Le bufale della rete avvelenano la nostra

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Le bufale della rete avvelenano la nostra
Editoriale
Le bufale della rete avvelenano la nostra convivenza
Sì alla libertà di espressione, ma che ognuno si assuma le proprie
responsabilità: non è corretto limitare le potenzialità del web come veicolo di
notizie, ma chi diffama o imbroglia deve pagarne le conseguenze
Tocca alle istituzioni garantire con qualche filtro che i cittadini non siano
influenzati da menzogne clamorose e campagne di odio e incitamento alla
violenza (pensiamo alle false recensioni sui ristoranti, al terrorismo dell’Isis o al
bullismo più becero), che sul web viaggiano a velocità incredibili senza alcun controllo, o la rete
deve essere assolutamente libera e nessuno deve essere ritenuto responsabile anche in caso di
diffamazione, imbroglio o terrorismo?
La domanda, per nulla retorica, si accompagna da anni all’espansione di Intenet ed ora è in
qualche modo ineludibile visto che la rete è ormai l’infrastruttura senza la quale non sarebbe più
possibile svolgere la maggior parte dei lavori in tutto il mondo. Ed è anche quella dove sempre più
ci si informa e si decide delle nostre scelte (da come votare a che albergo prenotare).
A fare scattare da tempo i campanelli d’allarme è l’esplosione delle bufale, delle fake news (le
bugie), che sta avvelenando quello che è comunque uno straordinario, e insostituibile, strumento
di libertà e partecipazione che ha rivoluzionato il nostro modo di vivere. Una questione talmente
pericolosa che quei pochissimi soggetti privati che detengono le chiavi di accesso alla rete dove
viaggiano miliardi di contenuti (Facebook e Google in primis) si sono posti il problema di una
qualche autoregolazione. Ma possono bastare due algoritmi per garantire che il diritto di
esprimere opinioni non contrasti col diritto di non essere ingannati?
Questa è ad esempio la posizione espressa da Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust, che
auspica un intervento europeo per creare un filtro alle notizie sul web: i contenuti falsi, illegali o
lesivi della dignità umana dovrebbero essere rimossi dalla rete su richiesta di un’apposita
istituzione. La comunità dovrebbe in questo modo essere in grado di autotutelarsi senza
demandare il tutto ad una sorta di censura privata operata dalle multinazionali a loro discrezione.
Una proposta contro cui si è scagliato però con la consueta virulenza Beppe Grillo (Movimento 5
Stelle), che parla di attentato alla libertà di opinione e di un tentativo dell’attuale classe dirigente
di difendersi con la censura da chi “li sputtana” sulla rete.
Premesso che la questione è assolutamente complessa, delicata e ustionante per chiunque, Grillo
nelle sue esagerazioni potrebbe anche avere ragione considerando che in molti Paesi (dalla Cina
alla Russia, passando per la Turchia e la gran parte dei Paesi islamici) sulla rete esiste la censura
politica e religiosa, al punto che molti siti non sono accessibili. In quello che un tempo si definiva
Occidente, il problema è peraltro all’opposto. Non c’è alcun controllo e chiunque può sputtanare il
ristorante concorrente con commenti fasulli (TripAdvisor insegna) o predicare odio e insegnare
come usare un Tir per fare una strage. E vogliamo parlare dei suicidi causati dalla pubblicazione di
immagini legate alla vita privata, degli insulti sessisti che colpiscono il vicino come il politico o delle
leggende metropolitane sui cibi contaminati da nanoparticelle che sarebbero venduti che
controllare il nostro cervello?
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Editoriale
Come giornalista sono contrario, a prescindere, a qualunque censura preventiva, ma sono invece
assolutamente convinto, da sempre, che esprimere un’opinione o dare una notizia richieda
correttezza e, soprattutto, l’assunzione di responsabilità. Posso dire quello che voglio, in
pubblico, sulla carta o in rete, ma devo pagarne le conseguenze se creo delle bufale, offendo o
incito all’odio. Questa è la posizione che abbiamo ad esempio da tempo sul tema dei commenti
sui locali dove le bugie avrebbero vita corta con due norme chiare e precise.
Tutti gli spazi pubblici che hanno dei contenuti (un portale, un blog o una chat) dovrebbero
essere registrati in Tribunale come vale per le testate giornalistiche (se scriviamo stupidaggini noi
possiamo essere immediatamente perseguibili). In secondo luogo va abolito l’anonimato. E se
questo resta, Facebook invece che TripAdvisor o chi pubblica comunque fake news, deve essere
chiamato a risponderne, così come avviene per un quotidiano che pubblica una lettera anonima.
E prima delle sanzioni, magari salatissime, si deve fare rimuovere con urgenza il post tarocco.
Alberto Lupini
2 gennaio 2017
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