la loggia p2 e il sistema politico italiano
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LA LOGGIA P2 E IL SISTEMA POLITICO ITALIANO 1. GLI STUDI SULLA LOGGIA P2 In uno scritto del 1986, Norberto Bobbio lamentava la carenza di studi specialistici sul tema dei poteri occulti1, tema che, non solo nel giudizio del filosofo torinese, ha invece un’importanza centrale nell’analisi delle vicende del nostro Paese. L’osservazione pare pertinente tuttora, specialmente se applicata al caso della loggia P2. Riguardo al sodalizio gelliano, esistono, per lo più, solo lavori di tipo giornalistico. Già nel 1981, la Mondadori pubblicava un libro che raccoglieva i contributi di alcuni tra i giornalisti che, specialmente su “Panorama”, si erano occupati del caso e delle vicende collegate 2. Pur risentendo qua e là del taglio giornalistico, il volume si rivela piuttosto curato, tanto che, spesso, episodi ivi riferiti hanno trovato successive conferme documentali: è il caso, per esemplificare, di un episodio di ingerenze piduistiche nella formazione del I gabinetto Cossiga, riferito da Pino Buongiorno e Maurizio De Luca e confermato dal segretario del PLI Valerio Zanone, che ne era stato protagonista indiretto, alla Commissione P23. Gli stessi giudizi possono essere espressi per un’altra pubblicazione, anche questa del 1981, che si dove a Rossi e Lombrassa (i quali, però, pubblicano, in una breve appendice, anche alcuni documenti provenienti dalla stessa P2) 4, mentre su una linea alquanto diversa si collocano due libri usciti nel 1983: la biografia di Licio Gelli scritta da Gianfranco Piazzesi e la raccolta degli interventi svolti ad un convegno sulla P2 organizzato dal PCI ad Arezzo in quell’anno 5. Quella di Piazzesi è considerata di solito come una biografia di Gelli, ma essa in realtà si occupa prevalentemente di un solo periodo della vita del Venerabile, quello compreso tra il 1940 e l’immediato dopoguerra. La ragione di ciò risiede nell’interesse di Piazzesi riguardo l’appartenenza o meno di Gelli al PCI, constatata soprattutto la sua notoria militanza fascista (anche dopo il 1943): alcuni documenti e le testimonianze raccolte a Pistoia da Giulio Giustiniani (suo giornalista alla “Nazione”) gli consentono di giungere alla conclusione che il futuro capo della P2 non solo collaborò coi partigiani comunisti, ma in seguito divenne un agente al servizio del Kominform. Successive acquisizioni documentali ed un miglior vaglio delle fonti orali, parrebbero tuttavia smentire questa tesi. Alberto Cecchi, già membro comunista della Commissione P2, nonché studioso della Resistenza toscana, ha precisato che le formazioni partigiane con le quali collaborò Gelli non erano garibaldine, bensì l’una anarchica e l’altra apolitica 6. Quanto all’appartenenza al Kominform, essa viene affermata in un solo documento, noto, impropriamente, come informativa COMINFORM, redatta nel settembre 1950 da un informatore del Sifar. Il successivo lavoro di verifica, condotto dal servizio attraverso un proprio agente, smentì però quanto sostenuto 1 Norberto Bobbio, Prefazione a La strage. L’atto d’accusa dei giudici di Bologna, a cura di Giuseppe De Lutiis, Editori Riuniti, 1986, p. IX. 2 L’Italia della P2, Mondadori, 1981. 3 Ibidem, pp. 57-58; Audizione di Valerio Zanone, 24 gennaio l984, in Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, Allegati alla relazione (Commissione P2, Allegati), Camera dei Deputati - Senato della Repubblica, 1984, serie I, vol. XIV, pp. 85-86; “Diario Stammati” (su di esso si tornerà in seguito), in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. I, p. 1363 e p. 1368. 4 Gianni Rossi - Francesco Lombrassa, In nome della “loggia”, Napoleone, 1981. 5 Gianfranco Piazzesi, Gelli. La carriera di un eroe di questa Italia, Garzanti, 1983; La resistibile ascesa della P2, De Donato, 1983. 6 Alberto Cecchi, Storia della P2, Editori Riuniti, 1985, pp. 51 sgg. dall’informatore7. Nel 1983, oltre alla “biografia” di Piazzesi, esce anche La resistibile ascesa della P2 che raccoglie gli atti di un convegno sul tema svoltosi ad Arezzo. Questo può essere considerato il primo tentativo di storicizzazione e di interpretazione globale del fenomeno piduistico. Particolarmente significativi sono, a mio giudizio, gli interventi di Giuseppe D’Alema e di Stefano Rodotà. D’Alema, attraverso l’analisi delle connessioni economico-finanziarie internazionali della loggia P2, giunge ad indicare nel sodalizio gelliano uno degli attori di uno scenario economico-politico internazionale ben definito (quello che si potrebbe definire “atlantismo oltranzista”), caratterizzato da una ideologia reazionaria e fortemente anticomunista. Interessante è anche il contributo di Rodotà, intitolato “Le dinamiche di occupazione del potere da parte del partito occulto”: nell’intervento viene posta in evidenza l’eccessiva permeabilità del sistema politico italiano all’azione delle lobby, permeabilità dovuta, per Rodotà, da un lato all’invasione, da parte dei partiti, di aree sempre più estese dello Stato, col rischio che il conflitto politico degeneri in guerra tra bande per il controllo delle risorse; dall’altro, alla bassa «quota di informazioni rilevanti» che circolano all’interno del sistema. Di fronte a questa estesa «clandestinizzazione» della politica, conclude provocatoriamente Rodotà, non è «solo possibile, ma addirittura necessaria, l’esistenza di specialisti capaci di organizzare e governare un’area così vasta» 8. Nel 1985 esce uno studio che si pone, almeno in parte, su una linea piuttosto eccentrica rispetto ai lavori precedenti: si tratta dalla Storia della P2 di Alberto Cecchi. L’autore, si è detto, fece parte della Commissione P2 e poté quindi avvalersi della approfondita conoscenza di documenti poco noti. Buona parte dell’opera è dedicata alle imprese gelliane nel periodo bellico: come si è visto, il parlamentare comunista smentisce risolutamente che Gelli abbia collaborato col PCI e ricorda, anzi, che le formazioni partigiane e gli ambienti della Resistenza frequentati da Gelli erano di impronta badogliana e monarchica e decisamente anticomunista. Anche dopo la fine della guerra, comunque, il Venerabile avrebbe continuato a muoversi entro una rete formata da ex partigiani bianchi ed ex (?) monarchici: è in ogni caso pacifico, anche per Cecchi, che lo scenario più ampio in cui è inserita tale rete è quello dell’anticomunismo internazionale. Quello del parlamentare del PCI può essere considerato l’ultimo lavoro sulla P2: dopo di esso uscì infatti, ad opera di Massimo Teodori, solo una “controstoria” della loggia gelliana9, che non era altro che una rielaborazione della relazione che il deputato radicale aveva presentato alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2. Queste sono dunque le opere uscite dopo il sequestro dell’archivio gelliano a Castiglion Fibocchi, ma già nel 1978 era stato pubblicato un libro, subito esaurito, in cui la loggia P2 ed il suo capo erano ritratti in maniera assai precisa: si tratta di La massoneria in Italia, scritto da Roberto Fabiani, un giornalista che da anni si occupava di questi temi su “Panorama” e “L’Espresso” (il 1ibro venne appunto pubblicato dall’Editoriale L’Espresso). Ciò che lascia più perplessi è l’assoluta mancanza di reazioni al libro, nel quale erano pubblicati documenti che non esageratamente possono essere definiti “esplosivi”, tra cui un piano che sarebbe stato sottoposto al presidente Leone e che ricalca nelle sue linee fondamentali il “Piano di rinascita democratica”. 7 Cfr. “Informativa COMINFORM”, 29 settembre 1950, e informativa Sifar del 16 novembre 1950, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. II, rispettivamente pp. 72 sgg. e pp. 102 sgg. 8 La resistibile ascesa della P2, cit., pp. 146 sgg. 9 Massimo Teodori, P2: la controstoria, SugarCo, 1986. A tutte queste pubblicazioni sono da aggiungere, ovviamente, le relazioni finali (ben sei) che la Commissione P2 consegnò al Parlamento nel luglio 1984. Oltre alla relazione di maggioranza, firmata dalla presidente Tina Anselmi e votata da DC, PCI, PSI e PRI, furono presentate anche quella del radicale Massimo Teodori, che contestava alla precedente il silenzio sulle implicazioni dei partiti nelle camarille gelliane; quella del missino Giorgio Pisanò, che puntava il dito sulle connessioni economico-finanziarie internazionali; quella dell’altro missino Altero Matteoli, che, dovendo occuparsi del versante nostrano della vicenda, affastella una serie di dati e notizie senza spiegare in che modo sarebbero tra di essi collegati (particolarmente confuse le 87 pagine, su 275, che riproducono il testo di un romanzo nazistoide); quella del liberale Attilio Bastianini, che sostanzialmente concorda con Teodori; infine, quella del socialdemocratico Alessandro Ghinami, il quale, scomodando Karl Popper e Luigi [sic] Colletti, critica i metodi d’analisi delle liste della P2, che la Commissione ritenne nel complesso attendibili (è noto che in quelle liste era presente il nome del segretario del partito di Ghinami, Pietro Longo). Tirando le somme, le uniche relazioni realmente utilizzabili per la ricerca storica sono quella di maggioranza e quella di Teodori. La prima, riconoscendo una indubbia valenza politica al progetto piduista, ne indica le finalità nel «controllo e non nel governo dei processi politici e sociali»: la P2 sarebbe quindi «uno strumento neutro di intervento per operazioni di controllo e di condizionamento». Nell’ambito di tale attività, Gelli sarebbe solo il punto di contatto tra una piramide inferiore, costituita dalla sua organizzazione, e una piramide rovesciata superiore, in cui agiscono «le forze ed i gruppi che [...] identificano le finalità ultime»: per la Anselmi, però, «non ci è dato conoscere» quali siano queste forze. Riguardo l’asserita “neutralità” della P2, la presidente annota «l’assoluta indifferenza verso precise scelte di campo» e conclude affermando «a tutte lettere come la Loggia P2, secondo quanto il piano di rinascita conferma, non sia in realtà attribuibile a nessun partito politico in quanto tale, né sia essa stessa filiazione del sistema dei partiti»10. Tutt’affatto diverse sono le valutazioni di Teodori. Una parziale concordanza con la relazione di maggioranza si verifica solo riguardo alle finalità: «Nel suo concreto svolgimento l’azione della P2 non ha teso né al colpo di stato violento né ad un progetto politico di destra come comunemente si intende, ma piuttosto a stabilizzare il regime svuotandolo progressivamente di ogni capacità democratica con il trasferimento delle decisioni in sedi altre da quelle istituzionali». In senso opposto a ciò che scrive la Anselmi, Teodori sottolinea come «la P2 è stata così interna alla partitocrazia da non essere percepita [dai politici] come un elemento estraneo dal potere ed al suo esercizio illegale da parte dei partiti» 11: con queste premesse, è ovvio che l’esponente radicale non poteva accettare la tesi di una P2 “neutrale” nei confronti dei partiti, tanto che questo, con la polemica (a volte eccessiva) sulla “partitocrazia”, costituisce il leitmotiv della sua relazione. Schematizzando, si può dire che per la Anselmi la P2 è un fenomeno patologico del sistema politico italiano, per Teodori, al contrario, fisiologico: una parziale convergenza si verifica solo nell’identificare le finalità del sodalizio, anche se la presidente parla prudentemente di “principio del controllo” senza specificare in vista di che. Questa reticenza risalta con maggior evidenza quando si tratta di 10 Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, Relazione (d’ora in avanti Relazione Anselmi), Camera dei Deputati - Senato della Repubblica, 1984, p. 148 e p. 154. 