Mots d`amour - Autori Online
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Bianca Maria Simeoni Mots d’amour Prefazione di Giorgio Albertazzi Postfazione di Corrado Calabrò ESTRATTO PER L’EDIZIONE ELETTRONICA a Poesia Edizioni Artescrittura Siti Internet dell’Autrice: http://www.artescrittura.it/biancamariasimeoni.htm http://biancamaria.simeoni.poetaonline.org © 2009 Proprietà letteraria riservata Edizioni Artescrittura by Autori Online www.artescrittura.it www.autorionline.org E-mail: [email protected] Dove ritorni dopo l’amore? Dove diffondi l’oro sconosciuto? Corre un brivido, l’istante è deciso nello stupore del tempo che si compie. B.M.S. PREFAZIONE di Giorgio Albertazzi Avevo già letto “Verso Dove” di Bianca Maria Simeoni, che era la sua silloge d’esordio. Mi aveva colpito l’ardore esplorante dei suoi versi, la voglia di cogliere oltre la parola scritta il significante erotico – che è tempo che si frappone, spazio da occupare, appunto, da esplorare – Corri da me prima che sia tardi ed io persa una poesia spesso “urlata”, mai dimessa. Questa nuova silloge, “Mots d’amour” (mai titolo fu più appropriato!), è ancora più amore concreto e, direi, fatale: c’è un segno di fatalità nella poesia di Bianca Maria che reinterpreta così il nucleo dell’animus romantico classico: qui sorriso, mani, carnalità s’intrecciano combinandosi in una stesura di rimandi tonali di aritmiche scansioni: Ridatemi quel balsamo versato sui tormenti e le mani sulle carni docili a indovinarmi l’anima 7 Amore nei “pensieri pazzi”, ma anche nelle mani – dominante e insinuante feticcio del suo “sentire” – e nella memoria: e ancora C’è tanta immobilità nella memoria Quali vie segue la memoria se spazza via la parabola più bella E ci sono parole, che suonano nel verso della Simeoni, come “nudo” “desiderio” “pelle” – un turbine di shock – che si collocano con amore in un sereno acquisito stato di godimento estetico. Poesia, insomma, e poeta è Bianca Maria Simeoni. Che poi, per dirla con Leonard Cohen, i poeti non siano più di moda, è altro discorrere, altre voci e altre contrade. Quella di Bianca Maria ci affascina. Giorgio Albertazzi 8 UNA POETESSA D’AMORE PER ECCELLENZA DI STILE di Maria Luisa Spaziani Nella marea dei versi che m’investe quasi quotidianamente, navigo talvolta con piacere ma il più delle volte con sopportazione del déjà vu. Soprattutto nel caso della poesia d’amore dopo circa tremila anni la cosa è inevitabile, ma Goethe ci avverte che se tutto è già stato detto anche nelle sfumature dei sentimenti, i poeti hanno il dovere di andare imperterriti per la loro strada, di non lasciarsi impressionare, perché comunque anche la ripetizione ha i suoi valori. La mia vela che solca quella marea senza incontrare ostacoli in acque più o meno conosciute, talvolta si imbatte in uno scoglietto. Un sobbalzo: forse la terraferma è vicina? Forse quella piccola originalità, quel piccolo scarto, quella metafora, sono il segno della presenza di un poeta nuovo? Dalle storie e dalle leggende noi ricordiamo Didone soltanto nelle scene dell’abbandono e del rogo. (Le fa dire Bianca Maria Simeoni “Io mi avvicinavo tra reti invisibili / e respiravo quel fuoco segreto / con le mani tese nell’ombra”). Ma com’era prima Didone? Com’era stato il suo amore per Sicheo? Inutile domandarselo perché le persone felici non hanno storia, dice un antico proverbio. La luce al 9 massimo non si sa raccontare, e il germoglio, intriso di pudore, è il silenzio necessario per la crescita della pianta o del fiore, è in fase di espressione preverbale. Così deve essere negli archetipi, nell’immaginario collettivo, nella filogenesi, se la quasi totalità delle poetesse (uso coscientemente il femminile) canta la fine e il rimpianto di