L`educatore professionale e l`abuso ai minori
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L`educatore professionale e l`abuso ai minori
Simona Barberis educatrice professionale, Torino Nell’ambito delle attuali esperienze ed iniziative sulla problematica dell’abuso sessuale, l’educatore professionale sembra essere una delle figure meno presenti, sia a livello di ricerca teorica e di ipotizzazione degli interventi, sia a livello della loro realizzazione concreta sul territorio. Da un lato si riscontra un investimento ridotto da parte delle istituzioni nel predisporre iniziative di ricerca e di formazione sugli aspetti educativi della problematica dell’abuso sessuale e di riconoscimento ed accrescimento professionale delle figure pedagogicoeducative; dall’altro, forse causa e conseguenza al contempo di tale situazione, lo scarso coinvolgimento, di fatto, da parte degli educatori professionali, nella riflessione e nell’operatività su questo tema, segnalato per esempio dalla partecipazione sporadica e spesso marginale alle varie occasioni di confronto tra diverse professionalità, che si svolgono nel contesto scientifico attuale (torinese e probabilmente italiano), oltre che dalle quasi inesistenti testimonianze e rielaborazioni scritte dell’esperienza educativa finora maturata dagli ormai numerosi contesti educativi significativamente impegnati in questo ambito. Analizzando la realtà attuale dei servizi che si occupano di abuso, si riscontra per lo più l’assenza dell’educatore nelle attività di tipo preventivo, sia con i minori sia con gli adulti. Le iniziative di sensibilizzazione nelle scuole, rivolte a studenti ed insegnanti, ad esempio, sono realizzate per lo più da altre professionalità, quali psicologi, pedagogisti ecc. E anche quando questi stessi progetti vengono strutturati, con i necessari adattamenti, all’interno delle strutture in cui opera l’educatore (es. nei centri d’incontro o nelle comunità per minori), quasi sempre si richiede l’ausilio di “esperti” esterni. La delega agli specialisti, considerati portatori di una maggiore esperienza delle problematiche sessuali dell’età evolutiva, nasce spesso dalla paura degli educatori di affrontare un tema così emotivamente coinvolgente e “perturbante”, come quello della sessualità e dell’abuso sessuale, con minori “vicini”, conosciuti, con cui si condividono molti momenti della giornata e molte esperienze di vita. Inoltre tale delega denota in molti casi una scarsa consapevolezza (da parte di chi progetta gli interventi di prevenzione e talvolta da parte degli educatori stessi) di quanto un preesistente rapporto di fiducia, di confidenza reciproca e di corretta “intimità” tra adulto/educatore e minore potrebbe invece facilitare la comunicazione ed il confronto su questo tema “delicato”. La figura dell’educatore è attualmente più presente nell’ambito degli interventi di trattamento dell’abuso sessuale e le sue funzioni in merito si esercitano essenzialmente nelle strutture residenziali (comunità alloggio, casefamiglia ecc.), sull’utenza minorile pregiudicata da relazioni intrafamiliari violente. Solo raramente invece viene coinvolto nel percorso di trattamento dell’adulto o del nucleo abusante, percorso che è ancora dominato, nel panorama degli interventi torinesi e italiani, dalla psicoterapia individuale e dalle diverse forme di terapia familiare e/o di gruppo (psicodramma ecc.), quindi da professionalità e modalità d’azione MINORI NELLA REALTÀ ATTUALE DEI SERVIZI CHE SI OCCUPANO DI ABUSO, L’EDUCATORE È UNA DELLE FIGURE MENO PRESENTI, SIA A LIVELLO DI RICERCA TEORICA CHE DI PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DEGLI INTERVENTI SUL TERRITORIO, IN PARTICOLARE NELLE ATTIVITÀ DI TIPO PREVENTIVO. 