Michele Egli Luci e ombre

Transcript

Michele Egli Luci e ombre
Michele Egli
Luci e ombre
I.
Con un’adolescenza poco felice alle spalle ed un’infanzia della quale non serbavo nessun bel
ricordo, non potevo resistere al fascino del college di Erie.
Erie distava più di duemila chilometri da casa mia e si trovava a più di millecinquecento
chilometri da qualsiasi persona che io conoscessi. Ero uno “straniero” lontano da casa,
sconosciuto ed enigmatico. Nessuno mi conosceva ma tutti, ben presto, mi riservarono un
piccolo spazio nei loro pensieri. Cosa poteva mai farci un californiano di L.A. ad Erie, nel
college di una piccola città della Pennsylvania? Che cosa pensavano di me? Credevano che
avessi problemi con la giustizia, che fossi un testimone del F.B.I. sotto sorveglianza o chissà
cos‘altro.
Tutti mi guardavano con ingorda curiosità. Io non facevo che stimolare la loro immaginazione
perché facevo il solitario e passavo le notti in camera con la luce accesa a leggere o nei boschi lì
attorno a passeggiare alla luce dei lampioni.
Andavo a lezione, studiavo magari una mezz’ora in biblioteca e poi mi rifugiavo nella mia stanza
o andavo a leggere nel bosco.
Fin da piccolo sognavo sempre di andare in qualche scuola, liceo o college che fosse, e di
sedermi in fondo all’aula, non parlare con nessuno e non essere disturbato da nessuno. Andare a
lezione e poi sparire come un fantasma. Era quello che stavo facendo ad Erie.
Non conoscevo ancora nessuno ed ero ad Erie da ben due mesi. I miei corsi di letteratura inglese
erano iniziati da poco più di un mese e da allora solo il ragazzo che sedeva alla mia sinistra a
letteratura, Bred, mi aveva rivolto la parola. Io però avevo replicato alle sue domande e alle sue
osservazioni come un automa e gli avevo fatto perdere interesse ad instaurare un rapporto con
me.
Non credevo di volere una vita da eremita, altrimenti non sarei andato al college ma sarei andato
a vivere su di una torretta in cima ad una collina ad avvistare gli incendi nella foresta.
Non mi era rimasto molto di L.A. I miei genitori erano ai margini della mia vita e, ora che non
vivevo più con loro e non avevo più nulla da dare a loro e loro nulla da dare a me (anche il mio
sostentamento era garantito da una borsa di studio completa e dall’eredità dei miei nonni),
sempre più diventavano immagini sfocate di un passato che volevo solo dimenticare.
Si potrebbe pensare, a ragione forse, che dopo diciotto anni un po’ apatici potessi avere una gran
voglia di divertimento. Alcool, droghe, feste tecno e cose del genere. Ma non era così.
Ero rimasto al solito tran-tran di L.A., città alla quale pensavo solo per due motivi: Simone e
Jennifer.
Simone era la ragazza che aveva trafitto il mio cuore anni addietro e Jennifer era la mia migliore
amica.
A guardare la mia vita con distacco, con gli occhi di qualcun altro, mi chiedevo come potesse
esserci una ragazza fantastica come Jennifer nella mia vita.
Spesso qualche ragazzo che alloggiava nel mio stesso dormitorio, una palazzina semplice a tre
piani con una cucina per piano e un bagno in ogni stanza, mi trovava ad uno dei telefoni pubblici
dell’Hope House, così si chiamava il dormitorio, attorno alle due di mattina intento a telefonare a
Jennifer, a sei ore di distanza.
E la responsabile del piano, una certa Samantha, mi lasciava numerosi biglietti sulla porta.
Biglietti recanti il messaggio “Richiamare Jennifer„.
Mi ricordo quando dissi a Jennifer della mia decisione di studiare ad Erie. Non era affatto delusa,
certo era triste ma non lo diede a vedere. Mi disse, pressappoco quello che le avrei detto io se
fosse stata lei ad andarsene, che se io ero convinto lei era favorevole. Ma pensava anche che mi
2
avrebbe fatto bene cambiare aria, anche se questo non significava andare dall’altra parte degli
U.S.A., perché a L.A. giravo come uno zombie e non sembravo affatto felice.
- Forse,- mi disse - laggiù potrai cambiare, avere un rapporto diverso con il prossimo, far provare
anche ad altri il piacere della tua compagnia.
Per fortuna tutto quello che sapeva della mia vita ad Erie le giungeva dalle mie labbra. Non le
dissi mai bugie ma tendevo a parlare più della scuola e delle cose interessanti che apprendevo e
degli splendidi boschi che incorniciavano il paesaggio, che della mia solitaria vita tra le quattro
mura della mia stanza.
Jennifer stava studiando per diventare grafica pubblicitaria ed ero molto contento per lei. Non
credevo che lei lo fosse altrettanto per me, perché temevo che avesse intuito che la mia vita ad
Erie procedeva quasi di pari passo a quella trascorsa a L.A.
La prima settimana di college giravo senza walkman. A L.A. non ne avrei fatto a meno, ma qui
era divertente sentire gli altri bisbigliare alle mie spalle quando li superavo o addirittura parlare
apertamente di me a pochi passi dalla mia persona. Ben presto però questa attività perse tutto il
suo fascino. Ripresi ad usare il walkman e così tornai ad essere solo. A lezione non c’era tempo
per chiacchierare, e se c’era io non davo agli altri l’impressione di volerlo fare, e fuori dalle aule
vivevo in un altro mondo, fatto di Pearl Jam, Nirvana e R.E.M. a tutto volume. Anche se
qualcuno avesse gridato il mio nome a due passi da me sarei rimasto all’oscuro di questo
tentativo di comunicare con me.
Quel giorno, un mercoledì soleggiato e caldo che mi rendeva ancora più cupo e depresso (perché
potevo anche sembrare felice, non sempre, agli occhi di un osservatore estraneo, ma non lo ero),
avevo finito la scorta di batterie per il Walkman e così mi trovavo in buvette a bere una CocaCola, in balia di qualsiasi rumore. Le voci degli altri clienti della buvette mi avevano fatto venire
mal di testa e non riuscivo a concentrarmi sulla lettura di un libro di Byron. Avrei voluto alzarmi
e rifugiarmi nella mia camera ma anche questa semplice operazione, e il dover percorrere i
duecento metri che separavano l’edificio principale dell’Università dalla mia camera, mi
sembrava uno sforzo impensabile. E nemmeno scendere un piano di scale per rifugiarmi in
biblioteca era alla mia portata quella mattina.
Mi convinsi che dieci minuti più tardi, quando sarebbero iniziate altre lezioni, sarei rimasto con
pochi altri, seduto in buvette. Ma così non fu, e mezz’ora dopo guardavo fuori dalla finestra della
buvette pensando alla mia camera e al mio letto.
- Scusami.- sentii dire.
- Hei.- sentii poco dopo.
Mi voltai, ma non credevo dicessero a me. Chi poteva rivolgermi la parola? Non conoscevo
nessuno...
- Posso sedermi?- mi chiese una ragazza sul metro e settanta con degli splendidi ricci biondi. Non ci sono molte sedie libere...- si giustificò.
- Prego.- le dissi indicando la sedia senza nemmeno rivolgerle un sorriso. A L.A. lo avrei fatto
ma ora ero ancora più depresso che a L.A.
Stavo per tornare con lo sguardo fuori dalla finestra quando la ragazza riprese a parlarmi. Si era
seduta di fronte a me. Ci separava un tavolino rotondo di circa settanta centimetri di diametro.
- Vivi alla Hope House, vero?- mi chiese gentile.
“Se quello lo chiami vivere…” pensai guardandomi bene dal dirlo.
- Sì.- risposi, invece, freddo ma curioso.
Forse veniva compilato un dossier su di me e tutti ne ricevevano una copia settimanalmente od
ogni due settimane.
- Anche tu?- chiesi, appunto, per curiosità. Lei parve sorpresa che io le rivolgessi una domanda.
Mi chiesi se era questo che vedevano tutti in me... un eremita che aborriva qualsiasi contatto con
gli estranei. Ricordai un film... Forse lei si era seduta con me per una scommessa. Aveva
3
scommesso con delle amiche che io non le avrei parlato? Mi guardai intorno per vedere se
eravamo osservati. Per la verità, per un momento, ci guardarono quasi tutti (potevano essere
circa una cinquantina i clienti della buvette in quel momento) ma ritenni che era ovvio essere
sorpresi di vedere qualcuno al mio tavolo.
- Sì. Abito anch’io lì. Te n’eri accorto?- replicò la ragazza. Io guardavo gli altri clienti della
buvette.
- Sinceramente no.- le risposi guardandola senza sentimento.- Non ho notato nessuno eccetto
quel punk con il crestone rosso.- dissi.
La ragazza rise sinceramente divertita. Io la guardai ancor più confuso e stupito. Non volevo fare
una battuta. Certo, per la verità poteva sembrare che io... Le sorrisi.
- Io mi chiamo Jasmine.- mi disse porgendomi la mano.
Era la prima persona qui ad Erie che mi porgeva la mano. Stava cambiando qualche cosa? Da
oggi sarebbe stato tutto diverso?
Le strinsi la mano pensando che dovevo aspettare fino a stasera per dirlo a Jennifer.
- Michael Stebbins.- mi presentai.
Mi sorrise, una versione mimica del “piacere”. Contraccambiai il sorriso e mi chiesi che cosa
potesse pensare lei del mio totale mutamento.
Chiacchierammo per un quarto d’ora. Lei veniva da N.Y., città che mi affascinava parecchio
(non l’avevo ancora visitata ma ero sicuro che mi sarebbe piaciuta molto più di L.A.), e studiava
recitazione. Era qui, e non a Broadway, poiché anche Erie aveva una buona fama nel suo
piccolo, non era carissima e le permetteva di vivere lontano dai suoi, anche se non così lontano.
Ero stordito e la mia apatia mattutina non era ancora stata debellata, altrimenti credo che avrei
perso la testa per quella ragazza anche solo dopo quei quindici minuti che avevamo condiviso ad
un tavolino pieno di libri di letteratura miei, un grosso libro di recitazione suo, le sue sigarette e
il portacenere con due mozziconi spenti all’interno. Io non dissi nulla di me, se non che abitavo a
L.A. e studiavo letteratura inglese. Mi limitai ad ascoltarla e a commentare quello che mi diceva.
Non diedi l’impressione di essere loquace ma senz’altro dopo questo incontro l’immagine che lei
aveva di me uscì rivalutata in meglio.
Jasmine scappò, volatilizzandosi tanto da farmi dubitare di averla veramente conosciuta e non
solo sognata addormentato al tavolino (ma i mozziconi di sigaretta erano la prova della sua
presenza), dicendo che aveva un appuntamento con un’amica per andare a fare shopping a
Buffalo.
Scesi ed uscii dall’edificio principale, che era chiamato Planet, e passeggiai a lungo nel prato che
divideva il Planet dalla Hope House, il bosco dalla mensa.
Il mio stomaco reclamò per la fame e allora tornai alla mia camera, lasciai libri e appunti e andai
alla macchina, lasciata al posteggio pubblico dietro la mensa, di fronte alla biblioteca principale,
un grosso edificio di sei piani tutto vetrate divise da minuscoli pilastri di acciaio. Un edificio
piuttosto orrendo e sinistro. Salii sulla mia Chevrolet e mi diressi in città. Avevo passeggiato a
lungo ad Erie prima dell’inizio dell’Università ma non mi ero mai fermato in un bar e nemmeno
ero entrato in qualche negozio. Decisi di trovare un ristorante e di mangiare lì, sollevato
dall’aver conosciuto Jasmine.
Quel pomeriggio vagai con la macchina lungo le strade di campagna. Pensai ai picnic fatti con
Jennifer, al lungo viaggio da L.A. ad Erie, a Jasmine e a Simone.
Mi fermai ai margini di un boschetto. La strada sulla mia destra, un fiumiciattolo e il bosco alla
mia sinistra. Il sole era nascosto dalle fronde degli alberi ed io mi godevo l’ombra seduto sul
cofano della Chevrolet, ascoltando il rumore del fiumiciattolo e dei pochi uccellini che
cinguettavano sui rami degli alberi.
4
II.
Simone era l’unica ragazza che avevo baciato sulla bocca e, se la mia memoria non mi tradiva,
anche l’unica con la quale avevo fatto l’amore.
La mia vita sentimentale non era incentrata su di lei... La mia vita sentimentale era lei. E da tre
anni non la vedevo più e non sapevo dove abitava ne conoscevo il suo numero di telefono. Erano
tre anni che lei era uscita dalla mia vita ma in realtà ne avrebbe fatto parte per sempre, come
anche i miei genitori e il bidello delle scuole elementari. Ma lei era stata un raggio di luce nella
mia tetra esistenza e se non avessi conosciuto Jennifer probabilmente ora sarei sottoterra, dopo
essermi sparato in fronte o tagliato le vene.
Jennifer sapeva di Simone, sapeva tutto di me. Io, però, dopo essermi sfogato con lei ed averle
detto tutto di me e Simone, non avevo più parlato di lei. E Jennifer non aveva mai fatto il suo
nome. Certe volte, però, io troppo giù o con gli occhi stanchi e arrossati, vedevo Jennifer
guardarmi con una strana espressione e in quei momenti entrambi pensavamo a Simone.
Al liceo facevo orari folli. Mi alzavo alle sei di mattina e mi addormentavo verso le due della
mattina successiva. Dormivo quattro ore per notte, ma a volte anche di meno. Dopo scuola
studiavo (ero l’unico intenzionato a prendere una borsa di studio) fino a quando crollavo dal
sonno. Poi telefonavo a Jennifer o c’incontravamo per bere qualcosa. Verso le undici, o al più
tardi a mezzanotte, comunque ero a casa e iniziavo a leggere o a scrivere romanzi mai terminati.
Alle due o poco dopo crollavo e spesso mi svegliavo vestito, sommerso da fogli e libri, con i
vestiti tutti stropicciati e i segni del cuscino o di un libro sul viso. In tutte queste ore passate a
casa lo stereo era sempre acceso e dalle sei alle sette di mattina me ne rimanevo a letto ad
ascoltare musica, sdraiato a letto e al buio. Poi mi alzavo, facevo una doccia, mi vestivo o mi
cambiavo e andavo al liceo.
Quest’ultima estate l’avevo passata folleggiando con Jennifer. Andavamo in discoteca, nessuno
di noi due ballava molto (io meno di lei), in un bar o semplicemente ci trovavamo a casa sua o a
casa mia a parlare fino a quando iniziava a fare giorno.
A volte passeggiavamo pomeriggi interi, altre volte, quando io ero troppo giù, stavamo al
telefono per ore. Facevamo le ore piccole sempre, ma sempre dormivo almeno sei ore per notte,
a volte anche otto.
Qui ad Erie avevo ripreso gli orari folli del liceo ma non mi ero ancora abituato. Non mi stupii di
essermi addormentato sul cofano della mia Chevrolet, ai piedi del boschetto e al riparo dai raggi
del sole.
Mi svegliai verso le sei con il segno della cunetta che corre al centro del cofano sulla guancia
destra e la consapevolezza di avere saltato quattro ore di lezione. Scesi fino al fiumiciattolo a
sciacquarmi il viso, sperando che nessuna fabbrica scaricasse i suoi rifiuti in quell’acqua, e mi
riavviai verso l’Università, tutto sommato felice.
Entrai nella mia camera verso le sette. Dovevo aspettare ancora almeno sette ore per telefonare a
Jennifer altrimenti, con la storia del fuso orario, non l’avrei trovata. Aprii la finestra lasciando
entrare l’aria che non era ancora quella fredda di novembre ma che mi aiutò a svegliarmi, dopo il
sonnellino pomeridiano.
Entrava ancora un po’ di luce nella camera ma già intravedevo la luna in cielo e le stelle
sarebbero state visibili entro un’ora.
Mi misi a studiare e il tempo passò in fretta. Arrivarono le due ed io non mi accorsi del freddo
che entrava dalla finestra da me lasciata aperta né dello stomaco che reclamava un pasto. Cena o
colazione?
Ero stanco, mi alzai dalla scrivania e allora mi decisi. Andai in cucina. Camminai per il corridoio
del terzo piano della Hope House a piedi nudi sulla moquette, con indosso jeans e maglietta. In
5
cucina aprii il frigo. C’era solo una mela di mia proprietà. La presi e presi anche una lattina di
Coca-Cola che non mi apparteneva. Sulla porta del frigo erano attaccati dei biglietti autoadesivi
e una penna. Scrissi su di un biglietto queste parole: “Ti devo una lattina”. Attaccai il biglietto
alla confezione da sei lattine, che ora erano diventate cinque, e chiusi il frigo.
Dopo la stanchezza, la fame e il freddo mi accorsi anche dell’ora. Percorsi il resto del corridoio
verso le scale che portavano agli altri piani.
Sul pianerottolo, accanto all’uscita di sicurezza, c’era il telefono con cui avrei chiamato Jennifer.
Riempii il telefono di monetine e composi il numero di Jennifer. Rispose dopo una decina di
squilli.
- Ciao.- dissi.
- Ciao.- rispose lei contenta, riconoscendo la mia voce.
Erano due giorni che non ci sentivamo. Troppi per lei e soprattutto per me. Non volevo sminuire
i sentimenti che provava nei miei confronti ma forse lei era più importante per me di quanto io
non lo fossi per lei.
- Come stai?- le chiesi.
- Benissimo. E tu?- domandò a sua volta, curiosa.
Forse sentiva nella mia voce qualcosa di diverso.
- Bene.- risposi.- Ho conosciuto una ragazza.Verso di stupore di Jennifer.
- Non mi piace.- mi affrettai a dire. Quando non ero troppo preso a guardarmi le punte delle
scarpe, rimanevo colpito da molte ragazze.- Sì, mi piace ma non ho pensato subito di mettermi
con lei.- aggiunsi per spiegare meglio la situazione.
- Come vi siete conosciuti?- mi chiese.
Le raccontai tutto.
- Sono contenta.- mi disse quando ebbi finito.
- Lo so.- dissi.- Ero quasi più felice perché sapevo come l’avresti presa che per il fatto di averla
conosciuta...Risatina di Jennifer.
Rimasi in silenzio. Cinquemila chilometri sono molti e due mesi senza vederla... troppi!
- Mi manchi.- confessai.
- Lo so. Anche tu mi manchi, molto.- Scusami.- le dissi.- Non dovrei fare certi discorsi... e poi è colpa mia.- Smettila.- si finse arrabbiata per i miei discorsi.
Risi.
- Pensi che vi rivedrete?- mi chiese all’improvviso.
- Io e Jasmine?- chiesi più a me stesso che a lei.- Può darsi, cioè... sì. Ma non so se diventeremo
amici o ...- Lo siete già. Dimmi come continua, ok?- Certo. Com’è andata ieri e oggi?- le chiesi dopo mezz’ora di conversazione. Ero a disagio.
Rise.
- Bene. Ma te lo racconto domani, ok?- Ok. Scusami.- Non iniziare.- disse scherzando.- Ti chiamo io.- continuò.- Alle dieci?- Ma sei a scuola.- reclamai.- Chiamami alle due. Sarò qui ad aspettare la telefonata.- Non riuscirò mai a capire come fai a dormire così poco.- disse quasi frustrata.- Allora a
domani... Buonanotte.- Sogni d’oro.- le augurai.
- Anche a te.Appesi il telefono. Rimasi a guardare il telefono con il sorriso in volto. Guardai le rampe della
scala illuminata e le deboli luci che invece illuminavano il corridoio. La mia camera era la
penultima sulla sinistra, affacciata sul Planet.
Tornai alla mia camera addentando finalmente la mela.
6
Mi svegliai alle cinque. Dai segni sul viso e dalle occhiaie giudicai di aver dormito ben poco.
Avevo lezione alle nove: francese. Due ore e poi avevo letteratura. Decisi di starmene a letto e
saltare francese. Così feci ma quando mi svegliai, (mi ero infatti addormentato sebbene non ne
avessi avuto l’intenzione), era mezzogiorno e ormai avevo saltato anche letteratura. Mi feci una
doccia, ci voleva, e andai in buvette.
Nei corridoi della Hope House c’era fermento. Gente che andava e veniva. Si prendevano i libri
per la lezione successiva o ci si liberava semplicemente di libri e appunti per poi andare a pranzo
in mensa o in città.
Mentre scendevo le scale mi chiesi se avrei incontrato Jasmine.
Arrivai in buvette. Cercai con lo sguardo Jasmine ma non la vidi. Andai a sedermi al solito
tavolo. Era sempre libero, forse perché tutti sapevano che io mi sedevo lì. Non era certo
venerazione, forse compassione...
Cercai nello sguardo degli altri ragazzi seduti in buvette qualche segno di cambiamento. C’era
qualcun’altro che stava per farsi avanti per conoscermi?
Mi alzai e andai al bancone ad ordinare un toast. Tornai al tavolino con una Coca-Cola e una
mela. Il toast sarebbe stato pronto in due minuti. Presi a leggere Ford. Forse per il libro, o forse
per l’assenza di Jasmine... non so per quale motivo ma non c’era più in me parte della felicità
della scorsa giornata. Non era stato tutto un sogno?
Bred entrò in Buvette. Di solito lo avrei ignorato, salutandolo solo se lui mi avesse visto, ma
questa volta alzai il braccio per attirare la sua attenzione. Mi salutò a disagio, impacciato, e
s’incamminò verso il mio tavolino.
- E’ la prima volta che salti letteratura.- disse, acuto osservatore, ancor prima di essersi seduto di
fronte a me.
- Ho ritenuto più interessante dormire, questa mattina.- raccontai. Si poteva dire che fosse la
prima volta che gli rivolgevo la parola.
Mi guardò. Un misto di stupore e divertimento.
- Saggia decisione.- dichiarò.
Mi chiamarono per il toast. Bred era ancora seduto al tavolino al mio ritorno. Addentai il toast.
- Ti ricordi l’ultima lezione?- mi chiese.
Annuii, concentrato.
- Se me la spieghi, io ti spiego la lezione di oggi.- propose.
- Ok.- dissi.
Ero contento. Per la proposta e perché odiavo perdere lezioni. Bred mi permetteva di riparare al
danno fatto.
- In biblioteca?- proposi.
- D’accordo.- disse alzandosi.
Lo guardai meravigliato con il toast in bocca. Lo riguardai interrogandolo. Intendeva andare in
biblioteca immediatamente? Mi fece cenno di sì con la testa. Voleva proprio andarci in quel
momento.
Mi alzai racimolando le mie cose. Lo seguii fuori dalla buvette.
Studiammo fino all’inizio delle lezioni pomeridiane e poi dovemmo precipitarci in aula per non
arrivare in ritardo. Mentre ascoltavo il professor McGregor parlarci della vita sociale nell’1800
in America e in Inghilterra, pensai a Bred.
Adesso mi sedeva accanto, come sempre, ma per la prima volta lo sentivo vicino. Ogni tanto
scambiavamo qualche commento sulla lezione...
In realtà, con la giusta compagnia, ero anch’io capace di chiacchierare e scherzare durante una
lezione ma comunque tenevo molto a non perdere nulla d’importante di quello che veniva
spiegato. Ora che io e Bred avevamo trovato un certo dialogo, fui piacevolmente sorpreso dal
fatto che, malgrado entrambi (lui forse più di me) avessimo tanto da comunicare, Bred fosse uno
studente serio e attento quanto lo ero io.
7
Anche se ci scappava qualche commento che ci faceva ridere a crepapelle restavamo con un
orecchio attento alle parole del professore ed eravamo, senz’altro, tra gli studenti più attenti.
Finita storia contemporanea Bred si volatilizzò. Aveva, mi disse, appuntamento dal dentista ed
era già in ritardo.
Io mi ritrovai in buvette, sempre con la speranza di incontrare Jasmine. Io e Bred non avevamo
parlato molto di noi stessi visto che eravamo impegnati a studiare, eravamo quindi ancora quasi
degli sconosciuti, ma avevo avuto modo di capire di che pasta fosse fatto. Era simpatico e
gentile. Non era chiuso come lo ero io ma non era immaginabile vederlo seduto ad una tavolata a
parlare con foga davanti a venti persone che lo ascoltavano attente. Mi domandai se anche Bred
abitasse alla Hope House sebbene non l’avessi mai visto tra quelle mura, ma del resto non vi
avevo visto nemmeno Jasmine.
Stavo leggendo “La mascherata della Morte Rossa”, uno dei miei racconti preferiti, scritto da
Edgar Allan Poe, quando sollevai lo sguardo, prendendomi una pausa dalla lettura, e scorsi
Jasmine passare davanti all’entrata della buvette, lungo il corridoio. Analizzai in tutta fretta le
possibilità che mi si presentavano. Potevo tornare al racconto (stavo arrivando al punto cruciale,
e più interessante) facendo finta di nulla o potevo prendere le mie cose e correre in corridoio per
raggiungerla. Forse, però, Jasmine era in ritardo per una lezione e non sarebbe servito a nulla
raggiungerla...
Mi alzai chiudendo il libro di Edgar Allan Poe. Impilai in fretta il libro di Byron sotto quello di
E.A. Poe e quello di Ford sopra al libro di testo di letteratura e corsi attraverso la buvette.
Piombai nel corridoio e dovetti frenare per guardare nella direzione in cui era scomparsa
Jasmine. Ero fermo in mezzo al corridoio, appena affannato, e guardavo Jasmine che mi
guardava a meno di due metri da me.
Aveva superato la buvette e si era fermata a leggere gli annunci lasciati dagli studenti su di un
pannello appeso alla parete del corridoio.
Jasmine mi sorrise. Pensai, in un momento di follia, di riprendere la corsa (non era da molto che
mi ero fermato...), salutare velocemente Jasmine e fingere di essere in ritardo per un
appuntamento. Ma era folle e dalla mattina di ieri la cosa che più volevo era passare del tempo
con questa ragazza. Sorrisi a Jasmine che mi osservava divertita e la salutai. Lei non cessò di
guardarmi divertita ed io non riuscivo a dissimulare il mio imbarazzo. Mi portai una mano al
volto come a volermi nascondere.
- Ti ho vista passare...- spiegai.
Lei rise. Io mi sentii stupido. Avevo già dato l’impressione di volere qualcosa di più
dell’amicizia, mentre ancora non ci avevo pensato...
- Come stai?- mi chiese con la sua voce dolce. Mi dava una calma inusuale sentire quella sua
vocina.
- Bene.- le dissi. Era vero! Ed era strano. Mi ritrovai a pensare a quante ore mancavano alla
telefonata di Jennifer ma Jasmine mi stava parlando.
- Scusa?- chiesi imbarazzato.
- Siamo con la testa tra le nuvole?- mi chiese.
Sollevai le spalle non sapendo bene se volesse alludere a qualcosa...
- Hai lezione Michael?Mi soffermai a guardarla. Indossava una gonnellina nera corta, un pull bianco piuttosto aderente
e collant neri. Feci finta di guardarmi il piede sinistro che muovevo come se mi facesse male e
notai che anche lei calzava un paio di anfibi, e vidi le calze bianche di cotone che erano ripiegate
sugli anfibi di qualche centimetro. Un dettaglio che mi piaceva da morire. Michael, aveva detto.
Sì, era il mio nome ma mi piaceva che ogni tanto lei lo dicesse anche se non era necessario.
- No.- risposi. Era passata un’eternità da quando mi aveva posto la domanda. Tornai a pensare a
quanto ero stupido e di colpo ero giù di morale e avevo perso la voglia di parlare con lei. Anche
stare lì con lei non mi dava nessun piacere.
8
- Ti va di fare una passeggiata?- mi chiese sorridendomi ma non ci fu bisogno che le rispondessi
per farle sparire quel meraviglioso sorriso dal suo viso angelico.
- Che cos’hai?- mi chiese preoccupata sfiorandomi una spalla con la mano destra.
Non risposi. Temevo di essere sul punto di piangere, non ne sapevo il motivo e non avrei saputo
come fare a smettere se solo una lacrima fosse scesa sulle mie guance. La testa mi esplose e
adesso ero proprio in crisi totale. Cos’era successo? Vedevo Jasmine preoccupatissima. I suoi
occhioni marroni sondavano il mio viso per capire che cosa mai potessi avere ed io mi sentivo
ancora più in colpa ma non riuscivo ad evitare che la situazione fosse così tragica.
- Senti...- mi disse con la voce tranquilla anche se sembrava un po’ spaventata. - Se non fossi
passata, cosa avresti fatto adesso? Saresti andato in biblioteca? In camera tua?- In camera mia.- riuscii a dire.
- Ok.- disse lei abbozzando un sorriso. Mi porse la mano sinistra ed io la strinsi nella mia, senza
quasi accorgermene.
Jasmine mi condusse fino alla Hope House.
Io camminavo guardando le punte dei miei anfibi come facevo quando ero triste e camminavo da
solo con il Walkman a tutto volume. Scendemmo gli scalini del Planet e attraversammo il vasto
prato che ci separava dalla Hope House, mano nella mano, senza dire una parola. Iniziammo a
salire le scale della Hope House.
Io arrancavo al fianco di Jasmine che mi osservava ogni qual volta arrivavamo ad un
pianerottolo chiedendosi a che piano fosse la mia camera. Arrivammo al terzo piano e lì mi
diressi verso destra dov’era la mia camera.
Jasmine ed io percorremmo il corridoio sempre senza che una sola parola uscisse dalle nostre
bocche. Non sapevo se Jasmine era preoccupata, a disagio o chissà cos’altro perché per tutto il
tragitto fino alla mia camera non l’avevo guardata una sola volta. Mi fermai di fronte alla porta
della mia camera e presi le chiavi dalla tasca dei miei jeans. Aprii la porta e guardai Jasmine per
la prima volta.
Non sapevo cosa mi dicesse il suo viso.
- Non mi fai entrare?- chiese stupendomi.
Mi scostai e la lasciai entrare. Non avevo lasciato vestiti sporchi in giro per fortuna, ma c’erano
libri dappertutto. Sulla scrivania sotto la finestra, sul mio letto e anche in bagno. Sul comodino,
posizionato sul lato del letto dove di solito mettevo i piedi, c’erano almeno dieci libri uno sopra
l’altro. Appena entrata Jasmine si ritrovò la porta del bagno aperta, sulla destra. Camminando
verso la finestra, di fronte a se, sulla sinistra c’era un armadio alto e largo che faceva parte
dell’arredamento standard delle camere della Hope House. Sulla destra, superato il bagno, un
comodino e, dietro, il letto che era sistemato contro due pareti, parallelamente al muro con la
finestra. La sedia della scrivania era per terra. Non mi ricordavo di averla lasciata lì, quando ero
uscito, questa mattina.
La finestra era aperta e le pagine di un libro giravano e giravano spinte dalla leggera brezza che
entrava nella mia camera.
Mi sedetti sul letto disfatto (le lenzuola erano per metà per terra, così come il cuscino) e posai i
libri sulla pila già presente sul comodino.
Guardai Jasmine sistemare la sedia al suo posto e chiudere le ante dell’armadio. Si sedette sulla
sedia in modo da potermi guardare. Fossi stato un altro avrei potuto godermi il panorama... le sue
gambe accavallate con la gonna troppo corta. Ma poteva anche essere nuda, non me ne sarei
accorto.
- Lasciami solo.- la supplicai mentre guardavo la moquette che copriva il pavimento della mia
camera.
- Scordatelo.- mi disse dura.
Sollevai lo sguardo, triste e cupo, e la vidi determinata.
- Non uscirò da qui fino a quando tu non mi dirai che cos’hai?- spiegò.
- Io vorrei dormire.- dissi. Non avevo sonno ma se fossi riuscito a dormire almeno non avrei
potuto pensare...
9
- Dormi pure.- mi disse lei, tranquilla.- Io studierò qui, alla scrivania.Si voltò e aprì lo zainetto che in precedenza aveva portato sulla schiena. La guardai sbalordito.
Tolse un libro di testo e lo depose sulla scrivania. Socchiuse la finestra. Prese un bloc-notes e
una penna e si sedette alla scrivania iniziando a studiare. Faceva sul serio.
Mi tolsi gli anfibi e le calze e mi adagiai sul letto. Lei non si mosse né si voltò per vedere quello
che facevo. Chiusi gli occhi e, con mio grande stupore, poco dopo dormivo. Mi risvegliai
parecchie volte. Non ero abituato a dormire con tutta questa luce che faceva capolino nella mia
camera e non riuscivo a dormire come facevo di solito. Ma del resto non sono mai riuscito a
dormire bene in vita mia.
Un paio di volte mi svegliai e vidi Jasmine intenta a studiare alla scrivania. Altre due volte (in
un’occasione era ancora giorno, nell’altra era ormai sera) aprii gli occhi e incontrai lo sguardo di
Jasmine fisso nel mio. Mi svegliai per l’ultima volta alle nove e un quarto. Jasmine dormiva con
la testa su di un libro sulla scrivania, il corpo proteso verso la scrivania, seduta sulla sedia. Mi
alzai muovendomi in silenzio. Mi mossi verso la scrivania e osservai il suo viso addormentato. Il
mio cuore sussultò. Mi accorsi che il mio malumore era svanito e non era merito del sonno
recuperato ma di Jasmine.
Le accarezzai i capelli.
Con delicatezza, e a disagio, le passai un braccio sotto le ginocchia e uno contro la schiena. La
sollevai e lei si mosse, disturbata, ma non si svegliò. L’adagiai nel mio letto. L’avrei portata
nella sua camera ma non sapevo quale fosse. Si mosse di nuovo nel sonno disturbata dal
cambiamento di posizione. Si rannicchiò come facevo anch’io nel sonno e si rilassò quando
trovò la zona del letto riscaldata dalla precedente presenza del mio corpo. La coprii con le
lenzuola e lei mosse un braccio a stringere il lembo delle lenzuola sfiorandomi
inconsapevolmente. Facendo attenzione a non svegliarla, le sfilai gli anfibi e le calze di cotone.
Le lasciai collant e gonna perché sarebbe stato imbarazzante per me toglierli e per lei svegliarsi
senza di essi, nel mio letto. La baciai sulla fronte e poi mi sedetti a gambe incrociate sulla
moquette a guardarla.
Presi un libro a caso, un libro di Stephen King che avevo letto e riletto, e iniziai a leggerlo per
far passare il tempo. Arrivò velocemente mezzanotte senza che io me ne accorgessi e Jasmine
dormiva serena. Mi alzai e uscii in silenzio dalla camera.
In tutto il giorno avevo mangiato solo una mela e un toast e avevo una fame pazzesca. Andai in
cucina e aprii il frigo. Non c’era nulla di mio, me n’ero dimenticato, e non volevo avere troppi
debiti con i miei compagni di piano. Andai fino alla mensa, preferendo la buvette della mensa a
quella del Planet perché c’era meno gente e non sarebbe passato inosservato il fatto che giravo a
mezzanotte passata a piedi nudi per il prato dell’Università. Presi tre panini, due mele e due
Coca-Cola, e ritornai alla Hope House. Mi fermai sotto la mia finestra e vidi che la luce della
mia camera era l’unica accesa al terzo piano. Al secondo piano, sul lato della Hope House che
dava sull’Uni, c’erano due stanze illuminate. Al primo piano tutte le luci erano spente.
Salii i cinquantotto gradini che portavano al terzo piano e percorsi il corridoio fino alla mia
camera. Sulla mia porta c’erano due messaggi. Uno era delle cinque del pomeriggio e l’altro
delle dieci di sera e. Entrambi dunque erano già lì quando io ero uscito dalla mia camera ma io
non me n’ero accorto. Il messaggio delle cinque, la telefonata era di Jennifer che mi diceva che
mi avrebbe richiamato sabato perché andava via con i suoi genitori, mi era stato lasciato da Boris
che non conoscevo. Il messaggio delle dieci di sera era di Bred. Mi aveva cercato per telefono.
Samantha, la responsabile del piano, aveva risposto e aveva bussato alla mia porta per dirmi
della telefonata ma io dovevo essere troppo assorto nella lettura del libro di Stephen King perché
non avevo sentito nulla. Jasmine doveva aver pensato che sarebbe stato imbarazzante per me che
lei aprisse la porta per prendere il mio messaggio. O forse era lei quella imbarazzata. Presi i
messaggi ed entrai in camera. Jasmine continuava a dormire tranquilla. Decisi di fare una doccia,
avevo i piedi pieni d’erba ed erano neri, e poi di mangiare. Feci la doccia e quando uscii dal
bagno ero sicuro di trovare Jasmine sveglia ma lei era sempre nel mio letto, nel mondo dei sogni.
Mi sedetti di nuovo di fronte a lei e ripresi il libro di Stephen King. Ne avevo letto più di un
10
quarto in precedenza. Avevo indossato una tuta nera con due sottili strisce bianche su entrambi i
lati. Lessi fino alle cinque senza rendermene conto e mi ricordai dei panini e delle mele che
avevo lasciato sulla scrivania. Mangiai due panini e lasciai il terzo per Jasmine, per quando si
fosse svegliata. Mangiai la mela seduto al contrario sulla sedia, lo schienale contro il petto, ad
osservare Jasmine.
Era davvero incantevole ed era bello osservarla dormire con quell’espressione di pace che aveva
in viso, raggomitolata sotto le lenzuola, un piedino che spuntava da sotto le lenzuola coperto dai
collant.
Io non avevo ancora sonno, otto ore prima dormivo ancora, ma mi obbligai a dormire qualche
oretta altrimenti avrei accusato la stanchezza proprio a lezione. Mi sdraiai sulla moquette, con un
maglione come cuscino, regolai la sveglia alle sette (avevo lezione alle dieci ma non sapevo a
che ora dovesse essere in classe Jasmine) e chiusi gli occhi. Dormii profondamente pensando a
Jennifer e a Simone, come al solito, ma anche a Bred e a Jasmine.
Suonò la sveglia, puntuale alle sette, mi mossi per spegnerla e mi ricordai che Jasmine dormiva
nel mio letto. Sollevai lo sguardo da terra e vidi lei aprire gli occhi proprio in quel momento. Mi
vide per terra e la sua espressione fu buffissima e lei era comica, ma non meno affascinante, così,
appena svegliata. Poi fu ancora più confusa quando si rese conto di aver dormito nella mia
camera e nel mio letto. Le sorrisi e lei, con un’idea più o meno vaga di quello che era successo
quella notte, mi sorrise a sua volta.
- Non è successo nulla... se te lo stai chiedendo.- le dissi.
Lei continuava a guardarmi con quello sguardo sornione.
- Buongiorno.- dissi.
- Buongiorno.- mi fece eco. Si stiracchiò allungandosi sotto le lenzuola.
Io mi misi a sedere con la schiena contro la parete. Lei mi imitò mettendosi a gambe incrociate
sul letto, coperta dalla vita in giù dalle lenzuola. Sentivo di doverle qualche spiegazione o delle
scuse...
- Mi dispiace per ieri.- iniziai.- A volte mi succede... Sei stata molto dolce a comportarti in quel
modo.- Anche tu.- replicò lei guardando il letto e i suoi anfibi posati con cura ai bordi del letto.
Sollevai le spalle. Lei mi guardava intensamente. Mi alzai e aprii la finestra.
- Non sapevo a che ora avevi lezione e così ho messo la sveglia alle sette.- le spiegai.
- Sono le sette?- chiese poco contenta.
- Le sette e dieci.- precisai.
Jasmine si alzò.
- Se vuoi puoi fare la doccia qui... posso andare a prenderti dei vestiti in camera tua... - proposi.
Mi baciò sulla guancia.
- Sei tanto caro.- mi disse.- Ma è più semplice se faccio la doccia in camera mia.Presi il panino e la mela avanzate e la Coca-Cola. Misi il tutto in un sacchetto che le porsi dopo
che ebbe raccolto anfibi e calze.
- Se vuoi fare colazione...- le dissi.- Un panino con la marmellata, una mela e una Coca. Anche
se forse preferisci un caffè...- Grazie.- disse sorridendomi e se ne andò.
Guardai il cielo per la prima volta, quella mattina, e sapevo già che avrei visto la pioggia cadere
sul prato e sul Planet. Lo sentivo dentro di me. Mi piaceva la pioggia ed era il giusto
coronamento, per me, per queste belle ore passate in camera mia con Jasmine.
III.
Alle dieci ero a lezione. Avevo i capelli e gli abiti bagnati dalla fitta pioggia che spazzava il
prato di fronte al Planet e che cadeva fredda sulla cittadina di Erie. Bred mi guardava storto.
11
- Non sai che hanno inventato uno strano aggeggio per ripararsi dalla pioggia? Si chiama
ombrello.- mi disse, sarcastico.
A pranzo lasciai la sua compagnia per rifugiarmi nella mia camera. Aprii la finestra, faceva
freddo ma non troppo, e ascoltai il rumore della pioggia sul tetto della Hope House. Studiai e il
tempo passò velocemente. Saltai le lezioni del pomeriggio.
Verso le sei, quando ormai il freddo mi era entrato nelle ossa, chiusi la finestra, misi da parte i
libri di testo e presi invece un romanzo di Ford ed uscii dalla camera. Il corridoio, illuminato
fiocamente come sempre, era deserto. La Hope House sembrava deserta. Percorsi il lungo
corridoio e arrivato al vano scale m’imbattei in Jasmine.
- Ciao.- la salutai felice di quell’inaspettato incontro.
- Ciao. Dove sei stato? Ti ho cercato dappertutto.- disse lei.
- E’ dall’ora di pranzo che sono in camera a studiare.- spiegai.
- Allora non mi hai sentito bussare. Per ben tre volte...- sorrise facendomi capire che non se l’era
presa.- Stavi andando a cena?- No.- risposi.
Ci guardammo. Ero stato piuttosto freddo, non dicendole quello che avevo intenzione di fare.
- Stavo uscendo.- le dissi.- Ma senza meta.La guardai.
- Se vuoi venire con me...- D’accordo. Grazie.Scendemmo le scale. Lei indossava jeans, maglione, anfibi e giacca di jeans. Io jeans, maglione,
chiodo e anfibi. Eravamo silenziosi. Dopo sei ore passate a studiare, mi sentivo svuotato di ogni
energia ed ero a corto di idee per una conversazione. Lo stesso sembrava valere anche per
Jasmine.
Fuori dalla Hope House, in mezzo al prato, c’imbattemmo in un gruppo di sue amiche.
- Vieni con noi?- le proposero.- Andiamo da Nick. Dà una festa.Sembravano tutte felici all’idea della festa. Io e Jasmine le guardavamo, in piedi sotto i loro
ombrellini colorati mentre io e lei ci inzuppavamo sotto la pioggia che ora cadeva leggera.
- Veramente stavo uscendo con Michael.- spiegò Jasmine riuscendo nello stesso tempo a
presentarmi senza lunghe cerimonie.
- Porta anche lui.- propose una ragazza stupenda che sembrava uscita dalla copertina di una
rivista di moda. Indossava un vestitino corto, malgrado le condizioni ambientali, e molto sexy.
Aveva due gambe lunghissime ed era molto più alta di Jasmine, quasi quanto me.
Jasmine mi fissò un istante chiedendomi, senza parole, di dire la mia.
- Vai tu.- le dissi. Era evidente, dalla sua espressione, che voleva andare a quella festa.
- O vieni anche tu... o non ci vado.- mi disse guardandomi con un’espressione di finta supplica
in viso.
- Andiamo.- dissi infine.
Era meglio per tutti. Non le rovinavo la serata e sarei riuscito a stare con lei. Era certo la
situazione migliore. E allora perché non ero contento?
Presi la mia macchina e accompagnai alla festa Jasmine e due sue amiche, Helena “la
fotomodella” e Patricia “l’intellettuale”. Io guardavo la strada concentrato. Era buio e la
visibilità, a causa della pioggia, era scarsa e dovevo tenere d’occhio la macchina che mi
precedeva con a bordo Judy, Francine e Camilla.
Helena mi chiese che facoltà frequentassi e mi fece tante altre domande, quelle d’uso fare tra
studenti di università. Io risposi in modo meccanico, senza enfasi, e lo capii guardando per un
attimo Jasmine. Guardava a lato della macchina, fuori dal finestrino, lo sfrecciare di case, alberi
e lampioni della luce colpiti dalla pioggia. Non sembrava più molto contenta di andare alla festa.
- Fate gli stessi corsi di Jasmine?- chiesi. Non sapevo nulla di loro eccetto i loro nomi.
- Sì.- rispose Helena, la più interessata a me.
Lei veniva da Boston e Francine da Chicago. Entrambe erano fuggite dalle metropoli per
rifugiarsi in una cittadina di campagna. Helena era la tipica ragazza ricca, sofisticata e altezzosa,
12
con poca classe ma, dote non necessariamente delle ragazze ricche, molto sexy. Francine non era
molto carina ed era piuttosto timida. Non parlò molto nemmeno alla festa.
Non so come mi aspettassi che fosse l’appartamento di Nick, comunque non pensavo di
ritrovarmi ad una festa in una villetta di due piani con più di 200 invitati. Ero stordito dalla
confusione, dalla musica a tutto volume e dal chiacchierio delle persone. Dopo cinque minuti
non sapevo più dove si trovasse Jasmine.
Mi ritrovai ben presto stretto in un angolo al primo piano, pericolosamente vicino alla porta di
una camera da letto, con Helena che mi parlava con foga con le nostre labbra troppo vicine per i
miei gusti. Spesso mi metteva una mano sul braccio o sul petto ed io le sorridevo imbarazzato.
Mi parlò di tutto. Della sua famiglia, di sua sorella che studiava psicologia ad Harvard, dei suoi
ex, dei suoi gusti in fatto di ragazzi... Alla fine mi parlò solo di sesso. Io l’ascoltavo e recepivo
tutto ma non ero molto interessato, anzi cercavo solo il modo per svignarmela prima che lei mi
saltasse addosso.
Ero lì da tempo imprecisato, senza dubbio da più di mezz’ora, in quell’angolo, quando colsi lo
sguardo di Judy, lungo il corridoio. Lei chiacchierava in modo animato con due sue amiche e
ogni tanto mi lanciava un’occhiata. Era di gran lunga la ragazza che mi piaceva di più, dopo
Jasmine. Non era sexy come Helena ma era affascinante per la sua semplicità, gli occhi da
cerbiatto, il viso dolcissimo, i capelli castani che le ricadevano lisci poco sotto le spalle, il corpo
minuto ma ben proporzionato. Mi sorrideva ed io la guardavo ancora più intensamente.
Indossava minigonna e pullover grigi, con anfibi ai piedi (anche lei!). Io, lei e Jasmine eravamo
gli unici a portarli tra gli invitati alla festa.
Soffocato da Helena mi ritrovai ubriaco. C’erano ragazzi che passavano con coppe di champagne
e bicchieri di vari drinks e birra ed io allungavo un braccio attorno al corpo di Helena e mi
rifornivo in continuazione, esasperato dalla situazione, e scoprii di guardare Judy in modo
sempre più intenso e con molto meno tatto, purtroppo, di quanto facevo solitamente con qualsiasi
altra ragazza. Lei lo capì, non era difficile vederlo, e non sembrò affatto offesa e, al contrario,
iniziò a guardarmi con la stessa intensità.
Helena mi parlava di un certo Max e aveva il seno schiacciato contro il mio petto. Ma non si
accorgeva che non la guardavo? Io non riuscivo più a seguire i suoi discorsi... Chi era questo
Max? Il suo ex-tipo di Boston o quello di Erie? Era suo cugino, quello che faceva il brooker a
N.Y.?
Helena mi baciò sulla bocca. Mentre lo faceva io guardavo Judy e lei guardava me. Helena mi
fissò ed io la guardai dopo molti minuti in cui l’avevo ignorata. Voleva vedere qual’era la mia
reazione.
- Devo vomitare.- le dissi.
La scostai camminando per il corridoio con passo dondolante. Tutto l’alcool che avevo in corpo
aveva fatto effetto anche perché era dalle cinque della mattina precedente che non toccavo cibo.
Superai Judy, ci scambiammo un saluto, che diceva molto, e mi rinchiusi nel bagno. Era una
scusa, quella del vomito, però in bagno mi resi conto che se non avessi fatto qualcosa avrei
potuto aver bisogno di vomitare prima della fine della festa.
Uscii dal bagno stravolto. Helena mi aveva sostituito con un tipo più basso di me che doveva
stare in punta di piedi per baciarla ma che non aveva problemi, come potevo vedere con i miei
occhi, a tenerle la testa tra il seno prosperoso.
Judy era ancora con le sue amiche, in mezzo al corridoio, a meno di cinque metri da me. Stavo
per raggiungerla quando Jasmine mi prese per il braccio sinistro, comparsa da chissà quale punto
della casa. Era con Francine.
Mi disse che Camilla aveva tenuto lei e Francine a bere vodka e tequila dopo che avevano
tentato una seduta spiritica dagli sviluppi alquanto inquietanti. Francine aveva l’aria di essere sul
punto di vomitare per terra e sembrava anche scossa, forse dalla seduta spiritica. Sembrava una
balla madornale ma accantonai la possibilità che Jasmine potesse mentirmi.
- Andiamo a ballare?- mi chiese Jasmine.
La musica che rimbombava al piano di sotto era ben udibile anche quassù. Musica tecno.
13
- No.- le risposi.- Devo mangiare.- guardai l’orologio e mi accorsi con stupore che era quasi
mezzanotte. Il viaggio in macchina era durato poco più di mezz’ora... questo voleva dire che ero
stato più di tre ore con Helena!
- Sono più di diciotto ore che non mangio e ho bevuto troppo.- spiegai.
Francine annuì e io e Jasmine la guardammo stupiti.
- Anche lei farebbe meglio a mangiare e a bersi un caffè.- osservò Jasmine.
Salutai Judy con un gesto della mano, malvolentieri, e scesi le scale con Jasmine e Francine.
Quindici minuti dopo addentavo una fetta di pizza in un ristorantino vicino a Jamestown.
Francine iniziò con il caffè mentre Jasmine, che pure aveva bevuto tanto, mangiava
tranquillamente una pizza.
Divorai la mia pizza e guardavo con ingordigia quella di Jasmine, che me ne lasciò una grossa
fetta. Francine ordinò un toast e quando l’ebbe finito iniziammo a parlare. Come un fidanzato in
colpa raccontai a Jasmine della tortura a cui mi aveva sottoposto Helena. Non tralasciai nulla,
nemmeno il bacio, ma non dissi nulla di Judy. La storia di Judy sembrava più complicata... Una
volta smaltito un po’ quello che avevo bevuto, mi chiesi quanto dell’interessamento che avevo
provato verso Judy fosse merito dell’alcool.
- Anche un tipo voleva baciare Jasmine ma lei lo ha buttato per terra con uno spintone.- disse
Francine impedendomi di capire quale fosse la reazione di Jasmine al mio racconto.
Il ritorno in macchina fu alquanto silenzioso. Io pensavo a Jasmine e a Judy (almeno non avevo
pensato a Simone per tutto il giorno) e mi chiedevo quale delle due mi piacesse, ma avevo
ancora troppo alcool in corpo. Francine dormiva sul sedile posteriore e Jasmine a stento teneva
gli occhi aperti.
Dovetti portare in braccio Francine fino al suo appartamento, alla Kent House, ad un centinaio di
metri dalla Hope House, nel bosco. Jasmine riuscì a trovare le chiavi dell’appartamento che
Camilla divideva con Francine nella borsa di quest’ultima. Entrammo e depositai Francine sul
suo letto. Aspettai in salotto che Jasmine la spogliasse e le rimboccasse le coperte e poi ce ne
andammo insieme.
- Ti piace Helena?- mi chiese Jasmine mentre tornavamo alla Hope House.
Piovigginava ancora. Jasmine sembrava molto interessata dalla mia risposta.
- No. Affatto.- le dissi.
Ero sincero ma sembravo tutto l’opposto. Lo dissi triste perché non sapevo se mi piaceva Judy...
E Jasmine, così credevo, voleva sapere se c’era una ragazza che mi piacesse in questo momento,
oltre a lei... Dire che non mi piaceva Helena per lei equivaleva a dire che non ero interessato a
nessun’altra. Ma forse Judy mi piaceva.
Quando arrivammo al terzo piano della Hope House erano le tre e un quarto di sabato mattina.
- Abiti a questo piano?- chiesi a Jasmine.
- Forse.- rispose lei.
Mi voltai per guardarla negli occhi. Lei era impassibile.
- Devi ancora dirmi quello che avevi l’altro giorno.- spiegò.
Scossi la testa sorridendo perché non credevo a quello che mi aveva detto.
- Sei ubriaca?- le chiesi.
Lei ridacchiò.
- Sì, ma sono anche preoccupata per te.- disse.
Ecco, pensai, la tipica frase che mi butta giù di morale...
- No! No!- disse lei vedendo mutare l’espressione del mio viso.
Ricordando quello che era successo l’ultima volta, mi obbligai a fare qualcosa. Presi le mani di
Jasmine nelle mie. Lei tremò, per un attimo. Forse pensava a qualcosa di più intimo... Una
dichiarazione?
- Jasmine...- iniziai. Lei mi guardava nervosa e concentrata.- Non so cosa vuoi da me ma io sono
fatto così... e adesso non posso darti nulla di più di questo.14
- Buonanotte.- mi disse fredda lasciandomi le mani. Si girò e scese le scale.
- Jasmine.- la chiamai.
- Jasmine.- gridai anche se erano le tre del mattino.
La rincorsi. Lei correva. Arrivò presto all’uscita e corse per il prato. Ora diluviava.
Corsi più veloce e la bloccai in mezzo al prato. La luna piena ci illuminava da sopra le nostre
teste. Jasmine tentò di liberarsi ed io strinsi per un attimo la presa ma poi me ne resi conto e la
lasciai. Lei si fermò dinanzi a me. Stava piangendo? Oppure era solo la pioggia? Io piangevo...
ma lei lo sapeva? I suoi ricci stavano scomparendo sotto la pioggia e i capelli le si attaccavano
alla fronte. Le scostai qualche ciocca per poterla guardare negli occhi.
- Mi prendi in giro?- mi chiese.
La guardai per interrogarla.
- Perché me lo chiedi?- la interrogai.
- Stai giocando con i miei sentimenti?- chiese di nuovo.
- Non so quali sono i miei... come puoi pretendere che conosca i tuoi?- domandai.
Ci guardammo. La sua giacca di jeans era nera, ora, lavata dalla pioggia.
- Baciami.- mi disse.
Scossi la testa. Era difficile per me baciarla e fare finta che non fosse successo.
- Baciami.- disse più forte.
Ora piangevamo entrambi, senza dubbio.
- Fai l’amore con me.- disse disperata.
Rimasi a bocca aperta.
- Hai bevuto troppo... - dissi.
Fece per andarsene ma la bloccai per un braccio. Mi tirò uno schiaffo ed io la lasciai.
- So benissimo quello che sto facendo, l’alcool non mi ha annebbiato il cervello.- disse dura.
Mi veniva da vomitare. Mi sentivo un verme anche se le mie intenzioni erano buone.
- Fai l’amore con me o sparisci per sempre.- disse.
- Non puoi fare sul serio.- esclamai. Mi guardava imperterrita.- Vuoi davvero che sparisca?- le
chiesi.
Non disse nulla ne mutò l’espressione del suo viso. Presi tutto il coraggio che avevo e le strinsi il
viso tra le mani. Fece per liberarsi dalle mie mani ma poi si fermò. Avvicinai il suo viso al mio.
Per me era difficile come la prima volta. Tremavo per il nervosismo e avevo ancora la nausea per
via dell’alcool e del freddo. La baciai sulla bocca. Pochi istanti, un bacio da favola per entrambi.
Mi scostai. Adesso avrei voluto abbracciarla e stringerla fino all’alba... ma non potevo.
- Spero che ti accontenterai di questo.- dissi mentre le lacrime mi scendevano copiose.
Erano lacrime che tenevo dentro da mesi.
- Non voglio perderti perché sei fantastica e se mi ignorerai lascerò l’Università. Mi sarebbe
impossibile studiare con te che mi ignori.Feci due passi indietro per vedere la sua reazione. Era triste quanto me. Non si mosse. Mi voltai
e m’incamminai verso la Hope House a testa bassa. Non ci vedevo quasi, per le lacrime, per la
pioggia e per i capelli bagnati che mi erano scesi sugli occhi.
- Posso dormire con te?- la sentii chiedere quasi gridando. Ero già lontano.
Mi girai.
- Sì.- dissi.
Forse non mi udì ma mi raggiunse lo stesso e mi abbracciò.
Facemmo la doccia, prima lei e poi io, e quando mi coricai, con addosso dei pantaloncini e una
maglia, Jasmine, che indossava un paio di miei calzoncini e una mia vecchia camicia, si mosse
nel letto e si sdraiò abbracciata a me.
Ci addormentammo così, anche se io ci misi parecchio, come mia abitudine, nonostante fossi
esausto e stravolto dagli eventi della notte appena passata.
IV.
15
Mi svegliai a mezzogiorno. Sentivo che fuori pioveva ma non sapevo quanto perché avevo gli
avvolgibili abbassati e non entrava nemmeno uno spiraglio di luce nella camera.