un amore memorabile. E così è anche per Bianca Maria Simeoni, poetessa d’amore per eccellenza di stile e unidirezionalità di ispirazione come chiaramente indica il titolo, “Mots d’amour”, che in francese, chissà perché, acquista un di più di fascino sensuale: nel pronunciarlo infatti le labbra si offrono in un doppio bacio più che in italiano. La dominante presenza dell’amore, struggente diario del dopo, come la chiave all’inizio del pentagramma, si annuncia con i tempi dei verbi. Il drammatico imperfetto e l’altrettanto drammatico passato prossimo non cedono mai al presente, se non raramente a un presente già storicizzato nella nostalgia (“molto prima fiorivi in me”, “Ora vado con passi esitanti […] con la bocca piena delle tue leggende / che cadono come perle su lampi di seta”, “Ho assaporato la vertigine / di un insolito momento / profanando febbrile / l’archivio delle emozioni”, oppure ancora “L’ho imprigionato il tuo odore selvaggio”). L’eleganza, la raffinatezza dello stile risultano da altre cose, anche da certi accostamenti che 10 emettono scintille, o dall’uso degli aggettivi come in “algidi fari”. E naturalmente, come nella maggioranza delle poesie d’amore di tutti i tempi, è familiare la dialettica tra la luce e l’ombra: “Finisce il nostro incontro / come il giorno dimenticato dalla sera”. Vorrei sottolineare la ricchezza della metrica, che passa con disinvoltura da un prevalente endecasillabo a un settenario talora anomalo (“il suono delle labbra / in guerra contro l’ovvio”), fino a versi di tredici o quattordici sillabe che si ricompongono in una loro necessità. Ma dopo queste citazioni, che imprigionate dalle sbarrette si tradiscono sempre un po’ nelle loro strutture se non nel loro senso complessivo, vorrei finire questa mia introduzione con un augurio di ogni fortuna al nuovo libro di Bianca Maria Simeoni, lasciando nella giusta forma tipografica cinque versi di quasi chiusura, tra l’altro significativamente disposti ad anfora come tutto il resto del libro: L’attesa in una gabbia di corde con i petali del crisantemo a eleggere un tempo immobile: ultima illusione mutilata come un marmo antico. Maria Luisa Spaziani 11 Mots d’amour Dove ritorni dopo l’amore? Dove diffondi l’oro sconosciuto? Corre un brivido, l’istante è deciso nello stupore del tempo che si compie. Tanto vicine le nostre orme tanto voraci di appetito vitale. L’istinto rifugge la colpa mentre dissolvi ogni paura che lontano saetta dal tuo dono. La tela si ravviva di colore, intatto il pensiero non ha certezze. Ti guardo: arte o vocazione? Ti assaporerò nell’interezza. 15 Sapevo di te prima d’incontrarti. Ho riconosciuto i polsi unici tra tutti gli uomini. Ho setacciato i tuoi respiri nella traversata del sonno e rovesciato il fascino dell’inganno. Ti ho scelto uccello migratore: per la bugia, per la verità urlata in pieno giorno. Per la residua innocenza che appartiene solo a un peccatore porto addosso il bianco abbagliante di una luce che brucia sulla fronte rugosa. 16 Avrei dovuto soltanto amarti contorcermi nel tuo nome che ha radici lontane, atterrare sulla virtù impura, pianta che propaga ogni seme. Avrei dovuto spalancarmi all’universo, territorio errante su un cratere argentato, ramo vagabondo nel suolo scolpito. Terra che si distende guardiana nera, nuda, umida spugna inzuppata dal germe. Avrei dovuto inghiottirne le fiamme. 