Eroine e liberatrici: Sita, Draupadi e Savitri
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Eroine e liberatrici: Sita, Draupadi e Savitri
Eroine e liberatrici: Sīta, Draupadi e Savitri Conversazione del prof. Manoj Das Savitri Bhavan 18 marzo 2007 È una mia ferma convinzione che nell’intero ventaglio della grande letteratura mondiale non vi siano protagoniste donne più decise e sbalorditive delle tre eroine che incontriamo nelle epopee indiane: Savitri, Sīta e Draupadi. Continuo nella mia chiacchierata partendo dal presupposto che la più parte di voi conosca la trama dei racconti del Rāmāyana e del Mahabharata, affinché questi personaggi possano essere pienamente apprezzati. Per prima cosa devo presentare un aspetto teorico: una volta Sri Aurobindo disse in un aforisma: “ Vi sono quattro grandi avvenimenti nella storia: l’assedio di Troia, la vita e la crocifissione di Cristo, l’esilio di Krishna in Brindavan e il colloquio con Arjuna sul campo di Kurukshetra.” Non dice che siano stati i quattro più grandi eventi storici, ma che sono eventi molto importanti. “L’assedio di Troia ha creato l’Ellade,…” La grande cultura ellenistica originò dalle epopee di Omero, l’Iliade e l’Odissea, composte intorno alla guerra troiana. “…l’esilio in Brindavan ha creato la religione devozionale (perché prima vi erano solo meditazione e adorazione),…” Quando Krishna nacque, come sapete, avrebbe dovuto essere ucciso; invece, durante la notte, il neonato fu trasportato a Brindavan attraversando il fiume Yamuna. Col passare del tempo crebbe in un incantevole amico dei mandriani e oggetto di suprema attenzione per le damigelle del villaggio. Secondo la mitologia questi fanciulli e fanciulle non erano esseri ordinari, ma anime liberate – libere dal ciclo della nascita e morte – che avevano deliberatamente scelto di nascere per gioire del contatto fisico con Krishna, l’incarnazione di Vishnu. È la relazione fra questi giovani di Brindavan e Krishna che ebbe come risultato lo sviluppo della via della devozione per l’approccio al Divino, la Bhakti Yoga. “Cristo umanizzò l’Europa dalla sua croce. Il dialogo di Kurukshetra…” Questa è la Gita – Kurukshetra è il campo di battaglia dove Krishna diede il messaggio della Gita ad Arjuna. Significativamente Sri Aurobindo dice: “ “…il colloquio di Kurukshetra deve ancora liberare l’umanità.” “deve ancora liberare l’umanità” significa che la Gita non è stata ancora pienamente realizzata. Non è stata ancora pienamente resa attiva nella nostra vita fino ad oggi. Questo spiega perché una delle maggiori opere di Sri Aurobindo sia i: “Saggi sulla Gita”. “Tuttavia si dice che nessuno di questi quattro eventi sia accaduto.” Sri Aurobindo, in modo ironico e implicito sostiene che effettivamente ebbero luogo. Quando esaminiamo le passate epopee, la grande era antica dei miti, qualche volta ci chiediamo se non vi fosse stato un tempo in cui gli esseri umani e gli esseri soprannaturali si frequentassero. Non la chiamerei un’epoca infrarazionale, piuttosto un’era pre-razionale. Non appena le facoltà razionali si accrebbero, e la mente si sviluppò e il senso del ragionamento dominò la razza, la Natura ritirò forse, alcune delle grandi opportunità che erano disponibili in tempi precedenti, a vantaggio di un progresso evolutivo. La mente doveva realizzare le sue piene potenzialità: il ragionamento doveva essere costruito. Ma un’epoca pre-razionale è esistita. I mistici credono che vi sia stato un tempo in cui gli esseri umani e gli esseri soprannaturali, divinità, semi-divinità, interagivano fra di loro. Posso riportare un’antica leggenda: un’opera sulla scienza dell’arte e del dramma, secondo gli storici probabilmente il primo lavoro di drammaturgia al mondo, fu scritto da Barata Muni, dal quale la danza Bharat Natyam ha preso il nome, che segue la grammatica della danza da lui enunciata. Una rappresentazione nella pietra dei Mudra della danza può essere ammirato nel famoso tempio di Shiva Nataraja in Chidambaram. Questo grande maestro, Barata Muni, vissuto probabilmente intorno a 3000-3500 anni fa, fu ovviamente un drammaturgo oltre che un regista. Scrisse una pièce per la quale potesse trovare attori nella comunità umana; ma, quando giunse al ruolo dell’eroina Lakshmi, non riuscì a trovare nessuna attrice adatta a ricoprire il ruolo. Quella era un’epoca in cui le donne calcavano la scena. Fu solo molto tempo dopo che gli uomini cominciarono ad interpretare i ruoli femminili. Dopo molta fatica spesa alla ricerca di un’interprete che non riusciva a trovare, Bharata Muni chiese ad Urvasie, la ninfa celeste, la più incantevole fra tutte le splendide creature del suo genere, di accondiscendere ad interpretare il ruolo dell’eroina. Ella accettò, scese