Lo straniero migrante: attualità e prospettive di azione

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Lo straniero migrante: attualità e prospettive di azione
Lo straniero migrante: attualità e prospettive di azione
Vorrei impostare la riflessione di questi giorni cercando di cogliere come l‟incontro con l‟altro
costituisce la grande avventura della nostra esistenza e noi viviamo questo incontro in modi sempre
nuovi legati al contesto del momento storico attuale.
Ci troviamo tra persone che dedicano energie e impegno in attività di solidarietà e con spirito di
gratuità. Il volontariato costituisce questo grande messaggio di gratuità in un mondo in cui tutto
viene sottoposto alle leggi dell‟utilità, dell‟efficienza e della convenienza.
Penso che oggi una dimensione del nostro vivere e che c‟interroga sull‟incontro sia la domanda che
proviene dalla presenza degli stranieri accanto a noi, insieme a noi.
In una prima parte dell‟intervento vorrei offrire una serie di osservazioni dal punto di vista della
considerazione del fenomeno delle migrazioni.
Vorrei poi interrogarmi su alcuni orientamenti per vivere l‟immigrazione non come questione da
intendere solamente nelle dimensioni della paura e della sicurezza come è oggi prevalentemente
posta a livello del dibattito politico, ma come questione che provoca ad un passaggio di crescita nel
vivere sociale, una sfida a ripensare il nostro modo di incontrare l‟altro, a rivedere stili di vita e
modelli culturali e di comprensione di sé.
La situazione che viviamo tra miti, stereotipi e sfide epocali
Il fenomeno della migrazione non è una novità: è sempre esistito nella storia, anche recente. Forse
tutti i presenti ricordano un parente anche non troppo lontano che è emigrato, oppure si è vissuta la
condizione di emigrazione per es. pensando alla numerosa presenza di figli di famiglie del Sud in
questa regione.
Tuttavia oggi la migrazione si pone in termini per certi aspetti nuovi, per la convergenza di flussi
migratori verso l‟Occidente ricco e benestante. La condizione di disuguaglianza che predomina nel
mondo fa sì che vi sia un incremento dei movimenti dei poveri dai paesi segnati dalla miseria, dalle
dittature e dalla assenza di prospettive future verso i mondi della ricchezza. I diversi Sud del mondo
premono verso le regioni del Nord del mondo che presentano uno sviluppo economico e di
democrazia. Le nostre società sempre più saranno società composte di persone in movimento, ed
anche società che dato il trend di crescita demografica (o meglio di insufficienza di crescita)
avranno sempre più bisogno di immigrati per il lavoro.
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Alcuni dati ci possono aiutare a comprendere la situazione. Circa 4 milioni di stranieri in Italia,
indica che c‟è un immigrato ogni dodici italiani, uno ogni dieci lavoratori occupati, uno ogni
quindici studenti. La popolazione immigrata in Italia è aumentata negli ultimi dieci anni di tre volte;
un milione solo nell‟ultimo triennio. Da notare che nel 2007, un anno senza regolarizzazioni o quote
aggiuntive, la popolazione immigrata è aumentata. L‟aumento annuale degli immigrati (dati dossier
Caritas) è di circa 350.000 l‟anno.1
Ciò sta a significare una prima evidenza: le migrazioni in Europa e in Italia in particolare sono un
dato massiccio, un dato che evidenzia non un evento passeggero connesso ad un momento di crisi e
quindi transitorio, piuttosto connota un fenomeno strutturale. Non è un fenomeno che possa essere
arginato e fermato con pratiche di deterrenza o di respingimento. Queste possono limitare parti
marginali e irrilevanti del fenomeno. A tal proposito è da considerare che la maggior parte degli
afflussi di stranieri in Italia sono provenuti e provengono non via mare ma per le vie di terra. Ma
allora, se si tratta di un fenomeno strutturale ciò chiama in causa la capacità della politica di
compiere scelte e di orientare politiche di gestione di questi flussi offrendo soprattutto vie per
gestire i percorsi dell‟integrazione. Pensare e divulgare l‟idea che la questione immigrazione si
restringa ad un problema di sicurezza dice l‟incapacità culturale di comprendere le dimensioni del
fenomeno e la sua complessità.
