La prima comunione - Pianeta Scuola Gallery

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La prima comunione - Pianeta Scuola Gallery
Unità 5
Via dei Temi
Unità 5.2
Nella casa dell’orco
Nome .................................. Cognome .................................. Classe ........... Data ...........
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N A R R AT I VA
Unità 5.2 Nella casa dell’orco
Constance Briscoe
Brutta! (2006) è un romanzo autobiografico della scrittrice inglese Constance Briscoe (1957) che racconta la vera
storia dell’autrice e il suo difficile rapporto con la madre che, ossessionata dalla bruttezza della figlia, la tormenta fisicamente e psicologicamente. Per sfuggire alle violenze familiari, Constance
si rivolge ai servizi sociali perché la portino in orfanotrofio. Non ottenendo il
trasferimento sperato, tenta il suicidio
bevendo la candeggina. Non muore e
continua a vivere con la sua aguzzina.
Quando Constance compie quattordici anni, la madre si trasferisce in un’altra casa abbandonando la figlia. Constance riesce comunque a trovare la
forza per continuare a vivere e per reagire all’ennesima violenza. Continua gli
studi, si laurea e diventa un brillante avvocato. Nel brano che segue la protagonista ricorda la prima comunione.
La cosa bella di essere cattolici non è solo essere battezzati e poter frequentare una scuola cattolica. è tutto il sistema di vita. Il senso di appartenenza.
Tutti i bambini della scuola cattolica facevano la Prima confessione e poi la
Prima comunione. La confessione preparava alla comunione. Si confessavano
i peccati al sacerdote seduto nel confessionale. Lui non ti vedeva e tu non lo
vedevi, ma ci si sentiva bene. Conveniva sempre confessare i peccati, altrimenti poi te ne portavi appresso troppi. La Prima confessione andò molto bene. Entrai in chiesa, mi feci il segno della croce e mi inginocchiai nel confessionale.
Quando fui certa che il sacerdote mi stesse ascoltando, cominciai.
«Benedicimi padre, perché ho peccato.»
«Preghiamo, figliola», disse il prete. «Che peccati hai commesso?»
«Be’, padre, faccio sempre la pipì a letto. E ho mentito quando ho detto a
mia madre che non l’avevo fatto apposta. Ho dato un pugno sulla schiena a mia
sorella e le ho detto le parolacce.»
«Parolacce tipo?» domandò lui.
«Brutta quattr’occhi e fondo di bottiglia.»
«Perché fondo di bottiglia?» volle sapere il sacerdote.
«Perché le lenti dei suoi occhiali sembrano dei fondi di bottiglia.»
«Hai altri peccati da confessare?»
«Sì. Non sopporto mia madre e vorrei scappare di casa, padre.»
«Onora il padre e la madre, figliola.»
«Ma padre, è impossibile onorare mia madre. So di aver peccato e di non
aver rispettato uno dei dieci comandamenti ma non voglio onorare mia madre
perché lei non onora me.»
Pagina liberamente fotocopiabile per chi ha in adozione il volume di D. Cerrito - R. Messineo, Strade. Le vie dei testi
La prima comunione
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«Devi perdonare di più, essere più indulgente. Sarai ripagata. Ci sono altri
peccati che vuoi confessare?»
«Sì, padre. Ho cercato di suicidarmi una volta ma non ci sono riuscita.»
«Sai che ai cattolici è proibito il suicidio?»
«Sì, padre.»
«E sai che ti sarà negata la felicità eterna?»
«Sì, padre.»
«E sai che non entrerai nel regno dei cieli?»
«Sì, padre.»
«Allora ti assolvo dai tuoi peccati. Per penitenza dirai quattro Ave Maria.»
«Grazie, padre.»
Lasciai il confessionale e andai a fare la penitenza davanti all’altare, per stare più vicina a Dio. Mi sentivo meglio dopo essermi liberata dai peccati.