nella sua città e recitò la parte, incantando il pubblico, e poi ripartì verso la sua propria sfera. Mi riferisco a questa possibilità che le divinità e semi-divinità si potessero palpabilmente mescolare con gli esseri umani perché altrimenti non possiamo spiegare, non possiamo comprendere le implicazioni, la bellezza, e la splendida saggezza che rimane radicata in molti dei grandi miti – non solo indiani, ma anche greco-romani. Come studenti di misticismo tutti quanti voi sapete che vi sono due grandi poteri al lavoro nel mondo: Purusha e Prakriti. Purusha è il Divino propriamente detto, puro, una divinità sempre presente e cosciente: il Signore Supremo, Yogeshwara. Prakriti è la proiezione di quella divinità e costituisce la creazione fenomenica, ma generalmente è dimentica della sua origine. Perciò abbiamo la Natura fatta di giungle, fiumi, montagne, terra, e la Natura umana costituita dai tre modi: sattwa, rajas, tamas, e la mente, e le infinite manifestazioni della vita, tutte completamente ignare della loro origine. Ma, profondamente in Prakriti, che è questa manifestazione della divinità che ha completamente dimenticato se stessa, rimane la Shakti. Questo principio della divinità apparentemente addormentata continua a lavorare e nel corso del tempo noi che siamo soggetti a Prakriti, soggetti al dominio di Prakriti, ci risvegliamo alla nostra vera verità, ci risvegliamo al nostro sé interiore, e quindi la Shakti inizia ad agire come la Madre Divina. Il Purusha è distaccato, ha dato libertà a Prakriti di fare tutto ciò che vuole, ma la Shakti lo spirito di Prakriti, la Divinità nascosta in Prakriti, ha un compito estremamente difficile. Da un lato è stata data libertà a Prakriti di agire come meglio crede, dall’altro lo scopo ultimo non deve essere dimenticato: l’intera Prakriti dovrà un giorno essere trasformata nella sua natura originale che è divina. A causa di questo la Shakti, il principio cinetico nascosto in Prakriti, deve manifestarsi ancora e ancora in individui dotati di potere per liberare completamente Prakriti dalla morsa dell’oscurità e dell’ignoranza in cui la creazione è caduta. Ella possiede la libera volontà e tuttavia è intrinsecamente legata alla natura. Il primo esempio che incontriamo di questa azione della Shakti, probabilmente il più primigenio dei miti dell’India, conosciuto come Daksha Yagna, risale all’alba dell’umanità. Secondo la tradizione indiana, il primo monarca semidivino la cui figlia fece avanzare l’umanità, era conosciuto col nome di Daksha. Lonkhal, adiacente a Haridwar, era la capitale del suo regno. Egli aveva cento figlie, alcune sposate a dei e alcune a Rishi – i primi Rishi sembrano essere stati delle emanazioni – ma gli esseri umani erano ancora lungi dall’apparire. La figlia più giovane di Daksha fu chiamata Sati. Daksha aveva deciso di darla in moglie ad una delle divinità, ma la ragazza non era dello stesso parere. Aveva preso la risoluzione di sposarsi con il Signore Shiva. Il padre non avrebbe acconsentito alla volontà della figlia (questa è la prima situazione conosciuta di un conflitto fra un potente istinto paterno e la libera scelta della figlia). Come avrebbe potuto Daksha accettare che la sua più preziosa figlia andasse in sposa ad una candidato sprovvisto di una propria reggia, che viveva quasi come un vagabondo senza neppure degli abiti appropriati, vestito con un pezzo di pelle di tigre? Tutto ciò che possedeva come gioielli era un serpente e inoltre viveva all’aperto sulla cima del monte Kailash. Come poteva permettere che sua figlia dividesse un simile tipo di vita? Nondimeno Sati lo sposò. Daksha decise che non avrebbe mai più neppure alzato lo sguardo sul volto di sua figlia! Passò del tempo e un giorno Daksha organizzò un grande Yajna: un sacrificio al fuoco sacro. Come sapete lo Yajna era una duplice istituzione: il vero Yajna è l’aspirazione umana, lo spirito di sacrificio, fiamme di devozione che vanno verso il cielo, fiamme di preghiera. Ma tutto ciò che è psicologico ha un corollario fisico. Sulla superficie della nostra vita, sulla terra, Yajna è il rito del fuoco, il grande purificatore. Il fuoco purifica ogni cosa. Daksha, con l’aiuto di preti esperti, organizzò quindi un tale evento. Furono invitate le sue novantanove figlie e generi, ma non Sati e Shiva. Il divino creatore di discordia, Devarshi Narada – Deva e Rishi allo stesso tempo – giunse inaspettatamente a fare visita nel rifugio di Shiva e, piuttosto sorpreso, chiese a Sati: “Com’è possibile che siate ancora qui, invece di essere già al palazzo dei tuoi genitori? Non sai che tuo padre sta effettuando una grande Yajna e che tutte le tue sorelle e i loro mariti si sono riuniti là? Cosa hai intenzione di