“Stato d`ira”, scriminante o attenuante?

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“Stato d`ira”, scriminante o attenuante?
“Stato d’ira”, scriminante o attenuante?
Compiti della polizia giudiziaria
di Antonino Frisone
Da subito va chiarito che, ad errore dei molti operatori di polizia, lo stato d’ira non rientra nelle
previsioni normative scriminanti del Codice Penale.
Infatti, il codice Rocco non utilizza mai l'espressione tecnica cause di giustificazione, di matrice
dottrinale, e preferisce parlare più genericamente di circostanze che escludono la pena, ampia
categoria che ha finito per ricomprendere tutte le situazioni in presenza delle quali il codice
qualifica un determinato soggetto non punibile: cause di giustificazione, cause di esclusione della
colpevolezza, cause di non punibilità in senso stretto.
“Altrimenti definite scriminanti o esimenti, sono particolari situazioni nelle quali un
comportamento umano, normalmente vietato dalla legge penale, vine consentito o addirittura
imposto dall’ordinamento giuridico, e quindi va esente da pena in quanto non qualificabile come
antigiuridico “.
Tali cause sono strettamente tipizzate dagli artt. 50 e ss. C.P. e non sono “estendibili
analogicamente” in maniera assoluta.
La polizia giudiziaria, in base all’articolo 55 del Codice di procedura penale, deve, anche di propria
iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori,
ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e RACCOGLIERE
QUANT'ALTRO POSSA SERVIRE PER L'APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE.
In questa ottica rientrano sicuramente gli elementi che influiscono sulle determinazione della pena
come le attenuanti generiche previste dall’articolo 62 del Codice penale. In particolare, fra queste
troviamo, al numero 2), l’aver agito in stato d’ira determinato da fatto ingiusto altrui.
Ne deriva che la polizia giudiziaria, attraverso la propria opera, deve essere in grado di raccogliere
gli elementi sulla eventuale presenza di uno stato d’ira e sul fatto altrui che l’ha determinato.
Ma quali sono questi elementi?
Per dare risposta al quesito partiamo dalla recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione n.
39236 dello scorso 20 ottobre in cui si è dibattuto sulla invocabilità dello stato d’ira da parte di un
marito che aveva aggredito il presunto amante della moglie.
Questo il fatto. Il marito è ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello che aveva
confermato la condanna a lui inflitta dal tribunale monocratico per i reati di cui agli artt. 594
(ingiuria) e 612 (minaccia) c.p., per avere offeso l’onore ed il decoro di D. G. e per averlo
minacciato di ingiusto danno profferendo in sua presenza le seguenti frasi “ti avevo detto di che tu
qui non devi venire, merda, stronzo...! Vieni fuori che ti faccio veder io se lo capisci, non hai le
palle, ti spacco la faccia, ti faccio sparire dalla faccia della terra”.
Il ricorrente ha invocato il mancato riconoscimento della provocazione ai sensi dell’art. 599, comma
2, c.p. o 62, n. 2 c.p.. in quanto non sarebbe stato considerato che gli epiteti offensivi da lui
pronunziati nei confronti del D. trovavano giustificazione, come era reso evidente dal loro stesso
tenore, nello stato d’ira determinato dal fatto che la persona offesa, che aveva avuto una relazione
con la moglie si era recata nuovamente presso la sede della omissis dove lui e la moglie lavoravano,
provocando così in lui un legittimo turbamento.
La Corte di Cassazione ha affermato ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione
occorrono:
a) lo stato d’ira, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso
incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte
turbamento connotato da impulsi aggressivi;
b) il fatto ingiusto altrui, costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto
ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti la ordinaria, civile
convivenza;
c) un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla
proporzionalità tra le stesse.
Ossia uno stato emotivo caratterizzato da modificazioni relative, dovute alla provocazione e ad
impulsi aggressivi che mal si conciliano sul piano psicologico con altri sentimenti, quali vendetta e
odio, i quali costituiscono nella concreta vicenda gli esclusivi fattori che determinano il delitto, sì da
degradare l'ingiustizia del fatto altrui a mera occasione del comportamento delittuoso dell'agente.
