la loggia p2 e il sistema politico italiano

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la loggia p2 e il sistema politico italiano
LA LOGGIA P2 E IL SISTEMA POLITICO ITALIANO
1. GLI STUDI SULLA LOGGIA P2
In uno scritto del 1986, Norberto Bobbio lamentava la carenza di studi
specialistici sul tema dei poteri occulti1, tema che, non solo nel giudizio del
filosofo torinese, ha invece un’importanza centrale nell’analisi delle vicende del
nostro Paese.
L’osservazione pare pertinente tuttora, specialmente se applicata al caso della
loggia P2. Riguardo al sodalizio gelliano, esistono, per lo più, solo lavori di tipo
giornalistico. Già nel 1981, la Mondadori pubblicava un libro che raccoglieva i
contributi di alcuni tra i giornalisti che, specialmente su “Panorama”, si erano
occupati del caso e delle vicende collegate 2. Pur risentendo qua e là del taglio
giornalistico, il volume si rivela piuttosto curato, tanto che, spesso, episodi ivi
riferiti hanno trovato successive conferme documentali: è il caso, per
esemplificare, di un episodio di ingerenze piduistiche nella formazione del I
gabinetto Cossiga, riferito da Pino Buongiorno e Maurizio De Luca e confermato
dal segretario del PLI Valerio Zanone, che ne era stato protagonista indiretto, alla
Commissione P23.
Gli stessi giudizi possono essere espressi per un’altra pubblicazione, anche
questa del 1981, che si dove a Rossi e Lombrassa (i quali, però, pubblicano, in
una breve appendice, anche alcuni documenti provenienti dalla stessa P2) 4,
mentre su una linea alquanto diversa si collocano due libri usciti nel 1983: la
biografia di Licio Gelli scritta da Gianfranco Piazzesi e la raccolta degli interventi
svolti ad un convegno sulla P2 organizzato dal PCI ad Arezzo in quell’anno 5.
Quella di Piazzesi è considerata di solito come una biografia di Gelli, ma essa in
realtà si occupa prevalentemente di un solo periodo della vita del Venerabile,
quello compreso tra il 1940 e l’immediato dopoguerra. La ragione di ciò risiede
nell’interesse di Piazzesi riguardo l’appartenenza o meno di Gelli al PCI,
constatata soprattutto la sua notoria militanza fascista (anche dopo il 1943):
alcuni documenti e le testimonianze raccolte a Pistoia da Giulio Giustiniani (suo
giornalista alla “Nazione”) gli consentono di giungere alla conclusione che il
futuro capo della P2 non solo collaborò coi partigiani comunisti, ma in seguito
divenne un agente al servizio del Kominform. Successive acquisizioni documentali
ed un miglior vaglio delle fonti orali, parrebbero tuttavia smentire questa tesi.
Alberto Cecchi, già membro comunista della Commissione P2, nonché studioso
della Resistenza toscana, ha precisato che le formazioni partigiane con le quali
collaborò Gelli non erano garibaldine, bensì l’una anarchica e l’altra apolitica 6.
Quanto all’appartenenza al Kominform, essa viene affermata in un solo
documento, noto, impropriamente, come informativa COMINFORM, redatta nel
settembre 1950 da un informatore del Sifar. Il successivo lavoro di verifica,
condotto dal servizio attraverso un proprio agente, smentì però quanto sostenuto
1 Norberto Bobbio, Prefazione a La strage. L’atto d’accusa dei giudici di Bologna, a cura di Giuseppe De Lutiis, Editori
Riuniti, 1986, p. IX.
2 L’Italia della P2, Mondadori, 1981.
3 Ibidem, pp. 57-58; Audizione di Valerio Zanone, 24 gennaio l984, in Commissione parlamentare d’inchiesta sulla
loggia massonica P2, Allegati alla relazione (Commissione P2, Allegati), Camera dei Deputati - Senato della
Repubblica, 1984, serie I, vol. XIV, pp. 85-86; “Diario Stammati” (su di esso si tornerà in seguito), in Commissione
P2, Allegati, serie II, vol. I, t. I, p. 1363 e p. 1368.
4 Gianni Rossi - Francesco Lombrassa, In nome della “loggia”, Napoleone, 1981.
5 Gianfranco Piazzesi, Gelli. La carriera di un eroe di questa Italia, Garzanti, 1983; La resistibile ascesa della P2, De Donato,
1983.
6 Alberto Cecchi, Storia della P2, Editori Riuniti, 1985, pp. 51 sgg.
dall’informatore7.
Nel 1983, oltre alla “biografia” di Piazzesi, esce anche La resistibile ascesa della
P2 che raccoglie gli atti di un convegno sul tema svoltosi ad Arezzo. Questo può
essere considerato il primo tentativo di storicizzazione e di interpretazione globale
del fenomeno piduistico. Particolarmente significativi sono, a mio giudizio, gli
interventi di Giuseppe D’Alema e di Stefano Rodotà. D’Alema, attraverso l’analisi
delle connessioni economico-finanziarie internazionali della loggia P2, giunge ad
indicare nel sodalizio gelliano uno degli attori di uno scenario economico-politico
internazionale ben definito (quello che si potrebbe definire “atlantismo
oltranzista”), caratterizzato da una ideologia reazionaria e fortemente
anticomunista. Interessante è anche il contributo di Rodotà, intitolato “Le
dinamiche di occupazione del potere da parte del partito occulto”: nell’intervento
viene posta in evidenza l’eccessiva permeabilità del sistema politico italiano
all’azione delle lobby, permeabilità dovuta, per Rodotà, da un lato all’invasione,
da parte dei partiti, di aree sempre più estese dello Stato, col rischio che il
conflitto politico degeneri in guerra tra bande per il controllo delle risorse;
dall’altro, alla bassa «quota di informazioni rilevanti» che circolano all’interno del
sistema. Di fronte a questa estesa «clandestinizzazione» della politica, conclude
provocatoriamente Rodotà, non è «solo possibile, ma addirittura necessaria,
l’esistenza di specialisti capaci di organizzare e governare un’area così vasta» 8.
Nel 1985 esce uno studio che si pone, almeno in parte, su una linea piuttosto
eccentrica rispetto ai lavori precedenti: si tratta dalla Storia della P2 di Alberto
Cecchi. L’autore, si è detto, fece parte della Commissione P2 e poté quindi
avvalersi della approfondita conoscenza di documenti poco noti. Buona parte
dell’opera è dedicata alle imprese gelliane nel periodo bellico: come si è visto, il
parlamentare comunista smentisce risolutamente che Gelli abbia collaborato col
PCI e ricorda, anzi, che le formazioni partigiane e gli ambienti della Resistenza
frequentati da Gelli erano di impronta badogliana e monarchica e decisamente
anticomunista. Anche dopo la fine della guerra, comunque, il Venerabile avrebbe
continuato a muoversi entro una rete formata da ex partigiani bianchi ed ex (?)
monarchici: è in ogni caso pacifico, anche per Cecchi, che lo scenario più ampio
in cui è inserita tale rete è quello dell’anticomunismo internazionale.
Quello del parlamentare del PCI può essere considerato l’ultimo lavoro sulla P2:
dopo di esso uscì infatti, ad opera di Massimo Teodori, solo una “controstoria”
della loggia gelliana9, che non era altro che una rielaborazione della relazione che
il deputato radicale aveva presentato alla Commissione parlamentare d’inchiesta
sulla P2.
Queste sono dunque le opere uscite dopo il sequestro dell’archivio gelliano a
Castiglion Fibocchi, ma già nel 1978 era stato pubblicato un libro, subito
esaurito, in cui la loggia P2 ed il suo capo erano ritratti in maniera assai precisa:
si tratta di La massoneria in Italia, scritto da Roberto Fabiani, un giornalista che
da anni si occupava di questi temi su “Panorama” e “L’Espresso” (il 1ibro venne
appunto pubblicato dall’Editoriale L’Espresso). Ciò che lascia più perplessi è
l’assoluta mancanza di reazioni al libro, nel quale erano pubblicati documenti che
non esageratamente possono essere definiti “esplosivi”, tra cui un piano che
sarebbe stato sottoposto al presidente Leone e che ricalca nelle sue linee
fondamentali il “Piano di rinascita democratica”.
7 Cfr. “Informativa COMINFORM”, 29 settembre 1950, e informativa Sifar del 16 novembre 1950, in Commissione P2,
Allegati, serie II, vol. III, t. II, rispettivamente pp. 72 sgg. e pp. 102 sgg.
8 La resistibile ascesa della P2, cit., pp. 146 sgg.
9 Massimo Teodori, P2: la controstoria, SugarCo, 1986.
A tutte queste pubblicazioni sono da aggiungere, ovviamente, le relazioni finali
(ben sei) che la Commissione P2 consegnò al Parlamento nel luglio 1984. Oltre
alla relazione di maggioranza, firmata dalla presidente Tina Anselmi e votata da
DC, PCI, PSI e PRI, furono presentate anche quella del radicale Massimo Teodori,
che contestava alla precedente il silenzio sulle implicazioni dei partiti nelle
camarille gelliane; quella del missino Giorgio Pisanò, che puntava il dito sulle
connessioni economico-finanziarie internazionali; quella dell’altro missino Altero
Matteoli, che, dovendo occuparsi del versante nostrano della vicenda, affastella
una serie di dati e notizie senza spiegare in che modo sarebbero tra di essi
collegati (particolarmente confuse le 87 pagine, su 275, che riproducono il testo
di un romanzo nazistoide); quella del liberale Attilio Bastianini, che
sostanzialmente concorda con Teodori; infine, quella del socialdemocratico
Alessandro Ghinami, il quale, scomodando Karl Popper e Luigi [sic] Colletti,
critica i metodi d’analisi delle liste della P2, che la Commissione ritenne nel
complesso attendibili (è noto che in quelle liste era presente il nome del segretario
del partito di Ghinami, Pietro Longo).
Tirando le somme, le uniche relazioni realmente utilizzabili per la ricerca storica
sono quella di maggioranza e quella di Teodori.
La prima, riconoscendo una indubbia valenza politica al progetto piduista, ne
indica le finalità nel «controllo e non nel governo dei processi politici e sociali»: la
P2 sarebbe quindi «uno strumento neutro di intervento per operazioni di controllo
e di condizionamento». Nell’ambito di tale attività, Gelli sarebbe solo il punto di
contatto tra una piramide inferiore, costituita dalla sua organizzazione, e una
piramide rovesciata superiore, in cui agiscono «le forze ed i gruppi che [...]
identificano le finalità ultime»: per la Anselmi, però, «non ci è dato conoscere»
quali siano queste forze. Riguardo l’asserita “neutralità” della P2, la presidente
annota «l’assoluta indifferenza verso precise scelte di campo» e conclude
affermando «a tutte lettere come la Loggia P2, secondo quanto il piano di rinascita
conferma, non sia in realtà attribuibile a nessun partito politico in quanto tale, né
sia essa stessa filiazione del sistema dei partiti»10.
Tutt’affatto diverse sono le valutazioni di Teodori. Una parziale concordanza con
la relazione di maggioranza si verifica solo riguardo alle finalità: «Nel suo concreto
svolgimento l’azione della P2 non ha teso né al colpo di stato violento né ad un
progetto politico di destra come comunemente si intende, ma piuttosto a
stabilizzare il regime svuotandolo progressivamente di ogni capacità democratica
con il trasferimento delle decisioni in sedi altre da quelle istituzionali». In senso
opposto a ciò che scrive la Anselmi, Teodori sottolinea come «la P2 è stata così
interna alla partitocrazia da non essere percepita [dai politici] come un elemento
estraneo dal potere ed al suo esercizio illegale da parte dei partiti» 11: con queste
premesse, è ovvio che l’esponente radicale non poteva accettare la tesi di una P2
“neutrale” nei confronti dei partiti, tanto che questo, con la polemica (a volte
eccessiva) sulla “partitocrazia”, costituisce il leitmotiv della sua relazione.
