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siria La rete
segreta dei ribelli
scienza Bosone,
intrigo internazionale
settimanale left avvenimenti
poste italiane spa - SPED. abb.
Post. - D.L. 353/2003 (conv. in l.
27/02/2004 n. 46) ART. 1, COMMA
1 DCB roma - ann0 XXv - ISSN
1594-123X
stragi La mano
invisibile di Gladio
avvenimenti
N. 17 | 4 maggio 2013 left + l’unità 2 euro (0,80+1,20)
da vendersi obbligatoriamente insieme al numero di sabato 4 maggio de l’Unità.
Nei giorni successivi euro 0,80+il prezzo del quotidiano
pericolo
presidenzialismo
è il sogno di Berlusconi. Piace a Renzi e Letta non lo esclude.
Ecco cosa ci aspetta dopo Napolitano
di Paola Mirenda, Cecilia Tosi, Rocco Vazzana
la settimanaccia
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4 maggio 2013
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LA TESTATA FRUISCE DEI CONTRIBUTI
DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250
left 4 maggio 2013
la nota di
Maurizio Torrealta
Il laboratorio
costituzionale
del dottor Frankenstein
C’
è stato un progressivo slittamento dei temi e dei modi
di intervento costituzionale in queste ultime settimane che ci spaventa
e preoccupa, si è verificato in diversi momenti, che io chiamo esperimenti: il primo esperimento è stata la creazione di una commissione dei saggi, non presente nella costituzione, i
cui membri non sono stati eletti ma
scelti in modo personalistico con criteri legati all’opportunità di accordi
momentanei, sull’urgenza di una rapida modifica - abbiamo erroneamente pensato noi - della legge elettorale
chiamata porcellum. C’è stato poi un
successivo esperimento nelle 90 pagine prodotte dalla commissione dei
saggi, più che una rapida modifica del
porcellum viene proposta una revisione costituzionale, attraverso una
commissione redigente mista costituita su base proporzionale da parlamentari e non parlamentari, il cui testo di riforma dovrà essere votato dal
parlamento articolo per articolo ma
senza emendamenti. Il testo approvato verrà successivamente sottoposto a referendum confermativo. A cosa serve una commissione parlamentare per gli affari costituzionali se ne
viene creata un’altra geneticamente
modificata con l’inserimento di membri non eletti dal Parlamento? Ma non
doveva essere una commissione per
correggere rapidamente l’obbrobrio
del porcellum? Sembra che il dottor
Frankenstein che ha creato il porcellum, con una risata isterica abbia voglia di trasformare in suini mostruosi anche gli organi più delicati della
nostra costituzione e per fare questo
non si fa aiutare da un uomo di scienza o di legge ma da un improvvisato
aiutante strabico fatto entrare di notte nel laboratorio. Per quali motivi vogliono esternalizzare i lavori del Parlamento a persone non elette dal popolo? Il modo in cui la Costituzione
può essere modificata è disciplinato
dagli articoli 138 e non da commissioni improvvisate e geneticamente modificate? Non possiamo che essere
d’accordo con Valerio Onida, già presidente della Corte Costituzionale,
unico tra i saggi di Napolitano ad aver
espresso parere contrario a questa
progetto. «L’inserimento di personale
tecnico modifica il senso di una Bicamerale... Il fatto che la riforma costituzionale venga affidata a un organismo parzialmente esterno è un indebolimento del Parlamento, l’unico delegato dalla Carta a promulgare le leggi costituzionali».
Temiamo che il laboratorio costituzionale del dottor Frankenstein farà
nascere solo dei mostri.
3
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Quali rischi
da Rodotà?
Nel rammaricarsi per il rifiuto del Pd ad eleggerlo
alla Presidenza della Repubblica, Stefano Rodotà riconosce: «Certo, era
un rischio enorme». Perché la conversazione prosegua costruttiva e rivolta al futuro, occorrerebbe
esplicitare i contenuti di
questo rischio. Chi si è opposto, evidentemente, lo
ha valutato così enorme
da prevalere sui vantaggi dell’eventuale elezione.
Che avrà visto, mi auguro.
Facciamo molta fatica però, tutti, a riconoscere che
una scelta politica, all’interno della nostra area politica almeno, non è mai
fra il bene e il male, ma fra
soluzioni diverse, tutte
dotate di vantaggi e di rischi. Io non so come avrei
votato. Affido la responsabilità della scelta a chi,
in quei giorni difficili, era
a Roma, sul campo ravvicinato dei conflitti e delle
mediazioni. Se fosse stato
eletto Rodotà lo avrei però subito riconosciuto come mio Presidente della
Repubblica, anche perché
sto leggendo il suo Il diritto di avere diritti, dove
coraggiosamente la “per-
avvenimenti
left.it
sona” è centrale, anche se
la tradizione della sinistra
al centro metterebbe l’“individuo”. Posso però notare che Grillo, all’elezione
di Napolitano ha gridato al
colpo di Stato? Il linguaggio che usiamo è sostanza,
da una parte e dall’altra.
Silvano Bert
Oggi non è
come nel ’44
Caro direttore, Eugenio
Scalfari, nel suo editoriale
del 28 aprile su La Repubblica, ha sostenuto che il
governo Letta è stata una
scelta obbligata perché
la palingenesi non è la costruzione del futuro ma
un’utopia che porta in sé
la sconfitta e perché oggi
c’è un’emergenza che limita la libertà di scelta e che
impone soluzioni di necessità. Ha scritto, poi, che
ci sono alcuni precedenti di scelte politiche simili come, oltre al governo
Monti, l’incontro tra Berlinguer e Moro a metà degli anni Settanta, l’appoggio del Pci al governo Badoglio nel 1944, il voto favorevole al governo Andreotti nel ’78. La mia opinione è che Scalfari drammatizza eccessivamente il
momento politico attuale.
Le scelte fatte da Berlinguer nei confronti di Moro e Andreotti (scelte sulle quali comunque ancora oggi non c’è il consenso unanime sulla loro validità) furono motivate dal
forte condizionamento
esercitato allora dalla presenza del fenomeno terroristico mentre la scelta di
Togliatti fu motivata dalla presenza delle truppe
americane in Italia. Anche
la scelta del governo Monti è stata fatta, come dice
lo stesso Scalfari, perché
c’era un’emergenza della finanza pubblica che rischiava di precipitare in
un fallimento del debito
sovrano e dello Stato. Ma
la situazione di oggi non è
paragonabile ai suddetti
precedenti. Oggi, per fortuna, non c’è il terrorismo,
non ci sono eserciti stranieri sul territorio italiano
e non c’è neanche l’emergenza della finanza pubblica. Oggi c’era solo da scegliere, da parte del Partito
democratico, se fare l’alleanza con una forza politica particolare, fortemente contestatrice dei partiti
politici ma sostanzialmente democratica e innovativa come il Movimento
5 stelle o scendere a pat-
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4
ti con la destra berlusconiana. Una volta costretto
all’opposizione Berlusconi e i suoi seguaci avrebbero sicuramente potuto
provocare delle tensioni,
anche forti, nel Paese ma
non tali da dare luogo ad
una vera e propria guerra civile. Questa prospettiva, comunque, non avrebbe dovuto far recedere il
Pd dal compiere la scelta
politica fortemente innovatrice che molti si aspettavano..
Franco Pelella
La sconfitta
è anche di Grillo
Gentile direttore, nel seguire i commenti della
stampa sulle vicende politiche che hanno portato alla formazione del “nuovo”
governo, non mi pare di
aver visto una qualche attenzione al ruolo avuto dal
Movimento 5 stelle che a
mio parere ha subito la vera sconfitta politica di questa storia. Perché a Bersani è proprio mancata una
struttura personale per riuscire nella sfida di portare a sinistra il Pd. I 5 stelle
invece, di fronte all’offerta
(anche parziale) di Bersani
col loro rifiuto sono riusciti ad eliminare dalla scena
politica soltanto appunto...
Bersani! E si sono dimostrati alla fine “organici” al
sistema riuscendo nel capolavoro di diventare in un
mese da spauracchio dei
vecchi partiti a vuoto e inutile contenitore di voti di
protesta. Portare questo
Paese su una strada nuova necessita un “sapere fare” e un sapere “con chi fare” ben diverso. Ribellarsi è giusto, ma... il ’68 è finito. O no?
P. Iacopini
4 maggio 2013
left
left.it
left.it
sommario
ianno XXV, nuova serie n. 17 / 4 maggio 2013
copertina
politica
reportage
Berlusconi lo chiede da vent’anni. Renzi è d’accordo. Anche
Bersani cede. Mentre Letta nomina alle Riforme il più convinto
sostenitore del modello francese. E apre la
Convenzione che dovrà cambiare la Carta.
Così l’Italia scivola verso il presidenzialismo.
Le due anime del governo sull’economia, tra fautori delle piccole
opere e fan del cemento. La strada
a senso unico sulla bioetica, con
l’esecutivo schiacciato sulle posizioni della
Cei. I dilemmi sulla giustizia e il rischio di processi a Napoli. E gli ogm della Bonino.
Nella capitale del Bangladesh
si cuciono vestiti per decine
di multinazionali. Milioni di operai arrivati dalla campagna vivono qui in condizioni disperate. Viaggio a
Dhaka, la città più affollata del mondo, dove il crollo di una fabbrica significa strage.
pericolo presidenzialismo
16
la settimana
02
03
04
06
La settimanaccia
La nota
Lettere
fotonotizia
copertina
16 Lo scavezzaColle
di Rocco Vazzana
19 Vecchi in poltrona
di Paola Mirenda e Cecilia Tosi
politica
22 Attenti ai Lupi
di Manuele Bonaccorsi
25 La bioetica che piace alla Chiesa
di Simona Maggiorelli
26 Vedi Napoli e poi voti
di Nello Trocchia
27 Emma e l’Ogm
di Siria Guerrieri
società
28 Gladio e il principato
di Celine Torrisi
32 Chi è Stato?
di Tiziana Barillà
left 4 maggio 2013
Attenti ai lupi
22
Lo spazio mancante
40
IDEE
di Michele Gambino
08 cose dell’altritalia
12 Il commento
13 Il taccuino
di Adriano Prosperi
14 altrapolitica
di Andrea Ranieri
15 In punta di penna
di Alberto Cisterna
54 TRASFORMAZIONE
di Massimo Fagioli
a cura della redazione Interni
a cura di Arci
a cura della redazione Esteri
di Emanuele Santi
09 diario della carovana
10 cose dell’altro mondo
31 Calcio Mancino
58 puntocritico
mondo
34 I segreti della rete siriana
di Lorenzo Trombetta
38 Prigioniera in patria
di C. Attanasio Ghezzi e L. De Carlo
40 Lo spazio mancante
foto di Luca Catalano Gonzaga
RUBRICHE
cinema di Morando Morandini
arte di Simona Maggiorelli
libri di Filippo La Porta
60 bazar
Docufilm, buonvivere,
junior, musica
62 appuntamenti
a cura della redazione Cultura
cultura e scienza
48 Bosone. Intrigo internazionale
di Federico Tulli
52 Vita agra in Russia
di Guido Carpi
56 Arcipelago Sollima
di Martina Fotia
Chiuso in tipografia il 30 aprile 2013
Foto di copertina: Arianna Catania
5
fotonotizia
left.it
Terrore
a Palazzo Chigi
Il 28 aprile alle 11:40 Luigi
Preiti si è avvicinato all’ingresso di Palazzo Chigi e ha
sparato su due carabinieri.
Altri agenti gli sono saltati addosso e l’hanno portato
in questura. L’Italia ha vissuto attimi di paura di fronte alla prospettiva di un atto
di terrorismo nel giorno di
insediamento del nuovo governo. Ma quello di Preiti è
un atto isolato, il gesto
di un uomo disperato.
(Scrobogna/Lapresse)
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4 maggio 2013
left
left.it
left 4 maggio 2013
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cose dell’altritalia
mondo
left.it
la data
10 maggio
Nel 1994 Silvio Berlusconi diventa per la prima volta presidente del Consiglio dei ministri. Nello stesso giorno di dodici anni dopo
- è il 2006 - Giorgio Napolitano viene eletto
Presidente della Repubblica. Gli anni passano, i protagonisti no.
Guantanamo anche in Italia.
Parola di Kerry
Il Segretario di Stato americano John Kerry bacchetta
l’Italia. Nel rapporto annuale del dipartimento di Stato
sui diritti umani, il governo Usa denuncia le «scadenti
condizioni di vita nelle carceri sovraffollate e nei centri
di detenzione per migranti e l’esclusione sociale di cui
sono vittima gli stranieri». Viene posto poi l’accento su
«un uso eccessivo e offensivo della forza da parte della
polizia, un sistema giudiziario inefficiente, la corruzione di chi governa, la violenza e le molestie nei confronti
delle donne, gli atti di antisemitismo, la discriminazione sessuale». La situazione
più grave, secondo il documento, riguarda l’accoglienza ai migranti e la loro
detenzione nei Cie. Detto
da chi tiene aperto il carcere di Guantanamo...
«Questo è il futuro».
Esulta Cesare Prandelli per la nomina dei
ministri Cécile Kyenge
e Josefa Idem. Il ct paragona la formazione
di governo alla Nazionale: «Mario Balotelli e
Stephan El Shaarawy
danno qualcosa in più,
ti arricchiscono».
«Mi sembra una scelta del cazzo», sono invece le parole dell’eurodeputato della Lega
nord Mario Borghezio. Che con la sua nota delicatezza dice del
neoministro all’Integrazione Kyenge: «Ha
l’aria della casalinga».
Ma non di Voghera...
iglesias Guerra tra correnti nel M5s
catania C’è la mafia, paghi il doppio
Nessun Cinque stelle candidato sindaco
a Iglesias per le Comunali del 26 e 27 maggio. Le lotte intestine hanno costretto lo staff nazionale a
bloccare le liste dei grillini iglesienti. Eppure il M5s è stato la
rivelazione delle ultime elezioni politiche in questa zona della Sardegna. Con il 31 per cento dei consensi si è attestato
come primo partito della città nel cuore del Sulcis, colpita
da una durissima crisi industriale. Ma già da novembre due
gruppi si contendono la guida del Movimento: uno guidato
da Simone Muscas e l’altro da Carla Cuccu. E dalle riunioni
separate alla guerra interna il passo è breve. Entrambi hanno inviato la propria lista allo staff centrale del M5s per ottenere la certificazione. Che, per evitare lo scontro finale, l’ ha
negata a tutti e due. E così il M5s rimarrà a guardare.
Quando a gestire i servizi sociali è la mafia,
i costi per i cittadini lievitano. Fino a raddoppiare. È andata così a Mascali, in provincia di Catania,
dove si è appena insediata la commissione del Viminale che
gestirà il Comune, sciolto per mafia il 27 marzo. L’Amministrazione era già stata fermata dal governo nel 1992. E anche allora ne facevano parte l’attuale sindaco Filippo Monforte e il presidente del Consiglio comunale Biagio Susinni.
«La mafia - scrive il prefetto Francesca Cannizzo nella relazione inviata a Roma - è entrata in rapporti con istituzioni
dell’Ente locale stabilendo un sistema di reciproco scambio
tra esponenti politici e l’organizzazione criminale». Nel giro
di affari una parte consistente è la gestione dei rifiuti, di fatto controllata dal clan Cintorino, affiliato dei Cursoti.
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4 maggio 2013
left
mondo
left.it
596mila
I single a Roma. Per scelta propria o
altrui, i capitolini che hanno rinunciato
alla vita di coppia sono il doppio rispetto
al 2001. E, se il tasso di crescita rimarrà
costante, nel 2020 saranno 744mila:
il 30,6 per cento dei maggiorenni romani
Lo sberleffo va all’asta su eBay.
Lo striscione che il sindaco Michele Emiliano ha esposto
durante il comizio del Cavaliere il 13 aprile a Bari («Caro
Silvio Bentornato a Bari») è stato venduto per 309 euro.
Il ricavato sarà destinato ai servizi sociali baresi.
Roma Chi dice donna non dice Alemanno
Gianni Alemanno, un mese prima delle Comunali di Roma, ha già battuto un
record negativo. Tra le liste dei candidati consiglieri al
Campidoglio quella del Pdl è la meno rosa. Solo 17 candidate, il 35 per cento del totale. Anche il M5s, che punta
sull’avvocato Marcello De Vito, non si allontana molto: le
donne sono 19, il 39 per cento dei 48 posti. A imporsi come campione delle pari opportunità è la coalizione di sinistra di Sandro Medici, dove le candidate sono quasi una
su due, il 46 per cento. Non distante Ignazio Marino, che
raggiunge il 43 per cento. Alemanno non ha imparato la
lezione che il Tar gli diede il 15 luglio 2011. Quando fu costretto ad azzerare la giunta perché non rispettosa delle
quote rosa: undici uomini e una sola donna.
left 4 maggio 2013
diario della carovana
Ogni settimana left ospita
il diario di bordo dell’iniziativa
promossa da Arci, Libera
e Avviso pubblico,
che terminerà il 6 giugno.
www.carovanaantimafie.eu
Resistenza
all’omertà
T
re giorni di Carovana nel Lazio. Si parte il
23 aprile da una destinazione “calda”: il Sud
Pontino, da trent’anni regno delle ’ndrine degli Alvaro e dei Tripodo. E dei loro affari nel settore dei
rifiuti, delle agromafie, del ciclo del cemento e del
movimento terra. Prima tappa all’Istituto Fratelli Rosselli di Aprilia. Qui ci conoscono già perché alcune classi hanno partecipato all’ultima Giornata della memoria e
dell’impegno organizzata da Libera. Poi ci spostiamo a Latina per una tavola rotonda sul caporalato,
insieme ai sindacati. Marco Omizzolo, coordinatore laziale di Legambiente, racconta il disagio dei tanti migranti impiegati “a nero” nei campi ortofrutticoli e nelle serre che si estendono tra i borghi della
pianura pontina. Numerosi gli interventi, al centro
di ognuno la colpevole indifferenza della politica e
dell’informazione. E l’impotenza dei sindacati, ma
anche la necessità di organizzare corsi di formazione per i migranti. Coreografie, balli e canti animano
la seconda tappa nella scuola media Renato Villoresi
di Roma. «La cosa peggiore della mafia è l’omertà»,
dice una studentessa. «Un mafioso è chi non sa vedere la bellezza che lo circonda», le fa eco una compagna. Dopo una mattinata ricca di spunti, si risale sul furgone: direzione Rieti, per un incontro con i
sindacati locali, il sindaco e altri studenti.
Giungiamo all’ultima tappa laziale: il 25 aprile.
Nel giorno della Liberazione, non potevamo che
unirci al tradizionale corteo antifascista di Porta San Paolo. Abbiamo sfilato insieme ai partigiani dell’Anpi, agli studenti, ai precari, alle comunità di migranti. Dal palco Alessandro Cobianchi
dell’Arci e Ferdinando Secchi di Libera hanno ricordato l’importanza delle due Resistenze:
quella antifascista e quella antimafia.
Si riparte per nuove destinazioni, ci spostiamo
verso nord. La Carovana non è ancora finita.
a cura di A. Ausilio e M. Ciampicacigli
9
cose dell’altromondo
mondo
la marcia delle badanti Sono almeno 200mila gli stranieri - prevalentemente asiatici - che in Libano svolgono lavori domestici,
dalle pulizie alla cura della persona. Però il diritto del lavoro non li riconosce uguali ai locali. E il complesso sistema delle “sponsorizzazioni”
per ottenere il visto nega loro libertà di movimento e di associazione. Il 28 aprile filippini, bengalesi, indiani e nepalesi hanno manifestato
per le strade di Beirut per rivendicare i loro diritti.
12,9%
Sono i voti conquistati dai
socialdemocratici islandesi il
28 aprile. Nonostante abbiano portato il Paese fuori dalla
crisi, sono stati battuti da
due partiti di centrodestra,
che insieme hanno il 50%
Gangs of new Tripoli
A due anni dalla guerra sostenuta dalla Nato la Libia
è tutt’altro che pacificata.
L’apparato governativo è talmente fragile che un gruppo
di miliziani, con i loro furgoncini dotati di lanciarazzi, può
arrivare sotto il dicastero
degli Esteri e pretendere dal
ministro che licenzi tutti i
funzionari assunti ai tempi
di Gheddafi. È successo il 28
aprile a Tripoli.
© Malla/ap/lapresse
left.it
«Tutti i riferimenti
alla Merkel sono stati
cancellati»
Christophe Cambadélis,
vicepresidente del gruppo
socialista francese al Parlamento
europeo. Il Ps aveva diffuso un
documento economico in cui
si criticava «l’intransigenza
egoista» di
Angela Merkel,
«Cancelliera
dell’austerità».
crisi della settimana Le elezioni dell’11 maggio si avvicinano e la vita in Pakistan diventa sempre più
difficile. Travolto da un’infinita escalation di violenza, il Paese è stato colpito dall’ennesimo attentato il 28
aprile. A Peshawar un kamikaze si è fatto esplodere in una delle strade principali, distruggendo un autobus
e uccidendo almeno otto persone. I feriti sarebbero più di 40.
10
4 maggio 2013
left
mondo
left.it
6,2
Percentuale di rinnovabili
sul totale del consumo energetico
Svezia
È il numero di disoccupati in Spagna
nel primo trimestre
2013. Cioè 255mila
in più rispetto allo
scorso anno. Secondo le statistiche
diffuse a fine aprile,
sono 3,5 milioni i
disoccupati di lunga
data, mentre tra
i giovani il 57,2
per cento è
senza impiego
© Tang/ap/lapresse
terroristi
Lettonia
33,1
Finlandia
31,8
Austria
Estonia
25,9
Portogallo
24,9
Danimarca
23,1
Romania
21,4
Lituania
20,3
Solo 9 Stati membri hanno già
raggiunto l’obiettivo Ue 2020
in tema di rinnovabili. In testa
la Svezia, mentre fanalino
di coda è Malta con lo 0,4
«L’agenda dell’austerity somiglia
molto a ciò che preferisce una classe
superiore, avvolta in una facciata di
rigore accademico. Quello che l’1%
vuole diventa ciò che la scienza
economica dice che dobbiamo fare»
Paul Krugman, Premio Nobel per l’economia 2008
L’altra Boston
I due fratelli ceceni non sono i soli ad aver appena sferrato
(forse) un assalto agli americani. In Canada, il giorno dopo
dell’attentato di Boston, sono stati arrestati due presunti terroristi islamici, accusati di voler far saltare un treno di passeggeri
statunitensi. I due, uno di origini tunisine e l’altro palestinese
cresciuto negli Emirati Arabi, non hanno niente a che fare con
l’Iran, eppure gli investigatori sostengono che ci sia lo zampino
di Teheran nella loro radicalizzazione. Al Qaeda si è sempre
identificata con il jihad dei sunniti contro il resto del mondo
ed è difficile pensare che recluti militanti nel Paese degli sciiti.