Questo implica un modo diverso di guardare la questione. Oggi l‟immigrazione è presentata come
problema. A partire dal dato che è un fenomeno strutturale possiamo cogliere come in questo
fenomeno vi siano anche opportunità. Gli immigrati non sono innanzitutto un problema, e se per
certi aspetti possono esserlo, essi stessi tuttavia recano in sé la soluzione e sono parte integrante
delle soluzioni possibili.
Nel mondo del lavoro gli immigrati hanno un tasso di attività di 12 punti più elevato di quello degli
italiani (73%). Il lavoro degli immigrati contribuisce a 9% del PIL italiano (tre punti in più rispetto
all‟incidenza sulla popolazione e questo per il più alto tasso di attività)
Gli immigrati che lavorano regolarmente contribuiscono quindi alla economia del Paese e
consideriamo anche come molta parte dell‟immigrazione femminile (le cosiddette badanti) di fatto
contribuiscono - in modo spesso non dignitoso in una società che le considera solo nel suo essere
forza lavoro e non nelle loro esigenze di relazione - a coprire le carenze del nostro sistema di
Welfare.
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Cfr. A.Cortesi, S.Nerozzi, Migrazioni, segno dei tempi. Economia, diritti, politiche locali, Firenze Nerbini 2010, in
part. per quel che riguarda la situazione dell‟immigrazione cfr. il contributo di G.Perego, L’immigrazione in Italia:
relazioni nuove tra uguaglianza e differenza, ibid. 27-41 e per una analisi degli aspetti del lavoro e dell‟economia
S.Nerozzi, N.Doni, Migrazioni clandestinità e mercato del lavoro, ibid. 43-89.
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Innanzitutto quindi è necessaria un‟operazione di maggiore correttezza di informazione su chi sono
gli immigrati, che hanno la caratteristica comune di essere „non cittadini‟. Sono questi immigrati
coloro che già ora pagano parte delle nostre pensioni, sono coloro che stanno sviluppando nuove
imprese e offrono lavoro. Il tasso di delinquenza degli immigrati non supera quello degli italiani.
Tuttavia sono trattenuti più tempo in carcere perché non accedono alle misure alternative o non
hanno i documenti in regola. Tutto ciò a causa di un modo che costruisce l‟illegalità anche senza
che vi siano atti compiuti illegalmente. Si tratta del meccanismo di costruzione istituzionale
dell‟illegalità.
Il problema fondamentale è la discriminazione sulla base della non cittadinanza, ma anche la
discriminazione istituzionale, cioè i meccanismi che separano gli immigrati facendo emergere gli
elementi di specificità, di peculiarità, offrendo una legittimazione all‟idea di immigrazione come
problema. Perché l‟immigrato è difficilmente catalogabile con un‟unica caratteristica. Esempi di
questa discriminazione sono “gli sportelli per migranti separati da quelli per gli altri cittadini, i corsi
di lingua italiana per stranieri inseriti nei servizi sociali anziché nei percorsi di educazione degli
adulti in cui i cittadini possono imparare l‟inglese, il francese ma anche l‟arabo e il cinese; le
rilevazioni dei servizi, come quella annuale ISTAT, che chiedono di specificare quali prestazioni
sono state erogate ai minori, agli adulti e agli anziani e, poi, quali agli immigrati come se gli
immigrati non fossero anch‟essi minori, adulti e anziani e l‟immigrazione fosse di per sé una
condizione di bisogno… Anche i Consigli e le Consulte non dovrebbero nascere per gli stranieri,
per gli immigrati ma per la città. Non devono affrontare i problemi degli immigrati e degli stranieri
ma i problemi dei quartieri e delle città, problemi comuni affrontati insieme”.2
Riconoscimento di cittadinanza, di diritti fondamentali, di umanità
Vorrei a questo punto presentare un‟osservazione sul fatto che uno degli slogan che ha preso piede
nella sensibilità diffusa è del tipo: “li teniamo perché sono utili”.