15 n° 3-2001 Prospettive Sociali e Sanitarie L’educatore professionale e l’abuso ai minori tipiche del campo psicologico e psichiatrico. Nel nostro Paese, infatti, sono ancora poco diffusi altri tipi d’intervento, meno “tradizionali”, quali i gruppi di self-help o di peer support tra persone responsabili di abusi sui propri figli, oppure gli aiuti domiciliari alle famiglie a rischio di abuso, realizzati da personale “non professionale”, all’interno dei quali, probabilmente, potrebbe avere un ruolo e una funzione importante la figura dell’educatore, grazie alle sue caratteristiche (apparentemente) di confine tra professionale e non professionale e alle sue specifiche competenze relazionali. Contrariamente a quanto si riscontra nella realtà attuale, l’analisi delle peculiarità del profilo professionale dell’educatore porterebbe a valutare in modo positivo l’ipotesi di un ruolo potenzialmente incisivo e pregnante di questo operatore nel quadro degli interventi psicosociali di prevenzione e di intervento sull’abuso sessuale intrafamiliare sui minori. Le caratteristiche di vicinanza, continuità e quotidianità, specifiche della relazione che l’educatore ha la possibilità di instaurare con l’utenza, appaiono infatti molto utili e confacenti nell’approccio con situazioni invischiate, affettivamente confuse e fortemente problematiche, quali si presentano le dinamiche relazionali tipiche dei contesti abusanti. Così pure le capacità relazionali, osservative e di comprensione delle dinamiche relazionali, acquisite da questo “tecnico della relazione”, quale appunto dovrebbe essere l’educatore che abbia percorso un iter formativo specifico, potrebbero essere facilmente d’aiuto nell’ascolto, nella lettura e nella decodifica di messaggi e segnali di disagio di minori e adulti, all’interno dei contesti familiari in difficoltà, così come nella costruzione con loro di rapporti accoglienti, empatici e potenzialmente “terapeutici”. Nella concretezza delle iniziative di prevenzione e di trattamento dell’abuso, le risorse professionali della figura dell’educatore potrebbero, quindi, essere impiegate in modo più consistente, pur integrandosi sempre a quelle degli altri operatori coinvolti, non soltanto all’interno dei servizi residenziali per minori, ma anche nel lavoro sul territorio con bambini e adolescenti, adulti, nuclei familiari. Ad esempio si potrebbe dare maggiore credito ed impulso alla progettazione di interventi mirati di educativa territoriale, attraverso i quali sensibilizzare ragazzi e adulti rispetto al tema dell’abuso e affrontare con maggiore attenzione e consapevolezza la tematica sessuale, MINORI n° 3-2001 Prospettive Sociali e Sanitarie 16 all’interno delle relazioni educative individuali e di gruppo. Si tratterebbe di un’educazione all’affettività e alla sessualità impostata secondo criteri “nuovi”, quindi non tanto con ritmi e incontri cadenzati e programmati, come quelli che potrebbero caratterizzare un ciclo formativo realizzato ad esempio nell’ambiente scolastico, ma piuttosto costruita giorno per giorno nella relazione interpersonale e educativa, a partire dagli stimoli offerti dalla quotidianità, con caratteristiche di vicinanza, confidenzialità, confronto e “scambio”; un’educazione sessuale che si arricchisce delle esperienze di vita condivise dall’adulto e dal minore, che ha l’opportunità di offrire, accanto ad informazioni e concetti “astratti” o ideologici, occasioni di trasmissione concreta ed esperienziale di una corretta affettuosità nel rapporto interpersonale adulto/minore; che si distingue, quindi, ed è apprezzabile, per la spontaneità e familiarità con cui si propone al soggetto in età evolutiva, una spontaneità, tuttavia, che non si associa ad istintività e superficialità, ma che si basa su una progettazione educativa attenta e rispondente alle esigenze manifestate dai minori. Un’educazione affettiva e sessuale così concepita avrebbe buone possibilità di funzionare efficacemente a tutti i livelli della prevenzione; dalla sensibilizzazione culturale e prevenzione primaria, alla prevenzione secondaria, per la rilevazione dei bisogni e delle richieste d’aiuto del soggetto ed il riconoscimento precoce di ogni forma di abuso intrafamiliare, fino alla prevenzione terziaria, per predisporre validi aiuti ai minori che abbiano già subito degli abusi sessuali. Al minore abusato verrebbero infatti offerte occasioni concrete e quotidiane di condivisione dei propri sentimenti di rabbia, dolore, collera, impotenza, prodotti dal trauma dell’abuso, con