Eppure la rete terroristica si è diffusa anche in Iran, dove sembra abbia contribuito a
pianificare attacchi nel
continente americano.
Ma in questo caso, dalle ultime investigazioni
pare che i due giovani
abbiano conquistato
una notevole “indipendenza”. Pianificando
da soli l’attentato.
left 4 maggio 2013
30,9
guerra tra le sbarre
Una battaglia
feroce dentro
una prigione
messicana.
Tredici detenuti
rimasti a terra,
uccisi con coltelli e picconi.
Non sono i poliziotti, stavolta, i colpevoli. Sono i prigionieri
stessi, che in Messico spesso gestiscono
le carceri come se fossero casa loro e che
periodicamente si combattono per avere la
supremazia tra le sbarre. Il 27 aprile è toccato al centro detentivo di La Pila, dove si
fronteggiano vari clan della droga, compresi
i potenti Los Zetas. I secondini non hanno
potuto - o voluto - fare niente. Oltre ai 13
morti, gli scontri hanno causato 65 feriti,
una ventina dei quali molto gravi.
11
© Contreras/ap/lapresse
milioni
46,8
il commento
di Michele Gambino
il taccuino
L’Altritalia di vent’anni fa
Da Avvenimenti a left. Un percorso durato un lustro e una speranza:
produrre informazione di qualità in mezzo a un mondo di false notizie
Q
uando Maurizio Torrealta mi ha chiesto di scrivere per left Avvenimenti, ho
pensato al mio primo servizio per quello che allora, nel 1989, si chiamava solo Avvenimenti: un reportage dal Libano che occupava una dozzina di pagine della
rivista. Dimensioni inconcepibili per le abitudini multitasking di oggi, ma quello era
davvero un altro mondo: il mio prezioso archivio cartaceo, che oggi porterei in tasca
dentro una chiavetta usb da 15 euro, occupava due pareti della redazione e pesava diverse tonnellate; la rivista aveva un suo social network, ideato e curato dalla splendida Miria Fracassi, che oggi purtroppo non c’è più: si chiamava “Club dell’Altritalia”,
e non ci si vedeva su internet, ma si socializzava in trattoria. Tutto molto lento, certo,
ma c’erano anche dei vantaggi. Il vecchio Avvenimenti era un giornale atipico rispetto ad altri della stessa area: radicale nel collocamento a sinistra, ma anche duramente legalitario; metteva d’accordo, in uno strano modo, i ragazzi dei centri sociali e i carabinieri. A decretarne il successo fu la scelta di puntare molto su un genere giornalistico che in Italia ha sempre avuto vita grama: l’inchiesta. Costavano tempo e soldi
quelle inchieste, ma tempo e soldi tornavano indietro sottoforma d’identità e visibilità. Certo, oggi le inchieste andrebbero costruite rispettando lo spirito del tempo: penso alla diversa velocità del nostro sguardo, alla diminuita capacità di concentrazione,
ma penso anche alle opportunità di scambio e di condivisione che la rete offre. A quelli che dicono che l’inchiesta è morta come genere, ricordo l’esperienza francese di Mediapart: nato online cinque anni, è riuscito a farsi spazio
nel grande mare di internet a colpi di esclusive e oggi ha 75mila abbonati e un
bel pacchetto d’inserzionisti pubblicitari. Il primo magnate dell’informazione, William Randolph Hearst, urlava ai suoi giornalisti: «Le notizie, portatemi
le notizie!». Allora però le notizie erano piante rare; oggi che le notizie sono il
tappeto di foglie morte su cui camminiamo, il grido di Hearst sarebbe un altro:
«Una notizia, portatemi una vera notizia!». Il compito non è facile, ma facendo questo mestiere ho imparato che se cerchiamo qualcosa con passione e
piacere, a un certo punto ci passerà sotto gli occhi. Solo che per catturarla serve competenza; senza questo requisito l’informazione è solo uno sciame di bit digitali che come spiega Roberto Calasso - «è esattamente l’opposto della conoscenza in senso
metamorfico, cioè qualcosa che trasforma l’oggetto che conosce». Di recente ho letto un’intervista a Grazia Neri, ex titolare della storica agenzia fotografica che porta il
suo nome: «Oggi si fanno miliardi di foto, ma tutti vogliono vedere sempre le stesse,
quelle che hanno già in testa, e questo mi fa male, non c’è più curiosità della scoperta,
ci sono solo icone». Leggendo mi è venuto in mente il quotidiano nugolo di colleghi,
armati di telecamere e smartphone, che circondano di volta in volta un Corona, un
Renzi, uno zio Michele o un Bersani. Non sembra anche a voi una svendita di dignità,
di senso del mestiere, e anche di rispetto per il pubblico? Un’altra frase di Grazia Neri mi è rimasta in testa: «Le fotografie di reportage oggi sono tutte levigate, altrimenti non ci vinci i premi; io amo la foto classica, composta, narrativa, che porta a casa le
cose e le persone. Invece, tra i ritocchi cosmetici e la follia della privacy, tra un secolo
non sapremo più com’eravamo davvero, com’era questo mondo». Ecco, servirebbe
un giornale che, sfogliato tra mille anni, dica qualcosa della realtà di oggi, e non della
sua rappresentazione.
Servirebbe
un giornale che,
se sfogliato tra
mille anni, dica
qualcosa della
realtà di oggi
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4 maggio 2013
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il taccuino
di Adriano Prosperi
il taccuino
Che accadrà alla Costituzione?
Il nuovo governo non sembra dominato dall’ansia di attuare diritti - a parte quello
urgentissimo del lavoro - ma piuttosto dalla volontà di ridisegnare i poteri
C
he cosa accadrà alla Costituzione? Questa è, per quanto ci sembra, la domanda urgente da porre. è una domanda che riguarda tutti i cittadini italiani: per la verità,
riguarda anche quei milioni di immigrati, italiani senza diritti di cittadinanza, che probabilmente si dovranno accontentare della presenza nel governo di una ministra dell’integrazione che ha il simpatico sorriso di Cécile Kyenge. Il nuovo governo non sembra dominato dall’ansia di attuare diritti - a parte quello urgentissimo del lavoro - ma piuttosto dalla
volontà di ridisegnare i poteri. è un governo progettato per durare molto, contrariamente
all’ipotesi che dovesse durare solo per l’emergenza: il presidente del Consiglio Letta (Enrico) ha fissato il primo appuntamento da qui a diciotto mesi. E potrebbe anche riuscirci, vista la maggioranza che lo ha approvato. Il pezzo forte del programma, oltre alla promessa di
mantenere l’impegno (di Berlusconi) di abolire la tassa sulla prima casa, è la riproposta della Bicamerale per le riforme istituzionali. Bicamerale ingloriosa quella di allora, minacciosa quella nuova: ridefinire i poteri dopo quello che abbiamo vissuto negli ultimi giorni vuol
dire realizzare una decisa svolta rispetto all’assetto dei poteri esistente. Se il popolo era già
in questa Costituzione un “principe senza scettro”, come lo definì Lelio Basso, nel nuovo disegno della Terza Repubblica sarà un principe decaduto e lo scettro verrà messo anche formalmente in altre mani. Quali e come ce lo dice quello che è accaduto in questi
giorni. Un corpo elettivo per due terzi espressione di una chiara volontà di voltare pagina rispetto al ventennio di scandali e di disastri del partito-azienda di Berlusconi, oggi ha deciso a stragrande maggioranza di cancellare la volontà degli elettori e di portare in trionfo Berlusconi e il suo programma. Tutto questo, secondo il
presidente Letta, si definisce con una parola: “riconciliazione”. Resta il fatto che il
partito di centrosinistra aveva raccolto una maggioranza di consensi su di un programma e poi ha attuato una strategia opposta. E non si parli di stato di necessità
per quello che è accaduto. C’è voluto il rifiuto e la bocciatura di nomi e di programmi che appartenevano alla storia del partito e al suo patrimonio ideale. Come sia
avvenuta la svolta a 180 gradi e chi siano quei 101 che hanno affondato la candidatura di Romano Prodi è materia per gli storici futuri. Resta forte la tentazione di vedere nella carica dei 101 la lucida messa in atto del disegno poi manifestatosi appieno nel rifiuto della candidatura Rodotà. Non un errore involontario, dunque, ma una
consapevole rivoluzione parlamentare. Forse un giorno se ne parlerà con un nome che è
già pronto. Un nome non bello: la rivoluzione dell’inciucio. A quanto pare, la riforma istituzionale che si progetta ne sarà la continuazione. Vi si potrà sancire sul piano formale il superamento dell’articolo 1: non per caso nel discorso di replica del presidente Letta il Parlamento è stato definito «il luogo centrale della sovranità». Qualcuno ricorderà forse che sotto Berlusconi fu avanzata la proposta di modifica costituzionale dell’art. 1 che sostituiva la
parola “parlamento” a quella di “popolo” e affermava che in Italia la sovranità appartiene
al Parlamento. Vedremo che cosa accadrà. Intanto gli elettori di centrosinistra debbono
ancora digerire quello che è accaduto e chiedono verità sulla svolta che ha ribaltato le promesse fatte. Come si legge nel risvolto del libro di Luciano Violante di cui avevamo cominciato a parlare (Politica e menzogna, Einaudi) «un Paese pregiudica la propria rispettabilità non solo quando i politici mentono, ma anche quando i cittadini tollerano quelle
menzogne». Macchiavelli scriveva 500 anni fa che gli uomini guardano alla faccia, alle
parole, non «alle mani» (ai fatti).
Come sia
avvenuta la
svolta del Pd
a 180 gradi è
materia per gli
storici futuri.
Il nome? La
rivoluzione
dell’inciucio
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altrapolitica
di Andrea Ranieri
il taccuino
Ricominciare dai Comuni
Gli enti locali, i più colpiti dalle logiche del Patto di stabilità interno, hanno le migliori
basi per costruire una nuova politica. Partendo dalle associazioni del territorio
S
ia che lo si consideri inevitabile - l’unica possibilità nell’emergenza sociale ed
economica di dare un governo al Paese - sia che lo si consideri evitabile - il frutto avvelenato di una brutta storia in cui 101 franchi tiratori impongono il governissimo
a un Pd in stato confusionale - una cosa dovrebbe essere chiara a tutti: questo governo non sarà il governo di cambiamento per cui il centro sinistra ha chiesto il voto agli
elettori. Non sul piano economico e sociale. Le robuste dosi di redistribuzione dai ricchi verso i poveri, necessarie per far fronte alle emergenze di chi ha visto in tutti questi
anni diminuire il proprio reddito fino alle soglie della pura sopravvivenza, e di chi ha
perso o non ha mai trovato il lavoro, difficilmente saranno intraprese da un governo
in cui la rappresentanza della destra liberista e dei poteri forti è così ampia. Non lo saranno dal punto di vista etico e morale, perché chi è stato al centro della degenerazione del rapporto politica e affari, anzi ne simboleggia nella sua persona la commistione
inestricabile, è tra i maggiori garanti della tenuta del governo, ne è stato addirittura la
levatrice. Pur tuttavia l’esecutivo c’è e la sinistra, quella di governo e quella di opposizione, non potrà limitarsi ad attendere che cada, ma dovrà darsi delle priorità perché
si innestino anche in questa situazione difficile quegli elementi di cambiamento di cui
il Paese ha bisogno. Potrà farlo se riparte dal basso, dalle aggregazioni di valori e di interessi che in questi anni si sono formate sui territori per far fronte in maniera nuova e
partecipata sia alle emergenze indotte dalla crisi, sia per aprire la strada ad uno sviluppo diverso. Le circa 30mila associazioni per la difesa del territorio e del paesaggio di
cui parla Settis in Azione popolare; i movimenti per la difesa dei beni comuni dalla onnipotenza del mercato; le lotte in difesa del lavoro e per crearne di nuovo, che sia collegato a uno sviluppo rispettoso delle persone e dell’ambiente; le autogestioni a cui si
è dato vita per rispondere ai fallimenti dello Stato e del mercato, queste possono essere la base su cui innestare dal basso la transizione a uno sviluppo sostenibile. I sindaci possono essere gli interlocutori decisivi di questo movimento, a partire dalla costruzione dei nuovi bilanci locali, la cui forma trasparente e realmente partecipata potrà essere il banco di prova fondamentale di questa nuova possibile alleanza tra movimenti e istituzioni. Del resto i Comuni sono stati
in questi anni le istituzioni maggiormente colpite dall’austerity e dallo “stupido” Patto
di stabilità interno, che li ha privati delle risorse per far fronte ai bisogni della parte più
povera della popolazione e per dar luogo agli investimenti che possono, più di ogni altro, creare nuova occupazione in tempi rapidi e certi. Dalle azioni di manutenzione del
territorio e del patrimonio culturale e abitativo, a quelli volti a promuovere la raccolta differenziata dei rifiuti e il risparmio energetico, alla messa in sicurezza degli edifici
scolastici, e alle tante piccole opere su cui può basarsi un’azione di contrasto alla crisi
e insieme l’idea e la pratica di un paradigma economico alternativo.
Superare il Patto di stabilità interno, ridare ai Comuni le risorse per progettare interventi e aprire nuovi spazi di partecipazione, è il primo passo per dare una risposta ai
cittadini, e insieme per provare a colmare quel fossato tra la sinistra e le nuove istanze
di protagonismo dal basso che è forse la causa fondamentale della vittoria mancata.
I movimenti, che in questi anni
hanno fatto le veci della
sinistra istituzionale, sono il
nuovo spazio di socializzazione
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in punta di penna
di Alberto Cisterna
il taccuino
La Terza Repubblica di Pd e Pdl
Con la nascita del governo Letta cade la retorica dell’inciucio. Centrosinistra e centrodestra
hanno orizzonti comuni da almeno vent’anni
È
il più grande inciucio della politica. A occhio e croce è questo il giudizio che circola sul governo Letta. E anche i più convinti sostenitori lo ammettono a denti
stretti: è un matrimonio d’interesse quello tra il Pd e il Pdl e la coppia, sulla carta, non
sembra molto affiatata. Però può anche darsi che, come capita in certi matrimoni d’interesse, l’unione duri. Ed è questo il punto: se il legame che salda Letta e Alfano è fondato su interessi condivisi, allora il governo appena nato è tutto fuorché un inciucio.
Potrebbe leggersi in questa luce la posizione del Quirinale che ha abortito il tentativo
di far passare l’accordo come un “governo di servizio”. Letta ci aveva provato il giorno in cui aveva accettato l’incarico, ma le parole del Presidente sono state nette: questo è un governo politico, in perfetta sintonia con la Costituzione e la prassi repubblicana. Quindi niente governo di scopo, niente governo a termine e men che meno un
governo tecnico. Questo è un “semplice” governo politico. Le parole del Colle sono nitide e pretendono attenzione. Il Presidente tiene a chiarire che lui si è limitato a facilitare l’accordo tra forze politiche giunte allo stremo e prossime al collasso decisionale.
Questo non è, come il precedente, un governo d’emergenza sorretto dal Quirinale, ma
è il frutto di un accordo tra i partiti. Se regge, bene, altrimenti il Presidente è pronto a
staccare la spina. Inoltre non c’è alcuna strana maggioranza pronta, come per Monti, a
farsi carico di uno scarno programma, ma è in vita una coalizione tenuta insieme da precise intese, anche di lungo respiro, leggasi riforme istituzionali.
Ed ecco che spunta il matrimonio d’interesse. Napolitano, marcando con pignoleria questo governo come politico, ha anche segnalato che è in corso
un profondo rassemblement degli interessi e della loro rappresentanza politica. Per meglio dire il Quirinale potrebbe gettare un fascio di luce sul vero inciucio: quello stipulato nella moribonda Seconda Repubblica e in forza del quale centrosinistra e centrodestra si erano sostanzialmente spartiti
la rappresentanza di una parte della società. L’inciucio, per intenderci, che
accreditava il Pdl come nume tutelare delle partite Iva e del ceto produttivo
e vedeva il Pd agire da scudo delle corporazioni del pubblico impiego e delle classi lavoratrici. Per carità è una rozza semplificazione che aiuta, però, a comprendere quanto profonda sia stata la manovra “antinciucio” di Napolitano: siate seri, ciò
che vi unisce è molto più solido di quanto date a intendere. Il governo Letta disvela d’un colpo che centrodestra e centrosinistra hanno in comune, e da tempo, molti più valori e interessi di quanti l’inciucio (un irriducibile, ma condiviso antagonismo bipolare) osasse mostrare. Con la fiducia a Letta si è eretto un recinto entro il
quale stanno le forze costrette ora, per salvarsi, a riformare con moderazione il Paese. Fuori da questo perimetro sono collocati quei soggetti (Lega e Sel, ma non solo) che sono stati aggregati, per anni, ai partiti maggiori per accreditare l’apparenza di una contrapposizione bipolare e per conquistare voti di coalizione. Ora quelle
soggettività marginali che stanno in trincea non sono più necessarie visto che Pdl
e Pd marciano insieme e percepiscono l’incombente minaccia agli interessi che essi unitariamente rappresentano. Per questo tacciare Napolitano di aver favorito inciuci è un errore. Forse il Presidente ha modernizzato la vita politica e ha dato il
via alla Terza Repubblica, in cui Renzi si aggira come la nuova epifania unipolare, e
pressoché incolore, degli interessi strutturali del Paese.
È in atto un
profondo rassemblement
degli interessi
e della loro rappresentanza
politica
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copertina
lo scavezzaColle
di Rocco Vazzana
© monaldo / LaPresse
Una Convenzione
per cambiare la Carta.
E portare il Paese verso
il presidenzialismo. Silvio
Berlusconi si candida al ruolo
di padre costituente. E il Pd
scende a patti col Caimano
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copertina
left.it
© monaldo / LaPresse
S
ilvio Berlusconi vuole passare alla storia come un moderno costituente. L’uomo di Arcore, infatti, si è autocandidato
a guidare la Convenzione che dovrà modificare la
Carta da qui al prossimo anno e mezzo. Portando
a casa magari l’obiettivo più ambizioso: il semipresidenzialismo.
L’idea della Convenzione - una sorta di Commissione bicamerale - nasce dalla fantasia dei saggi,
nominati da Giorgio Napolitano sul finire del suo
primo mandato. Ingabbiato nel semestre bianco, annichilito dalla litigiosità dei partiti, alla fine del marzo scorso il Presidente della Repubblica decide di nominare un gruppo di “facilitatori”,
col compito di individuare possibili convergenze
programmatiche tra le forze politiche. L’ingrata
incombenza tocca a dieci persone, scelte direttamente dal Capo dello Stato, tra tecnici e politici in
quota Pd, Pdl e Scelta civica. Dai pensieri di Giorgio Napolitano resta fuori il secondo partito d’Italia: il Movimento 5 stelle non trova rappresentanza
tra i saggi. I super esperti fanno ciò che possono e
stilano un documento conclusivo da presentare al
Colle. È in quella relazione che viene concepita la
Convenzione. «Il processo di revisione costituzionale, per quanto possibile, deve essere tenuto al riparo delle tensioni politiche contingenti che attraversano quotidianamente la vita del Parlamento e
dei partiti», recita saggiamente il documento consegnato nelle mani di Napolitano. «Per questa ragione, il Gruppo di lavoro propone che la revisione costituzionale si compia attraverso una “Commissione redigente mista” costituita, su base proporzionale, da parlamentari e non parlamentari».
Come dire: visto che la politica non è capace di trovare una sintesi, meglio cambiare la Costituzione
con l’aiuto di personaggi esterni. Nominati da chi?
«L’inserimento di personale non politico modifica
il senso di una Bicamerale», spiega a left Valerio
Onida, già presidente della Corte Costituzionale,
l’unico tra i saggi di Napolitano ad aver espresso
parere contrario a questa proposta. «Il fatto che la
riforma costituzionale venga affidata a un organismo parzialmente esterno è un indebolimento del
Parlamento, l’unico organo cui la Costituzione affida, con speciali maggioranze e con l’approvazione successiva, eventualmente, del referendum, il
potere di modificare la Carta». D’altronde chi oggi
spinge sul pedale del presidenzialismo punta a delegittimare il Parlamento: immobile, bloccato dai
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veti incrociati, terreno di scorribanda dei franchi
tiratori. Un vuoto di potere controbilanciato solo dalla capacità decisionale di Napolitano. A capo del partito antiparlamentare c’è sempre lui: Silvio Berlusconi. Dopo vent’anni di tentativi andati a vuoto, adesso il Cavaliere potrebbe portare a
casa il semipresidenzialismo. Cambiando radicalmente l’assetto istituzionale del Paese.
In apertura, Silvio
Berlusconi
Del resto, il governo Letta è frutto di una complicata mediazione tra interessi particolari, fino
a un mese fa irriducibili, che adesso hanno deciso di remare tutti nella stessa direzione. Ma affinché il governo duri bisogna trattare con Silvio
sulle riforme. Il neopresidente del Consiglio ha
tenuto a sottolineare fin da subito il carattere vincolato del proprio esecutivo: 18 mesi per realizzre le modifiche costituzionali oppure tutti a casa.
Eppure, secondo la Carta, le riforme spettano al
Parlamento e a nessun altro. Oggi però la retorica dell’urgenza è diventata la mannaia con cui
tranciare ogni dialettica e anche sul mandato costituzionale si può soprassedere. In barba all’articolo 138 della legge fondamentale, che recita:
«Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna
Camera con due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione». Da domani
invece sarà la Convenzione a proporre i cambiamenti costituzionali.
La nuova Bicamerale non avrà niente a che fare con le precedenti, visto che potranno parteciparvi anche soggetti esterni al Parlamento. Chi,
da non eletto, potrà far parte della Convenzione
non è dato ancora saperlo. Si sa, invece, che Silvio Berlusconi ha proposto la propria candidatura come guida del futuro organismo di revisione.
L’uomo che sogna il presidenzialismo da sempre.
Del resto, il dibattito su un capo plenipotenziato non appartiene più solo alla destra. Nel Pd ormai se ne discute da anni e Matteo Renzi, in nome
del nuovo che avanza, ha sentenziato un definitivo «sì» all’opzione. Seguito a ruota dal segretario dimissionario Pier Luigi Bersani. Una svolta
probabilmente suggerita anche dall’autorevolezza di Napolitano, che ha dimostrato come un uomo solo sia in grado di prendere scelte difficili.