11 Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2, Relazione di minoranza dell’onorevole Teodori (d’ora in avanti Relazione Teodori), Camera dei Deputati - Senato della Repubblica, 1984, p. 13 e p. 15. indicare chi si trovi nella piramide rovesciata, indicazione che viene in pratica elusa12. Se la Anselmi, dopo aver evitato di approfondire i rapporti tra la P2 e i partiti, può concludere che la P2 non è figlia del sistema dei partiti, sull’altro lato, invece, Teodori affonda il bisturi, sottolineando lucidamente i molti punti di contatto tra l’azione piduista e quella dei partiti o, addirittura, del Governo. 2. COME SI ARRIVÒ ALL’INCHIESTA Un breve resoconto degli episodi che portarono all’inchiesta giudiziaria prima e parlamentare poi, può servire, oltre che a una sommaria ricostruzione storica, a due scopi: in primo luogo, a dissipare i dubbi che la Relazione Anselmi avanza circa una presunta “eterodirezione” della perquisizione giudiziaria del 17 marzo 1981; in secondo luogo, a sottolineare la rilevanza politica che la vicenda assunse da subito. Circa il primo punto, si può già anticipare che la tesi di una perquisizione pilotata (dallo stesso Gelli o da altri) non pare trovare riscontri affidabili: tali riscontri, citati dalla stessa Anselmi13, sono in sostanza la testimonianze di Massimo Pugliese, Placido Magrì e Francesco Siniscalchi, tutti personaggi, tranne l’ultimo, dalla credibilità assai scarsa. Pugliese, ex agente del SID, poi mediatore nel traffico d’armi, riferì al giudice Palermo di aver avuto il «sospetto» che le valigie contenenti i documenti fossero state lasciate «intenzionalmente» negli uffici della GIOLE (l’azienda di Gelli). Magrì, interrogato dal giudice Sica, disse di aver ricevuto una confidenza da Francesco Pazienza, di cui era missus negli ambienti della mafia, secondo il quale fu lo stesso faccendiere a suggerire la perquisizione a un ufficiale della Guardia di Finanza. La rilevanza di queste testimonianze (e di coloro che le rendono) si commenta da sola. Più credibile è Siniscalchi, dignitario massonico, instancabile avversario di Licio Gelli e della sua loggia; purtroppo, egli venne sentito informalmente solo da un funzionario della Commissione P2, al quale dichiarò che venne preavvertito della perquisizione da una telefonata anonima, da lui presuntivamente attribuita (su che basi non si sa) ad un agente della DIA. C’è anche da sottolineare che, mentre dal marzo 1981 al settembre 1983, nessuno segnalò una possibile eterodirezione della perquisizione, nel giro di sei mesi si ebbero ben tre testimonianze in tal senso. L’impressione, in conclusione, è che la perquisizione alla GIOLE possa essere considerata genuina; ciò può venire confermato, come si vedrà, anche dal comportamento di Gelli dopo il 17 marzo 1981. Esaurito questo punto, passiamo alla ricostruzione degli avvenimenti che culminarono col sequestro dell’archivio gelliano. Esso si inscriveva nell’ambito delle indagini che i giudici istruttori milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo stavano compiendo sul finto rapimento di Michele Sindona (2 agosto - 16 ottobre 1979); agli atti di quel procedimento il nome di Gelli compariva già, e più di una volta, ma fu con l’arresto di Giuseppe “Joseph” Miceli Crimi (18 novembre 1980) che le indagini cominciarono a prendere la direzione di Arezzo. Miceli Crimi, medico palermitano collegato, oltre che con Sindona, con mafia, massoneria e, probabilmente, CIA, fa per la prima volta il nome del Venerabile nell’interrogatorio del 20 dicembre, affermando di averlo incontrato durante il falso rapimento di Sindona, mentre quest’ultimo era 12 Relazione Anselmi, p. 154. 13 Ibidem, p. 33; Deposizione di Massimo Pugliese a Carlo Palermo, 29 settembre 1983, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. IV, p. 1186; Deposizione di Placido Magrì a Domenico Sica, 10 dicembre 1983, ibidem, p. 1187; Rapporto di Giovanni di Ciommo Laurora a Tina Anselmi, 22 febbraio 1984, ibidem, p. 1188 (si anticipa che la DIA è il corrispettivo militare della CIA). in Sicilia. Acquisiti altri elementi (tra cui l’affidavit sottoscritto da Gelli in favore del banchiere di Patti nel 1976), Turone e Colombo emettono infine, il 12 marzo 1981, una comunicazione giudiziaria a carico di Gelli, disponendo inoltre la perquisizione di tutti i suoi recapiti. Alle 9 di martedì 17 i finanzieri milanesi danno il via alle operazioni che, soprattutto alla GIOLE, si dimostrano 1aboriose14. Due fatti avvenuti mentre era in corso la perquisizione rafforzano il convincimento, già espresso, della genuinità della stessa. Innanzitutto, un “avvertimento” del Comandante Generale della Guardia di Finanza Orazio Giannini (tessera P2 n. 2116) al Col. Vincenzo Bianchi, che coordinava le operazioni. Bianchi, attorno alle 15.30, ricevette una telefonata di Giannini, il quale gli consigliava un comportamento prudente, poiché la lista che «probabilmente» aveva sequestrato conteneva i nomi dei «massimi vertici» della Guardia di Finanza, per cui il Corpo rischiava di inabissarsi 15. Non meno interessante è la lettura delle intercettazioni telefoniche sulle utenze GIOLE e Villa Wanda, da cui traspare chiaramente la sorpresa del capo della P2, ad esempio quando chiede alla segretaria di far di tutto per evitare l’apertura della cassaforte «perché io ho bisogno che quella gente non portino via nulla […] in quanto quello che fanno è un arbitrio» 16. La sorpresa del capo della P2 è, ad abundantiam, confermata dalle successive, reiterate istanze di restituzione del materiale sequestrato17. Il 25 marzo, con la trasmissione, da parte di Turone e Colombo, di una parte del materiale sequestrato al presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, la P2 entra per la prima volta (per la prima volta “palesemente”) sulla scena politica. Ecco come i due giudici, che si recarono personalmente a Roma, raccontano l’incontro con Forlani: «il presidente del Consiglio prende visione degli elenchi, ci chiede qualche documento che possa comprovare l’appartenenza alla massoneria e quando siamo a Milano veniamo a sapere che ci lascia liberi di decidere se rendere pubblici o no gli elenchi»18. La decisione di far assumere alla magistratura anche le responsabilità connesse al versante politico della vicenda si rivelerà infelicissima e, alla fine, esiziale per lo stesso governo Forlani. Appunto in quel mese di marzo, infatti, la Commissione sul caso Sindona, presieduta da Francesco De Martino, stava acquisendo importanti testimonianze sui rapporti tra il “finanziere siculo-meneghino” (la definizione è di Pecorelli) e la classe politica. Tali testimonianze andarono a intrecciarsi con le indiscrezioni che cominciarono a filtrare circa la misteriosa loggia segreta: già il 21 marzo la “P 2”, come allora si scriveva, comparve sui giornali, associata alla lista dei 500, l’elenco, cioè, dei clienti VIP delle banche di Sindona che, prima del crollo dell’impero di quest’ultimo, erano riusciti a mettere al sicuro i loro capitali presumibilmente in istituti di credito svizzeri. Lo stesso giorno interviene in prima persona anche Gelli, che rilascia all’Ansa la seguente dichiarazione telefonica: «assente dall’Italia ho appreso con stupore che stampa e televisione hanno dato notizia della perquisizione eseguita dalla Guardia di Finanza nella mia abitazione allo scopo di ricercare l’ormai famoso “tabulato dei cinquecento”. Sono totalmente 14 Cfr. il verbale di perquisizione della GdF alla GIOLE, 17 marzo 1981, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. I, pp. 302 sgg. 15 Audizione di Orazio Giannini, 30 marzo 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. III, pp. 207 sgg.; Rapporto di servizio di Vincenzo Bianchi a Giuliano Turone e Gherardo Colombo, 25 maggio 1981 e Audizione dello stesso, 9 marzo 1982, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. IV, rispettivamente p. 150 e pp. 1111 sgg. 16 I testi delle intercettazioni si trovano ibidem, pp. 1163 sgg. 17 La documentazione relativa si trova ibidem, pp. 9 sgg. 18 Intervista di Giorgio Bocca a Giuliano Turone e Gherardo Colombo, in “la Repubblica”, 10 giugno 1981. sereno». Il 2 aprile, però, Carlo Bordoni, braccio destro di Sindona, avanti alla Commissione fa i nomi di 31 persone presenti nell’elenco dei 500: tra di esse vi sarebbe anche Licio Gelli. Nei giorni successivi si assiste ad un crescente stillicidio di indiscrezioni, veline e fughe di notizie, tanto che, il 5 aprile, De Martino, intervistato dalla “Stampa”, dichiara: «dobbiamo rendere ufficiale e pubblico quel che adesso è riservato». Purtroppo le intenzioni di De Martino rimasero tali e nei giorni seguenti le “clamorose rivelazioni” investirono direttamente le istituzioni: il 2l aprile la stampa riporta «indiscrezioni» (poi rivelatesi corrette) secondo le quali nella lista comparirebbero due o tre ministri (si fa il nome di Adolfo Sarti, ministro di Grazia e Giustizia). Il clima si va dunque facendo sempre più pesante, ma i politici paiono non interessarsene: gli unici a prendere sul serio la cosa sono i radicali, che, sempre il 21, chiedono, oltre alla divulgazione della lista, l’istituzione di una commissione d’inchiesta. Il punto di svolta si ha il 6 maggio, quando il giudice romano Domenico Sica ordina la perquisizione delle sedi nazionali della Comunione massonica di Palazzo Giustiniani, nonché della sede della P2 in via Vico 2O. Da questo momento i fatti precipitano verso l’inevitabile conclusione, con tutte le forze politiche che chiedono la pubblicazione delle liste. L’8 il governo Forlani istituisce il Comitato dei Tre Saggi, presieduto da Aldo Sandulli, che dovrà verificare la natura di “associazione segreta” della P2, mentre il 9 la Commissione Sindona decide di richiedere alla Procura di Milano l’acquisizione della documentazione. Il 19 maggio, due