un adulto capace di tollerarli mentalmente e di porsi come “testimone soccorrevole” e “avvocato difensore” (A. Miller), aiutandolo a compiere i primi passi verso la rielaborazione costruttiva dell’esperienza subita. Per l’educatore di territorio sono inoltre ipotizzabili nuovi ruoli e spazi d’intervento all’interno del nucleo abusante o a rischio di abuso. Spesso nel lavoro territoriale sui nuclei in difficoltà si possono infatti creare le occasioni e i presupposti per proporre ai genitori e ai familiari una relazione d’aiuto quotidiana e continuativa, che vada oltre gli aiuti di tipo materiale e tenti di accompagnare l’adulto abusante nelle prime tappe verso la rielaborazione e il cambiamento. Gli educa- tori di territorio, grazie alle proprie capacità relazionali ed empatiche, alle proprie competenze nella comprensione delle dinamiche familiari e ad un intervento “dall’interno” e “sul posto” sul contesto abusante, potrebbero anche diventare un tramite per l’accettazione successiva di una terapia psicologica vera e propria, oppure uno strumento “terapeutico”, parallelo ed integrato a quello della psicoterapia, nel percorso di cambiamento dei singoli e dei loro schemi relazionali reciproci. Mi rendo conto, tuttavia, che queste ipotesi possono sembrare decisamente pionieristiche e poco realistiche nel contesto attuale. Finora infatti è prevalsa l’opinione che l’educatore non fosse in grado di lavorare con le famiglie abusanti e tuttora esiste la tendenza, da parte delle équipes educative stesse, a delegare questo aspetto del lavoro sull’abuso sessuale intrafamiliare ad altre categorie professionali. Questa scelta operativa, più o meno intenzionale e consapevole, nasce spesso, ancora una volta, dalla difficoltà degli educatori a riconoscere e gestire il proprio disagio emozionale di fronte alla prospettiva di relazionarsi con adulti verso i quali si nutrono sentimenti di rabbia, di odio e di repulsione, mescolati a pietà, commiserazione e senso di impotenza, perché considerati responsabili di azioni “mostruose” nei confronti dei minori con i quali si costruisce giornalmente una relazione stretta e fortemente protettiva. Sulla base di queste considerazioni, potrebbe essere più vantaggioso ed efficace incaricare educatori differenti per il lavoro sui minori abusati, da una parte, e per quello sugli adulti abusanti, dall’altra. Ciò non toglie che ciascun educatore debba comunque assumersi in proprio la responsabilità di riconoscere il proprio disagio e i propri tentativi di eluderlo, provando a comprendere e rielaborare, attraverso un serio utilizzo della risorsa della supervisione psicologica, le emozioni e gli impulsi contraddittori che lo legano alla vittima e agli “attori” della violenza intrafamiliare nel proprio lavoro educativo quotidiano; è necessario inoltre che l’educatore cominci a formarsi teoricamente e metodologicamente per gestire in modo competente le relazioni inevitabili con le famiglie abusanti e per affrontare il lavoro su di esse, parallelamente o separatamente a quello con i minori, pur perseguendo l’obiettivo prioritario di tutela delle vittime minorenni. L’indagine empirica da me condotta nel 1998 su un campione seleziona- to di 8 comunità per minori dell’area torinese, ospitanti minori abusati o con “sospetto abuso”, conferma per lo più le suddette valutazioni. Le risposte degli educatori al questionario somministrato fa infatti emergere una visione attuale del ruolo educativo prevalentemente legata alla struttura della comunità alloggio, quindi ad un intervento di prevenzione terziaria sul minore, successivo al verificarsi dell’episodio incestuoso. Un intervistato ha proprio esplicitato che “l’educatore può esercitare solo marginalmente funzioni di prevenzione, in quanto figura professionale che entra in gioco quando esiste già un problema: in questo caso, quindi, quando il minore sia già stato vittima di violenze da parte dei familiari” e un altro ha sostenuto che “il ruolo dell’educatore si colloca esclusivamente all’interno della comunità alloggio per minori”. Tra le funzioni dell’educatore, maggiormente riportate dagli