Mancavano poche ore alla Prima comunione. Non vedevo l’ora. Sarebbe stata
l’unica volta in cui avrei indossato un vestito bianco col velo, le calze bianche, le
scarpe e i guanti bianchi. Tutta la classe faceva la prima comunione, maschi e
femmine, tutti vestiti di bianco. Quando l’avevano fatta le mie sorelle era stato
bellissimo. Erano vestite come delle spose, solo che l’abito invece di essere lungo fino ai piedi arrivava al ginocchio. Negli ultimi due mesi eravamo andati a
messa tutte le domeniche per prepararci a ricevere questo sacramento, oltre che
al venerdì come facevamo da sempre. Avevamo sacrificato anche delle lezioni per
essere pronti alla comunione, dedicando le ore alla preparazione dello spirito.
L’abito che avevano indossato le mie sorelle, prima Pauline e poi Patsy, era meraviglioso. Mia madre l’aveva conservato in una grande busta di plastica. Era di
pizzo e di seta. Sotto aveva almeno sette strati di taffetà1 e sottovesti e per far rimanere larga la gonna c’erano delle ulteriori sottovesti che andavano dalla vita all’orlo della gonna. Sembrava l’abito per il ballo di Cenerentola. Aveva delle roselline di un rosa pallido cucite a dieci centimetri dall’orlo e a una distanza di
venti centimetri circa l’una dall’altra. Le maniche erano corte a sbuffo, strette intorno al braccio da un nastro bianco. Davanti c’erano due doppie file di bottoni
decorativi, i più bei bottoni bianchi di madreperla che si potessero immaginare.
Ai lati delle file di bottoni correvano due strisce di seta di un bianco brillante.
Per non parlare del velo. Copriva tutta la testa ed era tenuto fermo da un cerchietto color argento tempestato di pietre bianche. Le calze bianche rivoltate avevano
l’orlo di pizzo arricciato. Le scarpe erano bianche con i lacci intorno alla caviglia e
il tacco di cinque centimetri. Le madri piangevano tutte quando le figlie sfilavano
lungo la navata. I padri si facevano forza e annuivano in direzione delle figlie.
Adesso toccava a me. Mancava meno di una settimana alla mia Prima comunione. I preparativi in classe erano andati bene. Eravamo tutte eccitate. Domandai a mia madre come mi sarei vestita il giorno della comunione. Lei non
mi rispose. Le chiesi quando avremmo comprato le scarpe e le calze, perché
quelle delle mie sorelle non mi andavano bene e non sapevo nemmeno se le
avesse tenute. Lei mi disse di trovarmi qualcosa da fare.
1. taffetà: il taffetà o, più comunemente, taffettà è un tessuto lucido, compatto e frusciante, di seta o artificiale,
per abiti o sottogonne.
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Quattro giorni prima della comunione andai da lei in soggiorno. Stava bevendo il suo solito tè alla menta.
«Questa settimana faccio la Prima comunione», annunciai.
«E allora?»
«Mi serve un vestito bianco.»
«Quindi?»
«Quindi posso provare il vestito per essere sicura che vada bene?»
«Il vestito per te c’è», tagliò corto lei.
«E se non mi va bene?»
«Ti va bene.»
«Be’, non ho il velo.»
«Ce l’ho io.»
«è quello che hanno messo Pauline e Patsy?»
«Il velo c’è.»
«Mamma non ho le scarpe.»
«Ma dai?»
«Be’, non ho le scarpe bianche.»
«Ma non mi dire.»
«Proprio così, e non ho nemmeno le calze bianche.»
«Davvero. Devono essercene in giro, sono sicura. Cercale che le trovi.»
«Ma mi servono nuove.»
«Ah sì?»
«Mamma posso provarmi il vestito?»
«Vattene. Fila!»
«Ma voglio solo provarmi il vestito. Se poi non mi va bene come faccio?»
«Ti ho detto che ti va bene.»
«Ma come faccio a saperlo se non lo provo?»
«Ti va bene. Adesso vattene.»
«Quando posso comprarmi le scarpe bianche?»
«Stai cominciando a irritarmi. Adesso vattene.»
«Vieni alla mia Prima comunione?»
«Non essere sciocca.»
«Be’ cosa faccio adesso?»
«Ci sono un sacco di cose che puoi fare. Comincia col filare via di qui. Pulisci la casa. A sentirti sembra che Dio non veda l’ora di mettersi in comunione con te. Proprio con te. Brutta come sei. Ti sei vista allo specchio ultimamente? Sembri scoppiata fuori dalla pelle. Guarda quelle labbra. Non le hai
prese certo dalla mia famiglia. Sembrano due canotti. Anzi no, due ventose.
