la storia trascurata

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la storia trascurata
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Salvatore Buscemi
UN MONUMENTO ALL‟EMIGRANTE
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(Versione ridotta, tratta dal volume di
Salvatore Buscemi –La Storia trascurata.
L‟emigrazione italiana e i colpevoli silenziEdizione Lussografica, C/ssetta, 2010).
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Profilo dell’Autore
Salvatore Buscemi, nato a Niscemi ( CL ) il 15.05.1934, dirigente scolastico in pensione, durante
la sua lunga carriera professionale ha percorso le tappe fondamentali del processo di riforma e di
rinnovamento della scuola italiana, dal secondo dopoguerra ad oggi.
Laureatosi in Pedagogia e transitato nel ruolo direttivo nell’anno scolastico 1962/63, ha svolto attività
di sperimentazione, in collaborazione con il Centro Didattico nazionale, su “ La Direzione Didattica
intesa come centro permanente di aggiornamento e di formazione in servizio”.
Ha diretto numerosi corsi per la formazione in servizio dei docenti e per la sperimentazione di nuove
metodologie didattiche sull’insegnamento delle discipline curricolari nella scuola primaria: in particolare
della lingua italiana e della matematica.
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Vive a Niscemi.
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L’EMIGRAZIONE ITALIANA
1. Le cause dell’emigrazione.
Di solito si attribuisce alla povertà e alla miseria la causa dei flussi migratori interni ed esterni
( interni = da regione a regione d‟Italia; esterni = fuori dei confini nazionali e oltre oceano).
Di fatto, la situazione economica vi ha concorso in modo preponderante, ma non è stata l‟unica.
Calamità naturali, situazioni politiche particolari, inquietudine personale e desiderio di evasione,
ricerca di contesti socio-culturali più evoluti e sicuri, ove inserirsi per ricostituire una nuova
immagine di sé e della propria famiglia, bisogno di conoscere nuovi paesi, sono stati, insieme al
problema economico, i fattori principali che hanno spinto gli italiani ad emigrare.
Nel secondo dopoguerra, i danni provocati dall‟evento bellico e i sistemi di lavorazione agricola
alquanto arretrati, sono stati certamente la causa prima del forte flusso migratorio che ha portato
molti italiani oltre oceano e al di là dei confini nazionali.
La “ Riforma agraria” nel Sud e in Sicilia, realizzata per migliorare le condizioni della popolazione
contadina, non diede i risultati sperati perchè aveva frazionato il latifondo in tante piccole aziende,
prive molto spesso di acqua per le irrigazioni e di adeguate attrezzature meccaniche con cui fare
fronte alle innovazioni e a colture più redditizie e all‟incremento della zootecnia. La stessa
“ Cassa
per il Mezzogiorno”, sorta per ridurre il divario tra Nord e Sud, non produsse effetti significativi,
avendo piuttosto svolto un debole ruolo, fra consensi e clamorosi dissensi.
2. Durata e Paesi prescelti
In via preliminare, è doveroso distinguere due tipi di emigrazione: una temporanea e una
permanente, orientate verso due direzioni: una interna al territorio nazionale, e l‟altra esterna, diretta
fuori del proprio paese.
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L’emigrazione temporanea è rappresentata da gruppi di lavoratori che cercano lavoro stagionale
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verso i paesi dell‟Europa e oltre oceano.
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L’emigrazione permanente riguarda chi lascia definitivamente il proprio paese per cercare altrove
condizioni di vita più sicure. La sua meta è il mondo: l‟estremo Oriente e le Americhe; le impervie e
lontane contrade dell‟Australia, insieme alla più vicina Tunisia, all‟Egitto.
Nella società italiana del Novecento, l‟emigrazione dal Sud al Nord dell‟Italia ha raggiunto
indici elevati fra le due guerre e ancor di più nel secondo dopoguerra, tra gli anni Cinquanta e
Settanta.
In alcuni paesi della Sicilia, come della Calabria, ha assunto i caratteri di un‟alluvione, spopolandoli
completamente di cittadini in grado di lavorare e lasciandovi solo bambini e anziani.
Partivano in prevalenza contadini e artigiani che nelle città industriali andavano a ingrossare le
schiere dei lavoratori generici. Assieme a loro, insegnanti e ragionieri.
In consistente numero arrivarono pure nelle città industrializzate ( Torino, Milano, Varese, Como,
Brescia) gli operai e i contadini delle montagne e dei comuni agricoli della stessa regione
industrializzata.
L’emigrazione interna è stata massiccia nel secondo dopoguerra e si è diretta nelle province del
triangolo industriale. Oggi, intere città risultano ridisegnate e trasformate, vuoi per il numero di
abitanti, che per mescolanza etnica. Anche i paesi, le borgate hanno stravolto la propria identità,
modificando il paesaggio geografico e la mappa residenziale del territorio.
Gli immigrati, in molti comuni, grazie alla intelligente e lungimirante politica di integrazione svolta
dagli amministratori locali, hanno trovato condizioni di accoglienza alquanto promozionali, che oltre
a facilitare la loro assunzione in un posto di lavoro, ne hanno favorito la permanenza e l‟adattamento
sociale.
A percorrere oggi certi Paesi del Varesotto e dell‟interland milanese, si rimane felicemente sorpresi
del benessere raggiunto dai tanti meridionali, emigrati tra gli anni Cinquanta e Settanta. Intere
famiglie, agevolate dall‟offerta di aree edilizie a poco prezzo, hanno potuto costruire dimore
accoglienti per sè e per i figli, riuscendo a conseguire uno stato sociale dignitoso e certo.
Questi Paesi, che nel dopoguerra erano un cumulo di macerie, più che i comuni del Sud e della
Sicilia, sono riusciti nel volgere di pochissimi anni a imprimere alla propria economia uno sviluppo
di tale ampiezza da trasformarsi in stabili punti di riferimento per i migranti. Solo in rarissimi casi
hanno deluso le aspettative di quanti vi approdavano col fermo proposito di conseguire col proprio
lavoro l‟agognato riscatto sociale ed economico, invano inseguito nel proprio paese.
sviluppo dell‟economia e nella mentalità imprenditoriale. Dagli anni Novanta, pertanto, è ripresa
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condizioni di vita migliori, più stabili e sicure, senza però riuscire a incidere in modo duraturo sullo
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Grazie alle rimesse degli emigrati, anche in Sicilia si sono registrati, fino agli anni Settanta-Ottanta,
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l‟emorragia migratoria che ai nostri giorni tocca punte ancora più elevate che nel secondo
dopoguerra . Con la differenza che oggi emigrano in prevalenza giovani diplomati e laureati: “
dottori con la valigia”.
Nel dopoguerra, chi emigrava riceveva salari o stipendi
sufficienti per mantenere la famiglia e
comperare una casa, o per fare risparmi da inviare mensilmente ai congiunti rimasti in attesa.
Oggi, la paga basta appena all‟ operaio per consentirgli di sopravvivere. In molti casi, giovani
diplomati che si trasferiscono nel Nord per trovare lavoro ricevono un sussidio dalla famiglia perché
il loro stipendio è troppo magro.
I tempi sono proprio cambiati, è vero, ma l‟emorragia migratoria continua dal Sud e dalla Sicilia
come prima e in condizioni altrettanto traumatiche, se non di più.