mesi dopo i sequestri, la questione P2 arriva finalmente in Parlamento, ma i deputati non paiono granché interessati: sono solo in l50 ad ascoltare le risposte di Forlani alle interrogazioni presentate nei giorni precedenti. Il presidente del Consiglio afferma, in sostanza, che il segreto istruttorio gli impedisce la divulgazione dei documenti, di cui auspicava, comunque, «una sollecita pubblicazione»; riguardo ai ministri presenti nelle liste (Foschi, Sarti e Manca), dichiara di non averli fatti dimettere in quanto essi hanno pubblicamente smentito la loro appartenenza alla P2 (ricordo che Forlani era tra i pochi ad aver visto la documentazione). Negli interventi successivi, Massimo Teodori, radicale, attacca violentemente Forlani, accusandolo di essere al centro di una rete di ricatti, mentre il socialista Vincenzo Balzamo, dopo aver difeso la massoneria, minimizza il tutto dicendo che si tratta solamente di accertare se singoli piduisti, anche «in combutta» tra di loro, abbiano commesso reati. La giustificazione del segreto istruttorio era comunque abbastanza fragile; il 25 marzo, quando Turone e Colombo, si erano recati a Roma, l’avevano fatto appunto perché il presidente del Consiglio si rendesse conto della situazione e prendesse provvedimenti; nelle settimane susseguenti, poi, il segreto istruttorio era stato violato più e più volte. Questa giustificazione, in ogni caso, venne definitivamente a cadere il giorno successivo, dopo che i giudici milanesi ribadirono a Forlani il loro nulla osta alla divulgazione19. Questa è, dunque, la successione cronologica degli avvenimenti che portarono a conoscenza dei cittadini gli intrighi gelliani: prima di proseguire e di esaminare le ricadute politiche di tutto ciò, sono necessarie alcune precisazioni. Mentre il terremoto P2 scuoteva l’opinione pubblica, classe politica, da una parte, e P2, dall’altra, sembravano essere molto più tranquille. Non solo l’atteggiamento di Forlani, che si è appena visto, ma anche quello dei singoli uomini politici 19 Lettera di Giuliano Turone, Gherardo Colombo e Antonio Amati ad Arnaldo Forlani, 20 maggio 1981, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. 1, t. IV, p. 56. sembrano ispirati a una linea di condotta che pare voler minimizzare la portata delle notizie che trapelavano sui giornali: il “pastone” politico dei quotidiani di quei giorni è zeppo di alte dichiarazioni di principio sulla necessità di fare pulizia (in quest’ottica, la P2 non sarebbe che l’ennesimo scandalo) e di smentite di routine (smentite che si riveleranno menzognere in molti casi). È difficile dire se tale sottovalutazione della P2 fosse dovuta a un’effettiva incomprensione del fenomeno in tutta la sua gravità, o alla credenza (o speranza) che dopo la bufera tornasse il sereno. Sull’altro lato, anche i “fratelli” piduisti sembravano non dannarsi l’anima. Ad esempio, il 22 aprile il “fratello” Angelo Rizzoli vende il 40% del suo gruppo editoriale alla Centrale del “fratello” Roberto Calvi; non solo, durante il sequestro Cirillo (l’assessore campano rapito dalle BR il 27 aprile), il Sismi, diretto dal P2 Santovito, opera una delle più clamorose deviazioni della sua storia, prima scavalcando il Sisde, poi inserendosi nelle trattative per il rilascio in un torbido giro che comprendeva politici democristiani, brigatisti e camorristi cutoliani 20. Dopo il 20 maggio, comunque, gli effetti politici delle rivelazioni circa la P2 non sono più evitabili. Il 25 si dimette Sarti, ma già tre giorni dopo è seguito dall’intero gabinetto. Si apre così la strada per Giovanni Spadolini, il quale propone subito un pentapartito: primo punto del programma, la moralizzazione della vita pubblica. Il 28, superati gli inevitabili contrasti, il governo è varato; la fiducia verrà discussa alla Camera il 10 luglio e sarà questa (ma lo si vedrà meglio in seguito) la cartina di tornasole sull’ambiguo atteggiamento dei politici riguardo la P2. I segretari di tre partiti della maggioranza, Piccoli, Craxi e Longo, lungi dal dedicare i loro interventi al programma del governo (o alla “questione morale”) sferrarono violenti attacchi contro la magistratura: Longo giungerà a subordinare il voto del PSDI alla ricusazione dei giudici milanesi. Quando, il giorno successivo, Spadolini replicherà, sarà costretto a destreggiarsi tra le richieste dei suoi partner di governo, per cui, se da una parte ribadirà di non voler mettere la «mordacchia ai giudici», dall’altra accoglierà la richiesta di Craxi di un libro bianco sulle «ingiustizie della giustizia». A completare il quadro, sarà forse utile ricordare che il 3 luglio, all’aeroporto di Fiumicino, erano stati ritrovati, non certo casualmente, nella valigia di Maria Grazia Gelli documenti scottanti, tra cui il “Piano di rinascita democratica” e un dossier su Gianni De Michelis. Parallela alla vicenda politica, corre quella giudiziaria, che, dopo gli iniziali entusiasmi milanesi approderà nelle più tranquille acque romane. Settembre, in particolare, recitò il requiem della questione morale. Il mese si aprì (il 2) con una sentenza della Corte di Cassazione che attribuiva tutte le inchieste sulla P2 alla Procura di Roma e si chiuse (il 28) col dibattito parlamentare su tutta la vicenda (scoppiata cinque mesi prima). Il 28 settembre può essere considerato la data della vittoria definitiva del piduismo sulle istituzioni democratiche. Al dibattito alla Camera erano presenti 39 deputati; sui banchi del governo, a rispondere a 54 interpellanze, il sottosegretario alla Presidenza Francesco Compagna, assente Spadolini. Un editoriale della “Stampa” fotografava algidamente la situazione: «Una esigua minoranza ha pagato. La stragrande maggioranza è rimasta indenne al proprio posto, lasciando il Paese stupito e confuso»21. Dalle pagine interne dei quotidiani si apprendeva poi che la Liguria aveva una nuova Giunta: presidente Alberto Teardo (tessera P2 n. 2027), 20 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, 1991 (ed. agg., 1a ed. 1984), pp. 295 sgg.: vi si trova anche un ampio brano della Relazione sulla vicenda che il Comitato di controllo sui servizi presentò il 10 ottobre 1984. 21 p. g., L’altro scandalo, in “La Stampa”, 29 settembre 1981. socialista, già vicepresidente, il quale assumeva anche l’assessorato alla Sanità, ma solo temporaneamente; motivo: il designato, Michele Fossa (tessera P2 n. 2240), era sospeso dal PSI fino al 1° novembre. Il fatto che, il 24 settembre, fosse stata finalmente votata la legge che istituiva la Commissione d’inchiesta, assumeva, in questo quadro, quasi il sapore dell’espletamento di una formalità. 3. LA LOGGIA P2 E IL SISTEMA POLITICO In questo lavoro si tenterà una sommaria indicazione degli obiettivi politici della P2; prima di entrare nel merito, è bene specificare che la base documentaria utilizzata è essenzialmente quella costituita dagli allegati alle Relazioni finali della Commissione P2: è una precisazione di non poco conto, poiché vi sono casi in cui la scarsa attenzione della Commissione verso un determinato argomento si è riflessa in una parallela carenza di documentazione (si veda, nelle pagine successive, il caso della scissione di Democrazia Nazionale). Rifacendosi alla definizione della P2 che diede la Relazione di maggioranza, sembra opportuno approfondire i seguenti due punti: 1) la “neutralità” della loggia P2; 2) il suo sviluppo “al di fuori” del sistema dei partiti. Le risposte saranno ricercate accertando: 1) se esista e, nel caso, quale sia una “ideologia piduista”; 2) quale sia stata l’azione della P2 nei confronti dei partiti; 3) se le caratteristiche del sistema politico italiano possano essere, in qualche misura, poste in relazione col nascere e lo svilupparsi del fenomeno piduista. L’ideologia piduista Le fonti in questo senso si possono suddividere in tre gruppi: 1) fonti direttamente provenienti dalla loggia, in primis il “Piano di rinascita democratica”; 2) fonti provenienti da organi che, a vario titolo, si occuparono della P2, dai servizi segreti alla stampa; 3) testimonianze raccolte dalla magistratura e, in special modo, dalla Commissione. Il dato che, anche a un’analisi superficiale della documentazione, balza subito all’occhio è la spiccata simpatia di Licio Gelli e dei suoi accoliti per la destra, e ciò anche a prescindere dalla biografia del Venerabile o dai progetti eversivi di destra in cui risulterebbe coinvolto, dal golpe Borghese ai depistaggi successivi alla strage di Bologna. Di tale tendenza esistono, infatti, molteplici riscontri documentali, di cui qui si forniranno solo limitatissimi esempi. Per quanto riguarda il primo gruppo di fonti, già il verbale di una riunione del Raggruppamento Gelli-P2 del 5 marzo 1971 paventa la «minaccia del Partito Comunista Italiano, in accordo con il clericalismo, volta alla conquista del potere», lamenta la «carenza di potere delle forze dell’ordine» e giunge a definire i sindacati (accusati di essere i responsabili della crisi economica) «entità appena tollerate» 22, Un piduista “critico”, Nicola Falde, nella sua lettera di dimissioni dalla loggia, accusa Gelli di essersi «circondato di fedeli e aficionados tutti di estrema destra». Un altro piduista “critico”, in una lettera ad un amico accusa Gelli di essere il leader di quei massoni «intellettualmente e culturalmente rozzi, pronti a rivelare il “pallino” politico di marca chiaramente destrorsa (o, quanto meno, qualunquista)» 23. Conferme provengono anche dal secondo gruppo di fonti: basterà qui citare l’informativa De Salvo, compilata dall’Ufficio I della Guardia di Finanza nel marzo 22 Il verbale si trova in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. I, pp. 457 sgg. 23 Lettera di Nicola Falde a Licio Gelli, 8 aprile 1976 e lettera di Vincenzo Corsaro a Bruno Mosconi, 28 aprile 1975, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, rispettivamente, t. IV, pt. II, p. 456, e t. I, p. 852. 