Schematizzando, si può dire che per la Anselmi la P2 è un fenomeno patologico
del sistema politico italiano, per Teodori, al contrario, fisiologico: una parziale
convergenza si verifica solo nell’identificare le finalità del sodalizio, anche se la
presidente parla prudentemente di “principio del controllo” senza specificare in
vista di che. Questa reticenza risalta con maggior evidenza quando si tratta di
10 Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, Relazione (d’ora in avanti Relazione Anselmi),
Camera dei Deputati - Senato della Repubblica, 1984, p. 148 e p. 154.
11 Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2, Relazione di minoranza dell’onorevole Teodori (d’ora in avanti
Relazione Teodori), Camera dei Deputati - Senato della Repubblica, 1984, p. 13 e p. 15.
indicare chi si trovi nella piramide rovesciata, indicazione che viene in pratica
elusa12. Se la Anselmi, dopo aver evitato di approfondire i rapporti tra la P2 e i
partiti, può concludere che la P2 non è figlia del sistema dei partiti, sull’altro lato,
invece, Teodori affonda il bisturi, sottolineando lucidamente i molti punti di
contatto tra l’azione piduista e quella dei partiti o, addirittura, del Governo.
2. COME SI ARRIVÒ ALL’INCHIESTA
Un breve resoconto degli episodi che portarono all’inchiesta giudiziaria prima e
parlamentare poi, può servire, oltre che a una sommaria ricostruzione storica, a
due scopi: in primo luogo, a dissipare i dubbi che la Relazione Anselmi avanza
circa una presunta “eterodirezione” della perquisizione giudiziaria del 17 marzo
1981; in secondo luogo, a sottolineare la rilevanza politica che la vicenda assunse
da subito.
Circa il primo punto, si può già anticipare che la tesi di una perquisizione pilotata
(dallo stesso Gelli o da altri) non pare trovare riscontri affidabili: tali riscontri,
citati dalla stessa Anselmi13, sono in sostanza la testimonianze di Massimo
Pugliese, Placido Magrì e Francesco Siniscalchi, tutti personaggi, tranne l’ultimo,
dalla credibilità assai scarsa. Pugliese, ex agente del SID, poi mediatore nel
traffico d’armi, riferì al giudice Palermo di aver avuto il «sospetto» che le valigie
contenenti i documenti fossero state lasciate «intenzionalmente» negli uffici della
GIOLE (l’azienda di Gelli). Magrì, interrogato dal giudice Sica, disse di aver
ricevuto una confidenza da Francesco Pazienza, di cui era missus negli ambienti
della mafia, secondo il quale fu lo stesso faccendiere a suggerire la perquisizione
a un ufficiale della Guardia di Finanza. La rilevanza di queste testimonianze (e di
coloro che le rendono) si commenta da sola. Più credibile è Siniscalchi, dignitario
massonico, instancabile avversario di Licio Gelli e della sua loggia; purtroppo, egli
venne sentito informalmente solo da un funzionario della Commissione P2, al
quale dichiarò che venne preavvertito della perquisizione da una telefonata
anonima, da lui presuntivamente attribuita (su che basi non si sa) ad un agente
della DIA.
C’è anche da sottolineare che, mentre dal marzo 1981 al settembre 1983,
nessuno segnalò una possibile eterodirezione della perquisizione, nel giro di sei
mesi si ebbero ben tre testimonianze in tal senso.
L’impressione, in conclusione, è che la perquisizione alla GIOLE possa essere
considerata genuina; ciò può venire confermato, come si vedrà, anche dal
comportamento di Gelli dopo il 17 marzo 1981. Esaurito questo punto, passiamo
alla ricostruzione degli avvenimenti che culminarono col sequestro dell’archivio
gelliano.
Esso si inscriveva nell’ambito delle indagini che i giudici istruttori milanesi
Giuliano Turone e Gherardo Colombo stavano compiendo sul finto rapimento di
Michele Sindona (2 agosto - 16 ottobre 1979); agli atti di quel procedimento il
nome di Gelli compariva già, e più di una volta, ma fu con l’arresto di Giuseppe
“Joseph” Miceli Crimi (18 novembre 1980) che le indagini cominciarono a
prendere la direzione di Arezzo. Miceli Crimi, medico palermitano collegato, oltre
che con Sindona, con mafia, massoneria e, probabilmente, CIA, fa per la prima
volta il nome del Venerabile nell’interrogatorio del 20 dicembre, affermando di
averlo incontrato durante il falso rapimento di Sindona, mentre quest’ultimo era
12 Relazione Anselmi, p. 154.
13 Ibidem, p. 33; Deposizione di Massimo Pugliese a Carlo Palermo, 29 settembre 1983, in Commissione P2, Allegati,
serie II, vol. I, t. IV, p. 1186; Deposizione di Placido Magrì a Domenico Sica, 10 dicembre 1983, ibidem, p. 1187;
Rapporto di Giovanni di Ciommo Laurora a Tina Anselmi, 22 febbraio 1984, ibidem, p. 1188 (si anticipa che la DIA è
il corrispettivo militare della CIA).
in Sicilia. Acquisiti altri elementi (tra cui l’affidavit sottoscritto da Gelli in favore
del banchiere di Patti nel 1976), Turone e Colombo emettono infine, il 12 marzo
1981, una comunicazione giudiziaria a carico di Gelli, disponendo inoltre la
perquisizione di tutti i suoi recapiti. Alle 9 di martedì 17 i finanzieri milanesi
danno il via alle operazioni che, soprattutto alla GIOLE, si dimostrano
1aboriose14.
Due fatti avvenuti mentre era in corso la perquisizione rafforzano il
convincimento, già espresso, della genuinità della stessa. Innanzitutto, un
“avvertimento” del Comandante Generale della Guardia di Finanza Orazio
Giannini (tessera P2 n. 2116) al Col. Vincenzo Bianchi, che coordinava le
operazioni. Bianchi, attorno alle 15.30, ricevette una telefonata di Giannini, il
quale gli consigliava un comportamento prudente, poiché la lista che
«probabilmente» aveva sequestrato conteneva i nomi dei «massimi vertici» della
Guardia di Finanza, per cui il Corpo rischiava di inabissarsi 15.
Non meno interessante è la lettura delle intercettazioni telefoniche sulle utenze
GIOLE e Villa Wanda, da cui traspare chiaramente la sorpresa del capo della P2,
ad esempio quando chiede alla segretaria di far di tutto per evitare l’apertura
della cassaforte «perché io ho bisogno che quella gente non portino via nulla […]
in quanto quello che fanno è un arbitrio» 16. La sorpresa del capo della P2 è, ad
abundantiam, confermata dalle successive, reiterate istanze di restituzione del
materiale sequestrato17.
Il 25 marzo, con la trasmissione, da parte di Turone e Colombo, di una parte del
materiale sequestrato al presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, la P2 entra per
la prima volta (per la prima volta “palesemente”) sulla scena politica. Ecco come i
due giudici, che si recarono personalmente a Roma, raccontano l’incontro con
Forlani: «il presidente del Consiglio prende visione degli elenchi, ci chiede qualche
documento che possa comprovare l’appartenenza alla massoneria e quando
siamo a Milano veniamo a sapere che ci lascia liberi di decidere se rendere
pubblici o no gli elenchi»18. La decisione di far assumere alla magistratura anche
le responsabilità connesse al versante politico della vicenda si rivelerà
infelicissima e, alla fine, esiziale per lo stesso governo Forlani.
Appunto in quel mese di marzo, infatti, la Commissione sul caso Sindona,
presieduta da Francesco De Martino, stava acquisendo importanti testimonianze
sui rapporti tra il “finanziere siculo-meneghino” (la definizione è di Pecorelli) e la
classe politica. Tali testimonianze andarono a intrecciarsi con le indiscrezioni che
cominciarono a filtrare circa la misteriosa loggia segreta: già il 21 marzo la “P 2”,
come allora si scriveva, comparve sui giornali, associata alla lista dei 500,
l’elenco, cioè, dei clienti VIP delle banche di Sindona che, prima del crollo
dell’impero di quest’ultimo, erano riusciti a mettere al sicuro i loro capitali
presumibilmente in istituti di credito svizzeri. Lo stesso giorno interviene in prima
persona anche Gelli, che rilascia all’Ansa la seguente dichiarazione telefonica:
«assente dall’Italia ho appreso con stupore che stampa e televisione hanno dato
notizia della perquisizione eseguita dalla Guardia di Finanza nella mia abitazione
allo scopo di ricercare l’ormai famoso “tabulato dei cinquecento”. Sono totalmente
14 Cfr. il verbale di perquisizione della GdF alla GIOLE, 17 marzo 1981, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. I, pp.
302 sgg.
15 Audizione di Orazio Giannini, 30 marzo 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. III, pp. 207 sgg.; Rapporto di
servizio di Vincenzo Bianchi a Giuliano Turone e Gherardo Colombo, 25 maggio 1981 e Audizione dello stesso, 9
marzo 1982, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. IV, rispettivamente p. 150 e pp. 1111 sgg.
16 I testi delle intercettazioni si trovano ibidem, pp. 1163 sgg.
17 La documentazione relativa si trova ibidem, pp. 9 sgg.
18 Intervista di Giorgio Bocca a Giuliano Turone e Gherardo Colombo, in “la Repubblica”, 10 giugno 1981.
sereno». Il 2 aprile, però, Carlo Bordoni, braccio destro di Sindona, avanti alla
Commissione fa i nomi di 31 persone presenti nell’elenco dei 500: tra di esse vi
sarebbe anche Licio Gelli.
Nei giorni successivi si assiste ad un crescente stillicidio di indiscrezioni, veline e
fughe di notizie, tanto che, il 5 aprile, De Martino, intervistato dalla “Stampa”,
dichiara: «dobbiamo rendere ufficiale e pubblico quel che adesso è riservato».
Purtroppo le intenzioni di De Martino rimasero tali e nei giorni seguenti le
“clamorose rivelazioni” investirono direttamente le istituzioni: il 2l aprile la
stampa riporta «indiscrezioni» (poi rivelatesi corrette) secondo le quali nella lista
comparirebbero due o tre ministri (si fa il nome di Adolfo Sarti, ministro di Grazia
e Giustizia).
Il clima si va dunque facendo sempre più pesante, ma i politici paiono non
interessarsene: gli unici a prendere sul serio la cosa sono i radicali, che, sempre il
21, chiedono, oltre alla divulgazione della lista, l’istituzione di una commissione
d’inchiesta. Il punto di svolta si ha il 6 maggio, quando il giudice romano
Domenico Sica ordina la perquisizione delle sedi nazionali della Comunione
massonica di Palazzo Giustiniani, nonché della sede della P2 in via Vico 2O. Da
questo momento i fatti precipitano verso l’inevitabile conclusione, con tutte le
forze politiche che chiedono la pubblicazione delle liste. L’8 il governo Forlani
istituisce il Comitato dei Tre Saggi, presieduto da Aldo Sandulli, che dovrà
verificare la natura di “associazione segreta” della P2, mentre il 9 la Commissione
Sindona decide di richiedere alla Procura di Milano l’acquisizione della
documentazione.
