La morte alla porta

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La morte alla porta
Capitolo 1
La morte alla porta
T
anto tempo fa, nella fitta foresta che una volta circondava la città santa di Benares, c’era tanto da lavorare per
i taglialegna. Uno di essi era il bel Satyavan, che era di
tutti il più bello perché aveva tanto amore per sua moglie, Savitri. Molte volte al mattino Satyavan trovava difficile lasciare la
sua capanna per andare a lavorare nei boschi.
Un giorno Savitri se ne stava distesa a letto sognante, contemplando la sua felicità che sembrava completa. All’improvviso notò una figura seduta a gambe incrociate nella polverosa
radura che era usata come cortile sul davanti della casa. Un monaco vagabondo, pensò. Mise del riso e verdure in una ciotola e
si affrettò fuori per offrirli al sant’uomo, perché l’ospitalità era
un sacro dovere.
«Non ho bisogno di cibo» disse lo straniero spingendo via la
ciotola che Savitri aveva appoggiato sul suolo chiazzato di luce
e ombra. «Aspetterò qui».
Savitri indietreggiò terrorizzata perché aveva capito chi fosse il suo ospite. Non un monaco vagabondo, ma la Morte in
persona, che in India è conosciuta come il Signor Yama.
«Chi stai aspettando?» chiese lei con voce tremante.
«Uno chiamato Satyavan». Rispose educatamente il Signore della Morte. Egli era abituato ad avere autorità assoluta sui
mortali e li avvicinava così semplicemente, con solo un leggero
tocco d’imperiosità.
«Satyavan!», urlò piangendo Savitri. Riuscì a stento a reggersi
dallo svenire all’udire il nome di suo marito. «Ma è forte e sano
e noi ci amiamo così teneramente. Perchè dovrebbe morire?».
Yama scrollò le spalle. «Ogni cosa sarà quel che sarà», rispose indifferente.
46 – Il mistero della vita dopo la morte
«Ma se te ne importa così poco» disse Savitri che stava ritornando in sé, «perché allora non prendi qualcun altro? Ci sono
persone malate e infelici che pregano di avere il sollievo della
morte. Vai a far visita a loro e lascia in pace la mia casa».
«Aspetterò qui», ripeté Yama, senza farsi commuovere dai
lamenti e dalle lacrime che sgorgavano dagli occhi di Savitri.
Sul volto di Yama lei potè vedere un mondo dove tutto è senza
nome e senza pietà.
La giovane sposa corse dentro casa. Si mise a camminare su
e giù, agitata, sapendo che suo marito sarebbe tornato a casa
per incontrare il suo funesto destino. Le tigri temevano il roteare della scure del coraggioso Satyavan, ma qui c’era un nemico che nessuna lama poteva ferire. Allora Savitri ebbe un’idea,
nata dalla disperazione. Buttandosi un mantello sopra le spalle
uscì dalla porta sul retro e si diresse verso i boschi.
Savitri aveva sentito dire che c’era un luogo sacro sulla montagna, uno spazio nella terra grande come una caverna formato
dalle radici di un enorme albero banyan. Un sant’uomo famoso viveva là. Savitri avrebbe implorato il suo aiuto. Ma non conosceva la strada e presto si perse seguendo i sentieri dei cervi e
i calanchi erosi dalle acque. La paura la dominava spingendola per quanto fiato e forza potessero permetterle e così Savitri
continuò a vagare più in alto, sempre più in alto finché fu totalmente esausta. Cadde, infine, collassando al suolo e dormì
per un po’ di tempo; non avrebbe potuto dire quanto a lungo.
Quando un raggio di luce del sole aprì i suoi occhi, Savitri si
ritrovò ai piedi di un enorme albero banyan. Si mise a spiare il
buco cavernoso tra le radici e a scrutarci dentro ansiosamente.
Prima che potesse raccogliere il coraggio per entrarci, una voce
dall’interno disse: «Vai via!». Era stata così forte e improvvisa
da farle fare un salto. «Non posso andare via» replicò Savitri
con voce tremante. Spiegò la sua situazione penosa e disperata,
ma la voce dall’oscurità disse: «Come puoi essere tu differen-
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te da qualunque altro? La morte è due passi dietro di noi dalla
culla alla tomba».
Lacrime sgorgarono dagli occhi di Savitri: «Se tu sei più saggio della gente comune, devi avere qualcosa di più per me».
La voce disse: «Desideri forse mercanteggiare con la Morte?
Tutti quelli che ci hanno provato hanno fallito». Savitri si accasciò sui propri piedi con dignità: «Allora lascia che Yama prenda me al posto di mio marito. Quello che dicono tutti è vero.
La Morte è assoluta. La mia sola speranza è che uccida me e risparmi qualcuno che non merita di morire».
La voce questa volta fu più gentile: «Stai calma» disse. «Una
via c’è». Savitri udì un tramestio nell’oscurità e poi il sant’uomo emerse dalla sua caverna. Era un asceta, il suo corpo sottile
era rivestito di un panno intorno ai fianchi con una sciarpa di
seta da monaco gettata sopra una spalla. Sembrava sorprendentemente giovane e disse a Savitri di chiamarsi Ramana.
«Tu conosci un modo per sconfiggere la Morte? Dimmelo».
Savitri implorò. Il monaco Ramana socchiuse gli occhi alla luce
del sole ignorandola per un momento. Egli aveva uno sguardo
che lei non era in grado d’interpretare, quindi si abbassò per raccogliere un vecchio, logoro flauto di canna che giaceva sul terreno.
«Vieni», disse. «Magari sarai capace d’imparare. Non ti faccio promesse, ma certo tu sei abbastanza disperata».
Come se si stesse dimenticando di lei, Ramana cominciò a
suonare il suo flauto e a incamminarsi girovagando giù per un
sentiero di cervi che era lì vicino. Savitri restò ferma in piedi
per un momento, sbigottita e confusa, ma non appena le note
del flauto si affievolirono sparendo nella foresta, non le restò altra scelta che seguirle.
Il miracolo della morte
Ogni vita è racchiusa in una cornice formata da due misteri.
Soltanto uno di questi, la nascita, è considerato un miracolo. Se
48 – Il mistero della vita dopo la morte
sei una persona religiosa, la nascita porta una nuova anima nel
mondo dalla sua casa presso Dio. Se non lo sei, il miracolo è
che una singola cellula fertilizzata nel grembo della madre possa dividersi e suddividersi ancora appena cinquanta volte per
produrre una nuova persona completa. Una goccia di proteine
e acqua in qualche modo sa come darsi forma in occhi, mani,
pelle e cervello.
Questa trasformazione di nove mesi continua accelerando,
così che alla fine un milione di nuove cellule cerebrali appaiono
ogni minuto. Nel momento in cui il neonato emerge come una
navetta spaziale che si sgancia dall’astronave-madre, ogni sistema che necessita di funzionare in modo indipendente – cuore,
polmoni, cervello e tratto digestivo – improvvisamente si rende
conto che il momento per entrare in funzione è “ora” e non un
momento più tardi. Gli organi si distaccano dalla totale dipendenza dalla madre e con strabiliante precisione iniziano a funzionare, come se l’avessero sempre fatto, per conto loro. In un
secondo preciso la vita sceglie di vivere.
L’altro mistero che accade, di solito dopo vari decenni, la
morte, è molto differente. Porta a termine tutte le cose per acquisire le quali la nascita ha combattuto così duramente. Il tracciato
del battito cardiaco supera una linea invisibile e diventa immobile. Gli alveoli dei polmoni, che hanno pompato qualcosa come
700 milioni di volte, si rifiutano di pompare anche una sola volta in più. Un centinaio di miliardi di neuroni cerebrali smette di
brillare; un trilione di miliardi di cellule in tutto il corpo riceve la
notizia che la missione è finita. Eppure, questo improvviso finale è un mistero tanto quanto la nascita perché, al momento della
fine della vita, il 99% delle nostre cellule è ancora funzionale nel
proprio modo tipico e tutti i 3 miliardi di triplette, le lettere singole nel libro del DNA individuale, rimangono intatte.