fare?” “Naturalmente vi andrò quanto prima!” rispose Sati. Narada partì e Sati informò suo marito dell’intenzione di raggiungere il palazzo di Daksha. Ma Shiva mise in guardia Sati dal prendere questa decisione. “Non andare, per favore non farlo! Non invitata non dovresti andare in alcun luogo.” Fra i due sorse una discussione ma, per farla breve, Sati espresse con la forza della perentorietà una frase che divenne una legge non scritta nella tradizione indiana: “L’ingresso di una figlia nella casa dei genitori non può mai essere impedita, che sia giorno o notte!” Per un lungo, lungo periodo di tempo, almeno fino all’inizio del XX secolo, questa dichiarazione di Sīta è stata considerata come una legge sacra. Non si poteva impedire ad una figlia di ritornare dai suoi genitori, l’unico luogo dove aveva un diritto indiscutibile di rifugiarsi quando in miseria o in pericolo. Così Sati si recò alla cerimonia. Chi avrebbe potuto dimostrarsi una più grande femminista? Ha difeso la propria scelta di fronte al padre e ha sposato Shiva. Ora sostiene la propria volontà contro il parere di Shiva. Ma ella è una divinità involuta nella Natura ignorante. Nel momento in cui Daksha la vede scoppia in un tirata, in una raffica di accuse contro Shiva. Sati non può tollerarlo: “Padre, per favore smetti…” Ma egli insiste, e Sati non potendolo sopportare salta nel fuoco sacro e si sacrifica. La notizia raggiunge Shiva che, infuriato, scaglia il suo tridente al suolo e da questo originano una miriade di esseri soprannaturali che si precipitano nel palazzo di Daksha portandovi devastazione così che l’intero Yajna è distrutto. Sconvolto Shiva raccoglie il corpo morto di Sati e portandola sulla spalla comincia a vagare per tutta l’India di allora. Vishnu con il suo Sudarshana Chakra, la ruota celeste che simbolizza l’intera creazione e il passare del tempo, Kala, il grande disco rotante, taglia a pezzi il corpo di Sati. Dovunque cadde un pezzo, là sorse un tempio alla Shakti; queste località, sparse per tutto il subcontinente indiano dall’Himalaya fino a Kanya Kumari, divennero, in quell’epoca antica, i luoghi santificati per aver assorbito le reliquie fisiche di Sati. I grandi poemi epici, Rāmāyana e Mahabharata, come Sri Aurobindo spiega nella sua opera Le fondamenta della Cultura Indiana, sono proiezioni della verità Vedica. L’eterna lotta fra Dei e Asura, le coscienze divine e le coscienze titaniche, è il conflitto che trova espressione attraverso i grandi eventi descritti nelle epopee. Oggi ci concentriamo su tre personaggi femminili e sul loro ruolo nel conflitto che continua fino ai nostri giorni. Sono Savitri, Sīta e Draupadi. Siete a conoscenza delle trame del Mahabharata e del Rāmāyana? È importante conoscere le trame di queste opere almeno a grandi linee. Sono racconti interessanti e significativi. Delle tre Savitri è la principale. Nel Vana Parva del Mahabharata un famoso Rishi, Markandeya, sta parlando con Yudhisthira, il maggiore dei fratelli Pandava, e quest’ultimo nel corso del dialogo osserva: “Hai mai saputo di una donna che fosse paragonabile per forza di carattere e determinazione a Draupadi?” Markandeya rispose, “Sì, ne conosco una, Savitri, la figlia di Aswapati, il re di Madra.” Dove si trova Madra? Madra è oggi nell’attuale Afghanistan e Salva, il regno di Dyumatsena padre del principe Satyavan è oggi il deserto del Rajastan. Quale cambiamento geografico! Poiché conoscete molto bene Savitri non vi narrerò subito l’episodio ma, per arrivare al Mahabharata e alla rimarchevole Draupadi, per prima cosa voglio raccontarvi la storia di Sīta perché il Rāmāyana precede il Mahabharata. Tutti noi sappiamo che vi sono stati quattro grandi opere epiche nel mondo antico: l’Iliade e l’Odissea di Omero, il Rāmāyana di Valmiki e il Mahabharata di Vyasa. Il Rāmāyana è più antico del Mahabharata. Sīta è l’eroina del Rāmāyana. Devo addentrarmi nel racconto del Rāmāyana? Non è necessario. Sīta è la figlia del Re Janaka; è sposata a Rāma, il Principe di Ayodhya, e poiché il padre di Rāma, Dasaratha, in un momento critico aveva involontariamente promesso di adempiere ad alcuni desideri della sua più giovane regina Kaikeyi, questa aveva all’improvviso chiesto, alla vigilia dell’incoronazione di Rāma, Principe ereditario, che suo figlio Barata e non Rāma salisse al trono. Per di più, Rāma doveva andare in esilio per quattordici anni. Per sostenere il prestigio del padre come uomo di parola, Rāma va volontariamente in esilio. lo seguono Sīta , sua moglie, e Lakshmana suo fratello minore. Mentre sono nella foresta il Re demone di Lanka Ravana riesce a rapire Sīta . Rāma deve dichiarare guerra per salvarla. Questo è essenzialmente a grandi linee l’intreccio del racconto. In molte persone