Il 19 maggio, due mesi dopo i sequestri, la questione P2 arriva finalmente in
Parlamento, ma i deputati non paiono granché interessati: sono solo in l50 ad
ascoltare le risposte di Forlani alle interrogazioni presentate nei giorni precedenti.
Il presidente del Consiglio afferma, in sostanza, che il segreto istruttorio gli
impedisce la divulgazione dei documenti, di cui auspicava, comunque, «una
sollecita pubblicazione»; riguardo ai ministri presenti nelle liste (Foschi, Sarti e
Manca), dichiara di non averli fatti dimettere in quanto essi hanno pubblicamente
smentito la loro appartenenza alla P2 (ricordo che Forlani era tra i pochi ad aver
visto la documentazione). Negli interventi successivi, Massimo Teodori, radicale,
attacca violentemente Forlani, accusandolo di essere al centro di una rete di
ricatti, mentre il socialista Vincenzo Balzamo, dopo aver difeso la massoneria,
minimizza il tutto dicendo che si tratta solamente di accertare se singoli piduisti,
anche «in combutta» tra di loro, abbiano commesso reati. La giustificazione del
segreto istruttorio era comunque abbastanza fragile; il 25 marzo, quando Turone
e Colombo, si erano recati a Roma, l’avevano fatto appunto perché il presidente
del Consiglio si rendesse conto della situazione e prendesse provvedimenti; nelle
settimane susseguenti, poi, il segreto istruttorio era stato violato più e più volte.
Questa giustificazione, in ogni caso, venne definitivamente a cadere il giorno
successivo, dopo che i giudici milanesi ribadirono a Forlani il loro nulla osta alla
divulgazione19.
Questa è, dunque, la successione cronologica degli avvenimenti che portarono a
conoscenza dei cittadini gli intrighi gelliani: prima di proseguire e di esaminare le
ricadute politiche di tutto ciò, sono necessarie alcune precisazioni. Mentre il
terremoto P2 scuoteva l’opinione pubblica, classe politica, da una parte, e P2,
dall’altra, sembravano essere molto più tranquille. Non solo l’atteggiamento di
Forlani, che si è appena visto, ma anche quello dei singoli uomini politici
19 Lettera di Giuliano Turone, Gherardo Colombo e Antonio Amati ad Arnaldo Forlani, 20 maggio 1981, in
Commissione P2, Allegati, serie II, vol. 1, t. IV, p. 56.
sembrano ispirati a una linea di condotta che pare voler minimizzare la portata
delle notizie che trapelavano sui giornali: il “pastone” politico dei quotidiani di
quei giorni è zeppo di alte dichiarazioni di principio sulla necessità di fare pulizia
(in quest’ottica, la P2 non sarebbe che l’ennesimo scandalo) e di smentite di
routine (smentite che si riveleranno menzognere in molti casi). È difficile dire se
tale sottovalutazione della P2 fosse dovuta a un’effettiva incomprensione del
fenomeno in tutta la sua gravità, o alla credenza (o speranza) che dopo la bufera
tornasse il sereno.
Sull’altro lato, anche i “fratelli” piduisti sembravano non dannarsi l’anima. Ad
esempio, il 22 aprile il “fratello” Angelo Rizzoli vende il 40% del suo gruppo
editoriale alla Centrale del “fratello” Roberto Calvi; non solo, durante il sequestro
Cirillo (l’assessore campano rapito dalle BR il 27 aprile), il Sismi, diretto dal P2
Santovito, opera una delle più clamorose deviazioni della sua storia, prima
scavalcando il Sisde, poi inserendosi nelle trattative per il rilascio in un torbido
giro che comprendeva politici democristiani, brigatisti e camorristi cutoliani 20.
Dopo il 20 maggio, comunque, gli effetti politici delle rivelazioni circa la P2 non
sono più evitabili. Il 25 si dimette Sarti, ma già tre giorni dopo è seguito
dall’intero gabinetto. Si apre così la strada per Giovanni Spadolini, il quale
propone subito un pentapartito: primo punto del programma, la moralizzazione
della vita pubblica. Il 28, superati gli inevitabili contrasti, il governo è varato; la
fiducia verrà discussa alla Camera il 10 luglio e sarà questa (ma lo si vedrà
meglio in seguito) la cartina di tornasole sull’ambiguo atteggiamento dei politici
riguardo la P2. I segretari di tre partiti della maggioranza, Piccoli, Craxi e Longo,
lungi dal dedicare i loro interventi al programma del governo (o alla “questione
morale”) sferrarono violenti attacchi contro la magistratura: Longo giungerà a
subordinare il voto del PSDI alla ricusazione dei giudici milanesi. Quando, il
giorno successivo, Spadolini replicherà, sarà costretto a destreggiarsi tra le
richieste dei suoi partner di governo, per cui, se da una parte ribadirà di non
voler mettere la «mordacchia ai giudici», dall’altra accoglierà la richiesta di Craxi
di un libro bianco sulle «ingiustizie della giustizia». A completare il quadro, sarà
forse utile ricordare che il 3 luglio, all’aeroporto di Fiumicino, erano stati ritrovati,
non certo casualmente, nella valigia di Maria Grazia Gelli documenti scottanti, tra
cui il “Piano di rinascita democratica” e un dossier su Gianni De Michelis.
Parallela alla vicenda politica, corre quella giudiziaria, che, dopo gli iniziali
entusiasmi milanesi approderà nelle più tranquille acque romane. Settembre, in
particolare, recitò il requiem della questione morale.
Il mese si aprì (il 2) con una sentenza della Corte di Cassazione che attribuiva
tutte le inchieste sulla P2 alla Procura di Roma e si chiuse (il 28) col dibattito
parlamentare su tutta la vicenda (scoppiata cinque mesi prima). Il 28 settembre
può essere considerato la data della vittoria definitiva del piduismo sulle
istituzioni democratiche. Al dibattito alla Camera erano presenti 39 deputati; sui
banchi del governo, a rispondere a 54 interpellanze, il sottosegretario alla
Presidenza Francesco Compagna, assente Spadolini. Un editoriale della “Stampa”
fotografava algidamente la situazione: «Una esigua minoranza ha pagato. La
stragrande maggioranza è rimasta indenne al proprio posto, lasciando il Paese
stupito e confuso»21. Dalle pagine interne dei quotidiani si apprendeva poi che la
Liguria aveva una nuova Giunta: presidente Alberto Teardo (tessera P2 n. 2027),
20 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, 1991 (ed. agg., 1a ed. 1984), pp. 295 sgg.: vi si trova
anche un ampio brano della Relazione sulla vicenda che il Comitato di controllo sui servizi presentò il 10 ottobre
1984.
21 p. g., L’altro scandalo, in “La Stampa”, 29 settembre 1981.
socialista, già vicepresidente, il quale assumeva anche l’assessorato alla Sanità,
ma solo temporaneamente; motivo: il designato, Michele Fossa (tessera P2 n.
2240), era sospeso dal PSI fino al 1° novembre.
Il fatto che, il 24 settembre, fosse stata finalmente votata la legge che istituiva la
Commissione d’inchiesta, assumeva, in questo quadro, quasi il sapore
dell’espletamento di una formalità.
3. LA LOGGIA P2 E IL SISTEMA POLITICO
In questo lavoro si tenterà una sommaria indicazione degli obiettivi politici della
P2; prima di entrare nel merito, è bene specificare che la base documentaria
utilizzata è essenzialmente quella costituita dagli allegati alle Relazioni finali della
Commissione P2: è una precisazione di non poco conto, poiché vi sono casi in cui
la scarsa attenzione della Commissione verso un determinato argomento si è
riflessa in una parallela carenza di documentazione (si veda, nelle pagine
successive, il caso della scissione di Democrazia Nazionale).
Rifacendosi alla definizione della P2 che diede la Relazione di maggioranza,
sembra opportuno approfondire i seguenti due punti: 1) la “neutralità” della
loggia P2; 2) il suo sviluppo “al di fuori” del sistema dei partiti. Le risposte
saranno ricercate accertando: 1) se esista e, nel caso, quale sia una “ideologia
piduista”; 2) quale sia stata l’azione della P2 nei confronti dei partiti; 3) se le
caratteristiche del sistema politico italiano possano essere, in qualche misura,
poste in relazione col nascere e lo svilupparsi del fenomeno piduista.
L’ideologia piduista
Le fonti in questo senso si possono suddividere in tre gruppi: 1) fonti
direttamente provenienti dalla loggia, in primis il “Piano di rinascita democratica”;
2) fonti provenienti da organi che, a vario titolo, si occuparono della P2, dai
servizi segreti alla stampa; 3) testimonianze raccolte dalla magistratura e, in
special modo, dalla Commissione.
Il dato che, anche a un’analisi superficiale della documentazione, balza subito
all’occhio è la spiccata simpatia di Licio Gelli e dei suoi accoliti per la destra, e ciò
anche a prescindere dalla biografia del Venerabile o dai progetti eversivi di destra
in cui risulterebbe coinvolto, dal golpe Borghese ai depistaggi successivi alla
strage di Bologna.
Di tale tendenza esistono, infatti, molteplici riscontri documentali, di cui qui si
forniranno solo limitatissimi esempi. Per quanto riguarda il primo gruppo di fonti,
già il verbale di una riunione del Raggruppamento Gelli-P2 del 5 marzo 1971
paventa la «minaccia del Partito Comunista Italiano, in accordo con il
clericalismo, volta alla conquista del potere», lamenta la «carenza di potere delle
forze dell’ordine» e giunge a definire i sindacati (accusati di essere i responsabili
della crisi economica) «entità appena tollerate» 22, Un piduista “critico”, Nicola
Falde, nella sua lettera di dimissioni dalla loggia, accusa Gelli di essersi
«circondato di fedeli e aficionados tutti di estrema destra». Un altro piduista
“critico”, in una lettera ad un amico accusa Gelli di essere il leader di quei
massoni «intellettualmente e culturalmente rozzi, pronti a rivelare il “pallino”
politico di marca chiaramente destrorsa (o, quanto meno, qualunquista)» 23.
Conferme provengono anche dal secondo gruppo di fonti: basterà qui citare
l’informativa De Salvo, compilata dall’Ufficio I della Guardia di Finanza nel marzo
22 Il verbale si trova in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. I, pp. 457 sgg.
23 Lettera di Nicola Falde a Licio Gelli, 8 aprile 1976 e lettera di Vincenzo Corsaro a Bruno Mosconi, 28 aprile 1975, in
Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, rispettivamente, t. IV, pt. II, p. 456, e t. I, p. 852.
1974, i tre rapporti di Emilio Santillo (capo dell’Antiterrorismo), redatti tra il 1974
e il 1976, e una delle poche informative SID ad occuparsi di Gelli prima del 1981,
quella datata 8 ottobre 1974 e che afferma esplicitamente che il soggetto
«politicamente esterna orientamenti di destra» 24. Quanto alla stampa, si era
occupata di P2 sin dal 1973 e, in particolare, attorno al 1976, quando il sodalizio
gelliano venne posto in collegamento col delitto Occorsio e con le cosiddette trame
nere: si ricordi, poi, quanto detto a proposito di Roberto Fabiani. Lo stesso Licio
Gelli, del resto, era sceso in campo in prima persona il 5 ottobre 1980 con una
intervista al “suo” giornale, il “Corriere della Sera”, esplicitamente richiesta al
“fratello” Maurizio Costanzo25. Meno esplicito di Fabiani, Costanzo presentava
Gelli come un personaggio che «rimbalza di continuo in questioni di non facile
identificazione»; nel seguito dell’articolo, Gelli affrontava temi come l’eccessiva
libertà di stampa, il presidenzialismo (convincimento espresso «anche in una
relazione che inviai al presidente Leone»), la revisione della Costituzione,
l’antisindacalismo («certe conquiste [lo Statuto dei Lavoratori] ci ricordano che
anche Pirro vanto la sua vittoria»), la critica qualunquistica ai partiti, il liberismo
in economia.
