Scarica - Pinocchio Ritrovato

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CAPITOLO
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Chi non riscriverebbe qualche pagina del libro della propria
vita? Collodi è uno di questi. Dopo essere stato protagonista del
Risorgimento, volontario della prima e seconda guerra d’Indipendenza, maestro di giornalismo, direttore di giornali, autore teatrale e critico d’arte realizzò che quel granello di sabbia
immerso in una bolla d’aria che è la Terra resta un coacervo di
fazioni perennemente in guerra tra loro: i partigiani dello statu
quo contro il progresso, quelli delle credenze contro la ragione,
della coscienza contro le coscienze, della bugia contro la verità,
dell’ignoranza contro la conoscenza, dell’uomo contro gli uomini, del caos contro l’ordine, del re contro il Re... Individua la
causa nell’uomo stesso e, in trentasei avventure, di cui rileggo
i significati, lo rimodella a superare il dualismo e soddisfare la
nostalgia di bene che aleggia nell’universo.
In una cornice da favola e un memorabile…
C’era una volta...
«Un re!» diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di
legno.
… consegna al lettore le coordinate per entrare, uscire e
rientrare nelle Avventure di Pinocchio, precisando che
a motivare le avventure non sarà un re, ma il desiderio
di Verità (vedi Appendice 1 a pagina 314) che accompagna
l’uomo, e che la trama sarà ordita con i fili d’oro della ragione10
10
Il significato più frequente del termine ragione (ratio) è “capacità di
conoscenza”. Le sue forme di attivazione, secondo la tradizione, sono la
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e della coscienza11 per cui nulla può essere dato per scontato.
L’accezione letterale intrigherà come in ogni favola, ma non
sarà tutto: letture e argomentazioni andranno intuite legando
tra loro storia, vicende e saperi, per la gioia dell’avventura e la
ricerca della verità, appunto, arcana e inseparabile compagna
dell’opera umana. Certamente un’avventura ha sempre a che
fare con una testa coronata, un potente, uno che nella vita di
tutti i giorni conti, ma costui resta una figura sociale e non assurge a scintilla o motore quale fu quel Re12 sovrano di sé e delle
cose, archetipo dell’Uomo Universale, mago nel senso di chi ha
potere [BRPO, 190]. Da tempo, ormai, il più grande di questi
privilegiati non conta più nulla se lontano dai sudditi. Per questo è necessario non farsi distrarre dalle apparenze o dal così fan
tutti. Solo chi si conforma alla prassi ha bisogno del principe,
del padrino, della raccomandazione o della guida che gli consigli
cosa sognare, leggere, ascoltare, mangiare e soprattutto votare.
La via per la Verità, che porta a intuire se stessi come scintilla in
terra del Creatore, è intercettabile anche in un pezzo di legno.13
L’uomo non si assopisca: continui a interrogarsi sulle mani-
scienza (scientia) e la sapienza. La capacità umana di conoscenza è considerata indipendente, per quanto riguarda il comprendere e l’afferrare,
dalla concezione sulla base della quale formula i concetti e i princìpi.
L’ambito della deduzione viene chiamato tradizionalmente raziocinio, e
l’attività conseguente, discorso.
11
La coscienza designa la facoltà dell’uomo di giudicare eticamente atteggiamenti e azioni, come pure l’esperienza della libertà, nella quale l’uomo
si rende consapevole della propria responsabilità.
Mentre la mente pensa, è la coscienza che la rende consapevole di pensare; senza coscienza la mente non saprebbe che sta pensando (www.esonet.
it/News-file-article-sid-414.html).
12
Il re delle bestie è il leone; il re degli animali è il toro; il re degli uccelli è
l’aquila, e l’uomo è superiore a tutti loro. Ma il Re di tutti e dell’universo
è Dio (Talmud, Haghiga, 13b).
13
Il legno è la materia grezza predisposta alla perfezione dell’uomo e,
al termine del suo ciclo, bruciando, a restituire calore, ultima traccia di
quella forza primordiale che fu l’incontro tra il desiderio di dare e il desiderio di ricevere, da cui il Big Bang, l’avventurosa cavalcata dell’Umanità.
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PINOCCHIO RITROVATO
festazioni del creato vivendole come parte del Progetto di Dio.
E se le risposte trascendono la ragione ne accetti la sfida, profondendo altra energia affinché il desiderio di conoscere non
muoia. Stupore e curiosità sono attività intellettive da coccolare. Aiutano a formulare ipotesi, ad articolare domande e a recuperare tempo da abitudini e concezioni ereditate. Portano ad
apprezzare un pezzo di legno al pari del petrolio, non solo per le
capacità di riscaldare e ricavarne manufatti, bensì d’alimentare
sogni e fecondare scenari in cui quel residuo di albero e di natura14 plasmato dall’uomo raggiunga traguardi e status di opera
d’arte per l’uno, di farmaci o pannelli isolanti capaci di dilatare
gli orizzonti e difendere da malattie e avversità, per l’altra. La
natura armonizzata dall’opera dell’uomo, da selvaggia diventa
ospitale e accogliente, fonte di energie vitali per vivere, fantasticare15 e ripartire.