1974, i tre rapporti di Emilio Santillo (capo dell’Antiterrorismo), redatti tra il 1974 e il 1976, e una delle poche informative SID ad occuparsi di Gelli prima del 1981, quella datata 8 ottobre 1974 e che afferma esplicitamente che il soggetto «politicamente esterna orientamenti di destra» 24. Quanto alla stampa, si era occupata di P2 sin dal 1973 e, in particolare, attorno al 1976, quando il sodalizio gelliano venne posto in collegamento col delitto Occorsio e con le cosiddette trame nere: si ricordi, poi, quanto detto a proposito di Roberto Fabiani. Lo stesso Licio Gelli, del resto, era sceso in campo in prima persona il 5 ottobre 1980 con una intervista al “suo” giornale, il “Corriere della Sera”, esplicitamente richiesta al “fratello” Maurizio Costanzo25. Meno esplicito di Fabiani, Costanzo presentava Gelli come un personaggio che «rimbalza di continuo in questioni di non facile identificazione»; nel seguito dell’articolo, Gelli affrontava temi come l’eccessiva libertà di stampa, il presidenzialismo (convincimento espresso «anche in una relazione che inviai al presidente Leone»), la revisione della Costituzione, l’antisindacalismo («certe conquiste [lo Statuto dei Lavoratori] ci ricordano che anche Pirro vanto la sua vittoria»), la critica qualunquistica ai partiti, il liberismo in economia. Anche l’ultimo gruppo di fonti, le testimonianze rese da personaggi a vario modo coinvolti nelle camarille gelliane, rafforza l’immagine della P2 che è venuta fin qui emergendo. Il vero “manifesto politico” della P2, comunque, è comunemente considerato il “Piano di rinascita democratica”. Una serie di motivazioni inducono però a ritenere il documento (e l’allegato “Memorandum sulla situazione politica in Italia”) non totalmente affidabile 26. In primo luogo, le stesse circostanze del rinvenimento inducono alla cautela: è noto che esso venne ritrovato nella borsa da viaggio di Maria Grazia Gelli, figlia del Venerabile, durante un controllo doganale all’aeroporto di Fiumicino, quattro mesi dopo la perquisizione di Castiglion Fibocchi. Assieme ad esse vennero rinvenute altre carte, tra cui alcune contenenti calunnie nei confronti dei magistrati milanesi che stavano indagando sulla P2: parve da subito chiaro, quindi, che tali documenti “dovevano” essere scoperti. In secondo luogo, i contenuti stessi del “Piano” contrastano con l’ipotesi che possa trattarsi del manifesto della P2. Vi vengono infatti prospettate una serie di misure di razionalizzazione del nostro sistema politico-economico, alcune delle quali, se effettivamente realizzate, avrebbero potuto rivelarsi esiziali per la loggia gelliana, la quale appunto nelle disfunzioni di tale sistema trovava le occasioni per l’accrescimento del proprie potere. Del resto, già Massimo Teodori 27 notava che molte delle idee presenti nel “Piano di rinascita democratica” circolavano anche in ambienti accademici e, in alcuni casi (come la legge elettorale tendenzialmente maggioritaria o la legge antitrust), sono entrate in seguito con grande evidenza nel dibattito politico. Da tutte ciò sembra dedursi che non possa essere considerata pienamente soddisfacente un’analisi dell’azione piduista che si limitasse a registrare quante delle previsioni del “Piano di rinascita democratica” siano poi state effettivamente realizzate. Conviene, piuttosto, tentare di individuare, all’interno della 24 L’informativa di De Salvo si trova in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. III, pp. Il7 sgg.; quella di Santillo in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. II, pp. 441 sgg.; quella dal SID, ibidem, pp. ll8-ll9. 25 La circostanza fu ammessa dallo stesso Costanzo nel corso della sua audizione del 2 febbraio 1982 (in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. II, p. 200). 26 “Memorandum” e “Piano” si trovano in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. VII-bis, rispettivamente, pp. 603 sgg. e pp. 611 sgg. 27 Cfr. Relazione Teodori, pp. 175-176. documentazione, quali siano i temi ricorrenti del piduismo. Tali temi, che, è bene ricordare, venivano intesi in modo ampiamente strumentale dalla P2, possono venire cosi sintetizzati: 1) il qualunquismo e la critica al sistema dei partiti; 2) il liberismo; 3) il presidenzialismo o, più in generale, la predilezione per esecutivi forti; 4) l’anticomunismo; 5) l’antisindacalismo. Sono temi ed obiettivi, come si vede, perfettamente legittimi: ciò che qualifica come “eversiva” la loggia P2, infatti, non è tanto il suo “programma politico”, quanto le modalità d’attuazione di questo. Di cristallina evidenza l’incipit del “Piano di rinascita democratica”: «L’aggettivo democratica sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione occulte di rovesciamento del sistema»; tuttavia, subito dopo, si dice che i ritocchi costituzionali previsti dal piano saranno solo «successivi al restauro del libero gioco delle istituzioni fondamentali». Almeno a livello di teoria, comunque, non si può parlare di neutralità della P2, essendo nettissima la sua scelta di campo. Rimane da verificare se e come tale scelta abbia improntato il concreto agire piduista nei confronti dal sistema politico italiano; dato il forte rilievo che in esso hanno i partiti, saranno proprio i rapporti tra questi e la P2 ad essere maggiormente illuminati. La loggia P2 e i partiti Il “Piano di rinascita democratica” contiene indicazioni esplicite sul comportamento da tenersi nei confronti dei partiti, prevedendo una drastica semplificazione del sistema partitico, che avrebbe dovuto essere caratterizzato da due nuovi soggetti, «l’uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra) e l’altro sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale)»: spiccano le assenze del PCI, escluso dal novero stesso dei partiti democratici, e, parzialmente, del MSI, la cui ala più moderata avrebbe dovuto confluire nel centro-destra. Alcune testimonianze paiono confermare una affettiva azione di Gelli in quest’ultimo senso, perlomeno in due occasioni. La prima vide come protagonista l’ammiraglio Gino Birindelli, già comandante delle forze navali NATO nel Mediterraneo a Malta. Nel 1970, tornato in Italia, si diede alla politica aderendo al PDIUM e, dopo la confluenza di questo nel MSI e la nascita del MSI-DN (estate 1972), venne eletto presidente di quest’ultima formazione il 4 febbraio l973. Ciò che più interessa ai nostri fini è la testimonianza che l’ammiraglio rese ai magistrati dopo la scoperta della P2: «Gelli insisteva sul fatto che io formassi una corrente interna al M.S.I. di cui ero presidente, in contrapposizione alla linea politica dalla segreteria per poi arrivare alla scissione ed eventualmente alla formazione di un ampio gruppo nel quale avrebbero dovuto convergere esponenti di altri partiti, tra cui liberali e D.C.». Birindelli declinò l’invito28, ma è comunque evidente la perfetta consonanza tra le sue parole e le disposizioni del “Piano di rinascita democratica”. Un progetto simile sembra essere stato nelle intenzioni di altri. Luigi Cavallo, provocatore e ricattatore professionista, in contatto con piduisti eccellenti come Sindona e Sogno, prevedeva di «utilizzare Birindelli e alcuni dirigenti missini (che fanno la fronda ad Almirante) per accelerare la crisi del MSI e contrastare la gestione Almirante»29. In che misura e in che modi questi progetti abbiano poi trovato attuazione è difficile stabilire. Nel caso di Birindelli sembrano essere falliti, in quanto 28 Deposizione di Gino Birindelli ad Angelo Gargani, 16 novembre 1981, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. II., t. VI, pp. 251 sgg. 29 Cfr. l’appunto pubblicato da De Lutiis, op. cit., p. 379; su Cavallo, ibidem, pp. 143 sgg. l’ammiraglio, in contrasto con la linea di Almirante, uscì dal partito nel giugno 1974. Giova poi ricordare che i tentativi di Gelli nei confronti di Birindelli risalgono al 1972-1973, mentre il “Prd” è da situare nel 1975. È noto, comunque, che il MSI patì effettivamente una scissione: il 20 dicembre 1976 fuoriuscì la corrente di destra di Democrazia Nazionale, capeggiata da Ernesto De Marzio (che divenne segretario del nuovo partito), Mario Tedeschi (piduista e direttore del “Borghese”), Raffaele Delfino e Gastone Nencioni. Di inframmettenze piduiste in tutta l’operazione non se ne ha notizia: unici elementi in tal senso potrebbero essere la presenza di Tedeschi tra gli scissionisti e il carattere meramente verticistico della scissione stessa (DN porto con sé circa la metà del gruppo parlamentare missino, ma nemmeno una federazione, sciogliendosi il 16 dicembre 1979 dopo il misero 0,6% ottenuto alle elezioni del giugno precedente)30. Concludendo, non si hanno elementi di giudizio sicuri circa le interferenze gelliane nella vita del MSI. Un recente episodio, tuttavia, può servire, se non a spiegare, perlomeno ad illuminare in maniera diversa quanto si è esposto più sopra: l’8 gennaio 1996 Eugenio Bettiol, giudice per le indagini preliminari a Roma, ha archiviato il procedimento relativo ai finanziamenti illeciti di Gelli al M$I, in quanto avvenuti prima dell’entrata in vigore della legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Dalle indagini, tuttavia, è emerso che Almirante avrebbe effettivamente ricevuto un miliardo da Gelli, così come sostenevano Giorgio Pisanò e Giulio Caradonna31. Tutto ciò dimostra ancora una volta che le indicazioni “tattiche” del “Piano di rinascita democratica” non sono rigide, ma si adattano alle circostanze. Una considerazione va svolta anche riguardo alle difficoltà delle ricerche in questo campo. Le fonti di tale notizia, infatti, sono Pisanò e Caradonna. Orbene, né il primo, addirittura membro della Commissione P2, né il secondo, piduista, ascoltato dalla stessa Commissione, avevano mai parlato di questo finanziamento. L’altro partito da escludere, secondo il “Piano di rinascita democratica”, dal novero dei possibili componenti il governo è il PCI. L’astio di Gelli nei confronti dei comunisti ha origini lontane, come egli stesso ci conferma nell’affidavit teso a scongiurare l’estradizione di Sindona: «Ho passato tutta la mia vita combattendo il comunismo. Quando avevo 17 anni ho lottato contro i comunisti in Spagna [...]. Nella mia qualità di uomo d’affari sono conosciuto come anticomunista e sono al corrente degli attacchi dei comunisti contro Michele Sindona [...]. L’odio dei comunisti per Michele Sindona trova la sua origine nel fatto che egli è anticomunista»32. L’anticomunismo di Gelli non si riduce comunque a un fatto personale: la vicenda degli affidavit pro-Sindona fa emergere come proprio l’anticomunismo fosse uno tra i collanti principali di un certo mondo ruotante attorno a CIA, mafia, massoneria, business internazionale. Tra gli altri sottoscrittori troviamo infatti John McCaffery e Philip A. Guarino, il primo banchiere inglese, massone, anticomunista da quando, durante la seconda guerra mondiale, era capo del controspionaggio inglese a Berna; il secondo un ita1o-americano, ex seminarista, autorevole esponente del Partito Repubblicano, collegato, sembrerebbe, con CIA e mafia33. Lo stesso Sindona rivendicò davanti alla Commissione, che lo sentiva al 30 Sulla scissione di Democrazia Nazionale cfr. Piero Ignazi, Il polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, il Mulino, 1989, pp. 148 sgg. 31 Cfr. Rosanna Santoro, Caradonna: “Almirante mi disse...”, in “L’Europeo”, 2 novembre 1994. 