Anche l’ultimo gruppo di fonti, le testimonianze rese da personaggi a vario modo
coinvolti nelle camarille gelliane, rafforza l’immagine della P2 che è venuta fin qui
emergendo.
Il vero “manifesto politico” della P2, comunque, è comunemente considerato il
“Piano di rinascita democratica”. Una serie di motivazioni inducono però a
ritenere il documento (e l’allegato “Memorandum sulla situazione politica in
Italia”) non totalmente affidabile 26. In primo luogo, le stesse circostanze del
rinvenimento inducono alla cautela: è noto che esso venne ritrovato nella borsa
da viaggio di Maria Grazia Gelli, figlia del Venerabile, durante un controllo
doganale all’aeroporto di Fiumicino, quattro mesi dopo la perquisizione di
Castiglion Fibocchi. Assieme ad esse vennero rinvenute altre carte, tra cui alcune
contenenti calunnie nei confronti dei magistrati milanesi che stavano indagando
sulla P2: parve da subito chiaro, quindi, che tali documenti “dovevano” essere
scoperti.
In secondo luogo, i contenuti stessi del “Piano” contrastano con l’ipotesi che
possa trattarsi del manifesto della P2. Vi vengono infatti prospettate una serie di
misure di razionalizzazione del nostro sistema politico-economico, alcune delle
quali, se effettivamente realizzate, avrebbero potuto rivelarsi esiziali per la loggia
gelliana, la quale appunto nelle disfunzioni di tale sistema trovava le occasioni
per l’accrescimento del proprie potere. Del resto, già Massimo Teodori 27 notava
che molte delle idee presenti nel “Piano di rinascita democratica” circolavano
anche in ambienti accademici e, in alcuni casi (come la legge elettorale
tendenzialmente maggioritaria o la legge antitrust), sono entrate in seguito con
grande evidenza nel dibattito politico.
Da tutte ciò sembra dedursi che non possa essere considerata pienamente
soddisfacente un’analisi dell’azione piduista che si limitasse a registrare quante
delle previsioni del “Piano di rinascita democratica” siano poi state effettivamente
realizzate. Conviene, piuttosto, tentare di individuare, all’interno della
24 L’informativa di De Salvo si trova in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. III, pp. Il7 sgg.; quella di Santillo in
Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. II, pp. 441 sgg.; quella dal SID, ibidem, pp. ll8-ll9.
25 La circostanza fu ammessa dallo stesso Costanzo nel corso della sua audizione del 2 febbraio 1982 (in
Commissione P2, Allegati, serie I, vol. II, p. 200).
26 “Memorandum” e “Piano” si trovano in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. VII-bis, rispettivamente, pp. 603
sgg. e pp. 611 sgg.
27 Cfr. Relazione Teodori, pp. 175-176.
documentazione, quali siano i temi ricorrenti del piduismo. Tali temi, che, è bene
ricordare, venivano intesi in modo ampiamente strumentale dalla P2, possono
venire cosi sintetizzati: 1) il qualunquismo e la critica al sistema dei partiti; 2) il
liberismo; 3) il presidenzialismo o, più in generale, la predilezione per esecutivi
forti; 4) l’anticomunismo; 5) l’antisindacalismo. Sono temi ed obiettivi, come si
vede, perfettamente legittimi: ciò che qualifica come “eversiva” la loggia P2, infatti,
non è tanto il suo “programma politico”, quanto le modalità d’attuazione di
questo. Di cristallina evidenza l’incipit del “Piano di rinascita democratica”:
«L’aggettivo democratica sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni
movente od intenzione occulte di rovesciamento del sistema»; tuttavia, subito
dopo, si dice che i ritocchi costituzionali previsti dal piano saranno solo
«successivi al restauro del libero gioco delle istituzioni fondamentali».
Almeno a livello di teoria, comunque, non si può parlare di neutralità della P2,
essendo nettissima la sua scelta di campo. Rimane da verificare se e come tale
scelta abbia improntato il concreto agire piduista nei confronti dal sistema
politico italiano; dato il forte rilievo che in esso hanno i partiti, saranno proprio i
rapporti tra questi e la P2 ad essere maggiormente illuminati.
La loggia P2 e i partiti
Il “Piano di rinascita democratica” contiene indicazioni esplicite sul
comportamento da tenersi nei confronti dei partiti, prevedendo una drastica
semplificazione del sistema partitico, che avrebbe dovuto essere caratterizzato da
due nuovi soggetti, «l’uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di
sinistra e DC di sinistra) e l’altro sulla destra (a cavallo fra DC conservatori,
liberali e democratici della Destra Nazionale)»: spiccano le assenze del PCI,
escluso dal novero stesso dei partiti democratici, e, parzialmente, del MSI, la cui
ala più moderata avrebbe dovuto confluire nel centro-destra. Alcune
testimonianze paiono confermare una affettiva azione di Gelli in quest’ultimo
senso, perlomeno in due occasioni.
La prima vide come protagonista l’ammiraglio Gino Birindelli, già comandante
delle forze navali NATO nel Mediterraneo a Malta. Nel 1970, tornato in Italia, si
diede alla politica aderendo al PDIUM e, dopo la confluenza di questo nel MSI e la
nascita del MSI-DN (estate 1972), venne eletto presidente di quest’ultima
formazione il 4 febbraio l973. Ciò che più interessa ai nostri fini è la
testimonianza che l’ammiraglio rese ai magistrati dopo la scoperta della P2: «Gelli
insisteva sul fatto che io formassi una corrente interna al M.S.I. di cui ero
presidente, in contrapposizione alla linea politica dalla segreteria per poi arrivare
alla scissione ed eventualmente alla formazione di un ampio gruppo nel quale
avrebbero dovuto convergere esponenti di altri partiti, tra cui liberali e D.C.».
Birindelli declinò l’invito28, ma è comunque evidente la perfetta consonanza tra le
sue parole e le disposizioni del “Piano di rinascita democratica”.
Un progetto simile sembra essere stato nelle intenzioni di altri. Luigi Cavallo,
provocatore e ricattatore professionista, in contatto con piduisti eccellenti come
Sindona e Sogno, prevedeva di «utilizzare Birindelli e alcuni dirigenti missini (che
fanno la fronda ad Almirante) per accelerare la crisi del MSI e contrastare la
gestione Almirante»29.
In che misura e in che modi questi progetti abbiano poi trovato attuazione è
difficile stabilire. Nel caso di Birindelli sembrano essere falliti, in quanto
28 Deposizione di Gino Birindelli ad Angelo Gargani, 16 novembre 1981, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. II., t.
VI, pp. 251 sgg.
29 Cfr. l’appunto pubblicato da De Lutiis, op. cit., p. 379; su Cavallo, ibidem, pp. 143 sgg.
l’ammiraglio, in contrasto con la linea di Almirante, uscì dal partito nel giugno
1974. Giova poi ricordare che i tentativi di Gelli nei confronti di Birindelli
risalgono al 1972-1973, mentre il “Prd” è da situare nel 1975.
È noto, comunque, che il MSI patì effettivamente una scissione: il 20 dicembre
1976 fuoriuscì la corrente di destra di Democrazia Nazionale, capeggiata da
Ernesto De Marzio (che divenne segretario del nuovo partito), Mario Tedeschi
(piduista e direttore del “Borghese”), Raffaele Delfino e Gastone Nencioni. Di
inframmettenze piduiste in tutta l’operazione non se ne ha notizia: unici elementi
in tal senso potrebbero essere la presenza di Tedeschi tra gli scissionisti e il
carattere meramente verticistico della scissione stessa (DN porto con sé circa la
metà del gruppo parlamentare missino, ma nemmeno una federazione,
sciogliendosi il 16 dicembre 1979 dopo il misero 0,6% ottenuto alle elezioni del
giugno precedente)30.
Concludendo, non si hanno elementi di giudizio sicuri circa le interferenze
gelliane nella vita del MSI. Un recente episodio, tuttavia, può servire, se non a
spiegare, perlomeno ad illuminare in maniera diversa quanto si è esposto più
sopra: l’8 gennaio 1996 Eugenio Bettiol, giudice per le indagini preliminari a
Roma, ha archiviato il procedimento relativo ai finanziamenti illeciti di Gelli al
M$I, in quanto avvenuti prima dell’entrata in vigore della legge sul finanziamento
pubblico dei partiti. Dalle indagini, tuttavia, è emerso che Almirante avrebbe
effettivamente ricevuto un miliardo da Gelli, così come sostenevano Giorgio
Pisanò e Giulio Caradonna31. Tutto ciò dimostra ancora una volta che le
indicazioni “tattiche” del “Piano di rinascita democratica” non sono rigide, ma si
adattano alle circostanze. Una considerazione va svolta anche riguardo alle
difficoltà delle ricerche in questo campo. Le fonti di tale notizia, infatti, sono
Pisanò e Caradonna. Orbene, né il primo, addirittura membro della Commissione
P2, né il secondo, piduista, ascoltato dalla stessa Commissione, avevano mai
parlato di questo finanziamento.
L’altro partito da escludere, secondo il “Piano di rinascita democratica”, dal
novero dei possibili componenti il governo è il PCI. L’astio di Gelli nei confronti dei
comunisti ha origini lontane, come egli stesso ci conferma nell’affidavit teso a
scongiurare l’estradizione di Sindona: «Ho passato tutta la mia vita combattendo
il comunismo. Quando avevo 17 anni ho lottato contro i comunisti in Spagna [...].
Nella mia qualità di uomo d’affari sono conosciuto come anticomunista e sono al
corrente degli attacchi dei comunisti contro Michele Sindona [...]. L’odio dei
comunisti per Michele Sindona trova la sua origine nel fatto che egli è anticomunista»32.
L’anticomunismo di Gelli non si riduce comunque a un fatto personale: la vicenda
degli affidavit pro-Sindona fa emergere come proprio l’anticomunismo fosse uno
tra i collanti principali di un certo mondo ruotante attorno a CIA, mafia,
massoneria, business internazionale. Tra gli altri sottoscrittori troviamo infatti
John McCaffery e Philip A. Guarino, il primo banchiere inglese, massone,
anticomunista da quando, durante la seconda guerra mondiale, era capo del
controspionaggio inglese a Berna; il secondo un ita1o-americano, ex seminarista,
autorevole esponente del Partito Repubblicano, collegato, sembrerebbe, con CIA e
mafia33.
Lo stesso Sindona rivendicò davanti alla Commissione, che lo sentiva al
30 Sulla scissione di Democrazia Nazionale cfr. Piero Ignazi, Il polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, il
Mulino, 1989, pp. 148 sgg.
31 Cfr. Rosanna Santoro, Caradonna: “Almirante mi disse...”, in “L’Europeo”, 2 novembre 1994.
32 L’affidavit (che risale al 1976) si trova in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. VII, t. II, pp. 256 sgg.