I membri della Convenzione dovranno confezio17
copertina
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nare un pacchetto di riforme costituzionali da
proporre al Parlamento. Che non potrà nemmeno emendarle: prendere o lasciare. «Il rischio è
che questa Convenzione scivoli verso una riscrittura totale della Costituzione e che si arrivi a un
pacchetto di riforme preconfezionato», continua Valerio Onida. «Secondo me, le riforme costituzionali vanno fatte in modo mirato, così che
l’elettorato - se chiamato a referendum confermativo - possa esprimersi su singole modifiche e
non su un unico pacchetto».
Il Presidente della
Repubblica Giorgio
Napoltano nel giorno
del suo secondo
insediamento. Accanto
a lui il presidente del
Senato Pietro Grasso
E tra le modifiche da proporre potrebbe esserci
il ruolo del Capo dello Stato. «Il progetto che ha in
testa Berlusconi non è una novità, viene da lontano», dice Sandra Bonsanti, presidente di Libertà e
giustizia. «Il tema del presidenzialismo era in voga
già nella Prima Repubblica, arriva da aree molto
oscure della nostra storia, fu tirato in ballo anche
da Craxi. E ora si dice che finalmente si sarebbero create le condizioni. Ma io mi chiedo: Che senso ha? In che cosa cambia la vita degli italiani? Il
presidenzialismo aggiunge solo il rischio rappresentato da un uomo solo al comando». Quando si
tratta con Silvio Berlusconi si sa come si comincia, ma non dove si arriva. «È paradossale. Proprio la persona che più di tutti ha sferrato attac-
© Borgia/ap / LaPresse
I saggi di Napolitano avevano escluso
l’ipotesi presidenziale. Tutti tranne uno:
il Pdl Quagliariello. Nominato non a caso
ministro delle Riforme costituzionali
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chi contro la Costituzione si candida come presidente della Convenzione destinata a modificarla», polemizza la presidente di Libertà e giustizia.
Eppure sul presidenzialismo i saggi si erano
espressi in maniera netta: «Il Gruppo di lavoro ha
ritenuto preferibile il regime parlamentare, ritenendolo più coerente con il complessivo sistema
costituzionale, capace di contrastare l’eccesso di
personalizzazione politica, più elastico rispetto
alla forma di governo semipresidenziale». Tutti
d’accordo dunque, tranne uno: Gaetano Quagliariello. Il saggio in quota Pdl, infatti, aveva avanzato qualche riserva rispetto alla stesura di questa parte di documento. Un motivo in più per
promuovere Quagliariello alla carica di ministro per le Riforme costituzionali del neonato
governo Letta. Non un dicastero a caso. «Presidenzialismo o semipresidenzialismo sono solo parole, bisogna capire che tipo di sistema si
vuole ipotizzare», spiega Valerio Onida. «Io sono per il mantenimento del sistema parlamentare. Anzi, meglio: per la razionalizzazione del
sistema parlamentare. Il sistema costituzionale è basato su equilibri delicati, non bisogna alimentare le personalizzazioni. Eliminare dal sistema il vantaggio di avere una figura super partes sarebbe un grosso regresso». Giudizio condiviso anche da Libertà e giustizia: «Passare al
presidenzialismo significa riscrivere daccapo
tutta la seconda parte della Costituzione», dice
Sandra Bonsanti. «Così si salverebbero giusto i
principi fondamentali, i diritti e i doveri dei cittadini e poco altro. Ma nella seconda parte della
Costituzione c’è tutto: la forma di governo, l’autonomia della magistratura, la giustizia, la Corte costituzionale. Tutti campi su cui Berlusconi, negli ultimi vent’anni, ha sempre attaccato
violentemente. E su cui adesso il Cavaliere vorrebbe dire la sua con un pacchetto di riforme».
Secondo Libertà e giustizia, il presidenzialismo
in realtà è solo un modo per alzare la temperatura della discussione a un livello tale da far saltare il dialogo. «Chi parla di presidenzialismo»,
conclude Sandra Bonsanti, «non pensa allo
scontro che si creerebbe nel Paese tra gli informati e i non informati. Perché è bello e facile fare demagogia sull’elezione diretta del Presidente, senza fornire ai cittadini gli adeguati strumenti per giudicare nel merito».
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copertina
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© hubrick/ flickr
Giorgio Napolitano è il quinto Capo di Stato più anziano
al mondo. Nella classifica dei più longevi spiccano re,
regine e dittatori. E qualche salvatore della patria.
Ma il confronto con le elezioni sarebbe impietoso.
Ritratto di un potere che non sente l’età
Vecchi
in poltrona
di Paola Mirenda e Cecilia Tosi
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V
ecchio, in politica, non è bello. Sono una
trentina i capi di Stato e di governo nati prima della Seconda guerra mondiale, quasi mai divenuti celebri per i loro meriti. Anzi. Tralasciando i regnanti - a cui viene riservato un
ruolo quasi onorifico, come alla britannica Elisabetta II (87 anni compiuti il 21 aprile)- gli altri anziani al potere possono a buon titolo rientrare nella categoria degli aficionados alla poltrona, quando non
sono veri e propri dittatori. Difficilmente gli ultra
ottantenni arrivano al vertice per libera scelta del
popolo che governeranno: nella classifica dei dieci
più longevi capi di Stato, nemmeno uno è stato direttamente - e democraticamente - eletto. O ci sono
finiti per linea ereditaria, come la stessa Elisabetta
e Abdullah dell’Arabia Saudita, e non si decidono
ad abdicare nemmeno quando i figli sono diventati a loro volta nonni. Oppure sono stati nominati dal
Parlamento in omaggio al loro prestigio (l’israeliano Shimon Peres) o alla loro capacità di rappresentare un punto di equilibrio in una situazione difficile, come successo al greco Karolos Papoulias, eletto nel 2005 a 76 anni. Oppure, infine, hanno fatto un
colpo di Stato da giovani, e poi si sono talmente affezionati alla suite presidenziale da non andarsene
più. Invecchiando con il loro scettro.
Shimon Peres (90 anni)
Adesso è lui il primo della lista. Le dimissioni a gennaio di Sir Cuthbert
Sebastian, governatore di St.Kitts e
Nevis, hanno fatto di Shimon Peres il più anziano Capo di Stato al mondo. Sir Sebastian aveva
91 anni, il presidente israeliano ne ha uno di meno. Quando è entrato in politica era un giovanotto
quarantenne con una carriera militare alle spalle:
è stato negli anni ministro (Esteri, Trasporti, Finanze), premier, Premio Nobel per la pace e ora
presidente. Essere così famoso, però, non gli è
servito a nulla di fronte agli addetti della compagnia di bandiera El Al, che lo scorso anno voleva
fargli pagare un sovrapprezzo di 5mila dollari per
imbarcare la sua bombola di ossigeno. Non che
il presidente ne abbia bisogno, ma è quanto prevede il protocollo in caso di viaggi all’estero. Così
Peres ha preferito volare con Air Canada, più disponibile con l’ingombrante bagaglio.
Il pragmatismo di Peres è la caratteristica che
gli è valsa il ruolo di presidente, una figura che
serve a fare da contrappeso al primo ministro
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Netanyahu, sempre più spostato a destra. Peres gli sta alle costole per evitare al Paese di fare
brutte figure all’estero, bilanciandone l’aggressività con la sua attitudine alla mediazione. Come sa bene Barack Obama, che lo scorso anno
litigava con Netanyahu sulle colonie illegali in
Palestina mentre premiava Peres con la Medal
of freedom, la più alta onorificenza Usa.
Robert Mugabe (89)
Nel 2008 ha rischiato di dover lasciare la sua carica nel mezzo di una crisi senza precedenti. Ma nonostante
pressioni internazionali, sanzioni e critiche, Robert Mugabe non ha ceduto. A 89 anni il presidente dello Zimbabwe è più in forma che mai e governa il Paese senza stancarsi di un potere che tiene in pugno dal 1980. Però qualche rimpianto lo
ha anche lui. Dice di sentirsi «solo», ora che tutti i presidenti africani suoi coetanei sono morti.
«Non c’è più nessuno con cui condividere i ricordi
di quando andavamo in bicicletta dietro alle donne nel 1950», ha detto in un’intervista in occasione del suo compleanno. Ma non basta a intenerirsi: Mugabe non è il prototipo del vecchio nonno.
Per i suoi metodi dittatoriali dal 2002 è “persona
non grata” nella Ue e negli Usa. Unica deroga, la
partecipazione a iniziative dell’Onu e a quanto pare anche del Vaticano, visto che Francesco I se l’è
trovato davanti alla cerimonia di intronizzazione.
Educato dai gesuiti, poi diventato marxista, Mugabe non tiene al meglio i conti del suo Paese: a
gennaio il ministro delle Finanze ha annunciato
che, dopo aver pagato gli stipendi ai funzionari
della Pubblica amministrazione, sul conto del Tesoro restavano solo 247 dollari.
Abdullah bin Abdulaziz
Al Saud (89)
Il suo nome per esteso sarebbe composto da 7 cognomi, tanti quanti gli
avi di cui va fiero. Eppure la famiglia del re saudita
non vanta un’eredità diretta con Maometto, come
la dinastia rivale degli Hashemiti, che governano
in Giordania ma persero la guerra contro i Saud alla Mecca, facendo nascere l’odierna Arabia Saudita. Sono antiche le radici del potere di Abdullah, e
sono sempre vecchi i re d’Arabia perché il trono si
passa tra fratelli e non ai figli. E dire che di prole ne
ha: 22 tra maschi e femmine avuti da 4 mogli diver4 maggio 2013
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copertina
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I più anziani
1) Shimon Peres
Israele, 90
2) Robert Mugabe Zimbabwe, 89
3) Re Abdullah
Arabia Saudita, 88
4) Girma W. Giorgis
Etiopia, 88
5) Giorgio Napolitano Italia, 87
6) Regina Elisabetta II
Gran Bretagna, 87
7) Abdul Halim
Malaysia, 86
8) Re Bhumibol Adulyade Thailandia, 86
9) Kim young-nam
Nord Corea, 85
10) Arthur Foulkes
Bahamas, 85
11) Karolos Papoulias Grecia, 84
12) Raul Castro
Cuba, 82
13) Colville Norbert Young Belize, 81
14) Manmohan Singh India,81
15) Jalal Talabani
Iraq, 80
se. Saranno in tanti a spartirsi i suoi risparmi, ma
considerando che ammontano a 18 miliardi di dollari (è il capo di Stato più ricco del mondo) se ne
faranno una ragione. Soldi e potere non gli bastano e se potesse vorrebbe anche telecomandare gli
uomini. Secondo WikiLeaks avrebbe infatti suggerito di liberare i prigionieri di Guantanamo per poi
inserire loro un microchip e seguirli “come cavalli da corsa”. Il suo successore è il 77enne principe
Salman, ma Abdullah potrebbe cambiare idea in
ogni momento. Questa settimana ha rimpiazzato
il viceministro alla Difesa senza spiegare a nessuno il perché. Badare agli intrighi di corte lo aiuta a
mantenere una sorprendente lucidità.
Raul Castro (82)
È presidente del Consiglio di Stato
e di quello dei ministri, comandante
delle Forze armate e segretario del
Partito comunista. Il leader cubano non bada a
regolare l’accumulazione delle cariche. Arrivato
alla terza età può finalmente sfogare le frustrazioni di una vita da mediano. Il fratello maggiore
Fidel (87 anni) era più bravo a scuola, più valente
nella Sierra Maestra e più portato come Capo di
Stato. Raul ha dovuto aspettare che il Líder máximo si ammalasse per prendere il suo posto, ma
non potrà mai liberarsi del suo mito. La sua idea
di rinnovamento è un graduale piano di apertura
al libero mercato, partito nel 2008 con l’autorizzazione dell’acquisto del microonde.
Manmoahn Singh (80)
Diventato famoso come ministro
delle Finanze all’inizio degli anni
Novanta, Singh è stato fuori dai palazzi fino al 2004, quando è stato ripescato da Sonia Gandhi. La leader del Congress, il partito pro-
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gressista, ha vinto le elezioni ma ha preferito passare il testimone a un tecnocrate, che non aveva
mai partecipato alle elezioni. Singh ottiene successo e nel 2009 viene confermato, come prima di
lui era riuscito solo a Jawaharlal Nehru, il padre
di Indira Gandhi. Nel suo primo mandato ha conquistato popolarità grazie al suo atteggiamento serio e molto sobrio. Basti pensare che guidava una
Maruti 800, un’utilitaria che in quegli anni in India
era come la Punto in Italia. Ora, però, viene considerato debole, troppo tentennante e incapace di
contrastare vari scandali di corruzione. La giovane popolazione urbana delle megalopoli indiane
chiede il rinnovamento e non lo trova in Singh, che
si sforza di usare parole come flash mob e twitter,
ma mostrando un evidente disagio. Il figlio di Sonia - Raul, 42 anni - è già pronto a sostituirlo.
Jalal Talabani (80)
Ha aspettato così tanto per governare che ora non gli è possibile smettere. Il curdo Jalal Talabani, presidente
dell’Iraq, non ha mollato la presa nemmeno dopo
l’ictus che lo ha colpito a dicembre, né i suoi colleghi in Parlamento se la sono sentita di decretarne le dimissioni, nonostante il coma. A quasi ottant’anni Talabani rappresenta ancora per i curdi
iracheni l’eroe della resistenza, combattuta prima
contro la monarchia poi contro Saddam. Difficile
farne a meno, anche perché la sua presenza serve
a garantire la difficile convivenza tra le tre anime
dell’Iraq. Ma in quanto a potere effettivo, Talabani non ne ha affatto, e non solo perché da più di tre
mesi la sua residenza è in un ospedale di Berlino.
Il suo è un ruolo quasi onorifico: la vera autorità è
saldamente nelle mani del premier Nuori al Maliki, che non ha nessuna intenzione di cederla. Anche perché ha solo 63 anni.
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politica
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Attenti ai Lupi
di Manuele Bonaccorsi
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politica
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© Medichini/ap
A
Dietro le larghe intese,
il nuovo governo ha due anime.
Da una parte i fautori delle
piccole opere, dall’altro i fan
del cemento. A partire dal
neoministro dei Trasporti.
Su tutti vigilerà Saccomanni,
tecnico in quota Draghi
left 4 maggio 2013
dispetto del tono sommesso del premier
e delle sue tanto lodate doti di mediatore, nel Consiglio dei ministri ci sarà da litigare. Non solo sul salvacondotto di Berlusconi,
sulle riforme istituzionali, sulla promessa di restituire l’Imu. Ma proprio sull’economia, la missione più delicata del neonato esecutivo. L’obiettivo è
condiviso: far riprendere la crescita senza allentare il controllo dei conti pubblici. Sì, ma come?
Due le possibili correnti dentro il “governo di servizio”. Da un lato l’asse dei ministri Trigilia-Del
Rio-Zanonato, fautori di un modello di sviluppo
territoriale, basato su piccoli lavori e piccole imprese. Dall’altro Maurizio Lupi, il ciellino del Pdl,
strenuo difensore delle grandi opere e del cemento. Solo, ma non isolato. Perché la divisione dentro l’esecutivo è molto più sfocata di quanto possa sembrare: non Pd contro Pdl, troppo facile. Gli
azionisti di maggioranza del governo sono i democratici: al plurale, non è un caso.
«Sei un piccolo gerarca». Così la deputata ambientalista trevigiana Laura Puppato ha definito il suo
conterraneo Flavio Zanonato, sindaco di Padova,
a latere di una recente direzione del Pd. Tra i due
non corre buon sangue. Convinta sostenitrice dello sviluppo sostenibile, la coraggiosa Puppato ha
recentemente rotto la granitica unità del Pd sul sì
alla Tav. Il secondo, neoministro dello Sviluppo
economico, primo cittadino di ferro del capoluogo scaligero, è invece un fautore delle grandi opere: «Corridoio 5: per Puppato quello che va bene
in tutta Europa, in Italia è sbagliato. Cosa non si
fa per avere visibilità e consenso», ha affermato il
primo cittadino, litigando su twitter con la collega. D’altronde Zanonato il modello grandi opere lo
mette in pratica nella cittadina veneta. Il sindaco
ha varato la scorsa estate un progetto mastodontico: 180 milioni di euro in tre anni per autostrade metropolitane, parcheggi, un auditorium e un
nuovo palazzo congressi. Quasi tutto in project financing, coinvolgendo le immancabili coop (nelle quali, molti anni fa, il neoministro ha lavorato).
Ma la scelta del bersaniano-sviluppista Zanonato
assume una colorazione ben diversa se il suo nome viene collocato accanto al professor Carlo Trigilia, siracusano, docente di Sociologia a Palermo, esperto e convinto sostenitore dello sviluppo locale. Come Fabrizio Barca, suo predecessore alla poltrona della Coesione territoriale, Trigilia è un convinto sostenitore di un modello di svi-
In apertura, Roma,
29 aprile, Montecitorio,
il voto di fiducia
al nuovo governo
23
politica
© Monaldo/lapresse
left.it
Maurizio Lupi (Pdl),
titolare dei Trasporti
e delle Infrastrutture.
Nella pagina accanto,
il neoministro Gaetano
Quagliariello con
Angelo Bagnasco,
presidente della Cei
luppo che si basa sulle piccole opere, sul rapporto con gli Enti locali, sulla contrattazione territoriale. In questo è molto vicino, di certo, al sindaco
di Reggio Emilia Graziano Del Rio, combattivo capo dell’Anci, in rivolta contro il Patto di stabilità
interno. Ossia quel meccanismo infernale che impedisce di spendere soldi per le piccole opere utili: dal marciapiede alla scuola materna, dal centro
anziani allo scuolabus. Anche Zanonato è d’accordo: «Occorre allentare il Patto di stabilità, in modo
da consentire ai Comuni di avviare tante piccole
opere pubbliche, che renderanno più moderne le
nostre città e creeranno lavoro», ha dichiarato il
sindaco padovano, dopo il primo parziale sblocco
dei pagamenti arretrati della Pa.
La ricetta del titolare del Tesoro: tagli
alla spesa pubblica per ridurre le tasse
Zanonato, insomma, appare un po’ una via di
mezzo. Metà fan sfegatato della Tav, metà sindaco morigerato. Su Maurizio Lupi, ministro delle Infrastrutture, ex capogruppo del Pdl alla Camera,
ciellino, ex assessore meneghino all’Urbanistica,
non ci sono dubbi invece. Lui sta dalla parte del
cemento. Basta dare un occhio ai giornali specialistici dei costruttori: tutti lì a fare il tifo per Maurizio, sicuro difensore di Tav, pedemontane, variati di valico, autostrade, tunnel, ponti sullo Stretto.
Lupi, d’altronde, all’inizio della sua carriera è noto per il tentativo di modificare l’antica legge urbanistica del 1942. Legge vecchia e fascista, certo.
Ma Lupi proponeva di metterci proprio una croce sopra: via gli standard urbanistici, centralità alla contrattazione coi privati, sostanziale cancellazione del ruolo del Piano regolatore. Il tatcherismo del cemento fu bloccato in Senato, dopo una
prima approvazione bipartisan alla Camera dei
deputati, nel 2005. L’obiettivo, però, può dirsi sostanzialmente raggiunto, col modello di urbanistica di rito ambrosiano, tutto basato sulla contrattazione coi costruttori, messa in campo proprio da
24
Lupi e Formigoni, con le speculazioni milionarie
sulla zona fieristica milanese. Una curiosità: Lupi
è tuttora consigliere di amministrazione di Fiera
Milano Congressi spa, che controlla il Mico, il centro congressi più grande d’Europa, e lo Stella Polare, costruito nella nuova zona fieristica di Milano.
Su un altro tema centrale del dibattito politico
economico, invece, c’è poco da discutere. Con la
Lega e Sel fuori dalla maggioranza, sarà impossibile trovare un parlamentare di maggioranza fautore dell’acqua pubblica. E anche sulle privatizzazioni, l’attuale premier ha le idee chiare: destò scandalo nel Pd, qualche mese fa, proponendo la vendita delle quote pubbliche di Eni, Enel, Finmeccanica, Fincantieri. Tra gli applausi di mezzo Pdl.
Su tutti, in ogni caso, vigilerà il ministro
dell’Economia Fabrizio Saccomanni, tecnico nominato in quota Mario Draghi. Dell’ex presidente
di Bankitalia, ora promosso in Bce, infatti, Saccomanni è stato per anni il più fido collaboratore, nel
ruolo di direttore generale di palazzo Koch. Tanto che Draghi lo voleva come successore, suscitando le ira dell’allora capo del Tesoro Giulio Tremonti, che gli preferì Ignazio Visco. Attento conoscitore degli ambienti finanziari internazionali (fa
la spola tra Roma e New York) e di quelli diplomatici europei (è uno degli estensori del trattato di
Maastricht), contrario agli eurobond, Saccomanni è una cassetta di sicurezza per la correttezza dei
conti pubblici. Qui sta il vero problema: Letta propone un elenco di misure molto costose. La riduzione dell’Imu e delle tasse sul lavoro, interventi
sulle scuole, lo sblocco del Patto di stabilità, il rifinanziamento della Cig. E ancora, politiche industriali, incentivi ambientali e alle assunzioni.
Un libro dei sogni: servirebbero miliardi. Saccomanni propone sul Sole 24 ore di trovarli dai tagli alla spesa pubblica. «Per migliorare le cose
basta una ricomposizione del bilancio pubblico,
un contenimento della spesa corrente. A queste
condizioni, nel rispetto dei vincoli europei, c’è un
margine per ridurre le tasse». Non sarà una missione facile. A meno che non si sblocchino i diktat sui conti pubblici dell’Europa. Dove l’Italia è
l’unico Paese ad aver perseguito il pareggio di bilancio. L’uscita dall’era dell’austerity per ora è solo una speranza. Sarà in grado Letta di renderlo
realtà, senza rompere con l’irremovibile Germania? E per far cosa, asili o autostrade?