32 L’affidavit (che risale al 1976) si trova in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. VII, t. II, pp. 256 sgg. 33 Su McCaffery cfr. Alberto Cecchi, op. cit., pp. 33 sgg.; su Guarino, Relazione Teodori, p. 48. Metropolitan Correctional Center di Manhattan, di ave sempre combattuto, insieme a Calvi, Gelli e Marcinkus, per il «libero mercato», poiché è questo che «port[a] la democrazia»: «Non è un mistero che io per tutta la vita ho avuto una certa ideologia politica, che poi è anche economica; io ero più un animale economico che un animale politico, ma sempre deciso a combattere quella che era la collettivizzazione dell’economia (il marxismo, l’enghelismo, per intenderci» 34. Che la P2 fosse segnata dal più ferreo anticomunismo ce lo conferma inequivocabilmente, infine, l’analisi delle domande d’ammissione: su 178 affiliandi che hanno compilato la parte relativa agli «Orientamenti politici», 40 hanno dichiarato di simpatizzare per il PSI, 30 per il PLI (o di essere, più genericamente, liberali), 26 per il PSDI, 14 per il PRI, 5 per la DC, nessuno per il PCI35. L’anticomunismo degli ambienti ricordati si inserisce in un disegno più generale, la cui predisposizione si deve alla CIA (piano “Demagnetize”, 1952), teso ad impedire, nei paesi NATO, l’accesso dei comunisti al governo. Vari elementi, del resto, collegano CIA e P2: a parte le rivelazioni di Richard Brenneke, presentatosi come ex agente dell’intelligence USA, riguardo presunti finanziamenti della CIA alla P2 volti a destabilizzare (anche attraverso il terrorismo) il sistema politico italiano36, c’è da ricordare che negli elenchi di Castiglion Fibocchi compare lo stesso capo della stazione CIA di Roma, Randolph Stone, mentre il suo vice, Mike Sednaoui, ebbe contatti con vari piduisti, tra cui il generale Ambrogio Viviani, all’epoca in servizio al SID, al quale consigliò di entrare nella P2 37. Se, dunque, gli ambienti piduisti erano caratterizzati da questa decisa ostilità nei confronti del comunismo, ben si capisce come, nel “Piano di rinascita democratica”, il PCI possa essere stato escluso da qualsiasi prospettiva di governo. Tuttavia il PCI, dopo il 1975, si avvicinò all’area di governo; è interessante, perciò, studiare quali fossero le reazioni di Gelli di fronte a una tale evenienza. Purtroppo, a questo proposito, possediamo solamente le testimonianze di personaggi coinvolti a vario grado nella trama piduista. La prima di esse è quella di Paolo Aleandri, un neofascista poi divenuto collaboratore di giustizia: egli ricorda che, attorno al 1979, Gelli gli parlò della «necessità di contrastare il compromesso storico, che a suo avvisa stava minando la sua posizione di potere e favorendo l’avvento del P.C.I.»38. Di tutt’altro avviso i deputati democristiani Vito Napoli e Publio Fiori: il primo ricorda che, per il capo della P2, «la crisi poteva essere risolta attraverso il coinvolgimento del PCI nel governo», mentre Fiori afferma che, durante i governi di solidarietà nazionale, Gelli non sembrava opporsi a tale formula. Angelo Rizzoli, infine, riferisce che Gelli «per un certo periodo di tempo, era favorevole all’ipotesi del compromesso storico, dopo era contrario; prima detestava l’attuale segretario del partito socialista [Craxi], dopo diceva che l’attuale segretario socialista era bravo» 39. Se i ricordi dei testimoni sono precisi e le circostanze temporali esatte, si potrebbe 34 Audizione di Michele Sindona, 10 dicembre 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. VIII, p. 97 e p. 85. 35 I dati sono ricavati dall’analisi dei fascicoli degli iscritti alla P2 sequestrati al Grande Oriente d’Italia (in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. II, tt. III-IV). 36 Giuseppe De Lutiis, op. cit., pp. 327 sgg.; Giovanni Maria Bellu - Giuseppe D’Avanzo, I giorni di Gladio. Come morì la Prima Repubblica, Sperling & Kupfer, 1991, pp. 55 sgg. e pp. 282 sgg. 37 L’episodio fu riferito il 10 dicembre 1990 da Viviani al giudice Carlo Mastelloni, che indagava sul caso Argo 16 (cfr. Leo Sisti, In viaggio con la Cia, in “L’Espresso”, 13 gennaio 1991). 38 Interrogatorio di Paolo Aleandri da parte di Ferdinando Imposimato, 16 ottobre 1982, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. XI, p. 344. 39 Deposizione di Vito Napoli a Ernesto Cudillo, 26 ottobre 1981, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. II, t. VII, p. 780; Audizione di Publio Fiori, 22 giugno 1982, e Audizione di Angelo Rizzoli, 20 gennaio 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, rispettivamente vol. IV, p. 440, e vol. I, p. 659. quindi ipotizzare che il Venerabile non fosse granché allarmato dalla prospettiva del PCI nell’area di governo. Del resto, il periodo della solidarietà nazionale, lungi dall’essere quella stagione di riforme che Berlinguer immaginava, si rivelò un’esperienza pressoché fallimentare per il PCI. La stessa nascita del primo governo non osteggiato dal PCI fu contrassegnata dal più grave crimine politico della storia repubblicana, il rapimento di Aldo Moro, avvenuto proprio nel giorno in cui si sarebbe dovuta votare la fiducia. La fiducia, a causa appunto dell’eccezionalità del momento, venne accordata a tambur battente, superando d’un colpo le residue perplessità del PCI sulla compagine governativa: appena il 14 marzo, ad esempio, l’“Unità” aveva parlato di «lista di ministri inzeppata di vecchie facce». Tra di esse vi erano quelle dei piduisti Gaetano Stammati e Mario Pedini, ma anche il presidente del Consiglio Giulio Andreotti non poteva certo rappresentare una garanzia di rinnovamento: anzi, i suoi legami con Gelli, pur non provati definitivamente, sono affermati da decine di testimoni. Il rapimento di Moro dimostra poi che, in quel periodo, il potere di Gelli era tale da non poter essere scalfito da un governo sostenuto, per di più dall’esterno, dal PCI. È noto, infatti, che “tutti” gli organismi investigativi attivati alla ricerca di Moro erano in mano a uomini dalla P2: all’inizio del 1978 era stato smantellato l’Antiterrorismo di Santillo, mentre Francesco Cossiga, ministro dell’Interno di un governo dimissionario, aveva istituito l’UCIGOS, scavalcando l’appena approvata legge di riforma dei servizi; a Roma le indagini erano svolte dal colonnello dei Carabinieri Giuseppe Siracusano e dal commissario di PS Elio Cioppa; a capo di Sismi e Sisde (quest’ultimo, peraltro, con appena dieci uomini d’organico) erano stati nominati i “fratelli” Santovito e Grassini; in pieno sequestro, il segretario del CESIS, Napoletano, venne costretto alle dimissioni e sostituito dal futuro piduista Pelosi; nel Comitato Interministeriale per la Sicurezza (CIS), creato ad hoc da Cossiga, 9/16 dei componenti erano della P2; infine, il “gruppo gestione crisi”, organismo informale voluto da Cossiga accanto al CIS, era caratterizzato dalla presenza di alcuni consulenti personali del ministro, tra cui il professore piduista Franco Ferracuti, che contribuì ad avallare la tesi del “Moro fuori di sé”. Anche nel caso del PCI, quindi, le previsioni del “Piano di rinascita democratica” non si dimostrarono cogenti; in particolar, ricordando anche quanto detto a proposito del MSI, mi sembra si possa trarre la seguente conclusione: mentre le indicazioni “tattiche” del “Prd” potevano essere eluse (o addirittura contraddette), ciò che rimaneva saldo era l’obiettivo “strategico”, cioè il controllo (ovviamente, mediante ricatti) dei partiti: ecco quindi che accanto ai finanziamenti in nero agli amici, trovavano posto anche quelli ai “nemici” (il miliardo al MSI), o strumenti più raffinati, come il coinvolgimento controllato del PCI al governo, esperienza dalla quale il partito di Berlinguer uscì con le ossa rotte. La P2, dunque, più che intervenire direttamente nelle vicende politiche, sembra controllarne gli sviluppi. Poco fa si è ricordata un’affermazione di Angelo Rizzoli sulle preferenze politiche di Gelli. Per l’editore, probabilmente, quello che riferiva era soltanto un esempio tra i tanti. A posteriori, tuttavia, quella frase sembra rispecchiare fedelmente l’evoluzione “politica” di Gelli: prima accetta il compromesso storico, poi lo osteggia; contemporaneamente cresce nelle sue simpatie il segretario socialista Bettino Craxi. L’avvicinamento tra il rinnovato PSI craxiano e il capo della P2 pare cominci proprio nella lunga fase di riassestamento del quadro politico seguita alla fine dei governi di solidarietà nazionale, fase che coincide in parte con lo svilupparsi del caso ENI-Petromin. Se la preclusione nei confronti del PCI era totale, non altrettanto può dirsi per l’altro partito della sinistra, il PSI, e, anzi, molti testimoni concordano nel rilevare uno spiccato interesse del Venerabile per questo partito. Mi paiono significative le seguenti dichiarazioni di Giovanni Nisticò, piduista ed ex capo ufficio stampa di via del Corso: «il ruolo che assegnava al psi era un ruolo... che non è certo il nostro. Un ruolo chiave, ma in funzione del tutto contraria a quella che è la nostra storia, insomma. [...] ci vedeva su una linea - per usare un termine banale - di rottura a sinistra, nostra». Ennio Campironi, già direttore amministrativo del partito e piduista, sostiene che, per il PSI, Gelli «dimostrava un interesse quale partito di sicuro sviluppo nella vita politica italiana» 40. Stando a Marco Pannella, l’interesse era reciproco: secondo il leader radicale, Craxi, nel gennaio 1981, gli confidò di avere in programma un incontro col capo della P241. Craxi, del reato, secondo quanto da lui stesso confermato, aveva già incontrato Gelli all’hotel Raphael nel settembre-novembre l979 42; è da sottolineare che già all’epoca il capo della P2 era una figura piuttosto nota, almeno negli ambienti politici romani, per i suoi maneggi. Nel dicembre 1980, ad esempio, Pannella parlava, nel corso di una “Tribuna politica”, di «sistema criminale di potere che congiunge la Loggia P2, Sindona e sindoniani ed il gruppo Rizzoli» 43. Inoltre, politici di certamente minor vaglia che Craxi, quale ad esempio il DC Massimo De Carolis, hanno potuto sostenere, davanti alla Commissione P2: «già in quella fase, cioè 1977-78, Gelli era una persona... non credo che adesso qui tra di noi ce lo possiamo nascondere, perché erano discorsi che ci facevamo - siamo tutti o quasi colleghi – nel Transatlantico; quando fra di noi dicevamo chi sono le persone che possono contare, il nome di Gelli spesso veniva fuori» 44. Craxi, dunque, sapeva di non incontrare un Carneade. Il periodo stesso dell’incontro (l’autunno 1979) corrisponde poi a un momento di difficoltà del segretario socialista e si inserisce tra le vicende terminali di quello che è in seguito, passato alle cronache come scandalo ENI-Petromin 45. Questo affaire mi pare costituisca il paradigma del modo d’agire della P2 e dei suoi intrecci con la politica, per cui sarà utile seguirlo da vicino. Alla base del caso, che si sviluppò lungo tutto l’arco del l979, stava una fornitura di petrolio che l’ENI, scavalcando l’americana Aramco, era riuscita ad ottenere direttamente dalla compagnia di stato saudita Petromin (il contratto venne firmato a giugno). Per la fornitura ci sarebbe però stato da pagare ad un mediatore straniero (la misteriosa società panamense Sophilau) una provvigione del 7% sul prezzo dalla stessa: ben presto, invece che di “provvigione” si cominciò a parlare di “tangente”. Ciò venne fatto per la prima volta, a fine luglio, da Rino Formica, segretario amministrativo del PSI. La vicenda si concluse, a dicembre, col fallimento dell’affare. Il decorso della stessa fu, nella realtà, molto più complicato di quanto si è esposto, poiché si intrecciarono strettamente ad essa altri due elementi: l’intervento della P2 e la crisi politica succeduta alla fine dei governi di solidarietà nazionale. Tutto l’affaire è in mano a uomini della P2: il 40 Audizione di Giovanni Nisticò, 1° luglio 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. IV, pp. 579-580; Deposizione di Ennio Campironi a Ernesto Cudillo, 17 novembre 1981, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. II, t. VI, p. 361. 