“Che: eres de los muertos que nunca mueren” (ci sono dei morti che
Transcript
“Che: eres de los muertos que nunca mueren” (ci sono dei morti che
Il Punctum dello spectrum Riflessioni sulla fotografia, alla luce della nota di R. Barthes “La camera chiara” – autore: A.B. Giudizio: analisi penetrante della foto di Korda, che rivela brillanti capacità di rielaborazione. Eccellente. “Che: eres de los muertos que nunca mueren” (ci sono dei morti che non muoiono) Anonimo nella lavanderia della scuola di Vallegrande -Bolivia- dove venne giustiziato Ernesto “Che” Guevara. “Lo spectrum è il ritorno del morto” R.Barthès “La camera chiara”. La fotografia più famosa di Ernesto “Che” Guevara fu scattata nel 1960, sette anni prima della sua morte, dal fotografo Alberto Dìaz “Korda” Guttièrez mentre il comandante saliva sul podio durante una cerimonia funebre tenutasi in onore di 140 cubani morti in un’esplosione. La foto originale comprendeva anche una palma ed una sagoma di un altro uomo,tuttavia Korda scelse di isolare il “Che”, ottenendo così un primo piano, a causa della sua espressione intensa che definì “encabronada y dolente” (corrucciata e triste). Il fotografo vide un’emozione sul volto di quell’ uomo: essa era viva e sincera.La cosa straordinaria è che tale emozione non colpì solo “Korda” ma colpì (e colpisce anche oggi) tutto il mondo: la foto è straordinaria perché possiede un “punctum” condiviso che fa di essa un simbolo. Ma secondo Barthes cos’è il punctum? Ciò che ci attrae in una foto ciò che ferisce (colpisce,pizzica), una foto grazie al punctum appare viva ossia assume un significato per noi spectators.Tuttavia egli riduce il punctum ad un particolare epifanico,come un segno in grado di far scattare una qualche molla dentro di noi, senza considerare invece che un sentimento collettivo può difficilmente incarnarsi in una fotografia e che la possibilità che esso nasca da un singolo particolare sia pressoché nulla. Insomma, Barthes facendo sempre riferimento alla foto personale di sua madre nel giardino d’inverno, fa un analisi del punctum familiare, e trasla tale concetto anche in altre foto ricercando in esse casa e familiarità. Può essere dimostrato che nella foto sopra NON ESISTE un punctum familiare incarnato, il senso non si concentra in un particolare. Il senso del comandante sopra ritratto sta nell’insieme, una parte senza il tutto non ci direbbe nulla. Forse il basco, la stellina,gli occhi del Che senza la bocca e i baffi ci direbbero qualcosa? Ovviamente no a meno di essere parenti del Che. Il punctum, che rende viva per milioni di persone la foto, qui è come una sensazione percepibile ma irriducibile. Il punctum collettivo è un’energia psichica trasmessa di generazione in generazione come spesso accade per eventi grandiosi, una sorta di inconscio collettivo direbbe Jung. La foto infatti ha trovato il massimo plauso in occidente, dove i totalitarismi hanno attecchito, nella forma Nazi-Fascista, creando uno schermo di energia di contrasto molto forte nei confronti delle riduzioni della personalità. Il Punctum del Che sta dunque nel suo messaggio di ribellione e libertà. Ne “La camera chiara” Barthes cerca di partorire definizioni e pensieri attorno alla fotografia e parla di “spectrum”,il soggetto di una foto in quanto fissa “lo slancio vitale” corrisponde ad una morte spettacolarizzata. Nella foto del cubano esiste un senso a tale morte? In verità nella vita reale molte morti amplificano il senso di un’esistenza o addirittura significano più di un’esistenza stessa. Quindi anche l’essere diventato morte in una fotografia è importante, infatti lo spectrum è il morto e il risorto (lo spettacolo). Il Che è morto e la sua fotografia del ’60 ottiene massima notorietà nel ’67 quando muore davvero (risorgendo nella foto). Al termine del suo slancio vitale, quando la sua onda si esaurisce, resta quel pacchetto di vita fissata che ancora oggi vive e fa vivere, alimentando tanti altri piccoli slanci. In base all’allargamento del concetto di punctum,inteso anche come energia psichica,è dunque possibile interpretare la fotografia come un sacrificio nella rappresentazione dell’essere per l’essere stesso e la sua sopravvivenza. A.B.