Efficacia e sicurezza dell`eparina

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Efficacia e sicurezza dell`eparina
&
GRUPPO SANGUIGNO E ALZHEIMER Possibili relazioni
Sangue
coagulazione
Professional
Edition
NUOVI ANTICOAGULANTI
Gestione peri-operatoria
SePSI
Efficacia
e sicurezza
dell'eparina
IN
CL
Pa
ICAL LEAD
ER
ul gurbe
l
COAGULOPATIE
EMORRAGIE
REFRATTARIE
E TRASFUSIONI
MASSIVE
Il ruolo
del concentrato
di fibrinogeno
TROMBOEMBOLIA
IN gRAVIDANZA
Linee guida aggiornate
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PROFESSIONAL EDITION
L’informazione scientifica si fa in 3
Da oggi 24 smart magazine per veicolare l’informazione medico scientifica
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Digitali
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sangue & coagulazione
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SCIENCE SHOT
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NUOVI ANTICOAGULANTI
Gestione peri-operatoria
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EMOFILIA
In presenza di inibitori la profilassi riduce le emorragie
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EMORRAGIE CEREBRALI SPONTANEE
Le nuove linee guida
HIGHLIGHTS
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TROMBOEMBOLIA IN GRAVIDANZA
Linee guida aggiornate
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GRUPPO SANGUIGNO E ALZHEIMER
Possibili relazioni
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EMODIALISI
Integratori endovenosi di ferro parimenti efficaci
17
TEST HBA1C PER DIABETE
L’anemia potrebbe alterare i risultati
INSIDE
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ANEMIA FALCIFORME
Idrossiurea sottoimpiegata nelle crisi dolorose
EVIDENCE BASED MEDICINE
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Terapia compressiva per il trattamento della sindrome posttrombotica allo stadio I e II (Widmer)
20
s h u tte rto c k
Trattamento dell’anemia nei soggetti con AIDS
SEPSI
Efficacia e sicurezza dell’eparina
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COAGULOPATIE, EMORRAGIE REFRATTARIE E
TRASFUSIONI MASSIVE
Il ruolo del concentrato di fibrinogeno
THE CLINICAL GAME
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Fai la tua diagnosi e scopri se è esatta
Terapia orale per il deficit di vitamina B12
CLINICAL LEADER
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Anticoagulanti vs. FANS o placebo per la tromboembolia venosa
A TU PER TU CON PAUL GURBEL
5
&
Sangue
coagulazione
Supplemento al n°4 di Popular Science
Giugno 2015
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7
Clinical Shot
La scienza in immagini
Clinical Shot
Nuovi anticoagulanti
Secondo una revisione effettuata da Aida Lai del Frenchhay Hospital di Bristol, sapere come gestire i nuovi anticoagulanti orali (NOAC) nel periodo peri-operatorio è molto importante al fine di un’assistenza ottimale,
in quanto ci si attende che nel prossimo futuro i nuovi farmaci come il
dabigatran e il rivaroxaban rimpiazzeranno in larga misura il warfarin per la
prevenzione dell’ictus.
Secondo gli autori, dato che questi farmaci sono relativamente nuovi sul
mercato, le conoscenze sul modo in cui funzionano ed i relativi rischi di
emorragia sono ancora limitate nella comunità medico-chirurgica. Nel
prendere in considerazione la loro prescrizione è molto importante tenere
conto della funzionalità renale ed epatica. Il punto di maggiore perplessità
nel loro impiego consiste nella mancanza di un antidoto efficace per invertirne gli effetti in caso di emorragia, campo in cui le ricerche sono ancora in
corso.
I NOAC hanno il potenziale di semplificare la gestione anticoagulante
peri-operatoria per via delle minori interazioni farmacologiche dell’azione
rapida, della farmacocinetica prevedibile e dell’emivita relativamente breve
ed uno dei loro benefici consiste nel rischio ridotto di emorragie intracraniche, ma con il loro impiego lo status della coagulazione non può essere
monitorato tramite INR e, a differenza di quanto accade con il warfarin, il
loro effetto non può essere invertito facilmente tramite semplici presidi
come la vitamina K.