Il falegname
Quanto al falegname, all’uomo creatore, l’incontro con il legno
è tutt’altro che fortuito: entrambi fanno parte del Progetto, per
cui è fisiologico che si incontrino. La questione semmai è se
il falegname si mostrerà all’altezza del compito, fruttificando
l’incontro.
E come ogni favola trasmette qualità, anche quella di Pinocchio ne trasferisce. Racconta le insufficienze che motivano il
dramma della partenza e la fatica dell’avventura e dell’essere
viaggiatore deciso a raggiungere l’appagamento. Queste mancanze sono incarnate da Mastro Ciliegia, esempio cui il viaggiatore affaticato dovrebbe rifarsi tramutando le forze – altrimenti
spese nella regressione – in energia positiva per allontanarsene
ancor più. Già il nome Mastr’Antonio lo abilita a essere tutt’altro
14
La genesi del petrolio viene attribuita a vegetazione e materiale marino
ingabbiato nella roccia impermeabile e sottoposta nel corso dei millenni
a forti temperature e pressioni.
15
L’espressione toccar legno per scacciare la sfortuna o un pericolo trasferisce il concetto di legno portatore d’influssi positivi.
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che Antonio l’Eremita16 [HABI, 36]. È indolente e il soprannome
Mastro Ciliegia lo arrocca in una visione poco eroica della vita. Il
suo naso lo mostra intento a ridurre l’orizzonte alla sensibilità
del solo fiuto e alla portata delle sue disponibilità materiali: la
punta è sempre lustra e paonazza come una ciliegia matura,
da degustatore accanito di vino, gli dona i connotati del tifoso
dello statu quo.
Mastro Ciliegia
Il suo profilo umano si concilia poco con l’attivismo del viaggiatore. Pur essendo capace, si attarda a risolvere un problema:
preferisce stare inattivo ad aspettare gli eventi in un esercizio di
temperanza17 mal compresa. È l’uomo in perenne attesa che la
sorte lo chiami all’azione. Ama poco tramare per un futuro più
benevolo. Aspetta l’occasione: che il pezzo di legno gli caschi
addosso per sistemare il tavolino che pur sa traballante. È un
po’ il cittadino che nel bisogno aspetta che altri facciano. Non
recita, né indossa la maschera di un tale personaggio, né ritorna
se stesso fuori dalla scena: confonde la finzione con la realtà, le
manifestazioni esteriori con quelle interiori, cui ogni galantuomo dovrebbe riferire le proprie scelte.
Esprime la parte di umanità assente dalle vicende della collettività, intenta a coltivare il proprio orticello. È il coevo di
Collodi che non si è curato del fuoco e delle ceneri lasciate dal
Risorgimento. È il cittadino disattento ai condizionamenti della
politica sulla società, forzato a preferire la quantità alla qualità
e a confondere la finanza con l’economia e la tecnologia con la
scienza.
16
Fu leggendario nel combattere e vincere diavoli e demoni che attentavano alla sua vita ascetica (Vita di Antonio, di Atanasio di Alessandria,
Milano, Paoline, 2007).
17
La virtù secondo la quale una persona, con l’aiuto della ragione, mantiene i propri affetti e le proprie passioni con disciplina e misura nel giusto mezzo.
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PINOCCHIO RITROVATO
L’uomo Mastro Ciliegia non ha più confidenza con la materia.18 Il pezzo di legno è solo tale. Lo maneggia a prescindere
dalle sue caratteristiche fisiche e dai concetti di cui è simbolo.
L’ascia nelle sue mani non è strumento d’intaglio per giungere alla levigazione, alla comunione dei contrari e quindi alla
bellezza delle forme. È piuttosto mezzo di distruzione, risentimento e collera verso l’altro [JCAG, 352]. Davanti alla novità
della vocina, all’ascolto e all’interrogarsi oppone e preferisce lo
stagno dell’incredulità.19 È un uomo privo di dubbi, a corto di
regole e povero di quei princìpi e precetti che pure fin dall’alba della civiltà accompagnavano i mestieri.20 Non è maestro
di ascia e tanto meno di vita: avrebbe intuito che il significato
di quella voce era da ricercare in se stesso. Lui, invece, cerca
altrove. Continua con il tabù21 di legare la voce a qualcosa di
materiale da accarezzare con la vista,22 per natura insufficiente
se disarticolata dall’immaginazione. Per materializzare quella
vocina cerca senza risultato: guarda sotto e non sopra il tavolo,
dove solitamente s’incontrano e si accordano idee e possibilità
edificatorie; fruga dentro e non fuori dell’armadio degli attrezzi, dove, solitamente ben maneggiati dalla mente, essi esaltano
l’uomo pensante. Rovista dentro e non fuori del corbello dove
si pongono gli scarti, l’ignoranza e ogni forma di superstizione
alla base di quel credere [IRMA, 229]. Tenta pure di ampliare il
18
Mastro Ciliegia ha perso ogni capacità di rimaneggiare la materia grezza, la natura...
