligente, agile saggio di S. Zˇ IŽEK, Contro i diritti umani,
traduzione di D. Cantone, Il Saggiatore, Milano 2005.
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Per quest’ordine di riflessioni rinvio all’importante saggio di T. PITCH, L’antropologia dei diritti umani, in A. G IANSANTI-G. MAGGIONI, I diritti nascosti. Approccio antropologico e prospettiva sociologica, Cortina, Milano 1995 (la cit. a p. 187).
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