3. L’emigrazione nel Medioevo
L‟Italia è stata da sempre un paese di emigranti. E‟ sbagliato pensare che essa abbia avuto origine
dopo l‟unità d‟Italia.
Dal Medioevo in poi, abbiamo avuto emigranti di ceto elevato, banchieri e scienziati, statisti e
pittori, artisti e costruttori, insieme a grandi folle di eroi sconosciuti, che hanno contribuito a rendere
più prosperosi e meglio organizzati i Paesi che li hanno ospitati. Al tempo dei Comuni e delle
Signorie, ingenti somme partivano dall‟Italia per sovvenzionare le guerre dei sovrani stranieri e per
fondarvi rigogliosi centri commerciali.
Sappiamo che al tempo Crociate, Pisa, Genova, Venezia, forti della loro tradizione marinara e
mercantile, diventarono l‟asse portante del commercio con l‟Oriente, dominando il Mediterraneo e
primeggiando nella competizione con gli altri Stati dell‟Europa occidentale. Importanti basi
commerciali costituirono a Tiro, Antiochia e in altre città dell‟Asia Minore, della Siria, dell‟Egitto.
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Tutto il Mediterraneo in questo periodo divenne veramente “Mare Nostrum.”
Nel XII secolo le città di Milano, Firenze, Venezia ebbero una crescita demografica molto rilevante,
rispetto al passato, al punto da superare i centomila abitanti. Il commercio delle armi diede un forte
respiro all‟economia milanese e richiamò molti contadini dalle campagne lombarde. Lo sviluppo dei
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Rimase però molto cammino da percorrere per competere con metropoli raffinate come
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traffici le conferì potere e prestigio sia nei confronti delle altre città che a livello internazionale.
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Costantinopoli, il Cairo, Bagdad, che tutte vantano popolazioni di mezzo milione di abitanti,
consolidate attività commerciali e splendide tradizioni artistiche
Anche Firenze diventerà una potenza economica grazie al commercio e alla vendita delle sue stoffe.
Alcuni mercanti accumuleranno tanti di quei fiorini d‟argento da fondare banche nell‟Europa
Settentrionale e da sovvenzionare, con i loro prestiti, contese politiche e guerre a papi e sovrani.
Con la decadenza politica dell‟Impero e del Papato, nascono nel Duecento le prime monarchie
nazionali e si costituiscono i regni di Francia, Inghilterra, Aragona, Castiglia.
Nel Sud dell‟Italia, Federico II fonda uno stato forte e unitario. A corte chiama come suoi
collaboratori poeti e intellettuali rinomati da ogni regione d‟Italia i quali danno vita, in
collaborazione dello stesso Sovrano, alla “ Scuola poetica siciliana”, primo tentativo di codificare e
diffondere una lingua comune in tutto il territorio nazionale.
Il Regno di Sicilia
Nel Regno di Sicilia si respirava allora una cultura cosmopolita, che risentiva delle precedenti
dominazioni greche, romane, musulmane, normanne.
Presso la corte di Palermo, svolgevano
mansioni amministrative funzionari molto colti e preparati, capaci di parlare il greco, il latino e
l‟arabo. Erano loro che gestivano il governo della cosa pubblica con molta competenza e
lungimiranza. Con l‟imperatore Federico II, uomo di vasta e profonda cultura, poeti e letterati,
filosofi e astronomi, teologi e scienziati, provenienti sia dall‟Oriente, che dall‟Occidente,
ravvivarono e diffusero il sapere del tempo, fiduciosi nei valori e nella forza unificante della cultura.
In Italia intanto si faceva strada un nuovo risveglio culturale, fondato sulla libertà di pensiero e sui
valori della classicità. Coinvolgerà tutto l‟Occidente e dispiegherà il suo massimo potenziamento
con l‟Umanesimo e il Rinascimento.
Le esplorazioni
Tra il Duecento e il Quattrocento, gli italiani scoprirono la Cina, l‟Africa, l‟America. Italiani
furono Cristoforo Colombo, Antonio da Noli, Antonietto Usodimare ( tutti e tre genovesi);
Alvise
Cadamosto, Giovanni e Sabastiano Caboto( veneziani); Amerigo Vespucci e Giovanni da
trasformare i loro remi in ali prodigiose per i loro “folli voli.” Solcarono mari e oceani, scoprirono
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Si tratta di grandi esploratori che, spinti dal bisogno di conoscere, sull‟esempio di Ulisse, seppero
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Verrazzano ( toscani).
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nuove terre, ma non le occuparono. Restarono migranti e” passarono con indifferenza dal servizio
di uno Stato all’altro. Scoprirono la globalità, ma rifiutarono di gestirla. Dietro di loro ci furono
centinaia di operai e di specialisti italiani, banchieri genovesi e fiorentini di Siviglia, di Lione, di
Rouen” ( L. Incisa di Camerana, Il grande esodo, Corbaccio Editore, Milano 2003, p. 18).
Tanti furono pure i missionari italiani, partiti per diffondere il messaggio evangelico, alcuni dei
quali saranno apprezzati anche come architetti e abili organizzatori di servizi sociali fra le comunità
delle nuove terre d‟approdo.
Questo fermento esplorativo, mercantile e religioso insieme, si dissolverà lentamente, in
conseguenza della scoperta dell‟America, un secolo e mezzo dopo, intorno alla seconda metà del
Seicento, quando le rotte atlantiche saranno dominate dalle flotte dell‟Olanda e dell‟Inghilterra.
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L’EMIGRAZIONE VERSO L’EUROPA E OLTRE OCEANO
L‟emigrazione italiana si dirige per molto tempo verso le regioni del Nord Europa. Solo dopo la
scoperta dell‟America e con il progresso dei mezzi di trasporto via mare si dirigerà oltre oceano.
La Francia è fra i primi Stati a favorire, sotto il regno di Luigi XI, il movimento immigratorio
dall‟Italia. Lione accoglie in questo periodo tanti immigrati da diventare per buona parte una città
italiana…
Carlo VIII, sceso in Italia per conquistarla, rimase talmente affascinato dallo stile di vita delle nostre
città e dalle loro bellezze artistiche da restarne letteralmente conquistato. Ritornato in Francia,…
volendo abbellire l‟architettura del proprio Paese e le dimore nobiliari, arricchì il suo seguito di
architetti e ingegneri italiani, maestranze specializzate nella lavorazione dei marmi e del legno.
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L‟emigrazione italiana si dirige anche verso la Spagna, fin dal tempo delle Crociate e durante la
guerra di liberazione della parte meridionale dal dominio musulmano. In particolare Genova, con le
sue navi e le sue maestranze, ( maestri d‟ascia, armigeri), i suoi marinai e condottieri si rivelò
determinante nella liberazione della Spagna, da cui ottenne riconoscimenti, compensi e vantaggiose
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basi commerciali.
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Isabella di Castiglia, sul finire dell‟anno 1492, patrocina il viaggio di Cristoforo Colombo
con il proposito di scoprire la via occidentale per le Indie. Il grande Genovese non s‟accorge di avere
scoperto invece un nuovo continente, che da lì a poco sarà chiamato America.
Alcuni banchieri fiorentini … approfittano della circostanza e sovvenzionano il viaggio di Colombo,
riuscendo così ad entrare nel nuovo mondo e aprire nuove vie commerciali con la madrepatria.
