Protezione dei dati degli agenti di polizia

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Protezione dei dati degli agenti di polizia
DIVIETO DI PUBBLICAZIONE FINO AL 21.06.2012 – ORE 17.00
91a Assemblea dei delegati della Federazione Svizzera dei Funzionari di Polizia FSFP del 21/22
giugno 2012 a Lugano con il titolo:
“PROTEZIONE DEI DATI = PROTEZIONE DEI CRIMINALI?”
Discorso di Max Hofmann, Segretario generale Federazione Svizzera Funzionari di Polizia FSFP
(Fa fede il testo parlato)
PROTEZIONE DEI DATI DEGLI AGENTI DI POLIZIA
Signor presidente,
Gentili ospiti,
Colleghe e colleghi,
La Legge Federale sulla Protezione dei Dati riveste per noi agenti di Polizia, diversi aspetti. Con lo
slogan dell’Assemblea dei delegati ne vogliamo coprire due in particolare, e cioè: l’ostacolo che
rappresenta nello svolgimento del nostro lavoro da un lato, ma anche l’applicabilità nei nostri confronti.
Da tempo ormai ci chiediamo, del perché di quello che noi crediamo essere un eccesso di
garantismo. Da sempre combattiamo una sorta di battaglia con i legislatori, sia a livello federale sia
cantonale, poiché ci rendiamo conto che ogni volta Polizia e Giustizia si trovano il percorso irto
d’ostacoli quantomeno discutibili. Il nuovo codice di procedura penale è sicuramente uno dei pezzi del
puzzle che ci permettono di dire che la protezione di chi delinque ha assunto dimensioni molto
elevate. Ma è giusto questo garantismo? Non siamo al punto di vittimizzare gli autori, e dimenticarci
delle vittime o dei loro famigliari, o di chi deve svolgere il lavoro d’inquirente?
Nessuno vuole mettere in discussione la legge in quanto tale, ma permetteteci, in qualità di parte
integrante della popolazione svizzera (anche se a volte ci sembra di capire che non a tutti questo
piaccia) di criticare gli aspetti negativi nell’applicazione della stessa. La Federazione Svizzera dei
Funzionari di Polizia FSFP non ci sta a dovere giocare nel ruolo della “grande muette” . Ruolo al quale
ci voleva relegare un noto Consigliere nazionale a Berna, che crede a mio modo di vedere
nell’istituzione Polizia.
Cosa c’è di male a volere mettere in discussione o in dubbio aspetti di una legge, anche se votata dal
popolo, quindi anche da noi, che manifestamente ha dei limiti? La FSFP ritiene si tratti di maturità e
coscienza democratica, importante e necessaria. In un momento poi ove la popolazione stessa vuole
più presenza di polizia, crede nell’aumento delle forze dell’ordine e accetta anche la creazione di
banche con dati sensibili (cfr. Studio Sicurezza 2012 del Politecnico di Zurigo), si deve approfondire la
discussione sulla protezione dei dati. Per la FSFP è chiara una cosa: la popolazione capisce le
necessità delle autorità di perseguimento penale per affrontare le sfide legate alla sicurezza, e
soprattutto crede nella sua polizia dandole fiducia. Smettiamola quindi di credere che il cittadino non è
in grado di accettare alcune restrizioni della libertà personale se va a favore della sicurezza del paese
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e di tutti noi. Smettiamola anche di sventolare sempre ancora dei vecchi fantasmi - come lo è lo
scandalo delle schedature - dinanzi agli occhi dell’opinione pubblica.
Per i motivi suelencati io sono della chiara opinione, anche se la stessa farà storcere il naso a diverse
persone, che la Legge sulla Protezione dei dati manca di un aspetto fondamentale: necessita, infatti,
di una clausola d’eccezione speciale, che ponga la polizia in una condizione particolare esentandola
da questo legaccio che può mettere anche a repentaglio la sicurezza. Tengo subito a precisare una
cosa: nessuno vuole un accesso diretto ed indiscriminato a tutte le banche dati. Assolutamente no.
Noi crediamo però che la possibilità di ricevere le necessarie informazioni in caso di bisogno, su
semplice richiesta, debba essere il minimo. Questa è una necessità dettata da fatti avvenuti
recentemente, che hanno permesso di verificare con mano, e in un paio di casi con il sangue, che
avere le informazioni necessarie è già la metà del lavoro.