La morte arriva senza la miracolosa coordinazione della
nascita. Alcune cellule non sono informate della notizia per
un certo tempo. Se la persona deceduta viene rivitalizzata en-
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tro dieci minuti circa, prima che il cervello sia danneggiato in modo permanente dalla ipossia (mancanza di ossigeno
[N.d.T.]), il macchinario del corpo ritornerà a lavorare come
se niente fosse accaduto. Certamente la morte è un evento così
confuso e ottenebrante che le palpebre continuano a contrarsi
dieci o venti volte dopo che la testa è stata tagliata via dal corpo (un raccapricciante fatto scoperto ai piedi della ghigliottina
durante la Rivoluzione Francese).
La religione non considera la morte un miracolo. Nel Cristianesimo la morte è legata al peccato e a Satana (l’equivalente occidentale del Signore della Morte). La Morte è il nemico e Dio
ci salva dalle sue trappole. Con l’aiuto di Dio morire è il portale
d’ingresso per un evento molto più importante: l’inizio dell’aldilà. Per la mente religiosa la morte porta vicino alla presenza di
Dio e testimoni in tutta la storia hanno dichiarato di avere di fatto
visto la dipartita dell’anima. (Non tutti i testimoni sono persone
religiose. Conosco un eminente psichiatra il cui ateismo è rimasto profondamente scosso alla scuola medica quando entrò nella
stanza di un paziente malato di cancro nell’esatto momento della
morte e vide una evanescente forma luminosa emergere dal corpo e poi sparire). C’è una leggenda persistente che 21 grammi di
massa spariscano quando si muore, il che dovrebbe essere il peso
dell’anima. Di fatto, non c’è alcun cambiamento.
Qualunque cosa sia ciò che accade con la morte, io credo che
meriti di essere chiamata miracolo. Il miracolo, ironicamente,
è che noi non si muoia. La perdita del corpo è una illusione e,
come un mago che rimuove con ampio gesto una tenda, l’anima
rivela ciò che c’è al di là. I mistici hanno compreso da lungo tempo questo momento colmo di gioia. Come dice il grande poeta
persiano Rumi: «La Morte è il nostro matrimonio con l’eternità». Non soltanto i mistici, però, hanno visto attraverso l’illusione della morte. L’eminente filosofo del ventesimo secolo Ludwig
Wittgenstein scrisse: «Per la vita nel presente la morte non esiste.
La morte non è un evento nella vita. Non è un fatto nel mondo».
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Io credo che la morte realizzi i seguenti fatti miracolosi:
• Rimpiazza il tempo con la completa assenza del tempo.
• Allarga i confini dello spazio all’infinito.
• Svela l’origine della vita.
• Porta a un nuovo modo di conoscere al di là della portata
dei cinque sensi.
• Rivela l’intelligenza che sottende, organizza e sostiene la
creazione (per il momento non desideriamo usare la parola “Dio” perché in molte culture un singolo creatore
non fa parte del processo della morte o dell’aldilà).
In altre parole la morte è il soddisfacimento del nostro proposito qui sulla terra. Ogni cultura offre una fede profonda che questo sia vero, ma la nostra richiede un alto livello di prova. Io penso che la prova esista, ma non possa essere nel livello fisico perché,
per definizione, la morte porta alla fine della vita fisica. Per vedere
questa prova dobbiamo espandere i confini della coscienza tanto
da conoscere meglio noi stessi. Se tu conosci te stesso come qualcuno al di là dello spazio/tempo, la tua identità si sarà allargata e
includerà la morte. La ragione per cui gli esseri umani continuano a cercare soddisfazione oltre le stelle è perché sentono che il
loro stesso mistero è là e non qui nel regno della limitazione.
L’eternità adesso
Essendo un miracolo invisibile, la morte è estremamente elusiva. Eppure abbiamo indizi tormentosi che quel che c’è
“dall’altra parte” è di fatto molto vicino a noi proprio adesso. La gente non comprende quanto questo sia importante riguardo all’aldilà. La singola parola “dopo” implica che il tempo non sia
cambiato al momento della morte, che si stia ancora muovendo in
modo lineare portando la persona dal tempo terrestre al tempo celeste. Questo è sbagliato per due motivi. Primo, l’eternità non è
una funzione del tempo. Nel Cristianesimo i peccatori conse-
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gnati in eterno all’inferno non sarebbero puniti a lungo. Essi sarebbero puniti fuori dal tempo. La brava gente che trova la salvezza vive nella stessa regione in cui gli orologi non camminano
mai. Quindi il nostro comune senso del tempo non ha alcuna
importanza per ciò che viene “dopo”.
Secondo, il nostro senso del tempo quotidiano è in se stesso
basato sull’eternità. L’universo è esploso all’esistenza 14 miliardi di anni fa e ha dato il via all’orologio cosmico. I nostri corpi
sperimentano il tempo a causa delle vibrazioni atomiche al livello di idrogeno, ossigeno, azoto e carbonio, i mattoni di cui
sono costituite le sostanze chimiche organiche. Noi misuriamo
gli eventi esterni usando l’orologio interiore del cervello, che non
è nient’altro che quelle stesse sostanze chimiche. Il cervello di
una lumaca scatta così lentamente che ci vogliono cinque secondi prima che un evento passi e ne appaia un altro. In quei cinque
secondi potete prendere una lumaca e spostarla di tre metri e per
la lumaca sarebbe come essere stata teletrasportata attraverso lo
spazio. Il cervello umano scatta veloce abbastanza da farci percepire eventi distanti solo pochi millesimi di secondo (la puntura
di una zanzara, l’indistinto battito delle ali di un colibrì), ma è
troppo lento per osservare il volo di un proiettile o i milioni di
neutrini che perforano i nostri corpi ogni minuto.
Prima del Big Bang il tempo non scorreva via: un secondo era
uguale all’eternità. Possiamo fare questa supposizione perché la
fisica quantistica ha perforato l’illusione del tempo, staccandosi
dall’orologio atomico per andare sempre più in profondità nel
tessuto stesso della Natura. Al livello più profondo le vibrazioni cessano del tutto. L’universo arriva a una linea piatta come un
cervello morto. Eppure l’apparenza della morte è illusoria perchè
la linea di frontiera che segna la fine di ogni attività segna anche
l’inizio di una nuova regione, denominata realtà virtuale, dove
materia ed energia esistono come pura potenzialità. La base della realtà virtuale è complessa, ma in termini semplici, una regione non fisica deve esistere per dare la nascita all’universo fisico.
52 – Il mistero della vita dopo la morte
Questa regione è un vuoto, ma è ben lontana dall’essere svuotata.
Proprio come quando te ne stai sul divano a sonnecchiare e la tua
mente è vuota, ma può svegliarsi istantaneamente a una infinita
scelta di pensieri, così il regno virtuale si sveglia verso un infinito
regno di nuovi eventi. La creazione salta dal vuoto alla pienezza
totale proprio come l’eternità salta dalla totale assenza di tempo
alla totalità del tempo.
Se l’eternità è con noi adesso, sottesa a tutta l’esistenza fisica,
dev’essere la base sottostante a te e a me. L’illusione del tempo ci
dice che tu e io siamo lanciati su una linea dritta dalla nascita alla
morte, quando di fatto siamo dentro una bolla di sapone lasciata
libera dall’eternità.
Di fatto, l’evento della morte non è mai stato tanto lontano e il
confine fisso tra la vita e la morte non è impenetrabile. Una donna
di mia conoscenza di nome May è una cinquantenne divorziata del
New Mexico. Da adolescente ha sofferto lo shock della morte improvvisa del suo adorato fratello maggiore in un incidente d’auto.
«Avevo quindici anni, lui diciannove, e lui era l’unica persona
che io abbia mai veramente adorato. Quando è morto, in un
soffio, puf, proprio così, io non riuscivo neanche a rendermene
conto mentalmente», disse May. Era in uno stato d’intenso dolore che si protrasse per diversi anni.