33 Su McCaffery cfr. Alberto Cecchi, op. cit., pp. 33 sgg.; su Guarino, Relazione Teodori, p. 48.
Metropolitan Correctional Center di Manhattan, di ave sempre combattuto,
insieme a Calvi, Gelli e Marcinkus, per il «libero mercato», poiché è questo che
«port[a] la democrazia»: «Non è un mistero che io per tutta la vita ho avuto una
certa ideologia politica, che poi è anche economica; io ero più un animale
economico che un animale politico, ma sempre deciso a combattere quella che era
la collettivizzazione dell’economia (il marxismo, l’enghelismo, per intenderci» 34.
Che la P2 fosse segnata dal più ferreo anticomunismo ce lo conferma
inequivocabilmente, infine, l’analisi delle domande d’ammissione: su 178
affiliandi che hanno compilato la parte relativa agli «Orientamenti politici», 40
hanno dichiarato di simpatizzare per il PSI, 30 per il PLI (o di essere, più
genericamente, liberali), 26 per il PSDI, 14 per il PRI, 5 per la DC, nessuno per il
PCI35.
L’anticomunismo degli ambienti ricordati si inserisce in un disegno più generale,
la cui predisposizione si deve alla CIA (piano “Demagnetize”, 1952), teso ad
impedire, nei paesi NATO, l’accesso dei comunisti al governo. Vari elementi, del
resto, collegano CIA e P2: a parte le rivelazioni di Richard Brenneke, presentatosi
come ex agente dell’intelligence USA, riguardo presunti finanziamenti della CIA
alla P2 volti a destabilizzare (anche attraverso il terrorismo) il sistema politico
italiano36, c’è da ricordare che negli elenchi di Castiglion Fibocchi compare lo
stesso capo della stazione CIA di Roma, Randolph Stone, mentre il suo vice, Mike
Sednaoui, ebbe contatti con vari piduisti, tra cui il generale Ambrogio Viviani,
all’epoca in servizio al SID, al quale consigliò di entrare nella P2 37.
Se, dunque, gli ambienti piduisti erano caratterizzati da questa decisa ostilità nei
confronti del comunismo, ben si capisce come, nel “Piano di rinascita
democratica”, il PCI possa essere stato escluso da qualsiasi prospettiva di
governo. Tuttavia il PCI, dopo il 1975, si avvicinò all’area di governo; è
interessante, perciò, studiare quali fossero le reazioni di Gelli di fronte a una tale
evenienza. Purtroppo, a questo proposito, possediamo solamente le testimonianze
di personaggi coinvolti a vario grado nella trama piduista.
La prima di esse è quella di Paolo Aleandri, un neofascista poi divenuto
collaboratore di giustizia: egli ricorda che, attorno al 1979, Gelli gli parlò della
«necessità di contrastare il compromesso storico, che a suo avvisa stava minando
la sua posizione di potere e favorendo l’avvento del P.C.I.»38. Di tutt’altro avviso i
deputati democristiani Vito Napoli e Publio Fiori: il primo ricorda che, per il capo
della P2, «la crisi poteva essere risolta attraverso il coinvolgimento del PCI nel
governo», mentre Fiori afferma che, durante i governi di solidarietà nazionale,
Gelli non sembrava opporsi a tale formula. Angelo Rizzoli, infine, riferisce che
Gelli «per un certo periodo di tempo, era favorevole all’ipotesi del compromesso
storico, dopo era contrario; prima detestava l’attuale segretario del partito
socialista [Craxi], dopo diceva che l’attuale segretario socialista era bravo» 39. Se i
ricordi dei testimoni sono precisi e le circostanze temporali esatte, si potrebbe
34 Audizione di Michele Sindona, 10 dicembre 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. VIII, p. 97 e p. 85.
35 I dati sono ricavati dall’analisi dei fascicoli degli iscritti alla P2 sequestrati al Grande Oriente d’Italia (in
Commissione P2, Allegati, serie II, vol. II, tt. III-IV).
36 Giuseppe De Lutiis, op. cit., pp. 327 sgg.; Giovanni Maria Bellu - Giuseppe D’Avanzo, I giorni di Gladio. Come morì la
Prima Repubblica, Sperling & Kupfer, 1991, pp. 55 sgg. e pp. 282 sgg.
37 L’episodio fu riferito il 10 dicembre 1990 da Viviani al giudice Carlo Mastelloni, che indagava sul caso Argo 16 (cfr.
Leo Sisti, In viaggio con la Cia, in “L’Espresso”, 13 gennaio 1991).
38 Interrogatorio di Paolo Aleandri da parte di Ferdinando Imposimato, 16 ottobre 1982, in Commissione P2, Allegati,
serie II, vol. III, t. XI, p. 344.
39 Deposizione di Vito Napoli a Ernesto Cudillo, 26 ottobre 1981, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. II, t. VII, p.
780; Audizione di Publio Fiori, 22 giugno 1982, e Audizione di Angelo Rizzoli, 20 gennaio 1982, in Commissione P2,
Allegati, serie I, rispettivamente vol. IV, p. 440, e vol. I, p. 659.
quindi ipotizzare che il Venerabile non fosse granché allarmato dalla prospettiva
del PCI nell’area di governo. Del resto, il periodo della solidarietà nazionale, lungi
dall’essere quella stagione di riforme che Berlinguer immaginava, si rivelò
un’esperienza pressoché fallimentare per il PCI.
La stessa nascita del primo governo non osteggiato dal PCI fu contrassegnata dal
più grave crimine politico della storia repubblicana, il rapimento di Aldo Moro,
avvenuto proprio nel giorno in cui si sarebbe dovuta votare la fiducia. La fiducia,
a causa appunto dell’eccezionalità del momento, venne accordata a tambur
battente, superando d’un colpo le residue perplessità del PCI sulla compagine
governativa: appena il 14 marzo, ad esempio, l’“Unità” aveva parlato di «lista di
ministri inzeppata di vecchie facce». Tra di esse vi erano quelle dei piduisti
Gaetano Stammati e Mario Pedini, ma anche il presidente del Consiglio Giulio
Andreotti non poteva certo rappresentare una garanzia di rinnovamento: anzi, i
suoi legami con Gelli, pur non provati definitivamente, sono affermati da decine
di testimoni.
Il rapimento di Moro dimostra poi che, in quel periodo, il potere di Gelli era tale
da non poter essere scalfito da un governo sostenuto, per di più dall’esterno, dal
PCI. È noto, infatti, che “tutti” gli organismi investigativi attivati alla ricerca di
Moro erano in mano a uomini dalla P2: all’inizio del 1978 era stato smantellato
l’Antiterrorismo di Santillo, mentre Francesco Cossiga, ministro dell’Interno di un
governo dimissionario, aveva istituito l’UCIGOS, scavalcando l’appena approvata
legge di riforma dei servizi; a Roma le indagini erano svolte dal colonnello dei
Carabinieri Giuseppe Siracusano e dal commissario di PS Elio Cioppa; a capo di
Sismi e Sisde (quest’ultimo, peraltro, con appena dieci uomini d’organico) erano
stati nominati i “fratelli” Santovito e Grassini; in pieno sequestro, il segretario del
CESIS, Napoletano, venne costretto alle dimissioni e sostituito dal futuro piduista
Pelosi; nel Comitato Interministeriale per la Sicurezza (CIS), creato ad hoc da
Cossiga, 9/16 dei componenti erano della P2; infine, il “gruppo gestione crisi”,
organismo informale voluto da Cossiga accanto al CIS, era caratterizzato dalla
presenza di alcuni consulenti personali del ministro, tra cui il professore piduista
Franco Ferracuti, che contribuì ad avallare la tesi del “Moro fuori di sé”.
Anche nel caso del PCI, quindi, le previsioni del “Piano di rinascita democratica”
non si dimostrarono cogenti; in particolar, ricordando anche quanto detto a
proposito del MSI, mi sembra si possa trarre la seguente conclusione: mentre le
indicazioni “tattiche” del “Prd” potevano essere eluse (o addirittura contraddette),
ciò che rimaneva saldo era l’obiettivo “strategico”, cioè il controllo (ovviamente,
mediante ricatti) dei partiti: ecco quindi che accanto ai finanziamenti in nero agli
amici, trovavano posto anche quelli ai “nemici” (il miliardo al MSI), o strumenti
più raffinati, come il coinvolgimento controllato del PCI al governo, esperienza
dalla quale il partito di Berlinguer uscì con le ossa rotte. La P2, dunque, più che
intervenire direttamente nelle vicende politiche, sembra controllarne gli sviluppi.
Poco fa si è ricordata un’affermazione di Angelo Rizzoli sulle preferenze politiche
di Gelli. Per l’editore, probabilmente, quello che riferiva era soltanto un esempio
tra i tanti. A posteriori, tuttavia, quella frase sembra rispecchiare fedelmente
l’evoluzione “politica” di Gelli: prima accetta il compromesso storico, poi lo
osteggia; contemporaneamente cresce nelle sue simpatie il segretario socialista
Bettino Craxi. L’avvicinamento tra il rinnovato PSI craxiano e il capo della P2 pare
cominci proprio nella lunga fase di riassestamento del quadro politico seguita alla
fine dei governi di solidarietà nazionale, fase che coincide in parte con lo
svilupparsi del caso ENI-Petromin.
Se la preclusione nei confronti del PCI era totale, non altrettanto può dirsi per
l’altro partito della sinistra, il PSI, e, anzi, molti testimoni concordano nel rilevare
uno spiccato interesse del Venerabile per questo partito. Mi paiono significative le
seguenti dichiarazioni di Giovanni Nisticò, piduista ed ex capo ufficio stampa di
via del Corso: «il ruolo che assegnava al psi era un ruolo... che non è certo il
nostro. Un ruolo chiave, ma in funzione del tutto contraria a quella che è la
nostra storia, insomma. [...] ci vedeva su una linea - per usare un termine banale
- di rottura a sinistra, nostra». Ennio Campironi, già direttore amministrativo del
partito e piduista, sostiene che, per il PSI, Gelli «dimostrava un interesse quale
partito di sicuro sviluppo nella vita politica italiana» 40.
Stando a Marco Pannella, l’interesse era reciproco: secondo il leader radicale,
Craxi, nel gennaio 1981, gli confidò di avere in programma un incontro col capo
della P241. Craxi, del reato, secondo quanto da lui stesso confermato, aveva già
incontrato Gelli all’hotel Raphael nel settembre-novembre l979 42; è da sottolineare
che già all’epoca il capo della P2 era una figura piuttosto nota, almeno negli
ambienti politici romani, per i suoi maneggi. Nel dicembre 1980, ad esempio,
Pannella parlava, nel corso di una “Tribuna politica”, di «sistema criminale di
potere che congiunge la Loggia P2, Sindona e sindoniani ed il gruppo Rizzoli» 43.
Inoltre, politici di certamente minor vaglia che Craxi, quale ad esempio il DC
Massimo De Carolis, hanno potuto sostenere, davanti alla Commissione P2: «già
in quella fase, cioè 1977-78, Gelli era una persona... non credo che adesso qui tra
di noi ce lo possiamo nascondere, perché erano discorsi che ci facevamo - siamo
tutti o quasi colleghi – nel Transatlantico; quando fra di noi dicevamo chi sono le
persone che possono contare, il nome di Gelli spesso veniva fuori» 44.
Craxi, dunque, sapeva di non incontrare un Carneade. Il periodo stesso
dell’incontro (l’autunno 1979) corrisponde poi a un momento di difficoltà del
segretario socialista e si inserisce tra le vicende terminali di quello che è in
seguito, passato alle cronache come scandalo ENI-Petromin 45. Questo affaire mi
pare costituisca il paradigma del modo d’agire della P2 e dei suoi intrecci con la
politica, per cui sarà utile seguirlo da vicino.