17 Investire la vita. E saperlo. Il guizzo veloce che ottura le crepe e le maschere manda in frantumi. Invade di colpo. E poi abbandona. Una supplica, quell’alito di salvezza, sfuma dal limbo intollerabile e accende il fuoco del contatto lacerando ogni sottile ragnatela. Il miracolo non dura. Ma si ripete. Ribattezza la notte lasciandola a metà. 18 Ridatemi il suo sguardo che perquisiva i seni nudi; il suono delle labbra in guerra contro l’ovvio; le incisioni delicatissime del volto a inseguire una fugace verità. Ridatemi quel balsamo versato sui tormenti e le mani sulle carni docili a indovinarmi l’anima. Più non odo la promessa senza fine stordita dalla nera cavità di un silenzio inappellabile. E barcollo su sabbie incerte senza più il rumore dei suoi passi a carpirmi ogni segreto. 19 Viaggiatrice inconsapevole d’una nebbia d’estate ho trovato una strada e le tue risa. Il tuo volto si dilata nella riva del silenzio e non trovo scampo che su un’isola neonata, urna vuota d’avvenire. Ora rammento: il tuo sguardo se ne va, abisso blu curvo sul mondo. Io ti portavo la mia voce di desiderio impaziente e i sogni spremevo per farne uscire il succo. Tu tremavi tra venti inauditi, ombra stesa sotto i piedi della bellezza. L’assenza spalanca le finestre senza illusioni. 20 Taciturno, prepari alle guerre. E gravide di vibrazioni impietose germinano le prime attese. Sei tu che fronteggi la pace nobile com’è nobile il silenzio ingovernabile come le emozioni. Sei tu che non mi tieni eroe dell’anima piena, del vuoto incompiuto: la grandezza o il nulla. 21 Il tuo profilo che s’incurvava appena sul corpo incatenato da esili fili a placare i fremiti dei nervi. Il bisogno d’accecarsi, di perdersi. Le mie labbra ora mercenarie vagano a cercare altri sapori e aspirano la tua bocca ovunque posta in agguato. Altri occhi: occhi ciechi, occhi d’ombra nel respiro d’un tempo lontano, pena d’indefiniti desideri. 22 Attraverso impavida questo scontro vitale penetrando l’uragano dello spirito. Consegno tutti i moti al mio destino, voli impossibili nella mente sparsi. La prima volta ha velato i miraggi: io mi avvicinavo tra reti invisibili e respiravo quel fuoco segreto con le mani tese nell’ombra. Tu, unico nei miei pensieri pazzi, odorosa conchiglia cresciuta nel mare mezzaluna provenzale dorata sotto il sole. I nostri cuori aperti ancora alla lucida fugacità del giorno. E in un attimo impensato, il sapere: febbre dei nostri silenzi. 23 Vorrei i tuoi piedi da baciare per mettere la vita nelle parole. Dune di sabbia da manipolare, uragani storditi con cui cavalcare promesse e chimere. Occhi di cenere si attardano sui tuoi piedi nudi caduti a terra senza residui. Segni odorosi di passeggeri stupiti macerati al sole: stravaganti naufraghi. 24 POSTFAZIONE di Corrado Calabrò Racconta Platone che in principio gli uomini erano l’uno e l’altro (αµφοτεροι). Un giorno Zeus, volendo castigare l’uomo senza distruggerlo, lo tagliò in due. Da allora ciascuno di noi è il simbolo di un uomo, la metà che cerca l’altra metà, il simbolo corrispondente. Per curare questa lacerazione Zeus inviò Amore, colui che cerca di medicare l’umana natura riconducendola all’antica condizione, cercando cioè di fare uno di ciò ch’è due. Da allora gli uomini, le donne, cercano la parte di cui avvertono oscuramente la mancanza, come si sente il dolore dell’arto amputato. Una parte in sé irraggiungibile, che ci sfugge nella sua valenza ultima per quanto l’inseguiamo, potendo solo avvicinarci ad essa asintoticamente. È il mistero dell’altro-da-sé col quale vogliamo immedesimarci. Solo la tensione verso il contatto con l’altro consente di sospendere quel circuito dell’identico in cui si risolve la vita individuale. La poesia di Bianca Maria Simeoni si torce per lo spasimo d’amore nelle viscere d’un giovane corpo impaziente. Ha scritto Rainer M. Rilke (Lettera a un giovane poeta) che “l’esperienza artistica è così incredibilmente vicina a quella sessuale, alla sua doglia, alla 27 sua gioia, che i due processi sono propriamente solo diverse forme d’una sola brama e beatitudine”. Non so se questa affermazione abbia una valenza universale; ma essa certo s’invera totalmente nell’opera della Simeoni. Avanza Bianca “giovane e impudica … / a offrire un sentimento, una risonanza dell’animo” cercando di artigliare a sé l’altro in una ricongiunzione di corpi che faccia dei due amanti un solo essere bisessuato. Ma – scrive ancora Platone – “gli amanti che passano la vita insieme non sanno poi dire che cosa vogliono l’uno dall’altro. Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provano una passione così ardente a essere insieme. È allora evidente che l’anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio”. Nel momento in cui si schiude all’amore un corpo è come se aprisse gli occhi su un altro mondo; un mondo che guardava senza vederlo. E chi trova un verso vero è come se avesse trovato la chiave di un nuovo mondo. Sì, c’è in amore (e c’è in poesia) un bisogno di assoluto, come se alla scala di Jacob si aggiungessero sempre nuovi gradini in funzione del nostro desiderio di salire. Un impulso analogo a quello che spinge il nuotatore ad addentrarsi in mare aperto e l’alpinista a salire sempre più in alto; analogo a quello che ha indotto Reinhold 28 Messner a scalare, una dopo l’altra, le vette dell’Himalaya, persino senza ossigeno. Senonchè quelle vette possono forse essere scalate, ma su esse non si può sostare. Dalle vette si scivola subito giù nella piattezza del quotidiano. Gli amanti ai quali l’oceano sembrava dimensione appena adeguata all’espansione del loro sentimento, al loro bisogno di nuovi orizzonti, ritornano poi a riva riportando a dondolo un secchiello d’acqua. Prima o poi l’amore o finisce o si ridimensiona nel quotidiano, vale a dire nella banalizzazione di quel sentire; diventa routine, assuefazione dell’uno all’altro, vale a dire reciproco adattamento di due soggetti diversi; non compenetrazione, integrazione in un solo frutto delle due mezze arance che un dio aveva separato all’origine e un altro dio ha fatto sì che si ritrovassero e riconoscessero. La poesia, tanto attesa, trascorre come un’ala e di essa resta solo la visione confusa e inquietante d’un sogno. “È ciò che resta / di un’eternità che non ci appartiene. / Non c’è più amore / per la sfrontata bellezza del tempo / che nutriva la febbre / della nostra irrequietezza”. Una ferita aperta nella mente, una ferita aperta nella carne. “Dicevi per sempre … / E per sempre ho segnato con il gesso / l’asfalto per indicare quel nome”. E allora bisogna ritentare. Cercare un nuovo rapporto che provi nuovamente la magia della dualità-binità. Bianca lo cerca e lo cerca 29 ancora, audacemente, dichiarando di appagarsi dell’ebbrezza di un abbraccio come altri s’attacca alla bottiglia di whisky. Ma la mente – implacabile – rivà a quello che poteva essere e non è stato, si protende a quello che potrebbe essere e non è: “… Dimmi solo il sussulto della terra / che con me hai profanato quando, / violentando la pigrizia dell’aria, / insieme ci smarrivamo”. Un nuovo amore arriva “come un aliante / portato dal ritmo del vento e delle nuvole”. Il cuore torna a palpitare, il grembo a contrarsi, la mente a consegnarsi disillusamente a una nuova schiavitù. Un’attenuazione, un diversivo alla disillusione dell’effimero è la generazione di una nuova creatura come prolungamento della compenetrazione di due corpi. Quest’illusione non è concessa a Bianca: “In una giornata di vento d’estate / come marchio inciso nella carne / un dolore ha scandito: non essere madre”. Ma non per questo Bianca non resta ingravidata: nella mente. “L’ho imprigionato il tuo odore selvaggio. / È nello spasimo della mia carne / dentro le viscere impazienti / all’ombra dei primi passi della notte”. “Bruciante il desiderio straripa / fra cristalli di lacrime trattenute / da mani indolenti sul ventre”. “Uomo / trattiene le mani / pronte a tradire”. E l’assenza fa avvertire l’immanenza dell’altro-dasé ancora più della presenza. “L’assenza spalanca le finestre / senza illusioni”. 