Jasmine dormiva accanto a me.
Rimasi a fissare il soffitto, sdraiato sulla schiena, fino a quando lei non si svegliò, un’ora più
tardi. In quell’ora pensai a tante cose.
Pensai all’ultima volta che avevo visto Jennifer. Avevamo pranzato facendo un picnic nel parco
vicino a casa sua. Un pasto veloce e semplice, una conversazione stanca e poco vivace. Io ero
contento di cambiare aria ma questo voleva anche dire abbandonare l’unica cosa a me cara di
L.A.: Jennifer.
Nessuno di noi sapeva cosa dire prima dell’addio che fu drammatico: io e lei che piangevamo
come due fontane, l’uno abbracciato all’altra senza volerci staccare. Ed io che stavo per mandare
a quel paese Erie per rimanerle vicino.
Pensai all’ultima volta che io e Simone facemmo l’amore. Non era una relazione basata sul
sesso, la nostra, anche perché eravamo timidi anche dopo la prima volta. Avevamo fatto l’amore
circa una decina di volte.
Eravamo alla fine di novembre, era notte e fuori era freddo. Eravamo nella mia camera, una
camera fredda dieci mesi all’anno. Fu una notte bellissima e più delle altre volte c’era il suo
corpo che era l’unica cosa che scaldava il mio, c’erano i suoi occhioni tristi che guardavano i
miei e che dichiaravano la gioia del momento e la tristezza per un futuro diverso da questo.
Quando Jasmine si svegliò io piangevo. Poco dopo piangeva anche lei, abbracciata a me. Non so
per quale motivo piangesse, non glielo chiesi.
Ci eravamo appena ripresi quando bussarono alla porta. Dissi “Avanti” istintivamente,
guardando l’orologio. Era l’una e mezza di pomeriggio.
Quando Bred entrò e vide me e Jasmine a letto mi resi conto di quello che avevo fatto. Guardai
Jasmine che mi guardava a disagio. Non era arrabbiata.
- Passo dopo, ok?- disse Bred a disagio.
- No, no. Non ti preoccupare.- dissi io imbarazzato.- Bred, lei è Jasmine.- li presentai.
Loro si sorrisero imbarazzati.
- Sai, - continuai.- abbiamo solo dormito insieme... non farti ingannare dalle apparenze.Mi sentii uno stupido a dire così. Potevo anche passare per omosessuale.
- E’ solo che non voglio che tu ti faccia un’idea sbagliata di Jasmine.- aggiunsi, non so se
migliorai la situazione.
Bred mi guardava storto e Jasmine era confusa. Chiesi a Bred che cosa voleva, sconvolto da
quello che avevo combinato.
- Bè, - disse a disagio.- io e qualche amico andiamo a giocare a basket. Volevo chiederti se tu...
anche se piove...- Ok.- dissi io balzando fuori dal letto.- Andiamo.Bred e Jasmine mi guardarono meravigliati.
- Vieni così?- mi chiese Bred.
Presi le scarpe da ginnastica in una mano e il pallone nell’altro e lo guardai, sollevando le spalle.
Bred mi imitò e fece per uscire. Salutò Jasmine. Io mi mossi per baciarla sulla bocca ma poi vidi
Bred alle mie spalle e le dissi solo “Ciao”. Mi guardò male.
- A presto.- le dissi poi, e mi dileguai.
Mentre percorrevamo il corridoio, io a piedi nudi, con i calzoncini e la maglia tutti stropicciati,
Bred mi disse queste parole:
- Non avrai fatto l’amore con Jasmine ma qualcosa devi averla fatta per ridurti in questo stato.Tornai alla Hope House alle cinque del pomeriggio. Mi sedetti sul pianerottolo del terzo piano.
Ero tutto bagnato per via della pioggia e avevo i piedi a pezzi ma mi sedetti lì, ad aspettare la
16
telefonata di Jennifer, sperando che visto il giorno festivo non telefonasse alle due del mattino.
Risposi a sei telefonate portando i messaggi ai destinatari. Un ragazzo di nome Tom e una
ragazza che si chiamava Clarissa aprirono la porta per ricevere il messaggio e furono molto
sorpresi di riceverlo da me, combinato in quel modo.
Alle otto e un quarto chiamò Jennifer.
- Ciao.- dissi troppo emozionato.
- Che è successo?- mi chiese subito senza chiedermi come stavo.
- Di tutto.- spiegai.- Sono andato ad una festa con...- Cosa?- m’interruppe lei stupita.
- Mi ci hanno “trascinato”...- mi giustificai.- Ero a questa festa con Jasmine e delle sue amiche.
Una di loro ci ha provato con me. Io ho bevuto perché non la sopportavo e ho perso la testa per
un’altra amica di Jasmine, Judy. Adesso che sono sobrio non so dirti se mi piace o meno. Ieri
notte Jasmine mi ha quasi costretto a scegliere tra fare l’amore con lei o dirle addio per sempre.- Davvero?- mi chiese Jennifer, sempre più stupita.
- Sì.- confermai.
- Era brilla anche lei? E...bè, insomma cosa hai fatto?.- L’ho baciata sulla bocca....- Jennifer emise uno strano verso di stupore.-... velocemente, e le ho
detto di accontentarsi. Non volevo fare l’amore con lei perché non ero sicuro di quello che
provavo e le ho detto che non volevo perderla ma che non sarei sceso a compromessi per
averla...- E lei?- chiese preoccupata Jennifer dopo che mi ero zittito.
- Mi ha seguito. Abbiamo dormito insieme. E oggi sono scappato lasciandola nella mia camera.
Non so cosa fare!- Ma ti piace?- mi chiese Jennifer.
- Molto. Ma non sono... Non credo di essere innamorato di lei. Non so.- dissi confuso.
- Hai paura, come al solito. Devi dimenticarti di ....- Jennifer si fermò.- Scusami.- mi disse
tirando su con il naso, cercando di trattenere le lacrime. Alludeva a Simone.
- Non ti preoccupare. Hai ragione. Ma vedi... non offro garanzie, divento triste per niente e
intrattabile. L’ho fatto anche con lei. Si è rintanata in camera mia per obbligarmi ad aprirmi con
lei.- le dissi.
- Che dolce!- esclamò Jennifer.
- Lo so.- dissi sghignazzando.
Jennifer stava cercando di convincermi a farmi avanti. Forse non se ne rendeva conto ma lo stava
facendo.
- Sarà anche giusto quello che dici ma senza qualcuno al tuo fianco non offrirai mai garanzie,
come dici tu.- continuò Jennifer.- Lascia che qualcuno ti ami e vedrai che starai meglio anche
tu.Rimasi in silenzio un attimo, toccato dalle sue parole e dall’amore per me che rivelavano.
- Ci proverò, grazie.- le dissi.
- Di cosa?- scherzò lei.
- Non iniziare.- l’ammonii scherzando.
Ridemmo entrambi, felici di questa chiacchierata.
- E tu, dimmi, come te la sei passata negli ultimi giorni? Parliamo solo di me da un po’ di tempo
a questa parte.- le domandai.
- Va tutto come al solito. Con i miei va così così anche se siamo stati in campagna insieme...
Non mi lamento.- Bene.- commentai.
- Senti, ho ancora un paio di lezioni a scuola. Ti devo lasciare.- Ok.- ero un po’ deluso che se ne dovesse andare.
- Chiamami tu quando puoi, d’accordo? E non aver paura.- aggiunse.
- D’accordo. Buona giornata.- le augurai.
- Buona serata a te. Un bacione.17
- Anche a te. Stammi bene. Ciao.- dissi infine salutandola.
- Ciao.- mi disse la sua bella vocina.
Raggiunsi camera mia. Jasmine non c’era. Allora doveva proprio essersi offesa. Non la
rimproveravo. Feci la doccia e mi cambiai. Fuori pioveva e una bella passeggiata nei boschi mi
avrebbe fatto piacere.
Aprii la porta della mia camera e davanti a me, con la mano stretta a pugno pronta a bussare,
c’era Helena. Con lei c’era anche Judy. Mi affacciai sul corridoio e guardai se Jasmine era con
loro. No.
Ritornai all’interno della mia camera, sulla soglia.
- Ciao.- dissi sorridendo. Non avevo nessuna intenzione di fare qualcosa con Helena. Ma con
Judy...
- Ciao.- mi salutarono in coro.
- C’è una festa, questa sera. Vuoi venire?- mi chiese Helena.
Avrei voluto rispondere di no. Guardai Judy che mi sorrise incantandomi. Del resto dovevo pur
conoscerla per sapere se mi piaceva o meno.
- Sì.- risposi.
La festa era una delle solite feste del sabato sera di cui avevo sentito parlare. Si teneva, come le
precedenti, dietro al Planet, in un capannone di legno. Era una festa tecno.
Helena indossava uno dei soliti vestitini ultra sexy. Judy, invece, indossava jeans, anfibi e un
pull di cotone bianco con giacchetta di jeans.
La sera era fredda e così mi ero munito di chiodo e maglione di lana.
L’alcool scorreva a fiumi e non riuscì a trovare nemmeno un bicchiere di Coca-Cola. Era
obbligatorio ubriacarsi... Non c’era nulla da mangiare e la droga girava in grandi quantità.
Helena rimase con me e Judy quel tanto che bastava a farmi bere cinque Martini. Judy ne prese
due, insieme ad una birra. Le dissi che non era molto saggio mischiare gli alcolici ma non mi
diede retta. Restammo seduti ore sui primi scalini di una scala che portava al piano superiore. Un
nastro bianco e rosso però indicava che era vietato salire di sopra.
Helena si scelse un ragazzo, lo sedusse e se ne andò con lui mezz’ora dopo averlo adocchiato.
Judy scosse la testa vedendola uscire dal capannone con il ragazzo che le teneva una mano sul
sedere.
Io e Judy parlammo del più e del meno ma era come se non ci dicessimo nulla, infatti quello che
ricordavo la mattina dopo, e non era colpa dell’alcool, era che lei frequentava gli stessi corsi di
Jasmine. Nient’altro. Un po’ poco visto che questo lo sapevo già da un giorno.
Judy si alzò e ritornò con una bottiglia di Martini. M’invitò ad uscire ed io uscii, mano nella
mano con lei.
Ci rifugiammo, sotto la pioggia, in un angolo del capannone. Un posto molto isolato. Si sentiva
la musica tecno e bisognava parlare forte per riuscire a sentirsi. Judy bevve un lungo sorso di
martini. Io le presi la bottiglia.
- Hai bevuto abbastanza.- le dissi. Era vero. E anch’io avevo bevuto troppo. La testa mi
scoppiava e avevo difficoltà a reggermi in piedi anche se ero ancora abbastanza lucido.
Tendevamo entrambi a ridere troppo o a tenere troppo il muso come capita di solito agli
ubriachi. Avevamo reazioni estreme.
- Non sono affari tuoi!- disse strappandomi la bottiglia di mano.
Cercai di recuperarla ma lei scappò o tentò di farlo.
Mi ricordo un inseguimento ridicolo, io e lei che cadevamo di continuo anche per merito della
pioggia che aveva reso scivoloso il prato. E poi non ricordo più nulla. So solo che io e lei ci
risvegliammo nudi, nel suo letto. Le lenzuola e il piumino erano in giro per la camera. Eravamo
alla Hope House con mia grande sorpresa.
Mi accorsi, prima di tutto, della testa che scoppiava. Mi alzai e andai in bagno per cercare le
pastiglie che tenevo nell’armadietto sopra il lavandino. Quando trovai assorbenti, profumi di
18
donna e un set di trucco per il viso mi resi conto che non era la mia camera. Mi resi conto anche
che ero nudo. Faceva freddo. Cercai il letto e vi trovai Judy, nuda. Potevo vederla in tutta la sua
bellezza ma l’unica cosa alla quale riuscivo a pensare era una domanda che mi tormentava.
Avevamo fatto l’amore? La risposta sembrava ovvia.
Vidi il mio maglione per terra e lo raccolsi. Sollevai Judy per la schiena e glielo infilai per la
testa. Era abbastanza lungo da coprire tutta la sua bellezza e arrivava quasi fino alle sue
ginocchia. Così facendo la svegliai e la prima cosa che fece fu di tirarmi un pugno in pieno volto.
Rimasi a terra a lungo, nudo, con lei che mi guardava adirata, anzi, furiosa.
Scomparì nel bagno mentre io cercai di vestirmi. Per fare prima lasciai perdere le mutande ed
infilai subito i jeans. Intendevo svignarmela il più presto possibile per poi pensare a cosa fare.
Quando Judy ritornò non ero ancora riuscito ad infilarmi la maglietta. Lei si sedette a gambe
incrociate sul letto, coprendosi per bene con il mio maglione. Non sembrava più arrabbiata.
Mi sentivo in colpa, sensazione che avevo provato troppe volte in questi ultimi giorni.
- Scusami.- le dissi. Mi toccavo la fronte perché credevo mi sarebbe esplosa.
- Scusami tu.- disse lei.
Io la guardai stupito.
- Non è successo nulla.- continuò.- Quindi mi devo scusare per il pugno.- Non è successo nulla?- non riuscivo a credere alle mie orecchie.- E come fai ad essere sicura
che...Non mi fece concludere la domanda.
- Perché sono ancora vergine.- disse imbarazzata.
La guardai scioccato. Non era incredibile che lei fosse vergine ma...
Ci guardammo senza sapere che cosa dire o cosa fare quando la porta della camera si aprì ed
entrò Helena. Indossava l’abito che portava alla festa ed era spettinata. Pensai che stesse
tornando dall’appartamento del suo amante. Vide solo me (Judy era sul letto quindi coperta dalla
parete del bagno) ed io ero seduto per terra, sulle lenzuola del letto di Judy, con indosso solo un
paio di jeans.
- Allora è andata bene!- esclamò e prima che io e Judy gridassimo in coro “Noooo!” lei se n’era
già andata.
Tornammo a guardarci confusi.
- Chiudo la porta a chiave, ok?- proposi.
Judy annuì, stanca e pallida.
Chiusi la porta a chiave e Judy mi sfiorò entrando in bagno. Poco dopo la sentii vomitare. Le
avevo detto di non mischiare l’alcool.
Ritornai a sedermi per terra, intento ad indossare calze e anfibi. Judy ritornò. Era più colorita ma
era molto provata. Si risedette sul letto.
- Come stai?- le chiesi preoccupato.
- Meglio. Grazie.- accennò ad un sorriso.
- Ascolta.- le dissi.- Non abbiamo fatto l’amore ma qualcosa è successo... Eravamo nudi!Volevo sentirla dire “Tra noi non c’è niente, siamo solo amici.” oppure “E’ meglio così, meglio
che non l’abbiamo fatto. Non sarebbe stato bello per me non ricordarmi la prima volta. Ma
adesso potremmo...”. Volevo che si tradisse, che facesse capire quali erano le sue intenzioni,
quali erano i suoi sentimenti.
- Ma non sappiamo cosa è successo.- disse invece.
Sorrisi e poi mi toccai la fronte con una smorfia di dolore dipinta sul volto.
- Hai mal di testa?- mi chiese Judy, preoccupata.
- Sì, un fortissimo mal di testa.- spiegai.
- Aspetta.- disse e si alzò.
Il maglione salì a mostrare la curva delle natiche prima che lei scomparisse nel bagno. Tornò con
un bicchiere d’acqua di rubinetto e due pastiglie.
- Grazie.- le dissi.
Mi sorrise e si sedette accanto a me.
19
Presi le pastiglie e le mandai giù con l’acqua. Non sopportavo l’acqua dopo tutto quell’alcool ne
la sopportavo appena alzato, ma mi feci forza.
- Ho bevuto troppo. E’ stata colpa mia.- disse Judy, stupendomi.
- Io ti ho lasciata bere. E poi, non mi avrai portato qui con la forza!- osservai.
Judy sorrise.
- Volevi sapere che cosa ne penso... Come vedo il nostro rapporto, quanta importanza do a
quello che è successo?- mi chiese.
Annuii.
- Senti. Due giorni fa ho dormito per terra e Jasmine nel mio letto. Venerdì, io e lei abbiamo
dormito insieme ma eravamo sobri. E ieri io e te abbiamo dormito insieme, nudi, e chissà cosa
abbiamo fatto senza saperlo. Io non so cosa pensare. Tu mi piaci molto ma anche Jasmine. Non
posso farmi influenzare da quello che è successo mentre eravamo ubriachi...- le dissi prima che
lei dicesse la sua.
Judy abbassò il capo e poi lo rialzò, lentamente, annuendo. Poi si protese verso di me e mi baciò
sulla bocca.
- Ti prego.- le dissi allontanandola.
I suoi occhi mi guardavano con amore.
- Potrei cedere ma potremmo anche lasciarci domani. Non lo faccio solo per me... lo faccio
anche per te. Fammi capire quello che provo.- la supplicai. - Hai ragione.- mi disse
abbracciandomi. L’abbracciò più eccitante della mia vita. E queste due parole erano più
importanti della sua bellezza e di quello che potevamo aver fatto quella notte.
20
V.
Ero in camera mia. Erano le due del pomeriggio. Era domenica. Avrei dovuto studiare, ripassare
le lezioni di venerdì per prepararmi a quelle che avrei frequentato lunedì. Ma non mi andava. Ero
un tipo pieno di dubbi, pieno di complessi e di pensieri. Dopo gli avvenimenti degli ultimi
giorni, delle ultime notti, non sapevo cosa fare. Non mi riusciva di pensare perché erano troppe
le cose alle quali avrei dovuto pensare. Non dovevo più preoccuparmi di capire se Jasmine mi
piaceva... ora c’era di mezzo anche Judy. “Le tre j” pensai. Jasmine, Judy e Jennifer. Se solo
Jennifer fosse qui ad aiutarmi...
Era la prima volta che dovevo decidere tra due ragazze. Ero proprio sfortunato. Erano passati tre
anni dalla fine della mia storia d’amore con Simone e ora mi ritrovavo con due ragazze che
giocavano con il mio cuore. Non potevo conoscerne una sola?
Accesi lo stereo e misi un cd dei R.E.M. Mi sdrai sul letto con il cuscino sulla faccia e rimasi ad
ascoltare quel cd per qualcosa come sette ore. Mi addormentai, cullato dalla musica, e quando mi
svegliai avevo la sensazione che Jasmine e Judy fossero entrate nella mia camera mentre
dormivo. Immaginavo Jasmine seduta alla scrivania, con lo schienale della sedia contro il petto,
che mi guardava. E vedevo Judy, con addosso solo il mio maglione, seduta a gambe incrociate
sul letto, accanto a me che dormivo. Era un incubo. Ero disperato e non vedevo soluzioni.
Uscii dalla mia camera pregando, mentre percorrevo il corridoio, di non incontrare Jasmine o
Judy che venivano a trovarmi. Non le incontrai...
Percorsi il prato, superai la mensa e arrivai alla macchina. Avevo portato con me il libro di Ford,
i libri di testo per domani e un blocco di fogli. Salii in macchina e partii senza una meta precisa.
Ero nella periferia di Erie quando fermai la macchina dietro ad una stazione di servizio. La mia
Chevrolet non era visibile dalla strada. Presi un maglione che avevo dimenticato in macchina e
lo posi contro la portiera, a fungere da cuscino. Dormii in macchina quella notte.
Lunedì frequentai tutte le lezioni. Avevo due ore libere a pranzo e le passai ad un seminario
nell’aula di biologia. Un certo Sig. Thompson parlava a me, e ad una trentina di studenti e
professori, di amebe e protozoi. Bred, all’inizio delle lezioni pomeridiane, mi chiese dove fossi
finito. Non gli risposi. Non se la prese, ora mi conosceva meglio e iniziava a capire che tipo
fossi. Non sapeva però tutto quello che avevo passato durante il week-end.
Avevo dimenticato Jennifer. Avevo dimenticato tutti.
A mezzanotte me ne andai dalla biblioteca. Ero stato in una saletta di studio. Molti studenti
erano entrati ed usciti durante il pomeriggio e la sera. Dalle undici di sera ero rimasto solo. La
biblioteca rimaneva aperta ventiquattr’ore su ventiquattro ma non mi trovavo a mio agio, lì
dentro, e l’addetta alle pulizie che arrivò pochi minuti prima della mezzanotte mi guardava come
se fossi un pazzo assassino con la bava alla bocca. Dovevo uscire.
Fuori si gelava. Guardai le luci della Hope House. Il lunedì era un giorno terribile e tutti
sembravano dormire.
Salii le scale fino al terzo piano, cercando di non fare troppo rumore, quindi arrivai alla mia
camera. Sulla porta c’erano cinque messaggi. Uno era di Boris che mi diceva che era ora che gli
restituissi la Coca-Cola che gli avevo fregato. Era a corto di soldi e anche a viveri stava male... Il
secondo e il terzo messaggio erano di Jasmine e Judy. Entrambe mi chiedevano che fine avessi
fatto. Il quarto messaggio era di Bred che mi chiedeva gli appunti della lezione di storia. Aveva
segnato il numero della sua camera, la 15 al primo piano. L’ultimo messaggio era di Samantha,
la responsabile del piano. Quando vidi il suo nome in fondo al messaggio “Passa da me, devo
parlarti. Fino alle due va bene. Camera 41.” pensai che qualcuno avesse reclamato perché
passavo da una camera all’altra o perché la notte che mi ero ubriacato con Judy gli avevo
vomitato davanti alla porta. Bussai alla porta di Samantha a mezzanotte e diciassette. Mi resi
conto che non avevo la minima idea di quando avevo consumato l’ultimo pasto.
21
Samantha aprì. Indossava una tuta da ginnastica nera e bianca e un cappellino all’indietro. Era la
prima volta che la vedevo.
- Ciao.- le dissi.- Sono...- Ciao Michael.- m’interruppe.
Non le chiesi nulla. Non volevo pensare più del minimo indispensabile. Sapeva chi ero? Ok. Non
m’importava.
- Entra.- disse.
Entrai. Samantha si sedette sul letto. Vidi un reggiseno sul cuscino. Vicino al cuscino un piatto
con due mega-sandwiches e una lattina aperta di Coca-Cola. Lo spazio del letto che rimaneva era
occupato da libri di storia e riviste di moda. Cercai di ricordarmi Samantha seduta ad un banco
vicino al mio a storia ma non ce la feci.
- Siediti pure.- disse indicandomi la sedia della scrivania.
Mi sedetti. Normalmente avrei fatto qualche commento, avrei almeno palesato grande
imbarazzo, ma ero di nuovo svuotato da qualsiasi emozione.
- Devo darti un messaggio di Jennifer.- disse sorridendomi.
Un bel sorriso... Jennifer? Lei mi lasciava molti messaggi di Jennifer sulla porta... Ora voleva
riferirmi una sua telefonata a voce? Erano forse diventate amiche, lei e Jennifer, a forza di
sentirsi al telefono?
- Non volevo lasciarti il messaggio sulla porta... L’ho scritto ma non bastava un intero foglio. E
poi era così...dava nell’occhio!- continuò.
La guardai stranito.
- Jennifer mi ha detto che ti può chiamare solo domani alle due... cioè alle due di mattina di
mercoledì. Poi non potrete più sentirvi per una settimana perché lei andrà ad un convegno a San
Francisco e sarà molto presa. Sai, lezioni il giorno e seminari la sera fino a tardi. Ti prega di
scusarla ma sarà veramente una settimana d’inferno. Ha detto di dirti che se domani non potrai
rispondere al telefono non devi preoccuparti... non se la prenderà.A sentire parlare Samantha in questo modo di Jennifer mi sembrava di ricordarle vecchie amiche
e mi vedevo anch’io come un vecchio amico di Samantha. Vedevo noi tre al bar a bere e a
raccontarsi buffi aneddoti...
- Tu e Jennifer... Sì, siete amiche? Cioè, avete scambiato qualche parola oltre allo scambio di
messaggi?- chiesi incuriosito.
Samantha arrossì.
- Sì.- rispose.- Spero non ti dispiaccia.- disse preoccupata.
Le sorrisi. Era il primo momento di tranquillità da due o tre giorni.
- No, figurati. Come ti sembra?- E’ molto simpatica e gentile. Sai, io rispondo all’80% delle telefonate di questo piano e un po’
mi scoccia. Molto, per la verità. Ma ho preso un impegno e ne traggo anche dei vantaggi a fare la
responsabile del piano. Anche se ti danno un sacco di seccature.- rise a questo gioco involontario
di parole. Io la seguii a ruota. Guardai per la prima volta i suoi sandwiches e lei prese il piatto e
me lo porse.
- Vuoi?- mi domandò.
Scossi la testa e finalmente ero a disagio.
- No, non vorrei toglierti il cibo di bocca...- dissi rosso in volto.
- Sono piena. E’ tutto il giorno che mangio. Puoi mangiarli entrambi. Uno è al tonno e l’altro al
roastbeaf.- disse con gentilezza.
Sollevai le spalle.
- Allora te ne mangio uno. Ti ringrazio. Quello al tonno.- conclusi rispondendo ad un suo
sguardo interrogativo.
Addentai il sandwich. Doveva essere una vita che non mangiavo, forse da domenica.
- Dicevi?- le chiesi.
Samantha mi guardò colta di sorpresa.
- Sì, di Jennifer... Il fatto di rispondere sempre alle telefonate.- accennai al suo discorso.
22
- Ah, sì. E’ proprio palloso, non voglio far finta di avere tutta questa pazienza, ma mi fa piacere
rispondere e sentire la voce di Jennifer. Scambiamo qualche parola e lei è sempre educata. Certi
ragazzi, e anche delle ragazze, telefonano e appena sentono che la persona che cercano non c’è
attaccano senza neanche salutare. La maggior parte dice “Voglio parlare con Boris.” o “Passami
Trudy” senza un minimo di educazione. Non è carino sentirtelo dire e certe volte mi viene voglia
di attaccare il telefono in faccia a questi... Ma Jennifer è sempre gentile, è per questo che l’ho
presa in simpatia e abbiamo iniziato a parlarci. Mi parla spesso di te.- cercò di leggere la mia
reazione a queste ultime parole sul mio viso.- Avete un rapporto fantastico.- concluse.
Annuii. Mi faceva sempre piacere sapere che Jennifer parlava di me a qualcuno. Anche perché
non parlava mai male di me.
- Lei è fantastica.- dissi dopo aver finito il sandwich. Lo avevo divorato.- Se viene a trovarmi te
la farò conoscere.- dissi alzandomi.- Ti ringrazio. Per il messaggio e per il sandwich. Morivo di
fame.- sorrisi e lei ridacchiò.
- Ti lascio allo studio.- dissi avvicinandomi alla porta.
- No, grazie! Per stanotte ho chiuso!- disse scuotendo la testa in modo buffo.
- Allora posso offrirti qualcosa da bere al Planet?- chiesi. Mi stupii di averlo fatto più di quanto
si stupì lei.
- Perché no? Grazie.- disse sorridendo felice.
Si alzò, dette un’occhiata in giro per la stanze e sollevò le spalle.
- Vengo così.- disse vedendo che io la guardavo chiedendomi che intenzioni avesse.
Sorrisi e poi guardai il suo letto. Indicai il reggiseno.
- Forse è meglio se ti rimetti quello. Sono stanco e sconvolto. Un eccesso di dondolamenti e
saltellamenti potrebbe farmi partire del tutto.- dissi.
Samantha rise di gusto. Io feci altrettanto.
- Dammi un secondo.- mi disse quasi due minuti dopo.
Uscii dalla camera. Guardai a sinistra verso la mia camera e a destra dove c’erano solo le scale e
il telefono. Nessuno in vista. Samantha uscì subito dopo.
Prendemmo due tazze di caffè alla buvette del Planet che come il bar della mensa, la biblioteca e
il ristorante Inn a Erie, rimaneva aperta 24 ore su 24. Samantha era simpatica. Parlammo molto.
Io troppo per le mie abitudini. Ero stanco da morire ma Samantha sembrava così sveglia e così
vitale, malgrado l’ora, da tenermi sveglio. Lei studiava storia americana e europea. Quella di
Erie era una delle poche università che dava la laurea in storia europea. Come corso d’appoggio
seguiva alcune lezioni di letteratura inglese e, cosa che mi sorprese molto, un corso di letteratura
greca. Aveva vent’anni come me e veniva da Brooklyn, N.Y.
Erano le due passate quando lasciai Samantha davanti alla sua camera. Sulla porta mi disse
questo:
- Ho visto un sacco di biglietti sulla tua porta... stai fuggendo da qualcuno?- Fuggo da due ragazze... e da me.- le risposi.
Mi baciò sulla guancia e chiuse la porta.
Ero stufo di dormire in macchina e allora andai nella mia camera e mi buttai sul letto. Dormii
vestito, con la porta della camera pericolosamente non chiusa a chiave.
La radiosveglia mi buttò giù dal letto alle sei in punto. Feci una doccia, mi cambiai e alle sei e
mezza ero in biblioteca chino sul libro di Ford. Lo finii alle nove e un quarto. Alle dieci ero a
francese.
A pranzo incrociai Bred e accettai il suo invito a mangiare in buvette. Non vedevo Judy da
domenica e Jasmine da sabato e avevo rimosso parte dei timori e delle paure che m’incuteva un
possibile incontro con una delle due. Judy era seduta vicino a me. La salutai imbarazzato. Helena
era con lei e con Francine. Francine mi sorrise e Helena mi squadrò come una stronza. Dopo un
quarto d’ora si alzarono e se ne andarono. Judy mi salutò un po’ triste ma non sembrava
arrabbiata con me.
23
Non avevo più visto Jasmine. Volevo sapere come l’aveva presa. Ero stato proprio uno stronzo
con lei. Certo, però, non era il caso di chiedere sue notizie a Helena o a Judy. Dovevo prendere
in disparte Francine.
Passai il pomeriggio a lezione e in biblioteca. Iniziai un secondo libro di Ford e di colpo le ore di
sonno che avevo perso si fecero sentire... Mi addormentai in biblioteca. Mi svegliai alle cinque
di mattina con il viso tra le pagine del libro. Tre studenti mi guardavano ridendo da un tavolo ad
una decina di metri dal mio. Mi accorsi dell’ora e mi resi conto che avevo perso l’appuntamento
con la telefonata di Jennifer. Corsi ad un telefono e invano cercai di contattarla. A L.A. erano le
undici di sera ma sapevo che non l’avrei svegliata. Disinseriva il telefono alle dieci e lo
reinseriva quando si svegliava.
Erano le cinque e otto minuti di mercoledì. Il sole non era ancora spuntato, bisognava attendere
ancora più di un’ora, ed io ero già incazzato. Incazzato con me stesso.
Mi sedetti su di una panchina davanti al Planet e osservai la finestra di Samantha. Gli avvolgibili
erano abbassati.
Verso le sette Samantha sollevò gli avvolgibili. Le diedi mezz’ora e poi salii fino alla sua
camera. Bussai.
Mi aprì e mi sorrise.
- Ciao.- disse.
- Ciao.- replicai sorridendo a mia volta.
- Hai dormito per terra?- mi chiese ridendo.
- No. In biblioteca, ad un tavolo, con la faccia dentro un libro.- spiegai.
Rise a lungo.
- Scusami.- le dissi cercando di farla smettere.- Volevo chiederti se sapevi in che camera stava
Jasmine Cunningham. Studia recitazione.- Camera 45.- rispose guardandomi con malizia.
- Ti ringrazio. Scusami ma devo scappare.- dissi evitando eventuali domande.
Ci salutammo con un gesto della mano ed io camminai verso la mia camera, fermandomi prima,
alla camera 45. La mia camera era la 57.
Bussai. Jasmine aprì la porta solo per uno spiraglio. Mi vide e mi fissò stupita. Non seppi capire,
però, quale espressione prese il posto dello stupore .
- Ciao.- dissi il più dolcemente possibile.
- Ciao.- fece eco lei.- Ho appena finito la doccia. Se vuoi entrare mi vesto in un attimo.- disse
gentile.
- Se vuoi passo più tardi.- proposi. Ero teso e nervoso.
- Non ti lascio fuggire di nuovo.- disse senza particolare emozione nella voce.
Si scostò e aprì la porta. Entrai. Jasmine lasciò che le passassi accanto nel corridoio della
camera. Indossava un accappatoio e i capelli gocciolavano sulla moquette. Chiuse la porta e,
mentre io andavo verso il letto, entrò nel bagno.
- Siediti pure.- mi disse dal bagno.
Mi sedetti sulla sedia della scrivania. Mi ricordava la visita a Samantha.
Per terra, accanto al letto, c’era una montagna di vestiti ammassati. Vidi ben più dell’unico
reggiseno della stanza di Samantha. Distolsi lo sguardo e osservai i libri su di uno scaffale
appeso alla parete. Proust, Kierkegaard, Kafka, Shakespeare, Prèvert, Shelley, Moliere, S.King,
ecc... Un po’ di tutto, grandi libri.
Sentivo Jasmine armeggiare nel bagno. Asciugacapelli, asciugamano, vari tubetti e barattoli che
cadevano per terra.
Uscì dopo cinque minuti. Indossava ancora l’asciugamano ma sotto aveva indossato collant e,
supposi, anche la biancheria intima.
- Non aspettavo visite.- disse quando notò la direzione del mio sguardo.
Prese un paio di jeans e una maglietta.
24
- Metti una minigonna. Stai molto bene...- mi guardò stupita.- ... con la minigonna.- conclusi
imbarazzatissimo.
Sembrò valutare le mie parole. Prese la minigonna e lascio i jeans. Rientrò in bagno. Uscì vestita
di tutto punto e si calzò gli anfibi sotto i miei occhi. Indossava collant e minigonna neri, calze di
cotone bianche, maglietta blu e anfibi. Mentre la osservavo allacciare gli anfibi guardai un
istante fuori dalla finestra. C’era il sole, non me n’ero accorto prima.
Jasmine concluse l’operazione e mi guardò. Mi sorrise. Io non contraccambiai.
- Mi dispiace.- dissi sincero.- Sono stato uno stronzo.- Io credevo di avere paura, di essere timida... ma tu sei molto peggio.- osservò lei. Suonava
come un modo per dirmi che non dovevo scusarmi.
- Io e Judy abbiamo...- Lo so.- disse lei fredda, interrompendomi.- Judy mi ha assicurato che non avete fatto l’amore
anche se non sapete cosa sia successo di preciso.La guardai sconvolto.
- Helena mi ha spifferato tutto. Se non l’hai ancora capito Helena vuole entrare in più letti
possibili...- si fermò. Si doveva sentire una stronza a parlare in questo modo, era evidente.- Judy
lo ha saputo e ha voluto chiarire tutto anche se mi ha detto che le piaci molto.- E lei piace a me.- conclusi io.- Ma non sono qui a dirti che ho scelto lei. Non è una lotteria e
nemmeno una gara. E’ da due anni che non sono più innamorato. Ho conosciuto prima te di Judy
ma non sapevo se era amore o meno. E poi è arrivata lei a complicare il tutto. E’ tutto pazzesco e
non posso sperare che tu e lei aspettiate che io mi decida...- Che cosa intendi? Tu mi piaci molto e se devo lasciarti capire i tuoi sentimenti aspetterò con
pazienza. Non voglio perderti.- mi disse guardandomi con occhi languidi.
La guardai ammirato e grato per quello che stava facendo.
- Grazie.- riuscii a dire con un filo di voce.
- Chiederti di abbracciarti sarebbe contro le regole?- mi chiese sorridendo a disagio.
- No.- risposi felice.
Ci alzammo, lei dal letto e io dalla sedia, e ci abbracciammo. A lungo. Molto a lungo. In quei
momenti di intimità, con lei ma anche con Judy, ero sicuro di sapere quello che volevo ma era
solo illusione.
Quando ci lasciammo gettai un’occhiata nel suo armadio e guardai nuovamente il mucchio di
vestiti per terra.
- Sei pronta per andare a lezione?- le chiesi.
- Sì.- disse dopo un attimo di riflessione.
Prese lo zaino. Le presi la mano e la condussi in corridoio. Lei chiuse la porta a chiave e si girò
per guardarmi.
- Vieni un minuto in camera mia?- chiesi.
Mi guardò curiosa.
- Aspettami un minuto.- le dissi poi, decidendomi a cambiare tattica.
- Vengo anch’io.- decise.
Camminammo fino alla mia camera. Aprii la porta e lessi il biglietto affisso alla porta. Lasciai
entrare prima Jasmine. La vidi aprire la finestra.
- E’ da più di 24 ore che non entro qui.- spiegai.
Il biglietto era di Boris che era incazzato nero con me.
Entrai. Jasmine era seduta sul letto e mi guardava ispezionare la stanza, aprire l’armadio, i
cassetti dell’armadio e quelli della scrivania. Poi vidi quello che stavo cercando sul letto. Presi il
maglione bordeaux che era accanto a Jasmine. Glielo porsi.
- Se vuoi metterlo... Prima ero fuori. C’è il sole ma non fa poi così caldo.- le dissi.
Jasmine mi sorrise rendendomi felicissimo alla vista del suo bel viso che s’illuminava.
- Sei venuto qui per questo? Che dolce.- disse.
Mi baciò sulla guancia e poi indossò il maglione. Era un po’ lungo alla vita e di manica, ma non
troppo.
25
- Grazie.- disse.
Qualche minuto dopo camminavamo sul prato del Planet diretti verso l’edificio stesso.
A lezione Bred mi chiese che cosa mi fosse successo in questi giorni. Gli raccontai tutto, e poi
mi stupii di averlo fatto, e lui rimase scioccato.
- Se hai problemi puoi darmi una delle due ragazze.- disse scherzando.
Lo guardai male.
- Scherzavo.- si difese.
- Lo so. Tranquillo.- lo rassicurai.
- Che casino!- commentò.
- Eh, già.- dissi io.
Il professore si voltò a cercare i due studenti che continuavano a chiacchierare. Non capì che
eravamo noi due, ma dovemmo smettere.
A pranzo andai in mensa con Jasmine. Era la prima volta che pranzavo in mensa. Il cibo era
quasi mangiabile, la compagnia ottima. Parlai molto, dovevo aver preso una malattia... non era
da me parlare così tanto. Mentre parlavamo dissi qualcosa di Jennifer e Jasmine mi chiese di noi
due, del nostro rapporto. Le parlai di Jennifer, la coprii di complimenti tanto da far annoiare
Jasmine. Raccontai degli aneddoti divertenti.
- Lo vorrei anch’io un amico così.- commentò ad un certo punto.
- Se lo vuoi davvero, hai qui l’originale.- le dissi.
Mi sorrise e mi strinse la mano attraverso il tavolo. Me la lasciò in tutta fretta. La guardai
confuso e lei mi indicò, con un lieve movimento della testa, un tavolo alla mia sinistra. Mi voltai
e vidi Helena che ci fissava. Guardai Jasmine e sollevai le spalle. Le accarezzai una guancia e lei
mi sorrise, contenta. Mi strinse la mano e questa volta lo fece a lungo. Judy, se Helena avesse
fatto la spia, poteva anche arrabbiarsi ma un gesto del genere non era esclusività di una delle
due. Era un gesto d’amicizia e Judy era mia amica, così come Jasmine.
Scoppiò il diluvio universale e così io e Jasmine facemmo una corsa fino alla Hope House.
Arrivammo stanchi ma divertiti. Ci abbracciammo goffamente. Jasmine mi prese per la maglia e
mi tirò contro di se. Ci guardammo e i nostri occhi dicevano “Bacio! Bacio! Bacio!”. Ci
facemmo seri. Io scoppiai a ridere e la presi in braccio. Mi feci tre piani di scale con Jasmine tra
le braccia che rideva come una pazza. Questo e altro per lei. Tutto pur di non baciarla. Non
prima di conoscere meglio i miei sentimenti.
Ci rifugiammo nelle nostre stanze e dopo cinque minuti ci rincontrammo nel corridoio. La
raggiunsi davanti alla sua camera. Un ragazzo alto uscì da una camera e camminò verso di noi.
- Ciao Boris.- disse Jasmine.
Io tremai.
- Ciao.- la salutò lui sorridendole. Sorrise anche a me ed io, nervoso, contraccambiai. Ci passò
accanto e scese di sotto. Era evidente che non mi conosceva. Per fortuna!
Andammo a lezione. Finite le lezioni pomeridiane uscii dal Planet e vidi Jasmine che mi
aspettava. La raggiunsi. Camminammo fino alla Hope House in silenzio. Sembravamo già una
coppia. La cosa mi dava fastidio. Salimmo fino al terzo piano. Ci fermammo davanti alla porta
della sua camera. Non mi chiese se volevo entrare, non mi chiese che cosa avrei fatto più tardi.
Aveva già intuito il mio stato d’animo. Ci salutammo appena. Io andai nella mia stanza. Accesi
lo stereo e ascoltai i R.E.M. Mi sedetti per terra, le gambe contro il petto, le braccia attorno alle
gambe, nello stesso punto dove avevo letto Stephen King la prima volta che Jasmine avevo
dormito nel mio letto. Guardai il letto, vuoto. Quella notte era stata così bella...
Avrei tanto voluto parlare con Jennifer ma non era rintracciabile. Pensai, pensai, pensai.
Passarono i minuti, le ore. Uscii e andai fino in fondo al corridoio. Scesi le scale e andai da Bred.
Mi aprì con indosso una tuta. Sembrava assorto nello studio.
26
- Ciao.- fece sorpreso.
- Ti va di uscire? Io, te e due ragazze?- chiesi senza preamboli.
- Al volo!- disse interessato.
- Tra un’ora al posteggio?- proposi.
- Perfetto.- disse soddisfatto.
- A dopo.- gli dissi salutandolo con la mano.
Salii al mio piano. Adesso dovevo solo trovare le due ragazze.
Bussai da Jasmine, a lungo. Niente. Stavo per andarmene quando sentii un “Chi è?”, debole.
- Sono Michael.- dissi.
Sentii armeggiare con la chiave e la serratura. Dopo qualche secondo Jasmine riuscì ad aprire.
Indossava un kimono e aveva gli occhi gonfi ed arrossati. Mi saltò al collo abbracciandomi.
- Credevo mi odiassi.- spiegò in lacrime.
Mi sentii un verme, di nuovo. Persi tutto l’entusiasmo e mi zittii. Lei mi lasciò e mi guardò
preoccupata.
- Non ricominciare!- mi supplicò.
Cerco di sistemarsi, si asciugò le lacrime.
- Guarda. Non è nulla, sto benissimo. Vuoi entrare?- mi disse nervosa.
Scossi la testa.
- Volevo invitarti a cena. Volevo uscire con te, Judy e un mio compagno di corsi.- spiegai.
- Va bene. Devi darmi almeno mezz’ora, però.- disse.
- Un’ora. Tra un’ora giù al posteggio.- le spiegai, moscio.
Era ancora sconvolta. Mi si avvicinò per baciarmi sulla bocca ma io feci due passi indietro. Il
suo bel faccino si contorse per la disperazione. Il mio cuore perse colpi.
- A dopo.- dissi cercando di sorriderle e andandomene.
Lei mi guardò andarmene. Mi fermai, tornai indietro. Lei temeva una scenata e si rintanò
all’interno della sua camera.
L’abbracciai, la baciai sulla fronte, sulle guance, sotto gli occhi. La tenni stretta contro di me.
Qualcuno uscì dalla propria camera. Sentimmo i passi lungo il corridoio ma non ce ne curammo.
Le sistemai i capelli, glieli accarezzai.
- Hai cinque minuti di meno.- le dissi sorridendole amaramente.
Mi sorrise. Me ne andai.
Dopo cinque minuti uscii dalla mia stanza e ripercorsi il corridoio. Judy abitava al secondo
piano. Andai da lei e bussai alla porta. Mi aprì in body e collant. Forse faceva ginnastica.
- Ciao.- mi salutò con dolcezza.
- Ciao.- la salutai quasi sedotto.- Volevo invitarti a cena. Siamo io, te, Jasmine e un mio
compagno di corsi. Ti va?- Perché no? Ok. Quanto tempo ho?- chiese facendomi notare, ma lo avevo già notato, il suo
stato.
- Cinquanta minuti.- dissi.
- Cercherò di farcela.- disse preoccupata.
- Ci vediamo al posteggio.- spiegai.- A dopo.- le sorrisi.
- Ciao.- mi salutò di nuovo con quella vocina...
Ero in camera mia. Cinque minuti dopo dovevo trovarmi ai posteggi con Bred e le ragazze.
Quella sera potevo capire molte cose. Lo speravo, perché non volevo continuare a sentirmi così
stronzo. E non volevo più vedere Jasmine in quello stato per colpa mia, non lo avrei sopportato.
Arrivai al posteggio. Vidi Bred. Lo salutai. Chiacchierammo un attimo e poi scorgemmo in
lontananza Jasmine e Judy che ci raggiungevano. Si tenevano per mano come grandi amiche
sebbene io, senza volerlo, le stessi mettendo una contro l’altra.
Jasmine indossava una minigonna nera e un dolcevita bianco, visto che la serata era un po’ più
calda delle ultime. Anche Judy indossava una minigonna, rossa come il maglioncino che la
27
proteggeva dal freddo. Entrambe portavano collant neri, calze di cotone bianche e anfibi. Sorrisi
notando quel dettaglio.
Ci raggiunsero e mi baciarono una sulla guancia destra e una sulla guancia sinistra, in
contemporanea. Arrossii, imbarazzato e divertito.
- Questo è Bred, ragazze. E queste due splendide donne sono Jasmine e Judy.Rituale di strette di mano e poi tutti e tre mi guardarono interrogandomi.
- Immagino che debba scegliere io il ristorante.- intuii.
- Esatto capo.- disse Bred.
Temetti che quella serata stesse uscendo dal mio controllo.
- Andiamo, ho scoperto un ristorantino, l’altra sera... Vedrete.Volevo vedere se Jasmine e Judy continuavano con il loro gioco. Porsi il braccio sinistro a
Jasmine e quello destro a Judy. Accettarono la “sfida”. Judy invitò Bred a prenderla sottobraccio.
Camminammo tutti e quattro a braccetto, senza dubbio uno spettacolo esilarante per quelli che ci
potevano vedere.
Arrivammo alla mia Chevrolet. Salii e aspettai di vedere chi si sarebbe seduto al mio fianco.
Bred, da galantuomo o da furbo, propose a Jasmine di sedersi davanti con me. Jasmine rispose
che si sarebbe seduta dietro con Judy. Mi ritrovai con Bred al mio fianco, Judy e Jasmine alle
mie spalle. Sembrava che si fossero messe d’accordo, che stessero cospirando contro di me.
Forse lo meritavo.
Partimmo.
- Che cosa fai Bred?- gli chiese Judy.
- Seguo gli stessi corsi di Michael.- rispose voltandosi a guardare Judy.
- Lo so.- commentò lei sarcastica.
- Penso che Judy intendesse chiederti quali sono i tuoi hobby, da dove vieni, se hai la ragazza,
come dovrebbe essere la tua ragazza ideale... Si avvicina più a me o a Judy? Penso che volesse
chiederti qualcosa del genere.- disse Jasmine.
Mi voltai a guardare la faccia di Bred, rossa come un peperone. Ci guardammo.
- Dov’è questo ristorante, Michael?- mi chiese cercando un’ancora di salvezza.
Ridemmo tutti, eccetto Bred.
Il ristorantino era davvero carino, pieno di coppiette e un quartetto, noi. Tra una portata e l’altra,
mentre parlavamo, e tanto, mi ritrovai a guardare prima Judy e poi Jasmine, Jasmine e poi Judy,
e così via. Non avevo certo le idee in chiaro, non più di prima. Mi divertii e anche Bred e le
ragazze erano felici di essere in quel ristorante, tra amici.
Alla fine di una portata mi alzai, avevo bevuto troppo.
- Scusate.- dissi e mi diressi verso le toilettes.
- Vengo anch’io.- disse Judy raggiungendomi.
Mi prese per mano. Arrivammo davanti alle toilettes. La porta a sinistra era la sua, la mia quella
a destra. Non ci eravamo detti una sola parola da quando ci eravamo alzati dal tavolo. Allungai
la mano destra verso la maniglia della porta ma Judy, che mi teneva ancora per mano, mi
trattenne.
- Volevo dirti una cosa.- mi disse con la sua bellissima voce, molto più soave di quella di
Jasmine.
Tremavo all’idea di quello che voleva dirmi. Nulla di buono, sicuramente.
- Mi faccio da parte.- disse.- Spero che tu e Jasmine stiate bene insieme.La guardai confuso.
- Ti sei presa una cotta per Bred?- chiesi cercando di scherzare.
- No.- rispose seria.- La cotta l’ho presa per te.Ci rimasi malissimo.
- Ma... allora perché?- le chiesi confuso.
28
- Credo che a te piaccia più Jasmine, anche se non lo sai... E non credo sia il caso che tu ti metta
con me. Ti devi ubriacare per guardare solo me e io devo fare l’oca e bere due bottiglie di
Martini per farmi avanti. E non mi sembra che tu abbia bisogno di altri casini...Non riuscivo a crederci. Aveva ragione ma era così strano sentirla dire queste cose.
- Non è così semplice però.- osservai.- Non è perché tu mi dici questo che io e Jasmine ci
metteremo insieme. Sempre che succeda...- Lo farete, vedrai.- disse lasciandomi la mano.
- Aspetta.- le dissi.- Ti ringrazio. Non perché ti fai da parte. Ti ringrazio per la tua sincerità. Sai,
mi piaci davvero moltissimo. Sei una ragazza fantastica.- Grazie.- disse sorridendo.- Ti voglio solo chiedere un favore.La guardai preoccupato.
- Un bacio d’addio. Non abbiamo le prove che quella notte ci siamo baciati.- disse.
Feci per reclamare.
- So che hai baciato Jasmine. Capisco che ti rendo la cosa più difficile, anche perché dirai
sicuramente di questo bacio a Jasmine e ti sentirai in colpa verso di me. Ma fa male anche a
me...- spiegò.
Le presi il viso tra le mani e la baciai sulla bocca. Mi sembrava di trafiggermi con un coltello,
spinto dalle mie stesse mani. Ci baciammo a lungo, forse per vedere quello che stavamo per
perdere, forse per avere un bel ricordo, forse perché ci piaceva.
- Lasciami andare, adesso.- mi pregò Judy.- Altrimenti mi metto a piangere.
Mi guardò con occhi lucidi quanto i miei.
Entrò nella toilette. Io rimasi un attimo nel corridoio, poi entrai nella toilette per gli uomini.
Uscii dalla toilette e andai al tavolo. Credevo che Judy preferisse che non l’aspettassi. Mi sedetti
tra Jasmine e il posto lasciato libero da Judy, facendo finta di nulla. Ma Bred e Jasmine mi
guardarono in modo strano. Forse Judy mi aveva lasciato i segni del rossetto? Judy arrivò poco
dopo. Mi misi a parlare, un modo per non far nascere sospetti e un modo per non pensare. Ma
parlai troppo e quando Jasmine e Bred non erano coinvolti dalla discussione tornavano a
guardarmi come in precedenza, come se mi scendesse uno yo-yo dal naso.
Affascinato dalle opere di Ford mi misi a parlare dei suoi libri e finii per raccontarne uno, per
filo e per segno. Judy si guardava attorno, non annoiata ma triste. Jasmine mi guardava
affascinata dall’enfasi con la quale parlavo. Bred faceva il taciturno e ogni tanto mi faceva
capire, con un’occhiata, quanto fossi diverso dal solito quella sera.
Era un viavai di portate e di vino. Ma io non amo il vino e Judy disse di essere quasi astemia.
Jasmine bevette troppo e Bred si scolò due o tre bottiglie da solo.
Restammo fino a quando le candele non crearono un’atmosfera troppo romantica e le coppiette
rimaste si sussurravano parole dolci e si baciavano.
Judy disse di non sentirsi bene.
Jasmine l’accompagnò fuori dal ristorante, a prendere una boccata d’aria, mentre io e Bred
pensavamo al conto. Una cena rovinosa dal lato economico.
Tornammo verso l’università. Bred canticchiava canzoncine da dormitorio, con la voce stonata e
ubriaca. Jasmine accarezzava Judy che dormiva con la testa sul suo grembo. Io ero giù. La serata
era stata un disastro. Era stato tutto bello ma le parole di Judy avevano rovinato tutto. Ma la
colpa era solo mia.
Lasciai la macchina al posteggio, di fronte alla biblioteca. Jasmine accompagnava Bred, si
tenevano in piedi a vicenda, entrambi malfermi sulle gambe. Io portavo Judy in braccio.
Salutammo Bred. Jasmine lo baciò sulla guancia. Salimmo un altro piano e ci fermammo davanti
alla camera di Judy. Jasmine trovò la chiave nella borsetta di Judy, era diventata un’abitudine per
lei cercare le chiavi nelle borsette altrui, e aprì la porta. Questa volta, al contrario di quella sera
con Francine, sistemai io Judy a letto. La coprii per bene con il piumone e poi le sfilai i vestiti. Si
mosse disturbata ma non aprì gli occhi durante l’operazione. La baciai sulla fronte.
29
Jasmine mi guardava e sorrise a quel gesto. Ci avviammo verso la porta. Jasmine sembrava di
nuovo lucida. Mi fermai, Jasmine era già fuori dalla stanza. Si voltò a cercarmi.
- Io rimango qua.- le dissi, decidendolo sul momento.
Mi guardò inarcando le sopracciglia.
- Hai capito...- mi chiese titubante e preoccupata.
- Ho capito che vi voglio molto bene, a entrambe. E’ l’unica certezza che ho.- dissi.
- Anch’io te ne voglio.- mi baciò sulla fronte.- Sei tenerissimo.- disse con la voce tremolante per
l’alcool.- Buonanotte.- Buonanotte.- le augurai a mia volta.
Chiusi la porta. Chiusi a chiave a andai verso il letto. Mi sedetti contro il muro e guardai Judy
che dormiva. Poi spensi la luce, chiusi gli occhi e cercai di dormire.
VI.
Venerdì venni svegliato da Judy. Sembrava un deja-vue e questo mi preoccupò ma poi notai che
io ero vestito e lei lo era parzialmente e ricordai la sera appena trascorsa. Si chinò di fronte a me.
Io avevo dormito seduto contro il muro e avevo la schiena e le gambe a pezzi.
- Sei stato molto dolce a dormire qui.- mi disse.
- Siamo amici, no?- le chiesi.
- Certo.- rispose.
Allargò le braccia reclamando un abbraccio. L’accontentai volentieri.
Si alzò e io l’imitai.
- Bè,- dissi.- vado su a darmi una sistemata. Ci vediamo più tardi.- Sicuro.- disse abbracciandomi di nuovo.
La baciai sulla guancia e me ne andai.
Salii al piano di sopra. Samantha m’intercettò sulla porta della sua camera. Sembrava in procinto
di uscire a correre.
- Hai dormito?- mi chiese scettica.
- Sì.- ridacchiai.- Per terra, seduto contro un muro. Non era poi così male.- commentai.
- Forse una doccia ti farebbe bene.- osservò ridendo.
- Sempre che io riesca ad arrivare fino alla mia stanza.- dissi incamminandomi stancamente
verso la fine del corridoio. Samantha se ne andò ridendo.
Sulla mia porta c’erano due biglietti. Uno era di Bred. “Grazie per la serata. Simpatiche le tue
amiche.” diceva il biglietto. L’altro portava la scritta “R.I.P.” e la firma di Boris.
Entrai in camera. Mi feci una doccia gelata e andai a lezione mezzo morto. Mi dissi che avrei
potuto dormire un po’ a francese.
A pranzo mi ritrovai con Francine. Lei aspettava Jasmine, come me. Ma non avemmo fortuna.
Pranzammo insieme. Cercai in tutti i modi di farle spiccicare qualche parola ma non era facile.
- Sembri molto paziente e cordiale... ma non mi dire che vai d’accordo con Helena.- provai a
punzecchiarla.
- No.- disse.- Non te lo dirò. Una sera mi ha chiesto se poteva prendere la mia stanza. Mi
avrebbe dato la sua in cambio. Mi aveva detto che voleva invitare un ragazzo a cui aveva detto
che abitava con un’amica. Le ho detto che mi andava bene, a patto che andasse bene anche a
Camilla, che come sai vive con me. Mi ha detto che avrebbe chiesto lei a Camilla. Io dopo le
lezioni sono andata in biblioteca a studiare e poi sono andata nella stanza di Helena. Mi aveva
dato la chiave. Verso le undici sento la porta che si apre. E’ Camilla. Helena aveva rifilato la
stessa storia anche a lei e così aveva l’intero appartamento a sua disposizione.- disse seccata.
Io scossi la testa, incredulo, anche se da Helena ci si poteva aspettare questo e altro.
- Alla festa di Nick ci ha provato con me.- confessai.
30
- Ed è venuta a dirmi che tu e Judy avete fatto l’amore.- mi riferì lei.
- Forse non ci è mancato molto. Ma se fosse successo sarebbe stato solo un gran guaio per
entrambi.- spiegai.- E mi sarei sentito un verme.- Ma non lo sei, tranquillo.- mi disse sorprendendomi.