Alla base del caso, che si sviluppò lungo tutto l’arco del l979, stava una fornitura
di petrolio che l’ENI, scavalcando l’americana Aramco, era riuscita ad ottenere
direttamente dalla compagnia di stato saudita Petromin (il contratto venne
firmato a giugno). Per la fornitura ci sarebbe però stato da pagare ad un
mediatore straniero (la misteriosa società panamense Sophilau) una provvigione
del 7% sul prezzo dalla stessa: ben presto, invece che di “provvigione” si cominciò
a parlare di “tangente”. Ciò venne fatto per la prima volta, a fine luglio, da Rino
Formica, segretario amministrativo del PSI. La vicenda si concluse, a dicembre,
col fallimento dell’affare. Il decorso della stessa fu, nella realtà, molto più
complicato di quanto si è esposto, poiché si intrecciarono strettamente ad essa
altri due elementi: l’intervento della P2 e la crisi politica succeduta alla fine dei
governi di solidarietà nazionale. Tutto l’affaire è in mano a uomini della P2: il
40 Audizione di Giovanni Nisticò, 1° luglio 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. IV, pp. 579-580; Deposizione di
Ennio Campironi a Ernesto Cudillo, 17 novembre 1981, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. II, t. VI, p. 361.
41 Tali dichiarazioni, rese a Teleroma 56, sono riprese da Sergio Turone in Corrotti e corruttori dall’Unità d’Italia alla P2,
Laterza, 1984, p. 311.
42 Audizione di Giovanni Nisticò, cit., p. 548, pp. 572 sgg., p. 589, pp. 603 sgg.; Audizione di Bettino Craxi, 8 febbraio
1984, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. XIV, pp. 332-333.
43 Relazione Teodori, pp. 164 sgg.
44 Audizione di Massimo De Carolis, 17 giugno 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. IV, p. 338.
45 Sul caso cfr. Gianni Rossi - Francesco Lombrassa, op. cit., pp. 119 sgg.; L’Italia della P2, cit., pp. 96 sgg.; Leo Sisti Gianfranco Modolo, Il Banco paga. Roberto Calvi e l’avventura del Banco Ambrosiano, Mondadori, 1982, pp. 179 sgg.
presidente dell’ENI Giorgio Mazzanti, il direttore per l’attuazione Leonardo Di
Donna, il segretario generale della Farnesina Francesco Malfatti di Montetretto, il
ministro per il Commercio Estero Gaetano Stammati, coi funzionari dello stesso
ministero Lorenzo Davòli, Giuseppe Battista e Luigi Bisignani, il direttore
dell’Ufficio Italiano Cambi Ruggero Firrao; inoltre, in episodi sviluppatisi ai
margini dell’affare, il vicepresidente dell’ANIC Gioacchino Albanese, Vittorio
Emanuele di Savoia, il costruttore romano Mario Genghini.
Oltre alla truppa, scesero in campo anche i generali della P2. Umberto Ortolani,
nella primavera del 1979, prima della firma del contratto, aveva incontrato più
volte Formica, discutendo non solo dell’affare, ma anche della necessità di
migliorare i rapporti tra Craxi e Andreotti 46. Il 9 ottobre entrò in scena anche Licio
Gelli, che convocò Mazzanti alla sua suite all’Excelsior: qui il Venerabile gli fece
intravedere un dossier che avrebbe dovuto provare l’esistenza della tangente e di
cui lui, a suo dire, aveva impedito la pubblicazione sulla stampa 47. Era, con tutta
evidenza, un ricatto, ma Mazzanti, giunto appositamente da Vienna per
incontrare una persona, secondo le sue stesse ammissioni, a lui completamente
sconosciuta, si guardò bene dal denunciarlo.
Ma ciò che più interessa di tutto l’affaire è il lato politico. Il 1979 è un annospartiacque della recente storia italiana: il 31 gennaio, con la dimissioni del IV
governo Andreotti, si chiudeva l’esperienza della solidarietà nazionale e si apriva
una convulsa fase di ricerca di nuovi equilibri politici. A marzo iniziava una
lunghissima crisi di governo, che si concludeva solo il 4 agosto con la formazione
del I gabinetto Cossiga (DC, PSDI, PLI), tenuto in vita solo dall’astensione del PSI.
E proprio questo partito sembra essere il protagonista di tutta la vicenda, sia nel
suo lato politico, sia in quello “affaristico”: al suo interno ferveva il dibattito tra la
maggioranza craxiana e la sinistra di Signorile sulle alleanze da perseguire,
dibattito nel quale si inserirono inopinatamente anche aspetti legati all’affaire
ENI-Petromin. È poi proprio il PSI a far esplodere il caso, ma l’impressione che si
ricava leggendo la documentazione in merito è che la sortita di Formica e di Craxi
sulla tangente alla Sophilau fosse legata ai dissidi interni al partito tra craxiani e
signoriliani, dissidi che, simmetricamente, si riproducevano all’interno dell’ENI,
col signoriliano Mazzanti (che aveva condotto la trattativa) a difendere il contratto
ed il craxiano Di Donna a gridare allo scandalo. La motivazione ufficiale della
denuncia di Formica, il timore, cioè, che dietro la Sophilau potessero celarsi
percettori italiani della tangente, rispecchia forse il timore che tra tali percettori vi
fossero anche i propri avversari interni, i quali, fino a quel momento, sembravano
essere i protagonisti dell’affare. Esiste un episodio che sembra confermare tutto
ciò: prima che venisse firmato il contratto d’intermediazione con la Sophilau,
infatti, Mazzanti venne avvicinato da Ferdinando Mach di Palmstein,
notoriamente fedelissimo di Craxi, che gli propose una diversa società di
intermediazione48. Del resto, l’impressione che le denunce di Craxi fossero legate
ai dissidi interni del PSI venne subito colta da una vecchia volpe come Giulio
Andreotti, il quale confidò a Stammati che «i socialisti per beghe interne gridano
allo scandalo»49.
46 La documentazione su tali incontri si trova in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. VII, pp. 337 sgg.
47 Il dossier è probabilmente quello ritrovato alla GIOLE (in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. I, pp. 1311 sgg.).
48 “Diario Stammati” (si tratta di un diario che Stammati tenne durante lo svolgersi della vicenda e che venne poi
ritrovato nell’archivio di Gelli), ibidem, p. 1363 e p. 1368; Audizione di Rino Formica avanti alla Commissione
parlamentare per i procedimenti d’accusa, 11 novembre 1981, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. VII, pp.
348 sgg. e pp. 375 sgg.; Deposizione di Giulio Andreotti a Carlo Palermo, 15 dicembre 1983, in Commissione P2,
Allegati, serie II, vol. VII, t. V, pp. 225 sgg.
49 “Diario Stammati”, cit., p. 1354.
Quale fu il ruolo della P2 in questo complesso intreccio di politica e affari? Per
rispondere a tale quesito bisogna ricordare che l’iniziativa del contratto fu presa
da una impressionante serie di “fratelli” e che, tra il luglio e il dicembre, quando
la Petromin decise l’interruzione della fornitura, erano stati comunque versati alla
Sophilau già 17 milioni di dollari50. Gli interventi più squisitamente politici di
Gelli cominciano solo dall’ottobre, quando ormai non gli resta che tirare le fila. Il
9 ottobre scatta il ricatto a Mazzanti: la mossa, considerato che il presidente
dell’ENI era un signoriliano, potrebbe essere interpretata come un tentativo di
ammorbidimento delle posizioni della sinistra, ostile a una collaborazione al
governo con la DC di Andreotti. Che, al contrario, questo fosse il progetto della P2
è dimostrato dal fatto che, non solo Ortolani ne aveva esplicitamente parlato a
Formica durante gli incontri della primavera, ma Gelli in persona chiese ed
ottenne un abboccamento con Bettino Craxi. In quell’occasione la discussione
verté, come riferito da Nisticò e confermato da Craxi, sulla proposta gelliana di
accordo tra i due leader e (ma questo secondo il solo Nisticò) sulla possibilità di
“recupero” dell’affare51.
La manovra a tenaglia di Gelli si chiuse con un terzo incontro, avvenuto ai primi
di dicembre: interlocutore, questa volta, era Leonardo Di Donna, craxiano. Il clou
del colloquio fu una minacciosa profezia del Venerabile circa un passibile
ribaltamento delle posizioni all’interno del PSI: durante una delle successive
Direzioni del partito Craxi avrebbe potuto trovarsi con soli 11 voti, contro i 14
dalla sinistra52. Circa un mese dopo, il 18 gennaio 1980, la profezia si avverava ed
il Comitato Centrale si chiudeva con una sconfitta per Craxi, che vedeva
sconfessata la sua linea di appoggio esterno al governo. Quella della sinistra si
rivelò comunque una vittoria di Pirro: in primo luogo perché il disimpegno
dall’astensione non significava, coma speravano Signorile e i suoi, ricerca di
un’alternativa di governo aperta anche al PCI, ma, all’opposto, impegno diretto
nel governo accanto alla DC; in secondo luogo, già al Comitato Centrale del 20
marzo il segretario recuperò la maggioranza, grazie alla defezione dalla sinistra
dell’ala capeggiata da Gianni De Michelis, il quale venne subito ricompensato con
la poltrona di ministro delle Partecipazioni Statali (aveva appena 40 anni) nel II
governo Cossiga; governo che, come auspicato da Gelli, vedeva la collaborazione
tra la DC di Andreotti e il PSI di Craxi.
Se il risultato corrispose ai desiderata del capo della P2, il processo che portò ad
esso non pare del tutto lineare: si pensi, ad esempio, alla sconfitta di Craxi al
Comitato Centrale del 18 gennaio. Riguardo ad affinità tra P2 e PSI (o una sua
parte), mi pare tuttavia che esse emergano abbastanza chiaramente,
specialmente se a tutta la vicenda ENI-Petromin si aggiungano i seguenti tre
ulteriori elementi: 1) l’esplodere dello scandalo favorì, al di là di tutto, la
segreteria socialista; Spencer Di Scala, dopo aver sottolineato le difficoltà in cui si
dibatteva Craxi nell’autunno-inverno 1979, così conclude: «la pressione [della
sinistra] si allentò solo temporaneamente grazie all’esplodere dello scandalo ENIPetromin, che coinvolse Giorgio Mazzanti, esponente del gruppo Signorile» 53; 2)
l’ipotesi di collegamenti tra Gelli e Craxi parrebbe ricevere una prima conferma
dalla loro condanna di primo grado (insieme a Di Donna) al processo sul conto
50 Audizione di Giorgio Mazzanti, 16 dicembre 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. VIII, pp. 198-199 e pp. 225226.
51 Cfr. la nota 42.
52 Audizione di Leonardo Di Donna, 21 dicembre 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. VIII, pp. 279-280; L’Italia
della P2, cit., p. 101.
53 Renewing Italian socialism. Nenni to Craxi, Oxford University Press, 1988 (trad. it., Da Nenni a Craxi. Il socialismo italiano
visto dagli USA, SugarCo, 1991, pp. 328-329).