La dimensione di utilità sociale al massimo li fa accettare e quindi si guarda l‟immigrato nella sua
valenza di utilità in quanto lavoratore che porta ricchezza. E‟ questa una via per superare l‟accusa di
scarso realismo e di mancanza di progettualità politica di fronte all‟aumento sconsiderato della
presenza di immigrati nelle nostre società. Una accusa che diviene poi accusa di favorire pratiche di
assistenzialismo anziché di reale integrazione.
Ma questo tipo di osservazione rimane svincolata da tutta una serie di considerazioni riguardo alla
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G. Paci, Immigrazione. Abbiamo bisogno di cittadini non di capri espiatori, intervento a Follonica 27 novembre 2010,
in http://www.pratichesociali.org/?p=10004.
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vita complessa di una persona: una persona non è solamente una macchina da lavoro. Non è solo
braccia, ma ha un volto, una storia, delle relazioni. Come è possibile pensare un rapporto con
l‟immigrato senza considerare l‟ambito delle relazioni?
Se quindi da un lato si pone la questione del riconoscimento di cittadinanza come fondamentale per
un percorso di integrazione, dall‟altro si pone anche nell‟attuale società la domanda sul riconoscimento di umanità. Ed è un riconoscimento di umanità che comprende vari livelli, da quello
dell‟emergenza e dei bisogni primari, a quello della vita nei suoi diversi aspetti.
In seguito ai respingimenti a Lampedusa qualcuno si è espresso nei termini di „finalmente cattivi‟ e
questi ordini si sono rivelati come spietati, senza la pietas di fronte all‟essere umano che sta nel
bisogno. Ma qui oltre alla pietas è in gioco il riconoscimento di diritti umani fondamentali e il
riconoscimento di una comune umanità come il diritto a poter essere riconosciuto come rifugiato.
Le diverse modalità del rapporto possibile
Diversi possono essere i modelli, o le vie per pensare l‟incontro con gli immigrati:
- una prima via o modello è quello della assimilazione. L‟incontro con lo straniero è inteso come
trasformazione del suo universo mentale e culturale e negazione della sua diversità. Si pone una
condizione previa all‟accoglienza, di annullamento della propria diversità e di accettazione di
assumere il modo di vivere della società di arrivo.
- c‟è poi il modello della convivenza nell‟indifferenza. Le diversità sono mantenute ma secondo la
logica della giustapposizione. Si propone una coesistenza pacifica, ma senza interazione, nel
mantenimento di una differenza che non viene però presa in considerazione. Si assume
dall‟immigrato ciò che serve ma si tralascia tutto quanto fa parte della sua cultura, del suo mondo
religioso (es. di questo è la questione dell‟accettazione che gli immigrati lavorino come tutti gli
altri, ma poi si impedisce loro di avere un luogo di preghiera come la moschea). E‟ questo il
modello della creazione di ghetti separati, in cui ogni gruppo coltiva la sua specificità ma ne rimane
geloso e non la fa interagire con gli altri.
- un ulteriore modello è quello della integrazione. Preferirei parlare a proposito di questo modello di
riconoscimento della alterità in un cammino di ascolto reciproco. Ciò implica entrare in una
dinamica di riconoscere diritti e nello stesso tempo di determinare doveri. L‟altro viene riconosciuto
nella sua differenza senza essere ridotto ad una prospettiva culturale diversa.
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Logica dell’integrazione e cittadinanza
La logica della integrazione è quella che si apre alla logica della cittadinanza. L‟immigrato che
lavora, che condivide la vita, che contribuisce alla vita economica e sociale del Paese deve poter
avere davanti a sé una prospettiva di riconoscimento di cittadinanza per partecipare non solo a
doveri ma anche divenire responsabile e poter essere riconosciuto nei suoi diritti.