Vidi Judy prendere un toast alla buvette con delle amiche. Salutò me e Francine e se ne andò con
queste ragazze.
- Francine, scusami, vado a vedere se Jasmine è in camera.. Magari non si sente bene.- dissi
alzandomi.
- Ok.- disse con un mezzo sorriso.- Salutamela se la vedi.Bussai alla porta di Jasmine. Dopo due o tre minuti aprì la porta, forse non si aspettava di trovare
più nessuno dall’altra parte. Aprì in accappatoio. Sembrava stupita di vedermi.
- Ciao.- la salutai.
- Ciao.- mi disse, fredda.
- Volevo solo vedere se stavi bene.- spiegai.
- Sono solo stanca.- disse dallo spiraglio che c’era tra la porta e il muro.- Stavo per andare a
dormire.- Ok. Ti lascio dormire. Buonanotte.- le augurai.- Ah, ti saluta Francine.- Grazie. Ciao.- disse chiudendo la porta.
Rimasi a fissare la porta. Non l’avevo mai vista così fredda e così antipatica...
Presi dei libri dalla mia camera e andai a lezione.
Dopo le lezioni pomeridiane mi rintanai in camera. Ero depresso.
Fino alle otto di sera era permesso fare tutto il casino che si voleva, sempre che qualcuno non
reclamasse, e allora ne approfittai. Misi un cd dei R.E.M. a tutto volume. Alle otto misi le cuffie
e continuai a tutto volume.
Lessi Stephen King camminando avanti e indietro per la stanza. Non sentivo nulla, eccetto la
musica, e credo che non avrei sentito nemmeno lo scoppio di una bomba nucleare nella stanza
accanto. E così non mi accorsi che Jasmine era entrata nella mia camera. Io camminavo in
circolo, in quel momento, e finito l’ennesimo giro mi accorsi della presenza di qualcuno. Alzai
gli occhi dal libro e mi spaventai. Mi tolsi le cuffie ancora con la pelle d’oca. Ma Jasmine non
era certo una visione da incubo, anzi. Indossava un vestitino blu, cortissimo, collant neri e delle
scarpe nere con un tacco di cinque o sei centimetri. Era truccata ed era una visione. Io indossavo
un paio di jeans e nient’altro. Non ricordavo perché ma non avevo indosso nemmeno le mutande.
- Ciao.- mi disse divertita.
Io non sapevo come comportarmi con lei. Non mi è facile affrontare i cambiamenti di umore così
repentini. Ero un maestro, in fatto di cambiamenti d’umore, ma non sapevo come fare con le
altre persone. Pensavo che avrei dovuto essere arrabbiato con lei o almeno offeso ma...
- Ciao.- dissi freddo.
- Sono fresca e riposata.- disse con enfasi.- E sono venuta a prenderti. Siamo invitati a cena da
Francine e Camilla. Ci sono anche Judy, Patricia, Bred, Helena e Jeff.Guardai l’orologio. Le dieci e mezza. La guardai sorpresa.
- A quest’ora?- chiesi.
Annuì e mi guardò intensamente. Non sapevo più cosa pensare di lei.
- Bè,- dissi.- dammi cinque minuti.- Ok.- disse sedendosi sul mio letto.
La guardai, mi sfuggi l’occhio sulle sue belle gambe, e poi incredulo presi i vestiti dall’armadio.
Evitai i libri (erano dappertutto!) ed entrai in bagno. Qualche minuto dopo ero da Jasmine.
- Sono pronto.- annunciai.
Mi guardò ancora il quel modo, quasi volesse mangiarmi con gli occhi.
- Andiamo.- disse euforica.
31
Mi prese la mano e mi guardò negli occhi. Io ero paralizzato per la sua bellezza e per il suo
comportamento. Mi baciò sulla bocca ma io non mossi mezzo labbro. Ero immobile. Mi sorrise
come se fosse stato il bacio più bello della sua vita e mi condusse alla porta.
Camminammo mano nella mano fino all’appartamento di Francine e Camilla. C’era abbastanza
movimento in giro visto che era venerdì e c’era anche una festa nel capannone. Jasmine mi parlò
per tutto il tempo della nostra passeggiata con troppa vitalità, tanto da sembrare un’altra, strana e
nervosa rispetto al solito.
Avrei voluto chiederle che cosa l’era preso a mezzogiorno, perché la scusa del sonno non mi
convinceva, ma non ci riuscii. Forse avevo paura di rovinarmi la serata.
Camilla venne ad aprirci. Anche lei era vestita da favola ma il suo naso rovinava tutto. Non
sarebbe mai riuscita ad affascinarmi per il suo aspetto fisico. Credo che anche a vederla nuda mi
verrebbe naturale guardarle il naso. Quella sera avrei scoperto se era simpatica.
Entrammo. Vidi Bred e il misterioso Jeff di cui nessuno mi aveva parlato. La super timida
Francine venne ad accoglierci e mi baciò sulla guancia. Era proprio una serata pazzesca.
- Dovrete pazientare ancora quindici minuti per la cena.- ci informò Francine.- E poi mancano
ancora Judy e Patricia.- Non c’è problema.- le dissi.
Erano le prime parole che dicevo da quando ero uscito dalla mia stanza.
Jasmine mi portò verso il salotto. Helena era seduta sul divano e metteva in mostra le sue gambe
con una minigonna mozzafiato. Stavo per sedermi sul divano ma Jasmine mi trascino ad una
poltrona, mi fece sedere e si sedette sulle mie gambe, con un braccio attorno alle mie spalle. Ero
a disagio e non capivo cosa fosse successo a Jasmine.
Bred ci salutò di sfuggita mentre parlava con Jeff, in piedi, in un angolo del salotto.
Camilla e Francine tornarono in cucina per occuparsi della cena.
Jasmine mi accarezzava i capelli, il viso. Ed io pensavo ad un modo per svignarmela. Oltre tutto
incominciavo ad avere forti dubbi sul fatto di mettermi con lei. Ho sempre odiato le persone che
di colpo mutano il loro comportamento. Niente mi da la certezza che lei si comporterà sempre in
questo modo e niente mi assicura che non la rivedrò mai più così fredda e insensibile come a
mezzogiorno.
Si mosse per baciarmi, sulla bocca, ed io mi scostai. La fulminai. Si stupì della mia reazione.
- Mi dispiace per oggi.- si scusò finalmente.- Ero stanca e avevo anche tanti dubbi che mi
assillavano.- Potevamo parlarne.- dissi io freddo, da vero stronzo.
- Mi dispiace.- disse rammaricata.
Io sbollii la mia rabbia.
- Ok. Non è niente.- le dissi baciandola sulla guancia.
I nostri visi erano troppo vicini.
- Ma non mi baciare più sulla bocca. Io... non lo so, mi sembri così strana e baciarti... mi sembra
di baciare un’altra ragazza.- spiegai.- E non voglio baciare un’altra ragazza.Lei annuì, un po’ delusa.
- Ci sediamo accanto a Helena?- propose.
Sollevai le spalle ma penso che riuscii a toglierle tutto l’entusiasmo che aveva avuto in
precedenza. Che bravo!
- Hei,- mi disse come leggendomi nel pensiero.- sono sempre io. E ti voglio sempre bene. Non
me la sono presa, stai tranquillo. E scusami.Stavo per chiederle per cosa si stesse scusando quando mi ritrovai le sue labbra contro le mie, la
sua lingua contro la mia, la sua mano sul petto. Poi si alzò e si sedette sul divano, alla destra di
Helena. Helena si trovava al centro del divano e così io mi sedetti alla sua sinistra. Sembrava
muta. Jasmine iniziò a parlarle. Più tardi m’intromisi nella conversazione. Ogni tanto cercavo lo
sguardo di Bred che sembrava volermi evitare. O forse voleva evitare Helena? O Jasmine?
Suonò il campanello. Camilla uscì dalla cucina.
32
- Che coincidenza.- esclamò con allegria guardando noi tutti.- E’ pronto.- annunciò mentre
andava ad aprire la porta.
Judy e Patricia salutarono Camilla e poi entrarono. Judy indossava jeans e maglione, senza
anfibi. Mi accorsi di trovarla bellissima ma di non essere attratto da lei. Avevo solo tanta voglia
di abbracciarla. E lo feci, baciandola sulla guancia.
- Ciao.- mi salutò contenta.
- Ciao. Mi mancavi.- le confessai.
- Anche tu.- replicò lei.
La lasciai andare a salutare gli altri. Helena e Jasmine si alzarono a salutare. Poi ci sedemmo tutti
a tavola. Aspettai che Jasmine si sedette e presi il posto accanto al suo. Mi sorrise ed io le sorrisi.
Francine arrivò con le pietanze.
La cena era un insieme di specialità straniere, dalla pasta italiana al dolce francese. Era tutto
molto buono e nessuno si trattenne dal mangiare. Lasciammo soltanto le briciole e alla fine
eravamo tutti sazi e satolli. Io non toccai alcolici ma tutti gli altri non lesinarono sul vino e
presero whisky e bourbon quando ci accomodammo su poltrone e divano.
Jasmine si limitò ad un bicchiere di vino, durante la cena. Judy prese solo una birra guardandomi
con aria colpevole.
Jeff era ubriaco perso. Bred aveva bevuto come una spugna ma era solo più che brillo. Le altre
ragazze erano tutte brille, eccetto Helena che era sbronza. Tra l’altro nessuno mi aveva ancora
presentato Jeff, di cui non conoscevo assolutamente nulla.
Mi ritrovai su di una poltrona, abbracciato a Judy. Jasmine e Francine erano abbracciate su di
un’altra poltrona. Jeff e Helena erano incollati l’uno contro l’altra sul divano. Bred sedeva
accanto a loro. Camilla e Patricia erano sedute sulle due rimanenti poltrone. Jeff si godeva lo
spettacolo della scollatura di Helena senza preoccuparsi del galateo. Si bisbigliarono qualcosa
all’orecchio e poi si alzarono. Salutarono in fretta e se ne andarono, diretti alla camera di lei o
verso quella di lui. Era ormai mezzanotte.
Parlai sottovoce a Judy, eravamo guancia contro guancia.
- Non credo che Helena sia in grado di capire quello che fa. Credi che sbaglierei a fermarli? So
che lei è già... sì, bè, è abituata a questi finali di serata, sempre che io non mi sia fatto un’idea
sbagliata...Judy si spostò in modo da guardarmi negli occhi. Scosse la testa e sorrise.
- E’ bello che tu ti faccia questi problemi ma loro hanno già passato parecchie notti insieme.disse alludendo a qualcosa di più piccante.
Annuii. Lei si sistemò nella posizione precedente. Francine e Jasmine si sedettero sul divano.
Rimaneva una poltrona libera ma Judy non la occupò. Ed io ero contento così.
Io e Bred non ci eravamo ancora scambiati una sola parola. Ero sempre più convinto che ce
l’avesse con me per qualche motivo che mi sfuggiva. Gelosia?
Giocammo al gioco dei mimi, al gioco dei film con le ragazze che si lanciavano in ardite
interpretazioni. E passammo a giochi legati all’alcool. Mi scocciava bere ma mi sarebbe
scocciato anche andarmene perché non volevo stare al gioco. Mi adeguai agli altri.
Patricia si portò Bred nella stanza di Camilla. Lei era abbastanza lucida ed io, questa volta, non
reclamai. Patricia era carina anche se troppo seria. Sembrava non le piacesse ridere.
Restavamo io, Judy, Jasmine, Francine e Camilla.
Ci mettemmo a squadre. Io e Judy contro le altre tre. Francine prese il Trivial Pursuit. Ogni
risposta sbagliata era un goccio di whisky. Io proprio non lo reggevo. Ero il più lucido e di solito
ero un drago in quei giochi, ma non potevo sapere tutto. Camilla si sorbiva gli errori della sua
squadra. Doveva avere una grande esperienza... con l’alcool. Io mi sorbivo gli errori miei e di
Judy. Non volevo ritrovarmi nel suo letto, nudo, chiedendomi cosa fosse successo. Era meglio
che si ubriacasse solo uno di noi due.
Avevo buone intenzioni ma partii presto, per colpa del whisky. Judy iniziò a bere per non farmi
andare in coma etilico. Francine corse a vomitare e non la rividi più. Jasmine si addormentò sul
divano. Camilla non resse più l’alcool. Io e Judy eravamo incastrati l’uno contro l’altra e non ci
33
riusciva di muoverci. Camilla salì sul tavolino tra le poltrone e il divano e abbozzò uno
spogliarello. Io ero ubriaco e guardai, non l’avrei fatto da sobrio, ma Judy mi coprì gli occhi nei
momenti salienti.
Sentii un tonfo e quando Judy mi lasciò guardare vidi Camilla per terra, sdraiata sulla pancia,
svenuta e nuda come un verme. Judy ed io eravamo sommersi dai suoi vestiti. Ci alzammo, ci
mettemmo una vita a farlo, e la mettemmo sul divano, vicino a Jasmine. La coprimmo in qualche
modo, forse con la tovaglia del tavolo da pranzo... Non ricordo.
Eravamo sette in quell’appartamento e non mi sembrava carino andarmene nella mia camera. Mi
sedetti di nuovo sulla poltrona. Judy tornò a sedersi sulle mie gambe, abbracciandomi. Ci
addormentammo così.
La mattina seguente fu drammatica. Ci svegliammo tutti in momenti diversi. Quando mi svegliai
vidi Camilla che camminava nuda ed entrava nella sua stanza. Judy dormiva contro di me e io
non potevo muovermi senza svegliarla. Jasmine non era più sul divano. Dormiva per terra, ai
piedi del divano. Doveva essere caduta nel sonno.
Bred uscì dalla stanza di Camilla più tardi. Indossava una vestaglia, penso fosse di Camilla.
Aveva una bottiglia di bourbon in mano ed era ubriaco. Erano le dieci di mattina. Borbottò
qualcosa verso di me. Scuse nei miei confronti. Mi chiese di perdonarlo, disse che lui e
qualcun’altro avevano fatto la pace, ecc.. Poi sparì. Francine tentò invano di andare in cucina. La
vidi attraverso il riflesso delle finestre che davano su di un prato. Uscì dalla sua stanza, fece
qualche passo e poi corse a chiudersi in bagno. La sentii vomitare. Judy si svegliò poco dopo.
Fece per baciarmi sulla bocca. Scossi la testa.
- Ah, già.- disse ancora con un piede nel paese dei sogni. E chiuse gli occhi riaddormentandosi.
Jasmine si svegliò e cercò di scendere dal divano, solo che lo aveva già fatto in precedenza. Fu la
mia salvezza. Io ero tormentato dal mal di testa e così sembrava anche per lei.
- Ciao.- la salutai piano.
Si alzò con una mano sulla fronte. L’altra la portò sullo stomaco.
- Ciao.- disse con la voce di una moribonda.
Poi vide dov’ero e con chi ero.
- Inizio ad essere gelosa.- disse scherzando.- Vado in cucina a cercare una pastiglia per il mal di
testa, altrimenti credo che morirò qui in salotto.- Fammi un piacere.- la supplicai.
- Una anche per te?- mi chiese guardandomi.
- Facciamo due, grazie.- le dissi.
Si avviò verso la cucina. Sentii il rumore degli armadi e dei cassetti che venivano aperti. Sentii
l’acqua del rubinetto che scorreva e sperai.
Jasmine ritornò con un bicchiere d’acqua e due pastiglie. Io non potevo muovere le braccia.
Jasmine m’imboccò e mi fece bere l’acqua. Qualche gocciolina scivolò verso il mio mento.
Ridacchiammo entrambi.
- Grazie.- le dissi.
Mi sorrise. Poi parve avere un’idea geniale.
- Sei immobilizzato.- osservò fregandosi le mani.
La guardai incredulo. Sorrisi.
- Solo se non ti da troppo fastidio.- disse poi.
- Solo se non puoi farne a meno.- dissi io.
Si avvicinò a me. Guardò il viso di Judy a pochi centimetri dal mio. Poi si avvicinò di più al mio
viso, alle mie labbra. Mi baciò, ci baciammo. Poi lei si allontanò.
Quasi in coro dicemmo:
- Bleah!- per il gusto d’alcool e il fiatone.
- Provo a dormicchiare ancora un po’.- mi disse tornando sul divano.
Camilla uscì dalla sua stanza, ancora nuda. Jasmine inarcò le sopracciglia. Si alzò, a fatica, e
l’acciuffò riportandola nella sua stanza.
34
Poi ritornò in compagnia di Patricia che indossava solo una maglietta sopra le mutandine. In
alcuni momenti sembrava sofferente per l’alcool, in altri sembrava felicissima per quello che
c’era stato tra lei e Bred. Per un attimo mi preoccupai per Camilla, sola con Bred, ma poi lei
riemerse dalla sua stanza, finalmente vestita.
Camilla andò a cercare Francine e riuscì a portarla in salotto. Eravamo tutti seduti su poltrone e
divano. Solo Bred era nella camera di Camilla e solo Judy dormiva, sopra di me. Jasmine, quella
che stava meglio di tutti, preparò caffè e tè per tutti. Io rinunciai a bere, non volevo essere
imboccato di nuovo da Jasmine e non ci tenevo a bere caffè e tè che mi avrebbero solo
aumentato la nausea. Un bicchiere di Coca-Cola, invece, ci sarebbe stato bene.
Jasmine, Camilla e Francine sul divano, Patricia sulla poltrona, mi guardavano e ridevano di me,
schiacciato da Judy come una fetta di prosciutto tra due fette di pane.
Patricia andò a recuperare Bred. Tornò in salotto dicendo che lui dormiva attaccato alla sua
bottiglia. Lei sembrava già pentirsi di quello che avevano fatto quella notte.
Jasmine se ne andò con Patricia, non prima di avermi baciato di nuovo. A mezzogiorno Camilla
e Francine andarono nelle loro stanze per sistemarsi un po’.
Io ero stufo, e tutti i miei muscoli reclamavano per l’immobilità forzata durata più di sette ore.
Baciai Judy sulle guance, sulla fronte. Provai sulle palpebre e ottenni qualche risultato. Mossi un
po’ le braccia e finalmente Judy aprì gli occhi.
Mi sorrise.
- Se ti alzi mi fai un favore.- le dissi gentilmente cercando di sorriderle.- Altrimenti dovranno
amputarmi qualche arto.Lei si rese conto della mia situazione e in che modo avevamo dormito. Rise e poi si alzò il più
velocemente possibile. Mi aiutò ad alzarmi. Ero tutto indolenzito. Mossi qualche passo incerto
per l’appartamento. Poi mi concessi una pausa. Mi sedetti sul divano. Judy venne ad
abbracciarmi, non dovevano esserle bastate le ultime dodici ore.
- Poverino!- disse arruffandomi i capelli.
Risi.
- L’ultima volta eravamo nudi. Questa volta eravamo vestiti ma su di una poltrona. La prossima
volta... come sarà?- chiese.
- Nello spazio?- proposi.
Rise e mi baciò sulla guancia sinistra. Si sdraiò con la testa sulle mie gambe.
- Ti voglio tanto bene.- mi disse.
Le accarezzai i capelli.
- Anch’io.- ammisi.
Francine tornò dopo una doccia e un cambio d’abito. Ci vide.
- Buongiorno, bella addormentata. Comodo il cuscino Michael?- chiese ironica.
- Mooolto.- rispose Judy.
Francine, Camilla, Judy ed io mangiucchiammo qualcosina nell’appartamento delle due ragazze
verso le due del pomeriggio. Judy ed io portammo di peso Bred in camera sua. Lo dovetti vestire
perché non era il caso che tutti ci vedessero portarlo in giro con addosso una camicia da notte da
donna.
Lasciato Bred alla sua sbronza, salimmo nella camera di Judy.
Mi chiese se volevo rimanere un po’ con lei. Accettai volentieri. Lei si fece una doccia e si
cambiò. Sentivo anch’io il bisogno di una doccia ma avrei dovuto aspettare ancora. Io e Judy ci
sedemmo sul letto.
- Lo sai che non ero ubriaca quando ti ho detto quella cosa.- mi disse.
- Lo so. E nemmeno io lo ero.- confermai.- Sei molto importante per me.- Una delle tue migliori amiche?- mi chiese.
La guardai.
- Se non ti da fastidio sentirtelo dire...- dissi.
35
Judy mi abbracciò.
- No.- disse felice.- Mi fa molto piacere.Ci lasciammo. La camera di Judy aveva avvolgibili alzati, finestre e tende aperte. La luce mi
dava fastidio.
- Volevo dirti una cosa.- le dissi.
Mi guardò con curiosità.
- Non mi piace vederti bere.- le confessai.
- Anche Jasmine ha bevuto. Tutti, anche tu, lo abbiamo fatto.- mi fece notare senza però dare
l’impressione di essere offesa.
- Ma io sto parlando con te, ora. Ho sbagliato, ma è stata la seconda volta in vita mia che ho
bevuto. Io ti ho vista bere già in due occasioni fino al punto di ubriacarti. Non devi offenderti ma
non vorrei che ti ci abituassi. Non è difficile farlo...- le dissi preoccupato.
Judy mi osservò intensamente. Mi sorrise contenta della mia premura.
- Non ti preoccupare.- mi rassicurò.- Ma se proprio dovessi mettermi a bere e tu fossi presente...
toglimi pure l’arma del peccato.Le sorrisi annuendo, rassicurato dalle sue parole.
- Adesso scappo. Anch’io voglio farmi una doccia.- dissi quasi disperato.
- Ne hai bisogno.- osservò lei facendo finta di sentire un puzzo incredibile provenire dalla mia
persona.
Risi. L’abbracciai e la sollevai da terra facendola girare. Per un attimo ci vidi entrambi a
vomitare ma poi mi diedi dello stupido. La baciai e me ne andai.
36
VII.
Andai in camera a dormicchiare. Mi svegliai a mezzanotte. Aprii gli occhi e vidi davanti a me
Judy e Jasmine che mi guardavano. Chiusi gli occhi e li riaprii. Niente. Erano sempre lì. Si
misero a ridere per lo scherzo che erano riuscite a farmi.
- Che ci fate qua?- chiesi mettendomi a sedere sul letto.
Le lenzuola mi coprivano dalla vita in giù mettendo a nudo il mio petto.
- C’è una grande festa a casa di Nick. Volevamo vedere se ci accompagnavi.- spiegò Jasmine.
- Siete qui da tanto?- chiesi.
- Mmmmh...- fece Judy guardando l’orologio che portava al polso.- Mezz’ora.- disse.
- Bè, - dissi io meravigliato.- la prossima volta svegliatemi...Mi alzai, con le lenzuola che mi penzolavano dalla vita in giù, e andai all’armadio. Presi dei
vestiti e andai verso il bagno.
- Che cosa fai?- mi chiese Judy.
- Mi preparo per accompagnarvi.- spiegai entrando in bagno.
Venti minuti dopo eravamo già in macchina, diretti verso la festa. C’era una festa anche
all’università quella sera ma tutto il gruppo, quelli che erano presenti alla cena da Francine,
andava da Nick.
Jasmine indossava un vestitino corto, stretto dalla vita in su, abbastanza sexy. Judy indossava
jeans e maglione e portava i capelli legati dietro la testa in modo disordinato. Jasmine mi
guardava in modo strano, da innamorata?, mentre Judy era allegra e vivace. Sembrava che ormai
ognuno avesse il suo ruolo. Judy faceva la parte dell’amica e Jasmine la parte della mia futura
ragazza. Rimaneva solo da vedere se il copione diceva che io mi sarei messo con lei. Arrivammo
alla festa. Io ero un po’ assonnato ma mi stavo riprendendo. Le due ragazze erano più vitali.
Jasmine mi prese per mano. Entrammo in casa. C’era una marea di gente, svariati corpi in
movimento in tutte le stanze. Mi chiesi se la festa all’ università non fosse stata un fiasco. Judy
vide Camilla e Francine. Le salutammo con un gesto della mano, tra noi e loro c’erano almeno
cento ragazzi su di giri.
- Vado da loro.- disse Judy sorridendoci e lasciandoci soli.
- Andiamo di sopra?- mi chiese Jasmine dopo che Judy se ne andò.
La guardai per capire le sue intenzioni.
- A parlare...- spiegò.
Non trovammo stanze libere e allora ci sedemmo contro un muro, per terra, lungo il corridoio.
Anche di sopra c’era molta gente ma si riusciva a respirare e non dovevamo urlare più di tanto
per parlare. Comunque stavamo così stretti, l’uno all’altra, che non era difficile sentirsi. Era
difficile non baciarsi.
- Io e Judy abbiamo parlato molto prima di venire in camera tua.- mi disse Jasmine.
Non sapevo se esserne felice.
- Abbiamo parlato di te.- continuò.
Ci guardavamo negli occhi. Io, però, non riuscivo a farlo a lungo e allora distoglievo lo sguardo
spesso.
- Judy mi ha detto che se l’è fatta passare.- mi disse.
Io la guardai cercando di farle dire di più. Non volevo fraintendere.
- La...- cercai di farglielo dire.
- La cotta.- confermò.- Le piaci molto ma adesso ti vede solo come un amico.Annuii.
- Ho visto come vi siete comportati ieri e negli ultimi giorni in generale.- continuò.- E sono
contenta di come stiano le cose. Sono contenta per te e Judy. E sono contenta per me.Tacque per qualche istante. Capii che toccava a me parlare.
37
- Non voglio che tu faccia come l’altro giorno... Non voglio saperti in camera tua a piangere
perché io sono stato freddo o stronzo. Parliamone se vuoi, ma non ti chiudere in te stessa. Ci
penso già io a fare così...- le dissi sorridendo alla fine.
- Già.- confermò.- Nemmeno tu devi agire in questo modo. Devi fidarti di me.- Ma io mi fido di te.- le dissi porgendole le mani.- Mi fido di te... non mi fido di me, non mi
piaccio.Mi guardò con il suo faccino triste.
- Non guardarmi così, ti prego.- le dissi.- Altrimenti mi metto a piangere.- Saremo in due, allora.- disse.
- Ecco, in questi momenti mi chiedo come mi sia passato per la mente quest’idea...- dissi io,
snervato.
- Quale idea?- mi chiese Jasmine.
- L’idea di mettermi insieme a te.- le risposi con il morale a terra.
- Perché? Perché pensi che non possa funzionare?- Perché non voglio farti del male... e invece mi ritrovo sempre a farti piangere, a farti soffrire.spiegai.
- Non è colpa tua. E’ qualcosa che facciamo insieme. Tu hai la tua parte di colpa ed io la mia.ribatté lei.
- Allora, forse, non siamo fatti per stare insieme.- Tu cosa ne pensi?- mi chiese.
- Se sapessi cosa pensare di noi adesso saremmo insieme... o forse non ci parleremmo neanche.risposi sconsolato.
- C’è qualcosa in me che non ti piace?- mi chiese.
- No. No. Non credo proprio...- le risposi convinto.
- Ed io non trovo nulla che non mi piaccia di te...- spiegò.
- Ok.- dissi.- Forse siamo troppo simili! Diventiamo tristi con troppa facilità. Non m’importa
essere depresso sette giorni su sette, non è una novità per me. Ma non voglio che sia realtà anche
per te.Ci guardavamo ormai da parecchi minuti negli occhi senza distogliere lo sguardo.
- Voglio di meglio per te.- aggiunsi.- E forse io non posso darti di più...- Dobbiamo costruire insieme questo “qualcosa di più” che ci manca. Non puoi guardare la tua
personalità e la mia e dire: “No, non può funzionare.” Non è matematica! Qui si parla d’amore, e
l’amore si costruisce insieme. Che frase assurda...- se la prese con se stessa per queste sue ultime
parole.- L’amore nasce tra due persone e cresce con loro. Lo creiamo noi, insieme. Non lo crei
tu. Non lo creo io. Lo facciamo insieme. E ancora nemmeno ci abbiamo provato.- disse con
sentimento.
- Non sono sicuro...- spiegai.- Hai ragione, lo so, ma... non lo so. Non so se funzionerà.- Ma...- iniziò Jasmine interrompendosi. Mi guardava intensamente.
- Ma?- le chiesi.
- Ma sei innamorato di me?- mi chiese finalmente.
- Io...- iniziai, ma avevo paura.- ... credo di sì.- Credi?- mi chiese senza essere offesa dalla mia incertezza.
- E tu?- chiesi io titubante.
- Sì.- rispose senza alcun dubbio.
Mi sentii in colpa, come sempre.
- Non iniziare...- mi ammonì, preoccupata.
- Ok.- mi arresi.- Però avrei un buon motivo.- spiegai.
Si avvicinò a me. Mi baciò sulla guancia. Sapevo dove ci saremmo baciati qualche secondo
dopo. Tremavamo come due foglie. Mi baciò sulle labbra. Un bacio sfuggente. Poi uno serio. Poi
c’incollammo uno all’altra. Ci abbracciammo, lei mi cinse la vita con le gambe, petto contro
petto. Ci baciammo a lungo facendoci le coccole. Mi concentrai sui suoi splendidi capelli.
- Ti è piaciuto?- mi chiese.
38
La guardai per vedere se scherzava.
- Prova a dirlo?- mi incitò.
- Sì, mi è piaciuto.- dissi scocciato.- E’ stato molto bello.- aggiunsi dopo, più sereno.
- Non ti piacciono solo questi momenti, vero?- domandò subito dopo.
- No.- risposi schietto.- Mi piace stringerti tra le mie braccia, parlarti, vederti sorridere, sentirti
ridere...- Ma questo è quello che io provo per te.- mi disse.- E io lo chiamo amore, questo.- affermò.
La guardai, il suo viso a pochi centimetri dal mio. Tutti quelli che passavano per il corridoio
abbassavano lo sguardo per guardarci. Le accarezzai il viso, lo strinsi tra le mie mani. La baciai.
- Vuoi essere la mia ragazza?- le chiesi.
Le scese una lacrime, veloce come un razzo. Quasi quasi ci ripensavo.
- Sì.- mi disse commossa baciandomi.- Certo.Ci baciammo ancora ripetendo la stessa scena di poc’anzi.
Io e Jasmine passammo non so quanto tempo a baciarci seduti per terra. Poi arrivò Judy a dirci
che gli altri se ne andavano. Io e Jasmine la seguimmo fuori dalla casa di Nick. Al posteggio ci
rendemmo conto che erano tutti sbronzi o sullo sbronzo andante. Io caricai sulla mia macchina
Judy, Francine, Patricia e Jeff. Jasmine si mise alla guida della macchina di Bred con a bordo lo
stesso Bred, Helena e Camilla. Purtroppo mi toccava separarmi dalla mia bella ma era
indispensabile: eravamo gli unici che non si erano ubriacati. E Judy non aveva la patente.
Arrivammo all’università e solo allora mi accorsi dell’ora. Erano ormai le cinque del mattino.
Bred e Jeff volevano a tutti i costi andare in un posto nel bosco. Io volevo solamente dormire tra
le braccia di Jasmine ma visto che loro erano decisi, io e Jasmine restammo a tenerli d’occhio.
Andammo in mezzo al bosco. C’erano delle panchine di legno e fu lì che ci sistemammo. Judy
mi usò come coperta mentre Jasmine sedeva accanto a Camilla, ubriaca fradicia. Jeff e Helena si
inoltrarono nella vegetazione e diversi urli e grida e gemiti ci svelarono le loro attività. Non so
da dove ma diverse bottiglie fecero capolino. Io e Jasmine brindavamo a noi e così finimmo per
addormentarci tutti nel boschetto.
VIII.
Io e Jasmine ci svegliammo nella sua camera, sdraiati per terra, avvolti dalle coperte e
completamente vestiti. Avevamo entrambi un forte mal di testa. Erano stati dei rumori nel prato
sottostante a svegliarci. Era strano perché era domenica ed erano solo le dieci del mattino. Mi
alzai e andai a vedere attraverso gli avvolgibili mentre Jasmine cercava di mettersi a sedere. Era
buffissima. Una leggera pioggerella cadeva sul prato e su di un centinaio di persone che
sostavano ai bordi del bosco. Vidi due ambulanze posteggiate nella direzione opposta, sul prato,
vicino alla mensa. I lampeggianti erano spenti e questo indicava che non c’era urgenza di
trasportare qualcuno all’ospedale... Accanto alle due ambulanze, anche queste posteggiate sul
prato, c’erano tre auto della polizia locale. Proprio in quel momento arrivarono una troupe
televisiva e una berlina dalla quale scese un uomo distinto che non aveva fatto in tempo a
chiudersi la camicia e a fare il nodo alla cravatta mentre veniva al campus a bordo di quell’auto.
Non so perché ma pensai che potesse essere il sindaco o il direttore dell’Università.
Jasmine mi chiedeva che cosa stava succedendo ma io non le rispondevo. Tornai a guardare il
bosco mentre Jasmine veniva al mio fianco. Guardammo insieme la polizia che delimitava una
zona del bosco con dei nastri gialli che venivano tirati tra gli alberi e che dovevano impedire
l’ingresso ai curiosi.
Jasmine mi strinse alle spalle e credo che stesse pensando, come me, ai nostri amici che erano
nel bosco con noi, quella notte, e a quello che poteva essere successo.
39
Uscimmo dalla camera e corremmo a perdifiato lungo i tre piani della Hope House. Piombammo
nel prato con il fiatone e raggiungemmo studenti in pigiama, giornalisti e poliziotti ai margini del
bosco. Io mi feci largo tra la folla trascinando Jasmine che mi teneva per mano. Arrivai al nastro
giallo e cercai la causa di tutto quel trambusto. Dei ragazzi attorno a me parlavano di quanto era
accaduto... “Chissà chi può essere stato?” “Ho sentito dire che non era dell’Università” “Una
ragazza, potevo esserci io al suo posto”... Io e Jasmine tremavamo e cercavamo di guardare tra i
poliziotti che si affaccendavano per terra, vicino alla vittima. “Uccisa a pugnalate e
strangolata...” “Questa notte” I poliziotti avevano coperto la vittima con un lenzuolo. Venni
spinto da parte e mi voltai scocciato. Due poliziotti si fecero largo e superarono il nastro giallo
con un sacco mortuario seguiti da un infermiere.
Guardai la vittima con Jasmine che mi abbracciava stritolandomi. La sentii piangere e poco dopo
piangevo anch’io. Un colpo di vento spazzò il prato e giunse fino al bosco. Il lenzuolo si sollevò
a mostrare un viso di ragazza avvolto nei suoi lunghissimi ricci rossi. Jasmine mi baciò per la
felicità. Nessuna delle nostre amiche aveva capelli rossi. Io m’inginocchiai disperato. Portai le
mani al volto e piombai disteso a terra come se una tonnellata gravasse sul mio corpo. Scoppiai a
piangere. Jasmine si strinse contro di me.
- Oh, no. No... Jennifer.- la sentii dire. Poi tutto diventò così lontano e confuso.
Mi ritrovai seduto davanti alla scrivania di un tenente della polizia della contea. Jasmine sedeva
al mio fianco. Diversi poliziotti gironzolavano per l’ufficio immenso pieno di scrivanie e
schedari.
- La tua ragazza mi ha detto che conoscevi la vittima.- disse con tatto il tenente .
Lo guardai. Mi fissava con calma aspettando la mia risposta. Poteva essere tutto un sogno.
Poteva essere qualcun’altra...
- Jennifer Johnson di L.A.?- chiesi.
Il tenente abbassò lo sguardo e annuì triste.
Mi mancò il fiato. Sembrò che qualcuno stesse aspirando l’aria che avevo nei polmoni. Il tenente
fece cenno ad un collega. La mano di Jasmine mi sfiorò una guancia. Il collega del tenente che
mi sedeva di fronte mi porse un bicchiere di plastica con dentro dell’acqua. Lo presi senza
ringraziare e bevvi avidamente facendo colare qualche goccia dal mento. Jasmine si appropriò
della mia mano sinistra e la tenne sul suo grembo, circondata dalle sue mani.
- Come va?- mi chiese il tenente .
Vidi sul suo cartellino che si chiamava Steeb.
Annuii.
- Sapevi che Jennifer era venuta qui a Erie?- domandò Steeb.
Scossi la testa.
- Mi aveva detto che mi avrebbe telefonato questa notte. Mi avevo detto che prima sarebbe stata
ad un convegno a San Francisco.Riportai lo sguardo verso il pavimento. Non potevo crederci.
- Sapete chi è stato?- chiese Jasmine.
- Non ancora purtroppo. Non ci sono testimoni.- rispose Steeb rassegnato.
- Noi,- dissi guardandolo.- eravamo nel bosco questa mattina. Con degli amici. Noi due non
l’abbiamo vista ma forse i miei amici... Solo io la conoscevo...- Potresti darmi i nomi di questi tuoi amici?- mi chiese.
Annuii.
Poco dopo Jasmine mi accompagnò fino alla macchina, posteggiata davanti alla stazione di
polizia. Mi accompagnò allo sportello del passeggero e mi abbracciò a lungo prima di aprirmi la
portiera.
Lei si mise al volante. Tornammo all’Università. Salimmo mestamente verso la camera di
Jasmine ed entrammo. Io ero come in trance. Non mi passava niente per il cervello, non riuscivo
a pensare a nulla. Facevo quello che mi indicava Jasmine. Lei mi spogliò fino a lasciarmi in
40
mutande. Poi si spogliò rimanendo in mutandine e reggiseno e mi fece sdraiare nel suo letto. Poi
si sdraiò al mio fianco e mi abbracciò. Sentivo le sue lacrime sulla mia spalla nuda. Poi ci
addormentammo.
Due giorni dopo io e Jasmine scendevamo da un aereo, all’aeroporto di Los Angeles. Il giorno
successivo si sarebbero svolti i funerali di Jennifer. Jasmine mi aveva chiesto di poter venire con
me. Le avevo detto che non era necessario, che sarebbe stato davvero pesante per lei che non
conosceva nessuno. Io, almeno, avrei avuto l’occasione di rivedere qualche persona cara.
Jasmine, invece, avrebbe potuto solo stare con me, e non era certo una prospettiva allettante in
questi giorni. Lei aveva insistito dicendo che voleva stare al mio fianco, che avrei avuto bisogno
di lei. Alla fine le avevo permesso di venire, per motivi egoistici. Sapevo, infatti, che avrebbe
tentato in ogni modo di non farmi annegare nelle lacrime.
Le indagini andavano a rilento. I nostri amici, Judy, Patricia, Bred e gli altri non erano ancora
stati interrogati. Solo una cosa era certa: Jennifer era stata pugnalata sei volte e strangolata e non
aveva subito altre violenze fisiche.
Quando l’agente Steeb me lo aveva riferito (ci eravamo incontrati all’Università mentre lui
cercava indizi) avevo capito che lui si chiedeva il motivo dello strangolamento quando Jennifer
aveva già subito ferite mortali causate dal pugnale. Avevo capito i suoi pensieri ma lui non li
aveva pronunciati perché non voleva che io trovassi un altro motivo per tormentarmi. E avevo
capito anche qualcos’altro. Io ero senz’altro il sospettato numero uno, per il semplice fatto che
ero l’unico a conoscere Jennifer e che avevo ammesso di essere stato nel bosco (e in un secondo
incontro con Steeb avevo spiegato che noi tutti avevamo bevuto, e che io e Jasmine non
sapevamo come eravamo rientrati nella sua camera). Non c’erano prove di nessun tipo ma
nemmeno niente che mi scagionasse. Avevo intuito, comunque, che Steeb non sospettava affatto
di me. Inoltre me lo aveva provato quando ci eravamo visti all’Università.
- Non sei sospettato ma sarebbe meglio che tu non ti allontanassi da Erie. Tu e i tuoi amici siete
gli unici, possibili, testimoni. Ma sei libero di andare ai funerali. Ti copro per tre giorni... per
allora dovrai essere tornato perché dovremo interrogarti di nuovo.- mi disse nella buvette del
Planet mentre sorseggiava un caffè.
Domenica e lunedì, io e Jasmine restammo rintanati nella sua camera. Io uscii lunedì, solo per
prendere da mangiare e da bere e fu allora che incontrai Steeb. Ritornai nella camera di Jasmine.
Alle due di martedì mattina uscimmo insieme dalla Hope House con una borsa da viaggio, mano
nella mano, e andammo all’aeroporto di Detroit con la mia macchina. Nel primo pomeriggio
atterrammo a L.A.
Avevo diverse possibilità di alloggio a L.A.. C’erano centinaia di alberghi, c’erano gli
appartamenti di due o tre amici, c’era la casa dei genitori di Jennifer che mi avevano invitato, e
c’era la casa dei miei genitori che nemmeno sapevano che sarei arrivato. Avevo sentito per
telefono Brooke, una delle più care amiche di Jennifer, e dopo parecchi minuti di pianti disperati
mi aveva invitato a dormire con Jasmine nel suo monolocale. Avevo invano cercato di rifiutare il
suo invito, perché non volevo distruggere la sua vita per ben due giorni consecutivi, ma poi
avevo accettato, felice perché non potevo desiderare una compagnia migliore.
Affittai una macchina (vivevo con i soldi lasciatemi dai miei nonni, prematuramente scomparsi)
e feci un lungo giro di L.A. con Jasmine, per farla ammirare a lei, per rivedere i luoghi in cui
avevo passato tutta la mia vita, i posti in cui ero stato con Jennifer... Quando suonai alla porta di
Brooke avevo gli occhi arrossati, per il pianto che mi ero fatto in macchina con Jasmine che mi
accarezzava il viso e i capelli, che mi baciava e mi stringeva la mano invano.
Cercai di ricompormi ma quando Brooke, aperta la porta, mi vide, scoppiammo entrambi a
piangere abbracciandoci per la prima volta in sei o sette anni.
41
Eravamo seduti su tre poltrone e stavamo parlando.
- Pensi di andare a trovare i tuoi?- mi chiese Brooke.
Temevo questa domanda da parte sua, o da parte di Jasmine. Non avevo ancora riflettuto su
questa possibilità.
- Non lo so, Brooke. Sai se sanno già di Jennifer?- Sì, Michael. Li ho avvertiti io.- rispose quasi mi avesse fatto uno sgarbo.
- Non lo so, Brooke. Ci penserò.- spiegai.
Jasmine mi guardava in silenzio. Si stava certamente chiedendo perché io non fossi contento di
rivedere i miei (non sapeva nulla della mia vita privata, sapeva solo di Jennifer e vagamente di
Simone), ma non mi chiese nulla in quell’occasione.
Brooke riuscì in qualche modo a convincerci ad uscire a cena. Andammo in un fast-food, in
modo da non essere costretti a mangiare troppo... Io e Brooke avevamo superato la fase delle
lacrime. Parlavamo molto dei vecchi ricordi e quindi il nome di Jennifer era sempre presente e
noi eravamo malinconici e tristi ma era bello ricordarla, i ricordi che ci legavano a lei erano belli,
l’immagine che noi avevamo di lei era bella. Jasmine mi coccolava più che poteva e sorrideva a
disagio ai nostri racconti anche se si vedeva che stava male per me.
Quella sera, quando avremmo dovuto dormire (eravamo tutti e tre sdraiati sul grande materasso
matrimoniale sul pavimento del monolocale di Brooke), Jasmine mi accarezzò il viso. Io mi
voltai, non credevo fosse ancora sveglia perché erano ormai quasi due ore che eravamo lì, con la
luce spenta.
- Che cosa c’è tra te e i tuoi genitori?- mi chiese Jasmine, piano per non svegliare Brooke.
- Te lo dico domani, amore. Adesso cerca di dormire.- le sussurrai baciandola sulla bocca.
Io non chiusi occhio, ma non per colpa della domanda di Jasmine.
Il giorno dopo, mercoledì, era il giorno del funerale. Ci preparammo e raggiungemmo casa
Thompson con la macchina di Brooke. Io suonai il campanello. La signora Thompson, la madre
di Jennifer, aprì.
Mi abbracciò e scoppiò in un pianto disperato. Mi ero ripromesso di non innaffiare tutti con le
mie lacrime ma era difficile. Non era un pianto per la figlia scomparsa, quello della signora
Thompson. Lo era, ma in quel momento era soprattutto un pianto di solidarietà tra me e lei per la
scomparsa di Jennifer, era un pianto di solidarietà perché lei sapeva che anch’io avevo sofferto
quanto lei.
- Scusami.- disse Maggie Thompson sciogliendo l’abbracciò con me.- Non è una bella
accoglienza.- disse con un sorriso amaro.
Io sorrisi ancora più infelice.
Maggie Thompson vide Brooke alle mie spalle e le tese le braccia. Si abbracciarono. Non si
dissero nulla. Jasmine si sentiva molto a disagio. La signora Thompson la vide ed io mi affrettai
a presentarla. La presi per mano.
- Questa è la mia fidanzata, Jasmine.La madre di Jennifer la guardò. Sembrava ammirarla.
- Jennifer sarebbe stata così contenta di conoscerla.- disse.
Ed io faticai parecchio a trattenere le lacrime. Jasmine non ci riuscì. La madre di Jennifer la
guardò stupita.
- Non dovrei nemmeno essere qui, non avevo nulla a che fare con Jennifer... non la conoscevo
nemmeno.- scoppiò Jasmine.
La madre di Jennifer l’abbracciò. Qualche lacrima scese anche a me e a Brooke.
- Sei la ragazza di Michael e quindi saresti stata una persona importantissima nella vita di
Jennifer. Sei la benvenuta.- disse commossa la signora Thompson.
Si sistemò un po’ il viso con un fazzoletto e poi rientrò in casa invitandoci a seguirla. C’erano
una decina di persone in soggiorno, corone floreali, fiori e piante dappertutto. Il padre di
42
Jennifer, George Thompson, ci vide e ci raggiunse. Abbracciò Brooke e poi, stupendomi e
mettendomi in imbarazzo, abbracciò anche me. Gli presentai Jasmine.
- Sei la ragazza di Michael?- le chiese.
Lei mi guardò e guardò anche Brooke, memore di quello successo davanti a casa con la moglie
del signor Thompson.
- Sì.- rispose timidamente.
Il padre di Jennifer l’abbracciò commosso.
Capii che Jasmine era un simbolo. Io ero molto importante per Jennifer (così mi diceva e, senza
falsa modestia, così pensavo io) e quindi anche Jasmine avrebbe avuto uno spazio importante
nella sua vita. Ma Jennifer non aveva potuto conoscere Jasmine. Nella vita di Jennifer era
accaduta una cosa importante ma lei non poteva gioirne. Jasmine rendeva felici i coniugi
Thompson perché erano affezionati a me, (e la tragica morte di Jennifer mi avrebbe avvicinato
maggiormente ai loro cuori), ma nello stesso tempo li faceva soffrire, perché era un segno che la
vita continuava ma che quella di Jennifer era finita.
Brooke prese a braccetto George Thompson e si fece accompagnare a salutare gli altri
conoscenti. Parlavano in pochi e tutti a bassa voce.
Jasmine mi guardò disperata, le lacrime agli occhi.
- Li faccio piangere tutti.- disse sconvolta.
- Piangono perché sanno che Jennifer è morta senza conoscere la fidanzata del suo più caro
amico... - le dissi mentre le asciugavo le lacrime con un fazzoletto.- Comunque non avrei dovuto
portarti qui. Dovevo lasciarti nel monolocale di Brooke.- dissi arrabbiato con me stesso. Jasmine
non si meritava questo.
Durante il funerale vidi i miei genitori. Li avevo visti anche a casa Thompson, per un attimo, ma
i nostri sguardi non si erano mai incontrati. Non li avevo salutati. Alla fine del funerale Jasmine
mi chiese sottovoce, mentre raggiungevamo la macchina, se erano presenti anche i miei genitori.
- Sono loro.- li indicai con un cenno della testa mentre camminavo mano nella mano con
Jasmine.
Brooke camminava accanto a noi.
- Ma erano a casa dei Thompson. E non li hai nemmeno salutati.- disse stupita.
- Non puoi capire.- le dissi.- Anche loro hanno fatto lo stesso con me. Ci siamo ignorati a
vicenda.- Vorrei conoscerli.- mi disse.
Mi fermai.
- Li vuoi conoscere perché così io sarò costretto a parlare assieme a loro, o perché t’interessa
davvero?- le chiesi.
Mi guardò un po’ arrabbiata.
- M’interessa davvero.- disse fredda.
- Lo so. Ma ho paura che tu lo faccia solo per aiutarmi, per capire cosa c’è tra noi.- le confessai i
miei timori.Lei non disse nulla. Forse avevo colpito nel segno.
Accelerai il passo e Jasmine e Brooke si adeguarono. Quando i miei genitori misero le mani sulle
maniglie della loro automobile, io ero davanti a loro.
- Ciao.- li salutai. Non volevo dire stronzate tipo: “Non ho fatto in tempo ad avvisarvi” o “Non
vi ho visti in chiesa”.
- Ciao.- dissero sorpresi.
Mia madre si avvicinò e mi abbracciò imbarazzata mettendomi a disagio. Io e mio padre ci
stringemmo la mano.
- Questa è Brooke.- la presentai ai miei.
Entrambi mostrarono di conoscerla già, perché io avevo parlato di lei con loro. Si salutarono in
modo cordiale.
- E questa è Jasmine. La mia fidanzata.- dissi.
43
Mia madre mi guardò stupita. Poi, sia lei che mio padre, come temevo, fecero l’inventario delle
curve di Jasmine. Mia madre si soffermò sulla gonna troppo corta forse ritenendola oltraggiosa
per un funerale. Non mi avrebbe stupito. Mio padre si soffermò un po’ troppo sulla curva dei
seni che la camicia nera di Jasmine non nascondeva. Credevo che non sarebbe mai arrivato il
giorno in cui io avrei presentato la mia fidanzata ai miei. Invece ero lì, e non ero stato costretto.
Forse sarebbe stata l’unica volta che Jasmine e miei si sarebbero visti, ma io non avevo nascosto
loro il mio rapporto con lei.
- Mi fa piacere conoscerti.- disse mia madre stringendo la mano a Jasmine.
- Il piacere è mio, signora.Si sorrisero. La scena si ripeté con mio padre.
- Mi è dispiaciuto molto per Jennifer.- disse mia madre.
Sapevo che lei era sempre stata un ostacolo tra me e mia madre, ma sapevo anche che era
sinceramente dispiaciuta. Non era poi così orribile come donna.
Annuii con la testa.
- Per quanto ti fermi?- mi chiese mio padre.
- Prendo l’aereo domani.- dissi tralasciando volutamente che il mio volo sarebbe partito solo
alle nove di sera.
I miei genitori annuirono.
- Dobbiamo andare.- aggiunsi.- Ciao.- li risalutai.
Ci salutammo tutti e poi ci separammo. Arrivati alla macchina vidi il signor Thompson davanti
alla portiera del posto del guidatore.
- Michael, dovrei parlarti in privato.- disse.
- Parli pure.- dissi incerto.- Non ho segreti da nascondere alle due signorine che mi fanno
compagnia.- dissi cercando di non innervosirmi.
- Ho saputo dal signor Steeb che tu e Jasmine siete tra i sospettati.- disse.
Fu come ricevere una pugnalata alla schiena. Mi vedevo rotolare sul prato del cimitero con il
signor Thompson che mi tirava pugni in faccia e mi urlava: “Come hai potuto!”, “Con che
coraggio hai osato presentarti a casa mia!”. Brooke era stupita. Io e Jasmine le avevamo taciuto
la verità.
- Non preoccuparti.- disse ancora il padre di Jennifer.- Non ho mai pensato che tu potessi fare
del male a mia figlia e non lo penserei nemmeno se tu fossi condannato.- disse.
Io mi commossi come, forse, si era commossa Jasmine quando l’avevo presentata ai miei come
la mia fidanzata.
- La ringrazio.- dissi.- Avevo paura a dirle la verità.- ammisi imbarazzato.
- Le tue lacrime dimostrano la verità.- disse mettendomi una mano sulla spalla destra.
Poi se ne andò.Guardai Jasmine che aveva gli occhi luccicanti. Poi guardai Brooke che mi
guardava ancora confusa.
- Salite in macchina.- dissi.- Credo che io e Jasmine dovremo raccontarti la storia.- dissi infine a
Brooke, abbozzando un sorriso.
Non mi piaceva rinvangare certi episodi.
- Cavoli, dev’essere stato terribile per te.- mi disse Brooke posando le mani sulle mie.
- Davvero.- dissi triste.
Sedevamo su due sedie, uno di fronte all’altra, nel monolocale di Brooke. Jasmine era alle spalle
di Brooke e si stava liberando dai vestiti scuri del funerale. Mi soffermai a guardarla mentre si
sbottonava la camicia lasciando intravedere il reggiseno. Lei si accorse che la guardavo e mi
sorrise timidamente.
- Non prendertela ma... credi che i tuoi amici possano avere a che fare con la morte di Jennifer?mi chiese Brooke.
Ora sedevamo sprofondati nelle nostre sedie e ci guardavamo. Pensai un attimo al fatto che
quella notte eravamo tutti sbronzi ma poi cacciai questa ipotesi dalla mente.
- No. Ne sono sicuro.- le dissi.
44
Jasmine si stava infilando un paio di jeans e mi guardava. Forse aveva avuto gli stessi miei
pensieri.
IX.
Il giorno dopo, verso le otto di sera, Brooke ci salutò. Eravamo all’aeroporto. Io avevo appena
consegnato la macchina che avevo noleggiato, mentre Brooke e Jasmine bevevano un caffè al
bar dell’aeroporto.
Quel giorno era passato silenzioso. Avevamo fatto un picnic dove io e Jennifer andavamo
solitamente. Jasmine non sapeva di quel posto ma lo seppe appena entrammo nel parco e mi vide
guardarmi intorno, con la tristezza in volto. Non parlammo molto. Brooke mi costrinse a recitare
dei versi di diversi autori e costrinse Jasmine a dare un saggio delle sue doti teatrali. Brooke ed
io parlammo di questi mesi passati lontani, lei nella solita L.A. ed io nella nuova Erie.
In quel momento, all’aeroporto, eravamo consapevoli dell’affetto che provavamo. Io abbracciai a
lungo Brooke, come non avevo mai fatto, e così fece anche Jasmine, trasportata dalla situazione.
- Ciao.- ci salutò Brooke allontanandosi con le lacrime agli occhi.
Io non piangevo e Jasmine forse si trattenne. Dovevamo tornare sul luogo del delitto.
Sull’aereo ci scambiammo carezze, baci e coccole fino a quando Jasmine non si addormentò
lasciandomi solo con i miei pensieri.
Sulla porta della mia stanza trovammo molti messaggi per me e Jasmine. I nostri amici avevano
deciso prima di noi che Jasmine si sarebbe trasferita da me, e avevano ragione. Steeb doveva
averli interrogati e così avevano saputo di me e di Jennifer. La porta era completamente
tappezzata da messaggi lunghi fogli e fogli. Aprii la porta e dopo essere entrato mi accorsi che
Jasmine non mi aveva seguito. Era entrata nella camera ma stava staccando fogli, biglietti e
lettere dalla mia porta.
Aprii la finestra e lasciai che l’aria fresca delle prime ore del mattino prendesse il posto di quella
che avevamo rinchiuso in questa stanza per giorni e giorni.
Mi sdraiai sul letto, ancora vestito, e Jasmine si sdraiò accanto a me. Insieme leggemmo le
testimonianze d’affetto e di solidarietà dei nostri amici. Judy, Bred, Jeff, Helena, Patricia,
Francine, Camilla e anche Samantha. C’era anche un biglietto di Boris che mi diceva che mi
avrebbe spaccato la faccia. Ancora quella storia della Coca-Cola.
Judy aveva attaccato alla porta una busta con una lettera. La lettera era lunghissima e Judy
scriveva di tante cose che non stavano né in cielo né in terra ma si capiva che era tanto
dispiaciuta per me. C’erano anche della macchie e dei rigonfiamenti, sulle tante pagine, che
facevano pensare che Judy avesse pianto parecchio mentre scriveva quella lettera. Dovevo
proprio parlarle.
Io e Jasmine ci spogliammo, chiudemmo la finestra e abbassammo del tutto gli avvolgibili. Non
mi passava per la mente l’idea di fare l’amore con lei perché non ne avevo assolutamente voglia,
non dopo quello che era successo, non in questo momento. Ma questo non m’impediva di sentire
un tuffo al cuore quando la vedevo con la sola biancheria intima addosso e di vedere quanto
fosse bella.
Non chiusi la porta a chiave in modo che se Judy o qualcun’altro avesse voluto parlarci non
avrebbe dovuto far altro che entrare. Poi, io e Jasmine cercammo di annegare i pensieri con
qualche ora di sonno profondo.
Ci svegliammo alle due del pomeriggio. Appena Jasmine si mosse al mio fianco, con i suoi
occhioni aperti, le stampai un bacio sulle labbra. Mi sorrise e mi abbracciò. Rotolammo sul letto
e piombammo per terra. Ridemmo e ci guardammo sorridenti, io con la schiena sul pavimento e
45
Jasmine sdraiata sopra di me. Poi bussarono alla porta.
- Michael? Sono Steeb.Eravamo ritornati a Erie e a tutto quello che comportava.
- Arrivo.- dissi.