19
Alla fine dell’Ottocento si faceva un gran parlare della proprietà magnetica dei materiali quale conferma dei limiti umani nel caratterizzare
la materia.
20
L’appellativo mastro si conquistava sul campo e distingueva chi esprimeva destrezza nei gesti dell’arte e visioni avanzate nelle vicende della
vita. Per un consiglio ci si rivolgeva al mastro, al maestro d’arte vicino
a casa.
21
I tabù chiudono all’immaginazione, la via che apre ad apprezzare l’armonia dominante il Tutto.
22
La vista è il più meraviglioso e il più perfetto dei sensi, capace di cogliere e distinguere le manifestazioni più fantastiche dell’universo.
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suo orizzonte agli spazi della strada: niente, l’incredulità resta
al suo posto, determinata a non mollare.
Senza immaginazione, l’agire dell’uomo, di Mastro Geppetto
non ha futuro. Si consumerebbe in una idea diluita della bellezza di un corpo, del senso dei segni, dello splendore della luce
e della gamma dei colori. Ne resterebbe dipendente, forzato a
sbirciare il meraviglioso orizzonte attraverso la finestra dell’interesse e a pensare al nulla oltre la siepe, nella vana attesa che
un pezzo di legno rotoli per caso tra i piedi. Appiattito al presente, non si preoccupa di lasciar traccia del suo passaggio ai
futuri viandanti. Con quel grattarsi la parrucca e non la testa,
poco coerente all’atto di interrogarsi, conferma quanto questo
falegname sia chiuso a ogni penetrazione spirituale e incapace
di essere promotore di vita [COMO, 166]. Quando dichiara di
aver capito, riferisce di aver visto il necessario per ritentare con
la sorte.
Mastro Ciliegia riassume coloro che mal vedono e avvertono
la realtà. È un soddisfatto di quel mondo. Non conosce il dubbio,
né paga polizza assicurativa sulla possibilità che la sua scelta
di vita integrata al disegno generale possa fermarsi oppure essere riallineata. Continua ad accettare le verità preconfezionate racchiuse nel pezzo di legno, e a incassare incurante i suoi
richiami.
Rappresenta le vittime di mentalità ideologizzate [AGMP,
17], le stesse che acconsentirono a tessere l’Italia a prescindere
dal sentirsi Italiani; esportare presunzioni di civiltà in Africa e
progresso in Russia, ma non tra Alpi, Appennini e Tavoliere; e
oggi permettono a un’economia drogata di consumare oggetti
costruiti con le dita ferite dell’infanzia del mondo, vivere circondati da rifiuti, mangiare cibo incerto e bere acque discutibili
che prima di dissetare hanno girato in lungo e in largo il Paese.
Mastro Ciliegia non è l’accidioso pensante di tutti i tempi
che al bisogno ha scelto di risparmiarsi per trasferire energie e
frutti dal padrone, dal tiranno a se stesso e alla sua famiglia. Non
è l’uomo dalla schiena ricurva e dal passo pensoso che, pane e
companatico sotto il braccio, puntuale si è recato nelle fabbri8
PINOCCHIO RITROVATO
che dell’Orso Rosso23, la cui meditata apatia ha fatto implodere
un paese ridotto a lager salvando l’umanità dalle fiamme di una
guerra.
A genti simili non bastano le urla della miseria materiale e
immateriale per essere smosse. Sono come fossilizzate, in attesa
che il mondo rinsavisca. Il loro spirito davanti al mistero di una
vocina implorante è quello proprio di chi è abituato a pensare
la paura come una entità lontana, con l’espressione del viso impassibile e insensibile.
Anche la bocca, solitamente impegnata a espellere sentenze
frettolose quanto presto esaurite, non può che lasciare la lingua
disoccupata e disarticolata dal mento. Senza orizzonti aperti alla
conoscenza, ogni incertezza interpretativa della realtà aggiunge
e dilata il disordine e le fobie per il dopo, fino ad annichilire.