prevale la sensazione che Sīta sia una creatura assai fragile. Difatti alcuni anni fa lessi una tesi, che avevo ricevuto da un’università occidentale per farne una revisione, in cui lo scrittore esprimeva molto chiaramente che la femminilità indiana sotto l’influenza di Sīta è rimasta passiva, debole e timida. Indubbiamente la femminilità indiana ha sofferto molto e l’osservazione non può essere scartata sommariamente. Ma ciò che non è vero è l’influenza della figura di Sīta . Sīta è una donna eccezionalmente forte. Tutti e tre questi personaggi, Sīta , Draupadi e Savitri, non sono semplici esseri umani. La Savitri umana nasce figlia del Re Aswapati per la grazia della divinità Savitri, la dea che presiede all’Aurora, in risposta alla preghiera di Aswapati e della regina. Sīta emerge dalla terra. Draupadi emerge giovane fanciulla completamente formata da un Yajna, un fuoco sacrificale. Focalizziamoci prima su Sīta . Il Re Janaka stava arando la terra, come era rituale fare in un giorno fausto, quando scoprì all’improvviso un neonata femmina, splendida e mirabile! Raccolse la bimba e la allevò come sua figlia: questa è Sīta . Quando Sīta si prepara per seguire Rāma nella foresta, viene consigliata da tutti di non farlo: “La vita nella foresta non è certamente facile. Il tuo posto è in un luogo sicuro, non nella foresta. Una principessa, nuora di una illustre famiglia reale.” Ma Sīta non avrebbe ascoltato nessuno. Segue Rāma: la prima affermazione della sua libera volontà. Non era mai stata vulnerabile all’influenza degli altri. Intraprende liberamente una vita difficile e ardua nella foresta. Mentre stanno vivendo come eremiti nella foresta, un giorno Ravana, il re demoniaco e titanico che rappresenta le forze dell’arroganza, del desiderio barbarico, della falsità e di tutte le caratteristiche dell’Ignoranza minacciosa, giunge, travestito da eremita mendicante e chiede a Sīta l’elemosina. Ma, prima di fare questo ha predisposto le cose in modo spettacolare. Ha inviato suo zio Maricha, capace di assumere ogni forma – questi demoni e titani posseggono certi poteri magici e occulti, e l’arte di cambiare forma era uno di questi – per rappresentare la prima parte del dramma. Maricha assume la forma di un daino, dorato per giunta, che saltella vivace davanti alla capanna di Rāma e Sīta . È un’ironia della sorte che Sīta dopo aver abbandonato il suo palazzo, tutti i suoi gioielli e tutti i lussi della vita – una volta, per un momento è allettata, attratta da questo daino dorato. Si chiede se potrebbe avere questo daino come animale di compagnia, un daino dorato! Chiede a Rāma: “Puoi catturarlo per me?” Rāma esce all’inseguimento del daino. Alla fine, poiché il daino continua ad eludere la sua cattura lo colpisce con una freccia, ma mentre sta morendo l’astuto demone recupera la sua forma e grida, imitando la voce di Rāma: “Oh Lakshmana, vieni in mio soccorso!” Il fratello di Rāma, Lakshmana, lo sente, ma decide di non muoversi. Sa che non esiste potere sufficientemente forte da minacciare Rāma. Deve essere un qualche trucco ordito da qualche entità a loro ostile; non può essere vero. Ma Sīta perde completamente la pazienza e ordina a Lakshmana, con parole dure, di andare immediatamente al salvataggio di Rāma. Non appena Lakshmana è partito appare Ravana travestito da mendicante. Quando Sīta esce per dargli l’elemosina la rapisce e la porta a Lanka sul suo carro volante. Ora questa è Sīta . Ha lasciato il palazzo di Ayodhya di sua spontanea volontà. È sempre Sīta che chiede a Rāma di inseguire il daino dorato. È Sīta che costringe Lakshmana a lasciarla per correre in soccorso di Rāma. Ad ogni svolta di questo romanzo epico è la sua volontà che viene eseguita. In Lanka Ravana, a causa di una maledizione, non può costringerla a fare nulla. La trama con molteplici implicazioni è assai avvincente, immensamente significativa e appassionante, ma non è questa l’occasione per raccontarla in tutte le sue parti. Quindi, cosa accade in Lanka? Sīta è tenuta prigioniera in un bellissimo giardino, sorvegliata dalle mogli del nobile demone. Un giorno arriva il possente e nobile Hanuman, il comandante dei Vanara, l’emissario di Rāma. Da solo per un momento con Sīta , Hanuman da prova della propria identità e le dice: “Madre, siedi sulla mia schiena. Ti porterò da tuo marito.” Ma Sīta risponde: “Il perfido demone mi ha rapita. Se anche tu mi rapisci, qual è la differenza fra Ravana e Rāma? Quale la differenza fra mio marito e questo bruto che mi ha rapita? Il malvagio deve essere eliminato. Io posso fuggire, ma lui continuerà ad essere una minaccia per ancora moltissimi esseri indifesi nel mondo. La mia sofferenza deva portare qualche frutto. Deve culminare nella totale