Potevamo stare in silenzio e fare finta di non esserci. Ma Steeb era un poliziotto, era quasi sicuro
che avrebbe controllato se la porta era chiusa a chiave. E non lo era.
Mi alzai e presi un maglione dall’armadio. Lo porsi a Jasmine che lo indossò in fretta e s’infilò
anche un paio di miei calzoncini. Io m’infilai un paio di jeans e una maglietta che trovai per
terra. Aprii la porta a piedi scalzi.
- Salve.- dissi.
- Salve.- disse Steeb a disagio. Non gli piaceva piombare nelle case altrui di sorpresa.
- Avrei ancora un paio di domande per te e Jasmine.- disse. Proprio in quel momento Jasmine
comparve alle mie spalle.- Poi non vi disturberò più. Promesso.Io sollevai le spalle.
Steeb era incerto.
- Dove facciamo?- chiesi.- Va bene qui o veniamo in centrale?Steeb scosse la testa.
- No, niente centrale. Vi risparmio questa seccatura.- disse. Comunque non sembrava molto
contento di espletare questa formalità nella mia stanza, quando era chiaro che ci eravamo appena
svegliati. Per terra c’erano vestiti, borse, i messaggi che avevamo trovato sulla porta e tutto
questo era visibile anche dal corridoio della Hope House. Era quello che vedeva Steeb.
- C’è la cucina. A metà corridoio... se vuole... - proposi.
Steeb sembrò sollevato.
- Perfetto. Vi lascio qualche minuto?- chiese gentilmente.
Mi voltai per vedere cosa ne pensava Jasmine. Scosse la testa in un movimento quasi
impercettibile ma che avevo imparato a riconoscere. Tornai a guardare Steeb.
- No, grazie. Possiamo andare.- dissi.
- Il fatto è questo: io sono sicuro che voi non abbiate ucciso Jennifer. Non volontariamente.disse Steeb mentre Jasmine gli preparava un caffè. Aveva appena finito di porgerci le sue
domande.
Jasmine rischiò di far volare a terra la caffettiera. Io sgranai gli occhi.
- Che cosa vuole dire?- gli chiesi.
- Non affrettate le conclusioni. Non sto dicendo che l’avete uccisa per sbaglio o per legittima
difesa e poi, per paura che nessuno vi credesse, avete simulato un brutale omicidio e ve la siete
data a gambe.- disse imbarazzato.- Ma voi stessi sapete che c’è un lasso di tempo di circa quattro
ore di cui non ricordate nulla. Eravate ubriachi e avreste potuto ucciderla credendo che fosse un
mostro o chissà cos’altro.Io mi sentii gelare il sangue. Jasmine si sedette con noi al tavolino della piccola cucina
lasciandosi cadere rumorosamente sulla sedia.
La caffettiera avvertì che il caffè era pronto. Jasmine non si mosse. Io e lei guardavamo il
tavolino. Steeb ci interrogò con lo sguardo e poi si arrese.
- Penso io al caffè.- disse alzandosi.
Io e Jasmine tornammo nella mia stanza. Steeb se n’era andato dicendoci di non preoccuparci.
Nessuno avrebbe potuto infastidirci di nuovo per l’omicidio. Eravamo puliti e anche se non
avevamo alibi, non c’erano nemmeno prove a nostro sfavore. Sembrava che Steeb fosse il nostro
avvocato. Ci lasciò con un sorriso stampato in faccia, convinto di salutare una coppia di
innocenti innamorati. Ma eravamo noi, ora, a non essere più convinti della nostra innocenza.
Quella sera sedevo sul letto pettinando i capelli di Jasmine, inginocchiata ai miei piedi, e cercavo
di ricordare qualcosa di più di quella notte. Ma era tutto inutile.
46
La mattina successiva mi svegliai e vidi Jasmine intenta a mettere un po’ in ordine in camera.
Le sue mutandine spuntavano dalla maglietta che indossava, ed era evidente che non portava il
reggiseno. Avevo imparato molte delle sue abitudini, come quella di togliersi il reggiseno mentre
eravamo a letto, al buio. Ogni tanto indossava una maglietta, altre volte rimaneva semplicemente
a seno nudo. Avrei voluto vederla così, con la maglietta che mostrava il suo seno, e avere voglia
di baciarla, di stringerla tra le braccia, di fare l’amore con lei. Ma non era così. E chissà quanto
tempo sarebbe dovuto passare perché io e lei tornassimo a provare certe sensazioni. E chissà
quando avremmo finalmente fatto l’amore insieme, per la prima volta.
Jasmine era nella sua camera a prendere dei vestiti da portare da me, quando Judy bussò alla
porta della mia camera.
- Avanti.- dissi.
Ero seduto per terra a sistemare i libri sulla moquette, contro il muro.
Judy entrò e corse ad abbracciarmi. Mi alzai e quando lei si buttò addosso a me, con le braccia
aperte, finimmo sul letto. Pianse.
- Come mi dispiace. So che tenevi molto a lei.- disse tra le lacrime.
- Calmati. E’ tutto a posto. Ho sofferto molto e soffrirò ancora, ma non puoi farci nulla. Con il
tempo ricorderò solo i bei momenti passati con lei e quello che è accaduto qui diventerà sbiadito,
come una vecchia lettera di una fidanzata che mi ha lasciato o una lettera di licenziamento.Judy mi guardò in modo strano.
Sollevai le spalle.
- Non intendevo prendermi gioco di te, so che non sarà mai come ho detto ma non devi
preoccuparti. Non serve a nessuno che tu ti preoccupi. Ci sarebbe solo una persona in più che sta
male e questo è inutile. Me la caverò.- le dissi aprendomi maggiormente.
Judy non trovò le parole adatte e allora mi abbracciò di nuovo. Restammo così per un’eternità,
interrotti dall’arrivo di Jasmine. Judy si alzò con le lacrime agli occhi e corse ad abbracciarla.
Poi ci sedemmo tutti sul letto e facemmo tanti di quei discorsi inutili su quello che era accaduto.
Ma era un modo per sfogarsi, un tentativo di liberare la mente per dimenticare con più facilità
l’accaduto.
Quel sabato ci fecero tutti visita: Camilla, Jeff, Bred, Francine, Patricia e Helena. Erano tutti
molto dispiaciuti e non sapevano cosa dire. Io li guardavo e cercavo di capire se tra loro ci fosse
l’assassino di Jennifer, ma poi mi davo dello stupido. Verso sera, quando io e Jasmine restammo
da soli, bussarono alla porta. Andai ad aprire con solo un paio di jeans addosso. Era Samantha.
Rimasi stupito anche se avevo letto il suo messaggio. E lei conosceva Jennifer meglio di
chiunque altro qui al college, anche se le aveva parlato solo al telefono.
Mi guardava scuotendo la testa e intanto le lacrime iniziavano a scendere sulle sue belle guance
e scendevano sempre più velocemente.
- Mi dispiace tanto.- disse.
- Lo so.- le dissi. Ero stufo di sentirmelo dire ma non per questo non apprezzavo la sua
sincerità.- Mi dispiace anche per te.- dissi.- Per quel poco che vi conoscevate... eravate
affezionate l’una all’altra.Poi ci abbracciamo sulla porta. Dopo qualche istante Samantha si scostò e cercò di asciugarsi il
viso con le maniche della tuta. Mi girai accorgendomi della presenza di Jasmine che si era
chiesta chi potesse essere.
- Ciao Samantha.- disse Jasmine. Non sapevo che si conoscessero.
- Ciao.- la salutò stupita. La vedeva con indosso solo una maglietta, in camera mia, quindi non
sapeva della nostra relazione.
Poi Samantha tornò a guardare me.
- Volevo solo vederti.- mi disse. Mi accarezzò una guancia e percorse in fretta il corridoio verso
la sua stanza.
47
Io chiusi la porta e tornai verso il letto, abbracciato a Jasmine.
- Non sapevo che vi conosceste.- le dissi.
- Andavamo a scuola insieme a N.Y.- mi spiegò.
Rimasi di nuovo stupito ma poi mi resi conto che sapevo già che abitavano entrambe nella
grande mela. Certo non era così facile conoscere due ragazze newyorchesi che si conoscessero
tra di loro. C’era una possibilità su milioni.
- E’ molto simpatica.- mi disse.
- Sì. Ma sembra che tu le abbia messo paura. Sembrava temere che tu facessi una scenata di
gelosia.- osservai.
Jasmine si sedette sul letto a gambe incrociate, coprendole con la maglietta.
- Beh, non le ho mai rubato un ragazzo ne lei lo ha rubato a me. Siamo sempre andate d’accordo
anche se non ci frequentavamo molto. Anche qui a Erie ci siamo sempre salutate e qualche volta
abbiamo preso insieme il caffè, la mattina.Stavamo cambiando discorso. Mi sembrava quasi un sacrilegio non parlare più della morte di
Jennifer ma tanto non facevo che pensarci.
Mi sdraiai sul letto e Jasmine si sdraiò accanto a me. Mi accarezzò i capelli e il viso fino a
quando non mi addormentai.
Domenica mattina mi svegliai udendo la voce di Judy. Lei e Jasmine erano in piedi, un paio di
pantofole a forma di animale ai piedi per ciascuna, una maglietta che copriva le mutandine e
nient’altro, e parlavano di Bred e Patricia. Mi mossi nel letto e si voltarono a guardarmi.
- Scusaci.- disse Jasmine imbarazzata.
- Non è niente.- dissi sereno.
- Ciao.- mi salutò Judy con la mano.
Le sorrisi. Bussarono alla porta. Judy guardò Jasmine. Io guardai il loro abbigliamento e decisi
che era meglio che fossi io ad aprire. Mi alzai e indossai un paio di jeans, come al solito. Aprii e
mi ritrovai di fronte Boris. Lui però non sapeva associare la mia faccia al mio nome.
- Sei Michael Stebbins?- mi chiese.
Ahia. Ero nei guai.
- Sì.- risposi preoccupato.
Il suo pugno mi si stampò in pieno volto. Piombai a terra e subito Judy e Jasmine accorsero.
Boris era sulla porta mentre io ero lungo disteso nel corridoio della mia stanza. Mi alzai aiutato
dalle ragazze.
- Senti, mi dispiace. Aspetta che ti do i soldi che ti devo.- gli dissi cercando di mantenere la
calma.
- No, stronzo. Adesso mi hai stufato. Puoi darmi tutti i soldi che vuoi ma io ti cambio i
connotati.- disse furioso.
- No, senti tu. Non è il momento migliore per dirmi certe cose. E’ meglio che lasci perdere, ho
già abbastanza problemi, davvero.- cercai di spiegargli ma lui si fece sotto.
- Poche balle.- disse avventandomisi contro.
Mi centrò allo stomaco con un pugno che sembrava un mattone. La mattina presto, con lo
stomaco che mi ritrovo, non è certo un piacere. Cercò di colpirmi di nuovo ma io schivai il
colpo. Lo colpii in faccia e lui arretrò. Lo colpii di nuovo e ci ritrovammo nel corridoio del
piano. Cercò di attaccare ma era lento e bloccai il suo pugno. Lo sbattei contro la parete e lo
presi a pugni, lo tempestai di pugni. Poi Jasmine e Judy mi bloccarono. Mi lasciai cadere a terra
dove precipitò anche Boris. Non era privo di sensi. Lo presi per il colletto della camicia e
avvicinai il mio viso al suo. La mano destra di Jasmine mi stringeva la spalla.
- Mi dispiace.- dissi sincero a Boris. Presi dalla tasca dei soldi, molti di più del prezzo di due
lattine di Coca-Cola, e glieli ficcai nella tasca della camicia.- E’ morta la mia migliore amica ed
io sto di merda.- dissi scoppiando a piangere.- Scusami.- dissi ancora mentre Jasmine e Judy mi
sollevavano da terra. Mentre rientravo nella mia stanza sostenuto da loro vidi Samantha che
osservava la scena dall’altra parte del corridoio.
48
Mi coricai a letto e poco dopo Judy non c’era più. Jasmine mi coccolava e mi teneva del ghiaccio
sul viso. Io continuavo a singhiozzare.
Nessuno di noi due spiegò il perché ma lunedì mattina ci svegliammo presto, ci facemmo la
doccia, non ancora insieme, e ci vestimmo. Prendemmo un caffè nella cucina del piano, per me
era un evento quasi eccezionale, e ci presentammo puntuali a lezione. Sapevamo che era meglio
così ma era dura perché Jasmine non frequentava i miei corsi e Bred era sempre più freddo con
me. Passai tutta la mattina al suo fianco. Io scarabocchiavo sul bloc-notes e lui seguiva la lezione
imperturbabile, freddo e silenzioso. Alla pausa di mezzogiorno lo aspettai fuori dall’aula.
- Ascoltami.- gli dissi bloccandolo nel corridoio del primo piano del Planet.- Che cos’hai? Ce
l’hai con me? Ho fatto qualcosa che ti ha offeso? Sei geloso?- gli chiesi quasi disperato. Volevo
capire, e non c’era bisogno di avere altri problemi in questo periodo.
Bred fece la faccia colpevole e abbassò leggermente il capo.
- Sono geloso, sì! Ma tu non ne puoi nulla. E Jasmine nemmeno. Lei mi piace molto ma lei ama
te e tu ami lei. Non ha alcun senso che io sia geloso... ma lo sono. Non devo prendermela con te
o con lei per questo, ma... Mi dispiace.- mi disse sincero.
- Non c’è problema.- gli dissi abbracciandolo. Non lo avrei mai fatto ma non avevo mai avuto
così bisogno di affetto e in quei giorni abbracciavo tutti quelli che potevo.
- Un’altra cosa, Michael.- mi disse.
Lo guardai attento alle sue parole.
- Ti prego di non dirlo a Jasmine, per favore.- mi guardò preoccupato.
- D’accordo.- lo rassicurai annuendo. Non mi piaceva nascondere qualcosa a Jasmine, non lo
avevo mai fatto, ma non sarebbe stato grave nasconderle questo.
Jasmine ci raggiunse. Era vestita come quella mattina ovviamente, gonnellina corta nera, pull di
cotone bianco aderente e cardigan nero, con collant e scarpe nere, ma in quel momento che ero
più sereno la guardavo con altri occhi. E lei lo percepiva e mi guardava felice. Bred ci salutò e ci
lasciò soli. Io la presi per mano e mi avviai verso la buvette. Mangiammo seduti al tavolino dove
ci eravamo conosciuti e oltre a mangiare il mio toast mi ritrovai, dopo tanto tempo, a mangiare
con gli occhi la mia amata. E lei lo sapeva ed era felice. E vederla felice rendeva felice anche
me.
Quella sera io e Jasmine completammo il trasloco e adesso nella sua vecchia stanza non c’era più
nulla di suo. Andammo da Samantha e le comunicammo che Jasmine lasciava la sua stanza.
Samantha, da responsabile del piano, doveva comunicarlo alla segreteria che di seguito avrebbe
comunicato che vi era una stanza disponibile a chiunque ne avesse fatto richiesta. La mia stanza
era sommersa dai tantissimi vestiti di Jasmine e alla mia moltitudine di libri si aggiunsero i suoi.
Eravamo più stretti ma adesso Jasmine non poteva più sentirsi un’ospite. Adesso la mia stanza
era la sua e il mio letto era il suo. Da veri innamorati festeggiammo in cucina, a notte inoltrata,
con del succo di albicocca e dei crackers. Poi passammo il resto della notte abbracciati nel
piccolo letto.
Martedì mi risvegliai e vedendo vestiti miei e di Jasmine dappertutto mi ripromisi di risolvere il
problema. Svegliai Jasmine e la portai di peso in bagno, sotto la doccia. Non accesi l’acqua
perché non ero ancora arrivato a spogliarla... Lei reclamò per essere stata tirata giù dal letto e poi
io uscii dal bagno. Mentre mi vestivo ripensai a quanto avrebbe fatto piacere a Jennifer, quella
sera, ricevere una mia telefonata che le spiegava la mia reazione alla convivenza con Jasmine.
Non potevo togliermi dalla mente Jennifer, e non lo volevo!!!, ma potevo cercare di pensare a lei
senza scoppiare in un pianto disperato.
A pranzo vagai per l’Uni leggendo tutti gli annunci degli studenti per cercare qualche armadio
per i nostri vestiti: niente! Jasmine pranzò con Francine e Judy. Il pomeriggio parlai del
problema dei vestiti a Bred, durante la lezione, e lui mi suggerì di cercare in città o, addirittura,
di prendere sega e martello e pensarci da me.
49
Alla fine delle lezioni mi trovai con Jasmine nel prato tra l’Hope House e il Planet. Ci baciammo
con passione per molto tempo e poi riuscii finalmente a parlarle.
- Devo andare in città.- le dissi.- E’ una sorpresa... E se tu potessi stare da Francine fino alle
otto, la sorpresa riuscirebbe meglio.- Ok.- disse sorridendomi.- Non mi dai un indizio?- chiese curiosa.
Scossi la testa.
- Potrei torturati.- mi fece notare.
Risi a queste parole.
- O potrei cercare di convincerti a dirmi tutto...- disse.
Mi strinse contro di se e mi baciò in modo molto sensuale. Mi mordicchiò le labbra, fece
scivolare la sua lingua contro la mia e mi baciò ancora e ancora. E poi si scostò e rise. Mi salutò
con la mano e se ne andò camminando all’indietro e sorridendo per farmi capire che in fondo
non aveva avuto nessuna intenzione di farmi spifferare tutto. La guardai ammirato allontanarsi
attraverso il prato e dirigersi verso il bosco. Poi ricollegai il bosco a Jennifer e smisi di essere
felice. Mi tirai una manata in fronte e mi diressi verso la macchina con sentimenti contrastanti
che mi vagavano per il cervello. Andai in città e decisi di non perdere tempo con gli annunci.
Andai in un piccolo negozietto di mobili usati e trovai un bel mobile di legno, marrone scuro,
che faceva al caso. Era ampio e molto bello. I mobili della Hope House erano vecchiotti ma
questo lo era di più. Decisi di comprarlo e dopo avrei anche potuto pitturarlo di bianco, visto che
l’arredamento della nostra stanza era bianco.
- Lo prendo.- dissi al vecchio negoziante che mi stava servendo.- C’è solo un piccolo problema.- Non c’è più, figliolo, perché per il trasporto ti aiuteranno i miei tre nipoti.- mi disse
sorridendo.
Non potei che sorridere a mia volta.
Dopo qualche minuto guidavo verso l’Uni seguito dai tre nipoti del negoziante che sedevano in
furgone scassato. Nel retro c’era il mobile.
Impiegammo mezz’ora per portare il mobile, lungo le rampe della scale, su fino al terzo piano.
Per fortuna non era troppo largo e riuscimmo a farlo entrare nella stanza. Lo sistemammo vicino
a quello bianco che faceva parte dell’arredamento standard delle stanze della Hope House.
Mentre riprendevamo fiato, i tre fratelli si guardarono intorno osservando la stanza che dividevo
con Jasmine.
- Avevate proprio bisogno di questo armadio tu e la tua ragazza.- commentò il più magro dei tre.
- Eh, sì.- replicai.
Alle otto Jasmine bussò alla porta. L’aprì per uno spiraglio.
- Posso? Michael?- chiese impaziente di vedere la sorpresa.
- Aspetta.- le dissi.
Corsi alla porta.
- Chiudi gli occhi.- lei obbedì ed io la presi per mano. La feci entrare e, dopo aver chiuso la
porta, la guidai fino alla scrivania. La voltai verso il mobile e le dissi questo:
- Non è sicuramente niente di quello che puoi avere immaginato, ma spero comunque che ti
faccia piacere. Apri pure gli occhi.Lei aprì gli occhi e vide l’armadio con due ante enormi e quattro ampi cassetti in fondo. Un
sorriso le riempì il viso e non potevo non crederlo sincero. Mi abbracciò.
- E’ bellissimo. E sei stato molto dolce... Prima mi ospiti qui e poi questo.- mi disse.
- Lo pitturiamo di bianco?- chiesi.
Lei annuì e mi baciò. Poi si voltò e aprì le ante dell’armadio. I suoi vestiti erano appesi in
perfetto ordine. Altri erano nel mio armadio. Aprì i cassetti in basso, uno per la biancheria
intima, uno per le magliette, uno per i maglioni e uno per calze e accessori vari. Era stato più
difficile piegare tutto per bene che portare l’armadio per tutti quegli scalini. Jasmine era in
ginocchio davanti ai cassetti aperti e sembrava non crederci.
50
- Chissà che fatica!- esclamò.- Sei un tesoro.Mi sedetti per terra accanto a lei e poco dopo eravamo sdraiati uno sull’altra e ci baciavamo.
X.
Per tutta la settimana io e Jasmine girammo mano nella mano, le nostre labbra erano incollate e
roventi ed io non facevo che pensare a quando avrei fatto l’amore con lei. Poi sabato, mentre
passeggiavamo nel prato davanti al Planet, vidi Steeb scendere gli scalini del Planet. Mi fermai e
Jasmine vide dove era diretto il mio sguardo. Prevedevo brutte notizie. Steeb non camminava
nella nostra direzione ma voltandosi ci vide in mezzo al prato. Credevo che avrebbe cambiato
direzione e ci avrebbe raggiunti, invece ci saluto con la mano sorridendo e continuò per la sua
strada. Jasmine mi strinse la mano più forte.
- Chissà cos’altro c’è.- diede voce ai suoi pensieri.
“Niente di buono” pensai.
Lunedì Bred non venne a lezione. Mentre tornavo in camera, stavo attraversando il prato, lo vidi
dirigersi verso la biblioteca. Non sembrava essere malato. Pensai che forse aveva preferito
sfruttare la giornata per studiare. Entrai in camera. Jasmine, che aveva finito le lezioni due ore
prima, era sotto la doccia. Mi sdraiai sul letto e mi misi a leggere un libro di Bukowsky. Più
tardi, Jasmine uscì dalla doccia e mi raggiunse. Era silenziosa e fredda. Non mi baciò e mi salutò
appena. Prese dei vestiti e si cambiò in doccia. Io ero stanco, stanchissimo e non volevo
affrontare una discussione. Decisi di aspettare che fosse lei a parlarmi, se aveva qualche
problema. Ma Jasmine uscì dal bagno e sconvolse i miei piani.
- Stasera dormo da Francine.- disse.
Non furono le parole che mi sconvolsero ma il modo in cui mi parlò Jasmine.
- Studiamo insieme e allora rimango lì...- aggiunse cercando di spiegare la situazione.- Ciao.Se ne andò senza darmi nemmeno un bacino sulla guancia. Non sapevo cosa pensare. Accesi lo
stereo al massimo e mi tuffai sotto il piumone, avvinghiato al cuscino. Succedevano troppe cose
che non mi piacevano.
A mezzanotte bussarono alla porta. Io avevo abbassato il volume dello stereo ma non dormivo.
Non avrei potuto farlo dopo che Jasmine si era comportata in modo così strano. Andai ad aprire.
Mi trovai davanti Judy.
- Ciao Michael. Dormivi?- No, Judy.- la rassicurai.
- Posso entrare?- chiese un po’ a disagio.
- Certo.- le dissi svelto.
Mi passò accanto sfiorandomi la guancia sinistra con le sue labbra. Si addentrò nella stanza buia
e accese la luce del comodino. Io la segui. Judy era seduta sul letto a gambe incrociate.
Indossava un accappatoio pesante. Io avevo aperto in jeans, come mia abitudine.
- Non mi chiedi dov’è Jasmine?- le chiesi stupito.
- No. L’ho vista uscire dalla Hope House mezz’ora fa. Immagino sia andata da Francine o da
Helena.- mi disse lei.
“Ma come....”mi chiesi. Era uscita da qui più di cinque ore fa. Non lo dissi a Judy.
- Beh, allora, come mai qui?- le chiesi poi, cercando di nascondere il nervosismo per la storia di
Jasmine.
- Volevo sapere se anche tu e Jasmine eravate stati interrogati?- spiegò.
- Beh, certo. Come tutti.- risposi stupito. Judy lo sapeva benissimo.
- Sì, d’accordo... Ma io intendevo, se Steeb vi aveva interrogati in questi giorni?- mi guardava
con una strana espressione che non seppi decifrare.
- In questi giorni?- chiesi stupito.- No! Ma perché? Qualcuno è stato interrogato?51
- Jeff e Helena sono stati interrogati. Helena tre volte. Gli altri non so.- mi spiegò.
Rimasi sbalordito.
- Ma come, non sai se Francine è stata interrogata? Non glielo hai chiesto?- chiesi meravigliato.
Erano amiche e seguivano gli stessi corsi.
- Helena non voleva che lo dicessi a nessuno. Aveva paura che... che qualcuno di noi pensasse
che fosse lei l’assassina.- confessò.
Io annuii. Capivo Helena.
- Pensa che prima ero da Francine ma non ho potuto chiederle niente. Lei però non mi ha detto
nulla. Credo che se fosse stata interrogata me lo avrebbe detto.- continuò.
- Prima?- chiesi.- Fino a che ora?- Fino a un’ora fa. Sono stata lì tutto il pomeriggio.- mi rispose non capendo la mia curiosità.
- E non hai visto Jasmine? Mi ha detto che sarebbe andata da Francine e Camilla, ma è uscita
più di cinque ore fa.- dissi sconvolto. Non capivo più nulla.
- No, lei non c’era.- disse sentendosi colpevole di avermi aperto gli occhi.
“Magari si è fermata da Samantha” pensai.
- Magari si è fermata da Samantha.- propose Judy.
La guardai stupito. Ma più ci pensavo, più mi sembrava assurdo.
Cercai di scacciare tutte le folli idee che volevano annidiarsi nella mia mente.
- Tu non sei stata interrogata?- chiesi a Judy.
- No. Te lo direi subito se succedesse. Non mi fido di nessun altro.- mi spiegò.
Spensi lo stereo e aprii la finestra per fare entrare un po’ di aria fresca.
- Perché dici così? Pensi che sia stato uno di noi?- le chiesi.
- Ne sono sicura. Non so chi ma il colpevole è tra noi.- disse inorridita. Un brivido la percorse.
Chiusi subito la finestra.
- Posso dormire qui, stanotte?- mi chiede nervosa.
- Hai paura?- le chiesi.
Annuii. Io mi sedetti accanto a lei, sul letto, e l’abbracciai.
- Dormiremo insieme.- dissi dolcemente.
Lei si tolse l’accappatoio mostrando un pigiama da uomo e s’infilò sotto il piumino. Io spensi la
luce, mi tolsi i jeans e mi sdraiai accanto a lei.
Quella mattina fui svegliato da un bacio veloce come un fulmine sulle labbra. Pensai a Jasmine
ma vidi solo Judy. Non ero arrabbiato con lei per quel bacio. Mi ci voleva. Lei era già in piedi e
indossava l’accappatoio.
- Grazie tante.- disse.- Devo scappare, ho una lezione.- Aspetta.- le dissi.- Vuoi che pranziamo insieme?- le chiesi preoccupato per lei.
- No, è meglio che non ci vedano insieme.- disse scomparendo nel piccolo corridoio.
Poco dopo sentii la porta aprirsi e chiudersi. Non capivo da chi dovevamo nasconderci. Non
capivo assolutamente niente.
Aspettai Jasmine ma non arrivò. Non andai a lezione. Presi la macchina e vagai per la campagna.
Senza rendermene conto mi ritrovai nel mio boschetto, dove mi ero addormentato tanto tempo
prima. Fermai la macchina dove l’avevo fermata allora e mi sdraiai sul cofano cercando di
addormentarmi. Ma non ci riuscii mai.
Verso le otto di sera rientrai nella mia stanza. Jasmine saltò giù dal letto e mi corse incontro. Mi
abbracciò e mi baciò ma io non feci nulla. Mi lasciò con il morale sotto i suoi piedini.
- Dov’eri andato? Ero preoccupata. Non ti ho visto tutto il giorno.- mi chiese. Sembrava davvero
essere stata in pensiero per me.
“Dove sono stato? Vuoi che ti dica la verità o vuoi che ti dica una menzogna come hai fatto tu
con me, ieri pomeriggio?” pensai.
- Sono stato in giro. E tu, dove sei andata ieri?- le chiesi arrabbiato.
Mi guardò ma non sembrava in colpa, sembrava solo triste per il tono della mia voce.
52
- Non sono più andata da Francine. Puoi chiederglielo, mi aspettava ma io non ci sono andata.
Non volevo vedere ne lei ne Camilla. Stavo scendendo le scale e ho pensato di andare a trovare
Bred. Lui stava studiando, così gli ho chiesto se potevo studiare con lui. Ed è quello che ho
fatto.- mi disse.
Io le passai accanto e mi sedetti sul letto.
- Non mi credi? Sei arrabbiato con me?- mi chiese preoccupata.
- Non lo so. Non so più cosa credere.- le dissi stanco e depresso.- Dove hai dormito?- Ho dormito da Patricia, alla Kent House. Chiediglielo, se non ti fidi.- mi disse triste. Aveva gli
occhi lucidi, segnale di pianto in arrivo.
- Sapevi che Steeb ha interrogato ancora qualcuno di noi, nei giorni scorsi?- le chiesi curioso.
L’espressione del suo viso mi rivelò la sua risposta prima che le uscissero le parole di bocca.
- No! Davvero? Chi ha interrogato?- mi chiese stupita.
- Jeff e Helena. Me lo ha detto Judy. E’ venuta qui ieri notte ed è rimasta qui a dormire. Helena
non voleva che si sapesse quindi fai finta di non saperlo...- le spiegai.
Lei annuì. Le lacrime non erano ancora scese ed io mi ero calmato un po’...
Allargai le braccia in un gesto inequivocabile. Il viso di Jasmine s’illuminò di gioia e lei mi
abbracciò. La strinsi forte a me.
- Mi dispiace tanto.- disse piangendo.- Se cambierò programma te lo dirò subito, la prossima
volta.- Lascia stare. Sono stato uno stupido a prendermela così.- la rassicurai stringendola contro di
me.
Più tardi ci addormentammo sereni, uno nelle braccia dell’altra.
Mercoledì io e Jasmine tornammo all’Uni tenendoci per mano. Il pericolo “guerra” era rientrato.
Ci baciammo a lungo prima di separarci per andare alle rispettive aule. Dopo l’ultimo bacio mi
soffermai a guardarla negli occhi mentre le accarezzavo i riccioli. Jasmine mi accarezzava il
volto con entrambe le mani. Mentre i suoi occhi mi dicevano tante cose che lei non aveva mai
osato dirmi, le accarezzai il seno destro attraverso la camicia di seta nera che indossava. Non
sapevo come l’avrebbe presa ma un luccichio nel suo sguardo mi tranquillizzò.
Avvicinò le sue labbra alle mie ma non mi baciò. Io volevo assolutamente un ultimo bacio
perché avevo tanta voglia di fare l’amore con lei, e non potevo. Avvicinò la bocca al mio
orecchio destro e mi sussurrò queste parole:
- Ti amo e voglio fare l’amore con te, questa sera.Fui così piacevolmente stupito che quasi mi lasciai sfuggire quel bacio. Lei fece un passo
indietro, sempre guardandomi, ma io la presi per la vita e la strinsi contro di me baciandola con
passione per l’ultima volta.
- Ti amo anch’io e voglio fare l’amore con te.- le dissi piano, guardandola negli occhi a pochi
centimetri dal suo viso.
Fece una decina di passi all’indietro senza togliere gli occhi dai miei, in mezzo ad una
cinquantina di studenti, prima di girarsi e scomparire lungo il corridoio. Mi voltai e mi diressi
verso la mia aula.
Incrociai Patricia ma non mi sognai nemmeno di chiederle se Jasmine avesse dormito da lei
lunedì notte. La salutai e raggiunsi Bred che si era fermato ad aspettarmi.
- Jasmine ti ha detto che si è fermata a studiare da me, lunedì sera?- mi chiese Bred mentre
entravamo a lezione.
- Sì.- gli risposi freddo.
- Grazie per non averle detto della mia gelosia per voi... Se glielo avessi detto non le sarebbe
passato per la mente di venire nella mia camera. Mi ha fatto piacere studiare con lei.- disse.
Io ascoltai pensieroso. Il modo di fare di Bred era strano, sospettoso. Ma lasciai perdere questi
ridicoli pensieri.
53
La giornata passò lentamente. Non cercai Jasmine a pranzo e nemmeno lei lo fece, forse
volevamo rendere quella serata ancora più speciale. Non ci eravamo dati appuntamento quindi
non sapevo bene cosa fare. Finite le lezioni pomeridiane aspettai Jasmine di fronte al Planet ma
lei non si fece vedere. Allora decisi di andare in camera. Entrai, pensieroso ma non ancora
nervoso. Avevo passato l’intera giornata a pensare a quello che sarebbe successo e ora che stava
per succedere ero pronto e non preoccupato. Appena misi un piede nella stanza buia, i R.E.M.
iniziarono a cantare. E la camera, la “zona letto”, iniziò a illuminarsi di una luce fioca e intima.
Luce di candele. E il bagliore aumentava sempre più. E poi, nel corridoio in penombra, io ero
appoggiato alla porta chiusa, apparve Jasmine. Era una visione, gli splendidi ricci illuminati
dalla luce delle candele, il viso in penombra e gli occhi che risaltavano nell’oscurità. Indossava
un vestitino corto, nero, stretto dalla vita in su. Era a piedi nudi. Appoggiai i libri per terra e la
osservai, con i R.E.M. che ci cullavano dolcemente.
- Non so se avevi in mente qualcos’altro...- disse nervosa.
Scossi la testa e il nervosismo assalì anche me. M’invito a prenderla per mano e lo feci. Superai
il corridoio insieme a lei e vidi il letto, per una volta era intatto e preparato con cura, e le candele
sparse per terra, sul comodino, e sulla parte della scrivania che non era visibile dall’entrata.
Sorrisi a quella vista. Vidi anche una bottiglia di champagne in un contenitore per mantenerla
fresca, ai piedi del letto. Ci baciammo. Eravamo preda della passione. Eravamo nervosi ma
felicissimi. Accarezzai il collo di Jasmine e poi feci scendere le mani sulle spalline del suo
vestito. Ci guardammo negli occhi.
- Aspetta.- mi disse facendomi temere per il peggio.- Chiudo la porta. Adesso è meglio non
avere visite.- commentò sorridendo.
Annuii e la lasciai. Ritornò un attimo dopo e finalmente la vidi con la luce che le illuminava il
viso. Quanto l’amavo. Ci spogliammo baciandoci su tutto il corpo, poi ci sdraiammo nel letto
che avevamo diviso tante volte. Restammo ore in quel letto e l’atto sessuale era solo una parte di
quella splendida esperienza che vivemmo quella notte. Era mezzanotte, all’incirca, quando
Jasmine allungò un braccio e prese la bottiglia di champagne. Lei era sdraiata su di me ed io
sentivo il profumo della sua pelle e dei suoi capelli che mi sfioravano il viso. Le candele
avevano quasi concluso la loro esistenza e la notte era scesa completamente sull’Uni. Attraverso
gli avvolgibili socchiusi non si vedevano ne stelle ne luna. Comparvero due bicchieri, non
sapevo da dove, ed io stappai la bottiglia, mentre sedevo con la schiena contro la parete e
Jasmine era sdraiata al mio fianco. Il tappo volò per la stanza e la schiuma volò un po’ sulle
lenzuola e un po’ sui nostri corpi. Jasmine si affrettò con i bicchieri e intanto ridevamo.
Brindammo a noi e bevemmo. Jasmine sedeva con le lenzuola che la coprivano fino ai fianchi ed
io l’ammiravo. E lei mi guardava felice di questa attenzione. Finimmo lo champagne solo perché
non sapevamo che farne e, mentre le candele gettavano gli ultimi bagliori per la stanza, ci
sdraiammo abbracciati l’uno all’altra e ci addormentammo felici.
54
XI.
Giovedì ci svegliammo con la sensazione di aver bevuto troppo ma non era importante. La luce
che vedevo negli occhi di Jasmine era importante e forse era la stessa luce che lei vedeva nei
miei.
Sulla moquette c’erano piattini, vasetti vetri e bicchieri con quello che restava delle candele. Lo
stereo era ancora in funzione. Baciai a lungo Jasmine, per nulla appagato dalla splendida nottata
e dall’aver fatto l’amore con lei.
- E’ stato stupendo.- le dissi.
Lei non mi disse nulla. Ed io non pretendevo che mi dicesse qualcosa. Il suo sorriso mi bastava e
diceva più di mille parole. Restammo a letto a coccolarci fino alle undici di mattina. Poi
facemmo la doccia insieme e ci vestimmo per uscire. Jasmine uscì per prima e mentre stavo per
seguirla ritornò di corsa in camera e mi tirò fuori per una manica.
- Guarda!- mi disse indicandomi l’altro capo del corridoio.
Guardai, un po’ scombussolato dal modo di fare di Jasmine, e vidi Steeb che girava l’angolo e
scendeva le scale.
Non aveva bussato alla nostra porta quindi era venuto a fare domande a qualcun’altro. Al nostro
piano non abitava nessuno di quelli che avevano passato la notte nel bosco con me e Jasmine
quando era stata uccisa Jennifer. Allora le indagini continuavano e la cerchia di interrogati si
allargava sempre più. Non sapevo, però, se fosse un buon segno che io e Jasmine non fossimo
più stati interrogati...
Andammo a pranzare in buvette e lì trovammo Judy, seduta al mio tavolo, sola e spaurita. Si
rianimò un po’, vedendoci, e ci fece segno di sederci con lei. Subito Jasmine avvicinò le sue
labbra all’orecchio destro di Judy e le confidò il nostro segreto. Judy inarcò le sopracciglia e
guardò prima Jasmine e poi me. Sorrise felice. Io le sorrisi, contento che la prendesse in questo
modo. Non mi aspettavo una reazione diversa ma questo non mi impediva di essere felice di
vederla sorridere. Poi si rabbuiò.
- Steeb m’interrogherà questo pomeriggio.- ci disse.
La guardammo allibiti.
- Me lo ha detto questa mattina. Adesso sta cercando Helena. Lei è andata fuori città, da
un’amica, per stare un po’ in pace.- continuò.
- Lo hai detto a Steeb.- le chiesi.
Scosse la testa.
Io annuii, per nulla turbato da questo.
- Ma cosa sta succedendo?- chiese Jasmine.
- L’ho chiesto a Steeb. Gli ho detto che non voglio più saperne delle sue domande, che voglio
solo dimenticare tutto... e lui mi ha detto che non posso fare a meno di rispondere alle sue
domande perché ci sono nuovi risvolti che hanno riaperto il caso. E poi gli ho letto in volto che
non era contento di essersi aperto in quel modo.- ci confidò Judy con i piedi sul bordo della sedia
e le gambe strette al petto.
Era tutt’altro che serena.
Guardai Jasmine e mi chiesi cosa ci avrebbe riservato il futuro.
A lezione non riuscivo a concentrarmi. Io e Jasmine aspettavamo Judy in camera nostra questa
sera, per sapere le novità. Fino ad allora mi sarebbe stato difficile concentrarmi su qualcosa.
Bred non si era presentato a lezione.
Alla fine delle lezioni Jasmine mi raggiunse davanti al Planet e insieme andammo a rinchiuderci
nella nostra camera. Non toccammo libri, non per fare l’amore ma perché l’Uni era l’ultima cosa
che ci passava per la mente. Aspettammo fino alle undici e poi non riuscimmo più a stare con le
mani in mano.
55
- Andiamo a cercarla.- proposi a Jasmine.
Lei annuì, d’accordo con me.
Prendemmo due maglioni e gli anfibi e uscimmo dalla stanza. Non la chiudemmo a chiave nel
caso Judy si facesse viva. Scendemmo le scale. Jasmine indossava solo un paio di calzoncini e
un reggiseno sotto il maglione. Io indossavo il solito paio di jeans. Bussammo per un minuto
intero alla porta di Judy e poi provammo ad aprire la porta. Niente da fare, era chiusa a chiave.
Ci guardammo perplessi.
- Proviamo da Patricia o da Francine.- propose Jasmine.
- Vado io, tu torna in camera.- le dissi.
Mi guardò storto.
- C’è anche la camera di Helena, alla George Town. Ci dividiamo.- disse.
Scossi la testa.
- Non ti voglio fare andare in giro per il bosco da sola.- le dissi stanco e preoccupato.
Jasmine non trovò niente da obiettare.
- D’accordo. Ma fammi sapere se la trovi.- mi disse rassegnata.
Mi baciò con troppa passione facendomi preoccupare ancora di più per gli avvenimenti di questi
giorni. Questa passione esagerata era segno della sua preoccupazione. Ci salutammo sulle scale.
Lei salì verso la nostra camera, io scesi ed uscii nel freddo autunnale. Camminai velocemente
verso la Kent House, accelerando il passo in prossimità del bosco. Osservai le finestre degli
appartamenti delle nostre amiche e non vidi nessuna luce accesa. Rinunciai a bussare alle porte.
Mi recai alla George Town, dall’altra parte rispetto al bosco. La George Town era una
costruzione ad un solo piano, venti camere lungo un corridoio contorto a forma di tante esse
messe una sopra l’altra. Non ero mai entrato ma trovai facilmente la stanza di Helena. Su ogni
porta c’era una placchetta con scritti nome e cognome. Accostai l’orecchio alla porta per udire
suoni all’interno della camera, ma gli unici rumori che sentivo provenivano dalle altre stanze.
Bussai, pensando che tanto non avrei svegliato nessuno. E infatti non mi rispose nessuno. Come
alla Hope House e alla Kent House, non c’erano spioncini alle porte e allora bussai di nuovo e
dissi che ero Michael, nel caso Helena temesse che fosse qualcun’altro a bussare. Non ottenni
risposta nemmeno in questo caso. Tornai sconsolato verso la Hope House. Non mi facevo
illusioni, sapevo che non avrei trovato Jasmine in compagnia di Judy. Ero così giù, per non aver
saputo nulla di Judy, che rallentai mentre camminavo nel bosco. Il sentiero era illuminato
fiocamente e i piccoli lampioni si trovavano ad una distanza troppo elevata gli uni dagli altri. Ad
un certo punto udii un rumore di foglie calpestate e forse rami rotti. Mi fermai e mi guardai
intorno spaventato. Non ero un tipo pauroso, nessuno riusciva a incutermi paura, ma forse
qualcuno aveva assassinato la mia migliore amica in questo bosco, accoltellandola più volte.
Questo avrebbe fatto paura a chiunque. Ripresi a camminare, sempre lentamente, ma vigile e con
le orecchie attente ad ogni rumore. Attraversai poi il prato tra il Planet e la Hope House.
Sembrava che tutti dormissero. Non c’erano luci accese alla Hope House, nessuno usciva dal
Planet dopo aver fatto un salto in buvette o in biblioteca, non c’era viavai in mensa e nessuna
macchina faceva capolino nel posteggio dietro di essa. Salii lentamente le scale e percorsi il
corridoio del terzo piano a capo chino. Jasmine era seduta davanti alla nostra camera, in
corridoio.
- Cosa ci fai qui?- le chiesi a bassa voce.
- Da qui avrei sentito il telefono... Non l’hai trovata?- mi chiese lei.
La guardai mestamente.
- Da Patricia e Francine era tutto buio. Helena non c’è, o ha paura ad aprire la porta.- spiegai.
Jasmine mi abbracciò cercando un po’ di tenerezza tra le mie braccia. Entrammo in camera e ci
sdraiammo nel letto, nudi. Ci scaldammo con il contatto dei nostri corpi e cercammo di
addormentarci dimenticando tutti i brutti pensieri che ci frullavano nella mente.
Non avevamo messo la sveglia perché non avevamo intenzione di recarci a lezione, e così
fummo svegliati solo da un bussare insistente alla porta. Jasmine saltò giù dal letto e indossò
56
velocemente una maglietta e un paio di mutandine. Prima che io riuscissi a mettere un piede sul
pavimento lei era già alla porta. Mentre m’infilavo mutande e jeans guardai l’ora. Le nove e
mezza del mattino. Credevamo fosse Judy.
- Ah, buongiorno.- sentii dire a Jasmine, evidentemente delusa.
- Buongiorno.- disse Steeb.- C’è Michael?- Sì.- rispose lei per nulla contenta della curiosità di Steeb.
Io mi alzai e indossai il maglione della sera prima. Andai alla porta dove Jasmine, imbarazzata
per il proprio abbigliamento e seccata per la presenza di Steeb, era in piedi, per metà nascosta
dall’anta di legno. Per un istante temetti che fosse successo qualcosa a Judy ma l’espressione di
Steeb mi tranquillizzò. Era un uomo, di età tra i trenta e i quarant’anni, l’aria riposata e serena.
Non era certo stato buttato giù dal letto per l’ennesimo omicidio all’Uni.
- Buongiorno.- gli dissi.
Mi salutò con un cenno della testa e un sorriso.
- Avrei bisogno di farti qualche altra domanda.- disse senza perdere tempo.- Ci troviamo in
cucina tra un quarto d’ora?- mi chiese.
Guardai Jasmine per vedere la sua reazione. Mi guardava triste.
- D’accordo.- risposi sollevando le spalle.
Steeb sorrise e se ne andò.
Jasmine chiuse la porta mettendoci un’eternità. Poi mi abbracciò facendomi sentire un
condannato che fa verso il patibolo. Nemmeno sentire il suo seno contro il mio petto e l’odore
della sua pelle mi dava sollievo. Mi lasciò e andò verso il letto. Io andai in bagno e feci una
doccia.
Andai da Steeb e sedetti davanti a lui, al piccolo tavolo della cucina.
- Ieri ho cercato di rintracciare Helena e Judy. Non ho trovato nessuna delle due.- mi disse con
un tono della voce molto più professionale del solito.
Mi sorprese il fatto che non avesse trovato Judy e non riuscii a nasconderlo.
- Sai qualcosa che io non so?- mi chiese serio e per nulla gentile.
- Judy mi aveva detto che lei avrebbe dovuta interrogarla ieri pomeriggio. Tutto qui. Non aveva
intenzione di mancare all’appuntamento, questo almeno è quello che ha detto a me e a Jasmine.dissi tranquillo.
In realtà non ero affatto tranquillo. Non era Steeb a preoccuparmi ma Judy. Che cosa diavolo
l’era passato per la mente? Era in pericolo?
- Sicuro che non c’è altro?- mi chiese guardandomi attentamente.
- Sicuro.- gli dissi calmo, tralasciando la storia di Helena e dell’appartamento fuori città.
Steeb sembrò riflettere sulla situazione.
- Ma cosa è successo? Perché avete ripreso a interrogarci?- chiesi. Era quello che ci chiedevamo
tutti.
Steeb non rispose subito. Forse voleva dire più di quello che avrebbe dovuto.
- La famiglia Thompson ha fatto pressioni e con lei il dipartimento di L.A.- mi confidò.
Non era abbastanza, pensai, per riaprire le indagini.
- E avete scoperto qualcos’altro...- ipotizzai.
Steeb non rispose. Ma gli occhi di una persona, a volte, dicono più delle parole. Sapevo di avere
fatto centro.
Steeb si alzò.
- Non posso dare certe informazioni ad un sospettato.- disse facendomi gelare il sangue nelle
vene.- Non lasciate il campus, tu e Jasmine.- ordinò.
Poi se ne andò lasciandomi nella piccola cucina. Di colpo sentii freddo, a dispetto del sole che
illuminava l’Uni.
Tornai in camera e riferii tutto a Jasmine. Lei sedeva nel letto, raggomitolata sotto il piumino.
- Sospetta di te, adesso?- mi chiese preoccupata.
Guardai il prato sotto la finestra.
57
- Non lo so, probabilmente ora ha qualche dubbio sulla mia innocenza. Tu sei fuori, credo.
Altrimenti ti avrebbe interrogata nei giorni scorsi.- le dissi quello che pensavo.- Vorrei sapere
dove sono Judy e Helena.- Forse Francine o gli altri lo sanno.- propose Jasmine.
Mi voltai per guardarla.
- Ma possiamo fidarci?- le chiesi.
Mi fissò con gli occhi sbarrati per la sorpresa. Non mi rispose.
Io e Jasmine passammo tutto il giorno in camera. Non parlammo molto, non avemmo nessun tipo
di contatto fisico. La camera era diventata zona di guerra. C’erano vestiti da tutte le parti, per
terra, sulla scrivania, sulle piastrelle del bagno, sul letto. I libri, invece, erano in ordine come li
avevamo messi qualche giorno fa. Io rimasi sdraiato per terra sopra della biancheria sporca di
Jasmine. Lei rimase a letto, tutto il tempo. Si alzò solamente per andare in bagno un paio di volte
a fare pipì e un’altra per bere l’acqua del rubinetto. Dormì molto. Io non ci riuscii. Non c’erano
problemi tra me e lei, era solo la strana situazione a farci comportare così.
Verso le otto di sera Jasmine si spogliò timidamente, dandomi le spalle. Gli avvolgibili erano
abbassati e solo la luce del comodino mi permetteva di vederla.
- Io vado a letto.- disse come se avesse fatto altro durante il giorno.
Prima che s’infilasse di nuovo sotto il piumino, mi alzai e l’abbracciai alle spalle. Lei si voltò ed
io guardai il suo corpo nudo. Lei abbassò il capo come se le desse fastidio ora che Steeb era
ritornato alla carica. La baciai teneramente e poi lasciai che si coricasse. La baciai sulla fronte e
la coprii per bene con il piumino.
- Non mi riesce di dormire.- le confessai.- Vado di sotto a lavare tutti questi vestiti. Ti chiudo
dentro e lascio un biglietto sulla porta, così se qualcuno ci cerca verrà di sotto da me.- Va bene.- mi disse distrutta.
Mi alzai dal letto, dove mi ero seduto un istante, e ammucchiai tutti i vestiti. Gli avvolsi tutti in
un lenzuolo e mi ritrovai con un fagotto dalle dimensioni gigantesche. Stavo per uscire, con una
penna tra l’orecchio e la testa, quando Jasmine mi chiamò dolcemente. Riuscivo appena a
vederla da dietro i vestiti che avevo tra le braccia.
- Ti amo.- mi disse tristissima.
Le sorrisi, felice.
- Ti amo.- le dissi e uscii.
Chiusi la porta a chiave e lasciai il biglietto sulla porta.
In cantina c’erano una decina di lavatrici che funzionavano a quarti di dollaro. Entrai nella
lavanderia, un locale di circa dieci metri per dieci, e mi ritrovai solo. Solitamente a quest’ora
c’era sempre qualcuno. Poco male, così non mi sarei sentito in dovere di fare conversazione. Mi
ero portato un libro di Jack Kerouac (avevo dovuto incastrarlo tra la cintura dei jeans e la pancia
perché non potevo fare altrimenti tanto ero carico di vestiti), e così, una volta riempite sei
lavatrici, mi sedetti per terra, con la porta d’entrata davanti a me, e iniziai a leggere.
Quando le lavatrici finirono il loro compito, diedi la schiena alla porta e iniziai a togliere i vestiti
per appenderli ai fili tirati tra le pareti per farli asciugare. Sentii la porta aprirsi e mi girai per
vedere chi era. M’immaginavo di vedere Judy correre ad abbracciarmi ma mi sbagliavo. Era una
ragazza con degli splendidi capelli rossi, lunghissimi, e un corpo da sogno. Per giunta indossava
solo un body strettissimo e un paio di pantaloncini aderenti. Tra le mani aveva un paio di
reggiseni, qualche mutandina di pizzo e collant.
- Ciao.- mi disse con una voce da telefono erotico.
- C-ciao.- dissi titubante.
Non ricordavo di averla mai vista alla Hope House. Lei andò verso una macchina e guardò
quello che avevo tirato fuori dalla lavatrice. Avevo tra le mani un reggiseno di Jasmine e una sua
minigonna. Arrossii.
58
- Sono della mia ragazza.- dissi imbarazzato.
Lei annuì.
Mentre appendevo gli abiti ad asciugare mi ritrovai davanti lei, che prendeva un reggiseno, si
chinava e lo metteva nella lavatrice. Si rialzava, prendeva un paio di mutandine e si chinava di
nuovo. E continuava così mostrando il suo sedere da primo premio e tutto il resto. Mi voltai
appendendo i vestiti dandole le spalle. Più tardi la sentii chiudere la lavatrice e avviare il
programma. Poi me la ritrovai accanto.
- Sei molto fedele?- mi chiese guardandomi intensamente.
- Per ora...- riuscii a dire.
Mi mise una mano sul petto e di fece più vicina, troppo.
- Per ora?- chiese maliziosa.
- Anche per questa sera.- dissi ritrovando un po’ del cervello che questa ragazza mi aveva fatto
diventare gelatina.
Avevo finito di armeggiare con i vestiti. Lei mi stava addosso.
- Peccato,- disse.- non l’ho mai fatto in una lavanderia.- Quando lo avrai fatto, dimmi com’è.- le dissi passandole accanto e uscendo.
Uscii dalla lavanderia e mossi qualche passo verso le scale guardandomi all’indietro. Temevo
che quella pervertita mi avrebbe seguito. Quando mi girai, ero alla fine del corridoio. Girai a
sinistra verso le scale e mi ritrovai addosso a Samantha. Ci prendemmo entrambi un bello
spavento. Anche qui giù, come nei piani superiori, i corridoi erano illuminati tutta la notte ma
molto debolmente. Però notai lo stesso l’abbigliamento di Samantha. Indossava un top aderente,
senza reggiseno, e un paio di calzoncini tipo quelli che portava la ninfomane. Aveva un piccolo
fagotto di vestiti sottobraccio.
- Michael, che spavento!- esclamò.
- Non lo dire a me. Ma non starai andando a fare bucato? Le macchine sono tutte occupate.- le
dissi.
Lei fu sorpresa dalle mie parole, era giustamente incredula.
- Ma avrai freddo così.- dissi. Mi tolsi il maglione rimanendo con una maglietta stropicciata. Le
infilai il maglione per la testa mentre reclamava e faceva versetti di stupore. Le caddero i vestiti
di mano ma io riuscii a infilarle il maglione.
- Raccolgo io.- dissi chinandomi.- Dovrai venire domani a fare bucato.- dissi riconsegnandole il
fagotto.
Lei mi guardava come se fossi un alieno. La baciai sulla fronte e la presi a braccetto.
- Vieni, ti accompagno alla tua stanza.- le dissi.
Facemmo tre piani, io imbarazzatissimo e lei stranita dal mio comportamento.
Sulla sua porta non sapevamo cosa fare.
- Ciao.- le dissi pronto ad andarmene, lasciandole il mio maglione.
Lei mi sorrise. Feci un passo indietro verso la mia camera e lei allargò le braccia. Quasi mi
commossi. L’abbracciai a lungo, stretto tra le sue braccia e non mi sentii neanche a disagio
anche se sentivo il suo seno prosperoso schiacciato contro il mio petto.
- Grazie.- le dissi lasciandola.- Ne avevo proprio bisogno.- Beh, io sono qui, se tu e Jasmine avete bisogno...- mi disse dolcemente.
La baciai sulla fronte e me ne andai sorridendole. La sentii chiudere la porta alle mie spalle. A
pochi passi dalla porta della mia camera vidi che il biglietto non c’era più. Mi fermai e pensai
che allora Samantha era venuta a fare il bucato perché sapevo che io ero giù in lavanderia. Poi
Judy mi chiamò.
Mi voltai e la vidi con la testa che sbucava dalla cucina. Sventolava il biglietto che avevo messo
sulla porta. Allora mi ero sbagliato. La raggiunsi.
- Ciao.- le dissi felice di vederla.
59
Lei mi buttò le braccia al collo e mi abbracciò stretto. Entrammo in cucina. Judy m’impedì di
accendere la luce. Ci sedemmo al tavolo, e ci guardammo sfruttando la poca luce che proveniva
dal corridoio e la luce della luna.
- Steeb ti ha cercato.- le dissi preoccupato per lei.
- Qualcuno ha provato ad entrare in camera mia, due notti fa.- mi disse terrorizzata.
- Potevi dircelo prima, potevi rimanere con noi. Non sai chi è stato?- No. Ero in camera, saranno state le due del mattino. Ero sveglia. Ho sentito dei passi nel
corridoio. Poi qualcuno ha provato ad aprire la porta solo che era chiusa a chiave. Non ha
bussato. Poi ha provato di nuovo e ancora. E ha dato anche dei pugni o dei calci alla porta. Poi
ha smesso. Ho avuto tanta paura!Allungai la mano lungo il tavolino e Judy me la strinse.
- Vieni.- le dissi.- Ti farò dormire con Jasmine.Ci alzammo e andammo in camera. Jasmine dormiva. Anche se io e Judy avevamo avuto il
piacere di vederci nudi, andai in bagno per lasciarle un po’ di privacy. Quando tornai, lei
dormiva già, accanto a Jasmine. Finalmente poteva dormire tranquilla.