«Mi ritirai completamente. Smisi di vedere chiunque. Continuavo a chiedermi Perché? Voglio una risposta. Dimmelo! Un giorno dopo l’altro non arrivò alcuna risposta». May dette alla luce
un bambino così decise di tornare alla società nell’interesse del
figlio. «Sapevo che non era bene per lui crescere come un recluso, così decisi d’iniziare a vedere gente, poche persone per volta».
Alla prima riunione sociale a cui andò, May percepì una strana sensazione. «Stavo parlando con qualcuno con un bicchiere di
vino in mano quando realizzai che i piedi mi si erano intorpiditi.
Il torpore rapidamente salì su per le gambe e io ebbi un “flash”.
Ci siamo. Immediatamente la stanza scomparve e io stavo volando nello spazio più veloce di quanto potessi mai immagina-
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re. Era come se tutto fosse incredibilmente compresso ed espanso al tempo stesso. Non ho idea per quanto tempo io me ne sia
“andata”. La festa era in una fattoria in campagna, così ci vollero
cinquanta minuti prima che arrivasse l’ambulanza. Poi seppi che
dovevo tornare di nuovo; i miei amici mi dissero che avevano
sentito il polso debole per tutto il tempo. Nessuno ha mai capito
se è stato uno svenimento o ho avuto un colpo».
Le ho chiesto come ha interpretato la sua esperienza. «È ancora qui» disse, tenendo il palmo della mano 30 cm sopra la testa. «A questa distanza circa».
«Cosa è ancora qui?», chiesi io.
«L’Eternità. Sono sicura che è quello che ho sperimentato e
quel sentimento non mi ha più lasciato. Mi ha rassicurato che
io esisto al di fuori del corpo. Verso i trent’anni ho passato un
brutto periodo con un cancro al seno, ma non ho avuto paura
di morire neanche per un minuto. Come avrei potuto? Io ho visto l’eternità».
Vedanta - Risposte dall’Anima
Voglio dare un volto umano all’immortalità prima di passare alla scienza che la sostiene. I fatti sono inutili se non possiamo collegarli personalmente e niente è più personale del morire.
Nell’India antica l’idea che l’eternità possa essere sperimentata era
ampiamente accettata, quindi avventuriamoci là per vedere come
questo sia possibile. Migliaia di anni fa esisteva un popolo che era
alla ricerca nelle profondità dello spirito per trovare delle risposte
senza offendere Dio o sconfinare nel suo territorio. Erano i Rishi,
ovvero i saggi dell’India dei Veda che accrebbero la loro preminenza quando l’Induismo si trovava nella sua primissima fioritura, forse tanto lontano quanto quattromila anni fa o più recentemente come circa mille anni fa. I nomi con cui i Rishi sono noti,
come Vyassa, Brighu e Vasistha, possono essere storici o forse no,
ma il corpo del lavoro che si sono lasciati dietro si conta in migliaia di pagine. Molti scritti mancano di un autore che sia provato,
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proprio come il Vecchio Testamento, ma l’insegnamento dei Rishi, noto come Vedanta, non è una religione.
Il panorama spirituale dell’India era affollato di dèi e dee; c’erano innumerevoli Loka, ovvero mondi non fisici. C’erano anche
gerarchie di angeli e demoni da rivaleggiare in tutto con Dante. Di
fronte a tale sconcertante diversità i Rishi non offrivano un unico
Dio. Essi offrivano una unica realtà che includeva ogni possibile
esperienza, sia in questa vita che oltre. Essi affermavano l’idea che
ogni livello di esistenza sussiste di fatto come uno stato di consapevolezza. Gli altri mondi – tutti i mondi in realtà – si sono formati nella coscienza. Quindi, come creatori di questi mondi, noi
potremmo sperimentarli e influenzarli a volontà. Quello che i Rishi proponevano era più di una filosofia; era un invito a partecipare a un esperimento senza fine. Il proposito dell’esperimento era di
mettere alla prova la verità della realtà esplorando dentro se stessi.
L’invito è ancora aperto. Quando tu o io lo accettiamo, siamo
collegati ai Rishi vedici da quello che Aldous Huxley ha chiamato
“la filosofia perenne” che torna in ogni epoca per soddisfare le domande della nuova generazione. Sarebbe di nessuna importanza
richiamarsi a un’antica tradizione nel presente se non potessimo
applicarla a noi, ma il Vedanta lo fa e per una ragione: il dubbio
ha rimpiazzato il dogma nella vita di molta gente. La confusione spirituale del momento presente può non essere tanto esotica
quanto la profusione di templi e di dèi nell’antica India, ma diamo ascolto alle voci che circolano intorno a noi:
• Mi trovavo in ospedale in una unità di Alzheimer quando
morì mio nonno. Vicino alla fine era una persona totalmente differente – fuori di testa, drogato al massimo dalla morfina. Era come osservare morire un vegetale. È stato come se
niente fosse cambiato quando il suo respiro si è fermato.
• Il mio ex marito è un tale bastardo! Glielo dissi quando
morì che aveva un biglietto di sola andata dritto per l’infermo. Prima classe!
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• Sono un buddista. Quando lascerò il corpo diventerò pura
coscienza.
• Sono un’indù. Io sono sempre pura coscienza.
• Chi stanno prendendo in giro? Quando sei andato, sei andato. Punto e basta.
Quest’ultima opinione è la voce del materialismo che ritiene
la morte come il punto finale perché vede la vita solamente nel
corpo fisico. Noi possiamo esclamare che negare l’aldilà è scientifico, ma di fatto sta semplicemente a indicare la convinzione
del materialismo. I Rishi ritenevano che la conoscenza non fosse
qualcosa di esterno al conoscitore, ma fosse intessuta all’interno
della coscienza. Quindi, non avevano bisogno di un Dio al di
fuori per risolvere l’enigma della vita e della morte. I Rishi avevano se stessi, il che è una cosa molto fortunata perché così possiamo fare anche noi. Ogni persona è consapevole. Ogni persona
ha un sé. Ogni persona è certa della sua esistenza, che vorrebbe
dire di essere vivo. Con questi rozzi ingredienti il Vedanta dichiara che ciascuno può arrivare a una conoscenza diretta di ogni
cosa, non importa quanto appaia profondamente misteriosa.
Quindi, perché non l’abbiamo fatto? Forse perché non siamo in grado di entrare in contatto con la parte più profonda di
noi stessi, che i Rishi hanno chiamato Atman. La parola equivalente più simile in italiano è “anima”. Anima e Atman sono una
scintilla del divino, la componente invisibile che porta la presenza di Dio nella carne e nel sangue. La differenza più grande fra loro è che nel Vedanta l’anima non è separata da Dio. A
differenza dell’anima cristiana, l’Atman non può venire da Dio
né tornare a lui. C’è unità tra umano e divino; la consapevolezza di questa unità è il passo necessario per far apparire la realtà.
Dire “Io sono Dio” viene naturale con l’Atman. È molto
meno naturale per noi. Anni fa avevo un’amico che era capace
di intense esperienze spirituali, come lasciare il corpo e vedere
una luce bianca nel suo cuore (o così diceva). Gli dissi che per-
56 – Il mistero della vita dopo la morte
sonalmente io non avevo mai avuto tali esperienze. «Nemmeno
io», replicò. «Io le ho avute in modo impersonale».
In quel momento egli mi dette un “insight” (visione interiore), perché qualcosa di eterno, senza confini e immutabile non
può essere personale. Per abitudine noi diciamo “la mia” anima,
ma questo è fuorviante. L’anima non appartiene a me come se
fosse la mia casa, cioè una proprietà, o come i miei figli, cioè
come una estensione della mia carne e del mio sangue. Non appartiene a me come la mia personalità o le mie memorie perché
la senilità o i disordini mentali possono rendere disabile il cervello e portar via entrambe.