Protezione, vicenda che si sviluppò a margine del contratto con la Petromin; 3) in
molte delle successive vicende il PSI ha “oggettivamente” difeso la P2 e questa,
quando ha voluto mandare “messaggi” ai politici ha di preferenza scelto proprio
questo partito. A proposito di quest’ultimo punto, si ponga mente a questa, a mio
modo di vedere, impressionante serie di date. Il 20 maggio 1981, mentre vengono
finalmente divulgati gli elenchi della P2, viene arrestato, per esportazione illecita
di capitali, Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano e mente finanziaria
della loggia gelliana. Il 10 giugno, Francesco Forte, responsabile della politica
economica del PSI, dà il via, sull’“Avanti”, a una campagna di stampa contro
l’“abuso” che magistrati e giornali facevano del caso Calvi. La sera del 2 luglio,
Calvi, rinchiuso nel carcere di Lodi, fa chiamare i magistrati che indagano su di
lui, ma ciò che dirà loro, più che di una completa confessione, ha l’aria di un
avvertimento ben mirato: il banchiere rivela, in sostanza, che, nel febbraio-marzo
1980 (attenzione alle date), Ortolani lo spinse a dare 21 milioni di dollari al
Partito Socialista, ricevendo i ringraziamenti personali di Craxi e Formica 54. Due
giorni dopo, a Fiumicino, vengono “ritrovati” in una borsa di Maria Grazia Gelli
una serie di documenti, tra cui un dossier, compilato anche con carte riservate,
su Gianni De Michelis, colui che l’anno prima aveva consegnato la maggioranza a
Craxi. Il 9 luglio Calvi, ancora in carcere, inscena un tentativo di suicidio. Il
giorno dopo, 10 luglio, è il giorno del dibattito alla Camera sulla fiducia al governo
Spadolini. Craxi dedica la maggior parte del suo intervento al caso P2: esordisce
affermando che i giudici milanesi avevano commesso «errori» fin dall’inizio,
considerando veritieri in toto gli elenchi della P2 e coinvolgendo così, in «una
campagna [...] di maccartismo», «notori farabutti» con «galantuomini». Altro errore
dei giudici l’arresto di Calvi (per quel tipo di reati non era obbligatorio il mandato
di cattura), che ha provocato un inevitabile contraccolpo in Borsa. Più in generale
sono gli stessi metodi della Procura milanese ad essere censurati dal segretario
socialista: «Il tentato suicidio di Calvi ripropone con forza il clima inquietante di
lotte di potere condotte con spregiudicatezza e violenza intimidatoria, contro il
quale bisogna agire per ristabilire la normalità dei rapporti tra Stato e cittadini» 55.
Se si volessero ora trarre delle conclusioni da quanto si è sin qui esposto, mi pare
che, anche senza voler ipotizzare necessariamente un rapporto organico tra P2 e
PSI (o suoi settori), se la loggia gelliana avesse voluto puntare su un partito,
questo non avrebbe che potuto essere il PSI craxiano.
Le trasformazioni che il trionfatore del Midas andava imponendo al proprio
partito, intatti, ai situavano su una linea che ricordava temi propri degli ambienti
piduistici. Scriveva nel 1985 lo studioso tedesco Merkel: «Il PSI, che da tanto
tempo ormai non è più un partito socialista di sinistra, non è riuscito, d’altra
parte, a diventare un classico partito socialdemocratico [...]. La mancanza di
concezioni valide si rispecchia in una politica che oscilla fra un programma neocorporativo, tendenze neo-liberali, statalismo politico e una strategia
opportunistica di acquisizione del potere» 56.
Quanto al Craxi presidente del Consiglio, l’inglese Hine annota che «he contrived
54 Che la confessione di Calvi potesse essere in pratica un “avvertimento” ai politici venne implicitamente confermato
dallo stesso banchiere alla moglie, la quale, sentita dalla Commissione nel dicembre 1982 (cfr. Commissione P2,
Allegati, serie I, vol. VII, p. 571, pp. 610-611, pp. 634-635, p. 651), raccontò che la tattica di Craxi davanti ai messaggi di
Calvi era quella di temporeggiare, mentre, dopo la scarcerazione (22 luglio 1981), il banchiere ed il segretario del
PSI si sarebbero visti più volte, anche da Pazienza. Di più: il verbale venne pubblicato sull’“Espresso” datato 4
ottobre 1981, ma già il 1° Calvi smentiva, permettendo a Craxi di parlare di complotto sventato contro il PSI.
55 Il testo integrale del discorso è pubblicato sull’“Avanti!” dell’11 luglio 1981.
56 Wolfgang Merkel, Die Sozialistische Partei Italiens: zwischen Oppositionssozialismus und Staatspartei, Brockmeyer, 1985
(trad. it., Prima e dopo Craxi. Le trasformazioni del PSI, Liviana Editrice, 1987, pp. 244-245).
at different times to attack Parliament, the judiciary, the constitutional court and
the president of the republic [...]. Craxi’s self-declared “decisionismo” was,
however, more style than substance and was highly selective»; ne rileva, infine, gli
«appeals for strong personalized leadership»57.
Se poi si passa ad analizzare ambiti più vicini al sottogoverno, Cazzola nota che
«dal 1979 più di metà del suo [del PSI] potere governativo è assorbito da (o meglio:
passa attraverso i) ministeri clientelari. [...] Se l’obiettivo è sottrarre voti alla Dc,
un primo passo non può che essere costituito dall’inserimento anche a livello
governativo centrale dei socialisti nei reticoli del clientelismo ministeriale» 58.
Sempre a proposito di consonanze tra PSI e P2, è noto che Craxi fu tra i primi
politici ad aprire al MSI: «Craxi è stato il primo a capire che una forza come la
nostra non può essere ghettizzata»; Almirante rese questa dichiarazione nel
dicembre 1984, dopo che, coi suoi voti, aveva contribuito a far approvare il
cosiddetto “decreto Berlusconi”, presentato dal governo Craxi. Stando al
segretario missino, il MSI, in cambio dei voti, avrebbe ottenuto maggior spazio
sulle televisioni Fininvest59.
Netta chiusura al PCI, ridimensionamento del ruolo dei sindacati (si ricordi il
referendum sul costo del lavoro del giugno 1985, peraltro favorevole a Craxi),
aperture a destra, liberismo ed efficientismo spesso di facciata od opportunistici
(come nel caso delle televisioni private), sottogoverno come strumento di
consenso, leadership fortemente personalizzata, esecutivo forte e, non di rado, in
rotta di collisione con il Parlamento e gli altri organi costituzionali, violenti
attacchi alla magistratura (accusata di perseguire fini politici): come si vede i
leitmotiv dell’azione politica craxiana riecheggiano da vicino quelli presenti in
documenti di provenienza P2.
Manca infine da esaminare la posizione della Democrazia Cristiana. La
documentazione riguardo questo partito è piuttosto peculiare, giacché, da una
parte, abbiamo una mole di documenti su singoli esponenti (Andreotti su tutti),
dall’altro, a differenza dei partiti di cui si è parlato sopra, è difficile delineare una
strategia della P2 nei confronti della DC. Le motivazioni di ciò credo che
risulteranno chiare dalla successiva esposizione.
La Relazione di maggioranza individua nel Nuovo Partito Popolare il più grave
tentativo d’attacco della P2 nei confronti della DC. L’ipotesi è, a mio parere, da
respingere completamente. Basti dire che il NPP, fondato il 28 febbraio 1975 da
Mario Foligni, ambiguo rappresentante del sottobosco politico-affaristico romano,
ottenne, nel 1976, 10.927 voti e, nel 1979, 2.112. Non solo: tutta la vicenda del
NPP venne alla luce grazie al noto dossier M-FO-BIALI, compilato dall’Ufficio D
del SID tra l’ottobre 1974 e l’autunno successivo: in tale documento, tuttavia, il
nome di Gelli compare un paio di volte, e in episodi di sapore affaristico più che
politico.
Molto più indicativa mi pare un’altra vicenda. Tra le carte della GIOLE venne
trovato un “Accordo finanziamento Flaminio Piccoli-Rizzoli”, del 17 aprile 1979 60,
con il quale la Democrazia Cristiana, rappresentata dal presidente Piccoli, preso
atto che l’esposizione debitoria nei confronti del gruppo Rizzoli ammontava a oltre
10,5 miliardi, si impegnava «a studiare, d’accordo con il Gruppo Rizzoli, i modi ed
i tempi che consentano di rientrare da tale esposizione»; a questo scopo la DC
offriva «il suo appoggio e la sua intermediazione al fine di giungere a soluzioni
57 David Hine, Governing Italy. The Politics of Bargained Pluralism, Oxford University Press, 1993, pp. 205-206.
58 Franco Cazzola, “Struttura e potere del Partito socialista italiano”, in Il sistema politico italiano, a cura di Gianfranco
Pasquino, Laterza, 1985, p. 202.
59 Le dichiarazioni furono rese a Giorgio Rossi e sono riportate in Elio Veltri, Da Craxi a Craxi, Laterza, 1993, p. 166.
60 In Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. I, pp. 1236-1237.
vantaggiose per il Gruppo».
Indipendentemente dai contenuti dell’accordo, ciò che balza agli occhi è che,
ancora una volta, non vi è un intervento diretto di Gelli: questi si limita ad
archiviare il documento, che si trasforma così in una formidabile arma di ricatto.
Qua non interessa vagliare l’ipotesi che Rizzoli e/o Piccoli possano essere stati
costretti alla firma da Gelli (cosa che, d’altra parte, ne dimostrerebbe la
ricattabilità), quanto sottolineare l’abnormità di un accordo secondo il quale il
partito di maggioranza relativa avrebbe dovuto finanziare ed “aiutare” l’editore del
maggiore quotidiano ”indipendente” del Paese.
Piccoli, del resto, compare anche in un altro episodio, un “avvertimento” di Gelli,
risalente al febbraio 198161. Lo stesso Piccoli pose in relazione l’avvertimento
all’allarme da lui lanciato in quel periodo circa una «congiura massonica» ai danni
della DC. Ma, se congiura v’era stata, allora Piccoli avrebbe dovuto essere
riconoscente ai magistrati che l’avevano svelata; viceversa, il suo attacco nei loro
confronti fu durissimo: nel suo discorso (un «grido di dolore») al dibattito sulla
fiducia al governo Spadolini, il segretario democristiano lamentò che «il lavoro dei
tribunali troppe volte sconfina dal campo del diritto a quello della politica» e
invocò la revisione del ruolo del PM, con un controllo del Guardasigilli su di esso
e l’introduzione della responsabilità civile dei magistrati (provvedimenti
paradossalmente presenti nel “Piano di rinascita democratica”).
In termini conclusivi, preso atto anche delle varie testimonianze su finanziamenti
P2 a candidati democristiani 62, mi pare opportuno citare ampiamente (con
sottolineature, maiuscole ed errori ortografici originali) una lettera del
capogruppo P2 fiorentino, Domenico Bernardini, a Licio Gelli; la missiva, datata
30 maggio 1980, riassume l’impegno elettorale della loggia a Firenze per le
amministrative del giugno: «Ai candidati socialisti: Abboni, Caiazzo e Colzi sono
stati consegnati pro-capite un milione di lire quale contributo per le spese
elettorali - voti nessuno. Mi spiace che i nominativi sopra indicati non siano di
Tuo gradimento, questo dipende dalla mancanza di direttive di massima che più
volte Ti ho richiesto e che Tu non hai dato. Per la Democrazia Cristiana sono stati
spesi, - tenendo presente la tua promessa di contributo - la somma di dieci
milioni di lire (di cui cinque milioni prelevati dai fondi della Loggia e cinque
milioni prestati da alcuni fratelli). Tale denaro è stato distribuito alle associazioni
collaterali (Rosario Perpetuo, San Vincenzo de Paoli ecc.) onde riceverne voti
preferenziali per i candidati Fanfaniani. La lotta per togliere il potere a Firenze ai
comunisti è disperata anche perché la Democrazia Cristiana non presenta uomini
validi. Ma se non ci impegniamo a fondo in questo battaglie qual’è il nostro
compito?»63. Si tenga presente che allora il PSI era al governo cittadino accanto al
PCI e che, anzi, Ottaviano Colzi era vicesindaco. Così come a livello nazionale,
dunque, anche a livello locale 1’obiettivo era “aiutare” le ali destre di DC e PSI per
emarginare il PCI: e difatti, tutti i politici democristiani iscritti alla P2
appartenevano alle correnti di destra della DC (Filippo De Jorio, consigliere della
Regione Lazio, militava addirittura nel Fronte Nazionale; Massimo De Carolis e
Sergio Pezzati appartenevano al MILLE, Movimento Italia Libera nella Libera
Europa, espressione dalla Maggioranza silenziosa; Publio Fiori è successivamente
trasmigrato ad Alleanza Nazionale).