Mi svegliarono i tuoni. Era sabato mattina. Avevo dormito per terra, vestito, con un maglione
come cuscino. Guardai verso il letto e vidi che le ragazze dormivano ancora. Mi alzai e andai in
bagno. Tornai verso il letto e loro dormivano ancora. Guardai fuori tra i piccoli spazi che c’erano
tra gli avvolgibili non chiusi a dovere. Vidi il Planet spazzato dalla pioggia. C’erano quattro o
cinque persone in giro. Stavo per togliermi dalla finestra quando fui colpito da una folta chioma
di capelli rossi. Al riparo dalla pioggia, sulle scale del Planet, c’era la ragazza della lavanderia. E
con loro c’erano Bred e Jeff. Sembrava di essere in un film giallo. Non sapevo perché ma
immaginai che fossero stati loro a mandarla in lavanderia. Volevano che mi portasse a letto? E a
quale scopo? Mi sedetti alla scrivania e scrutai i loro movimenti. Parlarono per una decina di
minuti e poi si salutarono come se fossero tutti e tre amanti. Tre amanti che complottavano alle
mie spalle. O forse ero io che stavo impazzendo.
- Cosa fai?- mi chiese Judy con la voce bassa e gli occhi socchiusi.
- Niente.- dissi guardandola.- Guardavo fuori. C’è il temporale.Jasmine si mosse, disturbata dalla nostra conversazione, e si svegliò. Si ritrovò davanti la schiena
nuda di Judy.
- Ciao!- esclamò mettendosi a sedere in tutta fretta senza badare ai seni che lasciava spuntare da
sotto il piumino. Io mi alzai e me ne andai in bagno per lasciare ad entrambe il tempo di vestirsi.
Mi feci la doccia e tornai di là con solo un asciugamano a coprirmi dalla vita in giù. Judy e
Jasmine erano sedute sulla moquette, in reggiseno e mutandine e parlavano di quello che era
successo. Io presi i vestiti e ritornai in bagno. Quando le rividi erano silenziose. Stavano
pensando a cosa diavolo stesse succedendo. Judy aveva indossato una mia maglietta. Mi sedetti
accanto a loro.
- Non sapete ancora tutto.- dissi.
Mi guardarono meravigliate. Raccontai loro della rossa e di Bred e Jeff. Jasmine non mostrò
nessun segno di gelosia per il mio comportamento in lavanderia. Judy sembrava ancora più
scossa.
- Jeff non mi è mai piaciuto.- confessò.
- Questo non vuol dire che sia stato lui a...- lasciai in sospeso la frase.
Judy si alzò.
- Posso fare una doccia?- ci chiese.
- Certo.- le risposi scuotendo la testa per la domanda.- Qui sei a casa tua.- aggiunsi.
- Dopo puoi mettere qualche mio vestito.- le disse Jasmine.
- Avrei un altro favore da chiedere, a te Michael.- disse Judy con un piede nel bagno.- Potresti
accompagnarmi in centrale, dopo?Questa non me l’aspettavo.
60
- Certo.- le dissi. Non mi passò nemmeno per la mente che ci avesse nascosto qualcosa, perché
si fidava solo di noi e noi di lei.
Mezz’ora dopo eravamo in macchina. Sedevamo tutti e tre sul sedile anteriore. Non avevamo
chiesto a Jasmine di venire con noi ma non avevo intenzione di lasciarla sola, non più, nemmeno
di giorno. Portammo Judy in centrale e l’accompagnammo fino alla scrivania di Steeb che ci
accolse stupito ed eccitato. Forse si aspettava addirittura una confessione. Io e Jasmine sedemmo
lontano da loro. Li vedevamo ma non potevamo udire le loro parole. Jasmine stringeva le mie
mani tra le sue. Non era preoccupata, pensai solo che le mancasse il mio affetto. La baciai sulla
guancia e le sussurrai qualche parolina all’orecchio.
Judy ci raggiunse a capo chino, in compagnia di Steeb.
- Ragazzi, vi aspetto qui lunedì mattina alle otto. Tutti e tre. Dobbiamo avere le vostre
dichiarazioni giurate.Spalancai gli occhi.
- Le nostre?- chiesi.
- Le vostre e quelle dei vostri amici. Li avviserò io.- spiegò Steeb calmo.
- Ma perché?- chiese Jasmine spaventata.
- Adesso si fa sul serio.- fu tutto quello che ci disse.
Si allontanò tra le scrivanie e noi tre ci guardammo sconvolti.
Quella sera ci trovavamo nella nostra camera. Eravamo passati in quella di Judy per prendere dei
vestiti e le sue cose di scuola, anche se non vedevo l’utilità di libri e appunti, non più. Eravamo
seduti, io alla scrivania, Judy sul letto e Jasmine per terra e stavamo in silenzio. Poi Jasmine si
alzò e prese per mano Judy.
- Andiamo un attimo in cucina.- mi disse uscendo con Judy e prendendo il mio portafoglio.
Aspettai di vedere che cosa avessero in mente. Non ricordavo quando avevo messo qualcosa
nello stomaco per l’ultima volta. E Jasmine e Judy non avevano certo mangiato più di me,
ultimamente.
Dopo un paio di minuti le due ragazze ritornarono. Avevano due bottiglie di alcolici a testa e,
immaginai, anche qualche dollaro in meno nel mio portafoglio. Judy chiuse la porta a chiave.
Iniziammo a bere. Non avevamo più un briciolo di ragione. Jasmine beveva lunghi sorsi di
vodka. Io pensai alla bottiglia di whisky mentre Judy mischiava apposta martini e vodka. Presto
fummo ubriachi. Non volevamo più pensare a niente. Judy si sedette per terra e pianse a lungo,
continuando a bere. Jasmine mi spogliò ed io non reclamai per la presenza di Judy, ero troppo
ubriaco per farlo. Ci sdraiammo nel letto e facemmo l’amore per la seconda volta, ma lo
facemmo come se fosse l’ultima e fu sesso e nient’altro. Lo facemmo per ore mentre Judy si
addormentava, si risvegliava, piangeva e si riaddormentava. Ci svegliammo domenica verso
mezzogiorno. Gli avvolgibili erano sollevati ma non c’era luce sul campus. Una pioggia
torrenziale batteva contro le finestre e il cielo era nero e tenebroso. La testa mi scoppiava. Io e
Jasmine eravamo per terra, sdraiati sulle lenzuola, completamente nudi. Judy era vestita e
dormiva sul letto disfatto. Mi riaddormentai. Quando riaprii gli occhi vidi Jasmine camminare
verso il bagno, ancora nuda. Judy era seduta sul letto e mi guardava con gli occhi gonfi per il
pianto.
- Ti diverti a farti vedere nudo da me, eh?- disse sarcastica.
Almeno riusciva ancora a sorridere. Mi alzai a fatica e mi coprii con le lenzuola. Mi ricordai
allora che metà dei nostri vestiti era ancora giù in lavanderia.
- Questa volta non ho vomitato. Non ancora.- mi disse in seguito.
Sorrisi anche se quello che avevamo fatto quella notte non mi sembrava divertente.
Bussarono alla porta e andai ad aprire con il lenzuolo legato in vita. Era Bred.
- Ciao!- esclamò e si fece largo entrando in camera. Apparve Jeff, nascosto alla mia vista, ed
entrò anche lui chiudendosi la porta alle spalle.
- Chi abbiamo qui?- chiese Jeff.- Michael con addosso un lenzuolo e Judy strafatta.61
Io avevo il cervello che nuotava nell’alcool e non sapevo che fare.
- E qui? Chi c’è qui che fa la doccia?- chiese Jeff entrando in bagno.
Sentii l’urlo di Jasmine e corsi verso il bagno. Jeff uscì con le mani sollevate come in segno di
resa. Io lo stesi con un pugno. Bred mi si avvicinò. Judy era alle sue spalle. Jasmine uscì dal
bagno con un asciugamano che la copriva.
- Hei, Michael. E’ così che hai fatto con Jennifer? Ti sei ubriacato e poi l’hai uccisa?- mi disse
Jeff da terra.
Gli tirai un calcio e Bred non mi fermò. Mi fermò Judy che mi abbracciò. Bred si fece largo e
aiutò Jeff ad alzarsi.
- Bene.- disse Bred aprendo la porta.- Chissà come sarà felice Steeb domani quando gli diremo
che quest’occhio nero gliel’hai fatto tu dopo aver bevuto tutta la notte.- uscì portandosi dietro
Jeff.
Io mi lasciai cadere a terra. Judy e Jasmine si inginocchiarono accanto a me. Ci abbracciammo
tutti e tre. Io accarezzai il viso di Jasmine perché mi sentivo in colpa per aver lasciato che Jeff la
vedesse nuda.
Lunedì mattina ci recammo in centrale con il morale a terra. C’eravamo solo noi tre, quindi gli
altri avevano appuntamento in un altro momento della giornata.
Judy rilasciò la sua dichiarazione e poi venne accompagnata in una stanza, in modo che non
potesse rivelarci niente. Jasmine dovette andare dopo di lei e poi venne accompagnata da Judy.
Poi toccò a me.
- Cosa ricorda di quella notte?- mi chiese Steeb serissimo.
Un registratore registrava tutto quello che diceva e un altro agente assisteva Steeb. Per questa
dichiarazione Steeb mi dava del lei come voleva la prassi, ma forse i nostri rapporti erano
cambiati lo stesso.
- Eravamo tornati da una festa. Avevamo bevuto tutti, tranne me, Jasmine e Judy. Arrivati
all’Uni gli altri vollero andare nel bosco. Io e Jasmine non volevamo ma li seguimmo lo stesso
perché erano ubriachi e volevamo prenderci cura di loro, diciamo così. Era impensabile
convincerli a non andare nel bosco... Ci recammo in un luogo che conoscevano Bred e Jeff, dove
ci sedemmo su delle panchine. Bevemmo, tutti questa volta. Non so chi portò le bottiglie, so solo
che ci ubriacammo tutti. Prima che io perdessi conoscenza, Helena e Jeff si appartarono nel
bosco e tutti noi supponemmo che avessero avuto più di un rapporto sessuale. Non mi ricordo
altro. Io e Jasmine ci risvegliammo nella sua camera. Poi notammo tutto il viavai ai margini del
bosco e scendemmo a vedere cosa stava succedendo. Temevamo che potesse essere successo
qualcosa ai nostri amici perché non sapevamo dove fossero. E’ tutto qui.- dissi.
- Che rapporto ha con Jasmine Cunningham?- chiese Steeb. Non sapevo dove volesse arrivare.
- E’ la mia fidanzata.- risposi tranquillo.
- Che giorno vi siete fidanzati?- mi chiese.
Iniziai a preoccuparmi.
- La stessa sera che Jennifer Thompson fu uccisa.- risposi.
- Chi le dice che sia stata uccisa di sera?- domandò attento.
Spalancai la bocca ma non mi uscirono parole. Era uno stronzo!
- Io... io non lo so. Volevo solo dire che prima di andare in quel bosco, la notte prima del
ritrovamento del corpo di Jennifer Thompson, io e Jasmine ci mettemmo insieme. A quella
festa.- risposi nervosissimo.
- E non è mai andato a letto con Judy Hooper?- chiese il collega di Steeb.
Guardai Steeb, stupefatto. Poi guardai il suo collega.
- Avete il diritto di chiedermi queste cose?- chiesi a Steeb.
- Risponda. Se non vuole rispondere sarà meglio che si procuri un avvocato.- mi minacciò
Steeb.
- Forse lo prenderò subito un avvocato.- dissi duro.
Steeb inclinò il busto in avanti per avvicinarsi a me.
62
- Questa e’ solo una dichiarazione per gli atti delle indagini. Se si rifiuta di rispondere e chiede
di poter avere un avvocato si metterà nei guai.- mi spiegò.
Non sapevo quanto di quello che mi diceva fosse vero, ma se voleva mettermi paura ci era
riuscito.
- Ok. Risponderò. Non sono mai stato a letto con Judy Hooper.- dissi scocciato.
- Ma non vi siete risvegliati nudi, nello stesso letto?- mi chiese il collega di Steeb. Era più
anziano e probabilmente più esperto.
- Ma, cristo. Che ne sapete voi?- chiesi adirato.
- Moderi il linguaggio!- mi strillò contro il sergente .- Risponde o le chiamiamo un avvocato?Guardai Steeb ma lui non voleva o non poteva fare nulla.
- Sì, ci siamo risvegliati, nudi, nello stesso letto. Ma non abbiamo avuto un rapporto!- confermai
pieno di rabbia.
- E come siete finiti nello stesso letto?- mi chiese di nuovo sorridendo sotto i baffi.
- Eravamo...- iniziai e poi mi portai una mano alla fronte. Ecco dove volevano arrivare!Eravamo ubriachi e siamo finiti a letto insieme. Ma non c’è stato nulla.- dichiarai.
- E come ne è sicuro?- chiese.
Io feci per scagliarmi addosso a lui.
- Non deve rispondere a questa domanda.- mi spiegò Steeb.- Non esageri Brown.- disse al
collega.
- Sicché eravate ubriachi.- disse Brown.
- Sì.- confermai.
- E siete finiti a letto insieme senza rendervene conto.- continuò.
- Sì.- risposi sentendomi in trappola.
Brown si accese una sigaretta e si rilassò sulla sedia. Steeb aveva già fumato due sigarette e ora
si beveva il suo caffè. Cercai Jasmine e Judy ma da qui non potevo vederle.
- E’ vero che ha picchiato Boris Massey?- chiese Brown
- Sì.- risposi scocciato.- Ma mi ha picchiato prima lui. E’ successo dopo la morte di Jennifer.
Lui mi ha picchiato solo perché non gli avevo ridato una lattina di Coca-Cola. Io ero depresso
per via di Jennifer e ho reagito.- Ha esagerato.- commentò Steeb.
- Può capire in che stato mi trovavo.- cercai di spiegare.
- Io non capisco.- disse Brown.
Sembrava che volessero mandarmi sulla forca. E forse ci sarebbero riusciti.
- E ha picchiato Jeff Edwards, ieri mattina?- mi chiese Brown tamburellando sulla scrivania con
una penna.
- Lui è entrato nella mia camera e....- iniziai.
- Non lo ha fatto entrare?- chiese Brown che mi avrebbe fregato.
- No, ho aperto la porta e Bred è entrato senza che lo invitassi. Jeff lo ha seguito.- spiegai.
- A chiesto a loro di uscire?- mi domandò Steeb.
- Non c’era motivo, ma poi Jeff è entrato in bagno dicendo: “Ma chi c’è sotto la doccia?”. C’era
Jasmine e allora mi sono arrabbiato.- E lo ha picchiato!- continuò Brown.
- Sì.- risposi moscio.
- E poi gli ha tirato un calcio.- Aveva insinuato che io avessi ucciso Jennifer.- sbottai furioso.
- Non le ha chiesto: “E’ così che hai fatto con Jennifer? Ti sei ubriacato e l’hai uccisa?” ?- mi
chiese Brown. Spense la sigaretta e mi guardò fisso negli occhi.
- Sì.- affermai tranquillo.
- Perché ha detto: “ubriacato”? E’ vero che c’erano delle bottiglie di alcolici, almeno quattro, e
voi vi siete ubriacati. Lei, Jasmine e Judy?- S-sì.Pensavo che mi avrebbero chiesto perché ma forse per loro era meglio non saperlo.
63
- Lei beve troppo spesso. E poi non riesce a controllarsi.- commentò Brown. Poi lanciò
un’occhiata a Steeb (“Hei, Steeb, per me è stato lui!”).
- Jeff e Bred hanno detto che voi sareste stati contenti di sapere che io avevo picchiato Jeff.spiegai.
- Avevano ragione.- affermò Brown.
Mi alzai di scattò dalla sedia.
- Ma non capite che lo hanno fatto apposta per mettermi nei guai!- urlai.
- Nessuno l’ha costretta a bere e a picchiare delle persone.- osservò calmo Brown accendendosi
un’altra sigaretta.
Scossi la testa incredulo. Credevano davvero che fossi stato io.
- Abbiamo finito?- chiesi sconsolato.
- Sì.- disse Steeb.
Presi la giacca dalla sedia e feci per andarmene.
- Un attimo.- disse Brown.
Steeb spense il registratore.
- Non ti sei mai scopato Jennifer?- mi chiese Brown.
Lo centrai in pieno con un pugno. Dovevo avergli rotto il naso. Cascò dalla sedia. Io mi
allontanai e Steeb non mi disse nulla. Ero ancora più inguaiato adesso, ma non avevano nessuna
prova.
Uscii dalla centrale e aspettai sotto la pioggia che Jasmine e Judy mi raggiungessero.
XII.
In camera ero a pezzi, morale a zero. L’unica cosa che avevo voglia di fare, era di bere, di
ubriacarmi fino a procurarmi danni al cervello. Ma lo avevo fatto già troppe volte e, chissà, forse
ero stato io ad uccidere Jennifer, proprio perché ubriaco.
Nel pomeriggio bussarono alla porta. Jasmine e Judy erano sedute sul letto, abbracciate.
Potevano essere morte per quanto ne sapevo, non avevano dato segni di vita da due o tre ore.
Andai ad aprire. Mi ritrovai davanti Bred.
- Sparisci.- gli dissi. Non riuscii nemmeno a sembrare incazzato tanto ero demoralizzato.
- Aspetta, non voglio entrare. Volevo scusarmi con te.- mi disse. Sembrava dispiaciuto.
Scossi la testa. Non volevo starlo ad ascoltare.
- Vieni un attimo in corridoio. Voglio solo parlarti.- continuò.
Guardai il corridoio per cercare Jeff. Se c’era doveva essersi nascosto in cucina, a metà
corridoio. Uscii dalla camera e chiusi la porta alle mie spalle. Bred non si mosse. Restammo lì,
in mezzo al corridoio.
- Mi dispiace. Io e Jeff siamo impazziti. Lo sai anche tu... tutta questa storia è pazzesca. Tutti
questi interrogatori, Jeff poi è stato bersagliato. Volevamo che tu confessassi.- mi spiegò.
- Cosa?- chiesi incredulo.
- Non abbiamo pensato che fossi stato tu. Volevamo fare innervosire tutti in modo che
l’assassino si smascherasse. Non ce l’ho con te. Perdonami.- disse davvero in colpa per quanto
successo.
- E Jeff?- chiesi io ancora scettico.
- Non avevamo programmato nulla. E’ stato lui a dire quelle stronzate e a volere vedere Jasmine
nuda. Se lo avessi saputo lo avrei fermato... Non volevo arrivare a tanto. Domani mattina andrò
da Steeb e gli dirò che ti abbiamo provocato apposta. Gli spiegherò tutto.- disse cercando di
convincermi.
- E la rossa?- gli chiesi.
Abbassò il capo, imbarazzato.
- Un’idea di Jeff. Pensava che ubriaco, dopo una scopata con quella avresti cantato.- confessò.
64
Risi, una risata breve, nervosa.
- E perché dovrei crederti?- gli chiesi.
- Non lo so.- rispose schietto.- Allora aspetta domani. Chiederò a Steeb di farti sapere quello che
gli diremo io e Jeff.Sollevai le spalle.
- Beh,- disse a disagio.- Pensaci su.- se ne andò camminando lentamente lungo il corridoio.
Lo guardai andarsene e, solo quando scomparve verso le scale, rientrai nella camera.
Raccontai tutto alle ragazze. Loro mi guardarono scettiche.
- Non sto dicendo che gli credo. Se possono aver fatto una simile carognata ieri, possono
avermene appena fatta un’altra.- osservai.
- Beh, non ci costa niente vedere cosa succede.- disse Jasmine.
Judy annuì.
- Io domani vado a lezione. Qui impazzisco. Preferisco andare a lezione anche se non riuscirò a
stare attento. E’ sempre un cambiamento.- spiegai.- Dicono che i cambiamenti facciano bene.Judy si alzò dal letto.
- Facciamo un altro cambiamento. Andiamo a mangiare. Sto per svenire, non tocco cibo da
giorni.- disse.
- Già.- replicò Jasmine.
- Andiamo.- dissi tranquillamente.
Ad un tratto la prospettiva di mettere qualcosa sotto i denti ci aveva resi più sereni. Uscimmo
dalla camera e scendemmo a prendere la macchina. Jasmine indossava jeans e maglione, aveva i
capelli in disordine e il viso stanco e segnato dagli avvenimenti degli ultimi giorni. Però era
bellissima. Mangiammo in un ristorantino da poco. Il cibo però era squisito. Mangiammo a
volontà. Guardai Jasmine per tutto il tempo. Verso le dieci di sera, quando la clientela diminuì
notevolmente, ci ritrovammo a guardarci, ognuno con una tazza di caffè tra le mani. Guardai
Judy fino a farle abbassare lo sguardo e poi parlai.
- Scusaci per sabato notte. Ti assicuro che non succederà mai più.- le dissi a disagio.
- Ma non fa niente. Eravamo sbronzi...- disse lei.
- No, Michael ha ragione. Non è solo perché abbiamo fatto... l’amore davanti a te. Dovevamo
stare uniti e invece ti abbiamo lasciata sola.- mi fece eco Jasmine.- Ci dispiace davvero molto.- Lo so. Ma io non me la sono presa.- affermò Judy.
Ci guardò e io e Jasmine annuimmo.
Uscimmo e il vento freddo ci assalì. Corremmo verso la macchina e vi salimmo. Misi in moto e
ritornammo all’Uni. Judy ci fece andare nella sua camera. Prendemmo il suo materasso e lo
portammo da noi. Incrociammo Samantha che scendeva per fare il bucato ma lei non ci disse
nulla. Sistemammo il materasso per terra. Lì, lo decise lei, avrebbe dormito Judy così io e
Jasmine avremmo potuto nuovamente dividere le stesse lenzuola. Judy si fece una doccia.
Eravamo rientrati da cinque minuti ed io sedevo pensieroso alla scrivania.
- Vado in lavanderia.- comunicai a Jasmine.- Non mi piace sapere Samantha da sola.Jasmine mi sorrise.
- Stavo pensando alla stessa cosa. Vai pure, ma prima baciami.- disse.
Acconsentii volentieri alla sua richiesta. Ci staccammo con difficoltà e poi uscii chiudendo la
porta a chiave.
Raggiunsi Samantha in lavanderia. Era proprio sola. Mi sorrise. Io contraccambiai e poi, con
stupore, vidi i nostri vestiti appesi ad asciugare. Erano rimasti appesi per più di settantadue ore.
Iniziai a staccarli dai fili e li piegai approssimativamente per poi ammucchiarli su di una
lavatrice.
- Sei venuto per quelli? Sembrano lì da un’eternità.- commentò Samantha.
Anche quella notte era vestita il meno possibile.
- Infatti. Me li sono dimenticati qui.- spiegai. Poi smisi di occuparmi dei vestiti. Mi avvicinai a
lei.
65
- In realtà sono venuto qui per te. Non mi piace saperti qui da sola, a quest’ora di notte. Non
dopo quello che è successo a Jennifer.- spiegai.
- Davvero?- domandò in parte lusingata, credo, e in parte preoccupata.
- Sì. Soprattutto perché forse l’assassino è uno dei miei amici.- le confessai i miei timori.
Si appoggiò contro la lavatrice e mi prestò più attenzione.
- Dici sul serio? Sospetti di qualcuno?Scossi la testa.
- Non lo so. Eravamo ubriachi quella notte. Eravamo in quel bosco e non so come ce ne siamo
andati ne quando lo abbiamo fatto. Potrei essere stato anch’io, come mi ha detto il tenente che si
occupa delle indagini. Se avevo bevuto troppo non sapevo più quello che facevo. Bastava che
qualcuno mi mettesse in mano un coltello...Samantha mi guardò preoccupata.
- Stai tranquilla. Se sono sobrio non corri pericoli.- dissi cercando di scherzare.
- Non dire stronzate. Tu non avresti potuto fare del male a Jennifer, nemmeno sotto ipnosi o
sotto tortura.- mi disse duramente.
- Lo spero.- le dissi.
Samantha mi abbracciò per rincuorarmi e invece riuscì solo a mettermi a disagio.
Martedì mi svegliai presto per andare a lezione e fui sorpreso dal fatto che anche Jasmine e Judy
si alzassero per prepararsi. Andammo insieme all’Uni e poi ci dividemmo. Io andai verso la mia
aula, e Judy e Jasmine raggiunsero la loro. Bred non c’era a lezione. Io mi sforzai di ascoltare il
professore e, dopo qualche minuto di disperati tentativi, riuscii a concentrarmi sulla lezione.
Certo, la mia attenzione non era totale (mi sembrava di vedere scorrermi davanti agli occhi un
film dove vedevo noi tutti nel bosco che ci sbronzavamo e, più tardi, un’ombra aggrediva
Jennifer e la uccideva.), ma era meglio che stare in camera a bere. Finite le lezioni mattutine mi
recai in buvette. Mi sedetti al mio solito tavolo e aspettai Jasmine e Judy. Invece arrivò Patricia.
- Ciao Michael. Come stai?- mi chiese.
- Ho visto giorni migliori.- le risposi.- Perché non ti siedi?- Grazie.- disse sedendosi di fronte a me. Oggi vestiva in modo molto più femminile del solito,
forse voleva fare colpo su qualcuno.
- E’ da tanto che non vi vediamo più, tu e Jasmine. Anche Judy, per la verità.- osservò.
- Abbiamo avuto qualche casino...- dissi senza entrare nei particolari.- Io, Judy e Jasmine
dividiamo la mia camera. Judy ha un po’ paura.- Davvero? Io invece non ne ho. Forse sarà perché Bred sta quasi sempre con me.- mi spiegò.
- Tu e Bred?- feci stupito. C’ero anch’io quando avevano fatto l’amore la prima volta ma non
credevo che fosse una storia lunga.
Lei annuì sorridendo. Sembrava molto felice per la loro relazione.
- Bred ti ha detto che cosa è successo tra me, lui e Jeff, domenica mattina?- le chiesi scettico.
- Sì.- rispose sorridendomi tranquillamente.
Dubitavo che mi avrebbe sorriso in quel modo se Bred le avesse detto la verità.
- Bred è così carino con me.- aggiunse.
La guardai provando quasi pena.
- Bred ti ha detto che lui e Jeff sono entrati in camera mia, che Jeff è entrato in bagno per vedere
Jasmine che faceva la doccia, che io ho steso Jeff con un pugno e lui mi ha chiesto se avevo
ucciso Jennifer perché avevo bevuto così tanto da non capire più nulla? E poi ti ha detto che
uscendo mi ha fatto notare come Steeb sarebbe stato contento di sapere che io avevo picchiato
Jeff?- le chiesi incredulo.
Lei mi guardava stupefatta e inorridita.
- Perché mi dici tutte queste menzogne? Bred mi aveva detto che eri falso, ma non gli avevo
creduto.- disse arrabbiata.
66
- Brava! Non credergli. Credi a me. E se non vuoi credere a me, perché non lo chiedi a Jasmine
e a Judy? Tra poco arriveranno.- le dissi cercando di non alzare la voce. Bred aveva chiuso con
me. Era davvero uno stronzo, e forse un assassino.
Patricia si alzò e mi lanciò un’occhiataccia.
- Addio.- mi disse dandomi le spalle.
- Stai attenta! Non ti fidare di lui. Lo dico perché ci tengo a te.- le dissi rassegnato. Sapevo già
che non mi avrebbe dato retta.
La guardai uscire e incrociare Judy e Jasmine. Loro si fermano per parlarle ma lei non le degnò
di un minimo di attenzione. Vidi le ragazze guardarsi sorprese dal comportamento di Patricia.
- Hai parlato con Patricia?- mi chiese Jasmine quando mi raggiunsero. Si sedettero con me.Non ci ha nemmeno salutate.- Mi ha parlato di lei e Bred. Lui le ha mentito su quello che è successo domenica, e allora l’ho
messa in guardia su di lui. E si è offesa.- spiegai.
- Abbiamo notato.- osservò Judy.
- Ma stanno insieme, lei e Bred?- chiese sorpresa Jasmine.
Annuii. Jasmine e Judy non furono contente di questa informazione.
- Dovremmo parlarne a Camilla e Francine.- disse Jasmine.- Forse loro possono farle aprire gli
occhi.Sollevai le spalle.
Mangiammo dei toast in silenzio. Non vedevo l’ora di rituffarmi in aula per essere costretto a
pensare ad altro.
Frequentammo le lezioni pomeridiane e ritornammo in camera. C’era un biglietto di Samantha
sulla mia porta. Mi chiedeva di passare da lei. Lasciai Judy e Jasmine e andai da lei. Bussai alla
sua porta.
- Ciao Michael.- mi accolse facendomi entrare.
- Ciao.- mi sedetti alla scrivania.
- Ho un messaggio per te. Ti ha chiamato Brooke.- m’informò sedendosi sul letto.
- Conosci anche lei?- le chiesi curioso.
- Mi ha chiesto se ti conoscevo. Le ho detto di sì e allora mi ha chiesto come stavi, se stavi
meglio. E ho scoperto che anche lei conosceva Jennifer. E’ preoccupata per te.- spiegò. Mi
guardava, preoccupata anche lei.
- Mi richiama lei?- le domandai.
- Sì, domani. Non ha lasciato detto a che ora.- Se prendi tu il messaggio puoi dirle di non chiamarmi più? E che non le passi per la mente di
venirmi a trovare...- dissi serio.
- Ma che cosa succede?- mi chiese ancora più preoccupata dalle mie parole.
- Niente.- risposi.- E spero che non succeda mai nulla. Ma l’assassino di Jennifer dev’essere uno
dell’Uni e può sempre commettere un altro omicidio. Non voglio preoccuparla.- E allora spiegale la situazione. Se le dico di non chiamarti più si preoccuperà maggiormente e
penserà che tu non voglia avere niente a che fare con lei. E’ questo che vuoi?- mi chiese
spiegandomi quello che pensava a riguardo.
- Dici? E’ meglio se la chiamo io e le dico tutto, eh?- chiesi pensieroso.
Samantha annuì scostandosi una ciocca di capelli castani dalla fronte.
- Sospetti di uno dei tuoi amici?- mi chiese titubante.
Annuii.
- Conosci Bred e Jeff? Per ora sono i sospettati numero uno...- risposi guardandola fisso negli
occhi.- Gira alla larga da loro.- le consigliai.
Mi alzai. Samantha fece lo stesso.
- Ti ringrazio.- le dissi stanco.
67
Lei sorrise. Avrei avuto bisogno di un altro abbraccio ma non volevo esagerare. La baciai
velocemente sulla guancia e uscii come un fulmine. Guardai il telefono alla mia destra ma era
troppo presto, avrei dovuto telefonare più tardi.
Tornai in camera.
XIII.
Ero seduto alla scrivania e guardavo fuori. Jasmine mi massaggiava le spalle. Guardavamo fuori
dalla finestra. Gli avvolgibili erano alzati completamente. Il tempo si era messo al brutto e
sembrava che il sole non volesse più tornare sull’Università. Il bosco era spazzato dal vento e
uno strano gioco di correnti aveva creato un vortice in mezzo al prato, dove centinaia di foglie
giravano in cerchio. Pioveva e faceva freddo, lo sentivamo anche dalla nostra camera.
- Io ho fame.- disse Judy rompendo un silenzio durato parecchi minuti.
Era seduta sul letto e copiava degli appunti che le aveva dato Francine. Mi voltai e la guardai.
Jasmine smise di massaggiarmi.
- Anch’io ho fame.- dissi sorridendo solo per far sentire più a suo agio Judy.- Vi andrebbe se
andassi in centro a prendere delle pizze?- proposi.
- Sì.- rispose entusiasta Jasmine accarezzandomi il viso.
Judy sorrise contenta.
- Ok.- dissi alzandomi deciso. Presi il chiodo e uscii chiudendo le ragazze a chiave. Jasmine
aveva una copia della chiave, se ne avessero avuto bisogno. Percorsi il corridoio e guardai
l’orologio. Avrei potuto telefonare a Brooke ma decisi di farlo dopo cena, dopo aver avvertito le
ragazze. Scesi di sotto. Attraversai il prato con la pioggia che mi colpiva il viso con violenza. Mi
strinsi nel chiodo e avanzai a lunghi passi. Arrivai alla macchina, lasciata nel posteggio tra la
mensa e la biblioteca. Misi la chiave nella serratura e aprii. Entrai chiudendo in fretta la portiera.
In macchina era un po’ più caldo e non c’erano pioggia e vento. Mi asciugai il viso con le mani e
portai la chiave verso l’accensione. Qualcuno bussò al finestrino del passeggero. Guardai, un po’
spaventato, e vidi Steeb. Mi parlava ma il vento copriva la sua voce. M’indicò il bottone che
bloccava la portiera. Lo sollevai e Steeb si sedette accanto a me.
- Che tempo!- esclamò.
Io lo guardai un po’ risentito per il trattamento che avevo ricevuto lunedì. Lui lo capì subito. Era
un poliziotto, no?
- Io non ho mai sospettato di te.- affermò.
Lo guardai, per nulla convinto delle sue parole.
- Tu vuoi che arrestiamo il colpevole, giusto?- mi chiese sapendo già la risposta.
- Certo.- dissi con decisione.
- E allora bisogna agire in questo modo: dobbiamo fare in modo che l’assassino sia assalito dalla
paura e per questo commetta un errore che lo tradisca. Ma se mi accanisco contro di te,
l’assassino potrebbe essere così sicuro di se da abbassare la guardia. Da soli non possiamo fare
niente.- mi spiegò con calma.
- Di chi sospetta lei?- gli chiesi.
- Di chi sospetti, tu? Di Bred e Jeff, chiaro.- confessò.
Lo guardai stupito. Non perché sospettasse di loro ma perché finalmente si era aperto con me.
- Non fa parte di un piano più grande anche questa conversazione?- chiesi scettico.
- Sì, hai ragione. Ho bisogno di te per trovare il colpevole.- ammise.
Adesso sì che ero stupito.
- Abbiamo bisogno di una confessione. Non posso interrogare quei due e fargli sputare la verità
torturandoli. Non avrei in mano niente, loro sparirebbero e addio giustizia. E tu vuoi giustizia,
vero?- mi guardò scrutandomi. Non ci fu bisogno che aprissi bocca.
- Devi provarci anche tu, devi minacciarli, perseguitarli, farli spaventare.- mi disse.
68
Lo guardai scioccato. Mi stava dando carta bianca? Dovevo fare io il poliziotto?
- Ma stai attento. Se sono loro, devi temere anche per la tua vita. E non puoi perseguitare degli
innocenti. Non esagerare.- continuò.
- Ma sa che cosa mi sta chiedendo?- feci incredulo.
- Senti, hanno ucciso la persona che amavi di più! Non faresti qualsiasi cosa per lei?- mi
domandò con rabbia.
Non risposi. Certo, che avrei fatto qualsiasi cosa per Jennifer.
- Se non scopri qualcosa tu non troveremo mai il colpevole.- ammise.
Ero senza parole.
- E se fossi in te direi a Jasmine e Judy di andarsene in vacanza per un po’.- aggiunse. Mise una
mano sulla maniglia e fece per uscire.- Sia chiaro, io non ti ho detto nulla.- disse prima di
scendere dalla mia Chevrolet.
Rimasi parecchi minuti a guardare il contachilometri. Poi misi in moto e mi diressi in città. Non
sapevo cosa fare. Mentre aspettavo le pizze, seduto al bancone di un ristorante, pensavo a quanto
dire di questa conversazione alle mie compagne di stanza. E come fare a farle andare via da qui.
Aprii la porta della camera ed entrai. Jasmine e Judy non c’erano. Guardai in bagno ma... niente!
Riaprii la porta e cercai un biglietto sull’anta o per terra. Niente! Lasciai le pizze sulla scrivania
e andai da Samantha, gettando un’occhiata in cucina. Bussai con forza da Samantha. Mi aprì con
un accappatoio e i capelli gocciolanti.
- Scusami.- le dissi quando mi guardò con un’espressione preoccupata.- Non hai visto Judy o
Jasmine?- Sì. Sono andate da Helena. Non hai visto il biglietto sulla porta?- mi rispose scocciata per
essere stata tirata fuori dalla doccia.
Guardai verso la mia camera.
- Non c’era nessun biglietto.- spiegai.
- Beh, Judy e Jasmine lo hanno lasciato sulla porta. E poi mi hanno detto di dirti, se mi avessi
chiesto qualcosa, che non dovevi preoccuparti.- m’informò.
Annuii. Abbassai il capo, ma quando mi accorsi della lunghezza del mini accappatoio, guardai
da un’altra parte.
- Scusami. Mi dispiace disturbarti sempre.- le dissi seriamente dispiaciuto.
- Vai, ora. E non ci pensare.- mi baciò sulla guancia indugiando qualche secondo prima di
allontanarsi dal mio viso. Chiuse la porta ed io fissai l’anta chiusa asciugandomi dalle gocce che
Samantha mi aveva lasciato sul viso. Andai a recuperare le pizze e raggiunsi l’appartamento di
Helena. Bussai alla porta ma non mi aprì nessuno. Stavo per avere una crisi isterica. Bussai di
nuovo e di nuovo non ottenni risposta. Ero deciso ad andare da Bred a spaccargli il muso ma poi
ebbi un’altra idea. Rimasi un minuto in silenzio, davanti alla porta. Niente. Uscii dall’edificio e
cercai la finestra della camera di Helena. Nessuna luce. Bussai alla finestra.
- Sono Michael.- dissi.
- E io sono Tom.- disse il vicino di Helena guardandomi da fuori la finestra.
- Senti, stronzo...- iniziai.
- Pss.- bisbigliò Helena.- Entra.- aveva tirato le tende e aperto la finestra.
Guardai male Tom che aveva l’espressione di uno abituato a vedere ragazzi che entravano dalla
finestra di Helena, ed entrai nella camera di Helena. Era buio pesto. Venni baciato, e in che
modo!, e trascinato per la stanza. Stavo per reagire e allontanare Helena, quando si accese una
luce e mi ritrovai attaccato a Jasmine. Eravamo nell’ampio bagno di Helena. Judy era seduta sul
water mentre Helena mi salutava seduta sul bordo della vasca. Jasmine mi tolse le pizze e le
distribuii. Io rimasi senza niente da mangiare.
- Cosa ci facciamo qui?- chiesi.- E tu, Helena dove ti eri cacciata? Sei andata da Steeb lunedì?Le ragazze mi guardarono con le bocche piene di pizza. Jasmine mi tirò facendomi sedere
accanto a lei, per terra. Mi diede una fetta di pizza.
69
- No.- mi rispose Helena. Aveva l’aria sciupata e stravolta.- Non sono andata da Steeb. Sono
stata chiusa qui per due giorni senza mangiare niente. Ero da una mia amica ma una volta,
tornando dal supermercato, ho trovato la polizia ad aspettarmi e allora sono tornata qui. Non
possono aprire la porta, senza mandato. E non credo possano ottenerne uno, per il momento.- mi
spiegò.
- Ma cosa devi nascondere?- le chiesi preoccupato. Si comportava come se sapesse qualcosa di
molto importante.
- Jeff aveva un coltello quando abbiamo fatto l’amore nel bosco, quella notte. Me lo ha anche
tenuto sulla gola per farmi stare ferma.- confessò nervosa.
Rinunciai alla fetta di pizza che mi offriva Jasmine.
- Ma devi dirlo subito a Steeb! Potremmo risolvere il caso in poche ore, se Jeff confessa.
- Ma io non so se è stato Jeff. Se non troviamo il coltello sarà la sua parola contro la mia. E
anche se lo troviamo bisogna provare che è quello che ha ucciso Jennifer e che è stato Jeff ad
usarlo.Parlava come Steeb. Jasmine e Judy mangiavano tranquille. Non erano sorridenti ma era chiaro
che a loro Helena aveva già spiegato tutto.
Pensai. Helena riprese a mangiare. Le tremavano le mani e aveva il volto dimagrito. Doveva
avere perso qualche chilo in tutto il corpo. Non era più sexy, così spettinata, con un paio di jeans
bucati all’altezza delle ginocchia e un maglione sformato.
- E perché ti rinchiudi qua? Perché stiamo al buio? Non credo che Steeb venga a cercarti a
quest’ora.- cercai di capire meglio la situazione.
- Ma Bred e Jeff non hanno orari. Passano ogni due o tre ore e bussano alla porta, grattano
contro l’anta e mi chiamano a bassa voce. E’ terribile. Ho molta paura.- disse nervosissima.
Judy prese una bottiglia da un litro di Coca-Cola dalla vasca e la passò a Jasmine. Lei bevette e
poi passò la bottiglia a me. Io poi la passai a Helena.
- Devo dirvi una cosa.- dissi a tutte e tre.
Mi guardarono attentamente, vedendomi così serio e preoccupato.
- Steeb ha aspettato che prendessi la macchina e mi ha parlato.Helena, Jasmine e Judy ascoltarono attentamente tutto quello che dissi. Jasmine, in particolare, si
faceva sempre più triste e preoccupata.
- Allora,- chiese Judy.- cosa vorresti che facessimo?Io guardai Jasmine e lei non lesse niente che la facesse felice nei miei occhi.
Eravamo alla stazione ferroviaria di Erie. Ero tornato nella nostra camera, avevo riempito due
borse di vestiti, ed ero ritornato nella stanza di Helena. Avevamo aspettato le due del mattino,
alle tre partiva il primo treno per N.Y., ed eravamo partiti per la stazione. Alle tre, quando il
controllore diceva di salire in vettura, io e Jasmine ci baciavamo con foga sulla porta del treno.
Jasmine mi bagnava le guance con le sue lacrime ed io mi trattenevo solo per farle credere che
non aveva motivo di preoccuparsi. Prima io e Judy ci eravamo abbracciati per qualcosa come
un’eternità e poi io e Jasmine ci eravamo abbracciati e baciati ancora più a lungo. Helena le
aveva abbracciate velocemente. Si sentivano abbastanza legate tra loro, ma Helena pensava solo
a se stessa in quel momento, e non le si poteva dare torto. Era lei quella che correva più rischi, e
lei doveva rimanere a Erie. Quando il treno si mosse aspettavo solo che Jasmine mi dicesse “ti
amo”, ma non lo fece. Io e Helena salimmo sulla mia auto e andammo alla centrale. Restammo
fuori ad aspettare che Steeb arrivasse. Posteggiai in divieto di sosta proprio davanti alla centrale.
Helena si sistemò sul sedile posteriore ed entrambi dormicchiammo. A svegliarci ci avrebbe
pensato il poliziotto che mi avrebbe fatto la multa.
Fu Steeb in persona a svegliarci. Il sole non era ancora spuntato e Steeb bussava con forza al
finestrino. Aprii gli occhi e, quando mi resi conto di quello che succedeva, scossi Helena che si
svegliò.
70
Poco dopo eravamo seduti davanti alla scrivania di Steeb. Io e Helena bevevamo caffè da due
bicchieri di plastica che ci aveva portato Steeb stesso. Non c’era molta vita in centrale, a
quell’ora.
- Allora, cosa dovete dirmi?- chiese tranquillo.
Helena finì il caffè e prese coraggio.
- Io ho ancora la mia deposizione da fare.- disse nervosa.
- Michael, dovresti andarti a sedere laggiù.- mi disse indicandomi una poltrona lontana, mentre
armeggiava in cerca di carta per scrivere e una biro.
- Parlerò solo se Michael potrà stare al mio fianco. Lui sa già tutto quello che le dirò.- spiegò
Helena.
Steeb guardò Helena affatto convinto.
- Non è la procedura...- abbozzò una scusa.
Io inarcai le sopracciglia e lo guardai quasi divertito. Lui capì quello che mi passava per la mente
e sollevò le spalle.
- Vuoi almeno andare a prendere dell’altro caffè?- mi chiese con un mezzo sorriso.
Mi alzai e li lasciai per pochi istanti.
- Quella notte io e Jeff abbiamo fatto l’amore nel bosco, prima che iniziassimo a bere tutti
insieme. Io e Jeff eravamo già abbastanza ubriachi ma sono sicura di quello che le dico. Jeff
aveva un coltello e mi ha anche minacciata. Avrei fatto comunque l’amore con lui, quindi non ho
detto nulla. Però mi ha spaventata. Sembrava veramente deciso ad usare quel coltello, se io
avessi fatto storie.Steeb guardava Helena con grande attenzione. Lei lo guardava negli occhi perché era l’unico
modo per convincerlo, anche se era terribilmente difficile e spesso fissava le proprie scarpe per
non sentire gli occhi di lui su di lei.
Un registratore registrava la conversazione e Steeb annotava degli appunti su di un bloc-notes.
- Non ricordo cosa è successo più tardi. Eravamo tutti ubriachi e credo ci addormentammo
insieme, lì nel boschetto. Poi mi sono svegliata verso mezzogiorno, nella mia stanza. Ero sola.
Non so che fine abbiano fatto gli altri. Michael, Judy e Jasmine mi hanno detto di essersi
svegliati nelle loro stanze. Non so altro.- concluse provata.
Oltre a quest’ultima notte quasi insonne, Helena aveva sulle spalle dei giorni veramente difficili.
- Non hai chiesto a Jeff di quel coltello, dopo che hai saputo della morte di Jennifer?- le chiese
Steeb.
- No.- rispose Helena.- Avevo paura. Era meglio far finta di nulla...- aggiunse.
Steeb annuì, poi guardò me.
- Michael ti ha fatto raccontare una bella storiella.- disse Steeb sfidando Helena.
Lei mi guardò stupefatta e poi ritornò a guardare Steeb.
- Brutto stronzo! Ma come... -iniziò a urlare attirando l’attenzione di tutti i presenti.
- Hai passato l’esame.- disse Steeb sorridendole e sfiorandole la mano.- Ti credo.Helena mi guardò, ancora confusa, e poi si rilassò sulla sedia.
Steeb si alzò e prese un bicchiere d’acqua.
Si sedette e ci guardò. Vidi che aveva spento il registratore.
- Lo arresterete?- chiese Helena.
- Non possiamo. Non è un reato avere un coltello. E anche se lo fosse, in tribunale dovresti
ammettere che eri ubriaca... Mi dispiace.- disse sentendosi con le mani legate.
- E quello che fanno lui e Bred, il modo in cui ci perseguitano?- chiese lei scoraggiata.
- Puoi sporgere denuncia.- rispose seccamente.
Sapevamo tutti e tre che Steeb non poteva fare nulla.
- Jasmine e Judy?- s’informò Steeb.
- Sono via. Lontano da qui.- spiegai.
Annuì soddisfatto.
- Puoi ospitare tu Helena?- mi chiese ancora.
71
- E’ quello che intendevo fare.Usciti dalla centrale facemmo colazione in un bar vicino. Poi io comprai un telefono portatile e
lo usai subito per lasciare il mio numero a Jasmine. Jasmine mi chiese come era andata in
centrale ed io le dissi “bene”, senza dirle che non era servito a nulla. La salutai in fretta.
Portai Helena a prendere le sue cose.
Andammo nella mia stanza. Mentre Helena faceva una doccia, mi sedetti alla scrivania e guardai
la vita che scorreva attorno al Planet e alla mensa. Avrei voluto dimenticare tutto e fuggire, ma
non potevo, e non ci sarei mai riuscito. Sentivo l’acqua della doccia che scorreva e immaginavo
Helena che indugiava con la testa sotto il getto gelato e, mentre le sue lacrime si mescolavano
con l’acqua, cercava di non pensare a Bred e a Jeff e a Jennifer. Pensai a come sarebbe stato più
facile uccidere Jeff e Bred, di notte, e nascondere ogni prova. Non avremmo più avuto problemi,
solo un tremendo senso di colpa, un pizzico di rimorso e l’incertezza di non sapere se erano
davvero colpevoli. Accesi lo stereo ad alto volume per cacciare certi pensieri, nei quali non mi
riconoscevo.
Helena tornò con indosso solo una maglietta, ma non credo volesse sedurmi sebbene fosse più
che affascinante, e si sdraiò nel mio letto. Le rimboccai le lenzuola, abbassai il volume dello
stereo e la osservai dormire.
72
XIV.
Il cielo era diventato cupo, brutto presagio, e sembrava promettere tempesta. Già una fitta
pioggia bagnava Erie e tutto sembrava morto. Il Planet sembrava centro di forze maligne, non si
vedeva più vita attorno all’edificio. Helena dormiva meritatamente, recuperando il sonno
arretrato, ed io pensavo e pensavo.
Mi chiusi in bagno per non disturbare Helena e telefonai a Brooke.
- Pronto?- rispose lei.
- Ciao, Brooke. Sono Michael.- mi presentai.
- Michael! Come stai?- mi chiese, felice di sentirmi.
- Non bene, sinceramente.- Come mai?- chiese preoccupata.
- Qui succedono cose strane. Due nostri amici si sono rivelati falsi e pericolosi. E non è detto
che non siano stati loro ad uccidere Jennifer... Il tenente della polizia che si occupa del caso mi
ha praticamente detto di indagare personalmente, perché è l’unico modo per scoprire qualcosa.
Ho fatto tornare Jasmine a N.Y., dai suoi, e una nostra amica è andata con lei. Io ospito un
ragazza, Helena, che è stata perseguitata da quei due. E una nostra amica sta con uno di loro.
Sono preoccupato. per me, per Helena, per questa ragazza e per tutti quelli che conosco qui
all’Uni. Ma voglio che il colpevole o i colpevoli vengano presi.- spiegai.
- Capisco.- E’ meglio se non mi chiami più. Non sono dell’umore adatto per conversare con qualcuno e
non voglio preoccuparti.- spiegai, anche se non riuscivo a convincere nemmeno me stesso che le
mie parole avessero un senso.
- Ma io mi preoccuperò di più, non sentendoti.- ribatté sensatamente Brooke.
Non sapevo cosa dirle.
- Ma farò come hai detto tu.- continuò.- Non temere.- E che non ti passi in mente di venire a trovarmi.- dissi un po’ triste ripensando a Jennifer.
- Certo.- rispose fredda.
- Ti voglio bene.- confessai. Ero in vena di confessioni del genere da quando era successo tutto
questo casino. E cercavo anche tutto l’affetto che potevo ricevere.
- Lo so. Ma anch’io te ne voglio. E molto. Stai attento e non fare sciocchezze. Ciao.- Ciao.- la salutai abbacchiato.
Ritornai alla scrivania e osservai di nuovo Helena che dormiva.
Quella notte, Helena che dormiva, io che scrivevo una lettera senza senso a Jasmine, qualcuno
tirò un sasso o qualcosa di pesante contro gli avvolgibili della mia camera. Non mi passò
nemmeno per la mente di alzarli per guardare chi fosse. Non avevo paura di ricevere un proiettile
in fronte, questo no, ma non sarebbe servito a nulla guardare fuori dalla finestra. Tirarono
qualcos’altro. Una seconda volta e poi ancora. Alla fine si stancarono. Spensi la luce e mi sdraiai
sul materasso che c’era per terra.
Quando mi svegliai, il letto era vuoto. Mi alzai, stiracchiandomi e mi mossi verso il bagno. Vidi
con orrore, la porta della camera aperta. Mi precipitai in bagno e, come temevo, non vi trovai
nessuno. Corsi fuori dalla camera e poi verso le scale. Prima che superassi la cucina, Helena
cacciò fuori la testa proprio da lì, per vedere chi correva. Mi bloccai e la fulminai.
- Cristo! Non lo fare mai più! Temevo che...- urlai.
Lei mi abbracciò forte, con uno yogurt tra le mani, e ancora una volta mi mostrò un lato umano
che credevo non avesse.
- Scusami, mi dispiace.- mi disse sinceramente dispiaciuta mentre si stringeva sempre più a me e
mi accarezzava la schiena.
- Non fa niente.- le dissi sentendomi un po’ colpevole per la mia reazione.- Ma non lo rifare,
ok?- le chiesi guardandola.
73
- Ok.- mi disse con un’espressione colpevole.
Tornammo in camera.
Passarono due giorni. Ogni sera lanciavano qualcosa contro gli avvolgibili, ma la cosa non mi
preoccupava. Io uscii una sola volta, per comprare da bere e da mangiare per parecchi giorni.
Helena non si affacciò nemmeno oltre la porta. Io avevo liberato la scrivania da libri e appunti
perché non sapevo come utilizzarli. Non pensavo di dare gli esami, anche se mancavano parecchi
mesi. Helena passava il tempo a depilarsi, limarsi le unghie, fare ginnastica e mangiare. Io
mangiucchiavo e scrivevo lettere e lettere a Jasmine. Lettere che, immancabilmente, finivano nel
cestino. Non avevo nulla da dirle. O forse avevo troppo da dirle e non sapevo come metterlo su
carta. Nulla aveva senso in quel periodo. A volte, io e Helena ci fissavamo per lunghi periodi
senza dire una parola. Lei era seduta sul letto in mutandine e reggiseno e si depilava le gambe. Io
sedevo sulla sedia, al contrario, con la schiena contro la scrivania. Ci guardavamo negli occhi e
basta. Il pensiero di fare l’amore con lei mi attraversava la mente ogni cinque minuti e, da come
mi guardava, credo non sarebbe dispiaciuto nemmeno a lei. Non volevo tradire Jasmine, no.
Ma... Fortunatamente Helena non si fece mai avanti, forse perché Jasmine era una sua amica.
Fortuna, perché se si fosse fatta avanti non l’avrei respinta. Pensai seriamente di lasciare
Jasmine, perché non mi piacevo, non mi piacevano i miei pensieri, ma non era certo possibile in
questo momento. Dovevo aspettare di rivederla.
Avevo acceso la radio e Helena si era messa a fare stretching in body, mettendo in mostra il suo
fisico incredibile ed io la guardavo. E mi chiedevo cosa stavamo facendo. Cosa stavo facendo io.
Perché rimanevo chiuso in questa stanza con le mani in mano quando l’assassino o gli assassini
di Jennifer scorrazzavano per il campus, sereni e liberi come farfalle? Se era questo che volevo
fare perché rimanevo in questa Università? Avrei potuto prendere Helena e portarla a N.Y. o a
L.A. Jasmine e Judy ci avrebbero raggiunto e avremmo ricominciato tutto da capo, in un’altra
Uni. Cosa volevo? Cosa dovevo fare? Volevo davvero evitare che si facesse giustizia?
Quella notte, verso le due, io e Helena ci fissavamo. La luce era accesa ed io e lei ci scrutavamo
senza dare segno di voler dormire. Lei indossava una camicia bianca e un paio di mutandine. La
camicia non nascondeva nulla ma io guardavo Helena negli occhi, così come faceva lei. E non
pensavo a lei, anzi, non pensavo a nulla.
Poi, forse, il sonno ebbe il sopravvento.
- Vuoi dormire con me?- mi chiese Helena.
La scrutai per capire il vero significato delle sue parole. Poi le risposi:
- Mi farebbe molto piacere.Lei si mosse e si sdraiò sul mio materasso prendendo il cuscino che usava solitamente. Mi
sdraiai al suo fianco e lei mi abbracciò. Poi spegnemmo le luci e lasciammo che Morfeo ci
prendesse con lui.
74
XV.
Non dormimmo a lungo, però. A notte fonda dei colpi alla porta ci svegliarono. Mi alzai a sedere
sul materasso e Helena, tremante, mi abbracciò forte. Guardai l’orologio che portavo al polso
destro e vidi che erano le due di sabato mattina.
- Stai tranquilla.- dissi a Helena.
Mi alzai a fatica, l’ozio di questi giorni mi aveva indebolito, e andai alla porta.
- Chi è?- chiesi da dietro l’anta.
- Sono Patricia.- la sua voce era strana.
Pensai alla possibilità che Bred fosse nascosto lì fuori, ma la presenza di Patricia avrebbe dovuto
renderlo più attento alle sue azioni.
Aprii la porta e vidi una brutta copia di Patricia, gli occhi arrossati, i capelli spettinati, i vestiti
con i bottoni chiusi a casaccio, il viso spaventato.
- Fammi entrare, Michael.- mi supplicò scoppiando a piangere.
La lasciai entrare e appena chiusi la porta lei mi abbracciò e pianse ancora più forte. Helena
prese coraggio e ci raggiunse, vicino alla porta. Le due ragazze si abbracciarono. Helena riuscì a
portare Patricia sul letto. Lì, sedette con le mani a coprirle il viso. Io e Helena le sedevamo
accanto.
- Cos’è successo?- le chiesi dolcemente.
- Bred.- disse unicamente.
Io e Helena ci guardammo interrogandoci. Poi Patricia sfilò un foulard che portava al collo e noi
capimmo quello che voleva dirci. La pelle del suo collo era coperta di macchie ed ecchimosi blu
e nerastre. E si vedevano i segni delle dita di Bred. Io ero sconvolto e furioso. Helena abbracciò
ancora Patricia che non riusciva a smettere di piangere. Io mi alzai e presi a camminare per la
stanza. Poi indossai un paio di jeans e un maglione di lana ed uscii chiudendo a chiave la porta
della mia camera. Percorsi a grandi passi il corridoio e ancor più velocemente le scale. Arrivai
alla camera di Bred e tempestai la sua porta. Non mi rispose nessuno. Girai per il corridoio come
un toro che si prepara alla carica, e guardavo la porta e il corridoio. Poi ritornai davanti alla
porta. Indietreggiai fino a toccare la parete alle mie spalle e poi mi gettai sull’anta. Una prima
volta, e altre due in seguito. Finii a terra, nel corridoio della camera di Bred. Mi alzai in fretta e
ispezionai la camera. Non c’era traccia di Bred. Sembrava addirittura che se ne fosse andato per
sempre. L’armadio era aperto e pochi erano i vestiti appesi agli appendiabiti. Altri vestiti erano
per terra, alla rinfusa. Stavo per uscire, con la rabbia che non mi aveva abbandonato, quando vidi
un reggiseno sul letto di Bred. Sarebbe stato logico pensare che fosse di Patricia ma mi sembrava
di riconoscerlo. Era identico a quello che avevo visto nella camera si Samantha, quando l’avevo
conosciuta. Poteva essere di chiunque, certo, ma forse era proprio il suo. Lo presi e, per quanto
fosse possibile, lo ficcai nella tasca.