La sfida che ci troviamo davanti oggi è quella di riconoscere il fenomeno delle migrazioni come
fenomeno strutturale delle nostre società, cogliere la complessità per poterlo gestire, secondo una
visione di lungo respiro che miri a costruire società multiculturali, e pluriculturali, nel riconoscimento della cittadinanza di chi ne fa parte.
Atteggiamenti richiesti
Si tratta quindi di un orizzonte che esige alcuni atteggiamenti di fondo e che si oppone a quel
dinamismo oggi presente nelle nostre società dell‟individuazione dello straniero come il capro
espiatorio, di fronte alle paure che sono presenti.
Le paure vanno ascoltate e gestite: c‟è una paura da parte di chi vede un flusso abnorme di stranieri
in un territorio in cui si sentiva riconosciuto e riconosceva gli altri, e c‟è anche una paura
dell‟immigrato che avverte tutta la solitudine e la estraneità per es. della lingua e delle tradizioni
culturali che gli fanno assumere una attitudine di difesa e di distacco.
Se queste paure sono lasciate maturare senza vie per poterne scoprire le reali cause, e senza tentativi
di superamento, ciò certamente conduce ad una incomunicabilità e dove c‟è assenza di parole parla
solo la violenza nella logica della soppressione dell‟altro. Ma laddove le paure generano il conflitto
e questo viene mantenuto in una disponibilità a cercare parole per intendersi, non solo il conflitto
ma le stesse paure possono trovare vie di superamento.
Una sfida culturale: ripensare come incontriamo l’altro
La presenza dello straniero e dell‟immigrato, in particolare dell‟immigrato povero diviene per il
credente motivo di ripensamento dell‟incontro, della convivenza e dello stile di vita insieme nella
diversità.
Implica una riflessione che chiede un rivedere i nostri stili di vita, una ricomprensione di come far
convivere le diversità, in un riconoscimento reciproco, ma anche in percorsi di responsabilizzazione. Tutto questo a livello sociale penso conduca ad una riflessione su nuove forme di cittadinanza e a percorsi di riconoscimento di cittadinanza.
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L‟esigenza dell‟oltrepassare confini e barriere pone la questione dell‟altro come decisiva per il
ripensamento della propria vita in tutti i suoi aspetti. Così l‟apertura a scoprire la provocazione
proveniente dalla diversità ed in particolare dalla diversità di chi ci porta accanto il dramma della
miseria è quello di un ripensamento dei rapporti con la natura e del modo di vivere: in questa
situazione possiamo scoprire l‟urgenza di una vita diversa, decisamente più semplice in tanti suoi
aspetti. La conversione all‟altro va di pari passo con una conversione ecologica che pone il tema
delle relazioni ad ampio raggio in un ambiente e in una casa da pensare come comune.
Porsi in cammino di ripensamento culturale implica alcuni orientamenti:
- Un primo orientamento sta nella disponibilità a riconoscere l‟altro. Questo significa aprirsi ad una
considerazione dell‟altro come persona non solo nella dimensione dell‟utilità e dello sfruttamento,
ma nella linea dell‟approfondimento della conoscenza e del faticoso dialogo delle diversità. Ascoltare l‟altro nella sua storia costituisce un passaggio indispensabile per coglierne i tratti personali,
che lo fanno scoprire simile a me eppure diverso, i tratti unici che non possono essere confusi nella
massa o nello stereotipo. Porre al primo posto l‟ascolto conduce a scoprire l‟incontro possibile di
volti e di qui a decostruire tutte le costruzioni fatte di generalizzazioni che producono sospetti,
distanze e violenza.