La scoperta dell’America produrrà grandi rivolgimenti in Europa e in particolare in Italia.
Il Mediterraneo, già al centro delle comunicazioni, perderà la sua importanza a favore dell‟Atlantico.
“ L‟Italia, dopo avere dato il maggiore contributo alla scoperta dell‟America, ( Colombo, Vespucci,
Caboto) cessò di avere il monopolio commerciale tra l‟Europa e l‟Oriente.
Con Colombo, purtroppo, e con i suoi equipaggi e con tutti gli altri europei arriveranno in
America miliardi e miliardi di esseri invisibili: i virus del vaiolo, del morbillo, della pertosse, della
rosolia, degli orecchioni e dell‟influenza, seminando morte tra le popolazioni indigene, molto di più
che con le armi da fuoco.
In compenso, il nuovo mondo regalerà all‟Europa la lue o sifilide; malattia detta a suo tempo” morbo
francese” per la diffusione che assunse in questa Nazione.
Le importazioni che cambiarono l‟economia e l‟alimentazione dell‟Europa furono diverse: oltre alle
immense quantità di oro e argento, arrivarono il mais, le patate, i fagioli, i pomodori, i peperoni,
l‟ananas, il cacao, il tabacco, le droghe, il tacchino, altri frutti tropicali e altre specie di animali
Anche il fico d‟India, che deve questa denominazione al fatto che le nuove terre americane furono
all‟inizio scambiate per terre dell‟India.
Mais, patate e pomodori favoriranno in Europa lo sviluppo demografico, data la loro coltura di tipo
estensivo anche nei luoghi più difficili e considerato il loro uso generalizzato nella quotidiana
alimentazione.
La scoperta di Colombo produsse tali e tante conseguenze sul piano socio-economico e commerciale,
politico, da fare coincidere proprio quella data, il 1492, con la fine del Medio Evo e l’inizio dell’Età
Moderna.
Il Rinascimento italiano
Nel Cinquecento inizia la decadenza politica dell‟Italia, ma si rafforza quella culturale.
Stato Pontificio. Unico Stato che si preoccupa di costituire un esercito nazionale forte e bene
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egoismi municipali, che per le cupidigie espansionistiche dei Sovrani di Spagna e Francia, dello
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Anche se ricca, civile e popolata da circa 11 milioni di abitanti, militarmente è debole sia per gli
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organizzato, insieme a una flotta, è quello del piccolo Piemonte. Siamo “ i portinai d‟Italia”,
solevano ripetere i Principi sabaudi, riferendosi alle mire espansionistiche della Francia e della
Spagna e destreggiandosi con acume politico fra queste due grandi potenze.
Tra il 1494 e il 1559... il messaggio culturale e gli ideali estetici del Rinascimento si diffondono in
Europa e diventano il modello da imitare e da trasmettere ai posteri.
La crisi economica purtroppo spinge all’espatrio gli artisti italiani, attirati dalla prospettiva di lauti
guadagni e di posizioni di prestigio presso le corti europee.
Tra il 1530 e il 1550, la corte di Francesco I, che aveva già ospitato Leonardo ( 1516-1519) e altri
artisti provenienti da Roma e dall‟Emilia, ospita Benvenuto Cellini, proveniente da Firenze,
Sebastiano Serio da Venezia, il Vignola, da Roma. Alcuni artisti resteranno in Francia fino all‟ultima
fase della loro attività. Altri vi troveranno dignitosa sepoltura.
Non mancano intorno a questa temperie culturale gli aneddoti più o meno leggendari: Leonardo
muore tra le braccia di Francesco I; Carlo V si china per raccogliere il pennello sfuggito dalle mani
di Tiziano e, per non fare scandalizzare il cortigiano presente, dice: “Tiziano è degno di essere
servito da Cesare- Ci sono molti Cesdari, ma un solo Tiziano- “
L’emigrazione in Inghilterra
Anche in Inghilterra arrivano, dall‟Italia del Nord, sul finire del XIII secolo, banchieri e operai,
maestranze specializzate e commercianti.
Vi arrivano anche due navigatori intraprendenti e di grande coraggio, i Caboto, padre e figlio, che
scopriranno l‟America del Nord………..
In questa nazione, nell‟immaginario collettivo si diffonde, a causa di una sparuta minoranza di
nostri connazionali col vizio della trasgressione, un prototipo di italiano affarista e …cantastorie,
mercante avido e senza scrupoli, saltimbanco e manutengolo: uno stereotipo in negativo che non
compromette, né vanifica il ruolo di quanti, con il loro sacrificio, le loro scoperte e l‟ intelligenza
creativa, diedero un silenzioso contributo al progresso economico, sociale e civile dell‟Inghilterra.
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L’EMIGRAZIONE DOPO IL 1860
I flussi trans-oceanici
L‟emigrazione italiana nel mondo, continua al seguito degli esploratori e dei mercanti italiani
anche nei secoli successivi, sia pure in misura molto più ridotta.
Ma è dopo il 1860 che diventa una valvola di sfogo per milioni di italiani che non riescono più a
sopravvivere nelle campagne, nei borghi rurali, sia per l‟estrema indigenza che per le malattie, per
l‟abbrutimento prodotto da un lavoro male retribuito e a ritmo forzato.
L‟emigrazione verso le città andò a incrementare un fenomeno da tempo in atto, quello
dell‟urbanizzazione, spingendo ulteriormente il diffondersi della rivoluzione industriale.
Il Milleottocento è un secolo che vede non solo emigrare Italiani, ma anche Scandinavi, Tedeschi,
Anglosassoni, Spagnoli e Portoghesi, Austro- Ungarici, Russi. E‟ un vasto esodo europeo verso le
Americhe, provocato da fattori diversi, fra cui assumono particolare rilievo l‟aumento demografico
e la crisi economica..
Pure dalla Gran Bretagna emigrano in massa, per l‟aumento della manodopera che viene dirottata
verso gli Stati Uniti e l‟Australia, dove si parla l‟inglese.
“ Complessivamente, tra il 1821 e il 1915, gli espatri di cittadini europei verso tale meta furono 29,2
milioni, di cui 8,2 milioni dalla Gran Bretagna e dall‟Irlanda, quasi 2 milioni dalla Scandinavia, 5
milioni e mezzo dall‟impero tedesco, 4 milioni dall‟impero austro-ungarico, 4 milioni dall‟Italia, 3
milioni e trecentomila dalla Russia”.
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I flussi migratori trans-oceanici che si determinano in questo periodo possono essere raggruppati in
due grandi ondate:
-la prima muove dal Nord Europa ed è rappresentata prevalentemente da Scandinavi, Anglosassoni e
Tedeschi diretti verso gli Stati Uniti.
-La seconda ondata, che abbraccia buona parte del secondo Ottocento e gli inizi del Novecento,
assume due direzioni: una verso gli Stati Uniti e l‟altra verso L‟Argentina, il Brasile e altri Stati
sudamericani.
E’ rappresentata in maggioranza da Italiani, Spagnoli, Portoghesi..
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AA.VV. La Storia, vol. XI, La Biblioteca di Repubblica, Roma 2004, p. 57
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Il flusso migratorio verso gli Stati Uniti si attenuerà con la crisi economica del 1929.