distruzione di questo flagello che è Ravana.” Così, ancora una volta, Sīta impone la sua volontà. Possiamo definirla un personaggio debole? In realtà è una delle figure più forti che si possano incontrare nella storia della mitologia. Tutti voi avete sentito parlare del agnipariksha di Sīta . Alla fine della guerra Ravana e tutto il suo clan sono stati annientati, Sīta viene restituita a Rāma. Ma Rāma ha un dubbio assai infelice: “Come posso spiegare tutto quello che è successo? Mia moglie è stata prigioniera del re demone. Sarà accettata dalla popolazione di Ayodhya come loro regina?” Sīta capisce la sua situazione e ordina all’istante: “Preparate una pira per me!” Il potere delle sue parole è tale che tutti i presenti sono come paralizzati, nessuno è capace di respingere il suo ordine. Un fuoco viene acceso e Sīta entra nelle fiamme solo per uscirne con il dio del fuoco che la riaccompagna – perché, come dicono i mistici, le fiamme non possono distruggerla in quanto lei stessa è pura e luminosa come le stesse fiamme. È una fiamma della più pura e immacolata coscienza. Come può il fuoco materiale distruggere quest’altro fuoco, il fuoco della conoscenza? Di conseguenza Sīta emerge trionfante. A questo punto del nostro discorso parliamo di un’altra opera epica la Devibhagavatam. Quest’opera è un supplemento del Rāmāyana dove viene svelato il mistero del ritorno di Sīta dalla pira. Prima che Sīta fosse rapita, Agni il dio vedico del fuoco, andò da Rāma e gli disse: “Questo è quello che sta per accadere: Ravana sta per rapire Sīta . Io creerò una Sīta illusoria. La vera Sīta resterà sotto la mia protezione. La Sīta illusoria sarà una copia e nessuno potrà notare la differenza. Lascia che questa copia subisca tutte le prove. Non permetter che la vera Sīta che è un’incarnazione di Lakshmi sia toccata. “Quando questa Sīta illusoria entrerà nelle fiamme, quella che uscirà sarà la vera Sīta – ovvero l’essenza di Lakshmi che si era incarnata in Sīta . Ma comunque ai fini del nostro discorso il punto importante è che fu Sīta , con le sue decisioni che causò la distruzione delle forze demoniache. Nel Rāmāyana incontriamo i veri demoni e i titani. Col passare del tempo la razza dei demoni scompare, ma non la coscienza demoniaca. La visione della trasformazione non è ancora avvenuta, il tempo per questo cambiamento non è ancora arrivato. Ci vorranno ancora alcune centinaia di anni perché la verità creata possa prevalere, nulla può realmente essere distrutto, tutto deve essere trasformato. Così i demoni sono stati distrutti, ma cosa ne è stato della coscienza demoniaca? Voglio solo ricordare un piccolo incidente: Udar stava lavorando nella stanza della Madre. Uno degli attendenti della Madre, una signora, aveva l’abitudine, qualche volta, di perdere la testa e di profferire parole calunniose nei confronti della Madre. Udar, preoccupato per lei, ebbe un pensiero fuggevole: “Oh, questa donna dovrebbe essere uccisa! Come osa parlare in questo modo alla Madre!” La Madre che stava passando, guardò appena Udar e gli disse: “Davvero? Stai pensando di ucciderla? Che vantaggio porterebbe? Cosa ne sarebbe di quella coscienza? Salterebbe in qualcun altro e troverebbe là il suo nuovo rifugio. Non preoccuparti, me ne occuperò io.” Così i demoni furono distrutti ma la coscienza demoniaca fece degli essere umani i suoi strumenti. Li incontriamo nei Kauravas del Mahabharata: Dhuryodhana, Duhshasana e i loro cento fratelli. Naturalmente, fra questi cento fratelli ve n’era uno che non era per nulla una coscienza demoniaca, la sola eccezione. Di nuovo, simbolicamente: nulla è assolutamente cattivo o assolutamente buono. Da qualche parte vi è una promessa di redenzione. Da cui fra i cento fratelli uno era saggio. Ma per tornare al nostro tema, la Devibhagatam dice che la Maya-Sīta , la Sīta illusoria creata temporaneamente, era non dimeno diventata una formazione, una potente formazione e questa formazione è rinata come Draupadi. Il re di Panchala, Draupada, aveva un nemico mortale in Drona; sapeva che Drona era così potente, protetto da siddhi occulte, che nessun re umano per quanto forte poteva distruggerlo. Così celebrò un Yajna. Lo scopo era quello di ottenere la grazia di un figlio che sarebbe stato forte a sufficienza per distruggere il suo formidabile nemico. Dal Sacrificio Yajna, come chiesto dalla preghiera, emerge un giovane uomo, Drishtadyumna ma accade qualcosa di significativo! La rivelazione dice: “Tu vuoi un figlio; un figlio ti viene dato, ma il tuo scopo è di distruggere un occultista siddha che è al contempo un grande guerriero. Solo la Shakti può compiere quest’impresa. Così, come dono aggiuntivo, Draupadi emerge dal fuoco sacrificale. Drishtadyumna è là, ma da solo