41 Tali dichiarazioni, rese a Teleroma 56, sono riprese da Sergio Turone in Corrotti e corruttori dall’Unità d’Italia alla P2, Laterza, 1984, p. 311. 42 Audizione di Giovanni Nisticò, cit., p. 548, pp. 572 sgg., p. 589, pp. 603 sgg.; Audizione di Bettino Craxi, 8 febbraio 1984, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. XIV, pp. 332-333. 43 Relazione Teodori, pp. 164 sgg. 44 Audizione di Massimo De Carolis, 17 giugno 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. IV, p. 338. 45 Sul caso cfr. Gianni Rossi - Francesco Lombrassa, op. cit., pp. 119 sgg.; L’Italia della P2, cit., pp. 96 sgg.; Leo Sisti Gianfranco Modolo, Il Banco paga. Roberto Calvi e l’avventura del Banco Ambrosiano, Mondadori, 1982, pp. 179 sgg. presidente dell’ENI Giorgio Mazzanti, il direttore per l’attuazione Leonardo Di Donna, il segretario generale della Farnesina Francesco Malfatti di Montetretto, il ministro per il Commercio Estero Gaetano Stammati, coi funzionari dello stesso ministero Lorenzo Davòli, Giuseppe Battista e Luigi Bisignani, il direttore dell’Ufficio Italiano Cambi Ruggero Firrao; inoltre, in episodi sviluppatisi ai margini dell’affare, il vicepresidente dell’ANIC Gioacchino Albanese, Vittorio Emanuele di Savoia, il costruttore romano Mario Genghini. Oltre alla truppa, scesero in campo anche i generali della P2. Umberto Ortolani, nella primavera del 1979, prima della firma del contratto, aveva incontrato più volte Formica, discutendo non solo dell’affare, ma anche della necessità di migliorare i rapporti tra Craxi e Andreotti 46. Il 9 ottobre entrò in scena anche Licio Gelli, che convocò Mazzanti alla sua suite all’Excelsior: qui il Venerabile gli fece intravedere un dossier che avrebbe dovuto provare l’esistenza della tangente e di cui lui, a suo dire, aveva impedito la pubblicazione sulla stampa 47. Era, con tutta evidenza, un ricatto, ma Mazzanti, giunto appositamente da Vienna per incontrare una persona, secondo le sue stesse ammissioni, a lui completamente sconosciuta, si guardò bene dal denunciarlo. Ma ciò che più interessa di tutto l’affaire è il lato politico. Il 1979 è un annospartiacque della recente storia italiana: il 31 gennaio, con la dimissioni del IV governo Andreotti, si chiudeva l’esperienza della solidarietà nazionale e si apriva una convulsa fase di ricerca di nuovi equilibri politici. A marzo iniziava una lunghissima crisi di governo, che si concludeva solo il 4 agosto con la formazione del I gabinetto Cossiga (DC, PSDI, PLI), tenuto in vita solo dall’astensione del PSI. E proprio questo partito sembra essere il protagonista di tutta la vicenda, sia nel suo lato politico, sia in quello “affaristico”: al suo interno ferveva il dibattito tra la maggioranza craxiana e la sinistra di Signorile sulle alleanze da perseguire, dibattito nel quale si inserirono inopinatamente anche aspetti legati all’affaire ENI-Petromin. È poi proprio il PSI a far esplodere il caso, ma l’impressione che si ricava leggendo la documentazione in merito è che la sortita di Formica e di Craxi sulla tangente alla Sophilau fosse legata ai dissidi interni al partito tra craxiani e signoriliani, dissidi che, simmetricamente, si riproducevano all’interno dell’ENI, col signoriliano Mazzanti (che aveva condotto la trattativa) a difendere il contratto ed il craxiano Di Donna a gridare allo scandalo. La motivazione ufficiale della denuncia di Formica, il timore, cioè, che dietro la Sophilau potessero celarsi percettori italiani della tangente, rispecchia forse il timore che tra tali percettori vi fossero anche i propri avversari interni, i quali, fino a quel momento, sembravano essere i protagonisti dell’affare. Esiste un episodio che sembra confermare tutto ciò: prima che venisse firmato il contratto d’intermediazione con la Sophilau, infatti, Mazzanti venne avvicinato da Ferdinando Mach di Palmstein, notoriamente fedelissimo di Craxi, che gli propose una diversa società di intermediazione48. Del resto, l’impressione che le denunce di Craxi fossero legate ai dissidi interni del PSI venne subito colta da una vecchia volpe come Giulio Andreotti, il quale confidò a Stammati che «i socialisti per beghe interne gridano allo scandalo»49. 46 La documentazione su tali incontri si trova in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. VII, pp. 337 sgg. 47 Il dossier è probabilmente quello ritrovato alla GIOLE (in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. I, pp. 1311 sgg.). 48 “Diario Stammati” (si tratta di un diario che Stammati tenne durante lo svolgersi della vicenda e che venne poi ritrovato nell’archivio di Gelli), ibidem, p. 1363 e p. 1368; Audizione di Rino Formica avanti alla Commissione parlamentare per i procedimenti d’accusa, 11 novembre 1981, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. VII, pp. 348 sgg. e pp. 375 sgg.; Deposizione di Giulio Andreotti a Carlo Palermo, 15 dicembre 1983, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. VII, t. V, pp. 225 sgg. 49 “Diario Stammati”, cit., p. 1354. Quale fu il ruolo della P2 in questo complesso intreccio di politica e affari? Per rispondere a tale quesito bisogna ricordare che l’iniziativa del contratto fu presa da una impressionante serie di “fratelli” e che, tra il luglio e il dicembre, quando la Petromin decise l’interruzione della fornitura, erano stati comunque versati alla Sophilau già 17 milioni di dollari50. Gli interventi più squisitamente politici di Gelli cominciano solo dall’ottobre, quando ormai non gli resta che tirare le fila. Il 9 ottobre scatta il ricatto a Mazzanti: la mossa, considerato che il presidente dell’ENI era un signoriliano, potrebbe essere interpretata come un tentativo di ammorbidimento delle posizioni della sinistra, ostile a una collaborazione al governo con la DC di Andreotti. Che, al contrario, questo fosse il progetto della P2 è dimostrato dal fatto che, non solo Ortolani ne aveva esplicitamente parlato a Formica durante gli incontri della primavera, ma Gelli in persona chiese ed ottenne un abboccamento con Bettino Craxi. In quell’occasione la discussione verté, come riferito da Nisticò e confermato da Craxi, sulla proposta gelliana di accordo tra i due leader e (ma questo secondo il solo Nisticò) sulla possibilità di “recupero” dell’affare51. La manovra a tenaglia di Gelli si chiuse con un terzo incontro, avvenuto ai primi di dicembre: interlocutore, questa volta, era Leonardo Di Donna, craxiano. Il clou del colloquio fu una minacciosa profezia del Venerabile circa un passibile ribaltamento delle posizioni all’interno del PSI: durante una delle successive Direzioni del partito Craxi avrebbe potuto trovarsi con soli 11 voti, contro i 14 dalla sinistra52. Circa un mese dopo, il 18 gennaio 1980, la profezia si avverava ed il Comitato Centrale si chiudeva con una sconfitta per Craxi, che vedeva sconfessata la sua linea di appoggio esterno al governo. Quella della sinistra si rivelò comunque una vittoria di Pirro: in primo luogo perché il disimpegno dall’astensione non significava, coma speravano Signorile e i suoi, ricerca di un’alternativa di governo aperta anche al PCI, ma, all’opposto, impegno diretto nel governo accanto alla DC; in secondo luogo, già al Comitato Centrale del 20 marzo il segretario recuperò la maggioranza, grazie alla defezione dalla sinistra dell’ala capeggiata da Gianni De Michelis, il quale venne subito ricompensato con la poltrona di ministro delle Partecipazioni Statali (aveva appena 40 anni) nel II governo Cossiga; governo che, come auspicato da Gelli, vedeva la collaborazione tra la DC di Andreotti e il PSI di Craxi. Se il risultato corrispose ai desiderata del capo della P2, il processo che portò ad esso non pare del tutto lineare: si pensi, ad esempio, alla sconfitta di Craxi al Comitato Centrale del 18 gennaio. Riguardo ad affinità tra P2 e PSI (o una sua parte), mi pare tuttavia che esse emergano abbastanza chiaramente, specialmente se a tutta la vicenda ENI-Petromin si aggiungano i seguenti tre ulteriori elementi: 1) l’esplodere dello scandalo favorì, al di là di tutto, la segreteria socialista; Spencer Di Scala, dopo aver sottolineato le difficoltà in cui si dibatteva Craxi nell’autunno-inverno 1979, così conclude: «la pressione [della sinistra] si allentò solo temporaneamente grazie all’esplodere dello scandalo ENIPetromin, che coinvolse Giorgio Mazzanti, esponente del gruppo Signorile» 53; 2) l’ipotesi di collegamenti tra Gelli e Craxi parrebbe ricevere una prima conferma dalla loro condanna di primo grado (insieme a Di Donna) al processo sul conto 50 Audizione di Giorgio Mazzanti, 16 dicembre 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. VIII, pp. 198-199 e pp. 225226. 51 Cfr. la nota 42. 52 Audizione di Leonardo Di Donna, 21 dicembre 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. VIII, pp. 279-280; L’Italia della P2, cit., p. 101. 