30 Bianca vorrebbe ridimensionare la sua attesa in un rassegnato e voluto esistenzialismo. “Quante volte è stato detto / che niente può essere afferrato / ma solo vissuto!” Ma non riesce a ricordarsi di dimenticare, non riesce a non continuare a protendersi – illusa/disillusa – verso l’altro-da-sé. Se non è possibile appagare bocca a bocca la sete d’amore, almeno per “annegare nella stessa sete”. L’amore desidera più di quanto non possa raggiungere. Così la poesia. E la poesia e l’amore sono come il mare: lo si porta verso il petto a ogni bracciata ma non lo si trattiene. Eppure chi s’inoltra nel mare non dimentica più quella sensazione d’indeterminatezza e di appartenenza al tempo stesso. Parafrasando Elytis si potrebbe dire che è l’assenza d’amore che rende l’uomo un invalido della realtà. La donna, a questo riguardo, è forse un altro animale. I versi di Bianca Maria Simeoni mordono le labbra e lei inghiotte avida saliva e sangue. Poesia pagana, dunque, la sua. Ma la passione (per l’amore / per l’oltre) di Bianca è così intensa da trasfigurarla in un’esaltazione mistica, in qualche modo accostabile a un’estasi profanata di Santa Teresa. Questi versi prorompenti come fiotti di voluttà, rinvenienti come le maree, riportano la voglia d’amare. E di poesia. 31 Negli occhi di Bianca, dopo le esplorazioni e i deliri delle sue labbra impudiche, del suo grembo palpitante, non resta “se non lo stupore di una luna immensa / simile al sorriso di un dio”. Corrado Calabrò Nota redazionale: i versi citati nella Postfazione di Corrado Calabrò sono tratti dal presente volume nonché dalle due precedenti sillogi poetiche di Bianca Maria Simeoni: “Verso Dove” (1998) e “Confiteor” (2002). 32 Ringraziamenti Nel momento di dare alle stampe questa terza raccolta poetica, il mio pensiero corre affettuoso agli amici e maestri che hanno contribuito alla sua realizzazione. A Giorgio Albertazzi, per avermi insegnato l’intimo rapporto fra teatro e poesia. A Corrado Calabrò, al quale mi accomunano gli archetipi dell’amore e del mare, e che ha colto, con rara maestria, l’essenza dei miei versi. A Maria Luisa Spaziani, imprescindibile punto di riferimento per chiunque, in Italia e nel mondo, ami confrontarsi con il fascino della parola poetica. A Ennio Calabria, artista sommo, la cui opera – “Un’onda piatta” – pubblicata in copertina, simboleggia il cromatismo emotivo che tento d’esprimere con le parole. A tutti loro va la mia profonda gratitudine. Un ringraziamento, infine, ai componenti della Giuria del “Premio Nazionale di Poesia Giuseppe Jovine” per il prestigioso riconoscimento tributato alla mia opera, che mi proietta, nel ricordo, alla figura del grande poeta molisano che ebbi l’onore di conoscere negli anni Novanta. 35 1° CLASSIFICATO al “Premio Nazionale di Poesia Giuseppe Jovine” Quinta Edizione 2008 istituito dall’Associazione Giuseppe Jovine con il patrocinio di: Ministero per i Beni e le Attività Culturali Regione Molise Assessorato alla Cultura Regione Molise Comune di Castelmauro Gruppo Cultura Italia Fondazione Ippolito Nievo I Parchi Letterari Universitas Montaliana Autori Online Poeta Online Community della Poesia Assut Europe SpA Campobasso, 18 ottobre 2008 Mots d’amour di Bianca Maria Simeoni (Edizioni Artescrittura) può essere acquistato nell’edizione cartacea completa di tutte le poesie presso Libreria del Caffè Letterario Via Ostiense 95, Roma oppure presso le Librerie Arion di Roma: Piazza Montecitorio 59 Via Pierluigi da Palestrina 1 (Piazza Cavour)