(Cass. Pen. 177111/87).
Nel caso di specie la sentenza impugnata ha ritenuto ininfluente ai fini della decisione le circostanze
dedotte dall’imputato: a) che vi era stata o comunque presumeva che vi fosse stata una relazione tra
la moglie e la p.o.; b) che quest’ultima continuasse a molestare la moglie; c) che il D. si era recato
presso la sede omissis senza alcun legittimo motivo salvo appunto quello di incontrare nuovamente
la C. scatenando con ciò l’ira del marito presente. E’ evidente, pertanto, l’errore in cui è incorsa la
sentenza.
Cosa diversa sarebbe stata un’applicazione delle circostanze attenuanti generiche ex art 62 bis. C.P.,
casistica in cui Il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell'articolo 62, può
prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una
diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell'applicazione di questo capo,
come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate
nel predetto articolo 62.
Ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto dei criteri di cui all'articolo 133, primo
comma, numero 3), e secondo comma, nei casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, in relazione
ai delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nel caso in
cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni
I giudici d’appello avrebbero dovuto porsi proprio la domanda se potesse o meno costituire fatto
ingiusto il volere rivedere una donna, con la quale si assumeva avere avuto una relazione, contro la
sua volontà, alla presenza del marito, nei locali di lavoro nei quali si era recato, senza legittimo
motivo - secondo l’assunto difensivo - e, in particolare, se tale condotta potesse configurarsi - ove
provata - una inosservanza di norme sociali o di costume; se la reazione avuta dal M. potesse
trovare giustificazione nello stato d’ira, nuovamente rinfocolato nell’imputato, dalla vista del
presunto amante della moglie che continuava a disturbare la loro vita di coppia, ovvero se la
reazione potesse essere attribuita ad altri sentimenti non giustificati dall’ordinamento.
Provocazione di soggetti terzi, di fatto è ammissibile, ma a certe condizioni. Cassazione penale,
sez. V, sentenza 21 novembre 2007, n. 43089.
Il fatto ingiusto che provoca lo stato d’ira non deve necessariamente provenire dalla persona fisica
dell’offeso, che può essere legato al provocatore da rapporti tali da farlo apparire come un suo
“nuncius” o, comunque, da giustificare alla stregua delle comuni regole di esperienza lo stato d’ira e
quindi la reazione offensiva dell’agente.
Sul piano obiettivo l’esimente di cui all’art. 599/2 è riconoscibile a due condizioni a) che lo stesso
offeso sia inteso volontario rappresentante del provocatore; b) che, conseguentemente la reazione
dell’autore dell’ingiuria non concerna la sua persona per se stessa. L’esimente è dunque esclusa nel
caso in cui l’offeso sia un mandatario doveroso preposto per una mansione di ufficio cui non abbia
possibilità di sottrarsi.
L’attività di polizia giudiziaria. Come emerge dalla lettura dei fatti, vi sono alcuni elementi che
vanno a concretizzare, o meno, la possibilità di invocare la attenuante generica della provocazione
in sede di giudizio.
Premesso che, come sopra visto, l’articolo 55 del Codice di procedura penale attribuisce alla polizia
giudiziaria di raccogliere ogni elemento utile per l’applicazione della legge penale, deve intendersi
che tale compito riguarda la ricostruzione di ogni fatto che possa poi essere di interesse per la
corretta ed equa applicazione della pena. Ne deriva quindi che la polizia giudiziaria, tramite la
propria attività, deve cercare di raccogliere quanto sia utile per accertare che lo stato d’ira, costituito
da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso incontenibile, che determina la perdita
dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi sia stato
determinato dal fatto ingiusto altrui nel senso non soltanto di un comportamento antigiuridico in
senso stretto ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti la ordinaria, civile
convivenza.