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Molti siciliani, che agli inizi del Novecento emigrarono nell‟America latina, non riuscirono a
riscattarsi dalla miseria. Le storie dei pochi successi s‟intrecciano con pietose condizioni di vita di
tanti altri corregionali che lasciando l‟Isola si erano illusi di fuggire dalla miseria .
“ Arrivarono in Venezuela col mito della Merica…ora molti vivono con la mensa dei poveri. Altri
non ci vanno per vergogna”, titola il -Corriere della sera- del 27 ottobre 2004, a firma di Gian
Antonio Stella.
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E‟ andata male anche per tanti emigrati in
Argentina e in altri Paesi dell‟America latina dove, dopo un certo periodo di apprezzabile benessere,
a causa di impreviste contingenze storiche e sbagliate politiche sociali, l‟economia generale ha
subito battute d‟arresto, con grave danno per tanti nostri emigrati……………….
Per molti che non
hanno perso la cittadinanza italiana è un vero sollievo l’assistenza-pensione che ancora oggi
ricevono dallo Stato Italiano.
Il Risorgimento aveva tradito il sogno dei contadini e degli operai meridionali di riscattarsi dalla
secolare povertà. L‟Italia Meridionale e le Isole restarono fuori da significative trasformazioni del
latifondo e dalle agognate conquiste sociali. Le campagne continuarono ad essere lavorate con
attrezzi primordiali, abbandonate da una vera politica di
programmazione volta a favorire lo
sviluppo della produzione e a proteggerla dalla competizione commerciale internazionale. La crisi
agraria del 1880 fu molto pesante per larghe fasce della popolazione rurale e artigiana e si risolse in
una fuga di massa verso i Paesi d‟oltre oceano.
Il degrado economico e socio-culturale.
Dal 1881 al 1920 emigrarono verso le Americhe, in maggior parte dal Sud e dalle Isole,
circa 9 milioni di Italiani.
Questo espatrio in massa assunse un vero e proprio carattere alluvionale nel Sud e nella Sicilia. La
gente fuggiva dalla fame e dalle malattie, da una economia e da stili di vita di degradante
arretratezza. L‟Argentina, il Venezuela, il Brasile, gli Stati Uniti erano un miraggio che accendeva
la fantasia e teneva desti i sogni più belli di tanta povera gente.
Non mancava la falsa propaganda che incoraggiava ad espatriare senza le dovute precauzioni,
Occorreva fugare ogni
incertezza negli animi di chi era costantemente oppresso dalla difficoltà di guadagnare qualcosa per
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buona volontà per diventare proprietari terrieri o ricchi commercianti.
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rappresentando i paesi di approdo come luoghi ameni dalle infinite risorse, dove bastava un po‟ di
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sfamare i propri figli. Per molti le conseguenze furono disastrose, dirottati in luoghi malsani e
sperduti, da popolare.
Mediatori e faccendieri giravano per le borgate e le campagne, per convincere ad emigrare. Si
comportavano come nuovi negrieri avidi e senza scrupoli, che in certi periodi riuscivano a
schiavizzare braccianti e operai, ridotti allo stremo dalla denutrizione e dalla miseria..
La traversata degli oceani era quasi sempre una incognita carica di sinistri presentimenti. Le stive
delle navi si riempivano di esseri umani, costretti a dormire per terra, addossati gli uni agli altri, dove
l‟aria diveniva talmente mefitica da fare rivoltare lo stomaco anche a quelli che non soffrivano il mal
di mare.
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E’ triste constatare come la stessa storia si ripeta ai nostri giorni, con altri protagonisti che
arrivano in Italia in condizioni altrettanto rischiose e disperate.
L‟elenco dei naufragi è lungo. Gli annegati furono tanti. Nessuno più si ricorda di loro, né di tanti
altri i che riuscirono a raggiungere l‟America o l‟Australia.
Sembra la rimozione di una cattiva coscienza collettiva.
Sono stati i coloni italiani che con tenacia e resistenza hanno reso fertili in Argentina l‟immensa
distesa di terre incolte e selvagge, permettendo alle navi che da quei porti salpavano di trasportare
frumento e vino in Europa e in altre parti del mondo.
Ciò che ha gratificato i nostri emigranti, fatta eccezione dei pochi, immancabili episodi di razzismo,
è stata la consapevolezza di essere stati accolti ovunque con stima e rispetto, data la loro lealtà e la
forte volontà di adattamento anche ai lavori più umili e pesanti.
In gran numero oggi sono professionisti molto apprezzati e imprenditori, manager nel mondo del
commercio e nell‟industria.
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L’emigrazione dalla Sicilia.
Nei primi tempi dell‟emigrazione di massa, per le difficoltà di collegamento pochi siciliani uscirono
dall‟Isola.
Dopo il 1860, la nuova situazione unitaria,
piuttosto che risolvere in Sicilia
i problemi del
aumenta l‟imposta erariale dei terreni del sessanta per cento e quella del registro addirittura
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confisca dei beni ecclesiastici. Falliscono le fiorenti industrie della seta, del cotone e del tabacco;
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proletariato li aggrava, aumentando la disoccupazione fra i contadini e gli operai, specie dopo la
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dell‟ottanta; viene introdotta la tassa di successione, per cui i Siciliani diranno, con mordace
umorismo, “ il Re d‟Italia eredita anche dai nostri morti: è diventato nostro parente” .
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La Sicilia, con il suo capitale liquido, contribuisce più di ogni altra regione d‟Italia a risanare il
dissestato bilancio del nuovo Stato Italiano, senza alcuna ricaduta positiva per il rilancio della
propria economia agricola e aziendale.
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Quale fu la reazione a questo stato di cose? Da un lato il brigantaggio e le sommosse in parti diverse
dell‟Isola; dall‟altro l‟emigrazione.
Gli inizi dello Stato unitario sono pesanti quindi e molto difficili per la Sicilia, aggravati anche dalle
residue nostalgie borboniche
e dall‟ insofferenza verso una burocrazia savoiarda sprezzante e
persecutoria…. Alcune famiglie che nell‟ultimo periodo borbonico avevano dato un forte impulso
all‟economia dell‟Isola falliranno a causa della concorrenza delle industrie del Nord. Resiste fino agli
inizi del Novecento
la famiglia Florio, benemerita per le sue intraprendenze commerciali e
industriali e per avere istituito, nel 1906, la” Targa Florio”, con l‟intenzione di dare rinomanza
turistica alla Sicilia.
Il
latifondo, desolato nella sua conformazione e vivibilità, insieme all‟analfabetismo dilagante,
rappresenterà una vera calamità per il progresso della Regione. Bisognerebbe leggere le relazioni di
Giustino Fortunato sulle condizioni di vita dei Siciliani per comprendere a fondo il problema
dell‟emigrazione che finirà per spopolare, come in Calabria, interi paesi.
Picciotti siciliani e contadini, operai del Sud, veterani delle trincee della prima guerra mondiale,
continueranno l‟esodo in massa dalle loro terre per dirigersi verso gli Stati Uniti e il Brasile. Ma
anche in Argentina, dove rappresentano ancora oggi il ceppo più esteso di oriundi immigrati…..