4 maggio 2013
left
politica
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L’agenda bioetica
che piace alla Chiesa
di Simona Maggiorelli
Quagliariello, Lorenzin e Lupi protagonisti di crociate per impedire la libertà di scelta sul fine vita e per
mantenere la Legge 40. «Disumana», secondo Strasburgo. Ma anche Letta disertò il referendum del 2005
«E
luana non è morta, è stata ammazzata» si mise a gridare il vicepresidente vicario dei senatori Pdl, Gaetano Quagliariello, quando in Aula si diffuse la notizia che Eluana Englaro aveva cessato di “vivere” quella sua esistenza artificiale, solo biologica,
resa possibile dalle macchine, dopo quel terribile
incidente di 17 anni prima. Le parole del neo ministro delle Riforme allora - era l’8 febbraio 2009 dettero la stura a un vociare «assassini!», «assassini!» che si levò dai banchi del centrodestra rivolto
a quelli dell’opposizione. Quella scena indecente,
avvenuta a Palazzo Madama, si può ancora vedere su youtube. Ed è stata massicciamente rilanciata in rete, a mo’ di eloquente commento alla scelta
del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di nominare Quagliariello fra i suoi 10 saggi. Di
più ha fatto Enrico Letta, che incaricato da Napolitano di formare il nuovo governo, l’ha messo nella sua squadra di ministri. Da Oltretevere ringraziano. Non solo per la nomina di Quagliariello, ma
anche per quella di una compatta flotta di ex Dc,
margheritini, popolari europei, ciellini (almeno
tre: Lupi del Pdl, Mauro di Scelta civica e Zanonato del Pd) che ora figura nella compagine di governo. Tutti cattolici praticanti e convinti, come il premier Pd Enrico Letta, che essere credente non sia
un fatto privato. E che anzi, la fede debba improntare le scelte politiche e legislative, specie quando si parla di bioetica e di questioni “eticamente
sensibili”. Ovvero, fuori dal gergo confessionale,
di diritti civili, questioni che toccano direttamente
la vita dei cittadini. Temi come la fecondazione assistita, l’aborto, la contraccezione, le unioni civili,
il fine vita sui quali gli italiani dimostrano di avere opinioni molto più laiche e progressiste dei loro governanti. Come si evince da vari studi. A cominciare dal rapporto 2013 sulla secolarizzazione
left 4 maggio 2013
© STEFANINI/imagoeconomica
in Italia stilato da Critica liberale e da Cgil nuovi
diritti per arrivare all’ultima indagine Eurispes da
cui emerge che il 77,2 per cento degli italiani sono
per le coppie di fatto, il 79,4 è contro la Legge 40 e
il 77,3 per cento vuole il testamento biologico.
Una realtà che appare lontana anni luce dalla “Weltanschauung” del docente di Storia della Luiss, ex Radicale ed ex consigliere di Marcello Pera ai tempi della difesa delle radici cristiane
dell’Europa, al quale ora è affidato il delicato ministero delle Riforme. Basta ricordare qui che dopo
quell’episodio indecoroso in Aula, Quagliariello,
solidale con il fronte più talebano del centrodestra
(Sacconi, Giovanardi, Binetti, Volonté, Roccella e
il neo ministro Maurizio Lupi) strumentalizzò il caso di Eluana per cercare di far passare in fretta e
furia una legge sul fine vita che, così come è trac25
politica
left.it
ciata nel ddl Calabrò, cancella ogni possibilità da
parte dal malato, se cade in stato di incoscienza, di
rifiutare trattamenti medici come alimentazione e
idratazione artificiale. A prescindere dalle scelte e
dalle convinzioni espresse da quella stessa persona durante la sua vita.
Per fortuna, non produssero gli effetti desiderati dal centrodestra il pressing e le molte audizioni,
organizzate, non con medici e specialisti, ma con
attivisti vicini alla Chiesa e personaggi di richiamo
come, ad esempio, l’attore Alessandro Bergonzoni. Così il tentativo del governo berlusconiano di
imporre una legge sul fine vita che recepisse i diktat del Vaticano si arenò. E il ddl Calbrò finì in un
cassetto. Fino alla scorsa legislatura, quando - con
una specie di blitz - il Pdl riuscì a riportarlo in Aula.
Riscuotendo il plauso dei cattolici dell’Udc, della
Lega e del Pd. In questo contesto da bagarre ideologica come si è mossa la deputata pidiellina Beatrice Lorenzin ora alla guida del ministero della
Salute? Pur evitando i toni facinorosi si è sempre
dichiarata in linea con l’agenda della bioetica stilata da Sacconi e caratterizzata da prese di posizione antiscientifiche e dogmatiche su temi come il fine vita, l’aborto, la Ru486, la Legge 40 fondata sul
concetto antiscientifico secondo cui l’embrione
sarebbe persona. Nel 2010, per esempio, quando
i cosiddetti “cattolici democratici” del Pd si dissero pronti ad accogliere l’appello di Sacconi in difesa dei “temi etici” Lorenzin ebbe a dire che «l’agenda biopolitica», segnava «un’intesa trasversale».
«Su questi temi fondamentali - aggiungeva Lorenzin - c’è una evidente maggioranza pro life pronta ad esprimersi dal biotestamento alle forme di
aborto farmacologico». Inutile dire che in un Paese come l’Italia dove, a causa di percentuali vertiginose di medici obiettori (sfiorano mediamente
il 90 per cento) la Legge 194 è largamente disapplicata, un ministro della Salute, che non è medico e
difende posizioni pro life certo non fa ben sperare.
Riguardo alla fecondazione assistita, poi, Lorenzin
ha detto che «la Legge 40 non va cambiata». In barba alle sentenze dei tribunali italiani che dal 2005 a
oggi hanno fatto cadere tutti i divieti più ideologici
contenuti nella legge e nonostante il recente verdetto, ribadito anche in appello, della Corte Europea di Strasburgo che giudica la Legge 40 lesiva di
diritti umani. Una posizione sbilanciata sulle posizioni del Vaticano quella di Lorenzin che fa il paio
con quella del neo premier Letta, ex scout, cresciuto all’oratorio, nonché nipote del pidiellino Gianni
gentiluomo del papa e assiduo frequentatore delle stanze del potere in Vaticano. All’epoca del referendum per abrogare i punti più dannosi della Leg-
© De Grandis / lapresse
Vedi Napoli
e poi voti
di Nello Trocchia
Berlusconi è indagato per corruzione nel caso De Gregorio.
I suoi soldi sono finiti nelle mani di soggetti vicini ai clan.
E a Scampia l’ex Idv fece il pieno di voti
«S
curdammec o’ passate». «Dimentichiamoci il passato» sembra lo slogan migliore per omaggiare il nuovo governo delle larghe intese, targato Pd-Pdl. Ma proprio da Napoli, la cui Procura indaga su una presunta compravendita di senatori, arriva il più grave rischio per il
Cavaliere (e forse per il governo che ha benedetto).
Nell’inchiesta della procura napoletana Berlusconi
è indagato per corruzione e finanziamento illecito ai
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partiti. Avrebbe comprato l’allora senatore Sergio De
Gregorio per la cifra di 3 milioni di euro come lo stesso ex Idv ha messo a verbale. L’obiettivo era quello di
far saltare il governo Prodi. Negli atti si legge che i soldi di Berlusconi transitati per i conti di De Gregorio siano finiti, all’insaputa del Cavaliere, a «soggetti vicini a
un’associazione camorristica operante nell’area napoletana». L’inchiesta punta ad approfondire contatti e rapporti tra il senatore Sergio De Gregorio e settori
4 maggio 2013
left
politica
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Emma e l’Ogm
ge 40 Enrico Letta fece suo l’appello del cardinale Ruini che consigliava di disertare il voto e andare al mare. Scavalcando a destra i cattolici Pd Dario Franceschini (neo ministro dei rapporti con il
Parlamento) e Rosy Bindi che, invece, andò a votare no. I sì ai quesiti abrogativi posti dal referendum furono circa 10 milioni. Ma l’astensionismo
propagandato massiciamente dalla Cei determinò
il fallimento del referendum che non raggiunse il
quorum. Con grande giubilo dell’allora esponente
del Pdl Maurizio Lupi (neo ministro dei trasporti e
delle infrastrutture), paladino cattolico dei «valori
non negoziabili» e che negli anni non ha mai smesso di ripetere che la «la vita va tutelata fin dal concepimento». Anche quella dell’embrione, anche
quella dello zigote. Da vicepresidente Pdl alla Camera, quando a fine agosto 2012 il governo Monti
annunciò di voler presentare ricorso contro la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo (ricorso poi
perso) disse «non si possono lasciar prevalere né
le semplificazioni dei giudici (sic!), né le ideologie
dei cultori dell’eugenetica». Tali sarebbero secondo il ministro Lupi quei genitori portatori di malattie genetiche oggi incurabili che si rivolgono alla
fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto
per avere un figlio che non sia condannato a soffrire e a morire in poco tempo.
del crimine organizzato. Di rilievo anche i flussi elettorali che diventano una spia importante per capire dove
si pescavano i voti. L’inchiesta ha preso avvio proprio
da alcuni assegni dell’ex senatore che furono trovati a casa di un contrabbandiere vicino al clan Nuvoletta. La Finanza ha poi ricostruito la genesi di Italiani nel
mondo di De Gregorio. Che, secondo l’inchiesta, è un
gruppo societario dedito alle false fatturazioni e al riciclaggio, che ha movimentato milioni di euro. I pm Curcio, Milita, Piscitelli, Vanorio e Woodcock, coordinati
dall’aggiunto Francesco Greco, hanno emesso, a fine
marzo, tre avvisi di conclusione indagine per l’ex senatore, Walter Lavitola e Silvio Berlusconi, per concorso in corruzione. Ma c’è l’altro filone di indagine che riguarda i presunti rapporti di De Gregorio e
la criminalità organizzata che merita attenzione. left
ha già ricostruito i soci dell’ex senatore e le ombre di
camorra, ma risulta utile rileggere anche i consensi ottenuti nei quartieri a maggior rischio. Nel 2006
l’Idv cala l’asso al Senato. Sergio De Gregorio, dopo
left 4 maggio 2013
Ai tempi di Bush Emma Bonino piaceva molto
al dipartimento di Stato americano. Lo rivelano
i cablogrammi di WikiLeaks, dai quali emerge
che il neoministro degli Esteri era l’unica figura
gradita tra tanti esponenti di governo non in linea
con le posizioni della Casa Bianca. Quando, nel
2006, Bonino viene scelta da Prodi per la carica
di ministro del Commercio estero, Washington la ritiene un valido alleato all’interno di un esecutivo considerato poco amichevole, guardato
con sospetto per le dichiarazioni contrarie alla dottrina Bush sull’esportazione della democrazia e alla guerra in Iraq. Secondo i cablo di WikiLeaks Emma Bonino piace perché è l’unico esponente del Consiglio
dei ministri che si esprime a favore dell’entrata delle biotecnologie
made in Usa nel settore agroalimentare, in particolare degli Ogm della
Monsanto. Nel 2007, infatti, l’ambasciatore Usa a Roma rende noto al
governo Prodi il fastidio per la «mancanza di progressi nell’introduzione
di prodotti agricoli biotech nel mercato della Ue». L’obiettivo è sbloccare l’entrata dei prodotti transgenici in Italia. Dal ministero del Commercio Estero rassicurano l’ambasciatore Spogli: Emma Bonino sta operando per l’ingresso in Italia dei prodotti targati Monsanto, nonostante
«l’opposizione degli altri ministri italiani che non sono in accordo e
stanno lavorando per bloccare le approvazioni» necessarie all’ingresso
del biotech. La collaborazione con l’amministrazione Bush si sviluppa
anche su altri nodi chiave della politica estera. Sull’Iraq, fa notare già
nel 2005 Spogli al segretario di Stato Condoleeza Rice, Emma Bonino
ha dichiarato di essere contraria al ritiro: «Andarcene significherebbe
mettere il Paese nelle mani dei cacciatori di teste e della guerra civile».
Con questa dichiarazione, afferma soddisfatto Spogli, «la componente
riformista della coalizione di centrosinistra si è pubblicamente spostata verso una politica che è praticamente indistinguibile da quella del
governo Berlusconi».
Siria Guerrieri
l’addio a Forza Italia e il breve passaggio in Democrazia cristiana per le autonomie, si candida con Antonio Di Pietro. Consultando il database disponibile
sul sito del Comune di Napoli, si evidenzia come l’Idv
al Senato registri un risultato più che apprezzabile
sia a Secondigliano che a Scampia. Il capolista era
Sergio De Gregorio. In quell’area, dove forte è l’influenza del clan, l’Idv ottiene oltre 1.400 voti, quasi il
10 per cento di quelli raccolti nell’intera città. Il tutto
potrebbe essere anche frutto del caso, ma racconta
le radici elettorali di quel notevole consenso.
Appena eletto, nel 2006 De Gregorio andò ospite in una
manifestazione che vedeva tra le celebrità canore anche
Rita Siani, moglie del boss di Secondigliano Tommaso
Prestieri, camorrista e impresario musicale, oggi pentito.
Siani, artista da anni sulla scena canora partenopea, fu
anche la testimonial per l’associazione Italiani nel mondo a Las Vegas nel corso dei festeggiamenti di San
Gennaro. Da Napoli il passato riemerge, difficile dimenticarlo nonostante gli sforzi del governo bipartisan.
Sergio De Gregorio,
ex senatore Idv,
oggi sotto inchiesta.
In alto, Emma Bonino,
neoministro degli Esteri
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inchiesta
gladio e il
principato
di Celine Torrisi
© Archiv Revue
È cominciato da pochi mesi il processo per le bombe esplose
in Lussemburgo dall‘84 all’86. Due gendarmi gli imputati. La difesa chiama
in causa la rete Stay Behind e ricorda che Gelli in quegli anni si trovava
nel Paese. Un testimone parla del coinvolgimento della stessa
organizzazione anche nella strage di Bologna
4 maggio 2013
left
© 123 RF
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inchiesta
C’
è un processo nel piccolo Stato di Lussemburgo, al confine tra
la Germania, il Belgio e la Francia che sta facendo tremare l’intera Europa. Viene considerato “il processo del secolo” e viene
chiamato indifferentemente o il “Processo fiume” o “Caso Bommeleeër” (in italiano potrebbe
essere tradotto: “Il caso del seminatore di bombe”). Inspiegabilmente di questo processo nella
grande stampa italiana non è apparso quasi nulla, eppure potrebbe portare nuove informazioni
su alcune delle stragi più gravi avvenute in Italia e in altri Paesi europei: in particolare un testimone di questo processo racconta che la persona che aveva organizzato gli attentati in Lussemburgo era un membro della struttura “Stay
Behind” e aveva partecipato anche all’organizzazione della strage alla stazione di Bologna.
Vediamo di capire come si arriva a queste dichiarazioni.
Il 25 febbraio scorso sono iniziate le udienze del
processo contro i responsabili degli attentati che
poco meno di 30 anni fa, in Lussemburgo proprio
alla vigilia delle elezioni legislative del 1984, avevano colpito i tralicci della rete elettrica e alcuni
impianti di gas. Non furono attentati solo per sabotare delle strutture produttive ma anche per
colpire luoghi simbolici come chalet per le vacanze, una caserma della gendarmeria, alcune installazioni per telecomunicazioni, una piscina olimpica, il palazzo di giustizia, la sede di un giornale, il
summit europeo nel Kirchberg ecc. Avvennero anche attentati contro la polizia e contro le strutture
per la sicurezza stradale, infine attentati contro la
casa del notaio Camille Hellinckx e del colonnello
Wagner. Tutti questi attentati per un miracolo non
provocarono morti ma solo cinque feriti. Poi misteriosamente, come erano iniziati, nel marzo del
1986 gli attentati terminarono.
Sul banco degli imputati per questi attentati,
siedono due agenti del reparto mobile della gendarmeria, Marc Scheer di 58 anni e Jos Wilmes di
56 anni. Entrambi sono accusati di tentato omicidio, di lesioni corporali volontarie, violazione della legge sulle armi e sulle munizioni, danni alla rete elettrica e del gas. Per valutare i fatti sono stati
chiamati 90 testimoni, 60 dalla procura e 30 dalla
difesa. Tra questi, c’è anche l’ex primo ministro ed
ex presidente dell’Eurogroup, Jean-Claude Jun-
© 123 RF
left 4 maggio 2013
cker, il suo predecessore, Jacques Santer, già presidente della Commissione europea e il fratello
del gran duca del Lussemburgo.
Nel primo giorno del processo, gli avvocati degli imputati, Gaston Vogel e Lydie Lorang, hanno
chiesto l’annullamento del processo per un vizio di procedura: sarebbero scomparse più della
metà delle prove già raccolte su alcuni attentati
e questo costituirebbe una violazione non indifferente dei diritti della difesa in quanto, secondo gli avvocati, si sarebbero potuti riscontrare
elementi a favore dell’innocenza dei due imputati. La misteriosa sparizione è stata confermata
dal cosiddetto “testimone G”, che all’epoca dei
fatti dirigeva la squadra incaricata dell’inchiesta. L’ufficiale ha dichiarato che sono inspiegabilmente scomparse tutte le prove che aveva allegato al dossier sulla bomba contro un traliccio
elettrico, esplosa a Itzig nel 1985.
Tutti i sospettati dalle indagini precedenti sono stati scartati dai giudici: il Principe Jean, Ben
Geiben, il super 007 imputato all’epoca dei fatti, i
clienti della Cegedel (compagnia elettrica lussemburghese), la banda “Waldbilig”, la Raf (Rotte arme faktion) e infine i Comunisti combattenti belgi (Ccc). I magistrati non hanno creduto a queste
piste ma si sono indirizzati verso una pista interna, considerando l’addestramento militare necessario per maneggiare gli esplosivi utilizzati, e
le informazioni necessarie per colpire con successo la gendarmeria, così come quelle necessarie per l’attentato di Itzig dove è stato colpito l’unico traliccio non sottoposto a videosorveglianza. Dunque l’ipotesi ritenuta più interessante dai magistrati è quella che abbia operato una
organizzazione di “insider” costituita dagli stessi gendarmi. Secondo la procura, i responsabili degli attentati sarebbero stati alcuni gendarmi
per creare un sentimento d’insicurezza diffusa
in modo che le autorità aumentassero l’organico
delle forze dell’ordine. Una sorta di strategia della tensione. Ecco i motivi per i quali, a ritrovarsi
sul banco degli imputati, sono proprio i due gendarmi Marc Scheer e Jos Wilmes.
In risposta a questa ipotesi dell’accusa, l’avvocato degli imputati Vogel ha iniziato la sua arringa affermando che «il pubblico ministero ha deciso di
sacrificare due innocenti sull’altare della ragion
di Stato». Così, dal secondo giorno del processo,
Nelle foto in apertura:
1980, bomba alla
stazione di Bologna; i
due gendarmi indagati
Marc Scheer e Jos
Wilmes negli anni
Ottanta; il traliccio
dell’attentato di Itzig
29
inchiesta
left.it
gli avvocati difensori hanno chiesto di creare una
commissione d’inchiesta per approfondire l’analisi dell’operato di Stay Behind, anche se fino a ora
nessun legame è stato formalmente provato tra
quella organizzazione e gli imputati. Secondo loro,
questa pista è stata scartata in favore della ragion
di Stato. Stay Behind (chiamata anche Gladio), è
un’organizzazione segreta della Nato, creata dagli
Stati Uniti, in collaborazione con gli inglesi in tutti gli Stati europei, inizialmente per essere attivata
in caso di invasione sovietica e successivamente
per contrastare l’avanzamento del Partito comunisti sul territorio europeo - il cosiddetto “containment”. Secondo gli avvocati della difesa, esisterebbero relazioni tra Stay Behind, i servizi segreti
lussemburghesi e gli attentati.
Gli avvocati della
difesa Gaston Vogel
e Lydie Lorang
30
Tra le numerose testimonianze presentate alla corte, molto interessante quella di Andreas Kramer, storico tedesco. Secondo quanto dichiarato
da Kramer, prima in forma scritta, poi sotto giuramento, lui stesso sarebbe figlio di un ex agente dei
servizi segreti tedeschi che agiva sotto il nome di
copertura “Cello” (deceduto l’8 novembre 2012 a
Sarrebruck). Secondo il figlio,
il signor Kramer gli avrebbe
confessato aver diretto le operazioni di Stay Behind, non solo quelle lussemburghesi ma
anche gli attentati alla stazione di Bologna e all’Oktoberfest
a Monaco di Baviera negli anni Ottanta. In parallelo, sempre secondo Andreas Kramer,
“Cello” avrebbe lavorato per
il Kgb al quale avrebbe passato una serie d’informazioni sulle operazioni di Stay Behind. Secondo
le dichiarazioni di Kramer, suo padre gli avrebbe
anche confessato di aver rubato l’esplosivo nelle
miniere di Helmsange e che gli attentati sarebbero stati realizzati dagli appartenenti di Stay Behind
con l’obiettivo di terrorizzare la popolazione per
suscitare una svolta politica a destra. Infine, “Cello” avrebbe lavorato di concerto con l’ex dirigente dei servizi segreti lussemburghesi, Charles Hoffman, in operazioni di depistaggio.
A sostegno di quest’ultima dichiarazione, l’avvocato Vogel ha presentato una lettera che certifica che
Hoffman avrebbe lavorato con la cellula tedesca
di Stay Behind. Secondo questa versione dei fatti,
sia i servizi segreti lussemburghesi che quelli tedeschi avrebbero partecipato agli attentati. Gli uomini di Charles Hoffman, che sarebbe stato in contatto continuo con l’ex primo ministro Jacques Santer, sarebbero stati addestrati in Scozia dal Mi6.
Come ricorda il giornale Luxembourg Wort, il Lussemburgo sarebbe stato scelto come terreno per
gli attentati dopo l’Italia e Monaco di Baviera, visto
che non aveva ancora siglato gli accordi dell’Aia.
Poi, sempre secondo il giornale
Luxembourg Wort, nel 1986 la Nato avrebbe voluto fermare tutte le
operazioni per passare a un altro
terreno di gioco, il Belgio (probabilmente con gli attentati ai supermercati Delhaize e le azioni della
banda del Bramante Vallone).
Andreas Kramer:
«Mio padre, ex spia
tedesca, ha diretto
le operazioni anche
alla stazione
di Bologna
e all’Oktoberfest»
Il “Processo fiume” sta attraversando i confini del tempo e quelli
degli Stati, ma la sua origine ancora non è ben individuata. È un fiume che trae la sua
forza da numerosi affluenti, un fiume fatto di acque
chiare e di acque sporche, acque tanto calme in superficie quanto pericolose in profondità. Questo
fiume è andato in piena negli anni Ottanta ed è stato il fiume degli omicidi senza colpevoli, degli attentati senza mandanti. In Italia è ben conosciuto questo fiume. È il fiume dei casi irrisolti che giacciono
negli archivi della nostra Repubblica, un fiume segreto e invisibile che nasconde numerosi pezzi della Storia delle democrazie europee. Purtroppo, finché questo fiume non sarà asciutto, la nostra rimarrà una Storia mutilata e quindi parziale.
4 maggio 2013
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calcio mancino
società
left.it
Nel 1982 la Nazionale inglese torna ai campionati del mondo dopo dodici anni
Il Mundial della
Lady di ferro
N
ell’inverno dell’82,
facevo la prima media. Le radio deturpavano l’etere col
Festival di Sanremo vinto da Riccardo Fogli davanti ad Albano e Romina, Drupi e padre Cionfoli. Eppure
di musica bella, in giro, ce
n’era. La colonna sonora di
David Bowie, ad esempio,
era l’unica cosa consentita
del film Christiane F. vietato ai minori di 14 anni e che
io, malato di pallone, consideravo la risposta tedesca a Il tempo delle mele.