53 Renewing Italian socialism. Nenni to Craxi, Oxford University Press, 1988 (trad. it., Da Nenni a Craxi. Il socialismo italiano visto dagli USA, SugarCo, 1991, pp. 328-329). Protezione, vicenda che si sviluppò a margine del contratto con la Petromin; 3) in molte delle successive vicende il PSI ha “oggettivamente” difeso la P2 e questa, quando ha voluto mandare “messaggi” ai politici ha di preferenza scelto proprio questo partito. A proposito di quest’ultimo punto, si ponga mente a questa, a mio modo di vedere, impressionante serie di date. Il 20 maggio 1981, mentre vengono finalmente divulgati gli elenchi della P2, viene arrestato, per esportazione illecita di capitali, Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano e mente finanziaria della loggia gelliana. Il 10 giugno, Francesco Forte, responsabile della politica economica del PSI, dà il via, sull’“Avanti”, a una campagna di stampa contro l’“abuso” che magistrati e giornali facevano del caso Calvi. La sera del 2 luglio, Calvi, rinchiuso nel carcere di Lodi, fa chiamare i magistrati che indagano su di lui, ma ciò che dirà loro, più che di una completa confessione, ha l’aria di un avvertimento ben mirato: il banchiere rivela, in sostanza, che, nel febbraio-marzo 1980 (attenzione alle date), Ortolani lo spinse a dare 21 milioni di dollari al Partito Socialista, ricevendo i ringraziamenti personali di Craxi e Formica 54. Due giorni dopo, a Fiumicino, vengono “ritrovati” in una borsa di Maria Grazia Gelli una serie di documenti, tra cui un dossier, compilato anche con carte riservate, su Gianni De Michelis, colui che l’anno prima aveva consegnato la maggioranza a Craxi. Il 9 luglio Calvi, ancora in carcere, inscena un tentativo di suicidio. Il giorno dopo, 10 luglio, è il giorno del dibattito alla Camera sulla fiducia al governo Spadolini. Craxi dedica la maggior parte del suo intervento al caso P2: esordisce affermando che i giudici milanesi avevano commesso «errori» fin dall’inizio, considerando veritieri in toto gli elenchi della P2 e coinvolgendo così, in «una campagna [...] di maccartismo», «notori farabutti» con «galantuomini». Altro errore dei giudici l’arresto di Calvi (per quel tipo di reati non era obbligatorio il mandato di cattura), che ha provocato un inevitabile contraccolpo in Borsa. Più in generale sono gli stessi metodi della Procura milanese ad essere censurati dal segretario socialista: «Il tentato suicidio di Calvi ripropone con forza il clima inquietante di lotte di potere condotte con spregiudicatezza e violenza intimidatoria, contro il quale bisogna agire per ristabilire la normalità dei rapporti tra Stato e cittadini» 55. Se si volessero ora trarre delle conclusioni da quanto si è sin qui esposto, mi pare che, anche senza voler ipotizzare necessariamente un rapporto organico tra P2 e PSI (o suoi settori), se la loggia gelliana avesse voluto puntare su un partito, questo non avrebbe che potuto essere il PSI craxiano. Le trasformazioni che il trionfatore del Midas andava imponendo al proprio partito, intatti, ai situavano su una linea che ricordava temi propri degli ambienti piduistici. Scriveva nel 1985 lo studioso tedesco Merkel: «Il PSI, che da tanto tempo ormai non è più un partito socialista di sinistra, non è riuscito, d’altra parte, a diventare un classico partito socialdemocratico [...]. La mancanza di concezioni valide si rispecchia in una politica che oscilla fra un programma neocorporativo, tendenze neo-liberali, statalismo politico e una strategia opportunistica di acquisizione del potere» 56. Quanto al Craxi presidente del Consiglio, l’inglese Hine annota che «he contrived 54 Che la confessione di Calvi potesse essere in pratica un “avvertimento” ai politici venne implicitamente confermato dallo stesso banchiere alla moglie, la quale, sentita dalla Commissione nel dicembre 1982 (cfr. Commissione P2, Allegati, serie I, vol. VII, p. 571, pp. 610-611, pp. 634-635, p. 651), raccontò che la tattica di Craxi davanti ai messaggi di Calvi era quella di temporeggiare, mentre, dopo la scarcerazione (22 luglio 1981), il banchiere ed il segretario del PSI si sarebbero visti più volte, anche da Pazienza. Di più: il verbale venne pubblicato sull’“Espresso” datato 4 ottobre 1981, ma già il 1° Calvi smentiva, permettendo a Craxi di parlare di complotto sventato contro il PSI. 55 Il testo integrale del discorso è pubblicato sull’“Avanti!” dell’11 luglio 1981. 56 Wolfgang Merkel, Die Sozialistische Partei Italiens: zwischen Oppositionssozialismus und Staatspartei, Brockmeyer, 1985 (trad. it., Prima e dopo Craxi. Le trasformazioni del PSI, Liviana Editrice, 1987, pp. 244-245). at different times to attack Parliament, the judiciary, the constitutional court and the president of the republic [...]. Craxi’s self-declared “decisionismo” was, however, more style than substance and was highly selective»; ne rileva, infine, gli «appeals for strong personalized leadership»57. Se poi si passa ad analizzare ambiti più vicini al sottogoverno, Cazzola nota che «dal 1979 più di metà del suo [del PSI] potere governativo è assorbito da (o meglio: passa attraverso i) ministeri clientelari. [...] Se l’obiettivo è sottrarre voti alla Dc, un primo passo non può che essere costituito dall’inserimento anche a livello governativo centrale dei socialisti nei reticoli del clientelismo ministeriale» 58. Sempre a proposito di consonanze tra PSI e P2, è noto che Craxi fu tra i primi politici ad aprire al MSI: «Craxi è stato il primo a capire che una forza come la nostra non può essere ghettizzata»; Almirante rese questa dichiarazione nel dicembre 1984, dopo che, coi suoi voti, aveva contribuito a far approvare il cosiddetto “decreto Berlusconi”, presentato dal governo Craxi. Stando al segretario missino, il MSI, in cambio dei voti, avrebbe ottenuto maggior spazio sulle televisioni Fininvest59. Netta chiusura al PCI, ridimensionamento del ruolo dei sindacati (si ricordi il referendum sul costo del lavoro del giugno 1985, peraltro favorevole a Craxi), aperture a destra, liberismo ed efficientismo spesso di facciata od opportunistici (come nel caso delle televisioni private), sottogoverno come strumento di consenso, leadership fortemente personalizzata, esecutivo forte e, non di rado, in rotta di collisione con il Parlamento e gli altri organi costituzionali, violenti attacchi alla magistratura (accusata di perseguire fini politici): come si vede i leitmotiv dell’azione politica craxiana riecheggiano da vicino quelli presenti in documenti di provenienza P2. Manca infine da esaminare la posizione della Democrazia Cristiana. La documentazione riguardo questo partito è piuttosto peculiare, giacché, da una parte, abbiamo una mole di documenti su singoli esponenti (Andreotti su tutti), dall’altro, a differenza dei partiti di cui si è parlato sopra, è difficile delineare una strategia della P2 nei confronti della DC. Le motivazioni di ciò credo che risulteranno chiare dalla successiva esposizione. La Relazione di maggioranza individua nel Nuovo Partito Popolare il più grave tentativo d’attacco della P2 nei confronti della DC. L’ipotesi è, a mio parere, da respingere completamente. Basti dire che il NPP, fondato il 28 febbraio 1975 da Mario Foligni, ambiguo rappresentante del sottobosco politico-affaristico romano, ottenne, nel 1976, 10.927 voti e, nel 1979, 2.112. Non solo: tutta la vicenda del NPP venne alla luce grazie al noto dossier M-FO-BIALI, compilato dall’Ufficio D del SID tra l’ottobre 1974 e l’autunno successivo: in tale documento, tuttavia, il nome di Gelli compare un paio di volte, e in episodi di sapore affaristico più che politico. Molto più indicativa mi pare un’altra vicenda. Tra le carte della GIOLE venne trovato un “Accordo finanziamento Flaminio Piccoli-Rizzoli”, del 17 aprile 1979 60, con il quale la Democrazia Cristiana, rappresentata dal presidente Piccoli, preso atto che l’esposizione debitoria nei confronti del gruppo Rizzoli ammontava a oltre 10,5 miliardi, si impegnava «a studiare, d’accordo con il Gruppo Rizzoli, i modi ed i tempi che consentano di rientrare da tale esposizione»; a questo scopo la DC offriva «il suo appoggio e la sua intermediazione al fine di giungere a soluzioni 57 David Hine, Governing Italy. The Politics of Bargained Pluralism, Oxford University Press, 1993, pp. 205-206. 58 Franco Cazzola, “Struttura e potere del Partito socialista italiano”, in Il sistema politico italiano, a cura di Gianfranco Pasquino, Laterza, 1985, p. 202. 59 Le dichiarazioni furono rese a Giorgio Rossi e sono riportate in Elio Veltri, Da Craxi a Craxi, Laterza, 1993, p. 166. 60 In Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. I, pp. 1236-1237. vantaggiose per il Gruppo». Indipendentemente dai contenuti dell’accordo, ciò che balza agli occhi è che, ancora una volta, non vi è un intervento diretto di Gelli: questi si limita ad archiviare il documento, che si trasforma così in una formidabile arma di ricatto. Qua non interessa vagliare l’ipotesi che Rizzoli e/o Piccoli possano essere stati costretti alla firma da Gelli (cosa che, d’altra parte, ne dimostrerebbe la ricattabilità), quanto sottolineare l’abnormità di un accordo secondo il quale il partito di maggioranza relativa avrebbe dovuto finanziare ed “aiutare” l’editore del maggiore quotidiano ”indipendente” del Paese. Piccoli, del resto, compare anche in un altro episodio, un “avvertimento” di Gelli, risalente al febbraio 198161. Lo stesso Piccoli pose in relazione l’avvertimento all’allarme da lui lanciato in quel periodo circa una «congiura massonica» ai danni della DC. Ma, se congiura v’era stata, allora Piccoli avrebbe dovuto essere riconoscente ai magistrati che l’avevano svelata; viceversa, il suo attacco nei loro confronti fu durissimo: nel suo discorso (un «grido di dolore») al dibattito sulla fiducia al governo Spadolini, il segretario democristiano lamentò che «il lavoro dei tribunali troppe volte sconfina dal campo del diritto a quello della politica» e invocò la revisione del ruolo del PM, con un controllo del Guardasigilli su di esso e l’introduzione della responsabilità civile dei magistrati (provvedimenti paradossalmente presenti nel “Piano di rinascita democratica”). In termini conclusivi, preso atto anche delle varie testimonianze su finanziamenti P2 a candidati democristiani 62, mi pare opportuno citare ampiamente (con sottolineature, maiuscole ed errori ortografici originali) una lettera del capogruppo P2 fiorentino, Domenico Bernardini, a Licio Gelli; la missiva, datata 30 maggio 1980, riassume l’impegno elettorale della loggia a Firenze per le amministrative del giugno: «Ai candidati socialisti: Abboni, Caiazzo e Colzi sono stati consegnati pro-capite un milione di lire quale contributo per le spese elettorali - voti nessuno. Mi spiace che i nominativi sopra indicati non siano di Tuo gradimento, questo dipende dalla mancanza di direttive di massima che più volte Ti ho richiesto e che Tu non hai dato. Per la Democrazia Cristiana sono stati spesi, - tenendo presente la tua promessa di contributo - la somma di dieci milioni di lire (di cui cinque milioni prelevati dai fondi della Loggia e cinque milioni prestati da alcuni fratelli). Tale denaro è stato distribuito alle associazioni collaterali (Rosario Perpetuo, San Vincenzo de Paoli ecc.) onde riceverne voti preferenziali per i candidati Fanfaniani. La lotta per togliere il potere a Firenze ai comunisti è disperata anche perché la Democrazia Cristiana non presenta uomini validi. Ma se non ci impegniamo a fondo in questo battaglie qual’è il nostro compito?»63. Si tenga presente che allora il PSI era al governo cittadino accanto al PCI e che, anzi, Ottaviano Colzi era vicesindaco. Così come a livello nazionale, dunque, anche a livello locale 1’obiettivo era “aiutare” le ali destre di DC e PSI per emarginare il PCI: e difatti, tutti i politici democristiani iscritti alla P2 appartenevano alle correnti di destra della DC (Filippo De Jorio, consigliere della Regione Lazio, militava addirittura nel Fronte Nazionale; Massimo De Carolis e Sergio Pezzati appartenevano al MILLE, Movimento Italia Libera nella Libera Europa, espressione dalla Maggioranza silenziosa; Publio Fiori è successivamente trasmigrato ad Alleanza Nazionale). 