Nelle procedure chirurgiche elettive non gravate dal rischio di emorragie
importanti, come quelle oculari o dermatologiche superficiali, l’European
Heart Rhythm Association (EHRA) raccomanda la sospensione dei NOAC, 1824 ore prima dell’intervento e la loro reintroduzione sei ore dopo, mentre
negli interventi con rischio emorragico minore consiglia la loro sospensione
almeno 24 ore prima nei pazienti con funzionalità renale normale, intervallo
esteso sino a 48 ore prima in caso di elevato rischio emorragico.
Nei casi di emergenza, laddove potrebbe non esserci tempo per sospendere
la terapia prima dell’intervento, la terapia di supporto in assenza di ulteriori
somministrazioni dovrebbe essere sufficiente per la maggior parte dei
pazienti ma, se possibile, sarebbe opportuno rimandare l’intervento a 12-24
ore dopo l’ultima somministrazione.
Fonte: Br J Surgonline 2014, pubblicato il 29/4
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s hut t er s to ck
Gestione peri-operatoria
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s hu tt e rs to ck
Clinical Shot
EMOFILIA
In presenza di inibitori
la profilassi riduce le emorragie
L’impiego di un anti-inibitore denominato Factor Eight
Inhibitor Bypassing Activity (FEIBA) potrebbe rappresentare una pratica preventiva sicura e ridurre le emorragie
nei pazienti con emofilia A e B. Ciò è stato dimostrato
nell’ambito di uno studio che ha evidenziato l’efficacia
e la sicurezza del trattamento, come confermato da S.V.
Antunes dell’Università di Sao Paulo. Si trattava di uno
studio multicentrico di fase 3 condotto su un totale di
33 pazienti, che non ha evidenziato alcuna differenza
significativa in termini di qualità della vita e range di
motilità, fra profilassi e trattamento a richiesta ma la
prevenzione con FEIBA ha portato ad una maggiore
riduzione del dolore e dei giorni di assenza sul posto di
lavoro per via di episodi emorragici.
Secondo alcuni esperti, i risultati dello studio hanno il
potenziale di migliorare significativamente l’assistenza
per diversi pazienti emofilici con inibitori acquisiti. L’incidenza degli inibitori significativi nei pazienti con emofilia
è bassa e si situa fra l’1% ed il 5%.
Il trattamento profilattico con FEIBA ha il potenziale di
prevenire buona parte del danno articolare che deriva
dalle emorragie ricorrenti, avendo un impatto importante sui costi complessivi dell’assistenza medica, che è
peraltro difficile calcolare a priori. Gli stessi costi legati
all’impiego di FEIBA dovrebbero essere valutati a fronte
dei benefici di questa opzione terapeutica in base a
quanto riportato in letteratura.
Fonte: Haemophilia. 2014; 20: 65-72
11
Clinical Shot
EMORRAGIE
CEREBRALI
SPONTANEE
L’American Heart Association/American Stroke Association (AHA/ASA)
ha rilasciato nuove linee guida su diagnosi e trattamento delle
emorragie cerebrali spontanee. Secondo J. Claude Hemphill del San
Francisco General Hospital Medical Center, principale autore delle
nuove linee guida, benché questo tipo di emorragie siano rimaste
indietro rispetto ad ictus ischemico ed emorragie subaracnoidee
aneurismatiche in termini di evidenze provenienti dagli studi clinici
per guidarne la gestione, l’ultimo decennio ha visto un drammatico
incremento negli studi sugli interventi per questo tipo di sanguinamenti.
Gli studi basati sulla popolazione dimostrano che la maggior parte
dei pazienti si presenta con emorragie di piccole dimensioni a cui si
può sopravvivere facilmente con una buona assistenza medica. Ciò
suggerisce che l’eccellenza di quest’ultima abbia verosimilmente un
potente impatto diretto su morbidità e mortalità per questo tipo di
problematica.