Il campionato francese, infatti, non valeva niente rispetto alla Bundesliga, le cui partite
passavano su Teleroma 56 insieme a
quelle della Prima divisione inglese:
il torneo più bello del mondo con la
novità dei tre punti a vittoria. La mia
Roma, dopo una partenza da sogno,
aveva pagato caro l’infortunio di Ancelotti e guardava da troppo lontano
Juve e Fiorentina destinate a giocarsi lo scudetto all’ultima giornata. Mi
rimanevano i mondiali di Spagna come grande vetrina internazionale allargata a ventiquattro squadre e con
un quarto girone che offriva in gara d’apertura nientemeno che Francia-Inghilterra. Il neoacquisto di casa Agnelli, Michel Platini, contro i
maestri del calcio tornati al campionato del mondo dopo due edizioni
di assenza. E il merito non era mica
dell’allenatore Ron Greenwood, ma
del Premier conservatore Margaret
Thatcher, capace di quadruplicare
di Emanuele Santi
sa a Valencia per poi arrendersi nella seconda
fase proprio alla Francia
di Platini. Gli uomini di
Greenwood, trascinati
dal giovane Bryan Robson e dai gol dell’inossidabile Trevor Francis,
vinsero il proprio girone a punteggio pieno e
si ritrovarono al secondo turno contro Germania Ovest e Spagna. La
prima sfida con i tedeLa Nazionale inglese del 1982
schi fu un diplomatico
0-0. Nella seconda, invece, dopo il 2-1 della Germania sulla Spagna, sarebbero serviti due gol
la disoccupazione in due anni per ri- di scarto. Shilton in porta, Mick Mildurre l’inflazione e finendo, così, per ls e Kenny Sansom terzini, Butcher
mettere in crisi l’industria tessile. stopper e Thompson libero. FranEppure in patria era tanto amata, so- cis e Rix le ali, Wilkins in regia, Robprattutto dopo l’ultima performance son e Woodcock interni, Paul Mariprimaverile: la guerra delle Falkland ner centravanti. Si gioca al Santiago
contro la moribonda dittatura argen- Bernabeu di Madrid e i padroni di catina che proprio in terra di Spagna sa, ormai eliminati, ci tengono a non
doveva difendere il titolo del ’78 pun- perdere ancora, soprattutto il portando sul cadavere di Mario Kempes tiere Arconada in serata di grazia. A
e su Diego Maradona. E meno male metà ripresa, Greenwood si affida alche il tabellone non minacciava col- la vecchia guardia e manda in campo
pi bassi: la Nazionale di Londra in- Keegan e Brooking, ma non servirà a
fatti avrebbe potuto incontrare quel- niente: finisce 0-0. In semifinale ci va
la di Buenos Aires soltanto in un’im- la Germania. L’Inghilterra torna a caprobabile finale. Quanto alle “allea- sa a testa alta senza aver perso neante” Scozia e Irlanda del Nord: la pri- che un match. Era luglio dell’82. La
ma non sarebbe sopravvissuta in un Lady di ferro aveva il suo bel da fare
girone con Brasile e Unione Sovie- tra lo sciopero di 15 giorni dei ferrotica, mentre la seconda, dilaniata al vieri, le bombe dell’Ira nel centro di
suo interno dalla stessa politica cri- Londra e il ritorno da eroi dei soldati
minale della Lady di ferro, aveva pas- dalle Falkland.
[email protected]
sato il turno battendo i padroni di ca-
I ragazzi di Ron Greenwood non
perderanno neanche una partita
left 4 maggio 2013
31
società
left.it
Chi è Stato?
di Tiziana Barillà
© 123rf
Un mistero irrisolto. Il decesso
di Marcello Lonzi nel carcere
di Livorno, dieci anni fa. Caso
archiviato per morte naturale,
ma la madre chiede verità.
E un processo. In questi giorni
sarà presentata la domanda
per riaprire le indagini
C
aso chiuso. Archiviato. Marcello Lonzi, 28 anni, è morto per un collasso cardiaco l’11 luglio di dieci anni fa nel carcere Le Sughere di Livorno. Era finito dentro con
l’accusa di tentato furto, condannato a nove mesi, ne aveva scontati quasi la metà. «Si può morire d’infarto con la mandibola fratturata, due
buchi in testa, il polso sinistro rotto, due denti
spaccati, un’escoriazione a V, otto costole rotte?», si chiede la madre di Marcello, Maria Ciuffi.
Da quel giorno non ha mai smesso di chiedere la
verità sulla morte del figlio.
Dal 2002 a oggi sono stati 1.036 i decessi all’interno degli istituti penitenziari italiani. Mille morti in
dieci anni: metà suicidi, l’altra metà per malattia o
cause “da accertare”, con indagini giudiziarie an-
32
cora in corso. Duecento i casi non risolti. Ogni volta è una vita spezzata, venti volte su cento è l’inizio
di una guerra per la verità. Come per Aldrovandi,
Cucchi, Uva, Ferrulli. Ma anche come per Marcello Lonzi, che un processo non lo ha ancora avuto.
«Combatto dal 2003 e non sono mai riuscita ad arrivare in aula. Basta guardare le foto di mio figlio
e poi chiedersi se sia morto per infarto», racconta Maria Ciuffi. Quelle foto Maria le ha rese pubbliche più volte, le è stato anche chiuso l’account facebook per la violenza di quelle immagini. Incongruenze, silenzi, fretta di archiviare. Sin dal primo
momento, come ci racconta Maria: «Ho saputo
della sua morte solo il giorno dopo. Non mi hanno
avvisata né i carabinieri, né la polizia, ma una zia
di mio figlio. Ero appena tornata da lavoro, mi sta4 maggio 2013
left
società
left.it
vo per cambiare, quando sento suonare alla porta e lei mi dice: Marcellino è morto. Sono corsa al
carcere dove mi hanno tenuta più di un’ora fuori,
al sole. Le guardie erano al cancello, mi guardavano ma non mi dicevano niente», prosegue. «Poi ho
scoperto che mentre io aspettavo davanti al carcere, all’obitorio del cimitero di Livorno gli stavano
facendo l’autopsia. La notizia era già sui giornali:
Il Tirreno riportava “morto d’infarto”, La Nazione che si era suicidato. Li ho chiamati entrambi ed
entrambi mi hanno detto che era stata la direzione
del carcere a dir loro così».
Sono muri alti quelli degli istituti penitenziari.
È difficile guardarci dentro. Come difficile è riuscire a sostenere i carichi dispendiosi della giustizia. «Quello che ho potuto vendere l’ho venduto, anche l’anima a momenti. Combatto da sola», dice Maria. «Il padre di mio figlio si è fermato,
perché non può credere che le guardie lo abbiano picchiato». Al suo fianco da settembre c’è l’avvocato Erminia Donnarumma. Insieme in questi
giorni stanno provvedendo a presentare nuove
istanze alle autorità competenti. Ma il legale preferisce non scendere nei dettagli «per non compromettere questa fase così delicata», dice. «Speriano che attraverso le indagini delle autorità si
possa capire cosa sia davvero successo. Perché è
chiaro che non è andata come dicono».
Terzo tentativo. Già due volte la signora Ciuffi ci
aveva provato, come conferma l’avvocato Donnarumma: «Ci sono state varie istanze e varie richieste con l’avvocato che mi ha preceduto. La
signora Ciuffi ha addirittura fatto un ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, ma è
stato respinto come irricevibile», spiega Donnarumma. In particolare, c’è stata una prima autopsia nell’immediatezza dell’accaduto, poi una riesumazione e una nuova autopsia. E da quest’ultima sono emersi nuovi elementi assenti nella
prima relazione del tribunale. «Per esempio delle strane tracce di vernice in una delle ferite al
volto che arriva fino all’osso e lo segna», dice
il legale. «Queste non sono state campionate.
Sono state fotografate dal consulente di parte
ma non sono state nemmeno prese in considerazione nella relazione del perito. Quindi hanno chiuso il caso di nuovo». Un caso complesso
che si è trasformato in un’enorme mole di docu-
left 4 maggio 2013
menti: «Ci sono voluti mesi per rileggere tutta la
documentazione. Per mettere in fila e analizzare i fatti. E ne sono emerse delle incongruenze
secondo me spaventose», continua Donnarumma. «Ci sono anche diverse testimonianze che
non collimano».
Maria Ciuffi in questi anni ha ascoltato i compagni di cella, gli altri detenuti. Ha fatto ciò che
il «pm avrebbe dovuto fare», chiosa. E ci racconta un episodio: «Mentre facevo lo sciopero della fame fuori dal carcere incontrai tre detenuti
che mi raccontarono delle cose, e io feci in modo che il magistrato li sentisse. Uno di loro venne interrogato davanti a me, per la prima volta»,
prosegue, e sintetizza così quell’interrogatorio:
«Così ho saputo che Marcello alla mattina “si era
preso” verbalmente con un appuntato e che alle tre e mezzo del pomeriggio li chiusero nelle
celle. Si sentì correre su e giù, e voci sconosciute. Quando il magistrato gli chiese dettagli sulle voci sconosciute, lui rispose: non quelle delle
guardie di tutti i giorni. Ma non si vedeva niente.
Si sa che è successo qualcosa, ma non si sa cosa. Solo la mattina dopo ci dicono
che Lonzi è morto. E lì ci sono stati anche un po’ di tafferugli». Quella testimonianza non è che una piccola parte della lunga “indagine privata” che Maria Ciuffi ha condotto
in questi dieci anni. E che continua
ancora, come dice l’avvocato: «Io e
la signora Ciuffi ci siamo occupate
di contattare persone che erano detenute nello
stesso carcere. Abbiamo cercato di ricomporre
tutta la vicenda. Noi da sole, senza i mezzi di cui
può disporre l’autorità. Lo abbiamo fatto in proprio. E adesso tutto ciò è agli atti. Quello che abbiamo trovato conferma quanto sospettavamo».
«Per lo Stato è come se Marcello non fosse mai
esistito», dice Maria. E il suo avvocato rincara:
«Hanno cercato di ostacolarla in ogni modo. E
non si capisce il perché. È la madre di un ragazzo
che è morto e pretende chiarezza. Che le si spieghi quantomeno cosa è successo. Non può essere liquidato tutto come una morte naturale. Io
continuerò a essere al suo fianco, finché lei vorrà. Nonostante i problemi che abbiamo affrontato e quelli che sicuramente verranno».
Maria Ciuffi,
madre di Marcello
Lonzi tiene in mano
una foto del figlio
La mamma:
«Si può morire
di infarto con ossa
rotte, buchi in testa
ed escoriazioni?»
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mondo
left.it
i segreti della
rete siriana
di Lorenzo Trombetta
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4 maggio 2013
left
mondo
left.it
Anticipiamo il saggio Siria, dagli Ottomani
agli Asad. E oltre, in libreria dal 20 maggio per
Mondadori università. Lorenzo Trombetta
è corrispondente da Beirut per Ansa e Limes
E
A Damasco si combatte
a colpi di informazioni.
Il regime spegne da decenni
ogni voce non conforme.
I ribelli comunicano attraverso
una pioggia di messaggi
e di video. In un libro,
tutte le “istruzioni” per
il giornalista disorientato
left 4 maggio 2013
© Lubacki /AP/lapresse
sattamente due settimane dopo la caduta del presidente tunisino Zine el Abidin
Ben Ali e dieci giorni prima della definitiva uscita di scena del suo omologo egiziano Muhammad Hosni Mubarak, il raìs Bashar al Asad in
un’ormai celebre intervista si diceva certo che la
Siria non sarebbe stata teatro di una rivolta popolare perché lì, a differenza che in Tunisia e in Egitto, il governo era vicino ai sentimenti del popolo.
Eppure, i primi di gennaio del 2011 le autorità avevano avviato una campagna per smantellare, a cominciare dai tetti di Damasco, le antenne paraboliche per la ricezione televisiva satellitare e sostituirle con impianti via cavo condominiali. L’obiettivo
era quello di porre finalmente sotto controllo uno
degli strumenti più temuti dal regime: le tv panarabe satellitari, [...] Al Jazira e al Arabiyya erano diventate i principali megafoni del più sovversivo degli slogan scanditi nelle piazze arabe tra il 2010 e il
2011: «Il popolo vuole la caduta del regime!» (ash
sha‘b yurid isqat an nizam!).
La copertina di Siria.
Dagli Ottomani agli
Asad. E oltre, il saggio
di Lorenzo Trombetta
che esce in questi
giorni per Mondadori
università.
Nella pagina accanto,
un cellulare usato
vicino ad Aleppo per
fotografare un bambino siriano col megafono. Il bambino sta
guidando un gruppo di
manifestanti che urlano
slogan di incoraggiamento all’Esercito di
liberazione siriana
Se da una parte i media ufficiali forniscono una
versione quasi mai aderente alla realtà, ignorando
tutti i fatti che potrebbero mettere in imbarazzo il
regime, il flusso di informazioni fornite dagli attivisti rimane confuso e in certi casi poco credibile.
Un banco di prova cruciale è la diffusione del numero e della generalità delle vittime. Sul web appaiono decine di stime diverse, ma il più meticoloso è il Centro di documentazione delle violazioni in Siria (Vdc, Markaz tawthiq al intihakat fi Suriya, www.vdc-sy.info), che «non si pone però come
fonte per i media ma come archivio di dati da usare a livello legale quando il regime dovrà rispondere di fronte ai tribunali internazionali dei suoi crimini» [...] Come fate a verificare ciò che accade sul
terreno? Wi’am (attivista del Vdc incontrata a Beirut, ndr) ha aperto google e la chat della piattaforma email. In un’altra finestra ha cominciato a monitorare le notizie dell’agenzia Sana, che riferiva
dei militari governativi «uccisi dai terroristi». Poi
ha attivato facebook, collegandosi ad altri profili. «Cominciamo così: stabiliamo il contatto con
tutti i nostri ragazzi sul campo». Di lì a breve so35
mondo
© gordon_losangeles /flickr
left.it
Un manifesto
di propaganda
del presidente Bashar
al Asad. Nella pagina
accanto, le proteste
contro il regime nella
provincia siriana di
Edlib. La foto è stata
scattata col
cellulare nel 2011
e distribuita dal gruppo
d’opposizione Shaam
news network
no arrivati i primi messaggi da Homs. Parlavano
di «bombardamenti su Baba ‘Amr». Wi’am ha acceso il televisore, sintonizzandosi sulla tv di Stato.
«Trasmettono un programma sulla salute dei bambini...». Poi dal computer si è collegata a Bambuser, un noto sito che trasmette filmati in diretta, caricati con connessioni internet anche non ottimali.
«I nostri ragazzi sono a Homs e puntano la telecamera verso Baba ‘Amr. Così possiamo vedere cosa
sta succedendo». Ma se a Homs internet è oscurato? «Abbiamo modem satellitari... Per portarli dentro due di noi sono rimasti feriti alla frontiera con il
Libano: non solo ti mettono il bavaglio, se cerchi di
rompere il silenzio sei un terrorista e ti sparano».
Ma tutto ciò richiede organizzazione, soldi... «Credi forse che siamo da soli? Che siamo un gruppo di
ragazzi sprovveduti? I miei genitori e moltissimi altri siriani all’estero fanno continuamente delle collette. Cosa c’è di strano? Ti sembra un complotto?». [...] Quindi Wi’am ha aperto una scheda di
una delle vittime: «Per ciascuna persona uccisa
cerchiamo di indicare il nome del padre e della
madre, e annotiamo tutti i dettagli sulle condizioni della salma per documentare eventuali segni
di tortura e maltrattamenti. Quando possiamo,
per ogni vittima alleghiamo un video e delle foto
del corpo, che possa servire a medici legali per ricostruire le circostanze della morte».[...]
«Di ogni vittima descriviamo la salma. Per
documentare le torture», afferma un’attivista
Dalla chat di google è poi apparso un messaggio.
«Oddio!», ha urlato Wi’am. Cosa? «Mi scrivono che
stanno bombardando vicino al media center di Baba ‘Amr». Si trattava di quello dove erano riusciti
ad approdare alcuni giornalisti occidentali arrivati
dal vicino Libano. Una pioggia di messaggi, email,
video, link copiati e incollati, attese interminabili sebbene di pochi secondi, poi ancora messaggi
36
scambiati con altri attivisti a Homs. Infine la «conferma»: «Il media center è stato colpito da proiettili di mortai. Forse ci sono giornalisti occidentali feriti». A quel punto mi sono collegato anch’io,
cercando nelle agenzie di notizie eventuali “titoli”
su Homs e sulla Siria. Niente ancora. Ho chiamato il collega dell’Ansa di Beirut per chiedergli se sapesse di giornalisti coinvolti in bombardamenti a
Homs. Niente. «Sono morti!», mi ha detto Wi’am
mentre apriva l’ennesimo messaggio. Le ho chiesto di scandire i loro nomi: «Un tale Kulfin e… un
tale Oshlik». Ma sei sicura? «Sì. I miei ragazzi sono sicuri». Non conoscevo né l’americana Marie
Colvin, veterana dei reporter di guerra, né il giovanissimo fotografo francese Remi Ochlik. Entrambi sono stati uccisi quella mattina del 22 febbraio
2012. “Sotto” gli occhi virtuali del Centro di documentazione delle violazioni in Siria.
Il fatto che in Rete sia disponibile una quantità
enorme di filmati amatoriali, testimonianze e «notizie» diffusi da blog e da migliaia di profili facebook e twitter complica la vita a chi tenta di offrire
una ricostruzione dei fatti il più possibile aderente alla realtà. D’altro canto, questa marea di “informazioni” consente all’osservatore e al ricercatore
di seguire quasi in tempo reale “gli avvenimenti” e
di poter tornare a seguirli nei giorni, nelle settimane e, spesso, nei mesi successivi, rileggendoli a posteriori. Gli attivisti siriani che dalle regioni colpite
dalla violenza “postano” su internet i loro contenuti, hanno affermato sin dall’inizio che si trattava di
una «rivoluzione delle telecomunicazioni» perché
finalmente il blackout informativo imposto da decenni era stato rotto: «Ora non si può più ignorare
quel che avviene sul terreno». [...] «Qui mi dicono
che ci sono dieci morti, ma io ne ho visti solo sei.
Non puoi fidarti del tutto», affermava nel febbraio
2012 Alessio Romenzi, fotoreporter italiano in quei
giorni intrappolato a Homs. Romenzi si riferiva a
4 maggio 2013
left
mondo
© AP/lapresse
left.it
ciò che gli avevano riferito poco prima alcuni attivisti locali. «È vero - ammetteva Rami Jarrah, attivista di Damasco nell’autunno 2011 - ci sono casi
in cui il testimone di un evento drammatico esagera nel riportare gli effetti di un bombardamento o
di un’incursione degli shabbiha. Ma è una reazione
umana, non necessariamente dettata dalla esplicita volontà di mentire, ma senza dubbio indotta dalla percezione [nel caso siriano rivelatasi infondata] che l’Occidente verrà a salvarti soltanto se si supera una quota determinata di civili uccisi» [...]
A minare ulteriormente la credibilità di questo
sistema, hanno contribuito l’assenza di una gerarchia fra gli attivisti, la loro tendenza all’improvvisazione, l’incapacità di filtrare le informazioni. L’attivismo digitale siriano - sostiene De Angelis (esperto di media arabi, ndr) - si è inoltre rivelato lontano
e disgiunto dalla strada in fermento. A differenza
dell’azione degli attivisti del Cairo o di Tunisi, quelli di Damasco, Homs e Aleppo non hanno mai potuto usare i social network per organizzare cortei e
raduni. Prima di tutto perché il controllo delle autorità siriane sulle piazze virtuali e reali è sempre
stato più stretto di quello operato dalle autorità egiziane e tunisine sui loro rispettivi territori. Ma anche perché le comunità create su internet spesso
non sono state rappresentative delle comunità reali, in patria o nella diaspora. Il cyber-attivismo siriano non è stato dunque capace né di guidare la protesta né di offrire una piattaforma dove le diverse anime dell’opposizione potessero negoziare una comune linea politica. [...] L’International crisis group
(Icg) afferma che preferisce non affidarsi a nessun
contenuto diffuso via internet. La squadra dell’Icg,
per anni basata a Damasco, ha saputo costruire una
propria fitta rete di contatti interna che le ha consentito di non ricorrere alle dubbie informazioni
presenti sul web. Osservatori e giornalisti che tra
il 2011 e il 2012 si sono trovati per brevi periodi in
left 4 maggio 2013
C’è chi non dà alcun affidamento alle notizie che trova
sui social network. Eppure
sono informazioni preziose,
anche se da verificare
Siria non hanno potuto (o non hanno voluto) andare a curiosare in ogni angolo del Paese per rendersi conto di quel che avveniva: c’è stato chi, ad esempio, nella primavera 2011 è rimasto sempre a Damasco città e ha affermato di non aver visto in quel
periodo alcuna manifestazione anti regime. [...] Si
tratta di osservatori che consideravano scontato - e
dunque irrilevante - il fatto che il regime siriano per
decenni avesse compiuto crimini nei confronti della sua stessa gente. Questi osservatori affermavano
di avere una visione privilegiata «dall’interno», dimostrando in realtà di esser avulsi dal contesto sociale e storico. Il loro distacco, professato nel nome
di una disciplinata equipollenza, li ha portati a credere - e a far credere - che al regime degli Asad corrisponda un regime dei ribelli, che alla violenza degli Asad corrisponda la violenza dei ribelli, che alla manipolazione degli Asad corrisponda la manipolazione dei ribelli. Ignorando le storie racchiuse
nei contenuti diffusi via Internet si rischia di ignorare le percezioni di chi è sottoposto a violenza e
cerca di raccontare la propria sofferenza, seppur in
modo goffo e non rispettoso delle regole del giornalismo professionista. Una sofferenza che viene da
lontano e che non è il frutto soltanto di un atto criminale commesso a partire dal marzo 2011. Ignorare quei contenuti significa ignorare delle vicende
da molto tempo scritte sottotraccia ed emerse solo
ora in tutta la loro dirompenza. I rischi metodologici nell’usare storie digitali sulla rivolta siriana sono
reali, ma questo non deve costringere il giornalista
o il ricercatore alla rassegnazione.
Il conteggio delle
vittime del conflitto
siriano secondo il
Centro
di documentazione
www.vdc-sy.info
37
mondo
left.it
Tsering Woeser si credeva uguale agli altri
cinesi, ma poi ha scoperto che sbagliava.