intervistati, troviamo l’affiancamento e sostegno del minore nel periodo successivo all’esperienza di abuso (3 intervistati), l’accompagnamento e l’ascolto del minore (2) in un primo percorso di riabilitazione, di ricostituzione come persona, di rielaborazione della sua storia (3), infine l’offerta al minore di figure adulte positive che rappresentino per lui un primo riferimento stabile e autentico nella relazione (3). Un intervistato parla anche di una funzione di tutela del minore, quindi di un educatore che si pone come garante della sua serenità, mentre un altro sottolinea un intervento dell’educatore in comunità alloggio orientato alla valorizzazione ed al supporto del minore abusato rispetto alla decisione presa (denunciare l’abuso) e all’elaborazione dei sentimenti di colpa che lo turbano e lo rendono più fragile di fronte alle pressioni dei familiari volte alla ritrattazione. Tutte funzioni, quindi, che propongono un’idea dell’educatore professionale essenzialmente associata al dopoabuso. D’altra parte, tuttavia, una piccola parte degli educatori intervistati (3) mette in evidenza anche altre funzioni, legate alla rilevazione di bisogni e problemi e ad un ruolo di segnalazione (fig. 1); tale ruolo, come spiega uno degli intervistati, può essere svolto in modo particolarmente efficace da questa figura professionale perché, a differenza di altre, ha la possibilità di condurre un’osservazione della realtà territoriale in momenti e situazioni differenziate e in occasioni di spontaneità, disponendo così di elementi conoscitivi di grande valore per il rilevamento d i abu so anche alt ri ruo li e f unzio ni? NO 46% 3 3 3 2 3 e la diagnosi precoce di nuclei incestuosi e di minori con problematiche psicologiche più o meno direttamente connesse al fenomeno dell’abuso. Un altro intervistato parla anche dell’educatore come “tramite”, come elemento di collegamento tra il minore e le altre istituzioni e servizi che se ne occupano, ma anche come colui che aiuta il minore ad identificare i propri bisogni (eventualmente a prendere coscienza della violenza che i familiari hanno compiuto su di lui e a denunciarla) e successivamente lo invia ai tecnici che hanno competenze più specifiche (psicologi, ginecologi ecc.) per intervenire sulla realtà dell’abuso sessuale. Accanto ad un educatore che accoglie e si prende cura del minore abusato, sembra quindi esistere nelle opinioni del campione anche un educatore che interviene laddove l’abuso non si è ancora compiuto o in quelle realtà a rischio dove il suo intervento può essere funzionale ad una rilevazione e diagnosi precoce del disagio minorile e familiare legato a questo fenomeno, così come esistono, in base alla testimonianza di un intervistato, interventi realizzati dagli educatori che si orientano alla facilitazione di una presa di coscienza del problema dell’abuso a tutti i livelli da parte della collettività sociale. Le funzioni educative legate alla prevenzione e segnalazione sono però molto meno esplicitate dagli intervistati; si ricavano per lo più implicitamente dalle riflessioni e dagli esempi riportati in alcune risposte. Agli educatori campionati è stato anche chiesto se l’educatore potesse/dovesse avere altri possibili ruoli e funzioni nella gestione delle situazioni di abuso sui minori; a questa domanda il 54% degli intervistati (7 su 13) ha risposto affermativamente, mentre il restante 46% (6 su 13) ha risposto negativamente (fig. 2). Non esiste quindi un’opinione lar- 2 SI 5 4% gamente condivisa su questo argomento e le risposte si suddividono quasi equamente tra le due possibilità. Per quanto concerne quelle negative, esse sembrano spesso emergere da una difesa degli educatori di fronte alla possibilità di essere sobbarcati di altri compiti e mansioni faticose (“l’educatore fa già fin troppo”) e alla confusione di ruoli che deriverebbe dall’ampliamento delle funzioni educative. Rispetto agli intervistati che hanno risposto affermativamente, essi segnalano invece numerose ipotesi e teorie sulle funzioni che l’educatore potrebbe assumersi (es. ruolo di coordinamento, ruolo di consulenza alle famiglie affidatarie, lavoro