emigrazione italiana
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ECONOMIAeAMBIENTE L’emigrazione transoceanica Arrivo di emigranti italiani a New York, 1920 «Non piangere ohi bella se devo partire se devo restare lontano da te / Non piangere ohi bella non piangere mai che presto vedrai ritorno da te / addio alla mia terra addio alla mia casa addio a tutto quello che lascio quaggiù / o tornerò presto non tornerò mai soltanto i ricordi io porto con me». Inizia così Parto no i bastime nti, una delle tantissime canzoni popolari dedicate all’emigrazione, che in poche parole descrive quanto fosse difficile ma necessario lasciare la propria casa. A partire dalla fine degli anni ’60 dell’800, ebbe inizio in Italia il fenomeno dell’emigrazione all’estero, destinato a influenzare profondamente per più di un secolo l’economia, la società, la cultura del paese. Secondo i calcoli più recenti, sono stati circa 26 milioni gli italiani che da quella data e fino agli anni ’70 del ’900 sono partiti per cercare fortuna all’estero. Le cause dell’emigrazione – un fenomeno così duraturo e centrale nella storia italiana – sono da ricondurre alle condizioni depresse e disagiate in cui, negli anni immediatamente successivi all’unità, versavano le campagne italiane. La disoccupazione, la precarietà lavorativa, la sottoalimentazione spinsero le persone a muoversi, nella speranza di poter ottenere un lavoro e un reddito sicuro all’estero, così da poter aiutare le famiglie rimaste in patria o potersi far raggiungere direttamente dai parenti. Le cause di un fenomeno così imponente non vanno ricercate soltanto nelle zone di partenza degli emigranti. Senza lo sviluppo delle economie di alcuni paesi e il conseguente allargamento del mercato del lavoro, gli italiani difficilmente avrebbero trova- GIARDINA-SABBATUCCI-VIDOTTO • © 2010, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI L’emigrazione transoceanica ECONOMIAeAMBIENTE to uno sbocco alla loro emigrazione. È questo il caso degli Stati Uniti e dell’Argentina, che fino alla prima guerra mondiale accolsero la maggior parte degli emigranti italiani. La decisione di emigrare non poteva essere presa su due piedi: essa, infatti, andava pianificata nei dettagli, soprattutto perché richiedeva un forte investimento iniziale: il solo biglietto navale per l’America spesso veniva a costare quanto l’equivalente di mesi di stipendio. Gli emigranti si accalcavano in prossimità dei grandi porti italiani – come Napoli e Genova – dove attendevano di poter partire. Il viaggio era lungo e particolarmente faticoso, dal momento che spesso si svolgeva in condizioni igieniche precarie, soprattutto per le donne e i bambini. Appena sbarcati poi, gli emigranti venivano sottoposti a rigidi controlli medici che ne accertavano le condizioni di salute. Per chi arrivava a New York il controllo avveniva nell’isola di Ellis Island, a due passi dalla Statua della Libertà. Oggi l’intera isola è stata adibita a museo dell’emigrazione, uno dei più grandi al mondo, dove è depositato un immenso database informatico contenente i nomi di tutti coloro che sono passati dall’isola: ogni anno migliaia di persone ritrovano in questo modo le tracce dei propri antenati. Il processo di ambientazione nel paese di arrivo era per gli emigranti particolarmente difficile. Soltanto nel secondo dopoguerra i governi dei paesi interessati dal fenomeno migratorio aprirono uffici di informazione e di assistenza. Fino ad allora l’unico appoggio ai nuovi arrivati poteva giungere soltanto dai parenti, dagli amici, dai compaesani che erano residenti all’estero. Non mancavano inoltre – sia dentro che fuori i luoghi di lavoro – episodi di razzismo e di discriminazione nei confronti degli italiani. Complessivamente, l’emigrazione giovò molto a quelle zone depresse (come il Veneto o il Mezzogiorno) sulle quali in breve tempo si riversarono i capitali che gli emigranti inviavano alle loro famiglie rimaste in patria. Frutto del risparmio dei lavoratori all’estero, le cosiddette «rimesse degli emigranti» rappresentarono per molte famiglie e molti paesi la base di partenza per avviare investimenti economici. Anche gli emigranti che scelsero di ritornare nei luoghi di origine, dopo alcuni anni di lavoro, contribuirono a modificare il volto dei loro paesi e delle loro città, facendosi portatori di una nuova mentalità, una nuova cultura e soprattutto reinvestendo localmente il denaro accumulato all’estero. GIARDINA-SABBATUCCI-VIDOTTO • © 2010, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI Una famiglia italiana emigrata negli Stati Uniti [Fototeca Storica Nazionale, Milano] Nella foto fatta scattare dalla famiglia di emigranti per spedirla ai familiari rimasti in Italia, i bambini tengono in mano la bandiera tricolore per dimostrare che il ricordo della patria è sempre vivo.