Perché lei è nata in Tibet, dove la libertà è un
concetto relativo. Per raccontarlo ha aperto
un blog ed è diventata una nemica dello
Stato. Oggi non può uscire da Pechino
© luntag verlag
Prigioniera
in patria
di Cecilia Attanasio Ghezzi* e Lucia De Carlo da Pechino
V
ive sotto osservazione. A volte è costretta a non muoversi da casa dalle forze di
polizia cinesi che la tengono ai domiciliari almeno due volte l’anno. Tsering Woeser vive a Pechino, nella città degli han, l’etnia che per
un quarto scorre anche nel suo sangue. Gli altri tre
quarti sono tibetani, perché lei è nata a Lhasa e solo dopo è andata a studiare nella Cina sudoccidentale, dove ha ricevuto un’istruzione in tutto e per
tutto cinese. Da anni raccoglie in un blog le testimonianze di quegli uomini e quelle donne tibetane
che hanno scelto la via dell’autoimmolazione per
protestare contro l’oppressione del Partito comunista cinese. Un lavoro che a marzo di quest’anno
le è valso il premio internazionale Women of Courage. Donna di coraggio, assegnato dal dipartimento di Stato americano. «Mandare in fiamme la
(propria) preziosa vita nel XXI secolo significa mostrare al mondo la sofferenza di sei milioni di tibetani privati di diritti ed eguaglianza», è la frase di un
martire citata da Tsering Woeser, che è anche poetessa e scrittrice simbolo per chi lotta per i diritti civili in Cina. Nel 2004 ha dovuto abbandonare la
sua terra perché aveva scritto un libro, Appunti tibetani, che alle autorità non piaceva. Da allora vive a Pechino, dove di tanto in tanto subisce arbitrari arresti domiciliari. La incontriamo una mattina
di primavera in uno Starbucks. Da pochi giorni lei
è di nuovo in libertà.
38
Cosa significa essere tibetana?
Ho fatto le scuole nel Kham, una regione a maggioranza tibetana della Cina sudoccidentale. In
classe eravamo han e tibetani, ma tutte le lezioni si svolgevano in cinese. All’epoca pensavo che
non ci fosse nulla di strano. Ricevevamo “l’educazione rivoluzionaria”, un continuo lavaggio
del cervello. Quando compilavo i moduli scrivevo “etnia tibetana” ma non ci facevo caso. Le
superiori le ho fatte a Chengdu. Lì mi sono resa
conto che c’erano altre etnie e che la minoranza
tibetana era diversa dalle altre. In città erano tutti han. Mi chiedevano da dove venivo e io rispondevo contenta che ero tibetana. «Ah - ribattevano - quelli sono dei selvaggi».
Quando ha cominciato a studiare la storia
del Tibet?
All’epoca non avevamo libri, e neanche c’era internet. Ho dovuto finire l’università e cominciare
a lavorare come giornalista, prima di imbattermi
in un libro che parlava di Tibet. Era scritto da un
americano e si intitolava Exile From the Land of
Snows. Incredibile che lo avessero tradotto, poteva influenzare le masse! Infatti appena pubblicato
venne proibito. Ma ormai era già in circolazione.
Me lo prestò un amico. Raccontava della fuga del
Dalai Lama e di come l’Esercito di liberazione era
entrato a Lhasa assalendo il mio popolo. Non potevo crederci! Io sapevo che il Tibet era stato libe4 maggio 2013
left
mondo
© Wong/ap/lapresse
© luntag verlag
left.it
rato dal Partito comunista. Mio padre era un militare ed ero cresciuta nell’Esercito di liberazione.
Glielo feci leggere, mi fidavo di lui. Quando lo finì
gli chiesi quanta verità c’era nel libro americano.
«Il 70 per cento», mi rispose. Mio padre non esagera mai. Diedi il libro a mio zio. Anche lui era un militare e aveva partecipato alla spedizione in Tibet.
Quando finì di leggerlo gli feci la stessa domanda.
«Il novanta per cento», mi disse. Allora era vero,
pensai. Ed era falso tutto quello che mi avevano
fatto studiare. La prima frase che ho imparato a
dire è “Viva il presidente Mao”, ci ho messo molto
tempo prima di capire che il Tibet non è Cina.
E poi?
Nel 1990 sono tornata a Lhasa, volevo tornarci. Ho
lavorato per una rivista governativa di letteratura
tibetana fino al 2004, quando mi hanno espulso.
Si aspettava che scrivere Appunti tibetani le
avrebbe creato così tanti problemi?
No, anzi. Ero molto contenta, il libro l’aveva pubblicato una grande casa editrice cinese. È uscito
a inizio 2003. Io ero a Pechino quando scoppiò la
Sars, così ci restai. E da lì venni a sapere che nel
mio libro erano contenuti “gravi errori politici” e
che si sarebbero dovuti prendere provvedimenti.
Così mi fecero tornare a Lhasa, dovevo “rivedere i
miei errori”. Ora sorrido, ma allora fu terribile. Riunioni ogni giorno, se non ammettevo i miei “errori” sarei stata espulsa. Mi ricordo che pensai che
left 4 maggio 2013
anche se non avevo vissuto la Rivoluzione culturale la stavo sperimentando in quel momento. Le riunioni durarono una ventina di giorni. Andarono anche da mia madre che non smetteva più di piangere. In Cina è molto grave essere espulsi ma io non
potevo ammettere che la mia fede nel buddhismo e
nel Dalai Lama fosse sbagliata.
Quando ha cominciato a usare internet?
Nel 1999. All’epoca non c’era il Grande Firewall (il
blocco imposto dalle autorità cinesi ai siti “pericolosi”, ndr) e si poteva navigare liberamene. Ma anche oggi, se si vuole conoscere la realtà, basta munirsi degli strumenti per aggirare la censura.
Quando è stata messa per la prima volta agli
arresti domiciliari?
Da quando sono stata espulsa dal Tibet la mia libertà è andata via via scemando. Nel 2006 il mio blog
è stato censurato e non mi hanno più fatto scrivere sulle riviste nazionali. Nel 2008 mi hanno messo
per la prima volta ai domiciliari. Da allora è successo piuttosto frequentemente.
Cosa comporta essere agli arresti
domiciliari?
Non è sempre uguale. L’anno scorso avevo una macchina parcheggiata sotto casa e se proprio dovevo uscire bisognava
che mi accompagnassero. Quest’anno
stazionano proprio nel nostro pianerottolo. Nessuno può venirmi a trovare, fermano anche i corrieri con la posta. L’unica cosa buona è che
fino ad adesso mi hanno lasciato usare internet.
Quando su twitter scrive «stanno arrivando i
panda» si riferisce a loro? Come fa a sapere in
anticipo del loro arrivo?
In genere ci avvisano per telefono. Poi oramai
quello che mi controlla lo conosco da quasi sette
anni. So come si chiama e anche che nel frattempo
ha fatto carriera. Avvisiamo su twitter perché non
sai mai quello che ti può capitare: possono “invitarti a bere un tè”, o arrestarti. A loro discrezione.
Vorrebbe lasciare la Cina?
Vorrei avere un passaporto per muovermi liberamente ma non vorrei espatriare. Vorrei andare a
trovare il Dalai Lama, quello sì. E tornare a Lhasa.
Le è difficile tornare in Tibet?
Sempre di più. Ormai anche ai tibetani serve un
permesso speciale. È come per voi stranieri. Eppure Pechino dice che la patria è la stessa.
*China files
Quando la polizia
si avvicina a casa
sua scrive su twitter: «Stanno arrivando i panda»
In apertura la scrittrice
Tsering Woeser.
Accanto, un monaco
tibetano
39
reportage
mondo
40
4 maggio 2013
left
mondo
lo spazio
mancante
foto di Luca Catalano Gonzaga
Nella capitale
del Bangladesh
si cuciono i vestiti
per decine
di multinazionali.
L’industrializzazione
selvaggia ha attirato
qui milioni di operai
che vivono in
condizioni disperate.
Viaggio a Dhaka,
la città più
sovrappopolata
del mondo
left 4 maggio 2013
41
reportage
mondo
left.it
L
a tragedia era annunciata. In una città sovrappopolata come Dhaka, la capitale del Bangladesh, il collasso di un
edificio è sempre dietro l’angolo. E il 27 aprile a
crollare è stato un grattacielo di otto piani, che
ospitava la fabbrica di abbigliamento Rana Plaza. Le vittime sono almeno 380, operai che lavoravano ammassati nel palazzo, e che le inesistenti condizioni di sicurezza hanno condan-
nato a morte dopo il primo scricchiolio. Ma decine di persone sono ancora sotterrate sotto le
macerie e il conto dei morti non potrà che salire. Il padrone della fabbrica, Mohammed Sohel
Rana (leader locale del movimento giovanile
del partito governativo), è stato arrestato mentre cercava di attraversare il confine con l’India.
Sotto accusa anche varie multinazionali straniere - anche italiane - per le quali lavoravano le
4 maggio 2013
left
mondo
left.it
Le foto di questo reportage, tratte dalla serie The terrible lives in slums Dhaka and Mumbai,
sono tutte scattate nella capitale del Bangladesh.
Nelle pagine precedenti, una donna che vive col figlio nella baraccopoli di Manda,
alle pendici di Dhaka. In queste pagine, da sinistra in senso orario: un uomo intento a
stendere il proprio bucato lungo il fiume principale della città, il Buriganga; un ragazzo
che ricicla la plastica per guadagnare qualche taka nello slum di Manda; una donna
dorme nel vagone di un treno. Centinaia di bengalesi ogni sera cercano riparo
nella stazione centrale di Kamlapur per trascorrervi la notte
macchine da cucire del Rana Plaza.
Il Bangladesh è il centro di produzione manifatturiera più importante per l’industria internazionale dell’abbigliamento. Le fabbriche di Dhaka attraggono aspiranti operai dalle zone rurali,
che affollano le periferie della capitale e vivono
in condizioni disperate, in edifici infestati dagli
insetti e spesso senza acqua corrente e rifornimento di gas. Per non parlare delle fogne, che in
left 4 maggio 2013
molte zone della città non esistono. Dhaka e le
sue industrie sono cresciute così velocemente
da seppellire le sue infrastrutture, che non sono
mai state adeguate ai cambiamenti demografici. La densità della popolazione raggiunge 43mila persone per chilometro quadrato (a Roma è di
circa 2.200 abitanti per kmq, quindi un ventesimo). La città scoppia, eppure continua a riempirsi: il tasso di migrazione verso la capitale registra
reportage
mondo
Accanto, la periferia di
Dhaka. I bengalesi fuggono dalle campagne
per insediarsi ai margini
della capitale. Sotto,
una donna tra tappeti
stesi tra le baracche
left.it
una crescita annua del 6 per cento. Oggi vivono
qui 15 milioni di persone, senza che il governo si
preoccupi di nessuna pianificazione urbanistica.
La speculazione immobiliare non guarda in faccia nessun tipo di vegetazione o di bene culturale, il tasso di inquinamento è fuori controllo e
i collegamenti pubblici tra le diverse aree della
città inesistenti.
I milioni di pedoni che ogni giorno camminano nel centro di Dhaka si trovano spesso incastrati sul marciapiede, impossibilitati ad attraversare una strada perché ogni passaggio è
occupato da bancarelle o venditori ambulanti. Il professor Nurun Nabi, della Dhaka university, ha così descritto la sua città: «Questa
è la megalopoli che cresce al ritmo più alto del
mondo. Nello stesso tempo, è la città più invivibile che esista».
c.t.
È la megalopoli che cresce più velocemente di tutte. La densità
di popolazione è 20 volte quella di Roma. E i pedoni non riescono più a camminare
44
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left
mondo
left.it
Un bambino al lavoro in una fabbrica tessile della baraccopoli di Manda.
La maggior parte dei lavoratori impiegati nella produzione di tappeti sono minorenni.
Sotto, un orfanotrofio gestito dalla ong Terres des Hommes
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45
bosone che ci
nuova onda del
48Ilcambierà
la vita
52Laromanzo
russo
56Sollima,
re dei cento celli
Lo sguardo di Luigi Ghirri.
Il MAXXI di Roma dedica
un’ampia retrospettiva a
uno dei più autorevoli nomi
della fotografia italiana. Con
il titolo Pensare per immagini
la mostra è aperta fino al 27
ottobre. Il percorso espositivo
propone oltre 300 scatti del
maestro modenese, affiancati
a documenti, cartoline, dischi
e altri oggetti che permettono
di ricostruire alcuni aspetti
della sua biografia. Un’opera
di Luigi Ghirri sarà in mostra
nel Padiglione italiano della
prossima Biennale di Venezia
che aprirà il primo giugno.
cultura
scienza
bosone.
intrigo
internazionale
La macchina più grande del mondo per cercare
la più piccola delle particelle. Il fisico Maiani:
«Questa è una storia a lieto fine, io vi racconto
perché si è conclusa con un successo»
48
di Federico Tulli
4 maggio 2013
left
© cern
L
a scoperta annunciata dai ricercatori
del Cern a luglio del 2012, in base alla
quale il superacceleratore di particelle
Lhc avrebbe stanato il bosone di Higgs, è un
momento storico paragonabile allo sbarco sulla Luna. Mai prima di allora era stato possibile
riprodurre e osservare in laboratorio il “comportamento” della più piccola delle particelle subatomiche esistenti in natura. Vale a dire uno degli elementi che 13,6 miliardi di anni
fa, infinitesime frazioni di secondo dopo il Big
bang, hanno avuto un ruolo chiave nella formazione dell’universo conosciuto. Questa particella elementare, madre di tutte le particelle
secondo la teoria fisica del Modello standard e
inseguita da quasi 50 anni, è stata replicata dai
ricercatori impegnati nel tunnel di 27 km costruito 100 metri sotto terra nelle campagne vicino Ginevra. Ma la storia del bosone teorizzato dal fisico scozzese Higgs nel 1964 non è solo
una storia di scienza, avendo visto intersecarsi tra loro le vite di alcuni tra i più grandi scienziati del XX secolo, con eventi politici, storici
left 4 maggio 2013
ed economici di portata mondiale.
Questa sfida, tra le più impegnative mai affrontate nella storia della ricerca, nasce come
detto a metà anni Sessanta con l’intuizione di
Higgs, ma affonda le sue radici in una delle tragedie che hanno cambiato il corso della storia umana. Tutto ha inizio durante la II guerra
mondiale quando un fisico austriaco fatto prigioniero dai nazisti riesce a fuggire in maniera a dir poco rocambolesca, fingendosi morto dopo un conflitto a fuoco, scampando così all’Olocausto. Quel ricercatore poco più che
ventenne si chiamava Bruno Touschek. Circa dieci anni dopo, nel 1954, ottiene un posto
all’Istituto nazionale di fisica nucleare e una
cattedra temporanea alla Sapienza di Roma.
Ed è qui nel 1960 che teorizza e propone la costruzione di un “anello magnetico” in cui far
correre e successivamente collidere una particella e la propria antiparticella. In pratica la
macchina antesignana dei moderni acceleratori che hanno aperto la strada al Large hedron
collider (Lhc) di Ginevra.
Il laboratorio del Cern
a Ginevra
49
scienza
left.it
Un’avventura lunga 70 anni che parla
anche la nostra lingua. Fino a quando?
Luciano Maiani muoveva in quegli anni, in quella stessa università, i suoi primi passi da fisico. Oggi è professore emerito alla Sapienza, dopo essere stato direttore dell’Istituto nazionale di fisica
nucleare (tra gli istituti più presenti negli esperimenti di Lhc), direttore generale del Cern e presidente del Consiglio nazionale delle ricerche. La
sua vita da scienziato si è sviluppata di pari passo con la ricerca della madre di tutte le particelle e ora la racconta nel libro scritto con il giornalista Romeo Bassoli, A caccia del bosone di Higgs.
Magneti, governi, scienziati e particelle nell’impresa scientifica del secolo (edito da Mondadori
università, il 18 maggio alle 14:30 il libro sarà presentato al Salone del libro di Torino). Al genio di
Touschek sono dedicate le prime toccanti pagine
di questo sorprendente volumetto di 200 pagine.
Leggendolo si ha la sensazione di ritrovarsi dentro la sceneggiatura di un gran bel film, circondati
da personaggi reali che hanno fatto la storia della
fisica del XX secolo: Fermi, Cabibbo, Rubbia (Nobel nel 1984 per aver scoperto il bosone intermedio, altro momento di svolta nella caccia alla particella di Higgs), lo stesso Maiani solo per citare
gli italiani. «Quella del bosone di Higgs è una storia a lieto fine, ma non è affatto un romanzo», dice
a left Maiani. «Forse - aggiunge - le storie a lieto fine destano meno attenzione delle denunce, degli
allarmi. Io spiego perché si è conclusa con un suc50
cesso: certamente non perché è sceso dall’alto un
deus ex machina, ma perché le persone che l’hanno vissuta avevano idee ben chiare». L’ex direttore del Cern non vuole spiegare la fisica nei dettagli.
Vuole raccontare questa storia: «Un mix di scienza fatta da scienziati, che hanno saputo coniugare
la ricerca con il management, con le relazioni industriali, con quelle politiche, navigando in mezzo alla Guerra fredda, alla caduta del Muro e alla
riunificazione della Germania, guidati dal progetto di completare la Teoria standard che prevede
l’esistenza del bosone di Higgs». E ci sono riusciti, stando ai primi risultati degli esperimenti Atlas
e Cms coordinati dai fisici italiani Fabiola Gianotti
e Guido Tonelli, divulgati tre mesi fa. Risultati che
secondo Rolf Heuer, il direttore del Cern, saranno
definitivi entro l’estate prossima, quando si saprà
con certezza se la particella scoperta nel 2012 è
proprio il bosone teorizzato 40 anni fa. L’alternativa (considerata remota alla luce di Atlas e Cms) è
che si tratti di una particella elementare della stessa famiglia ma diversa al punto di dover rivedere la teoria. «I primi dati - ribadisce Maiani - ci dicono che siamo sulla strada giusta. Ma noi fisici siamo sospettosi e vogliamo sempre andare a
vedere fino in fondo». Anche perché come spiega la teoria dominante, il modello standard descrive solo il 5 per cento dell’universo originato
dal Big Bang. Sempre a febbraio Lhc ha spento i
motori ed è entrato in manutenzione. Nel 2015 si
ripresenterà ancora più potente agli scienziati e
ai tecnici del Cern - una babilonia di oltre 10mila persone provenienti da ogni angolo del pianeta. Centinaia di loro parlano italiano. E non è un
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left
scienza
©marcelloni/cern
left.it
particolare da sottovalutare.
Secondo Maiani siamo di fronte a una storia profondamente legata alle sorti dell’Europa politica:
«Basandosi su un terreno molto solido che è quello della fisica delle particelle europea, i governi Ue
che sostengono il Cern, la diplomazia, e poi i tecnici, gli scienziati, gli ingegneri sono riusciti a compiere un’impresa straordinaria». Un’impresa fallita dagli Stati Uniti. «Senza questo lavoro d’equipe
- osserva Maiani - la fisica europea sarebbe sempre rimasta satellite degli americani. L’idea lanciata nell’immediato dopoguerra dal fisico Edoardo
Amaldi (che chiamò Touschek a Roma) e da altri,
cioè che l’Europa dovesse unire le forze scientifiche per poter competere con le grandi potenze,
si è rivelata vincente. E in questi tempi nei quali si
guarda all’Unione come l’origine di tutti i mali sociali, l’esito della caccia al bosone di Higgs assume
una valenza particolare».
Pensando, oggi, al pessimo rapporto delle nostre istituzioni con la ricerca di base e soprattutto con l’idea di una programmazione a lungo termine, ci si chiede come sia stato possibile partecipare a un’opera così straordinaria e complessa. «La speranza è che questa storia non sia così unica. Il concetto di programmazione ha sempre ispirato l’Infn. Un istituto di ricerca che è stato reso possibile da politici lungimiranti, tra cui
spicca Sandro Pertini. Noi - spiega Maiani - abbiamo navigato su questa onda. E l’Infn ha sempre speso bene i propri soldi, creando il laboratorio del Gran Sasso, quello di Frascati e partecipando all’esperimento del Cern-Lhc. Fino a 15
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anni fa il Cern “parlava” in pratica solo francese.
Oggi dentro Lhc c’è un contributo italiano che è
confrontabile con quello di Parigi». Ma la sensibilità verso la cultura scientifica in Italia non è
più quella di 40 anni fa. Sebbene sia noto che dalla ricerca fondamentale del Cern siano scaturite alcune innovazioni che ci hanno cambiato la
vita - il www è nato lì -, la “cura” pensata dagli
ultimi governi italiani per affrontare la crisi non
induce all’ottimismo. «Non è possibile - osserva
Maiani - pensare a una ripresa che non sia basata sul finanziamento del mondo scientifico, che
peraltro in questo momento è allo stremo. Io ho
vissuto anche come presidente del Cnr una lunga storia di erosione delle risorse, non solo economica. Sono state intaccate le aspettative. Cioè
è stata lesa l’immagine della ricerca intesa come
il punto centrale dell’innovazione. E quando parlo di ricerca intendo tutta la ricerca». Vale a dire? «Basti dire delle staminali e del decreto che
ha autorizzato l’impiego del metodo Stamina
sebbene non ci sia l’evidenza
scientifica che funzioni. Così
passa il messaggio che è lecito
ignorare la realtà scientifica».
Il fisico Peter Higgs.
A sinistra, un ritratto
del fisico Luciano
Maiani e la copertina
del suo libro, che sarà
presentato al Salone
del libro di Torino
Entro l’estate si saprà
con certezza se la
particella subatomica
scoperta nel 2012
dagli scienziati
del Cern è proprio
l’elemento teorizzato
40 anni fa
L’ex direttore del Cern ritiene che questo atteggiamento antiscientifico attraversi tutti gli
strati della società italiana e che
sia in parte dovuto alla disinformazione. «Su Il Giornale è uscito un articolo che accusava il
ministro di aver finanziato quattro enti scientifici per i quali era stata proposta la
soppressione. Qui c’è un equivoco pericolosissimo. Nessuno aveva detto che quegli enti fossero
inutili, nel senso che facessero cose inutili. L’idea
era che la scienza si sarebbe organizzata meglio
incorporandoli altrove. Qui i ricercatori avrebbero continuato il proprio lavoro. Pensare alle spese di ricerca come del denaro gettato al vento è diventato molto comune ed è tipico dei momenti di
crisi. Penso che sia molto pericoloso, soprattutto
per la nostra società. Darwin disse anche cose inesatte, ma negare l’evoluzionismo significa negare
che noi oggi vediamo il virus dell’aviaria evolvere nel tempo per via della selezione naturale. E se
non avessimo gli strumenti per capire questo non
avremmo gli strumenti per difenderci».