Con l‟emigrazione di massa partono tre categorie sociali:
contadini veneti, siciliani e calabresi, disposti a lavorare la terra e a rifarsi una nuova vita, sorretti
dall‟etica dell‟impegno e dalla ferma volontà di integrarsi nel nuovo tessuto economico e socioculturale;
professionisti e maestranze specializzate, accompagnati dal desiderio di rientrare in Patria, appena
possibile;
vagabondi e sfaccendati d‟ogni genere, perdigiorno tuttofare, insofferenti di freno e pronti alle risse.
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Santi Correnti, Storia di Sicilia, Ed. Clio, Catania 1993, p. 259
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L’emigrazione nella narrativa.
Il dramma dell‟emigrazione, come abbiamo accennato, si fa sentire in ogni regione d‟Italia, si
ripercuote sugli affetti familiari e allontana i genitori dai figli, le mogli dai mariti, i figli dai genitori.
Nel racconto “ Dagli Appennini alle Ande”, Edmondo De Amicis ” ci fa rivivere, oltre ai pericoli
scioccanti delle lunghe traversate, il trauma dell‟abbandono.
Il protagonista, come si ricorderà, è un ragazzo di tredici anni, di nome Marco, il quale s‟imbarca a
Genova per raggiungere la Città di Buenos Aires, alla ricerca della madre che da un anno non dava
più notizie di sé. “ …Su quel grande piroscafo, affollato di contadini emigranti, solo, non conosciuto
da alcuno, con la piccola sacca che racchiudeva tutta la sua fortuna, stette accucciato per due giorni
come un cane a prua, non mangiando quasi, oppresso da un gran bisogno di piangere.
Quell‟immenso mare sempre uguale, il calore crescente, la tristezza di tutta quella povera gente che
lo circondava...
i passeggeri spossati, distesi e immobili, sulle tavole, parevan tutti morti. E il
viaggio non finiva mai: mare e cielo, cielo e mare, oggi come ieri, domani come oggi, ancora,
sempre, eternamente.” (E.De Amicis, Dagli Appennini alle Ande, in –Cuore- SEI Torino 1994, p.
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I nostri emigranti sognavano l‟America e la immaginavano popolata da brava gente disposta
a dar loro una mano per farli arricchire. Spesso si disperdevano fra le contrade di una terra
inospitale, costretti, per sopravvivere, a lavorare dall‟alba al tramonto, al servizio di nuovi padroni
più torvi ed accigliati di quelli conosciuti in Patria
Il Governo italiano, ora secondava il fenomeno, ora viveva con disagio il dramma dei nostri
emigranti e lo spopolamento delle nostri paesi agricoli, delle zone rurali del Veneto, della Campania,
della Sicilia.
In mancanza di una politica protezionistica, adeguatamente mirata allo sviluppo dell‟economia
rurale e urbana, e al controllo del fenomeno migratorio, gestito prevalentemente da sfruttatori d‟ogni
risma e nazionalità, si levavano in Parlamento e nel Paese accorati gridi di allarme da parte di
letterati e politici particolarmente sensibili al problema. Fiorì anche la narrativa sull‟emigrazione.
Il nostro Capuana, ne “ Gli Americani di Rabbato”, invita a non creare facili illusioni fra chi vive
Con lo stile che gli è proprio, inimitabile nel suo elegante verismo e nella caratterizzazione dei
personaggi, ironizza sulle favolose ricchezze dei paesi d‟oltre oceano, a portata di mano degli onesti
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più cari.
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nell’indigenza ed è troppo debole per resistere alla tentazione di abbandonare tutto, anche gli affetti
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lavoratori siciliani, e ci fa riflettere con profonda tristezza sulle condizioni di arretratezza dell‟Isola e
sulla miope politica del Governo centrale.
Parla di Carmine Leotta, denominato “Coda Pelata”, che rientrato per una breve vacanza in Paese,
parla dei suoi successi in America, usando un linguaggio molto colorito e mostrando le dita piene di
anelli. Aveva messo su una bottega di barbiere, grazie all‟aiuto di un ricco signore, che gli aveva
dato spontaneamente in prestito trecento dollari…… “ ,
…E la mia fortuna era fatta! Glieli ho restituiti?Ma che!- Ziff, zaff, ziff- e in meno di sei mesi ,
compensati; quel signore voleva essere raso una volta al giorno. Pareva che provasse un gran gusto a
farsi insaponare la faccia in un nomine patri”…
I giovani del paese e gli amici lo ascoltavano affascinati : sarebbero rimasti nottate intere a sentirlo
parlare di quei paesi dove “ bastava stendere il braccio per afferrare manate di quattrini…… Vi
dicono: volete dei terreni? Prendeteli; li pagherete poi. Intanto, coltivateli… “ 3
A causa dell‟emigrazione, molti affetti si spezzano senza alcuna prospettiva di ricomposizione:
“abbiamo il cuore a pezzi per il mondo” dirà Mario Gori, il
poeta niscemese, nel secondo
dopoguerra.
…………………………………….
“ Sono fuggito di notte,
nessuno m‟ha visto partire
con la valigia rotta
dei vagabondi illusi e disperati”… ( Vagabondaggio).
………………………………
“ A quest‟ora son tombe al mio paese
le case e il vento dondola ai crocicchi
le lampade, la piazza è già deserta
ed i santi di pietra son rimasti
umiliati in penombra. …
...Come un ramingo sono andato via
con la lacrima grossa del rimpianto
alle strade che amai, alle finestre
dove appesi i bei sogni dei vent‟anni,
3
Vedi al riguardo anche E. Scuderi, Un romanzo di Luigi Capuana sull‟emigrazione, in – Il ritorno degli emigratiBonanno Editore 1877, pp. 62-63
Pagina
15
un garofano rosso, una canzone…” (Notturno Pisano).
16
Nella lirica –Emigranti-, usando un registro declamatorio e da evento luttuoso, scrive:
“ E molti vanno in cerca di fortuna
col sacco derelitto…
……
“Nel catoio dolente messi a circolo,
portiamo pacchettini di trinciato
e si pena a sorridere
come se in mezzo si vegliasse un morto.
- Se lo vedi mio padre…- E se incontri mio figlio…abbiamo il cuore a pezzi per il mondo…4
……
Versi spontanei, semplici e accorati scrisse il poeta Francesco D‟Agostino, durante la sua
vita di emigrato a Venegono Superiore, in provincia di Varese. La sua esperienza di contadino
niscemese, costretto a lavorare dall‟alba al tramonto nei feudi e nelle terre del massaro, e di operaio
del Nord, è una dolorosa testimonianza poetica, in cui si ritrovano amore per la terra natale e
ribellione contro la mala sorte; gratitudine per la Provincia che lo ha benevolmente accolto e
nostalgia delle piccole cose lasciate, che sonnecchiano avvolte nella penombra del ricordo.
Nella prima raccolta,“ Una Valigia, tanti sogni”,
5
il tema dell‟emigrante fa da sfondo agli
sfoghi lirici del Poeta, ex giornaliero di campagna, che si è lasciato alle spalle “ il tanfo delle stalle /
e lo scalciare dei muli /che imbottivano il cervello fino al delirio” ( Il Bracciante).