Richiama l’attenzione sul profittatore, che ben conoscendo
le dinamiche psicologiche e comportamentali di chi non ce la fa
a girare sulla giostra della vita, da spregiudicato qual è, si guarda
bene dal dare una mano per recuperarlo alla comunità, anzi si
inventa artifici perché il malcapitato abbia a cuocere lentamente tra incertezze e rare certezze abilmente disseminate. Sponsorizza le vittorie dell’ingordigia umana. Ora chiamata pandemia:
dalla mucca pazza all’aviaria, al pollo alla diossina, all’influenza
suina; e ora catastrofismo: dall’inversione dei poli magnetici al
prezzo dell’energia, al surriscaldamento o raffreddamento della
Terra, al disordine dell’immigrazione.
La paura è arma di annientamento di massa antica e collaudata. Costa poco, si usa a gocce e la si ingurgita tra un diletto e
un ozio. Crea dipendenza e soprattutto contagia. Non è cruenta, non danneggia i beni e tanto meno lascia segni sulla pelle
dell’uomo: maltrattata è la sua anima.
Il tapino angosciato è come infettato da un virus energivoro: lo rende cachettico e insicuro al punto di fargli individuare
nemici ovunque. Ragion per cui dorme male, pensa poco, con-
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Urss.
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suma e si stordisce di lavoro, pallone, concerti e medicine fino
a esaurirsi. Il panico è un’arma efficiente e alla portata di chi sa,
vuole e può disporre di vestire fatti, notizie e pensieri altrui con
abiti stirati e colorati a festa piuttosto che con quelli stropicciati
e sbiaditi dell’insonne pensatore; di dirla e ridirla secondo calcolo; di mostrarla con le ombre del giorno piuttosto che con quelle
della notte con o senza plenilunio.
Mastro Ciliegia è impaurito. Trema e balbetta perché è
nell’incapacità di distinguere il reale dall’irreale e tramutare i
suoi sentimenti e pensieri in parole, donateci per porre in essere
il dialogo tra il contingente e l’assoluto. Se la parola completa
l’essere che ognuno ha di sé, esprime di sé e dell’essere che fa
conoscere e comunica a terzi [JCAG, 190], possiamo affermare
che Mastro Ciliegia è mal messo nella classifica delle figure sociali positive.
Ripresosi dallo stordimento, con parola incerta balbetta di
anima viva, crede che dentro ci sia nascosto qualcuno. E se l’ipotesi fosse confermata, beh, peggio per lui: provvederà come nelle proprie capacità. Anzi, senza aspettare riscontri, sbatacchia il
misterioso legno proprio contro le pareti della casa, l’espressione più sublime dell’opera dell’uomo, scoprendosi lontano dalla carità e dall’amore per l’altro. Valuta se quel pezzo di legno
possa aver imparato a piangere e lamentarsi come un bambino.
Pensa all’imbroglio, che quella voce innocente sia il frutto di un
artificio per prenderlo al laccio e farlo desistere dal suo mondo
vulnerabile e fragile perché poggiato sull’ignoranza. La questione è troppo complicata perché sia integrata al suo vissuto.
Non può, ancora una volta, credere a un’ipotesi che superi il suo
egocentrismo. Se buttasse quel legno sul fuoco ricaverebbe una
pentolata di fagioli che saranno poco spirituali, ma almeno reali
come l’appetito. Al più la sua prontezza arriva fino a credere,
appunto, che dentro vi sia nascosto qualcuno.
Posata quindi l’indigesta ascia, abbandonata la sbrigativa
forza bruta quale via per conciliarsi con il senso del pezzo di
legno, Mastro Ciliegia, senza rinunciare al suo modus vivendi,
tenta con la pialla. Finisce col trovarsi ancor peggio di prima,
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seduto per terra con quella voce a dirgli irriverente di smetterla
di girare intorno alla questione: anche la pialla, rapportata alla
coscienza, lo invita a intervenire su se stesso levigando gli aspetti più grossolani della sua personalità ancorata a pregiudizio,
ignoranza e superstizione [IRMA, 229].
Quantunque sbigottito, resta incapace di riannodarsi a evidenze che non siano di basso profilo. Non lo smuove neppure la
punta del suo naso che dal paonazzo vira al turchino del cielo,
quale invito a riposizionarsi per un ipotetico ravvedimento a cui
però nemmeno pensa.
Di quale umanità disporremmo se ieri come oggi i suoi grandi uomini, al primo esperimento mal riuscito, si fossero arresi
alla paura?
Non avremmo il fuoco per riscaldare e illuminare gli ambienti; la ruota per creare vicinanza umana, il tetto per proteggerci e le scienze per leggere come siamo fatti. Mancherebbe la
consapevolezza che nella soluzione di un problema la sconfitta
motiva sempre nuove ipotesi che aspettano di essere saggiate.
E di come Mastro Ciliegia si relaziona con i propri simili leggeremo nel prossimo e nei prossimi capitoli.
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