Le nuove linee guida sono state revisionate e sottoscritte dall’American Academy of Neurology, dall’American Association of Neurological
Surgeons, dal Congress of Neurological Surgeons e infine dalla Neurocritical Care Society e aggiornano le linee guida AHA/ASA pubblicate nel
2010 incorporando i risultati dei nuovi studi pubblicati nel frattempo, coprendo diagnosi, gestione della coagulopatia e della pressione, prevenzione e controllo dei danni cerebrali secondari e della
pressione intracranica, ruolo della chirurgia, previsione degli esiti,
riabilitazione, prevenzione secondaria e considerazioni per il futuro.
Nello specifico, nei pazienti con gravi deficit di un fattore della
coagulazione o grave trombocitopenia, si raccomanda la somministrazione di terapie sostitutive o piastrine e, nei pazienti il cui l’INR
risulta elevato per via di antagonisti della vitamina K si raccomanda
di sospenderli e sostituirli come si conviene, correggendo l’INR e
somministrando vitamina K per via endovenosa.
Fonte: Stroke online 2015, pubblicato il 29/5
12
s hu tt e rs to ck
Le nuove linee guida
13
Highlights
TROMBOEMBOLIA
IN GRAVIDANZA
Il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists
(RCOG) ha rilasciato un aggiornamento sulle linee
guida su prevenzione e trattamento delle patologie
tromboemboliche durante gravidanza, parto e periodo
post-parto.
La tromboembolia venosa si verifica all’incirca in una
gravidanza su 1.000 e si può sviluppare in qualsiasi momento della gravidanza stessa ma il rischio
è massimo durante le prime 6 settimane dopo il
parto, laddove aumenta di 20 volte. I fattori di rischio
comprendono precedenti episodi di tromboembolia o
trombofilia, obesità, età materna avanzata, immobilità
e viaggi a lunga distanza, ricoveri ospedalieri durante
la gravidanza, parto cesareo ed altre comorbiditàfra
cui cardiopatie, malattie infiammatorie intestinali e
preeclampsia. I fattori di rischio che intervengono nel
primo trimestre di gravidanza comprendono iperemesi gravidica, iperstimolazione ovarica e gravidanza
indotta da fecondazione assistita.
Gli esperti hanno raccomandato una valutazione
formale del rischio con punteggio numerico in tutte
le donne in gravidanza e dopo il parto, impiegando la
tromboprofilassi in fasi diverse della gravidanza stessa. A seconda del numero di fattori di rischio presenti,
la tromboprofilassi può iniziare in qualunque momento durante o dopo la gravidanza e può continuare
anche per 6 settimane dopo il parto.
Al momento, gli antagonisti della vitamina K non sono
raccomandati durante la gravidanza o dopo il parto
nelle donne che allattano al seno. Per quanto riguarda
il trattamento, gli aggiornamenti più importanti
riguardano l’indicazione all’impiego di eparine a basso
peso molecolare in gravidanza, i benefici del loro
impiego nella prevenzione della sindrome post-trombotica e l’eliminazione della raccomandazione per
l’elastocompressione per la prevenzione di quest’ultima complicazione nell’arto interessato.
Fonte: RCOG Green-Top Guideline 37a-b, pubblicato
online il 13/4/2015
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20
Il rischio di
tromboembolia
nelle prime sei
settimane dopo
il parto aumenta
di circa venti
volte.