61 La relativa documentazione si trova in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. III, t. VII-bis, pp. 363 sgg. 62 Si veda ad esempio: Audizione di Federico Federici, 9 giugno 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. IV, p. 9 e pp. 76 sgg.; Audizione di Sergio Pezzati, 1° luglio 1982, ibidem, p. 613 e p. 615; Rendiconto del gruppo P2 di Firenze, ca. dicembre 1979. 63 Lettera di Domenico Bernardini a Licio Gelli, 30 maggio 1980, in Commissione P2, Allegati, serie II, vol. I, t. II, p. 357 oppure vol. III, t. VII-bis, p. 597. 4. CONCLUSIONI Si è visto che la Relazione Anselmi pone l’accento sulla “neutralità” della P2, negando che essa possa essere in qualche modo “figlia” del sistema politico italiano. Alla luce di quanto esposto tale affermazione, però, sembra vacillare, sia per una considerazione teorica, sia per l’esame delle circostanze storiche concrete lungo le quali si è sviluppato il fenomeno piduista. La considerazione teorica riguarda la strutturazione stessa del sistema partitico italiano. Tutti gli osservatori concordano nel ritenere la mancanza d’alternanza al governo come il difetto più grave del nostro sistema politico, il quale si caratterizza per la forte presenza dei partiti: è, insomma, la cosiddetta “partitocrazia” o, con linguaggio specialistico, un “party government”. Ma è un “party government” sorto strutturandosi attorno al (ed introiettando il) difetto genetico della costitutiva impossibilità d’alternanza. Tale impossibilità ha fatto sì che, da una parte, la competizione politica avvenisse sulle ideologie anziché sul concreto policy making, dall’altra, che la DC, sempre sicura della vittoria e non stimolata dall’opposizione, potesse dedicarsi al rafforzamento del suo potere, soprattutto attraverso il sottogoverno. Specularmente, il PCI, sempre perdente, tendeva a una forte ideologizzazione del dibattito politico, ovvero ad ottenere piccole concessioni attraverso le “leggine”. I partiti, comunque, nonostante la loro pervasiva presenza, sembrano essere pessimi recettori di input, o non esercitando tale funzione, o facendolo attraverso metodi clientelari 64. Con questa premesse, non sorprende che il Parlamento abbia subito on progressivo processo di marginalizzazione. La causa prima di tutto ciò è di ordine internazionale, essendo, l’Italia, il paese col più forte Partito Comunista nell’ambito NATO. Necessità dell’atlantismo, mancanza di alternanza, possibilità per la DC di dedicarsi al sottogoverno, sterile ideologismo dell’opposizione, pervasività, ma non ricettività dei partiti, marginalizzazione del Parlamento: considerati tutti questi fattori, mi pare che, al contrario della Anselmi, si possa affermare che la P2 “non può non dirsi filiazione del sistema dei partiti”. Questa conclusione, a cui si è giunti per via teorica, mi sembra venga confermata anche dall’analisi delle vicende politiche italiane, costellate da una miriade di zone d’ombra. Anche limitandosi ai casi esposti in questa sede, è possibile notare come, nella maggior parte di essi, la P2 non operi contro i partiti, ma al loro fianco: se c’è conflitto, questo si verifica nell’ambito del sottogoverno o di quello che Bobbio ha chiamato “criptogoverno”, vale a dire «l’insieme delle azioni compiute da forze politiche eversive che agiscono nell’ombra in collegamento coi servizi segreti, o con una parte di essi, o per lo meno da questi non ostacolate» 65. In tal senso, la provocatoria affermazione di Gelli secondo cui «non è stata la P2 a tentare di corrompere la classe politica italiana. È stato proprio l’opposto» 66 è paradossale fino ad un certo punto: quando entra in scena il Venerabile gli affari del sottogoverno sono in pieno rigoglio, mentre i meccanismi del criptogoverno sono perfettamente oliati (fascicoli delorenziani, piano Solo, strategia della tensione, Gladio). D’altra parte, si è più volte avuto modo di constatare come Gelli, spesso, non fosse il protagonista diretto degli affaire, ma si limitasse a 64 Cfr., ad esempio, Gianfranco Pasquino, op. cit., pp. 93-94; David Hine, op. cit., pp. 69-70. 65 Norberto Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, in “Rivista italiana di scienza politica”, n. 2, 1980, pp. 200-201. 66 Parla Gelli, in “Panorama”, 24 maggio 1982, pp. 54 sgg. (per questa notizia, p. 65); si tratta di una “intervista” sui generis: le domande formulate dai notisti politici del newsmagazine milanese vennero consegnate a Pier Carpi, scrittore presente nelle liste della P2 e difensore in più occasioni del Venerabile. Carpi vi aggiunse domande da lui raccolte tra la gente e fece pervenire il tutto a Gelli. prenderne atto e a custodirne i relativi dossier nel suo archivio personale (si pensi, ad esempio, all’accordo tra Rizzoli e Piccoli). Se, dunque, non fu la P2 a corrompere il sistema politico, ma si limitò ad inserirsi in un contesto preesistente, qual era la sua peculiarità? Io credo che le novità del progetto gelliano risiedano: l) nel tentativo di coordinare i vari settori dei “poteri invisibili”; 2) di conseguenza, nella diversificazione delle strategie; 3) nell’abbandono dell’estemporaneità degli interventi tesi alla stabilizzazione, in favore di un controllo diretto dall’interno del sistema. Riguardo al primo punto, basterà segnalare come la “solidarietà” massonica (intesa in senso deteriore) si prestasse ottimamente a divenire il collante di una rete criminale intessuta di ricatti e di favori, in cui venivano a trovarsi invischiati anche personaggi (è il caso, per esempio, di Mazzanti e Di Donna) noti per il loro antagonismo. La seconda novità che va segnalata è la grande varietà di strumenti a disposizione della superloggia, che poté così passare dall’eversione (golpe Borghese), all’infiltrazione nei gangli dello Stato (e l’elenco degli iscritti per settore d’attività ne è documento inquietante), all’inserimento in attività economiche (il caso ENIPetromin). La terza novità segnalata riguarda più da vicino l’argomento qui trattato, l’azione politica piduista. Credo che questa azione si svolgesse su due livelli: 1) politico in senso stretto; 2) decisionale. Al primo livello, obiettivo della P2 sembra essere stato quello della stabilizzazione moderata del quadro politico: essa doveva essere ottenuta tramite forme di consociativismo che prevedevano, da un lato, l’esclusione pregiudiziale dal governo del PCI e del MSI; dall’altro, la contemporanea partecipazione agli esecutivi dei rimanenti partiti dell’arco costituzionale più, eventualmente, un MSI depurato dai nostalgici. Questo è quanto previsto dal “Piano di rinascita democratica”, ma deve essere considerato come una sorta di programma massimo, presupposto del quale è comunque una intesa tra tutti i partiti. Umberto Federico D’Amato, già capo della Divisione Affari Riservati del ministero dell’Interno e piduista, sostiene appunto che Gelli «aveva una idea base, cioè che andasse svolta - e lui diceva di svolgere - una permanente azione per la formula politica di collaborazione tra i partiti. Diciamo un centro-sinistra allargato, quasi la formula dell’attuale governo [il pentapartito di Spadolini], in cui ci dovevano stare tutti i partiti esclusi i comunisti» 67. Le pressioni gelliane per un accordo tra Andreotti e Craxi sembrerebbero rientrare in un tale orientamento. È importante sottolineare, tuttavia, che per raggiungere questa stabilizzazione moderata venivano usate tattiche che, apparentemente, sembravano discostarsene (si ricordi l’atteggiamento aperturista nei confronti del compromesso storico): per “stabilizzazione”, dunque, non bisogna intendere un “impedimento” del mutamento degli assetti, politici, bensì un loro “controllo”; controllo che avviene mediante l’infiltrazione negli apparati dello Stato (e nei partiti, che lo Stato hanno invaso) di uomini dell’organizzazione. Da tutto ciò discende che, più che di stabilizzazione pura e semplice, si debba parlare di “stabilizzazione dinamica” o di “controllo del mutamento”. Il tema dell’infiltrazione ci porta direttamente alla discussione del secondo punto: l’intervento della P2 sugli ambiti decisionali. Seguendo Rodotà 68, si può parlare di clandestinizzazione delle sedi decisionali; il fenomeno è, in parte, comune a tutte 67 Audizione di Umberto Federico D’Amato, 29 ottobre 1982, in Commissione P2, Allegati, serie I, vol. VI, p. 513. 68 Stefano Rodotà, “P2 e Stato. Le dinamiche di occupazione del potere da parte del partito occulto”, in La resistibile ascesa della P2, De Donato, 1983, p. 146. le democrazie occidentali ed è stato analizzato dall’economista inglese Fred Hirsch, secondo il quale quanto più cresce la partecipazione democratica a istanze decisionali, tanto più tale istanza perde potere a favore di sedi informali e “invisibili”69. È d’altra parte vero, come ci ricorda Bobbio nell’articolo precedentemente citato, che, nel governo delle economie postkeynesiane, la classe politica esercita il potere «anche attraverso la gestione di grandi centri di potere economico», sottraendosi così, «se non formalmente, sostanzialmente, al controllo democratico e al controllo giurisdizionale». Negli altri paesi occidentali il fenomeno è in parte attenuato dal ricambio che il personale politico subisce più o meno frequentemente. Le peculiarità del sistema politico italiano hanno invece prodotto una nomenklatura di vertice pressoché immutabile, in cui un limitato ricambio avveniva attraverso meccanismi sostanzialmente cooptativi. Dall’altro lato, un’opposizione geneticamente votata alla sconfitta poteva sì ritagliarsi nicchie (o “ghetti”) di potere, ma non poteva assumerlo. Rebus sic stantibus era inevitabile che da un lato il Parlamento venisse marginalizzato; dall’altro, che l’Italia si avviasse a divenire uno dei casi paradigmatici di ciò che Susan Rose-Akerman ha definito “economia della corruzione”70. 69 Cit. in Pierluigi Onorato, “Stragi e poteri occulti”, in Eversione di destra, terrorismo, stragi. I fatti e l’intervento giudiziario, a cura di Vittorio Borraccetti, Franco Angeli, 1986, p. 264. 70 Susan Rose-Akerman, The Economy of Corruption, in “Journal of Public Economics”, n. 4, 1975.