- Un secondo orientamento implica un cambiamento di mentalità: il passare dall‟attitudine
dell‟orgoglio di chi possiede alla disponibilità di chi chiede. E‟ maturare l‟attitudine a ricevere. La
pretesa di superiorità e di essere detentori di mezzi e di una ricchezza non solo materiale ma anche
culturale superiore agli altri popoli è attitudine tipicamente occidentale ed europea. L‟incontro con
lo straniero provoca a scoprire l‟altro come presenza apportatrice di una dimensione dell‟umano che
ancora non conosciamo, porta a scoprire che noi stessi siamo stranieri a noi. Scegliere questa via di
incontro reca con sé un diverso approccio, che valorizza e fa sentire l‟altro come portatore di
qualcosa, ricco di qualcosa che a me manca. I volti degli stranieri sono patrimoni di cultura.
Accettare questo cambiamento reca con sé una sfida culturale, esige di aprirsi alla fiducia che
dall‟ascolto può emergere un „nuovo‟ ancora inespresso. La dimensione dell‟ascolto e della
comunicazione non conduce ad un già dato ma può essere momento creativo e di cambiamento
reciproco.
- Un terzo orientamento sta nella disponibilità a scoprire la differenza della lingua dell‟altro. Tale
scoperta può essere via per aprirsi alle vie che apre la parola, soprattutto quando è una parola che
attraversa confini e cerca di dirsi in altre lingue. Incontrare l‟altro può essere avventura in cui
maturare una fiducia nella parola che vince la violenza nell‟accettare la fatica del dialogo. Il dialogo
non è finalizzato ad un consenso già determinato, ma ad un cammino in cui attuare una
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contaminazione e la scoperta dei valori dell‟altro che possono attraversare e integrare la propria
tradizione e il proprio cammino. E‟ la fatica ma anche l‟opportunità della traduzione, ed anche di
quel parlarsi in cui si attua un aiuto a motivare le proprie posizioni, a chiarirne le radici, a giungere
ad un consentire in cui vi sia spazio per un proseguimento di scambio. In tale senso una nuova
comprensione dell‟identità non come chiusura ma come apertura all‟incontro.
- Un quarto orientamento possibile è una attitudine di approfondimento e di ricerca sulle cause
dell‟immigrazione e sulle dimensioni della povertà nel mondo.
Osservazioni per una strategia politica
Le soluzioni semplicistiche che sono offerte nella logica da un lato dell‟accoglienza indiscriminata
o nella logica contraria del rifiuto e del disprezzo si rivelano, in modi diversi attitudini che non
riescono ad affrontare né a proporre piste praticabili di fronte alle complesse questioni di fenomeni
migratori che esigono di essere accostati con la consapevolezza della complessità di questioni che
essi comportano.
L‟esigenza di conoscenza della reale portata del fenomeno, delle sue caratteristiche,
l‟individuazione di percorsi fattibili e concreti, sono un‟urgenza oggi ineludibile.
Nel panorama attuale c‟è da chiedersi innanzitutto quale tipo di atteggiamento viene promosso
dall‟uso del linguaggio e dal modo in cui la figura dello straniero e dell‟altro viene presentata, nei
mass media, ma anche nella redazione delle leggi, e nelle modalità in cui si parla si descrive o si
organizza in rapporto agli stranieri. Sono linguaggi violenti che nascondono discriminazioni? Sono
modalità di presentazione degli stranieri secondo stereotipi che ingenerano atteggiamenti di paura o
di razzismo? Sono proposte che recano sotteso il disprezzo, il sospetto, o un modo di porsi di fronte
all‟altro da un punto di vista di superiorità e di sottovalutazione dell‟altro?
Questa analisi è fondamentale perché su questi fattori si gioca un certo modo di educare al rapporto
con l‟altro, un certo modo di guardare all‟altro.
Per quel che riguarda poi concretamente alcuni fattori si può dire che gli stranieri che lavorano
dovrebbero avere riconosciuto il loro lavoro e i diritti ad esso connessi; e si dovrebbe trovare modo
non solo di godere del contributo che essi offrono ad un benessere sociale, ma anche di far godere
loro un riconoscimento giuridico di diritti e servizi che sono collegati al lavoro ad esempio, servizi
sanitari, servizi scolastici, servizi di tipo sociale, ecc.