con le famiglie abusanti, ruolo terapeutico “alternativo” svolto dall’educatore con le ragazze con problemi intellettivi che non sono in grado di reggere e di trovare giovamento da una psicoterapia, ruolo osservativo mirato sui casi di sospetto abuso segnalati dagli insegnanti di asili nido/scuole materne ecc.); nessuna di esse, tuttavia, ritorna nelle risposte di più educatori: le opinioni a questo proposito continuano ad essere molto eterogenee e poco confrontabili. Se da una parte, quindi, la maggioranza degli intervistati sembra intravedere un’attuale sottovalutazione delle potenzialità della figura dell’educatore e credere nell’estensibilità delle sue funzioni, al di là delle competenze “riparative” sull’abuso nelle comunità per minori, dall’altra emerge ancora una certa confusione da parte degli educatori stessi rispetto alle proprie peculiarità professionali e a quale potrebbe/dovrebbe essere il proprio specifico contributo all’ideazione di adeguate soluzioni per la gestione di questa problematica, sulla base dei bisogni minorili rilevati nella pratica educativa. Anche nelle risposte alle domande chiuse di controllo sulle funzioni attualmente esercitate dall’educatore, la scelta degli items conferma essenzialmente una collocazione prevalente di questa figura nell’ambito degli interventi successivi all’abuso, evidenziando alcuni aspetti che non erano stati segnalati nelle domande aperte, come la funzione di osservazione e di controllo sulle relazioni con i genitori e il ruolo di mediazione tra il minore abusato e gli altri professionisti/servizi che se ne occupano. Tra le funzioni potenzialmente attribuibili all’educatore, emerse dalla domanda chiusa di controllo, si aggiungono però alle funzioni già citate tra quelle “attuali”, due nuove funzioni largamente condivise: la promozione di una cultura di rispetto dei minori (7 su 13: 54%) e la prevenzione primaria (10 su 13: 77%). Confrontando gli items selezionati come “funzioni attuali”, da una parte, e quelli scelti come “funzioni potenziali” dall’altra (fig. 3), ciò che emerge di nuovo con chiarezza è la propensione degli intervistati a potenziare alcune funzioni dell’educatore, come la promozione e sensibilizzazione culturale, la prevenzione primaria e in parte quella secondaria, promuovendo un atteggiamento operativo sulla problematica dell’abuso sessuale che investa prioritariamente sull’eliminazione dei fattori di rischio piuttosto che sulla “riparazione” dei danni già subiti dai minori. Si rende quindi necessaria una presa di coscienza collettiva di quanto la dimensione educativa (ed il ruolo conseguentemente attribuito alla figura dell’educatore) sembri essere attualmente associata, in modo decisamente riduttivo, a funzioni essenzialmente di trattamento e di recupero del minore abusato, dalla quale possa nascere il riconoscimento della necessità di una prospettiva più ampia, che riconosca all’educatore professionale e ai servizi educativi compiti e competenze complesse di sensibilizzazione collettiva, di aiuto e sostegno pratico e psicologico ai minori e alle famiglie in difficoltà, di proposta di valori e atteggiamenti educativi adeguati. MINORI 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 FIGURA 2 L’educatore dovrebbe avere anche . 2 . L'educato re do vre bbe ave re altriFigruoli e funzioni? 17 Bibliografia AA. VV., “Per una prevenzione del disagio minorile”, in Foti C. (a cura di), Chi educa chi? Sofferenza minorile e relazione educativa, Unicopli, Milano, 1992, pp. 103-134. Caffo E., “Conoscenze e prospettive sulla prevenzione dell’abuso ai minori”, in Il bambino incompiuto, Unicopli, Milano, n° 3/89, pp. 123-137. Damilano G., Macario P., Il bambino negato. Teoria ed esperienze di pratica educativa nelle condizioni di abuso all’infanzia, Elledici, Leumann (TO), 1995. Foti C., Roccia C.(a cura di), L’abuso sessuale sui minori. Educazione sessuale, prevenzione, trattamento, Unicopli, Milano, 1994. n° 3-2001 Prospettive Sociali e Sanitarie FIGURA 1 Le funzioni dell’educatore nella casi Fig. 1. L egestione fun zio ni attu ali ddei ell' ed ucato re ndi e llaabuso g es tio ne d ei cas i