Perché non le usi per sturare il lavandino? Almeno ti renderesti utile. E adesso gira al largo e vedi di non fartelo ripetere un’altra volta.»
Andai a raccontare tutto a Pauline.
«Non preoccuparti», mi rassicurò. «Non può aver buttato il nostro vestito.
Siamo in troppe. Le costerebbe una fortuna comprarne uno nuovo ogni volta
che una di noi fa la comunione.»
Mi lasciai convincere. D’altra parte non c’era nulla che potessi fare. Mangiai
qualcosa e decisi di non bere nulla prima di coricarmi, ma non servì a niente. La
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feci a letto lo stesso. Forse ero preoccupata per la comunione. L’allarme partì quattro volte quella notte ma giuro su Dio che non la feci quattro volte2. La prima volta ero sveglia, e non capii che me la stavo facendo addosso finché non mi resi conto che quel rumore in sottofondo era il mio allarme. Saltai fuori dal letto e tirai via
il lenzuolo bagnato per far tacere l’allarme. Ma non fu sufficiente e dovetti togliere anche il velo di plastica3 sotto. Poi aspettai. Niente passi sulle scale. Nemmeno
mia madre mi credeva capace di pisciare a letto anche da sveglia. A che scopo, per
prenderle? No, non l’avrei fatto. Ero salva, per una volta. Meno male.
La casa era molto silenziosa. Le mie sorelle erano di sopra, mia madre da
basso e io alle prese con l’allarme che avrebbe potuto cacciarmi nei guai in un
attimo. Girai il lenzuolo al contrario e piegai a metà il telo sotto. C’era di peggio. Mi coricai e mi addormentai.
Il seguente era un giorno di scuola. Mi alzai presto, mi lavai, feci colazione e uscii di casa con le mie sorelle. A scuola andò tutto bene. L’insegnante di
classe pensava che fossi dotata e che potessi fare di più, non fosse stato per la
pigrizia che mi portava a tirar sempre fuori delle scuse.
«Oh, mi dispiace, non ho avuto tempo. Ho dovuto fare i piatti, le lavatrici,
lavare le lenzuola, pulire le scale, cucinare …» Tutte le scuse erano buone, nel
senso che erano tutte vere, ma l’insegnante pensava che m’inventassi tutto per
giustificare il ritardo nella consegna dei compiti. Secondo lei ero molto brava
a inventarmi storie inverosimili, con guanti di gomma e scope per protagonisti. Trovava che avessi molta fantasia. In realtà non dovevo sforzarmi molto. La
cosa veramente difficile sarebbe stata meno mestieri e più compiti a casa.
A due giorni dalla Prima comunione andammo tutti in chiesa per le prove. Dovevamo camminare a due a due, vestite di bianco, dalla scuola alla chiesa accanto, quindi prendere posto nelle panche davanti all’altare. Genitori e parenti avevano il posto riservato. Mancava soltanto un giorno e non avevo ancora visto il
vestito né tutti gli accessori. Andai a cercare mia madre e la trovai in camera sua.
«Credi che potrei avere il mio vestito per domani?» osai. «è solo che sta
scadendo il tempo e sarebbe carino provarlo il giorno prima.»
Lei indicò l’armadio e mi disse di prendere il velo che c’era appeso. Aprii
l’anta. Schiacciati in mezzo a tutti gli altri vestiti c’erano un velo e un abito
protetti da un telo di plastica trasparente. In basso c’erano delle scarpe bianchi con i lacci alla caviglia e i cinturini incrociati sul piede e dentro le scarpe
dei guanti e delle scarpe bianchi.
«Li provo», azzardai.
«No», disse mia madre. «Li metterai quando sarà il momento.»
Li riposi nel guardaroba, la ringraziai e andai a fare i compiti.