Mi ritrovai nel corridoio. Nessuno si era affacciato per vedere cosa succedeva. Camminai verso
le scale. Non sapevo dove abitasse Jeff. Decisi di andare nell’appartamento di Patricia.
Attraversai il bosco attento ad ogni piccolo rumore, ed arrivai alla Kent House. Salii fino
all’appartamento di Patricia ma lo trovai chiuso a chiave. Bussai, non troppo forte, sperando che
Bred mi aprisse sperando di trovarsi davanti Patricia. Niente. Scesi al piano di sotto e mi fermai
davanti all’appartamento di Camilla e Francine. Non c’era niente che facesse temere che fosse
successo qualcosa anche a loro. Ero tentato di bussare per avvertirle ma non lo feci. Ritornai alla
Hope House e salii in camera. Ero ancora furioso con Bred ma mi ero calmato un po’. Passando
davanti alla camera di Samantha scossi la testa, indignato, scioccato e incredulo. Entrai in
camera e trovai Helena sdraiata sul materasso. Patricia si era addormentata nel letto. Mi svestii e
mi sdraiai accanto a Helena. Le accarezzai il viso e la baciai sulla fronte. Lei mi guardò in modo
buffo.
- Non l’ho trovato.- dissi.
Poco dopo Helena spense la luce e mi abbracciò sotto le lenzuola.
75
Ci svegliammo tardi, quella mattina. Patricia si fece una doccia mentre Helena mi massaggiava
la schiena. Jasmine era lontana, in quei momenti, lontana fisicamente e lontana dal cuore. Io
pensavo a cosa dovevamo fare. Patricia ritornò con indosso un vestitino di Helena. Ci vide e ci
guardò stupita. Poi fece la domanda che aspettavo da tempo.
- Dov’è Jasmine?- chiese. In realtà voleva sapere se io stavo con Helena.
- E’ andata a N.Y. con Judy. Lì saranno al sicuro.- spiegai.
Patricia mi guardò con l’espressione colpevole perché non aveva voluto darmi retta. Mentre
Helena si vestiva (si tolse la camicia rimanendo a seno nudo senza preoccuparsi della mia
presenza e poi si vestì), io guardavo Patricia cercando di capire le sue intenzioni.
- Mi accompagnate in polizia?- chiese guardandomi.
Le sorrisi. Temevo che avesse troppa paura.
- Certo.- le risposi.
Camminavamo verso la mia automobile quando mi ricordai di Camilla e Francine. Diedi il mio
telefonino a Patricia e le dissi di avvisarle. Eravamo in viaggio quando Patricia trovò Francine.
- Ciao, sono Patricia./ Ascoltami, ieri Bred mi ha quasi strangolata, mentre facevamo l’amore...
(Rimasi di stucco, non lo avevo immaginato)/ State lontane da lui./ Michael l’ha sempre
sospettato e adesso inizio a pensare anch’io che Bred centri con la morte di Jennifer./ Sì./ Venite
da Michael, più tardi./ Ciao.Patricia spense il telefonino e lo mise nel cruscotto. Sedeva davanti, tra me e Helena. Le gettai
un’occhiata e vidi che non era stato facile per lei dire quelle cose a Francine.
Steeb ci accolse con un’espressione di stupore che gli dipingeva il viso. Probabilmente si
aspettava di rivedermi solo quando gli avrei portato Bred e Jeff su un piatto d’argento, con tanto
di prove e confessione firmata.
- Cosa posso fare per voi?- ci chiese quando fummo seduti di fronte a lui.
- Io devo denunciare... un tentato omicidio, credo.- disse Patricia con difficoltà.
Steeb la guardò con le sopracciglia inarcate e poi guardò me.
- Aspetta un attimo.- disse quasi agitato. Tirò fuori un registratore e prese carta e penna. Chiamò
quel suo odioso collega, Brown, e poi lasciò che Patricia raccontasse la sua storia. Io e Helena
ascoltammo in silenzio e conoscemmo gli avvenimenti di quella notte per filo e per segno.
Scoprimmo piccoli dettagli che Patricia non ci aveva rivelato.
- Bè, adesso lo andiamo a prendere. Stai tranquilla.- Disse Steeb a Patricia.
- Io l’ho cercato dappertutto ma non l’ho trovato. Forse però stava da Jeff.- spiegai.
- Lo cercheremo per bene, non vi preoccupate. Voi state tutti insieme e in luoghi affollati.continuò Brown.
Io, Helena e Patricia tornammo nella mia camera. Patricia rimase seduta alla scrivania e vide la
polizia arrivare, con Steeb al comando di una mezza dozzina di uomini. Io scesi di sotto, alla
stanza di Bred e confessai di aver rotto la porta a Steeb. Lui mi disse di lasciar perdere, che non
c’erano problemi, il mio comportamento era giustificato. Tornai dalle ragazze. Patricia vide
Steeb e gli altri poliziotti dividersi ed andare verso il Planet, la Kent House e la George Town.
Forse quest’incubo poteva finire da un momento all’altro. Un timido sole era spuntato su Erie,
Steeb era alla caccia di Bred ed io mi sentivo rilassato. Mi spogliai e mi sdraiai sul materasso.
Poco dopo Helena si spogliò e si sdraiò al mio fianco. Dormimmo.
Ci svegliammo quando era ormai notte. Camilla e Francine erano sul mio letto, sedute accanto a
Patricia. Sorrisi e le salutai. Mi salutarono ma mi guardarono storto, perché Helena indossava
solo un paio di mutandine e aveva dormito abbracciata a me. Helena si vestì, imbarazzata, ed io
indossai un paio di jeans e un maglione.
- Abbiamo incontrato Steeb, pochi minuti fa.- ci disse Francine.
Patricia sembrava essere già al corrente di tutto.
76
- Ci ha detto che ci sono un paio di agenti in borghese qui in giro. Di Bred nessuna traccia. Lo
hanno cercato da Jeff, ma Jeff ha detto che non sa dove sia Bred. Ha detto che non lo vede da più
di un giorno.- aggiunse.
Le ragazze si misero a parlare di questi strani giorni. Io guardavo attraverso gli avvolgibili,
seduto sulla scrivania a gambe incrociate. Poi misi una mano nella tasca dei jeans e mi ricordai
del reggiseno di Samantha. Mi alzai.
- Scusatemi un attimo. Vado da un’amica.- uscii e camminai verso la sua stanza.
Non avevo detto che andavo da Samantha perché non mi sembrava di ricordare che le ragazze la
conoscessero. Ma forse mi sbagliavo...
Bussai alla sua porta. Solo dopo guardai l’orologio e vidi che era mezzanotte. Ero tentato di
svignarmela.
Samantha aprì la porta con indosso una vestaglia trasparente. Indossava solo le mutandine sotto.
Doveva farlo apposta, non era possibile che ogni volta la trovassi mezza nuda.
- Ciao.- le dissi.- Spero di non averti svegliata.
- Ciao. No, stai tranquillo. Entra pure.- m’invitò.
Entrai e senza fare troppi complimenti mi sedetti sulla sedia, girandomi verso il letto. Samantha
si sedette sul letto, senza dar segno di volersi coprire. Misi una mano in tasca e tirai fuori il suo
reggiseno. Inarcò le sopracciglia, sorpresa.
- Cosa ci fai con quello?- mi chiese senza molta furbizia.
- L’ho trovato nella camera di Bred, sul suo letto.- dissi freddo.
Glielo porsi e lei lo prese. Poi, per rifarsi, lasciò cadere la vestaglia ed indossò il reggiseno
davanti ai miei occhi, senza il minimo imbarazzo.
- Ti avevo detto di stargli lontano.- le dissi deluso.- Ti avevo detto che era pericoloso. Ieri sera
ha tentato di strangolare la sua ragazza, una mia amica. Poteva succedere a te...- continuai.
Lei mi guardava tranquillamente, per nulla scioccata dalla storia di Patricia. Si rimise la
vestaglia, per quello che serviva.
- Volevo conoscerlo. Volevo diventargli simpatica e sperare di incastrarlo. E solo per questo che
sono andata a letto con lui.- mi confessò.
- Davvero?- le chiesi sbalordito.
- E’ vero.- ammise.
- Ma perché? Non dovevi farlo!- dissi incazzatissimo.- Con quello stronzo!- mi alzai in piedi.
Ero ancora più incazzato dell’altra volta.
- L’ho fatto più volte.- disse facendosi piccola piccola.- L’ho fatto ubriacare e mi ha raccontato
tutta la sua vita, anche segreti piccanti. Ma non ha detto nulla di Jennifer. Niente.- disse.
Io sollevai gli occhi al soffitto, arrabbiato. Poi lei scoppiò a piangere. Riluttante, mi avvicinai a
lei, e le misi un braccio sulle spalle. Lei mi abbracciò. Eravamo in piedi, al centro della camera,
abbracciati, lei mezza nuda, e come al solito mi metteva a disagio. Non cessava di piangere.
- Oh, Michael. Avevo tanta paura ma volevo fregarlo se aveva ucciso Jennifer.- disse tra i
singhiozzi.- E’ stato bruttissimo, mi sono abbassata a fare certe cose...- pianse più forte.
- Su, coraggio. E’ finita.- le dissi baciandola sulla guancia.
Le accarezzai il viso. Mi strinse più forte. Si avvicinò per baciarmi ma non la lasciai fare.
- Rimani qui con me, fai l’amore con me.- mi chiese con le lacrime agli occhi.
Prima di rispondere, Samantha si strofinò per bene contro di me ricordandomi le notti passate
con Jasmine e eccitandomi, perché no. Era una bella ragazza e si stava offrendo a me.
- No. Scordatelo.- dissi anche troppo duramente.- Se hai paura posso dormire qui per terra, ma
non farò nient’altro.- Oh, scusami.- mi abbracciò dopo che io mi ero allontanato.- Non volevo, io... mi sento sola.
Scusami.- disse. Non la credetti così innocente.- Sì, vorrei tanto che dormissi qui. Ho davvero
paura, soprattutto dopo quello che hai detto che ha fatto Bred.- aggiunse.
La lasciai e mi avviai alla porta.
- Torno subito. Devo avvisare qualcuno. Sarò qui tra due minuti.- le dissi uscendo.
77
Adesso non mi era più così simpatica. Forse ero ingiusto, in fondo aveva cercato di fare luce
sull’omicidio di Jennifer, però mi sembrava falsa. Andai nella mia camera.
Le ragazze parlavano ancora.
- Possiamo dormire qui?- mi chiese Camilla.
- Certo.- risposi tranquillo.- Io invece dormirò dalla responsabile del piano, Samantha. La
conoscete?- chiesi.
Annuirono tutte e quattro. Rimasi stupito.
- Lei conosce Bred ed ha paura. Se dormo da lei sarà più tranquilla.- spiegai.
Camilla e Francine mi guardarono storto. Non è che mi stavo facendo una bella reputazione,
ultimamente. Chissà cosa sarebbe arrivato alle orecchie di Jasmine...
Presi un altro maglione, nel caso dovessi usarlo come cuscino, e poi baciai tutte e quattro sulle
guance. Helena mi abbracciò velocemente ed io mi chiesi per l’ennesima volta, cosa stessi
combinando. Tornai da Samantha. Bussai e mi annunciai. Lei venne ad aprirmi, vestita come in
precedenza. Aveva preparato una specie di sistemazione per terra, con un paio di lenzuola ed una
coperta. C’era anche un cuscino. Ero sollevato, vedendo che lei non aveva insisto perché almeno
dormissi nel letto con lei. Mi spogliai e la baciai sulla fronte. Lei era già sotto il piumino, nuda.
- Cerca di dormire. Non hai di che preoccuparti per Bred. Buonanotte.- le dissi.
- Buonanotte.- disse sorridendomi.
Mi sdraiai nel mio cantuccio e cercai di dormire. Avevo riposato parecchio, oggi, ma il sonno mi
prese in fretta.
Quando mi svegliai vidi Samantha che camminava verso il bagno, ancora completamente nuda.
Era una strega, voleva portarmi a letto a tutti i costi. Altro che amica! Mi alzai e mi vestii. Sentii
l’acqua della doccia scorrere. Cercai carta e penna e lasciai un biglietto per Samantha. “Se hai
bisogno, sai dove trovarmi.” le scrissi. Non ero in vena di scriverle “ti voglio bene” o cose del
genere, quando non sapevo nemmeno se lei fosse sincera con me. Uscii dalla sua camera in
silenzio e tornai nella mia. Misi la chiave nella serratura, aprii e poi bussai, prima di aprire la
porta completamente. C’erano quattro donne in quella stanza, ed ero stufo di vedere corpi nudi.
- Vieni pure, Michael. Siamo, ehm... vestite.- mi disse Helena.
Ovviamente non era vero, ma almeno non eravamo all’estremo opposto. Helena, come al solito,
era quella meno vestita, ma incominciavo ad apprezzarlo invece di vederlo come un tentativo di
sedurre tutti gli uomini possibili. Indossava una mia maglietta lunghissima e nient’altro, credo.
Mi abbracciò nuovamente mentre Camilla, Francine e Patricia ci guardavano a disagio. Erano
tutte fan di Jasmine mentre non amavano particolarmente Helena. Ma non l’avevano frequentata
in questi giorni pieni di paura e tensione.
Andai a sedermi sulla sedia mentre le ragazze, a turno, si lavarono e cambiarono. Fuori pioveva,
a dirotto. Il cielo era nero, il campus deserto.
- Perché non venite a mangiare da noi?- propose Francine.
Nessuno trovò nulla da obiettare.
- D’accordo, grazie.- risposi io.
- Io vado avanti, per preparare il pranzo. Mi fai compagnia, Michael?- mi chiese Francine.
- Certo.Uscimmo e c’incamminammo verso le scale. Credevo di sapere perché aveva fatto in modo di
rimanere da sola con me. Mentre scendevamo le scale, iniziò a parlarmi.
- Cosa c’è tra te e Helena?- mi domandò maliziosa e curiosa.
- Niente.- risposi sincero e un po’ seccato.
- E tra te e Jasmine?- chiese sarcastica.
Le lanciai un’occhiataccia.
- Niente.- le risposi acido.- Io sono qui e lei è a N.Y.. Non c’è nessuna relazione. Ma se vuoi la
verità, Jasmine è la mia ragazza ed io sono fedele.- Ok. Scusami.- mi disse dispiaciuta.
- Lascia perdere.- dissi.
78
- Cosa farai durante le vacanze invernali?- mi chiese Francine.
- Non ho ancora deciso.- le risposi.
Lei era intenta a cucinare, mentre io apparecchiavo la tavola. L’Università chiudeva dal venti
dicembre al quindici gennaio. Tornare dai miei era fuori discussione! Jasmine probabilmente si
aspettava che la raggiungessi a N.Y., o forse potevo tornare a L.A. e farmi ospitare da Brooke.
Potevo anche rimanere nella mia cameretta, qui all’Uni. Per ora non ci avevo proprio pensato.
- Senti, scusami se ti faccio tutte queste domande... Ma davvero non c’è niente tra te e Helena?mi chiese di nuovo.
- No, non c’è niente.- le risposi un po’ seccato.
- Ma mi ricordo che la odiavi. Ora vi abbracciate, vi baciate, dormite insieme e quasi nudi...- Da quando Jennifer è stata uccisa ho cambiato opinione su molte persone. Prima di conoscere
Jasmine, Bred era tutto quello che avevo qui a Erie. E forse è stato lui ad uccidere Jennifer...
Più tardi, Helena, Francine e Camilla ci raggiunsero. Pranzammo insieme.
Ero seduto sul divano, nell’appartamento di Francine e Camilla, quando suonò il mio telefonino.
Solo Jasmine aveva il mio numero, non era difficile immaginare chi mi cercasse. Risposi.
- Ciao Michael.- mi salutò.
- Ciao.- Come stai?- mi chiese.
- Va.- risposi freddo.- Senti, non ti ho avvisata ieri perché speravo di poterti telefonare dicendoti
che Bred era stato arrestato... ma non posso dirtelo. Lui ha cercato di strangolare Patricia.- le
spiegai.
- Cosa?- disse sconvolta.
- Senti, lei sta bene. E’ qui, siamo tutti da Francine. Vuoi che te la passo?- Certo, grazie.- mi disse.
- Allora, ciao.- dissi.- Ti amo.- mi disse lei.
Io le passai Patricia senza dirle più nulla.
Patricia entrò nella stanza di Camilla per parlare più tranquillamente. Helena venne a sedersi
accanto a me e mi abbracciò. Camilla e Francine ci guardavano sedute su due diverse poltrone.
XVI.
Il giorno dopo lasciai Patricia e Helena nella mia stanza e andai in cerca di Jeff. Francine e
Camilla erano andate a lezione, tranquillamente.
Arrivai alla George Town, dove abitava Jeff, e bussai alla sua porta. Niente. Mi sedetti contro
l’anta della porta e aspettai che arrivasse. Dovetti aspettare parecchie ore. Arrivò nel tardo
pomeriggio. Mi vide e si guardò alle spalle, fermandosi nel corridoio. Probabilmente stava
pensando di scappare. Ma poi ci ripensò e mi raggiunse.
- Hai sbagliato porta.- mi disse.- Qui ci abito io.- Allora sono nel posto giusto.- dissi alzandomi.
Lui annuì in modo arrogante.
- E si può sapere cosa cazzo vuoi?- mi chiese incazzato.
- Niente, volevo solo che mi dicessi dov’è Bred. Gli devo parlare.- feci io.
- Ah, ah. Io non so dov’è Bred. Chiedilo a Patricia. Bred è sempre vicino alle sue cosce.- mi
disse.
Lo guardai schifato. Non sapevo se lui aveva a che fare con la morte di Jennifer ma sapevo che
mi faceva ribrezzo.
79
- Ok.- dissi cercando di calmarmi.- Senti, non è che hai un coltello da prestarmi. Devo andare a
caccia...Vidi sorpresa nel suo sguardo, ma fu solo un attimo.
- Non ho coltelli, mi dispiace. Prova con le mani, una belle stretta al collo è quello che ci vuole.mi disse.
Lo atterrai con un diretto.
- Pezzo di merda.- gli dissi sentendomi ridicolo. Ma ero furioso, meglio quelle offese da quattro
soldi che mandarlo all’ospedale e finire in galera.
Jeff non ci diede noie e nessuno seppe più nulla di Bred. Arrivò l’ultimo giorno di lezione. Io,
Patricia e Helena avevamo abitato insieme fino ad allora. Patricia dormiva sul letto mentre io e
Helena dormivamo insieme, sul materasso, poco vestiti e molto stretti l’uno all’altra. Jasmine mi
aveva detto che le mancavo moltissimo e che voleva che la raggiungessi a N.Y. I suoi mi
avrebbero ospitato volentieri e avremmo potuto dividere lo stesso letto. Brooke mi aveva scritto
invitandomi a raggiungerla a L.A. Helena voleva portarmi a Boston dai suoi. Francine,
approfittando di un momento in cui eravamo soli, mi disse che se volevo potevo andare a
Chicago con lei, per stare un po’ pace e pensare senza Helena e Jasmine tra i piedi. La ringraziai
e apprezzai molto il suo invito, ma non pensavo di accettare. Patricia e Camilla abitavano a N.Y
e avrebbero passato le vacanze a casa di Patricia. Non sapevo cosa fare. Perfino i miei genitori
mi avevano scritto, dicendomi che se volevo potevo tornare a casa per le feste. Ma questa era la
prima soluzione che avevo scartato. Ormai avevo rotto con i miei.
Alla fine mi decisi. Caricai i bagagli in macchina, subito dopo le lezioni, e presi con me Patricia
e Camilla. Saremmo andati insieme a N.Y. ed io avrei alloggiato da Jasmine. In fondo dovevo
sistemare le cose con lei, era giusto così. Andammo in stazione con Helena e Francine e le
salutammo. Francine mi abbracciò timidamente e mi disse in un orecchio che se scappavo il suo
invito era sempre valido. La baciai sulla guancia e l’aiutai a caricare i bagagli sul treno. La
salutammo tutti dal marciapiede. Helena prese un altro treno, dieci minuti dopo. Salutò tutti e poi
toccò a me. Mi abbracciò a lungo, era radiosa quel giorno, e poi mi baciò a lungo sulla bocca.
Non me lo ero aspettato e la lasciai fare. La guardai a disagio e poi la guardai salire sul treno con
la sua gonnellina svolazzante al vento freddo di dicembre. Raggiunsi Camilla e Patricia e
aspettammo che il treno lasciasse la stazione. Raggiungemmo l’auto e partimmo per N.Y.
Arrivammo a notte fonda. Non c’era tempo per trovarsi tutti insieme e festeggiare. Lasciai
Camilla e Patricia a casa di Patricia e poi andai da Jasmine. Faticai un po’ a trovare il grattacielo
dove viveva ma alla fine ci riuscii. Portai la macchina all’entrata del parcheggio sotterraneo del
grattacielo. Dovetti premere il pulsante di un citofono. Una telecamera m’inquadrava al volante
della mia auto.
- Sì?- chiese una voce maschile sui quarant’anni.
- Sono Michael Stebbins. I Signori Cunningham mi attendono.- dissi.
- Un attimo, per favore.- disse la voce dell’uomo.
Attesi pochi secondi.
- Bene. Può avvicinare un suo documento alla telecamera, per favore?Rimasi stupito di tanta sicurezza, ma eravamo a N.Y, in un quartiere elegante.
Avvicinai la mia patente alla telecamera.
- Bene, signor Stebbins. La faccio passare. E scusi il disturbo.- disse il guardiano.
- Si figuri.- dissi.
La sbarra che m’impediva il passaggio fu sollevata ed io potei entrare nel parcheggio con la mia
auto. Trovai un posto libero solo al secondo piando inferiore. Presi l’ascensore. Anche lì c’era
una telecamera. Jasmine mi aveva detto il numero del piano, fortunatamente.
Bussai alla porta dell’appartamento dei genitori di Jasmine alle due e un quarto di mattina. Ero
molto a disagio, vista l’ora. Non sentii rumori all’interno. Pensai di andarmene e trovare un
80
posto dove passare la notte ma poi sentii la chiave girare nella serratura. Jasmine aprì la porta di
uno spiraglio e guardò chi aveva bussato, con il chiavistello che avrebbe impedito a qualche
malintenzionato di entrare senza permesso. Mi vide ed aprì la porta. Ancora non ci eravamo
salutati. Aveva l’aria stanca. Ci guardavamo, io in corridoio e lei nell’appartamento buio e
silenzioso. Indossava un accappatoio e aveva dei calzettoni ai piedi. Era spettinata. Non poteva
essere meno sexy ma era comunque bellissima. Mi squadrò perché la guardavo da capo a piedi.
Io mi sentii in colpa per tutto quello che avevo fatto con Helena. Non c’era stato nulla, se non
quel bacio in stazione, ma forse era più grave quello che ci era passato per la mente di quello che
avevamo fatto. Mi guardò triste. Io provai a sorriderle ma forse fu peggio. Lei mi sorrise
amaramente.
Senza dire nulla mi avvicinai e reclamai un abbracciò. Lei aprì le braccia e lasciò che
l’abbracciassi. Poi mi diede un bacetto sul collo. La strinsi più forte.
Eravamo nella sua camera. Aveva tutto l’aspetto di una camera di una ragazza, e non solo per la
biancheria intima sparsa per terra e le boccette di profumo sul comodino. Mi aveva guidato per
l’appartamento attraverso il buio completo, senza accendere nessuna luce, ma si era mossa con
sicurezza, conoscendo ogni angolo e la sistemazione di tutti i mobili. Entrammo nella sua stanza
in silenzio. Di Judy nessuna traccia. Adesso eravamo seduti sul letto e, di nuovo, ci guardavamo
senza parlare ma con molte parole che fluttuavano nei nostri pensieri e che si rincorrevano fino a
giungere alle nostre labbra senza, però, dare voce alle nostre emozioni. Le nostre labbra. Io
guardavo le labbra di Jasmine e volevo riassaporarle, sentirle sulle mie, sentire il profumo della
sua pelle, sentire il suo corpo contro il mio, stringerla, baciarla, accarezzarla, toccarla,
abbracciarla, sfiorarla, mordicchiarla e ancora baciarla. Ma non mi sentivo a mio agio nemmeno
a guardarla.
- Devo dirti un sacco di cose.- le dissi tristissimo.
Una piccola lampada illuminava la stanza dal comodino alle mie spalle. Il viso di Jasmine era
per metà all’ombra e per metà illuminato dalla debole luce.
- Mi ami ancora?- mi chiese lei ancora più triste.
Non dovetti pensarci a lungo.
- Sì.- risposi un po’ confuso.
- E allora non hai nulla da dirmi. O se vuoi me lo dirai domani. Ora voglio spogliarmi e dormire
nuda, con te, in questo letto, stretta a te.- mi disse.
Io mi avvicinai e, timidamente, come se fosse la prima volta, la baciai sulle labbra. Poi lei si
tolse l’accappatoio. Io mi spogliai e la guardai far cadere le spalline del reggiseno e poi farlo
scivolare per terra. Poi si tolse le mutandine e si sdraiò sotto il piumino. Quando fui nudo
anch’io lei sollevò il piumino da un lato e m’invitò a raggiungerla. Mi sdraiai al suo fianco e lei
si strinse a me, baciandomi dolcemente, un’unica volta. Poi, allungando il piede, spensi la luce
del comodino e dormimmo.
Quando mi svegliai Jasmine mi accarezzava il petto con la mano destra. Era sdraiata sul fianco
destro, la testa retta dal braccio destro, i capelli che in parte ricadevano sul mio petto. La sua
gamba sinistra si muoveva tra le mie, il piumino era per terra. Un timido sole cercava di farsi
largo tra gli avvolgibili socchiusi. Sembrava una scena di due mesi fa. Sembrava non fosse
cambiato nulla. Jasmine salì sopra di me e mi baciò.
- Ciao.- mi salutò felice.
Io la guardai con meno entusiasmo.
- Ho baciato Helena.- le dissi sentendomi sporco, stronzo, e chissà cos’altro.
- E’ un vizio.- disse senza prendersela.
Cercai di spostarla, di sedermi. Riuscii per lo meno a sedermi, anche se lei era seduta contro di
me, il suo seno contro il mio petto, le sue gambe avvinghiate alla mia vita.
- E’ tutto quello che hai da dire? Ho dormito con lei per giorni e giorni. Lei a volte dormiva con
le sole mutandine. Girava per la mia camera mezza nuda. Io e lei ci guardavamo per ore senza
81
dire nulla. Ho pensato più volte di far l’amore con lei e ho pensato più volte di lasciarti.confessai.
- Vuoi lasciarmi? Ora?- mi chiese preoccupata.
- No.- risposi sinceramente. Non era quello che volevo, non ora, e forse mai lo avevo voluto.No, se non lo vuoi tu.- E allora cosa vuoi fare? Io voglio stare con te, per sempre.- mi disse.
La guardai. Mi sorrideva.
- Io ti amo,- le dissi.- ma non voglio più starti lontano. Lascerò l’Uni e ti starò vicino.- Davvero faresti questo? Per me?- mi chiese.
- Certo. Ma non sei arrabbiata con me?- chiesi stupito.
- No, e poi Helena mi ha telefonato, ieri notte, prima che arrivassi tu. Mi ha detto tutto, mi ha
detto che lei voleva disperatamente fare l’amore con te, che era disposta a rubarti a me, a
mettersi con te e a diventare un’altra. Mi ha detto che ci è mancato pochissimo che non faceste
l’amore insieme ma che era convinta che tu non avresti voluto. Ha detto che eri tristissimo, ed io
forse sono un’illusa ma penso che eri triste per causa mia. Ed io non trovo nulla per essere
arrabbiata con te. Sei l’unico ragazzo che conosco che abbia resistito ad Helena. Ti amo ed
aspetto un figlio da te.La guardai sconvolto. Non scherzava.
- E’ successo quella notte che eravamo ubriachi, io te e Judy. Ma lo voglio questo bambino. E’
frutto del nostro amore anche se non l’abbiamo voluto.- mi disse nervosa.
La guardai ancora sconvolto.
- Mi vuoi ancora? Mi starai vicino?- mi chiese preoccupata.
- No.- le risposi.- Voglio te e nostro figlio. Ti amo.- le dissi sorridendole.
Ci abbracciamo. Certo che era una bella sorpresa.
Bussarono alla porta ed io e Jasmine ci voltammo preoccupati, nudi e aggrovigliati. Judy entrò
nella stanza correndo con le mani a coprirsi gli occhi, e chiudendosi la porta alle spalle.
- Copritevi.- ci disse senza nemmeno averci visti. Poi volò a terra, inciampata nel piumino, ma
atterrò sullo stesso, sul morbido.
Io e Jasmine scoppiammo a ridere mentre lei si metteva l’accappatoio ed io m’infilavo i jeans.
Judy era dolorante per terra, con il viso affondato nel piumino e le mani ancora a coprire gli
occhi. La sollevai di peso.
- Apri gli occhi sciocchina.- le dissi.
Mi abbracciò forte appena mi vide e poi guardò Jasmine.
- Te l’ha detto! Wow! E sei ancora qui? Wow! Mi sei mancato tanto.- disse stritolandomi.
- Anche tu.- le dissi baciandola sulla fronte.
Io e Jasmine facemmo la doccia insieme, ed io le accarezzavo il pancino che ancora non aveva
accennato ad ingrossarsi, mentre Judy sistemò i miei vestiti negli armadi di Jasmine su sua idea.
Ci vestimmo e andammo a fare colazione. L’appartamento era gigantesco, non avevo avuto
modo di capirlo quella notte. Vidi la stanza di Judy, accanto alla nostra, molto spaziosa come
quella di Jasmine. L’appartamento era arredato con mobili moderni e di gran gusto. C’erano
molti quadri alle pareti, varie sculture e tappeti dappertutto. La cucina era gigantesca. Io e
Jasmine entrammo mano nella mano, preceduti da Judy. La madre di Jasmine era seduta ad un
grande tavolo rettangolare, e leggeva il N.Y. Times. Dovetti sbiancare perché Jasmine si
preoccupò e mi strinse forte la mano e avvicinò le sue labbra al mio orecchio sinistro.
- Loro non lo sanno ancora.- mi sussurrò.- Stai tranquillo.Tirai un sospiro di sollievo.
La madre di Jasmine abbassò il giornale e ci ricevette con un bel sorriso. Era una donna attraente
e doveva avere avuto Jasmine in tenera età.
Judy e Jasmine la salutarono.
- Buongiorno.- le dissi io lasciando la mano di Jasmine. Strinsi la mano che mi porse.- Io sono
Michael.- mi presentai.
82
- Lo so. So già tutto di te, o molto, per lo meno. Jasmine ti ha dipinto come un angelo e vedendo
come è felice da quando state insieme, non ho faticato a crederle.- mi disse facendomi arrossire.Siediti pure. Queste due signorine ti prepareranno una buona colazione. Io devo andare al lavoro.
Ciao ragazzi.La salutammo tutti. Io mi sedetti e lasciai che mi servissero davvero la colazione. Judy e Jasmine
si prestarono volentieri.
Uscimmo a pranzo. Nevicava e ci coprimmo per bene. Guardavo Jasmine che camminava al mio
fianco per i marciapiedi di N.Y., tutta infagottata, ma anche con quattro strati di vestiti era
affascinante. Judy camminava allegramente e ogni tanto si metteva a saltellare, felice. Entrammo
in un piccolo locale, gremito di gente. Il cibo era buono e a buon mercato. Raccontai gli ultimi
avvenimenti. Loro mi ascoltarono attente. Poi Judy raccontò quello che avevano fatto nella
Grande Mela e l’atmosfera ritornò serena.
Era il ventun dicembre e Natale si avvicinava. Telefonammo a Patricia da una cabina sommersa
dalla neve, e prendemmo appuntamento con lei e Camilla per quella sera, poi andammo in giro
per comperare i regali di natale. Io dovevo comprare solo due regali, uno per Jasmine e uno per
Judy. Magari anche qualcosa per i genitori di Jasmine. Entrammo in un grande magazzino e ci
dividemmo. Ognuno ad un piano diverso per poter fare i regali più liberamente e senza pericolo
di essere scoperti. Io finii in una gioielleria. Mi gettai sugli anelli. Poi optai per un braccialetto
d’oro per Jasmine e una fede d’oro a Judy, come segno di amicizia. Gironzolavo per il secondo
piano, quello che mi era stato “assegnato”, quando pensai a Brooke. Ero stato uno stupido a non
pensare di farle un regalo. Non avevo fantasia ma non mi mancavano i soldi, così ritornai nella
gioielleria. La commessa mi guardò meravigliata. Visto che non avevo mai fatto grossi regali in
passato, se non a Jennifer, scelsi una catenina d’oro. L’avrei spedita a L.A. sperando che
arrivasse in tempo per Natale.
Alle tre e un quarto presi le scale mobili e scesi al bar del piano terreno, dove ci eravamo dati
appuntamento. Per mimetizzare gli acquisti in gioielleria, ma anche per fare altri regali alle mie
due ragazze, comprai due peluche e misi tutto in un sacchettone scuro. Judy e Jasmine
discutevano davanti a due caffè. Avevano con loro due sacchetti più piccoli ma che avrebbero
potuto contenere qualsiasi cosa. Mi unii a loro e ordinai una Coca-Cola.
- Noi avevamo pensato di fare un regalino a tutte le nostre amiche. Sei con noi?- mi chiese
Jasmine.
- Certo.- risposi tranquillamente.
- Così a Camilla e a Patricia glieli diamo stasera.- spiegò.
- Però potremmo vederle anche a Natale. Tanto abitano qui a N.Y.- osservò Judy.
- Non sarebbe una brutta idea.- ammisi.
- Andiamo. Io e Judy abbiamo visto una boutique carinissima, qui vicino.- disse Jasmine
alzandosi e prendendomi la mano. Finii in fretta la Coca-Cola e le seguii. Loro due scelsero una
sottoveste per Helena, (Jasmine chiese il mio parere guardandomi stranamente), un maglioncino
per Patricia e una mini da infarto per Camilla. Non me la vedevo proprio ad indossarla ma non
avevo voce in capitolo, e non avrei saputo cos’altro prenderle. Per Francine andammo in una
libreria. Mi sembrò strano ma non dissi nulla. Mi chiedevo perché lei non dovesse ricevere un
capo di abbigliamento. Era buon segno che decidessero di regalarle un libro o era il contrario?
Scelsi io il libro, un libro di una giovane scrittrice americana che intrecciava molto abilmente
sentimenti e mistero. Mentre camminavamo intenti a ritornare a casa pensai a Samantha. Non so
se la meritasse ma le avrei spedito una cartolina di auguri.
- Ah, Jasmine.- dissi mentre Judy prendeva a calci i mucchietti di neve sui bordi dei
marciapiedi.- Vorrei prendere qualcosa per i tuoi, visto che mi ospitano. Cosa posso prendere?le chiesi.
Camminavamo a braccetto, con le mani affondate nelle tasche delle giacche.
- Giusto! Anch’io dovrei prender loro qualcosa. Sono stati così gentili con me...- esclamò Judy.
- Fatemici pensare, ok? Avete ancora tempo. Ma penso che a mio padre possiate regalare delle
bottiglie di vino. Magari le comprate insieme, che ne dite?- propose Jasmine.
83
- Per me va bene.- disse Judy.
- E’ deciso, allora.- conclusi facendo una buffa espressione che fece ridacchiare Judy.
Riprendemmo a camminare di buona lena, perché faceva un freddo cane.
Appena rientrati nell’appartamento dei Cunningham ci sedemmo in cucina. Jasmine si mise al
lavoro per preparare tre cioccolate bollenti. Poco dopo, con le cioccolate quasi preparate, arrivò
il signor Cunningham, il padre di Jasmine. Entrò in cucina e ci salutò. Io balzai in piedi per
stringergli la mano e presentarmi.
- Sono contento di conoscerti.- mi disse stringendomi con energia la mano.- Non devi essere
abituato a questo clima.- osservò.
- Infatti. A L.A. il tempo è ben diverso in questo periodo.- dissi.
- Bè, non fare complimenti mi raccomando. Questa è anche casa tua.- mi disse.
Guardai Jasmine con la coda dell’occhio, perché questa sembrava un’allusione ad un certo
bambino che stava per nascere, e poi sorrisi al padrone di casa.
- La ringrazio.- dissi.
Ci lasciò soli e andò in salotto. Mi sedetti, con il cuore che batteva troppo velocemente. Jasmine
mi portò la mia cioccolata e mi accarezzò il viso, preoccupata per me.
- Non ti preoccupare. Ti ho detto che non sanno nulla.- mi disse a bassa voce, con dolcezza.
- Però dovranno saperlo...- le feci notare. Questo mi spaventava non poco.
Judy ci guardava con la cioccolata sulle labbra. Ridemmo e lei arrossì pulendosi la bocca.
Il locale dove incontrammo Patricia e Camilla era un locale alla moda, frequentatissimo.
Fortunatamente loro due erano arrivate in anticipo, altrimenti credo che non saremmo riusciti a
trovare posto. Le raggiungemmo e ci sedemmo con loro, dopo i soliti baci e abbracci. Eravamo
tutti allegri. Erie era lontana, e non solo per i chilometri che la separavano da N.Y...
Dopo aver bevuto qualcosa e aver parlato per più di un’ora, prendemmo un taxi e ci recammo a
casa di Patricia. Era una casa di tre piani, in un quartiere tranquillo, un po’ fuori dal centro.
Nessuna traccia dei genitori di Patricia. Ci sedemmo in soggiorno. Lì, ci scambiammo i regali di
natale. Non li aprimmo, attenti alle tradizioni, ma fu comunque un bel momento. Le ragazze
parlarono di tutto quello che passava loro per la mente. Io ero pensieroso. Stavo per diventare
padre e, anche se Jasmine ancora non lo sapeva, volevo sposarmi prima di quell’evento. Forse
avrei avuto una vera famiglia, finalmente, con i genitori di Jasmine a farmi da genitori adottivi
più che da suoceri. Avevo da risolvere il problema dell’Università, avevo tante cose a cui
pensare. Ogni tanto Jasmine mi accarezzava e coccolava, capiva che c’era qualcosa che mi dava
preoccupazioni. Bred e Jeff erano un vago ricordo, credevo non li avrei mai più visti, ero sicuro
che mai si sarebbe trovato l’assassino di Jennifer.
Verso mezzanotte prendemmo un altro taxi, dopo aver salutato Camilla e Patricia, e tornammo in
centro, a casa. Jasmine pagò il taxi ed io non reclamai. I suoi se la passavano molto meglio di
me, ed io avevo già scialacquato gran parte dei miei risparmi. Entrammo nell’appartamento e
scoprimmo che i genitori di Jasmine erano già a letto. Ci fermammo in cucina e Jasmine portò
una bottiglia di Martini bianco. Pensavo che sarebbe stato meglio rimetterla a posto e bere
qualcosa di analcolico, ma avevo una gran voglia di stordirmi per non pensare.
Io e Jasmine svuotammo un bicchiere stracolmo come se fosse acqua, sotto lo sguardo severo di
Judy. Poi io decisi che era meglio finirla qua, almeno ufficiosamente. Andammo verso le nostre
stanze e li ci salutammo. Io e Jasmine abbracciamo a lungo Judy, a turno, poi le augurammo la
buonanotte. Dieci minuti dopo io e Jasmine ci passavamo la bottiglia di Martini che lei aveva
recuperato sgattaiolando in cucina, e bevevamo a canna. La finimmo tutta in una mezzoretta e
l’effetto lo sentimmo. Ma questo non ci impedì di fare l’amore a lungo con una passione che
ricordava quella dei “vecchi tempi”. Ci svegliammo felici, con un gran mal di testa e, forse, un
leggero senso di colpa. Prima che arrivasse Judy facemmo di nuovo l’amore. Come tutto il resto,
anche il ricordo di Helena diventava sfocato.
Facemmo colazione con Judy, verso le dieci di mattina. I genitori di Jasmine erano già al lavoro.
Mi sembrava di stare perdendo il senso della realtà. N.Y. non era la mia città, questa non era la
84
vita che avrei fatto, ma stava cancellando tutto il resto. Non volevo più andare ad Erie, non
volevo più sentire parlare di L.A., stavo dimenticando Jennifer... Non ero felice di quello che
stavo facendo, soprattutto per quanto riguardava Jennifer. Era stata tutta la mia vita ed io me ne
stavo qui a N.Y., a fare l’amore con la madre di mio figlio, e lasciavo che un assassino girasse
libero per gli U.S.A..
Jasmine e Judy volevano addobbare l’albero di natale. Inventai una scusa, che volevo fare un
paio di telefonate a L.A., ed uscii da solo. Camminai a lungo con la neve che mi accarezzava i
capelli e si posava sui miei vestiti. Pensavo, ai miei genitori, a Simone, a Jennifer, a Brooke, a
Bred e Jeff, a Jasmine e Judy, a Helena... Stavo pensando a Bred ed intanto passavo davanti ad
una delle migliaia di cabine telefoniche di N.Y. Vi entrai e presi a sfogliare l’elenco telefonico. I
genitori di Bred abitavano a N.Y. Cercai il loro numero e l’indirizzo. Avevo pensato che forse
Steeb non lo avesse cercato qua a N.Y., non sapevo se il tentato omicidio era perseguibile anche
in altri stati. Composi il numero telefonico e attaccai appena sentii una voce maschile che diceva
“pronto?”. Non era Bred ma almeno sapevo che c’era qualcuno in casa. Presi la metropolitana e
poi un taxi. Arrivai davanti al palazzo dove speravo di trovare Bred. Entrai in un grande
magazzino, nei pressi del palazzo, e mi comprai un berretto di lana e un paio di occhiali da sole.
Poi mi piazzai in un bar, da dove vedevo l’entrata del palazzo. Solo allora mi ricordai che avevo
nella giacca il mio telefonino. Come uno sciocco mi ero completamente dimenticato di
possederne uno e forse Jasmine aveva sentito odore di menzogne, quando le avevo detto che
sarei uscito a fare delle telefonate. Speravo che si fosse dimenticata anche lei del telefonino.
Telefonai a Jasmine.
- Pronto?- rispose lei.
- Ciao, sono Michael.- Ciao.- mi salutò contenta.
- Senti, che stupido che sono..., avevo con me il telefonino che ho portato da Erie. Non c’era
bisogno che uscissi di casa per non usare il vostro telefono. Comunque mi mancano dei numeri
telefonici. Allora rimango ancora fuori.- le spiegai.
- D’accordo.- mi disse non del tutto felice.- Non pranzi con noi?- mi chiese.
- No, mi dispiace. Poi volevo anche comprare le bottiglie per tuo padre.- dissi ricordandomene
proprio in quell’istante.- Non sai cosa potremmo regalare a tua madre, io e Judy?- chiesi.
- Comprale un bel libro, le piace molto leggere.- mi disse. Non sembrava essersi insospettita.
- Un libro?- chiesi stupito. Mi sembrava una cosa da poco.
- Sì. Non dovete mica esagerare.- osservò.
- D’accordo. Allora torno a metà pomeriggio, ok? Se vi va possiamo andarcene a spasso.- Ne parliamo quando torni. Ciao.- mi salutò un po’ fredda.
- Ti amo.- le dissi più per il senso di colpa che per bisogno di ricordarglielo.
- Lo so.- mi disse e poi attacco.
Rimasi a guardare il mio telefonino, rattristato. Misi via il telefonino e mi concentrai sull’entrata
del palazzo. Più tardi pranzai, sempre in quel bar, con hamburger e patatine. Mi sentivo sempre
più stupido. Adesso mi mettevo anche a sorvegliare palazzi, inutilmente. Verso l’una di
pomeriggio uscii nel freddo inverno e andai in cerca del vino per il signor Cunningham e del
libro per la sua gentile consorte. Mentre giravo per la città telefonai dodici volte a Brooke.
Sentivo il disperato bisogno di confidarmi con qualcuno. Ma non la trovai. Comprai il libro, un
libro d’avventura ambientato nel medioevo, e infine entrai in un negozio per comprare il vino.
Non me ne intendevo e mi feci consigliare. Tra due vini consigliatemi, scelsi il più caro,
sperando che qualità e prezzo andassero di pari passo. Uscito sul marciapiede, mi calcai il mio
nuovo berretto e mi rimisi gli occhiali da sole. Mentre ripartivo, caricato dalle bottiglie di vino,
mi parve di vedere Samantha, dall’altra parte della strada, ferma ad osservarmi. Se era lei, la sua
posizione rigida e la sua espressione non mi piacquero. Ma quando mi tolsi gli occhiali per
vedere meglio e mi avvicinai alla strada, non la vidi più. Mi convinsi di essermi sognato tutto.
85
M’incamminai verso casa. Sotto il grattacielo comprai un mazzo di rose rosse per Jasmine.
Quando gliele porsi, mi guardò per nulla contenta.
- Perché ti senti in colpa?- mi chiese velenosa.
Mi liberai dei miei acquisti e la presi per le braccia, delicatamente. Judy era seduta sul
pavimento del salotto e addobbava l’albero.
- Non mi sento in colpa. Non nei tuoi confronti. Mi sento solo... preoccupato per il futuro. E non
mi sembra di esserti molto vicino, non sempre.- le confidai, serio.
Mi abbracciò, senza una parola. Mentre Judy continuava nel suo lavoro, io e lei ci sedemmo su
di un divano. Mi coprì di baci e mi mangiò con gli occhi, io invece ero un po’ freddino.
Sistemammo i regali sotto l’albero, dopo aver impacchettato anche il vino e il libro. Judy e
Jasmine guardarono i minuscoli pacchettini che avevo regalato loro e mi guardarono stupite. Era
chiaro, evidente per loro come per chiunque altro, che contenevano dei gioielli. Gli orsi di
peluche erano altrettanto facilmente identificabili, visti i pacchetti tutti deformati che avevo
preparato.
Uscimmo e girovagammo per il centro, senza meta apparente. Ci fermammo in un bar e da lì,
con il mio telefonino, Judy telefonò a casa sua, a Cincinnati. I suoi genitori non la vedevano da
quasi cinque mesi. Io e Jasmine la osservammo parlare con sua madre, con l’espressione felice.
Verso la fine della telefonata sembrò commuoversi. Come la invidiavo.
Girammo per i negozi ed io m’innamorai di un maglioncino celeste d’angora che volli comprare
a tutti i costi a Jasmine. Lo provò, le donava moltissimo, e poi mi ringraziò con un bacio da
favola.
Tornammo a casa per cenare lì. Prima di andare a tavola, io e Jasmine ci chiudemmo nella sua
camera.
- Perché non diamo la notizia ai tuoi?- le chiesi.
- Non adesso.- mi rispose.
- Perché?- le chiesi un po’ nervoso.
- Prima dobbiamo parlare, io e te.- mi disse guardandomi seria, e facendomi anche preoccupare.
Stavo per chiederle di cosa volesse parlare quando Judy bussò alla nostra porta. Entrò.
- La cena è pronta, piccioncini.- disse sorridendo.
Io non avevo nulla per cui sorridere.
A cena mi dovetti sforzare per mangiare tutto quello che avevo nel piatto, perché l’appetito mi
era passato.
Dopo cena andai subito in camera. Jasmine non mi raggiunse per parlare. Io mi spogliai e mi
cacciai sotto il piumino. Poco dopo mi addormentai. Mi risvegliai con Jasmine che si strofinava
contro di me, nuda. Appena aprii gli occhi mi ritrovai la sua lingua in bocca. Quando smise di
baciarmi l’allontanai da me. Si sedette sulla mia pancia, con il seno in bella vista.
- Guarda che non voglio lasciarti. I miei genitori sono abbastanza giovani però devi capire che
sono l’unica loro figlia.- mi spiegò.
La guardai. Mi sorrise ed io le sorrisi. Sapevo cosa intendeva. Ma non era il momento adatto. Le
accarezzai il seno sinistro. Sorrise e poi si sdraiò di nuovo su di me. Facemmo l’amore.
Davanti alla colazione espressi i miei pensieri su Bred.
- Credi davvero che possa essere qui a N.Y.?- mi chiese Jasmine un po’ preoccupata.
- Penso di sì. Forse non dai suoi genitori, ma comunque qui in città.- ammisi.
Judy e Jasmine si guardarono.
- Il mio indirizzo è sull’elenco.- Jasmine diede voce alla sua preoccupazione.- Non vorrei
ritrovarmelo davanti alla porta d’ingresso.Non dissi nulla, non sapevo come rassicurarla, ne ero sicuro fosse giusto farlo. Se lui era a N.Y.
ed era pericoloso, era giusto che lei non lo sottovalutasse.
Alle undici di mattina bussammo alla porta dell’appartamento dei genitori di Bred. Ci aprì sua
madre. Presi io la parola.
- Buongiorno signora. Siamo degli amici di Bred. E’ in casa?86
- No, Bred non è qui a N.Y. Ci ha scritto dicendo che sarebbe rimasto all’Università a studiare.mi disse lei, assolutamente sincera.
- Ah, capisco.- feci io.- La ringrazio. Allora lo contatteremo laggiù.- dissi sorridendole.Arrivederci.- Arrivederci.- ci salutò, sorridendo in particolare a Jasmine e Judy.
- Se non è una prova della sua colpevolezza questa...- disse Judy.
Eravamo seduti in un bar.
- E’ la prova che è nei guai, ma per quello che ha fatto ha Patricia. Non prova che sia stato lui ad
uccidere Jennifer.- osservai.
Judy mi guardò ed annuì.
Poco dopo ci alzammo per andarcene. Uscimmo al freddo. Presi Jasmine tra le mie braccia.
- Devo comprare una cosa... un regalino. Vi raggiungo a casa, d’accordo?- Va bene.- disse tranquillamente.
Reclamò un bacio e l’accontentai volentieri. Poi baciai Judy sulla fronte e m’incamminai nella
direzione opposta alla loro. Entrai nella prima gioielleria che trovai. Mentre sceglievo l’anello di
fidanzamento per Jasmine, mi resi conto che non le avevo dato nulla quando ci eravamo messi
insieme, ne un regalo e nemmeno qualcosa di mio. Che stupido!
Arrivato all’appartamento, bussai ed entrai. Vidi Judy in salotto, seduta su di una poltrona. Le
sorrisi e vidi la sua espressione. Cercai Jasmine e la vidi sul divano. Accanto a lei c’era Brooke,
sconvolta. Le raggiunsi in fretta, preoccupato.
- Ciao.- le dissi baciandola e abbracciandola.
Mi sedetti accanto a lei.
- Cos’è successo?- chiesi ansioso.
- Ieri notte...- iniziò ma dovette schiarirsi la voce.- sono tornata al mio appartamento. Proprio
quando avevo aperto la porta ho sentito dei passi alle mie spalle. Il corridoio era buio e allora mi
sono girata e ho visto qualcuno che veniva verso di me. Era buio e non ho visto bene, e credo che
avesse il viso coperto... comunque sono riuscita a chiudermi dentro, appena in tempo. Ho messo
il chiavistello mentre questa persona tempestava la porta di pugni o calci. Ho avuto tanta paura.concluse infine, scoppiando a piangere.
Si vedeva dai suoi occhi che aveva pianto anche prima, raccontando il tutto a Jasmine e Judy.
- Stai tranquilla. Qui non ti succederà nulla.Pensai che potesse essere Bred, quella persona, ma mi dissi che non era possibile. Che motivo
avrebbe avuto a voler fare del male a Brooke? Nemmeno sapeva della sua esistenza...
I genitori di Jasmine cenarono con amici, in un ristorante. Erano spesso fuori a cena e non
tornavano mai a pranzo. Io uscii e presi del cibo cinese, in un ristorante a pochi passi dal
grattacielo. Mangiammo in cucina. Brooke si sforzò di mangiare, anche se era ancora molto
scossa.
- Non sapevo da chi andare. Non volevo rimanere nel mio appartamento. Jasmine mi aveva
lasciato il suo indirizzo di N.Y., quando siete venuti a L.A., e allora sono venuta qui. Speravo di
trovarti.- mi aveva spiegato Brooke prima della cena.
- Hai fatto benissimo.- le dissi sorridendole.
Brooke era nella stanza di Judy. C’erano due letti e abbastanza spazio per un’altra ospite.
Jasmine aveva chiesto ai suoi, per telefono, e loro avevano detto che non c’era nessun problema
ad ospitare anche Brooke. Erano proprio dei genitori fantastici.
Io ero silenzioso. Non pensavo a Brooke, non c’era nulla da pensare che potesse cambiare la
situazione... Pensavo che volevo essere sull’Empire State Building con Jasmine, in quel
momento. Ma forse era meglio così, faceva troppo freddo fuori. Jasmine armeggiava per la
stanza. Non era ancora mezzanotte. Aveva acceso candele bianche per tutta la stanza. Non
87
c’erano altre fonti di luce. Anche gli avvolgibili erano abbassati. Si chiuse in bagno per
un’eternità e ne uscì con indosso solo una sottoveste di seta e mutandine bianche. La guardai
affascinato, ma ancora pensieroso. Lei lo capì. Si inginocchiò sul letto, ad una estremità. Io ero
seduto all’altra estremità, a gambe incrociate, con indosso solo un paio di jeans. Ci guardammo
per qualche minuto negli occhi.
- Pensi a quello che è successo a Brooke?- mi chiese poi, giustamente incuriosita.
- No.- risposi schietto.
La luce delle candele creava una bella atmosfera e Jasmine era stupenda. Allungai la mano destra
e chiesi la sua mano sinistra. Me la porse.
- Ti amo.- le dissi facendola sorridere per la gioia.- Tu mi hai fatto tornare a vivere, anche se
abbiamo passato dei brutti momenti insieme e non per colpa nostra. E adesso tu aspetti di dare
alla luce nostro figlio... ma questo non è importante, non per quello che devo dire.- dissi.
Lei mi guardò perplessa.
- Mi vuoi sposare?- le chiesi con il cuore in gola.- Non lo faccio solo per il bambino o per i tuoi.
Ti avrei chiesto comunque di sposarmi, visto che ti amo.- Sttt.- mi disse posando l’indice della mano destra sulle mie labbra.- Sì.- rispose.
Mi sorrise ed io le sorrisi come forse mai avevo sorriso in vita mia. Le misi l’anello all’anulare,
un anello d’argento con un piccolo diamante. Poi ci baciammo timidamente, come se fosse la
prima volta. Ma lo era, la prima volta da fidanzati, la prima volta da promessi sposi.
Lei si alzò e spense ad una ad una le candele. Io mi denudai. Quando rimasero solo un paio di
candele sul comodino, Jasmine si fermò davanti al letto. Si tolse le mutandine, poi fece scivolare
le spalline della sottoveste. Ci guardammo per un attimo, poi io soffiai sulle due ultime candele.
Poco dopo facevamo l’amore sotto il piumino.
XVII.
Ci svegliammo tardi. Judy non si era ancora fatta viva, stranamente. Forse aveva intuito
qualcosa, la sera prima. Era la vigilia. Io e Jasmine ci scambiammo qualche regalino di natale,
sotto il piumino, e poi facemmo la doccia insieme. Andammo in cucina e lì trovammo Judy e
Brooke, che ci aspettavano. Il sorriso sul viso di Jasmine e l’anello che portava all’anulare
sinistro dicevano tutto. Judy si alzò, contenta. Brooke non aveva ancora capito...
- Ci siamo fidanzati.- le confidò Jasmine.
- Che bello! Congratulazioni.- disse Judy abbracciandola e sorridendo a me, che ero in piedi
dietro Jasmine. Dopo abbracciò me. Brooke si alzò felicissima. Abbracciò prima Jasmine e poi
me, più a lungo.
- Quando vi sposate?- ci chiese Judy.
Eravamo intenti ad imburrare fette biscottate e a bere caffè. Io bevevo una Coca-Cola.
- Non lo so.- dissi io.- Mi sarebbe piaciuto sposarmi in agosto, ma non è possibile... Penso sia
meglio farlo presto, così Jasmine non sarà troppo stressata con un pancione di sei o sette mesi. Io
non ho una data preferita.- guardai Jasmine interrogandola.
- Magari in febbraio o marzo... Abbiamo ancora tempo per pensarci.- mi disse.
- E altre cose da fare, prima.- aggiunsi io, alludendo alla confessione che dovevamo fare ai suoi
genitori.