Ne “ Il treno dei sospiri” evoca la -Freccia del Sud-, il cui “fischio di partenza/ ingroppava le gole a
mamme, spose e figli,
mentre il morso dell‟addio crudele
fra le grida ammutoliva il cuore
e sprigionava l‟urlo della ribellione
per quella società di fichidindia
Per i brani riportati, vedi l‟interessante volume: G. Blanco ( a cura di ), Mario Gori, opera poetica, Randazzo Editore,
Gela 1991
5
Francesco D‟Agostino,- Una valigia, tanti sogni-, Iblea Grafica, Ragusa 1998
Pagina
4
16
che si giocava le generazioni.”
17
Giuseppe La Delfa, giornalista
e poeta, in più di un‟occasione ha ricordato i drammi che
accompagnano la vita degli emigranti. In una sua apprezzata lirica si sofferma sul valore semantico
della parola “ emigranti” per rappresentare i vissuti esistenziali di chi è costretto, per fuggire dalla
miseria e dalla fame, ad abbandonare la propria terra, portandosi appresso il conforto della preghiera
e il cielo stellato, verso cui rivolge nell‟ora tarda del riposo uno sguardo carico di nostalgia.
Emigranti vuol dire anche “ partenze e rientri; non soffrire sete, né fame; guardare il mondo in un
altro modo”
…“ Emigranti cchi vo diri?
Partiri e turnari nautra vota
Non patiri cchiù siti,
fami, dibulizza…
Stu poviru Cristu luntanu
Talia lu munnu
Di nautra manera…”
Nell‟immediato II dopoguerra, interi quartieri del mio paese, Niscemi, si spopolarono per
l‟emigrazione. Molti partirono per l‟Argentina, dove pensavano di trovare la vera America. Qualche
anno dopo si dirigeranno, con maggiore fortuna, verso le regioni italiane del triangolo industriale.
Fu una vera emorragia di forza lavoro che dal Sud e dalle Isole si diresse anche verso la Germania, la
Svizzera, la Francia.
I bambini che si allontanavano al seguito dei genitori si portavano appresso il trauma del distacco
dai compagni di gioco, dagli amati angoli delle vie del paese, dove in gruppo si radunavano per
vivere insieme i momenti gioiosi della loro infanzia, i giochi di movimento festosi e chiassosi, nelle
lunghe serate estive, rischiarate dalla luna che illuminava a giorno il quartiere.
Ne ricordo tanti di quel tempo! Avevano tutti un soprannome: Peppitto, Battagghiuni, Cianciulinu,
Paparedda… tutti ragazzi di scuola, che salutai con un nodo alla gola e che non ho rivisto più. I primi
anni diedero notizia di sé: chi lavorava in botteghe artigiane e chi in proprio, col papà: dopo, non si
seppe più nulla. Assorbiti nel nulla.
Diverso sarà il loro destino con l‟emigrazione nei paesi del Nord Europa ( Francia, Svizzera,
consentito di frequentare una scuola nel cui curricolo è previsto il bilinguismo: cioè
l‟apprendimento della lingua che vi si parla e quello della lingua madre.
Pagina
loro
17
Germania) dove, in virtù di opportuni accordi bilaterali tra lo Stato Italiano e il paese ospitante, sarà
18
I
ragazzi
che
emigrano
al
seguito
delle
famiglie
vivono
un
doppio
trauma:
…………………………………………………………………………………………………………
………………………………….. il contrasto fra i modelli culturali dei genitori e quelli proposti dal
nuovo
ambiente
e
dai
nuovi
compagni
di
scuola
e
di
svago.
Una
lacerazione
……………………………
Molti, sul finire degli anni Cinquanta e negli anni Sessanta approderanno
in Piemonte e in
Lombardia, dove troveranno facile occupazione. Quelli che rientreranno, anni dopo, nel paese di
origine, dovranno rivivere il disagio del nuovo inserimento. Disagio che in qualche caso diventa
nuovo trauma, specie quando il ritorno è accompagnato da un senso di sconfitta, dalla delusione
provata per avere fallito l‟occasione del riscatto sociale ed economico.
Le canzoni dell’emigrante
La partenza è sempre triste e dolorosa, sia per i parenti rimasti, che per gli amici. Chi ha l‟estro della
poesia in vernacolo scioglie il nodo alla gola in versi accorati e spontanei, per ricordare ora una
moglie in attesa del richiamo per l‟America, ora la ragazza che parte con un contratto di matrimonio
( nozze con la “ procura”), ora l‟anello di fidanzamento ricevuto.
…Un antico canto popolare, intitolato “Maremma amara”, ci parla delle migrazioni interne, velando
di tristezza anche la sottile ironia che lo pervade.
Una donna racconta che il suo uomo l‟ha dovuto lasciare per recarsi nella Maremma Toscana, in
cerca di lavoro. In questa terra malsana anche “ l‟uccello che ci va perde la penna,” muore cioè
per le febbri malariche e il degrado ambientale.
Verso la fine dell‟Ottocento, in Italia le contraddizioni sociali esplodono in manifestazioni di
piazza e in sommosse anche cruente. In Sicilia, nel 1893 e poi in Lunigiana, a Milano scoppiano
gravi disordini. Molti manifestanti muoiono per la dura reazione della polizia….
La sospensione
dell‟esportazione delle arance dalla Sicilia per la rottura dei rapporti commerciali con la Francia,
l‟aumento delle imposte per pareggiare il bilancio dello Stato, la vessatoria presenza di una
Umberto I.
Pagina
1900 e al regicidio di Monza, dove viene ucciso per mano dell‟anarchico Gaetano Bresci il re
18
burocrazia fredda e distaccata, gestita dalle classi agiate, fanno traboccare il vaso. Si arriva così al
19
Il momento è drammatico, sia sul piano politico, che per le condizioni economiche del
popolo. I lavoratori, organizzati in partiti, sfilano per le piazze e chiedono il riconoscimento dei loro
più elementari diritti.
Il 1° Maggio, dal 1890, diventa la loro festa. Fra le rivendicazioni, chiedono un orario di lavoro più
ridotto: non più “da luce a luce” come si diceva allora, ma di otto ore. E‟ il sogno della triplice
ripartizione della giornata: 8 ore per il lavoro; 8 per il riposo; 8 per gli svaghi.
Nel 1896 viene eseguito a Milano “ L‟inno dei lavoratori”, composto da Filippo Turati e musicato da
Amintore Galli.
All‟inizio del Novecento si canta “ Mamma mia, dammi cento lire/ che nell‟America io voglio
andare”. Il fenomeno migratorio interessa tutta l‟Italia. Si diffonde questa canzone veramente triste e
malinconica, che non fa presagire momenti sereni per la povera gente. O si parte per l‟America, o ci
si arruola volontari per andare in guerra.
“ Mamma mia, dammi cento lire
perché in America voglio andare.
Cento lire io te li do,
ma nell‟America no, no, no.
Se nell‟America non vuoi che vada,
Volontario ne andrò a soldato…
… Ma se per caso dovrò perire.
Lassù nel cielo Ti rivedrò”.
I lavoratori, che sul finire dell‟Ottocento si riunivano in “ fasci” per testimoniare insieme le loro
esigenze e la volontà di riscatto, all‟inizio del Novecento si raggruppano in “ leghe”.
Pietro Gori, avvocato e poligrafo anarchico, emigrato in Svizzera, scrive “Addio Lugano bella” in
conseguenza delle restrizioni poste dal Governo elvetico ai fuoriusciti, con le quali intimava loro di
rinunciare ad ogni attività politica o di abbandonare l‟accogliente rifugio della Svizzera.