61 La relativa documentazione si trova in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. VII-bis, pp. 363 sgg.
62 Si veda ad esempio: Audizione di Federico Federici, 9 giugno 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. IV, p. 9 e
pp. 76 sgg.; Audizione di Sergio Pezzati, 1° luglio 1982, ibidem, p. 613 e p. 615; Rendiconto del gruppo P2 di Firenze,
ca. dicembre 1979.
63 Lettera di Domenico Bernardini a Licio Gelli, 30 maggio 1980, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. II, p. 357
oppure vol. III, t. VII-bis, p. 597.
4. CONCLUSIONI
Si è visto che la Relazione Anselmi pone l’accento sulla “neutralità” della P2,
negando che essa possa essere in qualche modo “figlia” del sistema politico
italiano. Alla luce di quanto esposto tale affermazione, però, sembra vacillare, sia
per una considerazione teorica, sia per l’esame delle circostanze storiche concrete
lungo le quali si è sviluppato il fenomeno piduista.
La considerazione teorica riguarda la strutturazione stessa del sistema partitico
italiano. Tutti gli osservatori concordano nel ritenere la mancanza d’alternanza al
governo come il difetto più grave del nostro sistema politico, il quale si
caratterizza per la forte presenza dei partiti: è, insomma, la cosiddetta
“partitocrazia” o, con linguaggio specialistico, un “party government”. Ma è un
“party government” sorto strutturandosi attorno al (ed introiettando il) difetto
genetico della costitutiva impossibilità d’alternanza. Tale impossibilità ha fatto sì
che, da una parte, la competizione politica avvenisse sulle ideologie anziché sul
concreto policy making, dall’altra, che la DC, sempre sicura della vittoria e non
stimolata dall’opposizione, potesse dedicarsi al rafforzamento del suo potere,
soprattutto attraverso il sottogoverno. Specularmente, il PCI, sempre perdente,
tendeva a una forte ideologizzazione del dibattito politico, ovvero ad ottenere
piccole concessioni attraverso le “leggine”. I partiti, comunque, nonostante la loro
pervasiva presenza, sembrano essere pessimi recettori di input, o non esercitando
tale funzione, o facendolo attraverso metodi clientelari 64. Con questa premesse,
non sorprende che il Parlamento abbia subito on progressivo processo di
marginalizzazione.
La causa prima di tutto ciò è di ordine internazionale, essendo, l’Italia, il paese
col più forte Partito Comunista nell’ambito NATO.
Necessità dell’atlantismo, mancanza di alternanza, possibilità per la DC di
dedicarsi al sottogoverno, sterile ideologismo dell’opposizione, pervasività, ma non
ricettività dei partiti, marginalizzazione del Parlamento: considerati tutti questi
fattori, mi pare che, al contrario della Anselmi, si possa affermare che la P2 “non
può non dirsi filiazione del sistema dei partiti”.
Questa conclusione, a cui si è giunti per via teorica, mi sembra venga confermata
anche dall’analisi delle vicende politiche italiane, costellate da una miriade di
zone d’ombra. Anche limitandosi ai casi esposti in questa sede, è possibile notare
come, nella maggior parte di essi, la P2 non operi contro i partiti, ma al loro
fianco: se c’è conflitto, questo si verifica nell’ambito del sottogoverno o di quello
che Bobbio ha chiamato “criptogoverno”, vale a dire «l’insieme delle azioni
compiute da forze politiche eversive che agiscono nell’ombra in collegamento coi
servizi segreti, o con una parte di essi, o per lo meno da questi non ostacolate» 65.
In tal senso, la provocatoria affermazione di Gelli secondo cui «non è stata la P2 a
tentare di corrompere la classe politica italiana. È stato proprio l’opposto» 66 è
paradossale fino ad un certo punto: quando entra in scena il Venerabile gli affari
del sottogoverno sono in pieno rigoglio, mentre i meccanismi del criptogoverno
sono perfettamente oliati (fascicoli delorenziani, piano Solo, strategia della
tensione, Gladio). D’altra parte, si è più volte avuto modo di constatare come
Gelli, spesso, non fosse il protagonista diretto degli affaire, ma si limitasse a
64 Cfr., ad esempio, Gianfranco Pasquino, op. cit., pp. 93-94; David Hine, op. cit., pp. 69-70.
65 Norberto Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, in “Rivista italiana di scienza politica”, n. 2, 1980, pp. 200-201.
66 Parla Gelli, in “Panorama”, 24 maggio 1982, pp. 54 sgg. (per questa notizia, p. 65); si tratta di una “intervista” sui
generis: le domande formulate dai notisti politici del newsmagazine milanese vennero consegnate a Pier Carpi,
scrittore presente nelle liste della P2 e difensore in più occasioni del Venerabile. Carpi vi aggiunse domande da lui
raccolte tra la gente e fece pervenire il tutto a Gelli.
prenderne atto e a custodirne i relativi dossier nel suo archivio personale (si
pensi, ad esempio, all’accordo tra Rizzoli e Piccoli).
Se, dunque, non fu la P2 a corrompere il sistema politico, ma si limitò ad inserirsi
in un contesto preesistente, qual era la sua peculiarità? Io credo che le novità del
progetto gelliano risiedano: l) nel tentativo di coordinare i vari settori dei “poteri
invisibili”; 2) di conseguenza, nella diversificazione delle strategie; 3)
nell’abbandono dell’estemporaneità degli interventi tesi alla stabilizzazione, in
favore di un controllo diretto dall’interno del sistema.
Riguardo al primo punto, basterà segnalare come la “solidarietà” massonica
(intesa in senso deteriore) si prestasse ottimamente a divenire il collante di una
rete criminale intessuta di ricatti e di favori, in cui venivano a trovarsi invischiati
anche personaggi (è il caso, per esempio, di Mazzanti e Di Donna) noti per il loro
antagonismo.
La seconda novità che va segnalata è la grande varietà di strumenti a disposizione
della superloggia, che poté così passare dall’eversione (golpe Borghese),
all’infiltrazione nei gangli dello Stato (e l’elenco degli iscritti per settore d’attività
ne è documento inquietante), all’inserimento in attività economiche (il caso ENIPetromin).
La terza novità segnalata riguarda più da vicino l’argomento qui trattato, l’azione
politica piduista. Credo che questa azione si svolgesse su due livelli: 1) politico in
senso stretto; 2) decisionale.
Al primo livello, obiettivo della P2 sembra essere stato quello della stabilizzazione
moderata del quadro politico: essa doveva essere ottenuta tramite forme di
consociativismo che prevedevano, da un lato, l’esclusione pregiudiziale dal
governo del PCI e del MSI; dall’altro, la contemporanea partecipazione agli
esecutivi dei rimanenti partiti dell’arco costituzionale più, eventualmente, un MSI
depurato dai nostalgici. Questo è quanto previsto dal “Piano di rinascita
democratica”, ma deve essere considerato come una sorta di programma
massimo, presupposto del quale è comunque una intesa tra tutti i partiti.
Umberto Federico D’Amato, già capo della Divisione Affari Riservati del ministero
dell’Interno e piduista, sostiene appunto che Gelli «aveva una idea base, cioè che
andasse svolta - e lui diceva di svolgere - una permanente azione per la formula
politica di collaborazione tra i partiti. Diciamo un centro-sinistra allargato, quasi
la formula dell’attuale governo [il pentapartito di Spadolini], in cui ci dovevano
stare tutti i partiti esclusi i comunisti» 67. Le pressioni gelliane per un accordo tra
Andreotti e Craxi sembrerebbero rientrare in un tale orientamento.
È importante sottolineare, tuttavia, che per raggiungere questa stabilizzazione
moderata venivano usate tattiche che, apparentemente, sembravano
discostarsene (si ricordi l’atteggiamento aperturista nei confronti del
compromesso storico): per “stabilizzazione”, dunque, non bisogna intendere un
“impedimento” del mutamento degli assetti, politici, bensì un loro “controllo”;
controllo che avviene mediante l’infiltrazione negli apparati dello Stato (e nei
partiti, che lo Stato hanno invaso) di uomini dell’organizzazione. Da tutto ciò
discende che, più che di stabilizzazione pura e semplice, si debba parlare di
“stabilizzazione dinamica” o di “controllo del mutamento”.
Il tema dell’infiltrazione ci porta direttamente alla discussione del secondo punto:
l’intervento della P2 sugli ambiti decisionali. Seguendo Rodotà 68, si può parlare di
clandestinizzazione delle sedi decisionali; il fenomeno è, in parte, comune a tutte
67 Audizione di Umberto Federico D’Amato, 29 ottobre 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. VI, p. 513.
68 Stefano Rodotà, “P2 e Stato. Le dinamiche di occupazione del potere da parte del partito occulto”, in La resistibile
ascesa della P2, De Donato, 1983, p. 146.
le democrazie occidentali ed è stato analizzato dall’economista inglese Fred
Hirsch, secondo il quale quanto più cresce la partecipazione democratica a
istanze decisionali, tanto più tale istanza perde potere a favore di sedi informali e
“invisibili”69.
È d’altra parte vero, come ci ricorda Bobbio nell’articolo precedentemente citato,
che, nel governo delle economie postkeynesiane, la classe politica esercita il
potere «anche attraverso la gestione di grandi centri di potere economico»,
sottraendosi così, «se non formalmente, sostanzialmente, al controllo democratico
e al controllo giurisdizionale».
Negli altri paesi occidentali il fenomeno è in parte attenuato dal ricambio che il
personale politico subisce più o meno frequentemente. Le peculiarità del sistema
politico italiano hanno invece prodotto una nomenklatura di vertice pressoché
immutabile, in cui un limitato ricambio avveniva attraverso meccanismi
sostanzialmente cooptativi. Dall’altro lato, un’opposizione geneticamente votata
alla sconfitta poteva sì ritagliarsi nicchie (o “ghetti”) di potere, ma non poteva
assumerlo.
Rebus sic stantibus era inevitabile che da un lato il Parlamento venisse
marginalizzato; dall’altro, che l’Italia si avviasse a divenire uno dei casi
paradigmatici di ciò che Susan Rose-Akerman ha definito “economia della
corruzione”70.
69 Cit. in Pierluigi Onorato, “Stragi e poteri occulti”, in Eversione di destra, terrorismo, stragi. I fatti e l’intervento giudiziario,
a cura di Vittorio Borraccetti, Franco Angeli, 1986, p. 264.
70 Susan Rose-Akerman, The Economy of Corruption, in “Journal of Public Economics”, n. 4, 1975.