non può distruggere il potente Drona. Queste sono verità particolarmente intriganti e rivelatrici di quel mondo invisibile e inconoscibile. Ora Draupadi è stata presentata sotto vari modi nel recente passato. Un famoso drammaturgo francese ha anche presentato la storia del Mahabharata. Draupadi fu sposata ai cinque fratelli Pandava: aveva cinque mariti, una situazione impensabile per persone abituate ai codici di condotta etici e morali. Ma dobbiamo ricordare – beh, il concetto è in verità audace – che Draupadi non può essere valutata, non può essere giudicata, secondo i codici di condotta umani: lei è una divinità. È emersa direttamente dal sacrificio Yajna samadhyama, già fanciulla bell’e pronta. E quando i Pandava sono sconfitti nel gioco dei dadi, quando hanno dato in pegno tutto a Dhuryodhana il capo dei Kaurava, inclusa Draupadi, lei viene trascinata davanti alla corte e Duhsashana, il fratello malvagio e odioso di Dhuryodhana cerca di svestirla e tutti i grandi reggenti della dinastia restano muti spettatori di questa situazione umiliante. È un episodio del Mahabharata ineguagliabile per intensità. Solo il grande Vyasa poteva rappresentarlo nel suo Sanscrito potente. Ma quale lezione dobbiamo trarre da questa scena straziante? Per quanto saggi, per quanto grandi e nobili siano gli esseri umani, non puoi mai dipendere da loro quando devi fronteggiare una crisi. Tutti gli esseri umani hanno le loro limitazioni. Come Sri Aurobindo e la Madre hanno ripetutamente detto nelle loro lettere: “Andrai a sbattere il naso!” se alla fine dipenderai sugli esseri umani, disse una volta la Madre. Sri Aurobindo non ha messo in guardia in maniera così franca, nondimeno anche lui ha affermato che tutto viene meno nella vita ma non il Divino. Non perché gli esseri umani siano cattivi, ciò dipende solo dalle limitazioni umane. Ora, tornando al momento di crisi di Draupadi, le menti moderne spesso non colgono il suo messaggio. Vi è una versione inglese del Mahabharata, prodotta da un dotto professore, che nella sua introduzione indica tre ragioni per cui Krishna giunge al salvataggio di Draupadi quando tutti gli altri hanno fallito. Il primo motivo perché era una sua parente, il secondo perché uno dei suoi nomi era simile al suo, Krishna, e il terzo perché una volta in cui Krishna si era ferito ad un dito Draupadi aveva strappato un pezzo del suo costoso sari per fasciarglielo! Queste sono caute osservazioni. Il pensiero che l’aiuto Divino viene in soccorso del devoto quando ogni altro soccorso è venuto meno non viene neppure preso in considerazione, mentre è questo il messaggio che generazioni di lettori devoti dell’epopea hanno ricevuto. Ricordate la scena? Quando Draupadi sta per essere denudata e nessuno obietta nulla, ella guarda in ogni direzione, ma tutti i tutori volgono lo sguardo altrove o indugiano. Infine Draupadi alza le braccia al cielo e invoca: “Oh Krishna, tu solo puoi venire a salvarmi!” E, improvvisamente, questo accade, Duryodhana continua a tirare e a svolgere il suo sari, metri e metri, centinaia di metri, ma il sari non termina mai. Sfinito, Duhsashana crolla e allora il re cieco Dhritarashtra si fa prendere dal panico: chi è questa strana donna? Cos’è questo miracolo? Ma osservate il carattere di Draupadi: in quel momento, quando l’azione si è fermata, guarda i tutori e dice: “Miei maggiori, mi spiace. Quando sono stata trascinata in questa sala ho dimenticato di salutarvi.” Quale cortesia e quale satira! Ora lei li saluta tutti. Di nuovo abbassano lo sguardo, esitano. Allora Dhritharastra il re, interviene dicendo: “Madre, mi spiace per quello che è accaduto. Esaudirò le tue richieste, chiedi, quale grazia desideri?” “Va bene, libera Yudhisthira dalla schiavitù.” Egli viene liberato. Quindi il re continua: “Chiedi un’altra grazia.” “Libera tutti gli altri fratelli.” Essi vengono liberati. “Chiedi una terza grazia” la invita il re. “No, non devo essere avida di grazie. Queste due sono sufficienti.” Avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa, ma non lo fa. Questo è il personaggio! Inoltre non dobbiamo dimenticare che questi cinque fratelli Pandava sono tutti emanazioni di Indra; tutti loro sono uno. Al fine di sconfiggere quel terribile potere demoniaco rappresentato dai Kaurava, un’impresa che nessuno dei cinque avrebbe potuto affrontare da solo. Cinque diversi aspetti di Indra si erano dovuti incarnare in cinque esseri umani. Essi sono uniti in Draupadi. Solo lei può tenerli uniti. È solo a causa della loro venerazione per Draupadi che sono capaci di combattere fino alla fine, perché più volte sono stati sul punto di cambiare opinione, pronti per un compromesso. La sola Draupadi non è a favore di alcun tipo di compromesso, come