…………………………………….
Insieme alle canzoni celebri, sboccia nel cuore di tanti poveri esuli, e di chi rimane in attesa, la
poesia popolare. Anche a Niscemi.
svolge nei confronti dell‟animo umano, che per raccontare, ricordare, analizzare fatti ed eventi di
Pagina
. La poesia in lingua dialettale è molto diffusa nei nostri paesi, sia per la funzione rasserenatrice che
19
Emigrazione e poesia dialettale a Niscemi
20
particolare importanza per l‟autore. Molte si soffermano sull‟odissea migratoria per rappresentare i
momenti dell‟addio, le sofferenze del distacco, il ricordo degli amici e del paese della memoria.
…………………………….
Alla partenza spesso s‟accompagna il richiamo del quartiere dove è rimasta ad attendere la
donna amata. “ Nti stu quartieri cc‟è la calamita/ sempri aiu lu senziu vastatu/.La facciuzza mi la teni
sculurita, pinzannu la partenza sciallarata. /Nti lu me cori ci aiu na firita/ chi lassu la ma gioia
nnulurata. Si Diu mi runa tempu e longa vita/, speru chi ni
virimmu n‟atra vota”
(Domenico Di Modica).
( In questo quartiere c‟è una calamita/ che fa vaneggiare la mia mente./ La faccia mi si
empie di pallore /, pensando alla partenza scellerata./ Nel mio cuore ho sì gran ferita/ perché lascio la
mia donna addolorata./ Se Iddio mi darà tempo e lunga vita/ Spero di rivederla un‟altra volta).
A volte, a partire è la ragazza dei propri sogni, che lascia dietro di sé un accorato rimpianto:
“ Quannu passu ri cà, passu ciancennu/: Chidda chi sempri amavu, nun rispunni…” dice
l‟innammorato mentre passa e ripassa dalla vecchia strada in cerca di notizie: ma nessuno sa dirgli
dove sia andata a finire la ragazza del suo cuore.6
……………………………
Anche Giovanni Parisi Avogaro esprime in versi semplici e sofferti la sua esperienza di emigrato
in più di una lirica. . In – La vita di lu poviru emigratu- dopo avere motivato l‟inderogabilità della
partenza, scrive:
“ Chista è la vita di l‟emigratu/ ca ppi manciari li peni ha patutu;/ ppi lu pani lu sangu ha lassatu/
ngiru ppi lu munnu sinn‟aiutu./ Di lu so amuri sinn‟ha dispisatu/ ccussì lu so distinu ha
vulutu/.Chistu nun cridi cu nun cià passatu/ la vita di lu poviru vinnutu”.7 La vita dell‟emigrato, dice,
è tappezzata di patimenti: “ per il pane ha versato sangue/è andato in giro per il mondo/ e s‟è dovuto
privare anche della donna amata./Non può immaginare queste esperienze chi non ha vissuto/ la vita
6
I versi citati sono stati tratti dal libro di A. Marsiano, Canti popolari niscemesi, Lussografica C/ssetta 1988
Pagina
20
del povero venduto/. ……
21
L’infanzia tradita
Gli italiani, nel periodo delle emigrazioni in
massa, facevano di tutto nelle terre di
accoglienza: lavoravano nei campi e nelle industrie, nelle botteghe artigiane e nel piccolo
commercio. Non mancavano fra di loro i suonatori e i cantanti, i poeti popolari e quelli che vivevano
di piccoli espedienti.
Quelli che pativano di più i disagi e il trauma dell‟emigrazione erano i bambini, verso i quali molto
spesso un irresponsabile costume di sfruttamento spingeva le attenzioni deleterie di loschi individui
dalla discutibile calibratura morale.
Lo sfruttamento precoce dell‟infanzia era generalizzato. Sia nelle campagne che nelle città, nelle
cave di pietra e nelle miniere, i bambini faticavano a crescere, oppressi da un destino di miseria e di
malattie paurose.
Piccoli accattoni denutriti e a volte appositamente mutilati e storpiati per ottenere la pietà dei
passanti, accucciati agli angoli delle vie o nelle piazze delle grandi città d‟America e di Europa,
tendevano la mano, al servizio di adulti senza scrupoli, che su di loro lucravano in modo disumano.
Affidati o venduti a mercanti che promettevano ai loro genitori un avvenire di benessere e di
sicurezza sociale, diverso da quello che li attendeva nella madre patria, molti non riuscivano a
raggiungere l‟età adulta.
Una testimonianza del degrado morale dovuto alla miseria troviamo ne- Il piccolo patriota
padovano-, il primo racconto mensile di “ Cuore”, che si conclude con l‟esaltazione dell‟amor di
Patria, in un momento storico in cui, fatta l‟Italia, bisognava anche fare gli italiani.
Racconta il De Amicis che su un piroscafo, partito da Barcellona e diretto a Genova, viaggiavano
francesi, italiani, spagnoli e svizzeri. Fra questi un ragazzo di 11 anni, gracile e mal vestito, il quale
due anni prima era stato venduto dai genitori “ …al capo di una compagnia di saltimbanchi… che se
l‟era portato a traverso alla Francia e alla Spagna .
Arrivato a Barcellona, non potendo più reggere alle percosse e alla fame, era corso a chiedere
protezione al Console d‟Italia, il quale, impietosito, l‟aveva imbarcato su quel piroscafo… per
rimandarlo ai suoi parenti…”
gruzzolo sperava inoltre di essere meglio accolto dai suoi genitori.
Pagina
di potere così acquistare una nuova giacchetta e sostituire i cenci che portava addosso; con un simile
21
Tre passeggeri stranieri, presi da compassione, gli diedero dei soldi, che il ragazzo accettò, pensando
22
I tre passeggeri però, eccitati dal vino che bevevano, presero a parlar male dell‟Italia; al che il
ragazzo, ferito nel suo orgoglio di italiano, gettò in faccia ai tre stranieri i soldi ricevuti, dicendo:
“ripigliatevi i vostri soldi; io non accetto l‟elemosina da chi insulta il mio paese.”
8
Verso l‟estero c‟era stato un movimento migratorio anche prima del 1800, alleggerendo le
patrie galere di ribaldi e scomodi cittadini con il vizio della disobbedienza e dell‟insurrezione, senza
però fare presagire le proporzioni che da lì a un secolo avrebbe rappresentato l‟emigrazione per
l‟Italia: un‟altra Italia sparsa per il mondo: un‟altra storia degli italiani, poco conosciuta nella
madrepatria, ma altrettanto importante come quella ufficiale che si studia nelle scuole. E degna di
essere studiata.
Conclusione
All‟estero, tra gli emigrati italiani, cessò ogni forma di chiusura regionalistica, specie là dove i
processi di integrazione venivano ostacolati, in qualche caso, da pregiudizi etnico-razziali, come
negli Stati Uniti. I nostri emigranti, accomunati dalla stessa bandiera, si sentirono subito italiani, figli
di una Patria comune, solidali tra loro e disposti alla reciprocità delle relazioni sociali, fondate sulla
disponibilità e sulla partecipazione. Il senso di appartenenza, invocato e professato inizialmente a
scopo di difesa e come meccanismo di compensazione, valse a creare un costume e uno stile italiani,
connotati da forte attaccamento al proprio lavoro e da grande laboriosità. Né si attenuò quando
sorsero e si estesero in ogni città i circoli e le associazioni regionali che, nel rispetto della loro
specificità, riuscirono invece a tener desti e a rinsaldare sempre di più i superiori valori nazionali.
