Le tematiche

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Le tematiche
Le tematiche
I temi fondamentali della poetica pirandelliana sono quattro:
1 - contrasto tra illusione e realtà; 2 - sentimento del contrario; 3 - casualità, imprevedibilità, relatività delle vicende umane; 4 - senso dell'umorismo e dell'ironia.
1 - Contrasto tra illusione e realtà - È il dramma che travolge l’uomo allorché si accorge che l’illusione
è un inganno o comunque una realtà irrealizzabile e la realtà meschina e avvilente, del tutto inadeguata
alle speranze (di qui il sentimento di sconfitta e di impotenza). È il dramma dell’impossibilità di costruire
un rapporto diretto con gli altri e dell’incapacità di amalgamarsi con una società che non si occupa delle
esigenze del singolo individuo. Pirandello, insomma, si rende conto che gli uomini vivono la loro vita in
maniera irreale: essi non sono mai reali, veri, cioè come vorrebbero essere, ma come sono costretti a
essere; sono uomini costretti ad indossare una maschera che gli altri o gli eventi hanno loro imposto (la
maschera del professionista serio e autorevole, del marito innamorato, del pazzo, del defunto...). È questo, per esempio, il dramma del protagonista dell’ Enrico IV, di Martino Lori in Tutto per bene, di Mattia
Pascal in ll fu Mattia Pascal, di Rosario Chiàrchiaro e dell'avvocato, protagonisti, rispettivamente, delle
novelle La patente e La carriola.
2 - Sentimento del contrario - Quando Pirandello si trova davanti ad una realtà che potrebbe essere
vera, sente l'esigenza interiore di distruggerla e di presentarci il suo esatto contrario. È il caso di Mattia
Pascal, il quale, credendo di aver conquistato, con la sua morte, la libertà, si accorge, invece, che quel
tipo di libertà è un'altra prigione e che libera è rimasta la moglie, tanto che ha potuto risposarsi; è il caso
di Memmo Speranza, protagonista di Ma non è una cosa seria, per il quale il matrimonio, contratto per
gioco e per comodo, finisce per diventare una cosa serissima; è il caso di don Lollò Zirafa, protagonista
della novella La giara, che, in un impeto di collera, spacca lui stesso ciò che mai avrebbe voluto che si
rompesse.
3 - Casualità, imprevedibilità, relatività delle vicende umane - Secondo Pirandello spesso e volentieri è il caso, l'imprevedibile a determinare la vita delle persone (si veda, per esempio, la casuale vincita al
gioco di Mattia Pascal e la casuale lettura sul giornale della notizia relativa alla sua morte; l'imprevedibile
impennata del cavallo che causa la pazzia di Enrico IV; l'imprevedibile innamoramento di Memmo Speranza per Gasparina; il casuale turno di notte che fa sì che Ciàula "scopra" la luna).
Quanto alla relatività delle vicende umane, Pirandello sostiene che tutto è relativo: non c'è niente che
possa garantirci la validità delle nostre affermazioni e azioni, perché ciò che è valido per me può non esserlo per gli altri. La verità assoluta, oggettiva, pertanto, non esiste: ogni uomo ha una sua verità e le
situazioni e le persone cambiano a seconda della prospettiva da cui si osservano. È questa una delle
due chiavi di lettura della commedia Sei personaggi in cerca di autore (l'altra è quella della incomunicabilità) e di altre opere importanti come, per esempio, Uno, nessuno e centomila e Così è (se vi pare).
4 - Senso dell'umorismo e dell'ironia - L'umorismo, che caratterizza molte opere pirandelliane, nasce
dal contrasto tra illusione e realtà, una realtà che ci fa vedere il rovescio della medaglia, il lato negativo della nostra illusione, l'altra faccia delle cose e degli uomini; ogni nostra illusione viene distrutta
dall'implacabile apparire del suo contrario, persino l'illusione di essere una sola persona e di conoscere
la nostra anima. Ne consegue una originale concezione della vita e dell'uomo che è ben evidente in tutta
l'opera di Pirandello e che può essere riassunta in una massima: il mondo è un immenso palcoscenico e l'uomo una maschera.
Sull'argomento Pirandello scrisse un saggio intitolato L' umorismo, pubblicato nel 1908.