La morte non riguarda ciò che possiedo ma quello che posso
diventare. Oggi io vedo me stesso come un figlio del tempo, ma
posso diventare un figlio dell’eternità. Io vedo il mio posto qui
sulla terra, ma posso essere in viaggio nell’universo. Come esseri umani abbiamo una profonda intuizione che il nostro destino
è infinito, ma temiamo la morte perché mette alla prova i nostri
desideri e i nostri sogni. Abbiamo paura di essere giudicati perché se risultasse che ci siamo sbagliati, allora tutte le nostre aspirazioni ci sembrerebbero vuote, prive di senso. Nella mia carriera di medico ho visto quanta paura possano avere le persone alla
fine. Morire non è un momento più reale di qualunque altro, ma
è più definitivo. Non importa quanto sei ricco e dotato, la morte è il grande livellatore. (Mi ricordo che una volta un rinomato
guru stava tenendo una conferenza sul fatto che essere assorbiti
nella luce è l’estrema ricompensa spirituale. La donna che mi era
seduta vicino cominciò ad agitarsi, si piegò verso di me e sussurrò al mio orecchio: «Mi suona proprio come la morte!)».
Perché l’aldilà abbia significato dev’essere completamente
soddisfacente come questa vita. Portare denaro, potere, sesso, famiglia, i nostri successi e il piacere fisico a termine non è cosa da
poco. La maggior parte di ciò che amiamo e da cui dipendiamo
verrà estinto quando questa vita arriverà alla fine. Eppure noi
possiamo portare qualcosa a quel momento. Molti anni fa, quan-
Capitolo 1 - La morte alla porta – 57
do ero residente a Boston come medico inesperto, due vecchi coniugi furono ammessi all’ospedale insieme. Il marito era alla fine
di una lunga battaglia con il cancro al colon. La moglie, benché
avesse una storia di disturbi cardiaci, era molto più in forma. I
due condividevano una stanza e, nei pochi giorni che li visitai, fui
in grado di notare quanto fossero attaccati l’una all’altro.
Il marito tirò in lungo per giorni entrando e uscendo dallo stato cosciente con una considerevole sofferenza. Sua moglie sedeva vicino a lui tenendogli la mano ora dopo ora. Poi,
una mattina, quando arrivai, trovai un letto vuoto: lei era morta all’improvviso di arresto cardiaco durante la notte. Il marito
era in un periodo lucido, così con riluttanza gli diedi la notizia,
perché avevo paura dello shock che avrebbe potuto procurare.
Invece egli all’apparenza si mostrò molto calmo.
«Penso che posso andare adesso», disse. «Sono stato ad aspettare».
«Che cosa?», io gli chiesi.
«Un gentiluomo lascia sempre che le signore vadano per prime», disse, e ricadde immediatamente nell’incoscienza. Trapassò quel pomeriggio.
Quello mi fece tornare in mente cosa possiamo portare nel
momento della morte. Grazia, calma, una paziente accettazione
di quello che sta per succedere: tutte queste sono qualità che possono essere coltivate e quando lo sono la morte è una prova che
non possiamo fallire. Il nostro difetto non è che abbiamo paura
della morte, ma che non la rispettiamo come un miracolo. I più
profondi valori – amore, verità, compassione, nascita e morte –
sono uguali. Essi appartengono al nostro destino, ma anche alla
nostra vita del presente. In definitiva, lo scopo di questo libro è
portare la morte nel presente e quindi renderla uguale all’amore.
Alla fine di questo capitolo continuerò la storia di Savitri, una
donna che cercò di usare l’amore per superare in astuzia la morte. Sarà un interludio nella nostra discussione sull’aldilà. Nella
pienezza dell’amore c’è un segreto che lei aveva imparato e noi
58 – Il mistero della vita dopo la morte
dobbiamo imparare di nuovo. Tagore allude in maniera stupenda a questo nella seguente poesia:
Che Cosa Darai?
Cosa darai
Quando la morte busserà alla tua porta?
La pienezza della mia vita –
Il vino dolce dei giorni di autunno e delle notti d’estate,
Il mio gruzzolo raccolto man mano negli anni,
Le ore ricche di esistenza.
Questi saranno i miei regali.
Quando la morte busserà alla mia porta.
Capitolo 2
La cura per morire
Q
uanto più andavano vagabondando verso la cima della
montagna, tanto più Savitri diventava ansiosa, ma Ramana non le prestava attenzione. Egli aveva abbandonato il sentiero dei cervi, seguendo un canalone tra due enormi
pareti di pietra ed era scomparso alla vista. Arrancando dietro
di lui Savitri intravide un ruscello nelle cui vicinanze si era seduto il monaco. Tirò fuori il flauto di canna, che era avvolto
nella sua veste zafferano, e cominciò a suonare:
«La mia musica non ti fa sorridere?», chiese, notando lo
sguardo ansioso negli occhi di Savitri. L’unica cosa a cui lei riusciva a pensare era il Signore della Morte che l’aspettava a casa.
«Abbiamo così poco tempo», implorò lei. «Insegnami quello
che mi vuoi insegnare».
«Cosa ne penseresti se io potessi insegnarti la cura per morire?», chiese Ramana.
Savitri sobbalzò: «Sono sicura che tutti muoiono».
«Quindi tu credi alle dicerie. Cosa accadrebbe se io ti dicessi
che non sei mai stata felice? Mi crederesti?»
«Certo che no. Ero felice questa mattina, prima che cominciasse tutto questo strazio», disse Savitri.
Ramana annuì. «Noi tutti ci ricordiamo di essere stati felici e
nessuno può dirci niente su questa conoscenza, ma lascia che ti
faccia un’altra domanda. Puoi ricordarti di non essere stata viva?»
«No», disse Savitri esitante.
«Provaci di più, concentrati, spingi la tua mente indietro a
quando eri molto, molto piccola, provaci tanto da poter ricordare di non essere viva. Questo è importante Savitri».
«Bene». Savitri fece del suo meglio, ma non aveva memoria
di non essere mai stata viva.
60 – Il mistero della vita dopo la morte
«Forse tu non puoi ricordare di non essere stata viva perché lo
sei sempre stata», disse Ramana. Indicò una locusta che incrociava
le antenne sopra la testa. «Se vedi una locusta che emerge dalla
terra dopo sette anni di sonno, vuol dire forse che era morta?»
Savitri fece segno di no con la testa.
«Quindi l’unica ragione per cui tu credi di essere nata è che
i tuoi genitori ti hanno vista emergere dal grembo. Essi hanno
pensato di essere testimoni del momento in cui tu cominciavi
a esistere, così hanno sparso la diceria che tu eri nata». Savitri
rimase stupefatta di questa linea di ragionamento.
Ramana insistette. «Guarda questo ruscello. Tutto quello
che vedi è una piccola estensione di lui, ma potresti dire di
sapere dove il fiume comincia o dove finisce? Fai attenzione,
Savitri. Tu accetti la morte perché tu accetti la nascita. Le due
devono andare insieme. Dimentica queste dicerie che tu sia
mai nata. Questa è l’unica cura per morire».
Ramana si alzò in piedi e ripose di nuovo il suo flauto nel
vestito; era pronto a incamminarsi. «Tu credi in me?»
«Io voglio credere in te, ma ho ancora paura», ammise Savitri.
«Quindi continueremo ad andare avanti». Ramana cominciò
ad allontanarsi e Savitri lo seguì, riflettendo su quanto aveva detto. Sembrava irrefutabile che se non era mai nata non avrebbe
mai potuto morire. Questo era realmente vero?
Ramana intuì i suoi pensieri. «Non possiamo basare la realtà
su ciò che non ricordiamo, solo su ciò che facciamo. Tutti si
ricordano di essere, nessuno si ricorda di non-essere».
Dopo un momento lei toccò gentilmente il suo braccio.
«Suona un poco di più per me, per favore. Desidero ricordare
di essere felice».