Jasmine allungò la mano, attraverso il tavolo, e strinse la mia. Mi sorrise. Non era preoccupata e,
ora, non lo ero nemmeno io.
Brooke sembrava più serena, oggi.
Suonò il telefono, ma non era quello di casa, bensì il mio telefonino, che, non so per quale
motivo, avevo portato con me in cucina. Risposi, meravigliato.
- Ciao Michael. Sono Helena.88
- Ciao Helena.- dissi un po’ a disagio. Mi preoccupava quello che poteva pensare Jasmine.
- Stasera io e Francine arriviamo a N.Y. Ci troviamo a casa di Patricia per festeggiare. Venite
anche voi?Guardai Jasmine, Judy e Brooke.
- Aspetta un attimo, devo chiedere.- l’avvisai.
- D’accordo, non c’è problema.- mi disse.
Mi era mancata Helena, ma non provavo niente di più nel sentirla. Nessuna passione che
ritornava a galla.
- E’ Helena.- dissi alle ragazze. Non c’era motivo di puntualizzare ma ero nervoso.- Stasera lei,
Francine, Patricia e Camilla si trovano da Patricia per festeggiare. Mi ha chiesto se ci uniamo a
loro.- comunicai.
- I miei festeggiano con un pranzo, domani. Stasera siamo liberi. Ed io andrei volentieri da
Patricia.- mi avvisò Jasmine.
- E anch’io.- dissi io.
Guardai Judy e Brooke.
- Sarà divertente.- osservò Judy, rispondendo “Sì”.
Brooke sollevò le spalle. Di certo non era ancora dell’umore adatto per festeggiare, ma qui o a
casa di Patricia non avrebbe fatto differenza.
Annuii e portai di nuovo il telefonino all’orecchio.
- D’accordo. Veniamo. Grazie per l’invito.- dissi a Helena.
- Ringrazierai poi Patricia, non devi ringraziare me. Ah, venite verso le sette. Va bene?- Perfetto.- risposi, senza chiedere conferma alle ragazze.
- Allora ci vediamo stasera.- mi disse.- Mi sei mancato.- aggiunse.
- Anche tu.- dissi a disagio. Non sapevo cosa si aspettasse da me, quella sera.- Ciao.- Ciao.- mi salutò.
Spensi il telefonino.
- Dobbiamo essere là alle sette. Vi va bene?- chiesi per sicurezza.
Brooke, Judy e Jasmine annuirono. Cercai rabbia o gelosia o qualsiasi cosa di anormale, nello
sguardo che mi rivolgeva Jasmine, ma non vi lessi niente che non fosse amore.
Brooke, Jasmine e Judy andarono a comprare altri regali, suppongo fossero quelli che Brooke
faceva a noi altri... Tra l’altro, Brooke aveva portato con se da L.A. il regalo che le avevo
spedito, che era arrivato con grande velocità. Non lo aveva ancora aperto. L’avrebbe fatto questa
sera. Io mi appostai di nuovo in quel bar, davanti al palazzo dove abitavano i genitori di Bred.
Da lì, sempre tenendo d’occhio l’entrata principale del palazzo, telefonai a casa. Forse lo feci
perché mi sentivo in colpa, o per fare contenti loro. O, forse, sotto sotto, faceva piacere anche a
me sentirli. Chissà!
- Pronto?- rispose mia madre.
- Ciao mamma.- la salutai.
- Michael? Ciao, come stai?- chiese felice di sentirmi.
Forse la lontananza aveva fatto bene a tutti e tre. Avevo scritto loro che avrei passato le vacanze
a N.Y. ma non avevo detto niente di più.
- Bene.- le dissi. Non avevo così confidenza con lei da dirle del mio prossimo matrimonio e
della mia prossima paternità.- E voi? Tutto bene?- Sì. Sai com’è tuo padre. E’ al lavoro anche adesso, alla vigilia! Ma va tutto bene.- mi raccontò.
- Volevo solo farvi gli auguri di natale.- le dissi.
- Grazie.- disse sinceramente grata.- Tanti auguri anche a te.- Adesso devo scappare.- dissi.- Salutami papà. ok?- Certo. Sarà felice di sapere che hai telefonato. Fai il bravo. Ciao.- Ciao mamma.- attaccai.
Non era stata poi questa grande tragedia...
89
Ci ritrovammo tutti all’appartamento dei Cunningham, più tardi. Ci preparammo per la cena a
casa di Patricia. Jasmine indossò il maglioncino che le avevo comperato qualche giorno prima.
Le donava molto e metteva in mostra la sua bellezza. Indossò anche una minigonna,
insolitamente più lunga del solito e non stretta a fasciare le gambe. Non per questo, per la
minigonna insolita, era meno affascinante del solito. Era stupenda, anzi. La guardavo mentre
sedeva ad un tavolino dove si truccava il viso guardandosi in un piccolo specchio rettangolare
appoggiato alla parete. Io avrei indossato jeans neri, non avevo nulla di più elegante, una giacca
nera di lana e cashmire che non avevo quasi mai messo da quando i miei me l’avevano comprata,
anni addietro, e una camicia bianca che avevo comprato ad Erie solo perché piaceva a Jasmine.
Non mi ero ancora cambiato, però. Bussarono alla porta. Io dissi avanti, Jasmine era quasi pronta
ed io indossavo i soliti jeans blu chiari e una maglietta.
Brooke entrò nella nostra stanza.
- Ciao.- ci salutò.
Jasmine interruppe un attimo il suo lavoro e le sorrise.
- Ciao.- la salutai.
Indossava un vestito che sapevo le aveva prestato Jasmine. Era un vestito celeste, come il
maglioncino che indossava Jasmine. Era un colore che adoravo, portato da una ragazza.
- Michael posso parlarti un attimo?- mi chiese.
Era splendida anche lei. L’avevo sempre trovata una bella ragazza, anche se non mi aveva mai
attratto.
- Certo.- le dissi.
- Ti dispiace se parliamo in privato?- mi chiese a disagio.
Jasmine la guardò per un attimo, senza sembrare disturbata da quella richiesta. Io non avevo
nulla da nascondere a Jasmine, almeno così credevo, però poteva dare fastidio a Brooke che lei
ascoltasse la nostra conversazione.
- Va bene.- dissi. Mi guardai intorno e pensai. Non sapevo dove saremmo potuti stare da soli,
con i genitori di Jasmine ancora in casa.- Andiamo in bagno?- le proposi imbarazzato.
Lei e Brooke mi guardarono meravigliate. Brooke sollevò le spalle.
- Perché no!- rispose.
Entrammo nel vasto bagno della camera di Jasmine. Brooke si sedette sul bordo della vasca
mentre io mi stravaccavo, con meno grazia, sul water.
- Hai telefonato ai tuoi oggi, giusto?- mi chiese conferma.
- Sì.- risposi.
- Tua madre ti ha detto che hai ricevuto una lettera, a L.A.?- mi chiese poi.
La guardai pensieroso. Di chi mai poteva essere quella lettera?
- No.- le dissi.
Lei annuì, aspettandosi questa mia risposta.
- Me lo ha detto tua madre, quattro o cinque giorni fa. L’ho incontrata in un supermercato. E’
una lettera molto lunga, a giudicare dal peso della busta. Così mi ha detto tua madre. L’ha scritta
Simone.- mi spiegò.
Ero stupito, molto stupito. Non pensavo più a lei da tempo. Jasmine aveva preso il suo posto
ormai da parecchie settimane e io non la vedevo da più di tre anni. L’avevo quasi dimenticata,
per quanto mai avrei potuto dimenticare la nostra relazione. Non sapevo cosa dire. Avevo una
gran voglia di leggere quella lettera. Se Brooke fosse stata a L.A. in quel momento, le avrei
chiesto di farsi dare quella lettera e leggermela al telefono, immediatamente. Ma non era
possibile. E mai avrei chiesto a mia madre di leggerla, facendola così partecipe della mia vita
sentimentale. Ma mi sentivo anche in colpa. Avrei dovuto bruciare quella lettera. In fondo stavo
con Jasmine e Simone non poteva recuperare quel posto nel mio cuore che da adesso sarebbe
stato per sempre di Jasmine. O no? Ma saremmo potuti ridiventare amici, dopo esserci persi di
vista per questi tre anni e più. O era impossibile anche questo? Avrei rischiato di cadere tra le
sue braccia, se l’avessi rivista? Avrei potuto lasciare Jasmine e mio figlio per ritornare tra le
90
braccia del mio primo amore? Non lo sapevo. Dovevo rischiare? Non sapevo rispondere
nemmeno a questa domanda.
Brooke mi guardava in colpa. Era senz’altro pentita di avermi parlato della lettera. Avrebbe
almeno potuto scegliere un altro momento, forse pensava questo. Ma non era il momento il
problema. Era Simone il problema. Cosa dovevo fare?
- Scusami.- mi disse Brooke.
- Lascia perdere.- le dissi sorridendole.- Hai fatto bene a dirmelo.- le dissi e capii che lo pensavo
davvero.
Avrei dovuto leggere quella lettera e magari incontrare Simone. Dovevo farla finita con lei, una
volta per tutte. Oppure instaurare un nuovo rapporto, fatto solo di amicizia, che non rovinasse la
mia relazione con Jasmine.
- Torniamo di là.- le dissi.- Devo prepararmi.Le sorrisi e lei sorrise. Si sentiva meglio.
Tornammo in camera e Jasmine ci osservò. Parve perplessa. Forse non riusciva a capire quali
erano i nostri sentimenti. Non era l’unica.
Brooke ci lasciò e tornò nella camera che divideva con Judy.
Jasmine finì di truccarsi. Aveva un rossetto rosso molto forte sulle belle labbra carnose. Si girò
sulla sedia e mi guardò, seduto sul bordo del letto. Mi stava chiedendo di aprirmi. Se non lo
avessi fatto probabilmente avrebbe lasciato perdere, senza arrabbiarsi.
- Ho ricevuto una lettera di Simone, a casa mia, a L.A.- le confidai.
Sollevò le sopracciglia, stupita. Non sapeva bene come prenderla.
- Non so cosa mi ha scritto. Ma voglio saperlo. Mi sembra giusto. Lei è stata molto importante
per me. Non devi vederla come una minaccia, però.- cercai di rincuorarla.
- Il tuo primo amore? L’unica ragazza con cui avevi fatto l’amore prima di me? La ragazza che
ti ha fatto soffrire in questi ultimi tre anni?- mi disse punzecchiandomi.
- Se io cadrò di nuovo tra le sue braccia è bene che io lo sappia subito. E anche tu. Non deve
succedere quando saremo sposati...- le dissi.
Il suo viso non era il ritratto della felicità. Rifletté per qualche istante.
- Hai ragione, lo so. Ma non sono serena.- mi disse preoccupata.
- Nemmeno io. Ma cerchiamo di non pensarci. Io ti amo e tu mi ami. E’ natale e dobbiamo
festeggiare.- dissi non troppo convinto.
Mi sorrise.
- Ti piace questo rossetto?- mi chiese.
Sollevai le spalle. Era troppo appariscente.
- Troppo vistoso. Lo so.- commentò.- Perché non mi aiuti a togliermelo?- mi chiese alzandosi e
sedendosi sulle mie ginocchia.
Le sorrisi, felice. Ci baciammo a lungo.
Alle sei e mezza uscimmo dall’appartamento. Io mi ero cambiato e Jasmine si era messa un altro
rossetto, meno appariscente. Anch’io avevo dovuto togliermi del rossetto dalle labbra...
Anche Judy era uno schianto: minigonna celeste e un maglioncino nero. A quanto pareva le
ragazze si erano messe d’accordo per mettere ognuna qualcosa di celeste. Per la prima volta
vedevo Judy con delle scarpe femminili, con i tacchi, e senza anfibi. Scendemmo nel parcheggio
e prendemmo la mia auto.
Arrivammo alle sette in punto, grazie ai consigli di Jasmine che ci fecero evitare il traffico.
Patricia ci accolse sul vialetto di casa. Come Jasmine, Judy e Brooke indossava un pesante
cappotto. Io invece avevo solo la mia giacchetta. Ci salutò sorridendo e ci guidò dentro casa,
dove ci salutammo meglio, con abbracci e baci. Nessuno aveva voglia di abbracciarsi sotto la
neve che ancora cadeva sulla Grande Mela. Patricia indossava un vestitino scollato color nero,
piuttosto corto. Helena, Francine e Camilla indossavano vestiti simili, tutte con abbondanti
scollature e con le gambe bene in vista. Anche il naso di Camilla era bene in vista, pensai da
stronzo. Ci salutammo tutti. I baci e gli abbracci non si contavano. Io misi i nostri regali sotto il
91
grande pino addobbato che stava in un angolo del vasto salotto. Una montagna di altri regali era
già sotto gli aghi dell’albero di natale. Salutai con più piacere Francine, da sempre la ragazza che
trovavo più simpatica tra le compagne di Judy e Jasmine, e Helena. Io e lei ci abbracciammo a
lungo. Lei mi diede un veloce bacio sulle labbra, come un soffio di vento, come una carezza di
una piuma. Quando ci lasciammo nessuno ci guardava ma ero sicuro che tutte le ragazze ci
avevano guardato male. Jasmine non dava segno di essere gelosa, come sempre.
- Ti devo parlare, Michael.- mi disse Helena all’orecchio.- Sai che ho detto di noi a Jasmine?- Sì, Helena, so tutto.- le dissi.- Ma non è importante quello che io e te abbiamo detto a Jasmine.
E’ importante quello che ci diremo stasera...Lei mi guardò confusa.
- Ti voglio tanto bene, e sono stato molto attratto da te... ma è finita. Io e Jasmine ci sposeremo e
non c’è nessun altra per me, oltre a lei. Ma tu sarai sempre mia amica, una splendida amica a cui
voglio troppo bene.- le dissi sorridendole.
- Davvero?- chiese sorridendo per la gioia.- Anch’io ti voglio tanto bene.- disse infine
riabbracciandomi stretto. Io la baciai sulla fronte, poi tornammo alla “festa”.
Ero l’unico ragazzo, ora che Bred e Jeff non erano più ben voluti. Se non avessi avuto Jasmine al
mio fianco e nel mio cuore, avrei avuto tante belle ragazze da ammirare.
La cena fu squisita, con Camilla, Francine e Patricia ai fornelli era naturale. Quando aprimmo i
regali, poco prima di mezzanotte, mi ritrovai con tutti gli occhi addosso. I miei regali non erano
passati inosservati, purtroppo. Ero molto a disagio. Judy mi abbracciò quasi commossa e mi
riempì di baci. Ero contentissimo di vederla così felice. Se avessi potuto le avrei fatto un regalo
ancora più bello, per vederla ancora più felice. Brooke si lasciò scappare una lacrimuccia, anche
per via del bigliettino dove le dicevo quanto le volevo bene, e mi abbracciò a sua volta. Jasmine
mi abbracciò e mi baciò per un’eternità. Era felicissima. L’anello di fidanzamento era un
simbolo e doveva essere speciale, ma il braccialetto d’oro che le avevo regalato era solo per
l’amore che provavo per lei e per ringraziarla dell’amore che dava a me.
Ma il momento più bello di tutti, anche se ero al settimo cielo vedendo le mie tre “ragazze” così
felici, fu quando, dopo mezzanotte, con lo champagne nei bicchieri di tutti, Jasmine annunciò
che io e lei ci eravamo fidanzati, che ci saremmo sposati e che lei era in attesa di mio figlio. Era
stato bello vederla fare l’annuncio, con i suoi occhioni che mi guardavano pieni d’amore, ed era
stato quasi altrettanto bello vedere Helena che l’abbracciava, contentissima. Poi tutte le ragazze
si complimentarono con entrambi. Quella sera fui abbracciato e baciato fin troppe volte.
Rincasammo a tarda notte e ci svegliammo alle undici. Il suono della sveglia era una vera
tortura, ma i genitori di Jasmine ci avrebbero portati fuori a pranzo, e dovevamo prepararci.
Mentre Jasmine faceva un bel bagno caldo, io, Judy e Brooke ci ritrovammo in cucina a fare
colazione. I padroni di casa ci fecero compagnia. Anche loro erano in ritardo sulla tabella di
marcia, ma avevano un’aria molto più riposata della nostra.
- Grazie mille, ragazzi, per i vostri regali. Non dovevate proprio disturbarvi, però.- ci disse la
signora Cunningham.- Davvero.- aggiunse suo marito.
- E’ stato un piacere.- rispose Brooke, meno stanca di me e Judy. Aveva contribuito anche lei
all’acquisto del vino e del libro, anche se era arrivata in ritardo.
Pranzammo in un ristorante di lusso. Non avrei mai più messo piede in un posto così chic nel
resto della mia vita, pensai. Le tre ragazze erano splendide nei loro vestiti. Jasmine era
semplicemente fantastica. Volevo annunciare in quel ristorante il nostro matrimonio,
quand’eravamo tutti felici e sereni. E poi, mi dissi ancora, non mi era facile pensare al padre di
Jasmine che si alzava, in un locale del genere, e mi prendeva a pugni. Ma non sapevo cosa ne
pensava Jasmine. Lasciai perdere.
Quando tornammo io e Jasmine ci spogliammo ci sdraiammo sotto le lenzuola. Judy e Brooke
erano rimaste in salotto con i signori Cunningham. Ero molto contento di come erano andate le
92
cose al ristorante. Pensai che avrei avuto altre volte il piacere di pranzare con i Cunningham e
mia moglie. Forse sarebbe stato come avere una vera famiglia. Forse, allora, non mi sarei più
sentito a disagio, una persona senza radici...
Quella sera vidi per la prima volta la signora Cunningham ai fornelli. Jasmine aveva mandato
Judy e Brooke a mangiare fuori. Voleva rendere più facile la nostra confessione... Ad Erie,
probabilmente, tutti i locali erano chiusi per ferie, ma a N.Y. trovavi sempre un posto dove
mangiare qualcosa, in qualsiasi giorno e in qualunque orario.
Cenammo in cucina. Accettai più volte il vino che mi offriva il padre di Jasmine sebbene odiassi
il vino, perché non sapevo dove trovare il coraggio che mi serviva.
Dopo il dolce, in un’atmosfera rilassata (io avevo un mal di testa pazzesco), Jasmine prese
coraggio.
- Dobbiamo parlarvi di qualcosa.- disse.
Io le sedevo vicino, e i suoi genitori ci sedevano di fronte.
- Sono incinta.- disse poi.
Loro rimasero a bocca aperta.
- Vogliamo sposarci.- mi affrettai a dire.- Non so cosa vi abbia detto Jasmine ma noi ci amiamo
molto. Ci saremmo sposati comunque, con o senza un figlio in arrivo.- dissi nervosissimo.
Temevo il peggio.
Loro si guardarono. Forse avrebbero voluto essere da soli, per parlare in privato, discutere la
faccenda.
- Io sono felice per voi.- disse la madre di Jasmine.
- Non potremmo non esserlo.- aggiunse suo marito. Erano abbastanza sereni, o così apparivano.
Jasmine mi guardò. Era felicissima.
- Di quant’è?- chiese la Signora Cunningham a sua figlia.
- Di circa un mese.- rispose Jasmine.
In realtà qualche giorno in meno.
- Quindi non hai pensato di abortire. Potresti ancora farlo.- osservò la madre di Jasmine.
- Tu vorresti che lo facessi? Voi vorreste, sareste contenti?- chiese lei, stupita.
- No che non vorremmo. Siamo contrari all’aborto, lo sai. Come te del resto. Ma siamo
favorevoli all’aborto se è per ottimi motivi...- spiegò il padre.
Jasmine rifletté a queste parole.
- Non devi preoccuparti per i soldi. Che tu resti qui con il bambino o te ne vada a vivere con
Michael, avrai sempre il nostro sostegno. Avrete il nostro sostegno.- mi guardò a queste ultime
parole. Si era finalmente ricordato che c’ero anch’io, ma era naturale che pensasse soprattutto a
sua figlia. - Ma devi vedere che cosa vuoi fare. Vuoi continuare l’Università? Vuoi smettere per
due semestri? Vuoi lasciarla del tutto?Mi resi conto che non ne avevamo mai parlato.
- Credo che lascerò l’Università, resterò qui a N.Y. e avrò il bambino. E quando potrò
riprenderò gli studi. Qui o ad Erie. Devo pensarci ancora. Ma ho tutto il tempo per farlo.- disse ai
suoi genitori.
Era di questo che aveva voluto parlarmi l’altro giorno... Non avevo iniziato nel migliore dei
modi a prendermi le mie responsabilità!
- E tu, Michael?- mi chiese la mia futura suocera.
- Io?- dissi sorpreso.
- Sì, cosa farai?- mi chiese.
“Già, cosa farò?” chiesi a me stesso. Aprii la bocca ma non ne uscì alcun suono.
- Immagino che prima dovrete discuterne insieme.- disse il padrone di casa, graziandomi.Siamo contenti di accoglierti in famiglia.- cambiò discorso. Allungò il braccio e ci stringemmo la
mano in mezzo al tavolo. Prima di sciogliere la stretta la signora posò la sua mano destra sulle
nostre mani. Entrambi mi sorridevano. Contraccambiai, a disagio.
93
Io e Jasmine ci coricammo senza dire una parola, senza nessun gesto che richiamasse la parola
“sesso”. Jasmine indossava un pigiama da uomo, come se io avessi fatto qualcosa di male e non
meritassi più di vederla nuda. O forse era quello che mi aspettava, era il tran-tran matrimoniale.
Niente più sesso, solo un bacio ogni tanto e mai in pubblico. Dormii malissimo, quella notte.
Camminavo sui marciapiedi innevati di N.Y.. Jasmine stava parlando del matrimonio a sua
madre. Quando ci eravamo alzati da tavola, ieri sera, i suoi genitori l’avevano abbracciata e
baciata, felicissimi. Ora, sembravo io l’unico non felice. Non sapevo cosa fare. Tra otto mesi
sarei stato padre, non avevo un soldo, non avevo una casa ne un lavoro. Avrei dovuto iniziare a
lavorare? Svoltai un angolo e quasi mi scontrai con Samantha.
- Ciao.- la salutai stupito. Sapevo che abitava a N.Y., ma era più che improbabile incontrarsi per
caso in una città di milioni di abitanti.
- Ciao.- mi salutò lei abbracciandomi forte.
Mi mise a disagio come al solito. Forse era solo una mia fissazione ma mi sembrò quasi
strofinarsi contro di me, il suo bacino che premeva contro il mio. Le sue labbra sfiorarono
velocemente le mie. Merda! La odiavo.
- Cosa ci fai qui?- mi chiese lasciandomi.
- Sto da Jasmine per le vacanze.- spiegai.
- Ah, state ancora insieme? Pensavo che tu stessi con Helena.- disse.
La guardai in malo modo.
- No. Io e Jasmine non ci siamo mai lasciati. Ci sposiamo, anzi.- aggiunsi per farle capire quanto
si era sbagliata.
Prese molto male la notizia.
- Senti, credevo che fosse una storia di breve durata... Parlando con Jennifer al telefono avevo
saputo che tu eri un ragazzo fantastico. Troppo per una tipa come Jasmine.- disse. Sembrava
dispiaciuta per me.
Avevo una gran voglia di tirarle un pugno in faccia.
- Cosa vuoi dire?- chiesi schifato.
- Quando io e Jasmine frequentavamo la stessa scuola, qui a N.Y., lei aveva la fama di
frequentare più letti, contemporaneamente.- spiegò.
Sospirai, provando pena per lei.
- Buon anno!- le augurai, acido, e me ne andai.
- Non ti sei mai chiesto perché si comportava così stranamente ad Erie?- mi gridò alle mie
spalle.- Non hai mai sospettato di lei e Bred? Povero illuso!- urlò ancora.
Accelerai il passo, incazzato. Ma intanto le parole di Samantha m’invadevano il cervello,
scavavano e scavavano. Rividi Jasmine che apriva la porta della sua stanza all’Uni e mi rifilava
la storia che aveva sonno e mi mandava via come se non le importasse nulla di me. E ripensai a
quella volta che era scomparsa e poi mi aveva detto che aveva studiato con Bred. Il dubbio
s’insinuò nella mia mente...
Camminai per tutto il giorno. Quando tornai all’appartamento ero confuso. Jasmine mi abbracciò
forte e a lungo.
- Ero preoccupata per te!- disse.
Era sincera.
- Ho fatto il numero del tuo telefonino ma era sempre staccato.- Lo so. Avevo bisogno di pensare.- spiegai guardandola serio.
Non c’era nessun altro nell’appartamento.
- Stai bene?- mi chiese preoccupata.
- Credo di sì.- fu tutto quello che riuscii a dire.
Lei mi sorrise, credo solo per farmi credere che fosse sollevata dalle mie parole. Ma invece non
lo era...
94
Uscii dalla doccia con addosso solo un asciugamano e trovai Jasmine in piedi, davanti al letto,
con un delizioso abito da sera che copriva il suo corpo sinuoso . Sul letto c’erano un paio dei
miei jeans, una camicia e la giacca che avevo indossato a Natale. Guardai Jasmine. Mi sorrideva.
Si era truccata ed era favolosa.
- Dobbiamo parlare, no? Ti invito a cena in un ristorante splendido, in cima ad un grattacielo.mi disse.
Mi vestii.
Il posto era stupendo. Eravamo a non so quanti metri dalle strade sotto di noi, (e non volevo
saperlo visto che soffrivo leggermente di vertigini), e la vista era stupenda. N.Y. illuminata a
notte era uno spettacolo. L’Empire State Building era in bella vista, luminoso, affascinante. La
cena era squisita e non avrei potuto desiderare accompagnatrice migliore, eppure continuavo a
pensare alle parole di Samantha.
Se Jasmine mi aveva mentito avevo due possibilità: perdonarla o non perdonarla. Io ero incline
al perdono e, comunque, se Jasmine mi aveva tradito con Bred lo aveva fatto prima... molto
tempo fa. Era acqua passata. Sempre che non lo facesse di nuovo.
Jasmine capiva che c’era qualcosa che non andava, non era certo stupida, però non mi aveva
chiesto nulla. Di cosa aveva paura?
Non avevamo parlato molto durante la cena. Io guardavo spesso il panorama, le luci dei
grattacieli che formavano mosaici dalla vita breve, che subito venivano sostituiti da altri più
belli, le luci delle macchine che serpeggiavano per tutta la città e la luna che risplendeva tra i
grattacieli, in questa buia notte.
- Sai già di che sesso è il bambino?- chiesi a Jasmine.
Ero stato un perfetto idiota a non informarmi prima.
- No.- scosse la testa, sorridendo però, felice del mio interessamento.- Come vorresti chiamarlo
se fosse un maschietto?- mi chiese.
- Non lo so.- risposi sincero. Non ci avevo mai pensato.- E tu?- chiesi a mia volta. Mi stavo
rilassando un po’.
- Michael. Mi piacerebbe chiamarlo Michael. E’ il nome che preferisco.- disse con il sorriso
sulle labbra, facendomi sentire un verme.- Però, forse è banale dare al figlio il nome del padre.
Dopo i parenti lo chiamerebbero junior.- continuò, serenamente.
La guardai pensieroso.
- Se fosse una femminuccia vorrei che la chiamassimo Jennifer. Doveva essere una ragazza
fantastica, l’unica che poteva meritare il tuo amore.- aggiunse guardandomi diritto negli occhi.
Mi sporsi lungo il tavolo, facendola arrossire, e la baciai tra le candele che illuminavano il
tavolo. Non potevo credere alle parole di Samantha. Ero stato sciocco solamente ad avere avuto
dei dubbi.
- Ho conosciuto un’altra ragazza, ed è l’unica a cui voglio donare il mio amore.- dissi
guardandola sorridente.
Il suo viso s’illuminò ed era uno spettacolo più bello del meraviglioso panorama che si vedeva
da lassù. Ci baciammo fregandocene degli sguardi dei vecchi bacucchi che ci circondavano.
- Ho pensato di continuare gli studi qui a N.Y.. Una volta avuto il bambino forse potrò tornare
ad Erie. Ma per ora, con il pancione... Dimmi cosa ne pensi.- disse Jasmine, davanti al dessert,
una gran fetta di torta al cioccolato, vaniglia e panna.
- Credo sia la cosa migliore.- le risposi. Era quello che pensavo.
- Ma tu? Cosa farai?- mi chiese.
- E tu? Vivrai con i tuoi, quando sarà nato il bambino? Perché se non vivrai con loro, io dovrò
cercarmi un posto di lavoro.- spiegai.
Mi strinse la mano, al centro del tavolo.
95
- Non sarà necessario. Comunque non dovrai abbandonare gli studi. I miei genitori sono molto
ricchi. Non voglio vantarmi ne sminuirti, ma è così. Potremo vivere in un bel appartamento,
pagato dai miei. Fino a quando non potremo pagare noi l’affitto.Scossi la testa.
- D’accordo. Però non mi sento a mio agio. Invece di diventare loro genero, mi sembra di
diventare un figlio adottivo a carico loro.- Bè,- disse lei guardandomi comprensiva.- non è così che devi vedere la cosa. Io sono loro
figlia e tu sarai mio marito. Farebbero qualsiasi cosa per me e anche per te.Annuii.
- Allora, cosa pensi di fare?- mi chiese nuovamente.
- Ho la borsa di studio per l’Università di Erie... Ma non so se riprenderò mai a studiare là.
Voglio stare vicino a te. Vicino a voi.- dissi alludendo al bimbo.- Potrei trovare un lavoro qui.
Potremmo vivere insieme in un appartamentino. Io lavorerei e tu studieresti. Fino al parto
ovviamente.- Insomma, vuoi stare con me?- mi chiese.
- E’ l’unica cosa che voglio.- le dissi.
XVIII.
Il giorno dopo portai Jasmine e Brooke da Patricia e Camilla. A capodanno avremmo fatto una
festa a casa loro e dovevano decidere cosa bisognava comprare. Io e Judy tornammo in centro.
Camminavamo mano nella mano. Ogni tanto la sollevavo da terra, l’abbracciavo e giravamo su
noi stessi. Le volevo molto bene.
Senza rendercene conto ci ritrovammo vicini al palazzo dove abitavano i genitori di Bred.
Quando me ne accorsi guardai istintivamente verso l’entrata del palazzo. Non potevo crederci.
Bred stava citofonando. Judy si accorse della direzione del mio sguardo. Poco dopo aveva una
mano davanti alla bocca e una sul petto. La lasciai senza una parola e attraversai la strada, diretto
verso Bred.
- Mamma, sono io. Fammi salire.- stava dicendo Bred al citofono.- No. Non sono ad Erie. Sono
qui. Senti, qualcuno ha chiuso il portone. Aprimi, per favore.Ero fermo a cinque metri da lui. Sentii il rumore che avvertiva che il portone veniva aperto. Bred
voltò la testa e mi vide. Ci guardammo negli occhi. Aveva una mano sulla maniglia del portone.
Guardò per un attimo il portone e poi si voltò e iniziò a correre. Lo seguii...
96
Vedere due persone che s’inseguono è abbastanza naturale a N.Y. Mentre inseguivo Bred per
qualche isolato, vidi un portoricano che inseguiva un bianco all’altro lato del marciapiede sul
quale correvamo noi. Mi piaceva correre ma non mi ero tenuto allenato ultimamente e non avevo
condotto una vita sana, altrimenti lo avrei raggiunto. Corremmo per almeno dieci minuti, a tutta.
Poi, lui si schiantò contro un uomo di colore che doveva pesare almeno due quintali. Il tizio non
si fece nulla e non si fermò a fare scenate. Bred rimase a terra. Io gli stramazzai sopra, sfinito.
Lo trascinai a fatica in un vicolo vicino.
- Bastardo!- gli urlai contro, sbattendolo contro un muro.
Stava a mala pena in piedi, appoggiato al muro, e mi guardava preoccupato.
- Mi dispiace, non volevo fare del male a Patricia...- disse e poi si lasciò cadere ritrovandosi a
sedere per terra. Piangeva.
- E Jennifer, stronzo?- gli chiesi adirato.
Sollevò la testa e mi guardò con gli occhi pieni di lacrime.
- Io non centro niente... te l’ho già detto.- mi disse.
Scossi la testa.
- Te lo giuro!- sembrò supplicarmi.
Risi.
- Ah, allora ti credo.- dissi ironico.- E cosa mi dici del coltello di Jeff?Non sembrava preoccupato dalla mia domanda.
- Lo ha perso, Jeff. Altrimenti lo avrebbe portato dalla polizia per provare la sua innocenza. Ce
l’ha l’assassino, il coltello di Jeff. Oppure se n’è sbarazzato. Ma noi non ne sappiamo nulla,
davvero. Abbiamo fatto tante stronzate ma non siamo assassini!- mi disse con sentimento.
Sembrava sincero.
Non sapevo cosa pensare.
- Come sta Patricia?- mi chiese preoccupato.
Lo guardai stupito.
- Bene.- risposi freddo. Non potevo essergli grato del suo interessamento. Non dopo quello che
aveva fatto a Patricia.
- Che cosa vorresti che facessi, ora?- gli chiesi, dopo un attimo di tregua.
Mi guardò e cercò di capire il mio stato d’animo.
- Sicuramente vorrai portarmi dalla polizia... Ok, fallo. Però, prima, lasciami andare dai miei.
Verrai con me, a controllare. Non cercherò di fregarti. Lasciami spiegare tutto ai miei, poi verrò
con te dalla polizia.Quello che mi proponeva era fin troppo interessante. Del resto, se non avessi accettato la sua
proposta, avrei dovuto inseguirlo di nuovo, probabilmente.
Camminammo uno di fianco all’altro. Non lo tenevo con un braccio dietro la schiena ne lo avevo
legato. Queste sono cose da cinema. Non credevo che sarebbe scappato. Non sapevo per quale
motivo, ma gli credevo. Ero ancora convinto che centrasse con la morte di Jennifer ma ero sicuro
che sarebbe venuto con me dalla polizia. Raggiungemmo il palazzo dove abitavano i suoi, e dove
prima aveva abitato con loro, e trovammo Judy, seduta davanti al portone d’ingresso, sul
marciapiede. Si alzò e ci guardò sorpresa, vedendoci insieme e così tranquilli.
Bred sorrise e salutò Judy. Io e lei ci guardammo stupiti.
- Ciao.- lo salutò lei, confusa.
- Andiamo?- chiese Bred.
Io sollevai le spalle. Bred ci precedette. Io e Judy lo seguimmo mano nella mano. Salimmo a
piedi fino al secondo piano. Bred bussò alla porta che aveva varcato tante volte in passato. Sua
madre gli aprì.
- Ma dov’eri finito? Ti ho aperto tanto tempo fa.- disse.
Poi la signora guardò alle sue spalle e vide me e Judy.
- Ah, lo avete incontrato!- esclamò sorridendo.
97
Era veramente all’oscuro di tutto.
Ci sedemmo tutti in salotto. Del padre di Bred nessuna traccia. Io e Judy ci sedemmo tra Bred e
la porta d’entrata, nel caso volesse rimangiarsi la parola data.
- Posso offrirvi del tè, ragazzi?- chiese la signora a me e a Judy.
Io e lei eravamo tremendamente a disagio. Avevo spiegato a Judy cosa avremmo fatto, mentre
salivamo le scale. Stavamo per portarle via il figlio, lei ovviamente ne era all’oscuro, e ci offriva
una tazza di tè. C’era di che sprofondare dalla vergogna. Chissà se ci avrebbe cacciato fuori
minacciandoci con una scopa o con il mattarello, qualche minuto più tardi.
Bred ci guardò e ci sorrise appena. Sollevò le spalle per invitarci ad accettare l’offerta di sua
madre.
- Molto volentieri.- rispose Judy per entrambi.
La guardammo sparire in cucina, tutta sorridente. Quando ritornò, sedemmo con le nostre tazze
tra le mani, a disagio.
- Devo dirti una cosa, mamma.- iniziò Bred.
- E’ l’Università? E’ troppo difficile?- chiese preoccupata.
- No, mamma. Ti prego, lasciami parlare.- le rispose Bred.
Adesso era molto più preoccupata.
- Ho fatto una cosa molto brutta e adesso andrò alla polizia con questi miei amici.- io e Judy ci
stupimmo a queste parole.- Avevo una ragazza... l’ho quasi strangolata.- sua madre si portò
entrambe le mani davanti alla bocca. Judy posò la tazza senza aver bevuto una sola goccia di tè.Ma devi credermi, non volevo farle del male... non capivo quello che facevo, non era mia
intenzione.- continuò.
- Ma come hai potuto?- chiese la madre, le prime lacrime che le bagnavano le guance.
- Non lo so.- disse Bred disperato. Scoppiò a piangere anche lui. Si alzò e raggiunse sua madre,
seduta in poltrona.- Potrai perdonarmi?- chiese.
Era una scena straziante. Riuscivo solo ad essere dispiaciuto per lui.
- Certo che ti perdono!- disse la madre allargando le braccia.
Bred si gettò tra quelle braccia, con la testa sul petto della madre, che lo baciò in fronte. Guardai
Judy e vidi che era intenta a reprimere le lacrime.
Raggiungemmo il distretto più vicino, camminando nel silenzio più assoluto. Io mi chiedevo se
non mi fossi sbagliato sul conto di Bred. La scena a casa dei suoi mi faceva dubitare. Ci
recammo davanti ad un bancone dove un poliziotto era in piedi, intento a riempire certe pratiche.
Quando gli fummo vicini sollevò la testa e ci osservò.
- Posso fare qualcosa per voi?- ci chiese.
Bred fece un passo in avanti.
- Sono qui per costituirmi. Sono Bred Walken, se telefona al tenente Steeb ad Erie, scoprirà che
sono ricercato per tentato omicidio.- disse con una calma incredibile.
Lo stesso poliziotto fu sorpreso dal suo atteggiamento.
- Aspetta qui.- disse e si allontanò. Parlottò con un altro poliziotto. Questi ci tenne d’occhio,
mentre il primo poliziotto evidentemente telefonava ad Erie.
Poco dopo ci raggiunse. Aveva avuto la conferma che cercava.
- Vieni con me.- disse a Bred.
Bred girò attorno al bancone e si voltò a guardarci.
- Andate ragazzi, qui non centrate.- ci disse.- Michael, ti giuro, non ho nulla a che fare con la
morte di Jennifer.- aggiunse.
Poi si lasciò guidare tra le scrivanie e gli uffici. Ce ne andammo. Misi un braccio attorno alle
spalle di Judy ed uscimmo dal distretto in questo modo. Non parlammo.
A casa di Patricia raccontammo quello che ci era successo. Patricia voleva ancora bene a Bred,
però prese bene la notizia. Molto più sollevate furono Jasmine, Helena e Brooke. Credevano che
98
l’incubo fosse finito. Io ero meno ottimista. Camilla e Francine non sembravano molto toccate
dall’accaduto. Loro erano sempre state un po’ estranee alla vicenda.
Il giorno dopo, il ventotto dicembre, Judy e Brooke andarono da Patricia e Camilla. Io e Jasmine
passammo tutto il giorno a letto, con gli avvolgibili abbassati, a coccolarci, a fare l’amore, a
dormire. Il Lupo Cattivo Bred era al sicuro, in qualche cella della Pennsylvania, e noi eravamo
finalmente sereni, dopo tanto tempo. Anche il futuro con Jasmine non mi preoccupava più. Una
volta tornato ad Erie avrei iniziato a lavorare come collaboratore per qualche professore
dell’Università. C’era sempre richiesta per questi impieghi a ore. Così facendo, avrei guadagnato
qualche soldo e avrai intaccato il meno possibile l’eredità dei miei nonni. In questo modo avrei
avuto un po’ di soldi da parte per me e mia moglie...
Avevo chiesto a mia madre di spedirmi la lettera di Simone. Le avevo lasciato l’indirizzo
dell’ufficio postale più vicino. Attendevo anche notizie da Steeb. Magari Bred avrebbe
confessato l’omicidio di Jennifer. Anche se ero sempre meno convinto che lui avesse qualcosa a
che fare con quel terribile episodio della mia vita.
Quella sera cenammo a casa di Patricia.
Non successe più nulla e Capodanno arrivò in un baleno.
Mi stavo vestendo, subito dopo la doccia, quando Jasmine entrò nella nostra stanza. Indossava
solo una sottoveste di seta bianca. I suoi genitori erano partiti presto, quel pomeriggio, e
sarebbero stati in montagna fino al tre gennaio, in uno chalet con tanti amici. Noi saremmo
partiti entro una mezz’oretta verso la festa a casa di Patricia. Jasmine aveva le mani dietro la
schiena e mi nascondeva qualcosa. Io smisi di vestirmi. Mostrò le mani e, in esse, aveva una
lettera per sorte. Me le porse, con l’aria colpevole e triste. Una lettera era quella di mia madre,
contenente la lettera di Simone; doveva averla ritirata in posta. L’altra era indirizzata a me,
all’indirizzo di Jasmine, e veniva dal dipartimento di polizia di Erie.
- Non volevo rovinare il Capodanno.- mi spiegò.
La guardai, riuscendo solo ad esserle grato per il pensiero.
- Allora non roviniamocelo.- le dissi. Buttai le lettere sul letto.
Mi sorrise. Sembrava stanchissima e invecchiata. L’abbracciai e poi le dissi di prepararsi per la
festa.
Quando io, Jasmine, Judy e Brooke arrivammo da Patricia, eravamo i primi, ovviamente. Erano
le sei di sera e dovevamo aiutare la padrona di casa. Le ragazze si erano portate dei vestiti di
ricambio e li portarono nella stanza di Patricia, al primo piano. Mezz’ora dopo il nostro arrivo,
giunsero Kyle e Noel, ingaggiati da Patricia per le luci, l’impianto stereo e l’intrattenimento. Io li
aiutai a sistemare casse acustiche per tutto il piano terreno. Le luci erano già al loro posto dal
giorno prima.
Alla festa sarebbero venute alcune compagne di corso di Jasmine, amiche newyorchesi di
Patricia, Camilla e Jasmine e loro vecchi compagni di liceo. Molti sarebbero venuti
accompagnati da perfetti sconosciuti. Ci sarebbe stata una marea di gente. L’alcool sarebbe
scorso a fiumi e tutti avrebbero ballato fino all’alba. Patricia e Camilla avevano provveduto a
chiudere le stanze al primo piano, eccetto quelle per gli ospiti, e avevano messo al riparo
soprammobili, porcellane e alcuni quadri preziosi. Ci si aspettava una bella festa. Alle otto iniziò
ad arrivare gente e le ragazze si fecero belle, chiuse nella stanza di Patricia. Io e Noel
accogliemmo gli ospiti. Patricia ci raggiunse subito per fare gli onori di casa. Kyle e Noel
attaccarono con la musica, a volumi ancora ragionevoli. Il buffet freddo e gli antipasti vennero
presi d’assalto e iniziarono a girare birre e drinks vari. All’entrata c’era un vaso di vetro,
semplicissimo ma abbastanza grande. Era su di un tavolino. Appeso al vaso c’era un biglietto
che portava questa scritta: “Se volete potete contribuire alle spese per la festa.” Era un modo per
recuperare un po’ di soldi. I preparativi, il noleggio dell’impianto, il lavoro di Kyle e Noel, gli
alcolici e il buffet erano costati una cifra spaventosa. Patricia non si aspettava di racimolare più
99
di cento dollari, ma molti ospiti entravano, lasciavano giacche e cappotti nel vasto guardaroba, e
mettevano dieci dollari nel vaso.
Tutti i presenti erano figli di ricconi e io e Judy ci sentivamo un po’ fuori posto. Judy indossava
un vestitino molto sexy che le aveva prestato Jasmine, aveva una collana di perle, sempre di
Jasmine, al collo e portava la fede che le avevo regalato. Camminava su tacchi altissimi ed era
una favola e sembrava una razza ricca come le altre. Però non si sentiva come le altre. Io
sembravo l’amico dei dee-jay, niente di più. Verso le nove la casa era quasi piena. La musica salì
di volume e la gente si scatenò. Ballavano dappertutto. Io non amavo ballare. Giravo per la casa
per mano a Jasmine o Judy. Quando mi riusciva, portavo Jasmine in un angolo più appartato e la
baciavo. Judy si faceva sempre accompagnare da me per prendere da bere, perché voleva che le
impedissi di prendere qualche alcolico. La vidi bere solo acqua e succo d’arancio, prima del
brindisi con lo champagne. Era una festa riuscita e sembravano tutti felici. In soggiorno c’era la
pista da ballo. Le luci erano basse e la musica più alta. Prima di mezzanotte Jasmine mi trascinò
in pista e mi costrinse a ballare con lei. Ballavamo stretti stretti. Lei indossava scarpe nere con
tacco alto, un vestito nero cortissimo che metteva in risalto il suo corpo sinuoso.
Quando le luci non mostravano il suo bel sorriso, il diamante del suo anello e i suoi occhi
risaltavano nel buio della sala. Kyle invitò a ballare Judy e ce li trovammo accanto. Lei ballava
sorridendo, felice. Forse l’anno che stava arrivando ci avrebbe visti più sorridenti...
Ci fu un momento tecno e ballammo nel buio totale, con pochi faretti che giravano e
illuminavano primo uno poi l’altro. Ballavo tra Jasmine e Judy e ridevo per le loro evoluzioni
quando, a quasi dieci metri da me, in un angolo della casa, uno spot illuminò il viso di Samantha.
Non avevo detto nulla a nessuno della nostra breve conversazione avuta a N.Y.. Persi il sorriso.
Poco dopo lei baciava sulla guancia Jasmine e Judy. Jasmine parlava con lei, nel frastuono della
musica e mi guardava in modo strano. Judy ballava di fronte a me ed io ero fermo e guardavo
Samantha e Jasmine. Jasmine la lasciò e mi raggiunse. Mi prese per mano e mi trascinò tra la
gente che ballava, fino al primo piano. Prese una chiave da un cassetto in corridoio ed aprì la
stanza di Patricia. In quel momento Noel diceva al microfono che mancavano quindici minuti a
mezzanotte. Io mi sedetti sul letto, tra gli abiti delle ragazze e Jasmine chiuse la porta a chiave.
- Io e Bred siamo usciti tre volte insieme, qui a N.Y., prima di andare a studiare ad Erie.- mi
disse avvicinandosi a me ma restando in piedi.- Lui voleva che ci mettessimo insieme ma a me
non interessava. Non ci siamo mai baciati, anche se lui ci ha provato molte volte. Ad Erie, si è
rifatto avanti. Per questo a volte ero strana. Ma non ho mai pensato di mettermi con lui. Ero solo
preoccupata per me e per te. Non ci eravamo ancora messi insieme e avevo paura che se lo
avessi scoperto... Non è successo nulla, te lo assicuro.Io la guardavo in silenzio. S’inginocchiò ai miei piedi e mi prese la mano.
- Non mi credi?- mi chiese triste.
- Cos’altro posso fare?- chiesi io.- O ti credo o ti lascio.- dissi.
Una lacrima scese sulla sua guancia sinistra. Lei voltò la testa verso sinistra per non far vedere
che piangeva. Io le presi il volto tra le mani e mi avvicinai a lei. La baciai sotto l’occhio.
- Ti amo.- le dissi. Non sapevo cos’altro dirle.
- Ti assicuro... non ti ho nascosto nient’altro.- mi disse sul punto di far scendere altre lacrime.
- Ti ho nascosto qualcosa io.- le confessai.- Quello che mi ha detto Samantha su te e Bred. E’
molto ambigua, faresti meglio a non reputarla come tua amica.- Non lo è mai stata. Voleva Bred, prima di Erie, e poi ha voluto te. Ma ha ottenuto solo di
essere gelosa di me.La feci alzare e poi mi alzai anch’io.
- Dimentichiamo questa storia.- l’abbracciai forte.
- Ti amo e non farò mai nulla per farti soffrire.- mi disse ancora giù di morale.
La presi per mano e ritornammo alla festa. Solo per stare vicini a Judy e a Brooke. Quando fu
mezzanotte ci ritrovammo in un angolo della cucina. Abbracciai e baciai Jasmine velocemente.
Poi toccò a Judy, ma la strinsi a me per qualche minuto. Poi Brooke e tutte le altre che ci
raggiunsero, Helena, Patricia, Francine e Camilla. Poi potei baciare Jasmine con più calma e con
100
più passione. La tenni tra le mie braccia fino all’una, quando decidemmo di appartarci di nuovo
nella stanza di Patricia. Quando tornammo nel vivo della festa, le luci in soggiorno erano di
nuovo basse e la musica fortissima. Trovai posto sul basso davanzale di una finestra. Jasmine si
sedette sulle mie gambe ed io la tenni stretta. Guardammo Judy, Brooke ed Helena che ballavano
con Noel. Quando ci eravamo baciati prima, sdraiati sul letto, nella stanza di Patricia, Jasmine
aveva pianto ed io l’avevo stretta più forte che potevo.
Judy ci raggiunse con due bicchieri di champagne per noi. Lei ne aveva in mano uno mezzo
vuoto.
- E’ ancora il primo.- mi disse sorridendo. Poi si avvicinò e ci strinse in un unico abbraccio. Mi
baciò sulle labbra, un bacio come una carezza, baciò Jasmine sulla guancia e ci abbracciò di
nuovo.
- Vi voglio tanto bene.- disse.- Siete i miei migliori amici.- disse quasi commossa.
- Anche noi ti vogliamo bene.- le disse Jasmine riabbracciandola.
Poi l’abbracciai anch’io.
- E non potremmo desiderare un’amica migliore...- aggiunsi.
Eravamo tutti e tre commossi. Poi Judy si allontanò e noi ci asciugammo gli occhi.
XIX.
Quando mi svegliai, verso le due del pomeriggio, Jasmine sedeva sul letto. Indossava solo un
mio maglione. La luce entrava attraverso gli spiragli degli avvolgibili e le illuminava il viso. Mi
sorrideva. Le sorrisi anch’io e mi stiracchiai. Prese le lettere dal comodino e le guardò come se
fossero due armi pericolose. Me le porse. Mi sollevai a sedere. Jasmine si spostò e mi cinse la
vita, stringendosi a me. Aprii la prima busta, la lettera di Steeb.
Era scritta a macchina, su di un foglio che portavano il timbro del dipartimento di polizia di Erie.
Ma in cima ad essa c’era un’annotazione fatta da Steeb in persona, a matita.
L’annotazione diceva questo: “Da cancellare una volta letta... Bred non ha cantato. Non so più se
sia lui l’assassino di Jennifer. Per il tentato omicidio di Patricia ha scelto di stare in prigione fino
al processo. Una volta incriminato sconterà la pena immediatamente, tolti i giorni di galera che
avrà accumulato precedentemente. Per qualche mese non lo vedrete più, è sicuro! Spero di
potervi dare notizie migliori la prossima volta. A presto.”
La lettera in sé, non diceva nulla. Ringraziava me per il lavoro svolto, in aiuto alla comunità, per
aver contribuito all’arresto di Bred, ecc.
Non era quello che speravamo ma dovevamo accontentarci. La verità sulla morte di Jennifer
forse non sarebbe mai venuta a galla.
Misi da parte lettera e busta e passai alla lettera di Simone. Aprii la busta. Non c’era nessun
messaggio di mia madre, strano. Guardai Jasmine per vedere come reagiva. Niente. Forse.
“Carissimo Michael,
spero che tu stia bene. Non mi sembra il caso di far finta che non sia successo nulla, che siano
passati solo pochi giorni dall’ultima volta che ci siamo sentiti. Ci siamo lasciati, tanto tempo fa.
E da allora non ci siamo più visti né sentiti. Io penso ancora a te, spesso. Credo che anche tu lo
faccia, tutto sommato. Credo sia naturale. Scommetto che non hai detto a nessuno come ci siamo
lasciati e il perché di questo. Già, il motivo qual’era? Se lo sai, ti prego di dirmelo. Io ho solo
vaghe supposizioni, ma non è mai stato importante sapere perché. Era finita e basta.
Io ora sto con un ragazzo. C’è stato solo lui, dopo di te. Stiamo insieme da quasi un anno e finita
l’università probabilmente ci sposeremo. Sto benissimo con lui. Non ti scrivo quindi per farti
tornare da me o per vedere se c’è la possibilità di sposare te al suo posto. Forse starei meglio
con te, ma è già finita una volta tra noi. Qualsiasi altra relazione tra di noi sarebbe solo una
farsa.
101
Ti voglio bene, ancora adesso. Ti ho amato e sei stato il primo che ho amato, lo sai, come io
sono stata il tuo primo amore. Spero che anche tu adesso stia con qualcuno, una ragazza
senz’altro molto fortunata! Penso spesso a te, come ti ho detto, e oltre a non capire per quale
motivo sia finita tra noi, devo anche dire che non ho nessun ricordo brutto della nostra
relazione. Solo ricordi bellissimi, forse alcuni tristi perché tu eri triste a volte, ma stavamo
molto bene insieme. Sei stato tutto per me, anche se non lo sei più, ma tutto quello che è
successo ha un suo posto speciale nel mio cuore e il tuo viso malinconico rimarrà sempre nei
miei ricordi.
Non voglio che tu mi scriva per dirmi se sai cos’è successo tra noi. Non credo che nessuno possa
saperlo. E’ l’amore, semplicemente, bellissimo ma a volte crudele, sempre misterioso. Volevo
solo dirti che io non ce l’ho con te. Spero che sia così anche per te, perché io sorrido sempre
quando ti ricordo e spero che il mio pensiero ti renda felice, ogni tanto.
Non ho rimpianti, non mi hai mai dato motivo per averli.
Sii felice, te lo auguro con tutto il cuore.”
Simone
Jasmine osservò l’espressione del mio viso. Aveva letto la lettera al mio fianco, sapeva ciò che
vi era scritto. Ora voleva sapere anche cosa provavo io.
- Sono contento che mi abbia scritto. E’ rimasta splendida com’era una volta.- commentai. Era
quello che avevo pensato, quello che provavo. Se Jasmine mi capiva non avrebbe dovuto
ingelosirsi o prendersela. Non ne aveva davvero alcun motivo. Simone era un capitolo chiuso del
libro della mia vita.
- Sembra dolcissima.- osservò lei.
Si scostò. Ci sedemmo uno di fronte all’altra.
- Come mai vi siete lasciati? E’ vero che non hai mai detto a nessuno il vero motivo?- mi chiese
un attimo dopo.
Io le accarezzavo il braccio sinistro.
- A Jennifer lo dissi, tanto tempo fa. Ma non so se era il vero motivo.- spiegai.
Jasmine mi guardava in attesa di altre rivelazioni. Io non dissi più nulla.
Mi fece il broncio. E un paio di smorfie. Io sorrisi.
- Beh, se almeno ne hai parlato con Jennifer... L’importante è che tu ne abbia parlato con
qualcuno.- disse, sollevando le spalle e alzandosi.
La guardai stupito. Si diresse verso il bagno. Mentre camminava si sfilò il mio maglione. La
guardai richiudersi nel bagno. Poco dopo l’acqua della doccia scorreva sul suo bel corpo.
Mi restavano due settimane prima della riapertura dell’Università ad Erie (A N.Y. avrebbe
aperto una settimana prima), e dovevo chiarire molte cose e parlare con tante persone.
Verso sera mi era venuta voglia di cinema. Jasmine risentiva ancora della festa e voleva dormire
presto. Brooke voleva stare in camera a leggere. Uscimmo io e Judy. Io avevo rispolverato il mio
chiodo, lei uno dei suoi tanto cari maglioni. Prendemmo la mia macchina e girammo per N.Y.
senza meta. Non sapevamo dove trovare un cinema! Ma prima dovevamo trovare del cibo con
cui sfamarci. Tra ristoranti italiani e fast-food riuscimmo a trovare un ristorante tailandese e ci
sedemmo in una saletta con le luci basse. Il locale era pieno, pieno di tailandesi. Non c’era molto
rumore perché parlavano tutti a bassa voce. Io e Judy ridacchiavamo, ci sembrava un’atmosfera
stranissima. C’imboccammo e ci lanciammo addosso il riso come fossimo dei bambini ed
uscimmo con le mani premute sullo stomaco per il mangiare e per il gran ridere. Riuscimmo
anche a trovare un cinema. C’erano quattro sale. Judy scelse un film strappalacrime e così
sedemmo abbracciati, la sua testa sulla mia spalla, e le dovetti asciugare le lacrime. Una volta
102
tornati all’appartamento, ci sedemmo un attimo a guardare la televisione. Ma eravamo stanchi e
ci addormentammo sul divano, abbracciati. E così ci trovò Jasmine, la mattina dopo.
- Non mi arrabbio perché sono stata preoccupata solo il tempo di percorrere i pochi metri dalla
mia stanza a qui.- mi disse cercando di rimproverarmi, con indosso solo un paio di mutandine e
una maglietta.
Io ero ancora in coma e Judy si svegliò subito dopo. Rise a crepapelle vedendola in quello stato,
che cercava di fare l’arrabbiata con noi due. Poco dopo ridevamo tutti e tre. Brooke ci raggiunse,
i capelli arruffati e i segni del libro che voleva leggere stampati in faccia. Ridemmo ancora più
forte.