Lo stile
Pirandello mira ad una letteratura di contenuti e non di parole, perciò disprezza ogni formalismo linguistico, adottando una prosa scarna che contribuisce ad accrescere la tensione drammatica delle situazioni ed intensifica l'evolversi serrato degli avvenimenti.
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Alcune opere
Novelle
La carriola - Il protagonista di questa novella, un famoso e stimato avvocato, scopre improvvisamente di
non aver mai vissuto una sua propria, vera vita, ma di aver interpretato una parte. Consapevole di essere prigioniero della "maschera" che gli altri gli hanno imposto e che gli pesa addosso, lo soffoca, lo
schiaccia, appena possibile, di nascosto, se ne libera compiendo gesti assurdi, ridicoli, ma che rappresentano una forma di evasione dalla gabbia delle convenzioni sociali in cui si sente imprigionato. Ed ecco allora l'avvocato, noto per la sua serietà, dignità, sapienza, afferrare la vecchia cagnetta per le zampine posteriori e farle fare "la carriola".
La patente - Rosario Chiàrchiaro, uomo "normale", con un lavoro e una famiglia, vede la sua vita distrutta. Questo perché tutti in paese lo ritengono uno iettatore. E allora, disperato e ridotto con i suoi cari alla
fame (per questa sua fama ha perso il lavoro), decide di trarre beneficio dalla maschera grottesca e tragica che la società gli ha cucito crudelmente addosso: pretende dal giudice D'Andrea la "patente" di iettatore per poter ufficialmente sfruttare gli strani poteri che la gente gli attribuisce e che sono l'unica risorsa rimastagli; d'ora in avanti si piazzerà davanti a tutte le fabbriche, davanti a tutti gli esercizi commerciali e le persone lo pagheranno per mandarlo via.
La giara - Protagonisti di questa divertente novella sono don Lollò Zirafa, ricco e avaro contadino siciliano, dal carattere irascibile, e Zi' Dima, il "conciabrocche". Zi' Dima, chiamato da don Lollò per riparare
una bella giara, nuova di zecca, trovata inspiegabilmente rotta, rimane chiuso all'interno del vaso, senza
poterne più uscire. L'unico modo per liberarlo è rompere la giara, ma don Lollò, incollerito oltre ogni misura, oppone un netto rifiuto. Zi' Dima potrà uscire dalla sua singolare prigione solo quando don Lollò, in
un impeto d'ira, causerà lui stesso la rottura della sua amatissima giara.
Ciàula scopre la luna - Protagonista di questa struggente novella è Ciàula, un povero menomato psichico che lavora in una miniera di zolfo, in Sicilia. Il suo compito è quello di portare in superficie il materiale estratto. Ciàula non ha affatto paura del buio della miniera, ma di quello della notte sì, perché non
lo conosce. E non lo conosce perché tutti i giorni entra in miniera all'alba e ne esce al tramonto, poi
mangia un boccone e si butta sul pagliericcio a dormire fino al mattino seguente. Un giorno, però, che
Ciàula è costretto a lavorare anche di notte, portando fuori dalla cava il materiale estratto, "scopre", con
estatica meraviglia, la bellezza della luna che, avvolta nel "suo ampio velo di luce", rischiara le tenebre
della notte: una notte di cui Ciàula, adesso, non ha più paura.
Romanzi
Il fu Mattia Pascal - Un uomo timido e modesto, Mattia Pascal, allontanatosi da casa dopo un litigio con
la moglie, per puro caso vince al gioco a Montecarlo una forte somma e, sempre per caso, legge su un
giornale la notizia della sua morte (moglie, parenti e amici hanno creduto di riconoscerlo nel cadavere di
un uomo annegato nelle acque di un canale). Mattia decide, allora, di approfittare delle circostanze e di
cominciare una nuova vita, libera e autentica (i soldi vinti al gioco lo hanno reso economicamente indipendente) e col nome di Adriano Meis va a vivere a Roma, in una pensione. A mano a mano che Mattia
si va inserendo nella vita, gli si ricostituisce attorno la rete dei rapporti sociali (si fa degli amici e dei nemici, si innamora, ecc.). Ma egli non può aderire alla vita perché impossibilitato a provare la sua identità
personale, privo com'è della forma (stato anagrafico, identità civile). La sua condizione gli impone sempre la reticenza e magari la menzogna. Egli non può ricorrere alla legge per far valere i propri diritti e tutelare i propri interessi, non può trovarsi un lavoro, non può sposare la donna amata. La sua libertà,
senza anagrafe, non serve a nulla: egli rimane sempre un morto; come vivo, è un clandestino e la vita
che aveva creduto di costruirsi è un fantasma di vita. Decide, allora, di morire come Adriano Meis, simula un suicidio e scompare. Deciso a rientrare nella sua primitiva condizione, nella primitiva forma, torna
al paese, ma trova la moglie sposata con il suo migliore amico d'infanzia: ancora una volta la sua posizione è quella del rifiutato, dell'escluso; la società si è richiusa sopra di lui come un mare. Mattia si astiene dal presentare alcuna azione legale e sceglie di restare un morto, cioè "il fu Mattia Pascal", e non
gli resta altro che recarsi, di tanto in tanto, a visitare la propria tomba.