Trapassare
L’affermazione del Vedanta che l’anima è sempre vicina ci
porta faccia a faccia con l’affascinante fenomeno delle esperien-
Capitolo 2 - La cura per morire – 61
ze dette di pre-morte, che sono diventate una parte stabile della
convinzione popolare. (In una inchiesta Gallup del 1991, 13 milioni di americani, circa il 5% della popolazione, riferirono di
aver avuto una tale esperienza). La pre-morte è un momentaneo
contatto con un’altra realtà, o così sembra a coloro che riferiscono l’esperienza. Una persona giace in una stanza di emergenza
di un reparto di terapia intensiva. Il suo cuore si ferma e a tutti
gli effetti risulta la morte. Eppure, alcuni di questi pazienti, tipicamente quelli che hanno sofferto l’arresto cardiaco, possono
essere resuscitati. Quando lo sono, circa il 20% riferisce almeno
uno dei sintomi familiari della NDE (Near Death Experience
è la sigla data in letteratura medica a questa sindrome) e cioè:
lasciare i loro corpi, guardare in basso e vedersi sul tavolo operatorio, osservare le procedure mediche eseguite mentre i medici
tentano di far ripartire i loro cuori, trovarsi in un tunnel, andare
verso una luce brillante, sentire la presenza di un potere superiore, sentire o vedere persone che li chiamano a cenni.
Il dottor Pim van Lommel, il cardiologo che ha condotto la
maggior parte degli studi in Olanda su questo soggetto, rimase
stupito nello scoprire che i pazienti avevano avuto una intera
NDE dopo che i loro cervelli avevano cessato ogni attività (mostravano una linea piatta finché non sono stati resuscitati). Improvvisamente la morte veniva così rivestita degli ornamenti di
un miracolo. Come può una persona sperimentare ogni evento
dopo che l’orologio del cervello si è fermato? Altre culture, comunque, si sono avventurate anche più in là nel “senza-tempo”
e ci assicurano che il tempo può finire, ma la coscienza continua.
Una donna chiamata Dawa Drolma siede tranquillamente
all’interno di una tenda di feltro nero alla base di una vetta
himalayana. Questa è la sua casa, ma c’è poca intimità qui dato
il fiume di visitatori che entrano ed escono tutto il giorno per
porre domande e ricevere la sua benedizione. Dawa Drolma
è diventata famosa per tutto il Tibet orientale dal momento
che è ritornata indietro dalla morte. La morte era giunta per
62 – Il mistero della vita dopo la morte
una improvvisa malattia quando aveva sessant’anni e per cinque
giorni interi il suo cadavere non fu toccato dalla famiglia o dai
preti. Dopo quel tempo Dawa rientrò nel suo corpo con la completa memoria di ciò che era accaduto nel Bardo, il mondo sottile
dell’aldilà per il Buddhismo tibetano.
In quei cinque giorni Dawa aveva passato il tempo in molti
paradisi e inferni. (Questi sono termini cristiani, ma corrispondono a luoghi descritti nel Buddhismo dove i giusti vengono
ricompensati e i malvagi puniti). La dea della saggezza si era
incaricata personalmente di mostrare a Dawa ogni luogo, indicando chi era là e perché. Lei sentì il rapimento di quelle anime
per cui stavano pregando i loro familiari ancora in vita. Sentì
le grida agonizzanti e le suppliche di pietà dei malvagi che avevano commesso peccati sulla terra. Dawa incontrò il dio della
morte, che le dette i messaggi da riferire ai viventi. Egli sapeva,
e così lo seppe lei, che Dawa sarebbe ritornata alla vita. Di
fatto, la sua morte non era stata un evento casuale; aveva intrapreso coscientemente il suo viaggio, considerando da prima i
suoi rischi e pericoli. I lama locali l’avevano ammonita affinché
non lo facesse, ma Dawa aveva la convinzione che la sua vita
sarebbe dipesa tutta dalla sua morte.
Anno dopo anno ha ripetuto la sua storia; ci è voluto molto tempo per convincere la gente. La cultura tibetana non era
preparata a dare un’importanza spirituale a una donna, a eccezione della presenza di condizioni straordinarie, ma la diretta
conoscenza che Dawa riportò dal Bardo (e dalla “Chiara Luce”
che c’è intorno) era impeccabile. Inoltre mostrava alla gente
dove ritrovare dell’oro sepolto. Rivelava segreti delle loro vite
private e dettagli dei parenti scomparsi che nessuno avrebbe
mai potuto supporre. Discuteva con lama sapienti e li eguagliava o superava in teologia buddhista.
Dawa Drolma non è unica in Tibet. Le persone che tornano
alla vita sono chiamate delogs (o deloks) e una di esse, il famoso Lingza Chokyi, lasciò un vivace resoconto nel sedicesimo
Capitolo 2 - La cura per morire – 63
secolo. «Ero quieto nella stanza, ma invece di stare malato nel
letto lasciai il mio corpo e galleggiai vicino al soffitto. Vidi il
mio corpo come un maiale morto con indosso i miei vestiti. I
miei bambini si buttarono su di me e questo mi dette un gran
dolore. Cercai di parlare alla mia famiglia, ma nessuno poteva
sentirmi. Quando mangiarono, piansi e mi arrabbiai perché
non mi davano il cibo. Quando dissero preghiere per me, immediatamente mi sentii molto meglio».
Livelli di risveglio
Una cosa sorprendente sui delogs è la loro coerenza; l’esperienza di Dawa Drolma nel ventesimo secolo rispecchia quella di
Lingza Chokyi quattrocento anni prima. Essi videro gli stessi sei
livelli del Bardo, erano guidati da Tara Bianca, la dea della conoscenza, e ricevettero messaggi da portare indietro ai viventi. Questi messaggi sono centrati sull’essere un buon Buddhista tibetano
(proprio come le apparizioni della Vergine Maria in ogni secolo
tendono a centrarsi sull’essere un buon praticante cattolico).
Gli esperti in esperienze di pre-morte trovano molti punti
in comune fra le NDE e i delogs. Entrambi descrivono di lasciare il corpo, guardare in basso verso se stessi e l’ambiente
intorno, essere incapaci di parlare alle persone che vedono e poi
di viaggiare da qualche altra parte usando il potere del pensiero.
Quando i delogs riferiscono che nell’altro mondo hanno “un
corpo dall’età dell’oro” che è come dire giovane e perfetto, ci
viene ricordato che in alcune NDE le persone ricordano che
una volta morti era sembrato loro di essere tornati nel fiore
degli anni fisici, in qualche momento nei loro venti o trent’anni. Familiari defunti appaiono dall’altro lato, una regione che
i tibetani chiamano il “bardo del divenire”. Quando la nuova
persona defunta cerca di riunirsi a loro, è spinta via di nuovo
nel mondo fisico con la sensazione che non è quello il momento giusto o che in qualche modo è stato commesso un errore.
In entrambi i casi c’è una profonda sensazione di venire in con-
64 – Il mistero della vita dopo la morte
tatto con Dio o con la Luce suprema, dopo di che la paura della
morte non ha più potere.
Ci sono paralleli significativi, quindi, fra l’esperienza NDE
e i delogs del Tibet. Dato che i delogs forniscono più dettagli e
racconti estesi, sembra giusto supporre che una NDE sia solo
l’inizio dell’avanzare del risveglio che spinge la persona morta
attraverso tutti i livelli di cui ha bisogno l’anima per rivelarsi
a se stessa. Se mettiamo insieme la geografia specifica del Paradiso cristiano, il Bardo Buddista e i molti Loka, regni divini dell’Induismo, il primo livello dell’aldilà emerge con certi
eventi coerenti.
“Trapassare”
Come comincia ad apparire l’aldilà
1. Il corpo fisico smette di funzionare. La persona morta può
non esserne consapevole, ma alla fine sa che è accaduto.
2. Il mondo fisico svanisce. Questo può accadere per gradi; ci
può essere una sensazione di galleggiare in alto o guardare in
basso ai luoghi familiari mentre ci si allontana.
3. La persona morta si sente più leggera, improvvisamente libera dalle limitazioni.
4. La mente, e talvolta i sensi, continuano a operare. Gradualmente, comunque, ciò che si percepisce diventa non-fisico.
5. Cresce una presenza che è sentita come divina. Questa presenza può essere vestita di luce o nei corpi di angeli o dèi e
può comunicare con la persona morta.