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cultura
left.it
Vita agra
in Russia
di Guido Carpi
A
metà Ottocento, con la morte di Gogol’
(1852) si chiude l’aurea aetas della letteratura russa, e il Paese, imbarcatosi nella
fallimentare guerra di Crimea, si avvia a un traumatico cambio di regno e all’abolizione della servitù della gleba (1861). La letteratura reagisce ripartendo dal documento autobiografico: il giovane Tolstoj esordisce con la trilogia Infanzia,
Adolescenza, Giovinezza e coi Racconti di Sebastopoli (memorie di guerra appena ammantate di
fiction), mentre il “redivivo” Dostoevskij torna alla ribalta con le Memorie della casa dei morti,
impressionante cronaca degli anni di lavori forzati scontati in Siberia.
Mutatis mutandis, oggi in Russia, le opere letterarie più rappresentative sono quelle che si lasciano alle spalle vent’anni di “dittatura postmodernista” (Pelevin, Sorokin, etc.) ponendo al centro
della narrazione il vissuto reale, nel suo organico
interagire con la contraddittoria e lacerante storia recente del Paese: non a caso, i primi a tentare
questa strada sono stati i grandi poeti della generazione precedente “prestati” alla prosa: il moscovita Sergej Gandlevskij (Trapanazione del cranio, 1996) e la pietroburghese Elena Schwarz (Il
lato visibile della vita, 2003), purtroppo non ancora tradotti in italiano.
Raccontano con piglio
graffiante le contraddizioni
del Paese di Putin.
Da Prilepin a Elizarov,
ecco le nuove voci
del romanzo. Visionario
e “arrabbiato”
Ora è la volta di autori intorno ai quarant’anni,
nati in provincia, di formazione umanistica ma
cresciuti lontani dal glamour moscovita; a molti
di loro, la “vita agra” degli anni Novanta ha ispirato una notevole versatilità, nonché - rispetto al regime politico e sociale vigente - uno spirito di opposizione ben più aggressivo rispetto ai sornio-
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cultura
left.it
ni e disincantati sfottò degli scrittori postmodernisti. È certo il caso di Zachar Prilepin, (provincia di Rjazan’, 1975), ex buttafuori e membro dei
corpi speciali, combattente in Cecenia, rapper,
attore, giornalista, esponente del partito nazionalbolscevico. Il suo Il peccato (Voland, a cura
di Nicoletta Marcialis) ha ricevuto il Super national bestseller award 2012 come miglior romanzo russo del decennio: riconoscimento forse un
po’ esagerato, ma nei suoi dieci frammenti l’opera è una vera e propria summa del genere autobiografico hard boiled: narcisista e provocatorio, antiliberale e nostalgico dell’Urss “imperiale”, Prilepin è l’erede spirituale di Eduard Limonov, di cui replica il pathos apocalittico in versione semplificata e brutalizzata.
Assai poliedrico è anche il talento di Michail
Elizarov (Ivano-Frankovsk, 1973), che alla formazione filologica ha affiancato in gioventù lo
studio da cantante d’opera e una prolifica attività cantautoriale. Di suo, in Italia era già uscito Il
bibliotecario (Atmosphere 2011, a cura di Simone Guagnelli), di cui ora Cartoni (Atmosphere, a
cura di Giulia Marcucci) riprende e approfondisce lo stile. Non meno crudo di Prilepin - di cui
condivide le simpatie politiche - Elizarov diluisce il materiale immediatamente autobiografico
in un intreccio narrativo visionario e allusivo: il
romanzo comincia come tipica storia di tanti giovani di provincia arrivati nella metropoli dalla periferia a cavallo fra gli 80 e 90, fra bande di teppisti, esibizionismo sessuale a pagamento (simbolicamente messo in parallelo coi cartoni animati
che costituiscono il leitmotiv del libro) e frequentazione delle patrie galere; ma proprio in galera
il protagonista viene sottoposto a tecniche di lavaggio del cervello memori di Arancia meccanica, che aprono una serie allucinante di flashback
sulla storia russa del Novecento, fra alienazione
del singolo e tentativo di anamnesi collettiva. Diverso è l’approccio di Andrej Astvatsaturov (Leningrado 1969), rampollo di una nota famiglia
di intellettuali e docente di letterature straniere all’università di Pietroburgo. Il museo dei fetidi (Felici 2012, a cura di Giulia Marcucci) denuncia già nel titolo - ispirato alla Kunstkamera,
o “museo dei feti” di Pietro il Grande - l’orientamento verso il calambour erudito e l’intertestualità, esercitata soprattutto nei confronti della let-
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teratura americana contemporanea e del maestro
Sergej Dovlatov (1941-1990, delle cui traduzioni
italiane - ahimé poco numerose - consigliamo vivamente l’incetta). Lo stile è secco, ellittico, fondato sul dialogo e su una continua contaminazione nostalgica fra il passato sovietico e un presente
vissuto in chiave minimalista e ironica.
A questi esercizi autobiografici contemporanei, fa da ideale pendant “d’epoca” Mosca e i moscoviti (Felici, a cura di Caterina Garzonio. Unica traduzione integrale in una lingua occidentale) di Vladimir Giljarovskij (1853\55-1935),
scrittore e giornalista dalla vita quanto mai avventurosa: combattente nella guerra russoturca del 1877-78, trascinatore di chiatte sulla Volga, teatrante e artista circense, Giljarovskij conobbe Tolstoj e Cechov, Bunin e Gor’kij,
e fu per molti intellettuali russi un vero e proprio Cicerone dei bassifondi moscoviti. Mosca
e i moscoviti (1934) è la sua opera più famosa,
una sorta di guida cittadina redatta in uno stile
a metà fra il reportage e la memorialistica: quartiere per quartiere, dal centro agli ipogei, una
Mosca d’inizio Novecento di grande suggestione e oggi scomparsa, sostituita prima dalle magniloquenti architetture e planimetrie staliniane, poi dal décor globalizzato post sovietico. Si
sa: la “generazione perduta” della Russia contemporanea va di moda, tanto da ispirare grossolane montature commerciali come Educazione siberiana (Einaudi) di Nicolai Lilin. Meglio attingere alle reali espressioni narrative di
quel mondo, tanto più che si tratta di una stagione letteraria di grande interesse perché di transizione. Recuperato - tramite il ricorso all’autobiografia - l’elemento costruttivo di una trama
che lega organicamente i destini individuali con
quelli collettivi, alla letteratura russa contemporanea resta da fare il passo decisivo: la (ri)costruzione dell’eroe letterario, ossia del personaggio paradigmatico, del protagonista svincolato dall’immediato vissuto dell’autore, capace - come a suo tempo Tat’jana Larina, Nataša
Rostova, Nastas’ja Filippovna - di concentrare
nella propria parabola esistenziale le prospettive storiche della nazione. Attenti: se non verrà
strangolata dalle speculazioni, dai premi letterari e dalle imitazioni scadenti, la narrativa russa sta per rifiorire davvero...
Un ritratto dello scrittore Michail Elizarov.
Sopra, lo scrittore
Zachar Prilepin
53
trasformazione
Massimo Fagioli, psichiatra
Avevo un buon rapporto con gli altri
poi subii, sul volto, la violenza senza motivo
L’ALTRA
violenza degli uomini
E
ra scoppiata la primavera con un afflusso di
luce e calore come se madre natura avesse
trovato l’amore per l’essere umano. Mi
trattengo dallo spogliarmi e prendere il sole,
perché devo scrivere l’abituale articolo per left.
Penso di avere un buon rapporto con la natura non
umana perché ho realizzato la giusta distanza dal freddo
e la pioggia, dal caldo e i raggi del sole.
Vedevo intorno a me, nella città, che molti altri non
amavano molto i propri simili. Evitavo le rabbie ed i litigi
preferendo passare il tempo del giorno in campagna, con
gli animali e le piante. Avevo, penso, un altrettanto buon
rapporto con gli altri esseri umani.
E vidi che l’intesa tra pastore e gregge era
completamente diversa dal rapporto interumano.
Raramente, nel branco, lupo aggrediva lupo. Avevo visto
che le bestie feroci si scagliavano contro i poveri agnelli
miti e belanti.
Poi mi spiegarono una legge della natura non umana.
Le bestie feroci dovevano divorare i graziosi cervi
perché il loro organismo non sapeva trasformare gli
amminoacidi vegetali in proteine animali. Pertanto erano
necessarie, per sopravvivere, le proteine della carne
degli erbivori che sapevano trasformare gli amminoacidi
vegetali in proteine animali.
Ricordo la sorpresa quando, leggendo quanto veniva
detto psicoanalisi, osservai che il fondatore di quella
organizzazione diceva che la etiopatogenesi delle nevrosi
stava nella sessualità. Compresi che diceva, in verità, che
non era disturbo o malattia della sessualità umana, ma era la
sessualità stessa che era naturalmente perversa e violenta.
Mi misi a ridere quando vidi che tale autore si accorse
dell’aggressività umana dopo i venti milioni di morti della
prima guerra mondiale. E, dopo, che ebbe questo “lampo di
genialità” scrisse, ne Al di là del principio del piacere della
violenza che era distruzione di uomini e cose. Lo “scopritore”
dell’inconscio, realtà non materiale, aveva rapporto soltanto
con la realtà materiale percepibile dalla coscienza.
Avevo deciso, a vent’anni, di diventare medico per
fare lo psichiatra. Poi compresi che per fare lo psichiatra
era necessario studiare e comprendere la realtà mentale
dell’essere umano che non era coscienza e comportamento.
Sconosciuta e tragicamente detta inconoscibile, udivo
che alcuni dicevano che era stata scoperta e conosciuta da
un medico... che non voleva fare il medico.
Sulle orme di un collega chiamato Breuer, pensò che,
oltre il metodo medico di curare i malati con i farmaci e con
la chirurgia, si poteva usare la suggestione perché così il
“rimosso”, ciò che era stato tolto dalla coscienza, e messo
in altro luogo come fosse un oggetto materiale, potesse
tornare in essa come ricordo cosciente.
Così dopo aver saputo del lavoro di Breuer che aveva
ottenuto la “catarsi” con l’ipnosi, abolì l’ipnosi dal suo
metodo per far fare, all’isterica, le libere associazioni,
ovvero per aspettare il ricordo cosciente che... non c’era,
perché la percezione era andata perduta.
Aveva intitolato un suo libro Die Traumdeutung, ovvero
l’interpretazione dei sogni, e l’interpretazione dei sogni non
c’era perché non c’era mai stata.
E leggo titoli che sono facezie: Un sms a Freud,...l’inconscio
ha perso la parola come se, con Freud, l’avesse avuta. E leggo
anche che un paziente sul lettino potrebbe dire “ho fatto un
sogno... Dotto’ me lo interpreta lei?”. Ma l’ “analista” non può
interpretarlo perché nessuno glielo ha insegnato.
E non poteva insegnarlo perché l’autore della Die
Traumdeutung credeva che l’essere umano, che cadeva nel
sonno, regrediva nell’utero materno.
La memoria mi fa vedere la reazione immediata
e spontanea ad un pensiero stupido che tentava di
scompaginare la coerenza di una ricerca. E feci un altro
pensiero che, decisamente, si opponeva a quello violento
“se il sonno è regressione nell’utero, i sogni sono idee innate
senza nessun rapporto con la realtà del mondo”.
E le parole si trasformavano in: i sogni sono mandati
dagli dei (Omero), i sogni sono mandati da dio o dal diavolo
(Agostino) e, simultaneamente, che senso ha il lavoro
Poi l’essere umano diventò un mistero. La pazzia?
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left
left.it
di rapportare le immagini oniriche raccontate al ricordo
cosciente? È un pensiero sconnesso.
Ed ora neppure la memoria che ricrea nella coscienza,
trasformandole in immagini, le figure della percezione
passata e dimenticata, è capace di tornare a quei momenti
in cui, con la repulsione spontanea come fosse un’allergia, è
emerso il pensiero nuovo.
Penso che sia perché, ogni volta, anche se sono sempre le
stesse idee derivate da un rapporto interumano non razionale
che sente e sa, è tornare alla nascita e al primo anno di vita.
Non c’è più la parola imparata, ma la parola nuova come se
fosse creata nel momento in cui la mano la scrive.
È, ogni volta, una ricreazione come se le precedenti non
ci fossero state. E “fantasia di sparizione” segue ora i figli che
la fanno nascere e vivere e creano il proprio nome usando
la sparizione del loro significato che indica le cose materiali.
Oltre c’è il pensiero nuovo che è capacità di immaginare.
Non fu più fantasia di sparizione a generare la pulsione,
ma fu movimento che generò il tempo, che generò pulsione.
Ma il parto trigemino restò all’interno delle due parole che
sembrano sconnesse l’una all’altra perché i significati del
linguaggio imparato sono sempre l’uno lontano ed opposto
all’altro.
Fantasia è creare immagini, sparizione è scomparsa
dell’immagine, che non è rimozione dalla coscienza, ma
rendere non esistente, l’esistente.
“Venti secondi”. Non so se pensavo che sarebbe stato
lecito guardare, con la fantasia senza ragione, alla realtà
materiale ed al tempo prima della comparsa, dopo il parto,
del respiro e del vagito. Forse temevo di staccare il pensiero
dalla realtà biologica.
Forse era necessario realizzare con parole nuove: l’unione
dell’energia con la materia genera il pensiero umano.
Forse avevo visto che era l’unione della realtà non
materiale, che chiamavano divinità, con la terra che genera la
vita. Ed Akhenaton era convinto che fosse il sole l’unico dio.
Ed anche i romani veneravano il Sol Invictus, che
risorgeva sempre dopo che era scomparso all’orizzonte ed
aveva provocato il buio ed il freddo della notte. Poi, con il
monoteismo, la divinità non ebbe più niente di percepibile né
immaginabile ma fu soltanto “pensiero puro”. Altro da sé che
non aveva nessun rapporto con la realtà biologica umana.
Non credettero più alle presenze invisibili ed immortali,
e fecero sparire le figure antropomorfe che abitavano i
boschi, i mari, l’aria e la terra.
Ma non fecero la trasformazione di esse in parole perché
non conoscevano la nascita e la fantasia di sparizione. E la
pulsione di annullamento, che non ha vitalità, fece i termini
verbali scissi dal corpo.
Vedevo soltanto
lo “scemo” del villaggio.
Improvvisa, inaspettata,
misteriosa
venne la morte nera:
la violenza
che voleva accecare,
non far scoprire
la verità
della mente umana.
Poi la chiamai pazzia
Mi ero proposto di parlare della feroce battaglia
politica per l’elezione del Presidente della Repubblica.
Ed avevo scritto: forse non è lecito scrivere sempre della
propria ricerca e del proprio lavoro di psicoterapia di
gruppo.
Ma, come i clerici vagantes che, senza preavviso,
invadevano le Università, vennero nella mano altre
parole e la penna le scrisse.
Erano i ricordi liceali dell’antica Grecia trasformati
in memoria come se fosse un sogno, nella veglia.
E Psichiatria non fu più medicina dell’anima
trasformata in medicina della mente, ma fanciulla che,
con la pubertà, esce dal bozzolo dove era baco chiuso
in esso e diventa farfalla.
Fu la ricerca delle radici della diversità dell’essere umano
dagli animali. Diversità che faceva una realtà biologica altra.
Il divenire del vagito che diventa linguaggio articolato.
Ma fu la contessa che mi fece vedere e comprendere
il rapporto con l’essere uguale e diverso. Fu la
seduzione e la frustrazione che fece il mostro con la
bellezza del corpo e la brutta mente “triste”.
Ed ora il corpo umano, ingabbiato nel setting
come una splendida tigre, ha sviluppato l’intelligenza
luminosa con mille e mille occhi nelle teste che
oscillano come metronomi che seguono il tempo del
suono delle parole.
...era il tempo della primavera che si chiamava pubertà...
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cultura
left.it
La ricerca
sulle origini del folk.
La rivisitazione della
musica napoletana
del ’600. Le composizioni tratte dagli
spartiti dei quadri di Caravaggio.
Dalla Notte
della taranta alla
Chicago Symphony
Orchestra fino
al nuovo cd Sonate
di terra e di mare.
Parla l’eclettico
violoncellista e compositore siciliano
Arcipelago
Sollima
di Martina Fotia
I
narrestabile Sollima. Il violoncellista siciliano
sta incantando le platee di mezzo mondo con
progetti originali, mentre la sua ricerca continua senza tregua. La prestigiosa Chicago Symphony Orchestra gli ha commissionato un concerto
per due violoncelli (suonerà con Yo-Yo Ma): la prima esecuzione sarà nel febbraio 2014 sotto la direzione del Maestro Muti. Il 24 agosto sarà maestro
concertatore per la Notte della taranta, il festival
di musica popolare salentina di Melpignano. Dopo aver guidato per il secondo anno i “cento celli”
al teatro Valle occupato, racconta di «una straordinaria fioritura di dischi», un anno ricco di pubblicazioni. È il frutto di uno straordinario talento,
56
ma anche della sua capacità di dialogo, con tutti, dal pubblico alle istituzioni. Un percorso fatto
anche di rifiuti e di fughe. «Sono scappato ben tre
volte dall’Italia, da ragazzo», racconta. E il discorso si sofferma allora necessariamente sullo stato dell’arte degli enti stabili e delle fondazioni liriche. «Un vero disastro: le orchestre sono demotivate, al teatro La Scala si continua a scioperare
per problemi di turni e di organico. Io stesso - continua Sollima - in Italia molto spesso mi esibisco
da volontario, ho una serie di concerti sold out
non pagati. E suono nel mio Paese solo dal 2006,
visto che prima sono andato via, all’estero, dove
le cose funzionano in un altro modo». E aggiunge:
4 maggio 2013
left
cultura
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«Non ci dimentichiamo che cosa ha significato il decreto Bondi che ha impedito ai musicisti
di tutte le orchestre italiane di eseguire una sola nota al di fuori del teatro di appartenenza. Il
che equivale alla morte di un musicista. Alcuni,
che avevano già firmato diversi contratti, si sono trovati a dover pagare penali perché non potevano adempiere più a quanto sottoscritto». Al
linguaggio poco chiaro della politica e delle lobby che detengono il potere all’interno delle fondazioni, Sollima ha sempre risposto con un altro linguaggio, quello del suo violoncello. Strumento cantante, come ama definirlo. Che lui
ama suonare nei luoghi più strani e suggestivi.
Nel 2008, insieme all’amico sassofonista Alessandro Gandola, scomparso di recente, presenta
il lavoro Astrolabioanima in cima alla collina di
Timbain nel grande Erg tunisino, nel silenzio del
deserto tra le dune e le rocce di antiche montagne.
Un anno prima, nel 2007 sale fino a 3.200 metri sul
ghiacciaio della Val Senales per suonare all’Ice
music festival, con un violoncello di ghiaccio, le
sole corde in budello, appositamente costruito
per lui dall’artista canadese Tim Linhart dentro
l’igloo battezzato Ice dom. «Un suono profondo,
arcaico. Un’esperienza bellissima, in cui la cosa
più divertente fu suonare quello strumento fino al
suo completo scioglimento».
Un’instancabile ricerca di sonorità, quella del violoncellista siciliano, ovunque in giro per il mondo.
Gli ultimi due anni è in Irlanda, America, Africa, alla scoperta delle origini e delle tecniche alla base
della musica popolare. «Il folk è molto legato alla
lingua, in Irlanda in epoca barocca violino e cello
erano strumenti importantissimi, che accompagnavano le canzoni. Anche il Brasile ha delle sonorità affascinanti. Qui esiste ancora oggi una forma musicale antica, che poi negli Stati Uniti è diventata il ragtime, oggi soppiantata da altre musiche, come la bossanova. È una melodia più dolce,
smussata, rotonda». Nasce così il progetto Folk
cello, un cantiere aperto, insieme alla fisarmonica di Sara Calvanelli, anche lei compositrice. «Violoncello e fisarmonica sono due strumenti che legano moltissimo: il senso del tempo dato dall’arco dell’uno coincide con il movimento e l’estensione del mantice nel secondo». Ma la creatività
inarrestabile di Sollima non si ferma qui. È imminente l’uscita di un nuovo cd, Sonate di terra e di
left 4 maggio 2013
mare. Un progetto nato nel 2006, con l’incontro di
cinque amici musicisti (Giacomo Cuticchio, Pietro
Bonanno, Marcello Bonanno, Giovanni Giannone,
Gianluca Cangemi). «Ognuno di loro scriveva dei
pezzi e il violoncello che agiva da campo magnetico. Un giorno eravamo nel laboratorio di Giacomo Cuticchio, in mezzo ai pupi, piazzammo
dei microfoni e registrammo. Loro hanno composto i pezzi ed io, suonandoli, in qualche modo
li abito, li vesto e diventano anche miei». Un lavoro rimasto a lungo nella sua libreria di iTunes
che adesso verrà pubblicato. «Anche perché fu
proprio in quel clima di collaborazione e condivisione che nacque dopo alcuni anni Almendra
Music, l’etichetta che firma la produzione di Sonate di terra e di mare: una barca che toccava
la terraferma con qualcosa di nuovo ogni volta».
Un arcipelago sonoro in cui il tessuto musicale è
fatto di tracce acustiche rielaborate a posteriori
da Luca Rinaudo. Di recente è uscito un altro cd
distribuito da Egea, dedicato a Caravaggio, nato
dalla rivisitazione di una partitura che il Balletto del teatro di Torino commissionò
otto anni fa a Sollima . Il quale, fin
da bambino osservava «quegli strani spartiti riprodotti con precisione
maniacale da Caravaggio nei suoi
dipinti». La sua curiosità lo spinge
a “strappare” dai dipinti quelle poche tracce di madrigali fiamminghi
che riportavano alcune linee di basso. Partendo
da quella base, ne costruisce altre e crea un affresco sonoro ricco ed affascinante.
«Quando suono
un pezzo lo abito,
lo vesto. Così
diventa anche mio»
Dopo aver portato in giro per l’Italia il programma Neapolitan cello concert con i Turchini un ensemble di strumenti storici creato da Antonio Florio e specializzati nell’esecuzione del repertorio napoletano del ’6-700 - nelle prossime
settimane Sollima suonerà il suo celebre Spasimo a fianco dell’ensemble Sentieri Selvaggi, fondato nel 1997 da Carlo Boccadoro, Angelo Miotto e Filippo Del Corno. L’appuntamento è per il
14 maggio al teatro Elfo Puccini a Milano con la
direzione dello stesso Boccadoro. E a fine mese
interpreterà, alternandolo a suoi brani, l’inquietante Gesualdo da Venosa, eccelso compositore
di madrigali del tardo Rinascimento, ma al tempo stesso un uxoricida. Sono infinite le incursioni musicali del violoncello di Sollima.