In questo senso, e proprio all’estero, i nostri emigrati si sono sentiti veramente italiani, più
che in Italia, coesi e in sintonia con i valori della tradizione storica e culturale della patria lontana.
Una coesione che giovò alle nostre relazioni internazionali, grazie anche alla ricchezza di iniziative
e di personalità che apportarono nelle nuove terre, insieme alla forza-lavoro, i valori di una cultura
antica, fondamentali per la convivenza democratica.
In questa prospettiva, i nostri emigranti, con il loro lavoro, le loro tradizioni, i legami mantenuti con
la Madrepatria, devono essere ritenuti protagonisti benemeriti di italianità nel mondo.
Non va dimenticato peraltro il ruolo che hanno svolto, come abbiamo già accennato, con le loro
rimesse, in tempi di estrema disoccupazione e di grave depressione economica, nei confronti della
8
Edmondo De Amicis, Il Piccolo patriota padovano, in –Cuore- Ed. SEI Torino, pp.15-16
Pagina
22
dei paesi di origine.
23
Il rientro definitivo in Italia, da parte di molti, non solo ha significato nuovi investimenti di capitali,
frutto di risparmi e di duro lavoro all‟estero, ma anche una nuova visione della vita, nuove
prospettive valoriali che hanno influito sull‟evoluzione dei costumi e sulla mentalità delle varie
collettività territoriali.
Anche i nostri corregionali sono rientrati ( fatta eccezione per i ritorni forzati) con una nuova
mentalità che, senza ripudiare quella delle origini, si è senza dubbio arricchita di nuove potenzialità
che hanno incoraggiato lo spirito di iniziativa e l‟intraprendenza negli affari, il rifiuto della
rassegnazione fatalistica, comportamenti meno retrivi e più disponibili alla partecipazione. Insomma,
un nuovo modo di intendere la vita personale e i rapporti con gli altri, che ha influito certamente in
senso positivo sulla propria economia e su quella isolana, sulla trasformazione dell‟ambiente socioculturale da medioevo che, emigrando, si erano lasciati alle spalle.
……………………………continua da qui
Purtroppo, dalla Sicilia si continua a partire ancora oggi, a causa di un secolare immobilismo che le
ha impedito di sfruttare convenientemente le sue innumerevoli risorse umane ed economiche,
costringendo persone d‟ogni età e ceto sociale a cercare lavoro altrove, compreso l‟estero. Si
appalesa chiaramente nella sua profonda verità, ancora una volta, l‟amara constatazione fatta da
Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne -Il Gattopardo- quando scrive che la Sicilia è” irredimibile … e
non vuole essere svegliata dal suo sonno secolare” .
Una buona scuola dovrebbe cominciare a riflettere sui perché di questa condizione da perenne
sottosviluppo economico e strutturale; dovrebbe, attraverso i saperi essenziali e più significativi,
educare all‟intraprendenza, all‟autonomia di giudizio, a una più avvertita deontologia professionale,
senza attendere che altri risolvano i problemi dell‟Isola. Le ultime valutazioni fatte da organismi
internazionali sugli standard formativi raggiunti dai nostri ragazzi sono troppo note e deludenti per
continuare a parlarne. Tutta la pubblica amministrazione però, e non solo la scuola, deve fare la sua
parte, per costruire insieme una nuova prospettiva di vita, contro ogni forma di vaniloquenza,
dilettantismo, pigrizia e dipendenza intellettuale.
Nell‟arco di un secolo, fino al 1980, sono emigrati, lo abbiamo già accennato, secondo stime
( distinta quindi dal numero degli emigrati di data recente), che raggruppa generazioni diverse,
raggiunga il numero di 60 milioni. In Argentina, quasi la metà della sua popolazione è fatta risalire
Pagina
nazionale. Si stima inoltre che attualmente, la categoria delle popolazioni di discendenza italiana
23
attendibili, circa 26 milioni di italiani, più di quanti ne avesse avuti l‟Italia al momento dell‟unità
24
alla componente italiana. “Negli Stati Uniti, gli italo-americani, uno dei gruppi più dinamici e
influenti anche sul piano economico e commerciale, secondo i dati del censimento del 1990 hanno
raggiunto il numero di 15 milioni” 9
Fra gli italiani emigrati all‟estero, molti si sono affermati, per la loro intraprendenza, la loro audacia,
9
E. Stolfi, Italiani nel mondo, Mondadori Milano 2003, p.18
Pagina
24
la loro capacità progettuale …
25
Appendice
Emigrati niscemesi dal 1901 AL 2007
______________________________-Periodo di 10 anni
per altri Comuni
per l‟estero
totale popolazione
annotazioni
Residenziale a fine
decennio
27
283
357
2750
2666
4783
7431
4399
391
10
14168
16542
10
20991
23978
25875
25409
26920
26959
11
12
Periodo
per altri comuni
per l’estero
Dal 1991 al 2000
Dal 2001 al 2007
2992
2538
264 13
1313
Dopo il 1932, l‟emigrazione per l‟estero si ferma fino al 1949.
I dati statistici sopra riportati sono stati attinti dal volume di A. Marsiano, __________________
12
Per questi dati , attinti dall‟Ufficio Statistiche del Comune di Niscemi, mi sono avvalso della collaborazione di:
Loredana Ragusa, assessore pro tempore alla P.I, e di Salvatore Militello, che ringrazio sentitamente.
13
I dati relativi all‟estero si riferiscono agli anni 1991-1995
11
25
Emigrati niscemesi dal 1991 al 2007
2693
1406
840
316
59
374
395
1638
57
Pagina
DAL 1901 al 1910
“ 1911 al 1920
“ 1921 al 1930
“ 1931 al 1932
“ 1950
“ 1951 al 1960
“ 1961 al 1970
“ 1971 al 1980
1981------------
26
BIBLIOGRAFIA
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-AA.VV. La Storia, La Biblioteca di Repubblica, Roma 2004
-Gian Antonio Stella, Odissee, Edizione del Corriere della sera 2004
-Gian Antonio Stella, L‟orda, Rizzoli Milano 2002
-A. Martellini, Storia dell‟emigrazione italiana, Donzelli Editore
-E. Stolfi, Italiani nel mondo, Mondadori Milano
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-E. Scarzanella, Italiani malagente. Immigrazione, criminalità, razzismo in Argentina, Franco Angeli
Editore, Milano 1999
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- Grazia Dore, La democrazia italiana e l‟emigrazione in America, Morcelliana, Brescia 1964
- Salvatore Bono, Corsari nel Mediterraneo. Cristiani e Musulmani fra guerra, schiavitù e
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-Aldo Garosci, Storia dei fuorusciti, Laterza, Bari 1953
- A. Marsiano, Canti popolari niscemesi, Ed. Lussografica, Caltanissetta 1988
- Ferruccio Macola, L‟Europa alla conquista dell‟America Latina, Ongania, Venezia 1894
- Ruggiero Romano, Paese Italia. Venti secoli di identità, Donzelli Editore, Roma 1994
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