6. Personalità e memoria iniziano a scomparire, ma resta il senso dell’“io”.
7.Questo “io” ha una travolgente sensazione di muoversi in
un’altra fase di esistenza.
Questo risveglio in sette livelli non è lo stesso dell’andare in
Paradiso. I ricercatori spesso lo chiamano la fase “inter-vita”,
Capitolo 2 - La cura per morire – 65
una transizione fra lo stato mentale dell’essere vivi e lo stato
mentale di rendersi conto di essere trapassati. Ci sono molti aspetti specifici che cambiano da persona a persona. Non
tutti gli NDE vanno nella luce. Alcuni pazienti riferiscono di
aver viaggiato per vari pianeti nello spazio o in un altro mondo secondo le loro convinzioni religiose. Alcuni sperimentano
una scena di giudizio che può essere abbastanza severa o anche
infernale; comunque può anche essere piena di soddisfazione.
La natura della persona gioca un ruolo fondamentale. Un
bambino può tornare dal Paradiso e riferire che era pieno di
cuccioli che giocavano, un paziente cardiaco può raccontare
di sedere in grembo a Dio e che gli è stato detto dall’Onnipotente che doveva tornare sulla Terra e un delog può vedere
ogni dettaglio della teologia tibetana. Queste immagini chiaramente dipendono dalla cultura che riflettono. Huston Smith,
un esperto in mondi religiosi, dichiara: «Ogni cosa che sperimentiamo nel Bardo è un riflesso delle nostre macchinazioni
mentali». Si può sostituire “aldilà” in luogo di Bardo, dato che
i Cristiani vedono le immagini cristiane, non quelle buddiste,
e i Mussulmani quelle islamiche.
Comunque, il trapasso è solo una transizione. La piena realtà
dell’anima non si è ancora rivelata. Per i delogs più avanti si trova
l’esperienza della “pura natura della mente”, come la chiamerebbero i Buddisti. I delogs affermano abbastanza chiaramente che
non sono di fatto andati da nessuna parte, perché ogni livello del
viaggio esiste nella coscienza. Quello che è di fatto reale non è
Inferno e Paradiso, ma la “Chiara Luce” che c’è oltre essi. Dawa
visitò quella brillante luce bianca prima di ridiscendere giù attraverso i mondi intermedi nel suo ritorno all’esistenza fisica.
Come scrisse suo figlio, «Nonostante il fatto che i regni
dell’esistenza ciclica sono in senso assoluto vuoti di natura, semplici proiezioni delle illusioni della mente, in un livello relativo
la sofferenza di essere intrappolati là è innegabile». Gli occidentali discutono se l’aldilà possa essere reale tanto quanto il mon-
66 – Il mistero della vita dopo la morte
do fisico; gli orientali dichiarano che entrambi sono proiezioni
mentali. Gli occidentali limitano il ciclo della vita umana a un
periodo breve fra nascita e morte, gli orientali vedono un ciclo
eterno di nascita, morte e rinascita.
Perciò c’è ampio spazio per variazioni anche nello stesso
viaggio: «Come in un sogno o allucinazione, esseri fluivano
dentro e fuori della percezione di Dawa Drolma come fiocchi
nella neve. Un momento incontra un conoscente che sopporta
i più orrendi tormenti dell’inferno; subito dopo incontra una
persona virtuosa sulla via di un reame puro. Occasionalmente
vede intere processioni di esseri nel Bardo che partono per i
reami puri guidati da un grande lama (una figura maschile o
femminile)... che per il potere della sua altruistica aspirazione
è venuto a salvarli».
Una Ricchezza di Aspettative
Se culture differenti vedono dopo la morte cose tanto differenti, dobbiamo considerare la possibilità che siamo noi a
creare il nostro aldilà. Forse le vivide immagini che appaiono
alle persone morenti sono proiezioni, il modo che ha l’anima
di aiutare ad adattarci a lasciar perdere e andare oltre i cinque
sensi. Un noto biologo, però, mi ha detto di recente con un
sospiro: «Nel momento che cominci a usare questo mondo di
“coscienza”, sei immediatamente buttato fuori dalla scienza».
Posso prendere una copia attuale della rivista Time e leggere
l’articolo seguente del Professor Eric Cornell, un fisico vincitore di un premio Nobel: «La Scienza non si occupa di conoscere
la mente di Dio; riguarda il comprendere la natura e la ragione
delle cose. Il brivido è che la nostra ignoranza è molto più grande della nostra conoscenza».
Sono sicuro che molte persone saranno d’accordo, senza comprendere che “capire la natura” ha un valore limitato
quando noi non comprendiamo la natura umana. Perché ci
lasciamo fuori dell’esperimento?
Capitolo 2 - La cura per morire – 67
Quando la coscienza non è una possibilità praticabile, le
spiegazioni possono solo provenire dal materialismo. Le droghe
(per esempio marijuana, hashish, LSD, ketamina, mescalina)
possono indurre il cervello a sperimentare sia una luce bianca
che l’effetto tunnel. Così puoi mettere qualcuno in una centrifuga e farlo roteare a una velocità tale da spingere il sangue
fuori dei lobi frontali (gli astronauti e i piloti in addestramento
hanno queste esperienze quando sono allenati nelle centrifughe). Uno stress estremo può comportare allucinazioni; pazienti in ospedale in cura intensiva durante la convalescenza di
un attacco cardiaco sono inclini ad averne.
È possibile, dopo tutto, che la medicina abbia tutte le risposte? Il dottor Van Lommel, che ha condotto gli studi sulle
esperienze di pre-morte (NDE), non la pensa così. Egli ha esaminato 344 pazienti in ospedale il cui cuore era stato defibrillato (aver avuto un caotico ritmo cardiaco invece del battito
normale regolare). Parlando con loro dopo alcuni giorni dal
momento in cui erano stati rivitalizzati, Van Lommel scoprì
che l’anestesia o i medicinali non avevano avuto effetto sulla
loro esperienza. Quello che stupisce di più, comunque, sono
quei racconti di coscienza durante l’assenza dell’attività cerebrale. Anni dopo questo paradosso ancora lo riempie di stupore e reverenza: «In quel momento quelle persone non solo sono
coscienti anzi, la loro coscienza è perfino più espansa che mai.
Possono pensare in modo estremamente chiaro, avere ricordi
che risalgono alla prima infanzia e sperimentare una intensa
connessione con ogni cosa e ogni persona intorno a loro. Eppure il cervello non mostra alcuna attività!».
Queste osservazioni stroncano la teoria della morte-cerebrale del materialismo, dato che il cervello ha smesso di funzionare
prima che inizi la NDE, in quel limbo, da 4 a10 minuti, in cui
è possibile resuscitare senza danni permanenti al cervello. Van
Lommel puntualizza inoltre che ogni spiegazione fisiologica, se
vera, dovrebbe applicarsi a chiunque. Egli scoprì che l’82% dei
68 – Il mistero della vita dopo la morte
pazienti resuscitati non era in grado di ricordare alcuna NDE:
perché il loro cervello morente li aveva privati dell’esperienza
che invece aveva avuto il 18% dei pazienti?
Forse la coscienza non è nel cervello? Questa è un’allarmante possibilità, ma è coerente con le più antiche tradizioni spirituali del mondo. Cosa accadrebbe se si considerasse che una
NDE sia un passo nell’aldilà ancora governato dalle memorie
e dalle aspettative?
Non c’è dubbio che il cielo è l’aspettativa di molte persone
nella società occidentale e quindi dobbiamo esaminare le sue
promesse sul futuro per considerare se il Paradiso è la scelta che
noi veramente vogliamo fare.
Capitolo 3
La morte esaudisce tre desideri
D
opo aver camminato due ore tra i boschi, Savitri e Ramana arrivarono a un bivio del sentiero.