Il giorno prima della Comunione andai a prendere il necessario nella stanza
di mia madre e portai tutto in camera mia. Le scarpe andavano bene, e anche le
2. l’allarme … volte: per evitare l’incontinenza
notturna della figlia, la madre aveva posto sul letto un
sofisticato sistema anti – enuresi che consisteva in un
allarme acustico a due toni con luci che
lampeggiavano e che aveva la funzione di svegliare la
figlia prima che bagnasse il letto.
3. velo di plastica: l’incerata che serve per proteggere
il materasso dall’incontinenza notturna.
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4. ometto: portabiti.
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calze e il velo, che era quello delle mie sorelle. Tolsi il vestito dalla plastica. Diversamente dalle scarpe e dal velo, quello non l’avevo mai visto. Non era come
lo ricordavo, quanto meno. Lo tolsi dall’ometto4, lo girai e slacciai i bottoni dietro. Aveva le maniche smerlate. Era carino, ma del colore sbagliato. Doveva essere stato bianco ai suoi tempi, ma ormai era quasi giallastro, come se avessero
sbagliato a lavarlo o fosse invecchiato troppo. Le sottogonne erano grigiaste e i
petali di rosa sul corpetto erano scoloriti. Dietro c’era una grossa macchia, come se chi l’aveva indossato si fosse seduto in una pozzanghera o se la fosse fatta sotto. Gli orli delle maniche e della gonna erano sbrindellati e consumati.
Lo provai. Sopra mi andava bene ma era troppo lungo. Col velo era ancora
peggio. Era chiaro che il velo era bianco e il vestito no. La gonna era completamente piatta, anche se si intuiva che una volta era stata gonfia. Andai di sopra dalle mie sorelle. Quando entrai in camera loro, mi guardarono come se
avessero visto un piccione morto.
«Dove l’hai preso quello?» domandò Pauline.
«è il mio vestito per la comunione.»
«Ma da dove salta fuori?»
«Dall’armadio di mamma.»
«Dove l’ha recuperato?»
«Non me l’ha detto.»
«Al mercato dell’usato, si direbbe», commento sprezzante Pauline. «Non
avrai mica intenzione di metterti quella schifezza alla tua Prima comunione,
vero? Vai a chiederle di darti il nostro vestito.»
Tenni su il vestito e il velo e scesi da mia madre. Bussai ed entrai soltanto
quando mi invitò a farlo. Parlai col velo sul viso. «Mamma mi sa che mi hai
dato il vestito sbagliato.» Feci un giro su me stessa davanti a lei.
«Non direi», rispose.
«Non è quello che hanno messo Pauline e Patsy.»
«Chi ha detto che lo era? Questo non è il loro vestito, è il tuo vestito.»
«Ma è macchiato. Non è bianco. Guarda.»
Mia madre lo guardò. «Non è macchiato. è un po’ sbiadito, ma può andare
lo stesso.»
«Perché non posso mettermi quello di Pauline e Patsy?»
«Perché non è tuo.»
«Ma questo non è nuovo. Dove l’hai preso?»
«Al mercato dell’usato.»
«Perché?»
«Perché ti serviva un vestito.»
«Ma non così. Doveva essere bianco. Non è bianco.»
«Sono sicura che nessuno se ne accorgerà.»
«Non posso mettermi questo.»
«è l’unico vestito che hai quindi non vedo alternative.»
«Dov’è l’altro vestito?»
«Non è per te.»
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«Questo ha una macchia dietro come se qualcuno se la fosse fatta addosso.
è tutto giallo.»
«Be’, forse la proprietaria precedente aveva il tuo stesso problema. Adesso,
se hai finito, avrei delle cose da fare.»
Tornai di sopra dalle mie sorelle che mi stavano aspettando.
«Mamma l’ha preso usato», riferii. «Devo mettermi questo domani.»
Loro non fecero alcun commento. Mi tolsi il vestito e il velo e li riposi nel
mio armadio sotto la plastica. Poi andai a letto. Non so se fu per la paura o per
l’eccitazione che feci partire l’allarme.
Il giorno dopo mi svegliai di buon’ora, mi lavai, mi spazzolai i denti e mi
pettinai per bene. Indossai il vestito grigio-giallo, le scarpe, le calze e il velo
bianchi, e i guanti. Il libro delle preghiere era nella borsetta bianca. Andai a
scuola in autobus con le mie sorelle. Quando arrivai aspettai nell’atrio con i
comunicandi5, ma mi sedetti accanto alla finestra, per farmi notare il meno
possibile. Mi rendevo perfettamente conto che il mio vestito non era bianco, e
cercavo di coprilo il più possibile col velo.