2
Uno, nessuno e centomila - Vitangelo Moscarda viene turbato un giorno, improvvisamente, da un'osservazione della moglie sull'inclinazione del suo naso: esso pende verso destra. Moscarda non se n'era
mai accorto. Egli si sente insidiato da questa improvvisa consapevolezza: a se stesso appariva in un
modo, agli altri in un altro. Questa scintilla, minima e infinitesimale – la forma del proprio naso – provoca
una esplosione, uno sconvolgimento generale nella vita dell'uomo. Egli si invischia in una serie di sfortunate iniziative per affermare la propria personalità, ma le sue decisioni vengono sempre travisate e non
hanno altro esito che attaccargli addosso la fama di pazzo. Non potendo cancellare la sua identità, la
sua "forma" (quella "forma" che gli altri vedono e che ciascuno interpreta a suo modo, generando nel
povero Moscarda una grave crisi di identità), egli, nuovo e più maturo Mattia Pascal, decide di "morire"
agli occhi del mondo, di non essere più nessuno, e si chiude nell'ospizio che ha fatto costruire coi proventi dell'usura, riducendosi a vivere una vita da alienato (in questa paradossale conclusione, il mondo
narrativo di Pirandello sembra rifiutare come assurda e vana ogni forma di comunicazione umana).
Opere teatrali
Enrico IV - Il protagonista, un giovane aristocratico, durante una festa in costume (indossa i panni di Enrico IV, l'imperatore tedesco che nel 1077 dovette umiliarsi a Canossa), per una impennata improvvisa
del cavallo cade, batte la testa e impazzisce. Per 12 anni vive nella convinzione di essere davvero Enrico IV. I parenti lo assecondano, fino al punto di mettergli accanto, nella sua villa trasformata in reggia,
valletti e servitori in costume. A completare la finzione, due ritratti che rappresentano un uomo e una
donna nei panni di Enrico IV e di Matilde di Canossa. Improvvisamente il folle rinsavisce e si rende conto
di che cosa è successo nei 12 anni trascorsi nella follia. Matilde Spina, la giovane che lo accompagnava
nella famosa cavalcata, è diventata l'amante del barone Tito Belcredi, l'uomo che, per eliminare il rivale,
aveva provocato apposta l'impennata del cavallo. Per sfuggire alla triste realtà che ha scoperto, Enrico
IV continua a fingersi pazzo: egli così potrà guardare dal di fuori, da "esiliato", la vita, potrà continuare a
vivere in un passato piacevole, senza venire coinvolto dalla dura realtà. Egli, insomma, decide di vivere
coscientemente la sua pazzia, chiuso nella sua totale solitudine, perché convinto della impossibilità di
comunicare con gli uomini, di comprendere e di essere compreso.
Ma questo è l'antefatto. Il dramma comincia quando una sera (sono ormai trascorsi 20 anni dalla caduta
da cavallo) arrivano alla villa Belcredi, Matilde con la figlia Frida, il fidanzato di Frida, Carlo di Nolli (nipote di Enrico IV) e il medico Dionisio Genoni, che per guarire il folle decide di sottoporlo a un forte choc.
Per questo fa travestire Frida da Matilde di Canossa e le fa prendere il posto del grande dipinto che raffigura la contessa. Quando Enrico IV la vede, riconoscendo in quel volto la bellezza di Matilde Spina, la
donna amata, per poco non impazzisce di nuovo. Poi, dopo essersi calmato, rivela che ormai è guarito.