La prima settimana di gennaio passò in questo modo. Ridemmo moltissimo. Passammo molte
liete giornate insieme, divertendoci, scherzando e cementando i nostri rapporti. Poi venne il
momento delle scelte. La neve iniziava a sciogliersi e forse era arrivato il momento degli addii. I
signori Cunningham giravano per casa, ancora in vacanza, e noi uscivamo ogni volta che
potevamo, per poter parlare liberamente.
Il dieci gennaio salimmo sull’Empire State Building, coperti da maglioni di lana e cappotti
pesanti. C’era uno spicchio di sole che ci illuminava tra le nuvole, ma non era abbastanza per
scaldarci. Brooke e Jasmine si erano sedute nell’angolo a Sud e parlavano fitto. Di sicuro
Jasmine avrebbe anche chiesto di me a Brooke, ma non importava. Non avevo nulla da
nascondere e nulla di cui vergognarmi. E il suo era un tipo di interessamento che mi rendeva solo
felice.
Io e Judy ci sedemmo a Nord. Eravamo abbracciati per via del freddo.
- Jasmine mi ha detto che forse tu rimarrai qui a N.Y.- disse Judy ad un tratto.
La guardai interessato.
- Non lo so. Io ho la borsa di studio ad Erie. Ho la mia stanza e anche qualche amico... Qui non
ho niente. Non posso vivere nella stanza di Jasmine, mangiare e bere a spese dei Cunningham.
Dovrei cercarmi un monolocale, pagare la retta all’Università e lavorare. Non mi sembra
conveniente. Preferirei che Jasmine venisse ad Erie. Potrebbe seguire i corsi ancora per qualche
mese e poi trasferirsi a N.Y. dai suoi. Forse, per allora, potrei lasciare l’Università per starle
accanto. Poi, passata l’estate, con il bambino nato, potremmo vivere insieme... O forse staremmo
lontani per uno o due semestri al massimo. Ma N.Y. ed Erie non sono così lontane... Davvero,
non so cosa fare.- le spiegai, senza rivelarle niente di preciso per la verità.
- Anch’io non ho nulla qui. I miei non sono ricchi, devo continuare ad Erie. Però spero che tu e
Jasmine veniate con me. Altrimenti avrei ancora paura...- mi disse un po’ triste. Temeva di
rimanere sola.
- Io verrò con te.- le dissi decidendo una volta per tutte, sul momento.
- Davvero?- mi chiese senza aspettarsi davvero una risposta. Mi si strinse al collo,
abbracciandomi e baciandomi.
Verso mezzanotte, io e Jasmine ci spogliammo e ci sdraiammo. Le luci erano spente, gli
avvolgibili completamente abbassati, nessun rumore ci disturbava. Ma io non riuscivo a dormire
perché c’era qualcosa che mi dava fastidio, dentro. Mi sollevai a sedere. Jasmine non dormiva.
Accese la piccola luce del comodino.
- Hai cambiato idea, vero?- mi chiese turbata.
Sapevo che Judy non aveva aperto bocca con lei.
- Vieni con me ad Erie, ti prego. Quando il bambino avrà cinque o sei mesi tornerai dai tuoi...le proposi.
Lei mi guardò triste.
- Non posso stare a N.Y.. Mi piacerebbe ma non posso.- aggiunsi.
Jasmine mi guardava con la delusione negli occhi e sembrava distrutta.
- Io resto qui, Michael.- disse stancamente.- In qualche modo ce la faremo anche così.aggiunse.
103
Misi le mie mani sulle sue braccia e la guardai, quasi supplicandola, ma non ottenni nessuna
reazione.
- Adesso dormiamo, sono stanchissima. Ti prego...- disse poi.
Si allungò e spense la luce. Si sdraiò mentre io rimasi per qualche secondo a guardarla,
nell’oscurità, ancora seduto. Mi sdraiai al suo fianco, ma non sarei riuscito a dormire, quella
notte.
La notte del tredici gennaio uscii dall’appartamento dei Cunningham, con il mio bagaglio sotto
braccio e Judy che mi stringeva la mano destra. Jasmine chiuse la porta alle nostre spalle.
Raggiungemmo l’ascensore e scendemmo nei sotterranei, per prendere la mia Chevy.
Brooke doveva già essere a Los Angeles. L’avevamo accompagnata tutti e tre all’aeroporto,
qualche ora prima. Una volta arrivata avrebbe preso le sue cose e si sarebbe trasferita dai suoi, in
attesa di trovare un’amica con cui dividere un appartamentino.
Il viaggio fu tristissimo. Lasciavo alle mie spalle la bellissima N.Y. e la mia futura famiglia.
Jasmine mi sarebbe mancata tantissimo, e a questo punto, non era ancora sicuro che ci saremmo
sposati.
Guidavo nella notte con Judy che dormiva, la testa appoggiata sulla mia gamba destra, e pensavo
a Jasmine. Forse avrei dovuto rimanere a N.Y. e sconvolgere tutta la mia vita, ma almeno sarei
rimasto al fianco di Jasmine.
Quando arrivai al posteggio dell’Uni, dietro la mensa, mi sdraiai semplicemente sotto il piccolo
corpo di Judy. Ci svegliammo a pomeriggio inoltrato, il parcheggio vuoto, nessuno in giro e
tanta tristezza nei nostri cuoricini.
Portammo le nostre cose nella mia stanza e tornammo semplicemente a dormire, abbracciati nel
mio letto. Judy mi riempiva di baci sulle guance e sulla fronte, prima di addormentarsi,
completamente distrutta. Ci facemmo tante coccole. Era un tipo di rapporto che non avevo mai
avuto prima. Io e Jennifer ci volevamo molto bene, incredibilmente tanto, ma non ci
sbaciucchiavamo in questo modo. Ci abbracciavamo, sì, ci accarezzavamo a volte, ma non come
facevamo io e Judy. Era solo amicizia, ciò che c’era tra me e Judy, ma mi piaceva. Judy mi
aiutava a sopportare l’assenza di Jasmine e forse io l’aiutavo a fare a meno di un fidanzato...
Dormimmo tutto il giorno, incredibilmente, e tutta la notte. Domenica quattordici gennaio,
Helena e Francine si catapultarono nella nostra camera facendo un casino pazzesco e
svegliandoci. Judy era stretta al mio petto come un Koala stretto ad un albero e quando si svegliò
diventò rossa come un peperone. Io aprii gli occhi un attimo dopo di lei. Scappò in bagno ed io
mi ritrovai a guardare Helena e Francine, con addosso solo un paio di mutande. Una volta sarei
stato imbarazzatissimo in quelle condizioni, ma ne avevo passate tante lì ad Erie, e le ragazze
sembravano preparate a qualsiasi cosa. M’infilai un paio di calzoncini e una maglietta mentre
Helena mi abbracciava e mi baciava (amichevolmente!) sulla bocca. Francine mi abbracciò
timidamente. Lei era più il mio tipo, timida e introversa.
Judy tornò con il viso sciacquato e un accappatoio a coprire la biancheria intima con cui era stata
scoperta abbracciata a me. Salutò le ragazze. Io aprii la finestra e alzai gli avvolgibili. Non c’era
nessuno per il campus. La neve che era caduta sulla piccola città della Pennsylvania era quasi
scomparsa. Nel bosco forse si poteva camminare ancora per ore senza mai scendere dalla neve,
ma nel campus rimanevano solo un paio di mucchietti all’ombra degli edifici. Gli alberi erano
spogli e malinconici, il Planet sembrava abbandonato.
Mi voltai, sentendo le ragazze che chiacchieravano, e mi rituffai nella vita dell’universitario.
XX.
104
Il secondo semestre era iniziato ed io mi ritrovavo con una nuova vita, dai lineamenti ancora
poco chiari, dal futuro incerto. Ero prossimo al matrimonio, così speravo, e invece di conoscere
meglio la mia futura moglie, mi ritrovavo a dividere camera e letto con una cara amica. E la
stavo conoscendo meglio.
Io e Judy eravamo seduti al centro della stanza, a gambe incrociate, uno di fronte all’altra. Lei
indossava mutandine e maglione, io un paio di pantaloncini e una maglietta che mi stava un po’
corta. Judy mi aveva chiesto se mi andava di parlarle di Jennifer ed io lo avevo fatto ben
volentieri. Poi avevamo parlato di tante altre cose.
- E tu,- chiesi.- come che sei ancora vergine?Speravo di non metterla troppo a disagio ma, dopo esserci ubriacati ed essere finiti a letto
insieme nudi, dopo aver “catturato” un quasi omicida e aver diviso tanti segreti, mi sembrava
difficile.
- Sono timida.- disse arrossendo leggermente.- E così non ho conosciuto tanti ragazzi. Non sono
mai stata con nessuno, nemmeno per un paio di giorni, nemmeno per un flirt ad una festa.Annuii, guardandola più teneramente che potevo.
- E non mi sono mai innamorata, prima di incontrare te.- aggiunse.
Sgranai gli occhi e stavo per aprire bocca, quando lei mi mise una mano sulle labbra,
cucendomele.
- Hei, parlo di qualche mese fa. Ricordi?- mi rassicurò.
- Eri... innamorata di me?- chiesi incredulo. Pensavo fosse solo una cotta.
Sollevò e abbassò la sua testolina un paio di volte.
- E tu, ti eri innamorato di me?- mi chiese a disagio.
- Non so. Se è possibile ero innamorato di te e di Jasmine...- provai a spiegare.
- Credo sia possibile.- commentò Judy sorridendomi. L’unica luce accesa era una piccola
lampada da notte che avevamo messo per terra, vicino a noi. Eravamo appena illuminati e i suoi
occhioni spuntavano tra le ombre del suo viso.- Con un cuore grande come il tuo, dev’essere
possibile.- aggiunse subito dopo.
Mi protesi verso di lei e ci abbracciammo. Sfiorai le sue labbra con le mie. Avevamo imparato a
farlo, come segno d’amicizia. Jasmine non ci aveva mai detto nulla.
- Ti manca tanto Jennifer, vero?- mi domandò dopo qualche istante in cui eravamo rimasti in
silenzio.
- Moltissimo.- dissi, ricordando il suo bel viso e i suo splendidi capelli. Mi sembrava ancora di
sentire la sua risata.
- Non ridere, ti prego... Ma io credo che sia lassù, da qualche parte, che ti guarda e ti proteggi
con le sue ali.- disse.
Mi commossi e Judy dovette abbracciarmi per cercare di frenare le mie lacrime. Era una ragazza
dolcissima, la mia piccola Judy.
Il giorno dopo le regalai un orsetto di peluche, forse perché era stata tanto dolce la sera prima. La
notte dopo dormì abbracciata all’orsetto, ma abbracciava anche me.
Era passata una settimana da quando avevo visto l’ultima volta Jasmine. Ci eravamo sentiti solo
un paio di volte, al telefono. Non andavo spesso a lezione. Girovagavo per il campus con la testa
tra le nuvole e camminavo spesso nel bosco, lungo i sentieri ancora coperti dalla neve. Non mi
piaceva come andavano le cose: io qui e Jasmine a N.Y.. Helena veniva spesso a chiacchierare
con me e Judy. Judy studiava parecchio ed io ne ero felice. Non aveva più paura e lavorava sodo
per l’Uni. Ero fortunato ad averla qui con me.
105
Tante cose erano cambiate ad Erie, oltre all’assenza di Jasmine che più mi toccava. Helena
abitava con Patricia. Bred non c’era più e la sua stanza era stata presa da un nuovo allievo. Jeff
non si vedeva. Non sapevo se si era trasferito. Samantha non mi salutava, ed io ero felice così.
Avrei preferito averla come amica, ma non dopo che si è rivelata così meschina e falsa. Le poche
volte che andavo a lezione guardavo i ragazzi e le ragazze che mi sedevano accanto: perfetti
sconosciuti. Quando entravo in buvette cercavo Jasmine, come avevo fatto per mesi. Ma poi mi
ricordavo che lei non c’era più.
Una notte non riuscivo proprio a dormire. Pensavo a Jasmine e la volevo qui, al mio fianco. Judy
era in uno stato di dormiveglia, quasi. Io mi agitavo, mi giravo e rigiravo nel letto e lei ne era
disturbata.
- Dormi.- mi sussurrava, con gli occhi chiusi.
Poi mi baciava, a caso, dove capitava, sempre ad occhi chiusi. Mi baciò sul naso, sotto il mento,
su di una spalla. Poi trovò le labbra. Quasi le schiusi, per baciarla come avrei baciato Jasmine.
Ma mi alzai. M’infilai una maglietta ed uscii dalla camera, in calzoncini e maglietta, a piedi
nudi, con un rotolo di monete da un quarto nella mano destra. Andai al telefono. Composi il
numero di Jasmine, il numero privato. Il suo telefono era a mezzo metro dalla sua testa, quando
dormiva.
- Pronto?- rispose ancora mezza addormentata.
Guardai l’orologio e mi accorsi che erano le tre e un quarto di mattina.
- Scusami.- le dissi.- Non riuscivo a dormire... non sapevo che ore erano...- Michael?- chiese.- E’ successo qualcosa? Stai bene?- domandò preoccupata.
- No. Non è successo niente. Ma sto male, senza te.- dissi triste.
Silenzio all’altro capo.
- Mi vuoi ancora sposare?- le chiesi.
- Certo. Ti amo. Non perché sei lì, non ti amo più! Sciocco!- era arrabbiata.
- Ok, scusa.- dissi a disagio.
- Sposiamoci in febbraio. Ti prendi una settimana di vacanza, prendiamo un appartamento, lo
sistemiamo, ci sposiamo e andiamo in luna di miele. Cosa ne dici?- chiese felice.
- Sei sicura?- chiesi senza sapere nemmeno il perché.
- Sì.- rispose titubante.- E tu?- Io voglio sposarti. Ma non voglio stare lontano da te.- spiegai.
Sentii solo il suo respiro, per qualche attimo.
- Non c’è altro modo.- disse poi.- Che giorno vuoi fare?- chiese di colpo, eccitata.
- Non lo so.- sincero.- Fai te, come preferisci tu. E dove preferisci tu.- Facciamo il sedici, il tuo numero preferito?- domandò.
- D’accordo.- risposi sorridendo.
- Se vuoi ci sposiamo ad Erie?- propose.
Rimasi sorpreso di questa idea.
- Non c’è niente che mi leghi ad Erie più che a N.Y. Qui mi sono innamorato di te. A N.Y. ti ho
chiesto di sposarmi...- osservai.
- Come sei dolce.- disse. Adesso eravamo entrambi più sollevati, contenti.- Allora sposiamoci
qui, fuori città. C’è una piccola chiesetta. E’ lì che sono stata battezzata. E’ in mezzo ai prati, con
un viale alberato e l’oceano a pochi passi. E’ un posto stupendo.- Allora è perfetto.- dissi.
- Ora devi fare solo una cosa. Se vuoi possiamo pensare a tutto io e mia madre. Ma tu devi dirlo
ai tuoi.- mi fece ricordare.
Già. Avevo cercato di non pensarci.
- Dì ai tuoi di tenersi liberi per uno dei prossimi week-end. Dovremo fare conoscere i nostri
rispettivi genitori.- decisi.
106
- Sì.- disse contenta che avessi trovato il coraggio.- Veniamo a Detroit, c’incontriamo con te e
andiamo a Los Angeles. Così deciderò con Brooke che vestito indosseranno le damigelle
d’onore.Risi brevemente.
- E chi altri farà la damigella?- chiesi curioso. Brooke mi andava benissimo e non avevo motivo
di chiedere di avere voce in capitolo. Tutti i miei amici erano amici di Jasmine.
- Solo Judy. Ti va bene?- aveva paura di aver corso troppo, di avermi lasciato poco spazio
d’azione.
- Va benissimo. Non avrei potuto scegliere diversamente. Ma adesso basta. Torna a dormire, ti
prego. Vedrai che adesso riuscirò ad addormentarmi. Discuteremo ancora domani.- Sì, amore.- mi disse, facendomi quasi commuovere.- Ti amo.- Ti amo.- le dissi.- Sogni d’oro.- Buonanotte.Attaccai il telefono e tornai in camera. Judy era abbracciata al cuscino e al suo orsacchiotto.
Quando mi sdraiai al suo fianco si avvinghiò a me.
- Dove sei stato, cattivone?- mi chiese, penso per mezzo di Morfeo. Aveva gli occhi chiusi e non
credo fosse cosciente di quello che diceva o faceva.
La baciai sulla fronte.
- Dormi, piccola.Il sabato successivo, mi trovavo all’aeroporto di Detroit. Con me c’erano Jasmine e i suoi
genitori. Stavamo aspettando l’aereo per L.A.. Sedevamo tra le interminabili file di poltroncine
per i viaggiatori in attesa. Jasmine mi sedeva accanto e mi teneva la mano. I signori Cunningham
mi sedevano di fronte. Sembravamo già una famiglia.
Lunedì avevo telefonato ai miei e comunicato loro la notizia. Mio padre si era preso un colpo in
vista delle spese per il matrimonio, anche se non aveva problemi finanziariamente. Mia madre
sembrava arrabbiata, gelosa che qualcuno fosse riuscito a rubarmi definitivamente a lei, dopo
che lei non era stata nemmeno capace di essere una madre normale, affettuosamente normale.
Quando arrivammo dai miei ci accolsero con i loro sorrisetti che conoscevo bene. Speravano di
superare in fretta questa vicenda, senza troppe seccature. Non credo fossero felici per me, non ne
avevano l’aria e non mi ricordavo di averli mai fatti felici. Loro e i miei futuri suoceri parlarono
dei dettagli del matrimonio. Io non avevo alcun interesse a sentirli discutere. Jasmine mi chiese
di farle vedere la mia camera. Quando vidi la sua espressione, vedendo la mia camera
trasformata in studio-zona bucato e affini, con la grossa scrivania di mio padre dove una volta
c’era il mio letto e l’asse da stiro nel centro della stanza, la presi per mano e la portai fuori casa,
nel prato. Quello che restava della mia roba doveva essere in cantina. Non m’importava più.
Jasmine mi sedeva silenziosa sulle gambe, le braccia attorno al mio collo. Eravamo in mezzo al
vasto prato, riparati dagli alti alberi. Non c’era granché da dire. Questa visita mi rendeva solo
consapevole di una cosa: non c’era nessun motivo per cui avrei dovuto vedere ancora i miei
genitori, dopo il giorno del matrimonio. Forse questo era motivo di sollievo per entrambi.
Jasmine mi accarezzò i capelli e mi strinse a sé.
Quella stessa sera, nella stanza d’albergo che avevamo preso io e Jasmine, il signor Cunningham
mi disse che lui e sua moglie avrebbero cenato con i miei genitori. Non riteneva necessario che
ci fossimo anche noi e ci disse di andare pure a divertirci. Doveva essere chiaro anche a lui
qual’era il rapporto tra me e la mia famiglia. Probabilmente cenavano insieme solo per l’etichetta
e per educazione. Io telefonai a Brooke e cenammo insieme, io, lei e Jasmine. Mi spedirono a
fare quattro passi, per poter parlare dei vestiti per il matrimonio, ed io vagai per L.A., perdendo
la cognizione del tempo. Quando mi resi conto che avevo girato, cercando tutti i posti dove
andavo con Jennifer, per più di un’ora, mi affrettai a ritornare al ristorante. Per fortuna le ragazze
non si erano rese conto di quanto ero stato via. Il mio morale era sotto le scarpe e Jasmine non
107
fece nulla per risollevarlo. Più tardi, sdraiato al suo fianco, nel letto della nostra camera
d’albergo, chiusi gli occhi e trovai il sonno, senza chiedere coccole né baci.
XXI.
Il giorno dopo, ognuno tornò alla propria vita. E la mia vita, per il momento, prevedeva la
lontananza da Jasmine. Quando arrivai alla Hope House erano le undici di domenica sera. Aprii
la porta ed entrai in silenzio per non svegliare Judy. Entrai in bagno per bere dal rubinetto e mi
svestii. Andai verso il letto con l’intenzione di scivolare sotto il piumino e abbracciare Judy nel
sonno, addormentandomi al suo fianco. Ma lei non c’era. Mi prese il panico. Cercai subito di
autoconvincermi che non c’era nulla da temere. Accesi le luci e mi diressi verso la porta. L’aprii
e cercai un biglietto di Judy, che mi dicesse che avrebbe dormito da Patricia. Niente. Guardai per
terra. Niente nemmeno lì. Tornai in camera. Cercai un qualsiasi messaggio di Judy. Cercai
ovunque. Sotto il letto, sulla scrivania, perfino nei cassetti e in bagno. Non c’era niente. La
stanchezza che mi aveva provocato il lungo viaggio era sparita e anche il ricordo del pessimo
week-end passato con la mia vecchia famiglia e quella nuova. Il mal di testa mi assalì. Era da
parecchio tempo che non soffrivo più di emicrania. Aprii l’armadietto del bagno per cercare le
pastiglie contro il mal di testa. Trovai il tubetto di pastiglie e trovai anche un biglietto attaccato
con lo scotch al tubetto. C’era scritto: “Per Michael”.
La scrittura mi era sconosciuta.
“Hai cercato Judy, vero? E non l’hai trovata. Lei sta con me e, ti assicuro, non di sua spontanea
volontà.”- Mi rivestii mentre leggevo ed uscì dalla camera.- “Ho pensato che ti sarebbe venuto
un bel mal di testa ed ho avuto ragione se stai leggendo questo biglietto... Ti lascio un indirizzo.
Vieni subito qui, senza polizia, così risolveremo una volta per tutte la questione. Sai.... Jennifer,
Judy... Ricordati: niente polizia altrimenti userò il mio coltello su Judy. Sbrigati!”
Jeff
Scesi le scale di corsa. Avevo con me il mio telefonino ma non sapevo se chiamare Steeb o
meno. Il biglietto era abbastanza convincente. Forse dovevo cavarmela da solo, come mi aveva
detto Steeb una volta. Jeff... Allora era stato lui! Maledetto. Non vedevo l’ora di mettergli le
mani addosso. Me l’avrebbe pagata!
Guardai l’indirizzo. Dovevo andare a Newark, a due passi da N.Y. Avrei potuto prendere un
aereo privato al campo d’aviazione di Erie ma poi avrei dovuto noleggiare un auto. Decisi di
andarci in macchina, a tutta velocità. E se la polizia mi avesse inseguito per eccesso di velocità
avrebbe dovuto seguirmi fino a Newark.
In macchina, mentre sfrecciavo a tutta birra sulla nazionale, pensavo a come far pagare a Jeff
tutto quello che aveva fatto. Non osavo pensare a quello che aveva potuto fare a Judy. Perdere
anche lei sarebbe stato troppo. Telefonai a Jasmine. Pensavo che l’unico modo per salvare Judy
fosse quello di fare ciò che mi aveva scritto. Non dovevo coinvolgere la polizia. Ma mi sembrava
giusto avvertire Jasmine. Anche se l’avrei fatta spaventare. Doveva sapere che Judy poteva
essere morta e che io avrei potuto fare la stessa morte.
Non mi rispose nessuno. A Detroit l’aereo per N.Y doveva aver tardato. Chiamai Steeb. In
centrale non c’era. Feci passare la telefonata a casa sua, dicendo che era molto importante. Mi
rispose lui, con la voce assonnata.
- Pronto?-
108
- Steeb? Sono Michael Stebbins. La mia amica Judy è stata rapita. Jeff Edwards mi ha lasciato
un biglietto con un indirizzo dove andare per recuperarla. Mi ha detto di non coinvolgere la
polizia, e non voglio farlo. Andrò da solo. Ma lei lo deve incastrare, se io non ci riesco.- gli dissi.
- Dove avete appuntamento? Lo capisci che rischi grosso? Dimmi dov’è e faremo tutto ciò che è
possibile per salvare Judy.- era già tornato efficiente malgrado l’ora.
- Non posso. Sto rischiando moltissimo ma è l’unica speranza di salvarla, e lei lo sa.- gli dissi
con la paura nella voce.
Steeb rimase un attimo in silenzio, forse annuendo.
- Stai attento. Se lo prendi telefona in centrale. Adesso vado lì. Ti farò arrivare quattro agenti,
dovunque siate.- disse, sembrando quasi il padre che non avevo mai avuto. Non avevo mai
trovato un adulto che si preoccupasse di me.
- Grazie.- gli dissi, e attaccai.
Ero sempre più nervoso. La rabbia svaniva e aumentava la paura.
Una volta raggiunto il New Jersey telefonai a Jasmine. Lasciai suonare a lungo ma non rispose
nessuno. Newark era vicina a New York. Mi preoccupai per lei. Se Jeff aveva potuto rapire Judy
poteva aver rapito anche Jasmine. Poteva anche essere stato arrestato dalla polizia di New York,
mentre cercava di entrare nell’appartamento dei Cunningham.
Arrivai a Newark verso le due del mattino. Vagai con la macchina in cerca di una mappa della
città. Forse l’avrei trovata davanti alla stazione o al municipio. Ma dove trovare questi due
edifici? Mi tremavano le mani e sbadigliavo per la stanchezza. Mi davo dello stupido perché
c’era in gioco la vita di Judy ed io sbadigliavo. Ma non potevo farci nulla. Era stata una giornata
pesantissima, che stava finendo in modo tragico. Guidavo velocemente per le strade deserte della
città, rallentando bruscamente in prossimità degli incroci per poter leggere i nomi delle strade sui
cartelli. Incrociai anche un auto della polizia. Rallentai per non essere fermato e l’auto mi passò
accanto lentamente. Io e il poliziotto al volante ci guardammo per qualche istante. Steeb poteva
aver segnalato la mia auto alla polizia di questo stato? Lo reputavo difficile. Il tempo mi
sembrava scorrere troppo velocemente ma, quando per caso capitai nella strada indicatami da
Jeff, ero a Newark da mezz’ora. Fermai la macchina all’inizio della strada. Mi trovavo in una via
residenziale. Alla mia sinistra e alla mia destra si stendevano due file di villette con il loro bel
giardino con tanto di steccato e viale alberato che costeggiava la strada. Guardai i numeri civici
scritti sul marciapiede. La casa dove c’erano Jeff e Judy era la quinta a sinistra. Non era l’ultima
della fila e quindi non saremmo stati isolati. Guardai l’orologio. Le due e quarantatré. Non
sapevo quando Jeff si aspettava che io arrivassi. Respirai a fondo. Cercavo di rilassarmi ma non
ci riuscivo e diventavo invece sempre più nervoso. Il sonno mi passò in un attimo. Presi il
telefonino e telefonai ancora a Jasmine. Niente. Lasciai perdere il numero privato e feci quello
che c’era sull’elenco. Al diavolo, avrei svegliato i suoi, ma volevo saperli a casa! Ascoltavo il
suono della linea libera e guardavo la casa dove Jeff mi aspettavo, armato del coltello con cui
aveva martoriato il bel corpo di Jennifer dopo che l’aveva strangolata. Portai il telefonino
davanti ai miei occhi e lo guardai incredulo e sgomento. Dovevo telefonare a Steeb e dirgli di
mandare qualcuno? Dirgli che Jasmine e la sua famiglia erano in pericolo? Ma ne avevo il
tempo? E sarebbe servito a qualcosa?
Uscii dalla macchina e attraversai la strada. Sul marciapiede di sinistra, iniziai a risalire la strada,
camminando all’ombra degli alberi. A pochi passi dalla mia meta, il telefonino che mi ero messo
nella tasca della giacca si mise a suonare. Guardai la casa ma era buia come tutte quelle di questa
strada. Mi sedetti con la schiena contro un albero, nascosto alla vista di Jeff, e risposi.
- Pronto?- chiesi con il cuore in gola. Speravo fosse Jasmine che mi chiedeva se ero io che
continuavo a telefonare a casa sua.
- Michael, sono Steeb.- mi disse invece il mio amico tenente.- Ho mandato degli agenti
all’appartamento di Jeff.- E a cosa serve? Lui è qui! In una casa a pochi metri da me. Non credo che poi tornerà all’Uni
per riprendere i corsi, una volta uccisi me e Judy.- dissi fuori di me.
109
- Non credo sia lì.- mi disse, con lo stesso tono di voce che aveva mio zio George quando mi
disse che mio cugino Darren era morto.- Lo hanno trovato per terra, nel suo appartamento, con il
cranio forato da diverse pallottole.Chiusi gli occhi e sperai di risvegliarmi nel mio letto, tra le braccia di Jasmine o di Judy. O forse
era tutto un sogno: non ero mai andato ad Erie, Jennifer dormiva nel mio letto ed io sulla mia
poltrona, nella mia vecchia stanza a L.A.. Ma mentre tenevo gli occhi chiusi sentivo il vento che
batteva contro il mio petto, coperto solo da un maglione e dalla giacca di Jeans; sentivo Steeb
che mi chiamava dal telefono che stringevo nella mano destra; sentivo il rumore delle foglie
mosse dal vento, sopra la mia testa; sentivo il mio cuore che batteva lentamente.
- Michael? Dove sei?- mi chiese Steeb.
Aprii gli occhi, mi voltai e osservai la casa. Nessun movimento, nessun segno di vita.
- Ma qui, in questa casa, chi diavolo c’è? Troverò Judy legata che aspetta che Jeff venga ad
ucciderla?- chiesi sapendo bene che qualcosa non quadrava. Non era così semplice.
- Troverai chi ha ucciso Jeff. Troverai chi ti ha lasciato un biglietto, chi ha rapito Judy, chi ha
ucciso Jeff e chi ha ucciso Jennifer. E devi saperlo, dev’essere per forza qualcuno che conosci!mi disse con voce autoritaria. Cercava di scuotermi, senza troppo successo.
- Bred è ancora...- cercai una soluzione.
- Bred è in prigione. Fidati. Ho fatto anche controllare, perché non so chi altro ci possa essere lì,
dove sei tu.- disse con la voce stanca. Era chiaro che non gli piaceva essere così all’oscuro di
quello che stava succedendo e di dover assistere a tutto con le mani legate, per mezzo di un
telefonino.
- Ascoltami.- continuò.- Dimmi dove sei. Arrivo al massimo in un’ora e mezza. Sono stato in
Vietnam, berretti verdi. Vengo con un fucile e appena entri e l’assassino ti si avvicina, gli faccio
saltare il cervello.- E Judy?- chiesi, per nulla convinto che fosse la soluzione ideale.
- Non puoi sapere chi c’è lì dentro. Non puoi sapere se Judy è l’ostaggio o quella che ha
combinato tutto questo casino. Lì dentro potrebbe esserci anche tua madre, per quel che ne
sappiamo. Se tu entri lì, non devi fidarti, di nessuno. Mai. Capisci?- mi chiese di nuovo con la
voce dura da uomo d’esperienza, da ufficiale della polizia, reduce di guerra.
- Sì.- dissi con gli occhi bagnati dalle lacrime.
Restammo in silenzio
Guardai le mie mani. Erano piene delle lacrime che mi ero asciugato. Erano tutto ciò che avevo
per affrontare un pluriomicida che a quanto pare voleva uccidere me, più di chiunque altro.
- Adesso devo andare.- dissi rassegnato.
- Dimmi dove sei, ti prego!- mi supplicò Steeb. Forse mi sbagliavo ma questa non era strategia
da poliziotto. Quello che sentivo nella sua voce era preoccupazione vera.
- Sono a Newark.- dissi e attaccai.
Guardai il telefonino e aspettai che suonasse di nuovo. Vidi la luce verde accendersi e sentii lo
squillo. Lo spensi e lo misi nella giacca. Non mi sarebbe servito dove stavo andando. Guardai di
nuovo la casa e mi chiesi se ci fosse veramente qualcuno. Mi chiesi se c’era Judy e se era il Lupo
o Cappuccetto Rosso. Poi mi alzai e camminai lentamente verso la casa, questa volta con gli
alberi alla mia destra. Ero ben visibile a chi mi spiava dalla casa. Del resto non avrebbe avuto
nessuno scopo a spararmi da una finestra. Avrebbe potuto farlo ad Erie ma non lo aveva fatto.
Voleva vedermi, parlarmi, vantarsi del suo piano astuto, guardare l’orrore che invadeva il mio
volto, gustare il sapore della vittoria. Non potevo pensare che Judy avesse architettato questo.
Non potevo pensare a nessuno nel ruolo dell’assassino psicopatico. E per cosa? Cosa potevo
avergli fatto di così grave, per far scoppiare tutto questo. Mi guardai indietro e trovai la
macchina, immobile, fredda, oggetto inanimato, che aspettava ferma all’angolo. Lei non avrebbe
sofferto per quello che sarebbe successo in quella casa. Pensai al cric nel bagagliaio ma era
chiaro che non sarei potuto entrare in quella casa armato. Non mi sarebbe stato permesso.
Arrivai al cancello dello steccato. Lo aprii e mi sentii in trappola. Il cigolio che faceva era peggio
di un allarme a trecento decibel. Lo superai lasciandolo aperto per non provocare altri rumori.
110
Attraversai il prato e salii i gradini che portavano alla veranda della villetta in legno. I miei occhi
correvano all’impazzata da una finestra all’altra, dalla porta all’angolo della veranda. Non vidi
nulla. Arrivai alla porta e provai ad aprirla. Se riuscivo a sorprendere chi mi aspettava, tanto
meglio! Spalancai la porta che era stata lasciata socchiusa e aspettai dietro il muro.
M’inginocchiai e guardai all’interno facendo sporgere la testa di quel tanto che bastava per
utilizzare un occhio. L’oscurità era totale. La luna non c’era a splendere in cielo e gli alberi
gettavano altro buio, altre ombre sulla casa, già tetra di per sé. Rimasi ad ascoltare. Ascoltai per
qualche minuto. Ascoltai il silenzio più assoluto. I rumori, per quanto deboli, provenivano tutti
dall’esterno della casa: il vento, un cane che abbaiava lontano centinaia di metri, il cancello che
cigolava spinto dal vento. Mi alzai ed entrai, attento. I miei occhi si abituarono all’oscurità. Il
soggiorno era arredato, (mi ero aspettato una casa vuota, Judy legata ad una sedia, in mezzo al
soggiorno), ed ogni cosa mi sembrava una persona con una pistola in mano. La lampada a stelo
più di tutte, ma anche le tende, il divano, i piccoli tavolini attorno al divano, le sedie.
La poca luce che entrava attraverso la porta aperta non mi era d’aiuto. La chiusi alle mie spalle e
mi ci appoggiai qualche istante. Ascoltai di nuovo. Niente. Attraversai il soggiorno e arrivai in
cucina, lungo uno stretto corridoio. Nessuno. Controllai tutto il piano terreno: gli armadi, il retro
del giardino, lo sgabuzzino, il bagno. Non c’era nessuno. Rimasi un’eternità ad osservare
nervosamente la scala che portava di sopra. E se era tutto uno scherzo? E se c’era una bomba
sotto il pavimento del piano terreno ed io sarei saltato in aria con la casa intera, dopo aver
scoperto che non c’era nessuno nemmeno di sopra? Iniziai a salire le scale, un gradino alla volta.
Respiravo lentamente cercando di frenare il tremito che mi aveva preso le mani. Mi venne in
mente Jasmine ed ebbi il presentimento che lei era morta. Non avevo mai avuto presentimenti e
non avevo mai creduto a cose del genere. Per questo piansi, un pianto silenzioso, un pianto fatto
di paura, nervosismo, angoscia, impotenza, terrore. Quando arrivai il cima alle scale mi sentivo
debole e distrutto dentro. Mi sedetti sull’ultimo gradino e mi guardai attorno, con le lacrime che
scendevano sempre copiose, ma non feci il minimo rumore. E poi lo sentii, un rumore. E ancora.
C’erano una decina di porte ma dall’ultima, in fondo al corridoio, arrivavano dei rumori. Era la
porta di una stanza che dava sulla facciata principale della casa, sopra la veranda. Mi alzai a
fatica e mi avvicinai a quella porta. Mi rividi piccolo cadere dalla bici a cinque anni, come in un
film vidi la prima volta che nuotai accompagnato da mio padre, la festa del mio decimo
compleanno, la prima volta che vidi Simone. Stavo rivedendo tutta la mia vita mentre mi
avvicinavo a quella porta. E non era un buon segno, vero? Credevo di andare verso la morte o
era un messaggio dall’alto, da qualcuno che invece sapeva con certezza che stavo per morire?
Arrivai alla porta e l’aprii, senza esitazione. Se c’era Judy, e se era in pericolo, solo io potevo
salvarla. E Judy era lì, seduta in mezzo ad una stanza vuota, le pareti con una decina di finestre
senza tende. Era imbavagliata e legata e mi dava la schiena. Era l’unica certezza che avevo. Lei
era viva ed era Cappuccetto Rosso. Non poteva avere ucciso Jeff e poi essere corsa lì, ad
imbavagliarsi e legarsi ad una sedia. Come poteva essersi legata? Chiusi la porta e la raggiunsi.
M’inginocchiai di fronte a lei. Sgranò gli occhi dalla felicità. Le tolsi il bavaglio.
- Michael!- esclamò felicissima, a bassa voce.
L’abbracciai forte.
- Ma chi...- feci per chiederle.
- Sono stata io.- sentii dire.
Alzai lo sguardo e vidi una folta chioma di ricci biondi. I capelli di Jasmine. Mi dimenticai di
Judy. Riuscivo solo a guardare quei capelli e la pistola che era puntata contro di me. Il viso era in
ombra e non potevo riconoscerlo. Poi qualcosa, oltre alla voce che non era quella di Jasmine., mi
sembrò sbagliato. L’abbigliamento, un top troppo volgare e dei pantaloncini corti, e il seno
troppo prosperoso. Un’idea si fece largo nella mia mente mentre il mio cuore si stava fermando,
spezzato in due, triturato e poi schiacciato e bruciato. Lei si tolse la parrucca e la mia idea prese
forma. La forma del corpo di Samantha.
- Samantha.- fu tutto ciò che riuscii a dire.
- Sì.- disse lei.
111
Mentre cercavo di capire cosa stava succedendo sciolsi i nodi che legavano Judy, e Samantha mi
lasciò fare. Quando Judy fu libera mi saltò tra le braccia. Ci lasciammo cadere a sedere, sotto le
finestre che davano sulla strada.
- Perché?- le chiesi.
- Perché? Lo sapevo che avrei dovuto ucciderti subito, altrimenti mi sarebbe toccato spiegare
tutto... Ma visto che ci siamo e che tu hai fatto il bravo e sei arrivato senza sbirri...- Si sedette in
maniera rozza, ma tutto di lei mi dava fastidio da quando era diventata così appiccicaticcia con
me, e parve riflettere un attimo.- Allora... Ho sempre odiato Jasmine, era smorfiosa come poche
altre e i ragazzi perdevano la testa solo per lei. A me non rimaneva che farmi qualche imbranato
nella sua macchina e stare a guardare i fusti che correvano dietro alle sue gonnelline. E poi è
uscita con Bred quando io ero pazza per lui. Gli ha spezzato il cuore, non volendolo e così io non
ho avuto nessuna possibilità con lui. Non voleva più pensare alle ragazze. Quando sono arrivata
ad Erie me la sono ritrovata tra i piedi, con le sue altre amiche snob. E c’era anche Bred, che
guarda caso era ancora cotto di lei. Quando tu hai iniziato a ronzarle intorno ho pensato: “Ok,
Bred è tutto mio, ora.” Ma lui pensava sempre a lei. E ho iniziato ad odiare anche te, e Jennifer
di conseguenza. E quando quella sera vi siete messi insieme alla festa, ed io vi ho visti, e poi ho
trovato Jennifer che gironzolava per il campus alle quattro di mattina in cerca della tua stanza...
Beh, ero furiosa, e non potevo sopportare che vi andasse tutto bene. Jennifer si è presentata e mi
ha chiesto di aiutarla. Io mi sono fatta riconoscere e lei si è messa a sorridermi in un modo...
L’ho portata nel bosco dicendole che ti avevo visto lì e poi l’ho strangolata. Mi piaceva
immaginare che ci fosse Jasmine al suo posto. Quando fu morta la spinsi tra i cespugli e trovai il
coltello di Jeff. Sai, non mi ero ancora sfogata abbastanza...- disse sorridendomi cinicamente.
Io non potevo far altro che piangere e stringere i pugni per cercare di controllarmi. Judy mi
sussurrava di stare calmo. Era l’unico modo che avevamo di uscirne vivi. Se le fossi corso
incontro gridandole “Bastarda, maledetta bastarda”, lei avrebbe ucciso me e poi Judy. Cosa se ne
faceva di lei. Lei era solo un’esca.
- Poi mi sono fatta Bred. Lui era sconvolto. Tutti lo additavano come maggiore sospettato e non
capiva niente. Ho potuto fare quello che ho voluto di lui. Anche spingerlo a prendersela con te e
tutte quelle troiette che ti giravano intorno, Jasmine soprattutto.- Hai fatto qualcosa a Jasmine?- le chiesi preoccupatissimo. Non ero io il suo bersaglio
principale. La sua preda era sempre stata Jasmine. Chi aveva attaccato per ultimo? Jasmine
oppure io?
- Con calma. Ti racconterò tutto, stai tranquillo. In fondo è il tuo ultimo desiderio.- disse
sarcastica.
Non potevo capire che fosse arrivata a tanto perché Jasmine aveva avuto più successo di lei ai
tempi del liceo.
- Dov’ero rimasta? Ah, sì. Allora... Bred se l’è presa con te, Jasmine e le altre e Jeff l’ha seguito
a ruota. Ma quei due non mi sono serviti a molto. Non erano degli assassini. Bred era così
sconvolto da strangolare quasi Patricia, ma non l’avrebbe mai uccisa. Poi siete andati via tutti, a
N.Y.. E lì mi hai detto che tu e Jasmine vi sareste sposati. E non potevo sopportarlo. Non potevo
sopportare che a lei andasse sempre tutto bene. E poi Bred non m’interessava più, mi interessavi
tu. Quando sei partito per L.A. ho sentito le tue amichette che ne parlavano, e ho architettato
tutto questo. Avevo questa casa, qui a Newark, vicino a Jasmine...- Cosa le hai fatto?- chiesi alzandomi in piedi. Non potevo starmene tranquillo ad ascoltare tutte
queste stronzate!
Si alzò anche lei, minacciandomi con la pistola.
- Siediti, stronzo!- mi urlò contro.
Judy mi trascinò a terra.
Samantha ci sorrideva guardandoci dall’alto.
- Ho riflettuto e ho capito che tu eri stato molto più cattivo di Jasmine e allora mi sono occupata
prima di lei. Ho ucciso lei e i suoi genitori.- disse in tutta tranquillità.
112
- Stai bluffando!- le sputai contro.- Fa tutto parte del tuo piano!- cercai di autoconvincermi delle
mie parole, ma il mio cuore si era fermato e sentivo una strana vocina in testa.
- Vediamo se riesco a convincermi.- disse.
Mi gettò qualcosa che cadde vicino a me e a Judy. Era buio, l’oggetto era piccolo ma il luccichio
che emanava mi gettò nello sconforto totale. Judy mi guardò inorridita e poi si allungò e prese
l’oggetto tra le sue manine. Quando le aprì di fronte a me vidi quello che avevo temuto: l’anello
di fidanzamento che avevo dato a Jasmine.
- E adesso tocca a te!- annunciò contenta, Samantha. Alzò la pistola, pronta a far fuoco, mentre
io non avevo ancora avuto il tempo di decidere se dovevo essere furioso o distrutto
emotivamente.
- Addio!- disse.
Sapevo che voleva uccidere prima Judy, per farmi ancora del male, quando ancora ero vivo. Così
mi lanciai verso di lei urlando.
Ora mi guardava stupita. Non sapeva cosa fare. Se avesse sparato a Judy io avrei potuto renderla
inoffensiva. Avrebbe potuto ucciderla e farmi del male, ma io sarei rimasto vivo. Se invece
avesse sparato a me, si sarebbe sfogata ma il suo piano non si sarebbe concluso al meglio, perché
io non avrei potuto piangere la morte di Judy. Mentre avanzavo verso di lei tutto sembrava
essere rallentato. La mia mente urlava: “Che cazzo succede! Dovrei già essere dall’altra parte
degli U.S.A. e invece non sono riuscito a fare che mezzo metro! Rimettete a posto il tempo!”.
Samantha era nel panico più completo, vedeva la sconfitta che si avvicinava. Poi si decise, con
rammarico, e me ne accorsi. Spostò la pistola verso di me ed io mi tuffai in avanti producendomi
in una capriola, e sentii il proiettile che mi sfiorava una gamba mentre ero in volo. Ero finito
sulle ginocchia, una gamba mi doleva e Samantha mi guardava sconvolta, ma ero riuscito ad
arrivare dove volevo. Mentre Samantha tornava alla carica urlai a Judy, che piangeva, di mettersi
alle mie spalle. Non so se lo fece. Samantha alzò di nuovo la pistola, erano passati forse cinque
secondi dal primo colpo, ed io afferrai con il braccio destro una gamba della sedia che ora era al
mio fianco. Vidi sorpresa nello sguardo di Samantha, e forse questo la rallentò maggiormente, e
poi le scagliai la sedia addosso. Partirono due colpi. Io ero in piedi intento a coprire con il mio
corpo Judy e chiusi gli occhi. Quando sentii Samantha urlare mi gettai su di lei. Avevo messo
tutta la rabbia che avevo in quel lancio, e la sedia l’aveva presa in volto e al braccio sinistro, con
cui aveva cercato di proteggersi. Adesso era sdraiata per terra, dolorante. La pistola l’aveva
ancora stretta nella mano destra. Le tirai un calcio al braccio e forse le ruppi anche qualche ossa.
L’importante era che la pistola finì per terra. La raccolsi e subito cercai Judy. Temevo che un
proiettile potesse averla presa. La vidi rannicchiata in un angolo della stanza, in lacrime. La
raggiunsi correndo.
- Sei ferita?- le chiesi.
- No.- rispose sicura.
La strinsi forte tra le mie braccia. Poco dopo sentii le sirene della polizia che si avvicinavano.
Io e Judy eravamo seduti nel retro di una macchina della polizia del New Jersey, quando arrivò
Steeb. Era stato lui ad avvertirli e la polizia di Stato, con l’aiuto degli agenti che mi avevano
incrociato per le vie di Newark, e la chiamata dei vicini che avevano sentito degli spari, era
potuta arrivare velocemente sul luogo. Io e Judy eravamo abbracciati, coperti con delle coperte.
Mi chiedevo perché la polizia avesse questa mania di coprire con coperte le persone che salvava.
Ma non era importante.
Steeb s’informò da un agente e poi si diresse versi di noi. S’inginocchiò di fronte a me, la
portiera accanto a me era aperta, e posò una delle sue grosse mani sul mio braccio sinistro. Lo
guardai e vidi tutta la tristezza che provava. Gli anni di servizio non lo avevano reso insensibile.
Si accertò che avessimo ricevuto tutte le cure del caso e raggiunse un gruppetto di poliziotti della
statale, per farsi spiegare cos’era successo. Da me non lo avrebbe saputo. Ma nessuno sapeva
cos’era successo, perché io e Judy non avevamo fatto altro che piangere e abbracciarci.
113
Più tardi, alla centrale di Newark, sedevamo di fronte a Steeb. A quanto pare il caso era rimasto
di sua competenza. Mi sembrava di scorgere qualche viso da agente dell’FBI, ma nessuno ci fece
altre domande.
- E’ vero di Jasmine e dei suoi genitori?- chiese Judy, meno distrutta di me.
Steeb annuì mestamente.
- Gli hanno trovati nel loro appartamento. La porta era stata scassinata ma loro sono entrati lo
stesso...- non riuscì a dire altro.- Mi dispiace.Incontrai il suo sguardo che esprimeva più dolore di quanto avrei immaginato, ma non sapevo
cosa potevo dire. Non c’era più nulla da dire.
- Ho cercato le vostre amiche: Patricia, Camilla, Helena e Francine. Stanno tutte bene.aggiunse.
Avrei preferito che mi dicesse che mi avevano tutti preso in giro, che ero stato drogato,
ipnotizzato o chissà cos’altro. Avevo perso la mia futura moglie, mio figlio, la mia nuova
famiglia. Che vita mi rimaneva?
XXII.
Quando tornammo ad Erie non fu molto meglio. Per arrivare alla nostra camera dovevamo
superare il nastro giallo tirato sulla porta di quella di Samantha. Non potevamo stare nel vecchio
appartamento di Helena, alla George Town, perché lì c’era un nastro giallo anche per Jeff.
Andammo a vivere con Patricia e Helena, nell’appartamento di Patricia, alla Kent House. Io e
Judy dormimmo per due giorni. Dovemmo rilasciare una dichiarazione per Steeb ma non ci rubò
molto tempo. Fino al processo contro Samantha avremmo potuto cercare di dimenticare.
Passammo questi due giorni a dormire, dicevo, e non c’era altro da fare. Io e Judy mettemmo
sottosopra tutto l’appartamento cercando degli alcolici ma Patricia e Helena si erano date da fare,
per impedirci di ubriacarci fino a morire. E poi arrivò il giorno del funerale.
Francine guidò la mia macchina fino alla chiesetta dove io e Jasmine ci saremmo dovuti sposare.
Camilla e Patricia sedevano davanti con lei, mentre Helena ci coccolava sul sedile posteriore.
Quando vidi le bare nella piccola chiesetta, così romantica per un matrimonio, piansi sotto gli
occhiali da sole che avevo messo per nascondere il mio dolore. Piangevamo tutti. Non
conoscevamo nessuno, eccetto qualche ragazzo che era venuto alla festa nella casa newyorchese
di Patricia. Eppure quello era il funerale della mia famiglia, lì c’era tutta la mia vita. Qualcuno
che non avevamo mai visto fece sedere me e Judy in prima fila. Al nostro fianco dovevano
esserci i nonni di Jasmine. Io e Judy andammo a porgere le nostre condoglianze. Quando dissi
che ero Michael, il fidanzato di Jasmine, scoppiarono a piangere ancora più forte e mi
abbracciarono. Insistettero perché sedessimo vicino a loro. Stavo troppo male. Judy si faceva
forza per cercare di rincuorarmi. Ma quando cercai la quarta bara, quella di mio figlio, e mi resi
conto che lui era dentro Jasmine, grande quanto una mela, o forse di meno, e non lo avevo
nemmeno potuto vedere, e neanche Jasmine, sua madre, avevo avuto questa gioia, scoppiai a
piangere come una fontana e trascinai Judy nel mio tormento. Lei mi cullò tra le sue braccia
come una mamma affettuosa.
Avrei voluto leggere una poesia per la mia adorata, ma non ce la feci. Lo fece Steeb per me, che
ci sorprese tutti facendosi trovare in chiesa, puntuale. Si era affezionato a tutti noi e quindi a
114
Jasmine. Doveva essere un ottimo padre per i suoi figli. Si sedette in fondo alla chiesa con la sua
bella moglie e i due maschietti, poi mi raggiunse quando il prete disse che io avrei letto una
poesia per Jasmine.
Lesse in modo splendido, facendomi commuovere dopo tante lacrime di dolore, e qualche
lacrimuccia scese anche a lui quando mi abbracciò, finito il suo intervento.
Dopo aver assistito alla sepoltura Francine decise di aspettare un po’ prima di ripartire. Steeb ci
salutò e se ne andò mogio. I nonni di Jasmine mi abbracciarono ancora prima di andarsene. I
nonni che non avrei mai avuto. Brooke era giunta in ritardo in chiesa, arrivata dall’aeroporto di
N.Y. con un taxi. Era sconvolta come tutti. Ci abbracciò tutti versando calde lacrime. I miei
genitori non era venuti del tutto. Avevano spedito un biglietto di condoglianze ai nonni di
Jasmine e avevano cercato di mettersi in contatto con me, inutilmente, dopo che io avevo detto a
loro della disgrazia.
Il cimitero era su di una collinetta, ad un chilometro circa dalla chiesetta. In mezzo c’era un
vasto bosco. Io e Judy camminammo lungo il viale che portava alla chiesetta, all’ombra del viale
alberato, e ci sedemmo su di un muretto in pietra, alle spalle della chiesetta. Davanti a noi c’era
solo l’oceano, la scogliera sotto di noi. Rimanemmo lì a lungo, accarezzati del vento, l’uno nelle
braccia dell’altra. Poi raggiungemmo gli altri e ce ne andammo.
Brooke ritornò con noi ad Erie. Non ci fu di compagnia perché io e Judy restammo chiusi in
camera per giorni e giorni. Intanto lei ritornò a casa, via Detroit. Le ragazze tornarono pian piano
a lezione, mentre io e Judy restavamo a letto, abbracciati. Ogni tanto scendevamo nel prato
sottostante e camminavamo nel bosco, Judy in pigiama da uomo, io con pantaloncini e maglietta,
entrambi a piedi nudi. Poi tornavamo a chiuderci in camera. In camera ci coccolavamo e ci
baciavamo su tutto il viso, ci accarezzavamo il viso e i capelli, ci stringevamo forte e
piangevamo. Poi un giorno, Helena o qualcun’altro aprì gli avvolgibili della nostra camera, e ci
trovammo col sole negli occhi. Quando aprii gli occhi il colpevole era fuggito. C’eravamo solo
io e Judy. Judy era sdraiata sopra di me, con indosso solo una maglietta e un paio di mutandine.
Aveva la testa appoggiata sul mio petto nudo. La baciai sulla fronte. Si svegliò e reclamò per il
sole. Si mosse e si sistemò meglio, sopra di me, con il viso contro il mio. Mi sorrise.
- Vogliono che ci alziamo.- le dissi.
Lei mi baciò sulla bocca, come avevamo iniziato a fare qualche mese prima, veloce come un
fulmine. Mi sorrise di nuovo. Io la baciai, indugiando di più, le mie labbra contro le sue. Le
sorrisi.
Helena entrò scocciata nella nostra stanza.
- Forza ragazzi, una nuova giornata è calata su di noi, sveglia!- urlò senza accorgersi che
eravamo ben svegli.
- Ops.- disse quando se ne accorse.- Quando volete vi preparo la colazione.- uscì imbarazzata.
Io e Judy ci stavamo ancora guardando negli occhi.
Lei mi baciò. Una volta, due, tre. Ci guardammo. Ogni secondo che passava, la luce che aveva
negli occhi cambiava, così come sensazioni nuove invadevano il mio cuore malato.
- Cosa stiamo facendo?- chiesi.
- Non lo so. Ma mi piace...- spiegò lei.
Ci baciammo nuovamente, questa volta più a lungo, con più passione.
- Credo che io ...- cercai di dire.
Mi cucì la bocca con un bacio, appassionato.
- Sttt.- disse.- Anch’io.Mi sembrava di guardare Jasmine. Quello che vedevo negli occhi di Judy era quello che vedevo
in quelli della mia amata.
- Ma forse è troppo presto.- disse in colpa.
Scossi la testa, non sapendo cosa dire. Judy si sedette sul mio petto e poi mi tirò a sedere. Si alzò
e mi aiutò ad alzarmi, prendendo le mie mani nelle sue. Mi sorrise come aveva fatto per mesi, ma
adesso c’era qualcosa di diverso. Le nostre braccia erano tese e s’incontravano a metà strada, tra
i nostri corpi.
115
- Vieni da me.- chiese.
La raggiunsi e l’abbracciai.
- Ricominceremo insieme, passo per passo.- mi disse camminando verso la porta alle sue spalle,
sempre tenendomi le mani e sorridendomi.
Fine
116
Note dell’autore
Erie è una cittadina della Pennsylvania, la terza in ordine di grandezza, con poco più di
centomila abitanti. Sorge nei pressi di una piccola baia (Presque Isle Bay) dove è stato costruito
un porto. Purtroppo però non l’ho mai visitata né ho mai calcato il suolo degli U.S.A. Quindi la
versione di Erie che ho descritto in questo romanzo non è reale. Forse credete che inventarsi dei
luoghi che non esistono o che descriverli in modo fantasioso non sia il massimo, ma non sono
stato certo il primo a farlo (Stephen King ha fatto qualcosa del genere in uno dei suoi ultimi libri,
tanto per favore un esempio) e lo sapete anche voi, un romanzo è principalmente un’opera di
fantasia. Chissà, magari se state leggendo queste righe vuol dire che ho venduto qualche copia
del libro e posso permettermi un viaggetto a Erie, per vederla con i miei occhi e non con quelli
della fantasia. Se volete sapere qualcosa di più su Erie vi consiglio questo sito:
http://www.tourerie.com. Io l’ho visitato dopo la terza stesura del romanzo e adesso ho ancor più
voglia di visitare questa città del nord-ovest della Pennsylvania.
Volevo ringraziare tutti gli amici che hanno letto questo romanzo prima che fosse pubblicato e
ancora di più quelli che poi l’hanno anche comprato… A parte gli scherzi sono stati tutti molto
gentili e hanno cercato di fare delle critiche costruttive. Per ultima, ma solo per una questione di
equilibrio, visto che è la mia fan numero uno, volevo ringraziare la mia Lelina, che mi ha aiutato
nella correzione del testo ed è stata fonte inesauribile di consigli. Grazie.
117