«Ciao Clare»6, mi salutò Anne.
«Ciao Anne», risposi senza alzare lo sguardo.
«Che vestito strano, Clare.»
«Sì.»
«Di che colore è?»
«Non lo so. Dovrebbe essere bianco.»
«Oh», fece lei. «Il mio è bianco, non il tuo.»
Rimasi ferma al mio posto. Non aveva senso andare in giro a far vedere il
vestito a tutti. Rimasi con le spalle al muro e il velo ben steso davanti fino a
quando ci chiamarono per metterci in fila e andare in chiesa. A due a due,
uscimmo dall’atrio. Mi sentivo come il re nudo7, mi guardavano tutti. In chiesa prendemmo i nostri posti davanti all’altare. C’erano tutte le mamme e i
papà. Le mie sorelle c’erano, ma mamma aveva da fare. Durante la messa non
feci che pensare al mio orribile vestito. Dopo la cerimonia tornammo tutti a
scuola a mangiare un panino e bere un’aranciata. Erano tutti felici, ridevano e
si facevano i complimenti a vicenda. Io rimasi in un angolo da sola.
Quando arrivai a casa, salii in camera mia, mi tolsi il vestito e lo rimisi a
posto coprendolo col telo di plastica. Poi lo portai giù da mia madre.
«Mamma cosa devo farci con questo?»
«Buttalo lì per terra», disse indicando il pavimento, di fianco alla poltrona.
«Vuoi che lo appenda?»
«No, buttalo lì per terra ti ho detto. Lo raccolgo dopo.»
Temetti di non aver capito bene e lei, vedendomi esitare, mi strappò il vestito dalle mani e lo buttò per terra.
«Adesso cosa c’è?» disse.
5. comunicandi: coloro che si accingono a ricevere il
sacramento della comunione.
6. Clare: il vero nome della protagonista è Constance,
ma a casa e a scuola tutti la chiamano Clare.
7. come il re nudo: il re nudo è il personaggio della
fiaba di Hans Christian Andersen I vestiti nuovi
dell’imperatore.
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«E il velo?» domandai.
«Il velo cosa?»
«Dove vuoi che lo metta?»
Si girò per metà verso di me. «Dammelo e basta», disse.
«è stata una bella giornata oggi», dichiarai.
«Davvero», disse lei. «Chiudi la porta uscendo, per favore.»
«Ho fatto la prima comunione oggi.»
«Non l’avrei mai immaginato», replicò lei, sarcastica8. «Adesso fuori.»
«è un peccato che non sei potuta venire.»
«Fuori!»
Uscii.
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8. sarcastica: con un’ironia particolarmente amara e pungente.
Lavoriamo sul testo
do te, il disagio psicologico della protagonista?
Comprendere e analizzare
1. Riassumi il brano in massimo 10 righe.
2. Quali elementi testimoniano, secon-
Caratteristiche
Vestito di Constance
Vestito di Pauline e Patsy
Colore
...............................................
................................................
Maniche
...............................................
................................................
Gonna
...............................................
................................................
Posizione dei bottoni
...............................................
................................................
Decori
...............................................
................................................
Lunghezza
...............................................
................................................
4. Durante le cerimonia Constance si sente:
A
B
C
felice
a disagio
ingannata
5. Qual è la cosa che fa più soffrire Constance?
A
B
C
3. Metti a confronto le caratteristiche del
vestito di Constance con quelle del
vestito delle sorelle.
Il suo aspetto fisico
L’ostilità e il sarcasmo delle sorelle
L’assenza della madre durante
la comunione
Trasformare e creare
6. Scrivi un testo in cui rendi buona la
mamma di Constance trasformando i
seguenti aggettivi nei loro contrari.
Sgarbata
Crudele
Paziente
Ipocrita
Comprensiva
Fredda
Dura
Sprezzante
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(C. Briscoe, Brutta!, Milano, Corbaccio, 2006)