se il destino si fosse preoccupato che lei non dimenticasse la promessa, Draupadi aveva deciso di lasciare i suoi capelli sciolti e, fino a quando quelle genti malvage non fossero state annientate, non li avrebbe legati. Inoltre, mentre erano nella foresta, un altro individuo odioso, Jayadratha, aveva cercato di umiliarla. Così come mentre cercavano rifugio presso il palazzo di un altro re nuovamente il comandante in capo dell’armata, Kichaka, cognato del re, aveva cercato di umiliarla. Per cui possiamo dire che sapeva cosa fossero le umiliazioni. Attraverso tutte queste mortificazioni lei era diventata sempre più determinata ad ottenere il suo obiettivo; ed è solo per la sua insistenza che Krishna, il grande emissario dei Pandava presso i Kaurava, si mantenne fermo nella negoziazione senza offrire alcuna concessione al malvagio. Tutti sono pronti al compromesso, ma quando si giunge a Draupadi ella chiede: “Come fa Bhima a dimenticare? Come fa Arjuna a dimenticare cosa mi è stato fatto alla corte dei Kaurava?” Orbene, stavo parlando del dotto professore, che rappresentava la così detta mentalità moderna, che spiegava perché Krishna venne al salvataggio di Draupadi; perché era una sua parente, come se Krishna avesse un grande magazzino di abbigliamento e potesse fare a meno di un buon numero di abiti perché una parente era in angoscia! E avanti di questo passo. Che nel momento della crisi, quando ogni altro sostegno venne meno ad un essere umano, solo il Divino giunse al suo soccorso, questa suprema verità che ha sostenuto la fede e il coraggio umano attraverso i secoli, per lo meno per quanto concerne questo sub continente, viene qualche volta ignorata. Questi sono i personaggi che hanno giocato un ruolo chiave nel liberare l’umanità dal dominio delle forza dell’oscurità che causano distruzione nella vita umana con la loro condotta ego-maniacale. E potete anche vedere i collegamenti fra il Rāmāyana e il Mahabharata. La Sīta illusoria nata come Draupadi; i demoni di Lanka distrutti, ma la coscienza demoniaca che non è stata ancora eliminata tornano e possiedono gli essere umani. La guerra continua. La tradizione vedica della guerra fra Deva e Asura continua. Non vi è dunque alcuna visione di trasformazione? Così come non sapremmo nulla dell’esistenza della Supermente se Sri Aurobindo non ce lo avesse comunicato, allo stesso modo sappiamo da lui che l’indicazione della Supermente era presente nei Veda – ma noi non l’avremmo saputo se Sri Aurobindo non lo avesse comunicato. Questa visione che Sri Aurobindo svela, la verità della trasformazione, era anch’essa presente, sebbene ancora da portare alla luce. Ma attraverso l’antica leggenda di Savitri - che è diventata una Leggenda e un Simbolo perché è stata elevata al significato di Simbolo – veniamo a sapere quale fosse realmente il senso del racconto. Tutti voi conoscete Savitri, kanya tejaswini, la fanciulla luminosa, figlia del re Aswapati. Questa qualità luminosa rappresenta la sua personalità, non indica necessariamente che fosse risplendente come una forte luce! La sua personalità era talmente potente che nessun giovane riusciva a guardarla. Di conseguenza dove trovarle un marito? Draupadi era come “Krishna” – di carnagione scura – ma anch’ella era luminosa, kanya tejaswini. Dhitarashtra dice di lei, “Tu che sei tejas, nient’altro che luminosità…” Quindi questa luminosità non ha nulla a che fare con il colore della pelle. Si riferisce al potere della personalità. La personalità di Savitri era tale che non osavano neppure fissarla per un breve attimo. Questa è la ragione per cui suo padre le dice: “Vai e trova tu stessa il tuo consorte.” Osservate l’antica tradizione indiana: scortata da qualche anziano ministro del re ella parte. Viaggia dal moderno Afghanistan fino alla presente regione del Rajasthan. Ha conosciuto così tanti principi, sono gentili, ma nessuno è il compagno del suo spirito – fino a che in una foresta incontra Satyavan. Dopo essersi fidanzata con Satyavan ed essere ritornata da suo padre per comunicargli: “Ho trovato il mio partito”, proprio in quel momento giunge di nuovo Narada - lo stesso che era coinvolto nel racconto di Sati che annuncia: “Non si tratta di un buon partito.” Perché? Perché Satyavan deve morire fra un anno da adesso. Così il padre e la madre di Savitri fanno del loro meglio per dissuaderla dallo sposare Satyavan. Ma lei non cambia opinione: “Una volta che ho deciso la mia scelta è irrevocabile.” E voi sapete come ella vada a vivere nella foresta. Il padre l’accompagna. Quando suo padre si accomiata, lei, secondo il Mahabharata, si toglie tutti i gioielli, i diamanti, gli zaffiri, i rubini, ogni ornamento e li mette in un cofanetto che lascia in una angolo della