Inoltre risulta importante fare in modo che chi perde il lavoro non si trovi a dover
contemporaneamente essere privato del permesso di soggiorno. Una norma di questo tipo racchiude
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in se stessa, come sottofondo inespresso, la considerazione dello straniero solamente sulla base
della sua utilità come braccia da lavoro e la totale indifferenza nei confronti della sua vita come di
essere umano che non vale solamente quando è utile ma che deve essere aiutato nella difficoltà, in
particolar modo poi dopo aver vissuto un impegno di lavoro.
La considerazione dell‟altro solamente in vista dell‟utilità è attitudine profondamente egoista che
distrugge le reti di relazione e avvelena i rapporti generando sentimenti di umiliazione e di rancore
per reazione alla discriminazione e al disprezzo di cui si è fatti oggetto.
Un altro problema riguarda i figli di stranieri nati in Italia. Attualmente la cittadinanza è basata sul
cosiddetto ius sanguinis, ma la appartenenza di questi bambini alla società italiana, la loro effettiva
integrazione nel tessuto linguistico, sociale educativo, scolastico, fa sì che essi dal punto di vista
culturale siano a tutti gli effetti italiani. E questo esigerebbe che fosse riconosciuta loro una
cittadinanza basata sullo ius soli. La scelta di non riconoscere loro una cittadinanza diviene una
scelta di discriminazione che impedisce di valorizzarli come ponte di incontro e integrazione tra
culture e popoli diversi.
Una questione rilevante è la dimensione familiare della vita dei migranti: una persona non va
considerata slegata dalla rete delle relazioni. Le condizioni di accoglienza di un immigrato
dovrebbero poter prevedere la possibilità della famiglia di riunirsi come anche di offrire i requisiti
per un salario con cui la famiglia possa avere un sostegno ma anche insieme ad esso servizi sociali
per poter educare e sostenere i figli. Il contributo che un lavoratore porta senza che lo Stato debba
pagare per la sua crescita e formazione, può essere ripagato con questo sostegno nei confronti della
sua famiglia e dei suoi figli.
La logica su cui dovrebbe muoversi una legislazione nei confronti degli immigrati dovrebbe
eliminare tutti gli elementi che possono ingenerare forme di disprezzo, e con esse ogni
comportamento che umilia e discrimina, ma anche dovrebbe predisporre norme per cui i diritti siano
riconosciuti e non vengano confusi con forme di elemosina o scelte affidate alla benevolenza, che
ingenerano senso di sudditanza e dipendenza dal capriccio di chi ha in mano il potere di disporre di
potere e di ricattare quindi il migrante stesso. L‟equità dei contratti, il riconoscimento di diritti e di
condizioni di lavoro eque non sono dono benevolente, ma è esigenza di giustizia. La legge in tal
senso dovrebbe non solo garantire tutto questo ma anche favorire una crescita di consapevolezza e
di educazione in tal senso. E ciò nella direzione di far crescere a livello sociale una percezione che
la valutazione positiva e valorizzante dell‟altro evita il formarsi di risentimento e di odio, impedisce
l‟accumularsi di rancori e di desideri di rivalsa. Non solo, ma aiuta a far crescere una attitudine che
porta a scoprire la presenza dell‟altro nel suo apporto positivo, nella sua carica di umanizzazione
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nell‟incontro, nella sua sfida ad un cambiamento che è salutare in ogni società umana.
L‟incontro con lo straniero allora è oggi uno spazio per riscoprire l‟incontro. Lo straniero è luogo
simbolico per ricomprendere le dimensioni dell‟identità, dell‟alterità, dell‟ospitalità, di cosa
significa il dialogo, di come attuare una democrazia che ponga insieme differenze e sappia trarre
valore da queste diversità.
Alessandro Cortesi op
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