L’aspetto che del quale mi preme spendere alcune parole oggi, è sapere le possibilità da parte degli
agenti di polizia a potere essi pure usufruire della Legge sulla protezione dei dati, ma soprattutto in
che maniera. Sempre più vi sono aspetti legati alla protezione della sfera privata che ci permettono di
dire che ad ogni costo, l’agente di polizia deve essere riconosciuto e riconoscibile.
Fatti di cronaca recente e meno, attestato l’importanza del problema. Sempre più gli agenti di polizia
sono vittime innocenti di aggressioni, insulti o minacce. Ma chi sono gli autori di questi reati? E’ qui
che la cosa si fa interessante. Non si tratta, infatti, di persone che conoscono l’agente di persona, no.
Sono per lo più persone che riconoscono la funzione della vittima quale agente di polizia,
appartenente alle istituzioni e quindi dipendenti dello Stato. Ed è questo l’obiettivo: colpire lo Stato
attraverso i suoi rappresentanti. Non interessa a nessuno se quell’agente è un tale Max Hofmann o
Heinz Buttauer (scusa presidente se ho preso te come esempio). L’importante è colpire, senza
riguardo o timore, l’autorità dello Stato. E quale organo in questo caso è meglio delle Istituzioni e
quindi della Polizia? Nessuno.
Questo timore è confermato anche da altri fatti di cronaca. Tempo fa, infatti, ho avuto modo di leggere
un articolo di cronaca della Svizzera centrale. In questo articolo ho potuto, e anche dovuto ma con un
certo sconforto, che il veterinario cantonale diventa sempre più un bersaglio, piuttosto che una
persona di fiducia o un interlocutore fidato. Le aggressioni o le minacce verso questa figura simbolica,
sono aumentate in maniera drastica.
Per tornare a noi, ricordo con orrore un fatto avvenuto tempo fa. Un collega va alla partita di calcio con
la sua morosa. Finita la partita si porta alle fermata del bus per fare rientro a casa. Lì viene
selvaggiamente aggredito e picchiato per il solo fatto di essere un agente di polizia. So perfettamente
che anche la Legge sulla protezione dei dati non può anonimizzare del tutto e quindi proteggere al
100% un agente di polizia da simili barbari attacchi, ma sono altresì convinto che con diversi
accorgimenti anche semplici si possano ottenere dei buoni risultati. Alcuni corpi di polizia sono più
avanti di altri, e hanno nel frattempo intrapreso dei passi per frenare questo smodata frenesia al volere
e potere sapere tutto di tutti.
Sicuramente i nuovi media che sono a disposizione ormai di tutti, parliamo qui di facebook (che però,
se va avanti così la sua avventura in borsa, sparirà presto) e degli altri social networks di facile
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accesso, permettono una dispersione d’informazioni rapidissima. Da qui una piccola notizia fa il giro di
tutti i pc e notebooks, di tutti gli smartphones, impedendo di fatto alla vittima della “fuga
dell’informazione” d’intraprendere alcunché. Dall’altra parte mi collega a quanto scritto dal moderatore
della seconda parte della giornata, Marco Bazzi. Egli ha scritto chiedendosi del perché di certe leggi
restrittive, quando poi la gente fa a gara a chi pubblica più informazioni sui social networks? Si
raggiungono poi cime molto elevate nella protezione della privacy quando si emana il divieto di filmare
le aule dei tribunali, anche quelle vuote.
Dall’altra parte, però, succede per esempio che gli agenti di polizia siano filmati senza autorizzazione,
mentre stanno svolgendo il loro lavoro – magari arrestando qualcuno, forse mentre devono costatare
un incidente o altro . Tempo di un paio di clic e già ti ritrovi su youtube o simili, senza nemmeno
sapere a chi dire grazie. Mi piace in questo caso prendere l’esempio di un fatto accaduto a Berna.
Alcuni colleghi stavano sorvegliando discretamente una manifestazione e sono stati fotografati. Le
loro foto sono in seguito finite sul sito Indymedia.ch con l’appello a chiunque di usare loro violenza.