capanna del quasi eremitaggio. Vive anch’ella come un eremita. Lei sola sa che il giorno fatale si avvicina e conta i giorni che rimangono. Cinque giorni prima della data in cui Satyavan è destinato a morire, entra in un altissimo stato di tapasya. Nessuno può comprendere cosa stia facendo. Sanno che non mangia, non dorme, è sempre in uno stato meditativo, ma ciò che sta facendo nel suo essere interiore questo non viene rivelato. Il giorno del giudizio infine giunge e lei accompagna Satyavan nella foresta. Il momento finale del destino è arrivato. Ed è una verità occulta, dicono i mistici, che persino oggigiorno quando qualcuno muore vi sono certe emanazioni presenti intorno per scortare lo spirito all’altro mondo. Nel caso di Satyavan è arrivato lo stesso Yama, la divinità che presiede all’istituto della morte. Nel Mahabharata – Il Savitri di Sri Aurobindo lo conoscete, per cui mi riferisco al Mahabharata – quando Satyavan è morto e il suo capo è posato sul grembo di Savitri, quando con il suo terzo occhio, l’occhio della visione occulta, Savitri è in grado di vedere la presenza di Yama, invisibile a chiunque altro, ella chiede: “Come mai siete venuto di persona, invece di mandare un vostro emissario?” Egli risponde: “Satyavan non è un comune mortale. Egli è un così grande tapaswi che il suo spirito mi ha automaticamente richiamato, e sono dovuto venire.” Ma paradossalmente, il dio della Morte è anche il dio del Dharma: tutto-compassione. Quindi ha luogo il famoso dialogo: quando Yama si muove con l’anima di Satyavan, Savitri, staccandosi dal corpo del marito comincia a seguirli. Yama si volge, ma non sa come mostrarsi arrabbiato. Non vi è collera, né ego in lui. Benché sia il dio della Morte, è un dio meraviglioso, tutto compassione, tutto amore. Si volge e chiede: “Madre mia, perché vieni? Al di là di un certo punto il tuo corpo fisico non può seguirmi. La sera si sta avvicinando – non fare tardi, ritorna.” “Come posso tornare?” “Allora chiedimi delle grazie, e ritorna con qualcosa, non a mani vuote.” Con intelligenza, ella lo sta preparando psicologicamente! Ella chiede: “Restituisci la vista a mio suocero.” Dyumatsena è cieco. Concesso. Ma ella lo segue ancora. “Cosa vuoi ancora figlia mia?” “Restituiscigli il regno.” “Molto bene, egli avrà il suo regno. Torna indietro adesso.! “Non vorresti benedirmi affinché io rimanga una donna virtuosa, fedele a suo marito?” “Certamente, tu resterai fedele a tuo marito.” “Non vorresti concedermi di avere cento figli?” “Senza dubbio avrai cento figli!” Yama è stato superato in astuzia. Come può Savitri avere cento figli e rimanere fedele a suo marito, se suo marito è morto? Esprime Yama, a questo punto, un qualche genere di disgusto, di disappunto per essere stato messo nel sacco? Per nulla. Il Mahabharata dice che egli è mosso dalla compassione. Si volge e dice a Savitri: “Tu sei unica, ineguagliabile, splendida. Ritorna, tuo marito è ritornato in vita. Ho restituito l’anima al corpo.” Savitri torna e Satyavan si sveglia come se avesse fatto un brutto sogno. Le donne in India osservano Savitri-amavasya, la notte senza luna in cui Savitri venne al mondo. Nei tempi prima della nascita di Savitri ogni ragazza che fosse nata in una notte senza luna non si sarebbe sposata, perché destinata a diventare una vedova. Savitri cambiò il destino di Satyavan. Dopo di ciò l’intero tabù ha cessato di esistere. Nessuno si chiede se una ragazza nata in una notte amavasya debba sposarsi o no: la questione non si pone in alcun modo. È l’amore individuale di Savitri per Satyavan che ha cancellato la morte dal destino di un individuo, Satyavan, mentre nella visione di Sri Aurobindo, l’avvento dell’Amore divino cancellerà la morte dal destino del genere umano, un’umanità che lo meriti, un’umanità purificata. Comunque la leggenda di Savitri implica che l’amore è un potere di trasformazione. Non vi è possibilità di trasformazione senza l’Amore divino. Questo elemento era così profondamente nascosto nella leggenda che non lo avremmo riconosciuto se Sri Aurobindo non avesse risuscitato quella leggenda, che le genti tengono viva come un fatto rituale formale, ad una vibrante nuova vita grazie al suo poema Savitri. Così i veri liberatori dall’ignoranza e da tutte le terribili manifestazioni dell’ignoranza nel corso dei secoli, la tirannia, l’arroganza, la lussuria, l’odio, sono state affrontate da queste eroine delle epopee indiane. Ciò che ho raccontato è da considerarsi solo un breve abbozzo e un’introduzione, un tributo a Savitri e alle sue compatriote. Voi avete studiato così tanto Savitri, ho pensato che sarebbe stato interessante fare menzione degli altri personaggi femminili, perché fra di loro corre un bellissimo collegamento.