Tutto sembra volgere per il meglio, ma il tentativo che Enrico IV fa di abbracciare Frida, che gli ricorda la
bella Matilde di un tempo, provoca la violenta reazione di Belcredi: per difendersi Enrico IV estrae la
spada e lo uccide. Ora non gli resta che assumere di nuovo la sua maschera di pazzo: sarà la sua condanna, ma anche l'unico modo che gli permetterà di salvarsi, di restare esiliato e libero dalla realtà.
Tutto per bene - Martino Lori, vedovo, dopo venti anni scopre che la moglie l'ha tradito e che Palma
non è sua figlia, ma per non creare scandalo e per non sconvolgere l'equilibrio della sua vita, di fronte
agli altri finge di non sapere niente, passando così agli occhi della gente (che invece è a conoscenza
dell'adulterio) come un marito esemplare, complice accomodante del tradimento della moglie.
Ma non è una cosa seria - Memmo Speranza, dongiovanni allegro e spensierato, reduce da un duello
col mancato cognato che per poco non l'ha spedito all'altro mondo, decide di non correre più il rischio di
ammogliarsi e … si sposa. La scelta cade su Gasparina Torretta, la modesta proprietaria di una pensione, donna insignificante e non più giovanissima. In realtà questo matrimonio "non è una cosa seria", è
solo un gioco: Gasparina, che ha un carattere remissivo, accetta di buon grado la proposta di Memmo,
cioè di essere solo di nome la "signora Speranza" e di vivere lontana dal marito, in una casa in campagna, in completa libertà e senza preoccupazioni economiche. Con questo matrimonio di comodo il giovane è convinto di poter restare eternamente scapolo, al sicuro da ogni eventuale "pretendente" e senza
le noie di una vita coniugale. Ma quando la donna, che l'amore e la vita serena hanno restituito alla sua
bellezza, vorrebbe abbandonare Memmo per porre fine alla finzione, Memmo si accorge di essersene
innamorato e capisce che il suo matrimonio è diventato "una cosa seria".
3
Così è (se vi pare) - Sullo sfondo di un'intricata vicenda si muovono la signora Frola e il signor Ponza
che si credono reciprocamente pazzi e sostengono ciascuno la propria verità circa la reale identità della
moglie del signor Ponza: per la signora Frola si tratta della propria figlia (Lina), per il signor Ponza, rimasto vedovo della figlia della signora Frola, si tratta della seconda moglie (Giulia). Intorno a questi personaggi gravita una folla di curiosi intenzionati a scoprire la verità, ma condannati a non sapere mai chi dei
due abbia ragione: se il signor Ponza o la signora Frola. Convocata, infatti, la signora Ponza per sapere
da lei come stanno realmente le cose, ella si presenta, simbolicamente coperta di veli, e a chi la interroga risponde: "La verità? È solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola e la seconda moglie
del signor Ponza, sì; e per me nessuna! nessuna! Per me, io sono colei che mi si crede" (e in queste ultime parole il riferimento non è tanto alla sua personale identità quanto alla verità in generale).
Sei personaggi in cerca d'autore - Sei personaggi (il Padre, la Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto, la Bambina) irrompono sul palcoscenico di un teatro dove si stanno svolgendo le prove di un'opera
pirandelliana ("Il gioco delle parti"): sono personaggi che, rifiutati dall'autore, il quale non è riuscito a
comprenderli, cercano qualcuno che li rappresenti sulla scena e, tra lo sbigottimento degli attori impegnati nelle prove, ciascuno di loro racconta il proprio dramma familiare. Gli attori cercano di intromettersi,
ma la loro rappresentazione risulta scialba, falsa, per cui sono costretti a rinunciare, lasciando il posto ai
personaggi autentici.
Questa commedia approfondisce il dramma dell'incomunicabilità, ma sviluppa anche quello della relatività delle vicende umane: l'autore, prima, e gli attori, poi, non riescono a rappresentare in modo efficace, veritiero il dramma dei sei personaggi così come essi lo avvertono, perché è impossibile rendere
oggettivi, cioè validi per tutti, sentimenti ed esperienze che appartengono alla sfera individuale di ciascuno di noi.
Con questa opera Pirandello introduce una grande novità all'interno della rappresentazione teatrale: il
cosiddetto teatro nel teatro che consiste nel portare sul palcoscenico non un'azione compiuta, ma una
vicenda nel suo progressivo farsi.
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