Sembra che nessuno (e parlo del datore di lavoro) abbia ben chiaro cosa deve o può fare. Ma la legge
in questo caso come può proteggere la sfera privata dell’agente di polizia? Oppure, cosa deve o può
fare il datore di lavoro per proteggere i suoi impiegati? Io sono della chiara opinione che ci vogliono in
questo ambito delle chiare regole di comportamento, e delle leggi chiare per tutti.
Per questo motivo il prossimo appuntamento del Gruppo parlamentare Polizia e sicurezza affronterà
questo delicato e attuale tema. Sotto il titolo di “Nuovi media e protezione della sfera privata: quali
regole?” cercheremo di lanciare un dibattito costruttivo a livello della politica federale.
Nell’ottica della problematica espressa sopra, non bisogna dimenticare che l’agente di polizia veste
un’uniforme e che la sua identità operativa è una matricola datagli dal suo datore di lavoro. Egli svolge
per lui un’attività e in quanto tale, e la sua personalità (fornita dalle generalità, quindi nome e cognome
eccetera) deve, secondo il mio parere, essere protetta in modo particolare.
Parlando di Cantoni all’avanguardia, che hanno già messo in atto dispositivi vari a protezione dei
propri collaboratori, possiamo dire che sussiste, per esempio, la possibilità di bloccare l’accesso ai
numeri di targa dei veicoli degli agenti. Oppure ancora, si può evitare di fare portare a tutti i costi il
proprio nome sull’uniforme o peggio ancora, marchiare come bestiame con dei numeri gli agenti che
devono effettuare un servizio d’ordine non pacifico. Sappiamo che anche al nostro interno le
discussioni sono state ampie su questo tema. La linea della FSFP però, resta quella di non volere
accettare l’imposizione di sistemi come questi. Noi crediamo che questa operazione debba essere
concordata con i collaboratori, con noi agenti di polizia, perché si parla della nostra protezione, e non
di quella di qualcun altro.
Ringraziamo quindi chi si adopera affinché la trasparenza a tutti i costi non diventi una caccia alle
streghe inutile, ove si vuole permettere a chiunque di potere indicare con il dito e per nome un agente
che ha solo svolto il suo lavoro. Ci viene detto che questa misura vuole anche essere a nostro
vantaggio, e che permetterà difenderci meglio in caso di denunce o altro. Ma in tutta sincerità, noi
agenti di polizia abbiamo mai chiesto questo aiuto? A me non pare proprio!
Sono però anche convinto che altri interventi possano essere fatti, che permetterebbero una
protezione evidente come l’accesso ai dati da parte delle parti in causa. Infatti, la legge sulla
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protezione dei dati permette agli agenti di non figurare, se non magari con solo la matricola, in tutti i
rapporti di polizia? Detto fra noi, l’agente scrive un rapporto per l’autorità e non per se stesso, quindi,
perché no? Non vi devo ricordare il caso avvenuto in Ticino della moglie della guardia di confine in
servizio al valico di Chiasso. L’acceso agli atti ha permesso all’autore del crimine di entrare in
possesso di tutti i dati necessari per compiere la sua azione - vendetta.

La FSFP ritiene corretto e giustificato chiedere che la Legge Federale sulla Protezione dei
Dati sia adattata con un clausola d’eccezione per la Polizia. Così facendo si permetterebbe a
chi deve garantire la sicurezza di potere lavorare con cognizione di causa, ma soprattutto con
tutti i dati necessari atti a tutelare salute e ordine pubblico con i minori rischi possibili, per gli
interessati, le terze persone ma anche e soprattutto per noi stessi.
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In secondo luogo riteniamo più che legittimo che gli agenti di polizia siano coinvolti dall’inizio
per ogni azione o modifica che, in un modo o nell’altro, possono mettere in discussione o
cambiare la protezione della loro personalità quali per esempio il porto della traghetta con il
nome, una numerazione nello svolgimento del servizio d’ordine, eccetera.

Quale terza richiesta riteniamo fondamentale fare al più presto un’analisi del quadro legale
rispetto ai nuovi media in uso oggigiorno. Non deve assolutamente succedere che un sito
internet quale Indymedia, a voi tutti noto, possa permettersi senza temere sanzione alcuna, di
pubblicare foto di agenti in servizio di sorveglianza, fomentando i suoi lettori ad azioni violente
verso gli stessi.
Vi ringrazio per la vostra attenzione.