«Se prendessimo per quella strada potremmo arrivare al
castello di Yama. Lo sapevi che la Morte vive così vicino?», egli disse.
Savitri si risentì. «Sono contenta di non saperlo».
«Veramente?» Ramana sembrò genuinamente sorpreso. «Io
mi sono precipitato di corsa nel castello quando, una volta,
me ne stavo al di fuori e rimuginavo. Ero proprio curioso di
incontrare la Morte faccia a faccia».
Savitri si sentì spaventata semplicemente dal ricordo di
qualcosa che tanto la terrorizzava. Ramana la raggiunse e le
prese una mano. «Andiamo, posso parlarti di tutto questo
mentre camminiamo». Aveva una presa forte e Savitri si sentì
più calma, come se la forza di lui fosse filtrata in lei.
«Mi sono accorto subito che ero inciampato nella casa di
Yama», continuò Ramana, «perché c’erano dei teschi infilzati
su lance tutt’intorno al cancello. Così mi sono seduto e ho
aspettato che tornasse il mio ospite. Aspettai per tutto il giorno e anche quello seguente. Il giorno successivo Yama tornò
a casa. Quando mi vide mi disse preoccupato: “Ti ho fatto
aspettare fuori del cancello per tre giorni interi. Neanche la
Morte può infrangere il sacro voto dell’ospitalità. Per questo
motivo ti garantisco la soddisfazione di tre desideri, uno per
ogni giornata”.
“Mi fa molto piacere”, replicai “perché ho desiderato a lungo
di potermi guadagnare il dono della conoscenza da te, il più saggio fra tutti gli esseri nella creazione”. Yama s’inchinò con fare
regale. “Il mio primo desiderio”, dissi io “è conoscere la strada
per tornare a casa. Non ho voglia di restare con te per sempre”.
70 – Il mistero della vita dopo la morte
Yama sorrise e indicò verso est: “Troverai la tua via del ritorno alla vita se vai per quella strada, dove sorge il sole”.
“Il mio secondo desiderio”, dissi “è sapere se hai mai provato amore”.
Yama non sembrò molto divertito questa volta, ma mi rispose
in modo riluttante. “Il ruolo dell’amore è di creare; il mio ruolo
è di distruggere. Quindi io non ho bisogno dell’amore”. Sentendo ciò provai compassione per Yama, ma mi lanciò un’occhiataccia colma di orgoglio, disdegnando ogni mio sentimento di
pietà. Disse: “Ora sbrigati a dirmi il tuo terzo desiderio”.
Dissi: “I grandi saggi dichiarano che l’anima sopravvive oltre la morte. È vero?”. Una nuvola nera offuscò l’espressione
di Yama. Scoppiava di rabbia, ma non c’era altro da fare che
rispondermi. “Ti dirò la verità”, disse. “Ci sono due percorsi
nella vita, la via della saggezza e la via dell’ignoranza. La via della saggezza è perseguire la realizzazione del Sé. La via dell’ignoranza è perseguire il piacere. Il piacere, poiché nasce dai sensi,
è temporaneo, e qualunque cosa sia temporanea cade sotto la
falce della morte. Quindi l’ignorante cade sotto la mia presa.
Ma il Sé è la luce dell’Immortalità. Splende per sempre. Pochi
sono abbastanza saggi da vedere questa luce, anche se è dentro
di loro e in nessun altro luogo. Il Sé non è altro che la luce della
tua anima. Ora vai! Yama sarà contento di non vedere di nuovo
la tua faccia”. E si ritirò per prendersi cura della sua rabbia».
Savitri tovò tutto questo affascinante, ma si chiedeva:
«Come possiamo mancare di trovare l’anima se la sua luce
splende dentro di noi?».
Ramana si fermò e si guardò intorno. Osservò una pozzanghera di acqua piovana lungo il sentiero e ci portò Savitri.
«Vedi il sole riflesso in quella pozzanghera?».
Savitri annuì. «Lo vedo».
«Allora osserva».
Ramana pestò nell’acqua, rimescolando il fango e agitando la
superfice liscia dell’acqua. «Puoi vedere ancora il riflesso del sole?»
Capitolo 3 - La morte esaudisce tre desideri – 71
Savitri ammise che non avrebbe potuto. «Questa è la ragione per
cui la gente non può trovare l’anima», disse Ramana, «È infangata
continuamente dall’attività della mente e dalla confusione. Quando io distruggo il riflesso del sole, non uccido certo il sole stesso.
È eterno e nulla di ciò che faccio può estinguerlo. Ora conosci il
segreto dell’anima, che perfino la Morte non può sopprimere».
Savitri si fece seria e pensierosa. «Questo è qualcosa in cui
voglio credere».
«Tu hai ancora paura» disse Ramana gentilmente, «ma impara solo questo: non avere fiducia nelle riflessioni, tantomeno
se vuoi vedere la realtà».
Savitri rimase assorta nei pensieri mentre continuavano a camminare, la sua mano leggermente stretta in quella del monaco.
Una questione di convinzione
Il peggior aldilà che posso immaginare è l’Inferno.
Il peggiore al secondo posto potrebbe essere il Paradiso.
Ho scarabocchiato queste due frasi sulla pagina di un taccuino
nell’estate del 2005. Le parole “Paradiso” e “Inferno” producono
immediatamente una nota cristiana, ma io stavo pensando in generale. Il Paradiso è dove vai se sei abbastanza buono per Dio; l’Inferno è dove vai se non lo sei. Sono entrambi sinonimi per “la fine”?
Il Vedanta sostiene che ogni aldilà viene creato per darci quello che ci aspettiamo. Se questo è vero per il Paradiso e per l’Inferno, che genere di aspettative noi stiamo nutrendo? Perché mai le
azioni cattive ti porterebbero come destino alla prigione e i tuoi
errori a essere punito senza misericordia o speranza di sospensione della pena? Questa è una domanda facile se confrontata con
quella opposta. Perché essere buoni dovrebbe condurre a una terra fantastica sopra le nuvole dove la virtù è premiata con una indolenza senza fine, anche questa senza possibilità di sospensione?
72 – Il mistero della vita dopo la morte
Nell’estate del 2005 questi argomenti mi sfiorarono di persona. La Morte era qualcosa a cui dovevo pensare costantemente perché mia madre era piombata nel coma. Fai presto,
una voce concitata mi disse al telefono dall’India. Presi un jet
immediatamente. Di minuto in minuto non sapevo con certezza se sarei riuscito a raggiungere il suo letto in tempo per
dirle addio.
È difficile immaginare che qualcuno che ami stia morendo.
Mia madre aveva circa ottant’anni e si era gradualmente spenta
negli ultimi cinque anni. Il suo corpo era diventato una buccia
rispetto a quello che era stato anche solo sei mesi prima. Tutti
in famiglia convenivano che sarebbe stata una benedizione se la
sua sofferenza fosse finita.
Scoprii me stesso a pensare a ogni singola cellula del cuore
di mia madre. Come medico potevo immaginare quella cellula chiaramente come se fosse stata sotto il microscopio. Ogni
cellula del cuore ha scambiato tutti i suoi atomi molte volte
durante la durata della sua vita. Il fragile cuore di mia madre,
così pieno dell’esperienza di una intera vita, non era un oggetto
statico. Era uno scintillare continuo di impulsi di cambiamento e, poiché ogni cellula è come quella, mia madre era passata
dentro e fuori la vita fin dal giorno che era nata.
Le vecchie cellule del cuore non vanno in Paradiso, ma sopravvivono alla morte fisica a modo loro. Tutto il vostro corpo
per intero fa la stessa cosa, mettendosi nella tomba e risalendo
dalla morte migliaia di volte al minuto dato che la vecchia materia è scambiata con materia nuova.
Dal momento che le molecole possono sempre essere rimpiazzate, conta solo la morte della conoscenza. Il sapere è l’essenza della cellula, che nessuno vedrà o toccherà mai. Quando
milioni di atomi di ossigeno volano via in una esalazione del
respiro, fluttuando fuori nel mondo, ciò che rimane è di gran
lunga più importante: come costruire una cellula, come la cellula si comporta, come si relaziona con altre cellule.