In apertura,
il violoncellista
e compositore siciliano
Giovanni Sollima
57
puntocritico
cultura
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arte di Simona Maggiorelli
Balla, linea
e colore
Due fotogrammi del film Kiki consegne a domicilio
cinema di Morando Morandini
Kiki, metafora della crescita
K
iki consegne a domicilio è il
caso anomalo, molto probabilmente unico nella storia della distribuzione cinematografica in Italia: un film
di cento minuti, prodotto nel 1989, cioè
24 anni fa, che girando per tutta la penisola ha avuto un soddisfacente successo di pubblico. È una storia di formazione che fa rima con animazione.
Nella scheda che ho scritto per Il Morandini 2013 Dizionario dei film (Zanichelli) le ultime parole sono: «Adatto
anche ai genitori e ai nonni». È il quarto dei 9 lungometraggi di Hayao Miyazaki (1941), grande regista giapponese
di animazione, ispirato all’omonimo romanzo della scrittrice Eiko Kadono. Il
titolo originale è Majo talkyubin, ovvero Kiki’s Delivery Service perché ebbe una coproduzione hollywoodiana.
Attenzione: non perdere i lunghi titoli
di coda. Miyazaki vi suggerisce il senso profondo del racconto: il passaggio
dall’infanzia/adolescenza alla vita adulta - quello di Kiki, appunto - ha il suo
prezzo. Si fa fatica a crescere. A tredici anni compiuti la piccola Kiki decide
di lasciare la comoda casa e gli amati
genitori della media borghesia. Per le
streghe, anzi per le streghette, purché
di animo buono (e lei lo è) andarsene
da casa è un dovere: per conoscere il
mondo anche nelle sue brutture, quelle che ancora ignora. Nel corso di una
breve ma commossa cerimonia d’addio Kiki saluta mamma, papà e parenti. Con la radiolina del padre e il suo
amatissimo Jiji, un gattino nero che sa
parlare con prudente saggezza, a cavallo della sua scopa volante, Kiki parte verso il cielo e il mare che non conosce. Non sa ancora guidare bene il suo
58
mezzo volante, corre più di un rischio,
soprattutto con uno stormo di volatili cui si accoda in volo - finché scende
sulla città costiera di Koriko, qualcosa
di mezzo tra Stoccolma e Lisbona. È
una città europea, dominata da un alto campanile, dove le automobili tengono la destra come si fa in Giappone
e in Gran Bretagna. È una città bizzarra: la radio trasmette in inglese, nelle strade le insegne sono in varie lingue, comprese l’italiana e l’ungherese e la gente sembra aperta e disponibile (ma non abituata alle streghe che
volano). Trova subito una sistemazione e un lavoro di consegne a domicilio (chi meglio di lei che vola?). Mette in ordine il suo appartamentino, e
trova Tombo, un simpatico ragazzetto
occhialuto che le fa la corte. Un giorno, però, volando sotto la pioggia, si
busca un terribile raffreddore e, guarita, scopre di aver perduto molte delle
doti. Qui comincia l’ultima parte, forse la più riuscita, che si discosta dal
romanzo di Eiko Kadono per arrivare a un inevitabile, ma legittimo happy end. Kiki consegne a domicilio è
uno dei migliori film di Miyazaki abitato da figure di contorno credibili e
simpatiche (l’amica pittrice Ursula, la
cliente anziana, la panettiera incinta),
ricco di particolari preziosi e di trovate spettacolari (il dirigibile) e delicati rapporti con la natura. Un amico
mio, grande esperto di automobili,
mi suggerisce che sia ambientato negli anni Cinquanta. Come tutti i grandi film, quelli che resistono all’usura
del tempo, ha bisogno di spettatori
che vincano la nostra abituale fretta
e distrazione.
C
oloratissimo e luminosissimo. I collage 1914-1925 è il titolo della mostra alla Galleria d’Arte Cinquantasei di Bologna che, fino al primo giugno, ospita una trentina di collage di Giacomo Balla, provenienti per lo più da collezioni private e per questo poco viste. Praticamente si tratta del cinquanta per cento
della sua produzione visto che di questo grande artista si conoscono solo
una sessantina di collage. Pittore originale, che fiancheggiò il movimento
di Tommaso Marinetti, Giacomo Balla (1971-1958) è stato uno dei più interessanti sperimentatori dell’avanguardia italiana. Torinese d’origine, si trasferì a Roma nel 1895, ma il suo esordio in pittura non fu affatto provinciale e legato all’attardato realismo macchiaiolo che ancora dominava l’Italia.
Per prima cosa Balla si mise a studiare il Divisionismo, a Roma quello italiano di Previati e Pellizza da Volpedo,
e dal 1900 fu a Parigi dove cercò di capire come Seurat scomponeva la visione secondo le ultime ricerche sulla luce. Una lezione di cui Balla fece tesoro
ma ricreandola in modo del tutto originale, sperimentando i temi che ri-
Giacomo Balla, Linee forza di paesaggio
+ esplosione (1918-circa), collage
4 maggio 2013
left
cultura
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guardano non solo luce ma anche la
rappresentazione del movimento, in
pittura, e poi nella fotografia e nel cinema, frequentando il vivace studio di
Anton Giulio Bragaglia a Roma, punta di diamante della ricerca nel primo
Novecento. Il passaggio al futurismo
fu un’episodio centrale, ma non definitivo per Balla, come documenta la sezione di questa mostra bolognese curata da Claudio Spadoni e intitolata
“Giacomo Balla, l’uomo e l’artista” che
espone circa 25 opere dal 1904 agli anni 50. Certo, Balla compare fra i firmatari del primo Manifesto futurista, ma
per lui fu solo un momento di passaggio nelle ricerche sulle scomposizioni dei colori e sulle fasi dei movimenti, come la celeberrima Dizionario di
un cane a guinzaglio. La ricerca di
Balla si svolgeva a tutto raggio nell’ambito della pittura astratta e nel periodo della guerra, invece di andar dietro alle smanie guerrafondaie di Marinetti che contagiarono anche Boccioni, Balla si mise a sperimentare con i
collage di carte colorate, proprio perché gli consentivano di realizzare opere assolutamente “astratte”. Composizioni geometrizzanti e dinamiche come si può vedere nella sezione più originale di questa esposizione curata da
Elena Gigli nei 900 metri quadri della
galleria suddivisi su due piani. Forse,
come sostengono alcuni studiosi, fu la
carenza di tele e colori durante il conflitto a spingerlo a intraprendere questa strada, forse fu stimolato dalla coeva ricerca dei futuristi Boccioni, Carrà e Severini, ma come fa notare giustamente la curatrice «da Balla arriva a una proposta nuova (e freschissima) che ha certamente pochi precedenti in Europa. L’inserimento di carte colorate riesce a proporsi come un
allargamento del discorso pittorico e,
allo stesso tempo, prevede l’intervento d’un elemento antipittorico. Le vivaci carte impiegate nel collage sono
quindi connesse all’operazione stessa dell’invenzione e dell’effetto finale: non sono mai usate in senso soltanto “estetico” come avviene nel cubismo (ma anche in Boccioni). E insomma, per dirla con termini recenti, il medium diventa il messaggio».
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libri di Filippo La Porta
La vita in pillole di Frascella
I
l protagonista di Il panico quotidiano di Christian Frascella (Einaudi) ha il suo primo attacco di panico. Da quel momento l’esistenza deraglia dai propri binari: Christian - si chiama come l’autore - sembra perdere il controllo sul comportamento, sulle emozioni, e diventa preda di psicofarmaci. Le crisi ne modificano il punto di vista sul mondo. Tutto lo terrorizza, e così urla ai suoi amici che aspettano un bimbo di calcolare bene le conseguenze della loro scelta, e cioè mettere al
mondo qualcuno che sarà paralizzato dalla paura. Con la malattia acquista una radicalità di sguardo, diventa incapace di
fingere, e ciò porta alla fine della sua relazione con Lucia «in un rapporto di coppia
la finzione e l’omissione e il compromesso hanno un’importanza fondamentale.
Chi lo nega, nega la realtà». Le crisi avvengono in qualsiasi momento e senza preavviso. «Attacchi feroci, continui». Poi si diradano fino a creare l’illusione di una
guarigione, ma dopo aumentano di nuovo. Il libro si chiude con un dialogo tra lui
e lo psichiatra. Non ho la competenza tecnica per pronunciarmi in merito. Certo
mi colpisce che l’argomento dello psichiatra non differisca da quello che potrebbe
usare, che so, il mio barbiere: «Pensa a quelli che stanno peggio... fatti un giro nei
reparti di Oncologia». Invitandolo infine ad accettare realisticamente le crisi come
fossero parte di se stesso. Qui lo psichiatra assume semplicemente il restare in vita come unico valore assoluto, senza affrontare la questione della qualità della vita
(che invece riaffiora in una esperienza di lavoro manuale che il protagonista fa su
un campo datogli da un ex collega). Frascella è persuasivo nel raccontare l’irruzione della malattia, ha una lingua sobria e insieme emotiva, lacerata (il romanzo è in
prima persona), con alcune punte liricheggianti («esposi il volto alla pioggia, alle
sue piccole dita») e solo a volte con una paratassi stile Scuola Holden. Ma non doveva lasciare allo psichiatra l’ultima parola. Davvero l’alternativa, nelle nostre relazioni private e sociali è tra abitudine dei “sani” all’ipocrisia e una verità che risulta sempre intollerabile (come qui è quella che emerge con la malattia)? Davvero la
coppia e l’amicizia si fondano sempre sull’omissione, e chi lo nega nega la realtà?
Giorgio sassi
fuori di testa
di Maurizio Marino,
Castelvecchi,
131 pagine
18 euro
L’artista
della
sparizione
di Anita Desai,
Einaudi,
153 pagine
13,50 euro
scaffale
Un bel ritratto di Gianni Sassi, figura centrale nella
vita culturale di Milano, negli anni 70 e 80. Prima che
declinasse nella città da bere. Basti dire che con la Bla
Bla records, Sassi produsse i primi dischi di Battiato e
con la Cramps records lanciò gruppi come gli Area di
Demetrio Stratos e poi Finardi e gli Skiantos.
La scrittura icastica e poetica di Anita Desai, forse la
maggiore scrittrice indiana vivente, ritorna in questo
affascinante racconto lungo in cui affresca la storia di
un anziano custode di oggetti dimenticati, la cui vita
appartata, viene interrotta da una troupe di documentaristi che pretende di filmare la sua storia.
I 55 giorni che
hanno cambiato
l’italia
Imposimato torna a scavare in quel buco nero della
di Ferdinando
storia italiana che è ancora oggi l’omicidio di Aldo
Imposimato,
Newton Compton, Moro. Il magistrato siciliano presenta il suo libro l’8
maggio alla libreria Arion di Roma con Antonio Esposi160 pagine
to, Furio Colombo e Francesco Rosi.
13,50 euro
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bazar
cultura
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Docufilm di Camilla Bernacchioni
Non chiamateci immigrati
«M
i sento un immigrato dentro. E nel mondo fuori. Ho
trovato nel cinema il modo di espressione artistica che mi corrispondeva,
un mezzo estremamente forte, potente». Così il giovane Haider Rashid, nato a Firenze da padre iracheno (il noto
giornalista Erfan Rashid) e madre calabrese, ha iniziato presto a confrontarsi con la macchina da presa e a diciannove anni era già a Londra per studiare cinema. Da lì è iniziata anche
la sua riflessione sul tema dell’identità delle seconde generazioni di immigrati. Ora con il suo terzo film, Sta
per piovere in sala dal 9 maggio, si occupa del diritto di cittadinanza negato ai nati in Italia da genitori stranieri. Un tema autobiografico quanto attuale per i tanti che come lui sono nati e cresciuti in un Paese che ancora
oggi non li riconosce. Come accade a
Said, il protagonista del film, figlio di
algerini, nato in Italia, panettiere part
time a Firenze. Il titolare della fabbrica in cui lavorava suo padre si è suicidato e la famiglia non può rinnovare il permesso di soggiorno. L’Italia, il
Paese che Said ha sempre considerato suo, diventa improvvisamente un
muro di gomma che lo spinge a “tornare a casa”, in un Paese, l’Algeria,
che non ha mai neanche visitato. Si
trova così a riflettere su un dilemma:
rimanere in Italia clandestinamente
o partire per l’Algeria con la sua famiglia. Storie, purtroppo, di vita quotidiana, per i tantissimi nati in Italia
da genitori stranieri. «La questione
dell’identità delle seconde generazioni è un tema che ho molto a cuore», spiega Rashid. «Ancora si tende
a raccontarle attraverso personaggi
stereotipati. A me interessava ridare una dimensione di normalità, rappresentarli in un modo diverso». Per
quanto si continui a parlare di integrazione in Italia, «il termine “immigrato” credo abbia ancora un’accezione negativa», dice il regista che però, come lascia intendere il titolo del
film, Sta per piovere, sente qualcosa
nell’aria, l’arrivo forse di un cambiamento: «Sta crescendo la consapevolezza, anche perché le seconde generazioni rappresentano la chiave del
rinnovamento». Il film è stato realiz-
Due immagini del film Sta per piovere di Haider Rashid
60
zato in sei mesi: «Sono una persona
che si adatta molto - conclude il regista - mi interessa solo la storia che voglio raccontare. Quello è l’obiettivo.
Non dico che sia semplice fare film e
che non servano molti soldi, ma non
si può sempre aspettare».
buonvivere
di Giulia Ricci
La musica
fa scuola
S
iamo il Paese dei beni culturali, ma troppo
spesso, ahimé, lo Stato se ne dimentica. Prendiamo ad esempio la
musica. Tutti ne riconoscono il valore intrinseco per la formazione
della personalità. Sia da un punto di
vista culturale che umano. Musica
intesa come possibilità concreta di
suonare uno strumento, ma anche
come capacità di ascolto, di tessere relazioni sociali. Dal punto di vista didattico la musica è importante per «l’acquisizione di strumenti
di conoscenza, per la valorizzazione alla creatività e alla partecipazione», come si legge nelle Indicazioni nazionali del ministero della
Pubblica istruzione per il primo ciclo. Peccato però che nelle scuole
non sia previsto l’inserimento organico di un insegnante specializzato. Un appello (faremusicatutti.altervista.org) in tal senso promosso
dal Forum per l’educazione musicale sarà consegnato al neo ministro
Maria Chiara Carrozza. Circa 10mila le adesioni, tra cui quelle di tanti musicisti (da Ennio Morricone
all’Orchestra di piazza Vittorio) di
genitori e insegnanti. Perché la musica è un bene comune.
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cultura
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Junior di don.coc.
A Lampedusa sbarcano libri
Immagini
dal catalogo
della mostra
Destinazione
Lampedusa
allestita al
Palazzo delle
Esposizioni
di Roma
U
na bambina gioca e
parla con l’onda del
mare. Poi c’è un ragazzino
che sbarca su un’isola. Un
orso abita in una casa su un
grande albero con le radici
che affondano nell’acqua.
E un bruco sbuca da una
bella mela. The Wave di
Suzy Lee, Robinson Crusoe di Ajubel, De boomhut
di Marije & Ronald Tolman,
La mela e la farfalla di Iela & Enzo Mari. Storie potenti raccontate solo con le
immagini. Sono alcuni dei
libri senza parole, i silent
book provenienti da tutto
il mondo che costituiranno il nucleo della biblioteca per ragazzi di Lampedusa. L’isola-frontiera, l’isola-accoglienza che per prima ospita i migranti in fuga
dalle guerre e dalla povertà. A Lampedusa non esiste una biblioteca per bambini, né italiani né stranieri.
Adesso sarà possibile grazie al progetto Libri senza parole. Destinazione
Lampedusa promosso dalla sezione Italia dell’asso-
left 4 maggio 2013
ciazione internzionale Ibby (International board of
books for young people),
che insieme al Palazzo delle Esposizioni di Roma ha
organizzato la mostra che
verrà inaugurata il 7 maggio alla presenza del sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini e di Vincenzo Spadafora, garante per l’infanzia
e l’adolescenza. Oltre cento libri di settanta editori
provenienti da venti Paesi. Sono arrivati grazie alla gigantesca operazione
attivata da Ibby. Tre copie di ogni libro. Uno per
la mostra che da Roma girerà tutto il mondo, uno
per lo Scaffale d’Arte del
Palaexpo, e uno per la biblioteca lampedusana. «I
silent book sono la nuova
frontiera della letteratura
per ragazzi», afferma Paola Vassalli, curatrice della mostra e responsabile
dei Servizi educativi del
Palazzo delle Esposizioni.
Sono libri d’arte e di poesia al tempo stesso. Senza
confini. Libri per sognare.
Del resto Giusi Nicolini, la
combattiva ambientalista
che un anno fa è diventata sindaco dell’isola lo dice apertamente. «Immaginiamo questa biblioteca
come un centro in cui accogliere voci e parole, un
luogo per crescere. Serve
per i bambini che vivono
a Lampedusa a inventare
modi di vivere, a distinguere l’orizzonte dal confine»,
scrive nell’elegante taccuino d’autore-catalogo illustrato da Chiara Carrer
e Sara Verdone. L’esposizione è anche l’occasione per conoscere la prima
honour list di libri senza
parole selezionata da una
giuria internazionale. Intanto, nell’isola delle Pelagie si lavora alacremente per creare la biblioteca
che verrà aperta alla fine
di giugno durante la Festa
del turismo responsabile e
dei diritti umani. Sorgerà
sulla centrale via Roma, a
due passi da quel mare da
dove sbarcano i migranti
in cerca di una nuova vita.
musica
Sos
Maggio
«Il Maestro Claudio Abbado
(nella foto) dirigerà gratuitamente il concerto del 4
maggio in segno di solidarietà e amicizia nei confronti
del Maggio Musicale Fiorentino. In questo momento
così difficile considero il gesto del Maestro Abbado un
segno concreto di sostegno
al salvataggio di un’istituzione culturale così importante
come la nostra». A dare la
notizia è stato Francesco
Bianchi, il commissario
straordinario nominato lo
scorso primo febbraio dal
ministro Lorenzo Ornaghi
alla guida della fondazione
lirica. Col preciso obiettivo
di riuscire dove la soprintendente Francesca Colombo,
scelta nel 2010 dal sindaco
Matteo Renzi, ha fallito.
Ripianare l’enorme debito
della fondazione lirica. La
situazione economica del
Maggio Fiorentino è critica
da tempo, tanto che il 31
dicembre scorso il sindaco
Renzi ha deciso di intervenire firmando il licenziamento
di 10 dipendenti, ridotti a 8
dopo numerose critiche.
Ma anche la ricetta del
commissario Bianchi non
sembra molto diversa:
buste paga più leggere e
tagli di personale. Intanto il
maestro Muti dirigerà il Tannhäuser di Wagner,
il Te Deum di Verdi e la Symphonie Fantastique
di Berlioz.
a.c.
61
[email protected]
cultura
TRENTO
UDINE
ROMA
Film e
montagna
Festeggia il 61esimo
compleanno il Festival
internazionale del cinema e della cultura di
montagna in cartellone
fino all’8 maggio a
Trento. La festa, lunga
11 giorni, prevede un
calendario fittissimo di
appuntamenti, proiezioni e incontri diffusi
in tutta la città. Molti gli
ospiti del mondo artistico e dell’alpinismo.
Piano
cittadino
è solo rock?
Non solo incontri e spettacoli alla IX edizione del
festival Vicino/Lontano, a Udine dal 9 al 12 maggio: quest’anno alla galleria Tina Modotti sarà
allestita dal 3 al 19 maggio la mostra It’s Only
Rock and Roll...? L’esposizione unisce gli scatti
“musicali” degli anni 60 di Gunter Zint,
a quelli contemporanei di Giovanni Chiarot.
In programma anche l’installazione Aquarium
del russo Vladislav Shabalin.
ReGGIO EMILIA
ROMA
Cinema español
Giunge alla sesta edizione il Festival del cinema
spagnolo ospitato nel capitolino cinema Farnese
dal 9 al 15 maggio. La kermesse si propone
di aprire una finestra sul panorama cinematografico spagnolo e latinoamericano. Ad aprire il
festival sarà il film Blancanieves di Pablo Berger,
Varie sezioni: la nueva Ola presenta le ultime produzioni iberiche, Locos 80 e altre ancora.
VICENZA
New York
odierna
La mostra Empire State. Arte a New York oggi
sarà ospitata fino al 21
luglio al Palazzo delle
Esposizioni di Roma.
Verranno proposte al
pubblico le opere di 25
artisti newyorkesi, tra
emergenti e affermati.
Il tema da esplorare: i
miti e la mutevolezza
della città di New York,
intesa come la “moderna Roma”.
62
MILANO
Dal 10 al 12 maggio il
capoluogo lombardo
ospiterà la seconda
edizione di Piano City
Milano. Centinaia di
concerti per pianoforte si svolgeranno nella
città, per imparare a
coniugare musica e
vita metropolitana.
Gli appuntamenti si
svolgeranno in abitazioni private o presso
la Galleria d’arte
moderna.
LODI
Uomini
sociali
Scatti pubblici
Due mostre d’eccezione verranno presentate sabato 4 maggio presso l’Ospitale di Rubiera (Reggio Emilia). La prima è Medebach, di Petra Wittmar; ricerca realizzata fra il ’79 e l’83 e costituita da 50 fotografia in bianco e nero sulla città di
Medebach. La seconda è Welfare Space Emilia,
esposizione di 75 fotografie, rappresentative di
una lunga indagine sugli spazi pubblici e di welfare. In mostra sino al 16 giugno.
Festa jazz
Un grande programma quello di Vicenza Jazz
2013, il festival giunto alla XVIII edizione che si terrà
dal 10 al 18 maggio. Oltre un centinaio i concerti e
gli artisti di fama internazionale come Gonzalo Rubalcaba, Gary Burton, Mike Stern (nella foto), Enrico
Rava ed Enrico Pieranunzi. Dai teatri alle chiese ai
locali, le note del jazz abbracceranno l’intera città.
Quarta edizione per
il festival Comportamenti umani, in
programma a Lodi
dal 9 al 12 maggio.
L’appuntamento si
propone, attraverso
la voce di scrittori e
artisti, di indagare la
dimensione sociale
e i comportamenti
degli individui.
4 maggio 2013
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OS_5xmilleLeft20x28 23/04/13 16.57 Pagina 1
dona il tuo
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abbiamo donato il sorriso a più di 200.000 bambini
poveri nati con la labio palatoschisi; ma ancora molti sono
quelli che in tanti paesi del mondo, aspettano l’intervento
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