Capitolo 3 - La morte esaudisce tre desideri – 73
Come può una semplice catena di molecole lungo una spirale di DNA sapere tutto questo? Con la morte noi andiamo
alla ricerca della risposta, perché a quel punto dobbiamo confrontarci con la nostra essenza dietro la maschera della materia.
“Essenza” indica il risultato di una distillazione, bollire qualcosa
di crudo per ottenere qualcosa di più raffinato, estrarre ciò che
è puro dall’impuro. Non c’è bisogno di farci intrappolare nella
terminologia. Essenza, anima, Atman o Spirito Santo, tutti servono allo scopo. Dopo la fase iniziale del “trapasso” il resto della
vita dopo la morte è oltre le immagini, riguarda l’anima.
Mia madre morì, ancora in coma, poche ore dopo il mio
arrivo al suo capezzale. Era una morte moderna, senza drammi
e fasciata nel premuroso bozzolo di una clinica. Il tempo del
dolore era arrivato, ma sapere che mamma era ora libera di
scoprire chi lei fosse veramente mi sostenne. Milioni di persone non pensano in questo modo, riferendosi all’idea da molto
tempo onorata del Paradiso, ma questo sta cambiando.
L’erosione della fede tradizionale non ha lasciato intatto il
Paradiso. Dopo il disastro della navicella spaziale Columbia nel
2003 in cui il velivolo esplose nell’atmosfera sopra il Texas centrale e uccise tutte le sette persone che erano a bordo, il Presidente Bush disse di essere sicuro che gli astronauti defunti fossero in
Paradiso. In Tennessee, però, gli incaricati di una inchiesta a riguardo chiesero alle persone se erano d’accordo e benché il 74%
avesse dichiarato di credere all’aldilà, soltanto la metà di loro
(37% del totale) pensava che gli astronauti fossero in Paradiso,
con un altro terzo della popolazione che diceva di non saperlo.
Si può anche osservare, per avere una linea guida, un altro
indicatore come la frequenza alle funzioni religiose in chiesa.
Mentre il 44% degli americani dichiara di recarsi in chiesa regolarmente, statistiche attendibili mostrano che forse la metà
del numero dichiarato sia più realistico. Ognuna delle denominazioni religiose ufficiali è in declino e questo vale anche in
quindici fino a diciotto delle nazioni sviluppate. (Un’eccezione
74 – Il mistero della vita dopo la morte
è il fondamentalismo cristiano che dichiara di essere in crescita
negli Stati Uniti e nel mondo intero).
Per farti un’idea di dove ti trovi nello spettro delle convinzioni
religiose, poni a te stesso alcune domande di base come le seguenti:
Credere o no?
Leggi le seguenti affermazioni e poi valuta ciascuna come segue:
A
D
N
A
A
A
A
Accordo – Questo è vero per le mie convinzioni.
Disaccordo – Questo è opposto alle mie convinzioni.
Nessuna opinione – Sono incerto o non ho un’idea su questo
argomento.
D
D
D
D
N
N
N
N
A D N
A D N
A
A
A
A
D
D
D
D
N
N
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N
A
A
A
A
A
D
D
D
D
D
N
N
N
N
N
Io credo in Dio.
Penso che Dio sia in cielo.
Mi aspetto di andare in Paradiso quando morirò.
Andare in Paradiso dipende dall’essere una brava
persona.
Andare in Paradiso significa credere in quello che dice
la Bibbia (sostituire con Corano o altre sacre scritture).
Se credi in Dio hai più possibilità di andare in Paradiso che se non ci credi.
Dio è misericordioso, però ha anche creato l’Inferno.
L’Inferno serve per punire il peccato.
Inferno e Paradiso sono entrambi eterni.
Sia che che io sia punito sia che ottenga la salvezza,
la sentenza sarà giusta.
Mi conforta pensare di non scomparire con la morte.
Prove scientifiche del Paradiso non ci saranno mai.
Quello che accade dopo la morte è conosciuto dal destino.
Le esperienze di pre-morte sono reali.
Quando le persone “entrano nella luce” e poi ritornano, questo è un assaggio dell’aldilà.
Capitolo 3 - La morte esaudisce tre desideri – 75
A D N
A D N
A D N
A D N
A D N
Le esperienze di pre-morte di cui ho letto aumentano la mia fede nel Paradiso.
Le persone amate che ho perso mi incontreranno in
Paradiso.
Mi aspetto di riunirmi a mia madre e a mio padre
dopo la mia morte.
Comunicare con il defunto è reale.
La reincarnazione è reale.
Totale A ____________
Totale D ____________
Totale N ____________
Confronta il numero di volte che sei stato d’accordo, in disaccordo o senza una opinione e trova la categoria che è dominante.
Prevalenza di A (14-20 punti) Tu sei un credente. I credenti rientrano in due categorie, coloro che si attengono strettamente ai principi di una religione organizzata e quelli che
perseguono la spiritualità anche se hanno chiuso con la chiesa.
In quanto credente ti senti sicuro dell’aldilà e trai conforto da
quella certezza. Senti che sei arrivato a un buon rapporto con
la paura di morire. Il tuo Dio è benigno (un grande Essere che
veglierà sulla tua anima quando morirai). Quello che sai delle
esperienze di pre-morte conferma totalente la tua fede.
Prevalenza di D (14-20 punti) Tu sei uno scettico. Come
scettico il tuo approccio alla vita è più logico e materialistico. Sebbene tu non sia necessariamente uno scienziato, hai fiducia più nel
modello scientifico che nei modelli di fede, al punto che i due per
te non possono coesistere. Tu non credi alla vita dopo la morte e
sei in pace con questo. Sospetti che le esperienze di pre-morte siano un qualche tipo strano di disfunzione cerebrale. La tua mente
può essere cambiata da una evidenza più convincente, ma finora
76 – Il mistero della vita dopo la morte
non ne hai vista nessuna; sospetti che ogni prova della vita dopo
la morte sia una fantasia o un desiderio di appagamento. Dato che
nessuno ritorna dalla morte, ti senti praticamente certo che non
avremo mai una informazione attendibile su questo tema.
Prevalenza di N (14-20 punti) Tu sei agnostico o non vuoi
impegnarti. Nonostante la differenza fra questi due gruppi,
entrambi concordano che l’aldilà può esistere oppure no. Potresti essere qualcuno che non pensa alla morte, preferendo
aspettare finché non ci sia altra scelta che starle di fronte. Oppure potresti sentire che l’aldilà, come Dio, non avranno mai
una spiegazione. I racconti sulle esperienze in punto di morte
t’interessano assai poco.
Se non hai totalizzato da 14 a 20 in una categoria, considerati
una persona di larghe vedute. Tali persone credono in qualche
modo nelle nozioni spirituali, ma anche in quelle materialistiche
o scientifiche. Le esperienze di pre-morte ti affascinano, ma non
ne sei completamente convinto. Puoi provare un certo livello di
ansia dato che non hai convinzioni fisse e puoi considerarti confuso. Più probabilmente ti senti a tuo agio nel non avere certezze
perché non c’è alcuna certezza, secondo la tua opinione, da poter
avere riguardo alla vita successiva. (Alla prospettiva di andare in
Paradiso, pensi che sarebbe bello, ma non ci fai affidamento).
Non è una sorpresa, forse, scoprire che sei al tempo stesso credente, scettico e agnostico. Eppure quando osservi dove
altre persone cadono, che potrebbe essere ben lontano dal tuo
sistema di convinzioni, potresti sentirti disturbato dal considerare che tu potresti avere ragione.
I credenti forse vanno in Paradiso (o Inferno) che corrisponde
alla loro base culturale religiosa. Nell’aldilà incontreranno la loro
versione preferita di Dio o degli dèi. Si troveranno circondati
da angeli o bodhisattva. La tonalità emotiva di questo aldilà potrebbe essere di totale beatitudine, se questa è la tonalità che si