sh u tt e rto ck ( 2)
Linee guida aggiornate
HIGHLIGHTs
189
Volontari adulti sani
partecipanti allo studio
“Lo studio sembra suggerire
che le persone con gruppo
sanguigno 0 siano più protette
contro le malattie nelle quali
si osserva la perdita di volume
cerebrale temporale e mediotemporale, come accade ad
esempio nella malattia di
Alzheimer. Molto probabilmente
il gruppo sanguigno influisce
sullo sviluppo del sistema
nervoso centrale. Ora dobbiamo
capire perché e come questo
accada”
Annalena Venneri
IRCCS Ospedale San Camillo,
Venezia
GRUPPO
SANGUIGNO
E ALZHEIMER
Possibili relazioni
Scoperta l’esistenza di un legame tra
gruppo sanguigno e rischio di ammalarsi di Alzheimer. Uno studio condotto su
volontari sani dai ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Camillo di Venezia
e del Dipartimento di Neuroscienze
dell’Università di Sheffield, ha infatti
evidenziato come il gruppo sanguigno
possa influire sullo sviluppo del sistema nervoso centrale e sul rischio di
declino cognitivo. La ricerca, pubblicata
sulla rivista Brain Research Bulletin, ha
evidenziato che le persone con gruppo
sanguigno 0 hanno più sostanza grigia
di chi appartiene al gruppo A, B o AB.
Nello studio statistico, focalizzato su
189 volontari adulti sani, in precedenza
sottoposti a risonanza magnetica, i
ricercatori hanno calcolato i volumi di
sostanza grigia dell’encefalo. I soggetti
con gruppo sanguigno 0 hanno una
quantità maggiore di sostanza grigia
nella zona posteriore del cervelletto.
Inoltre, i soggetti con gruppo sanguigno A, B o AB risultano avere volumi
inferiori di sostanza grigia nelle regioni
temporali e limbiche, tra cui l’ippocampo sinistro, una delle prime regioni
del cervello a soffrire dei danni della
malattia di Alzheimer.
Molto probabilmente questo ridotto
volume di sostanza grigia è collegato al
gruppo sanguigno A, B o AB. Conside-
rando che la naturale riduzione della
sostanza grigia cerebrale tende ad
intensificarsi con l’invecchiamento, è
facile intuire, sottolineano gli autori,
come” questo svantaggio biologico
possa rendere più esposti al declino
cognitivo”.
“Lo studio sembra suggerire che le persone con gruppo sanguigno 0 siano più
protette contro le malattie nelle quali si
osserva la perdita di volume cerebrale
temporale e medio-temporale, come
accade ad esempio nella malattia di Alzheimer – spiega Annalena Venneri, Direttrice scientifica dell’IRCCS Ospedale
San Camillo di Venezia e coautrice dello
studio – tuttavia sono necessarie prove
supplementari per esserne certi. Molto
probabilmente il gruppo sanguigno
influisce dunque sullo sviluppo del sistema nervoso centrale. Ora dobbiamo
capire perché e come questo accada”.
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HIGHLIGHTs
EMODIALISI
Integratori endovenosi
di ferro parimenti efficaci
Fonte: Nephrol Dial Transplant online 2015, pubblicato il 18/5
16
120g/L
Valore target di emoglobina
stabilito dal National Institute
of Health and Clinical Excellence
sh u tt e rto ck ( 2)
Nei pazienti in emodialisi cronica, nel preservare
la concentrazione di emoglobina, l’isomaltoside
di ferro 1.000 appare efficace quanto il saccarosio
di ferro. Secondo Sunil Bhandari dell’Hull and
East Yorkshire Hospitals NHS Trust, leader di uno
studio internazionale in materia, se ne può dedurre
che tutti i prodotti endovenosi a base di ferro
abbiano profili di sicurezza ed efficacia a breve
termine simili.
Una delle conclusioni chiave della recente revisione
di tutti i trattamenti endovenosi a base di ferro effettuata dalla European Medicines Agency, consiste
nel fatto che per la somministrazione endovenosa di ferro sussiste un basso rischio di reazioni
allergiche. Secondo diversi esperti, si tratta di un
rischio da tenere in conto ogni volta che si applica
questa pratica ma potenzialmente con la possibilità
di somministrare dosi più elevate conferita dai più
nuovi prodotti sarebbe possibile anche ridurre il
numero di somministrazioni, riducendo pertanto
anche il rischio di reazioni allergiche.
Entrambe le preparazioni esaminate nel presente
studio consentono la minimizzazione e l’ottimizzazione dell’impiego degli eritrostimolanti dato che
correggono i deficit di ferro e ne mantengono la
replezione, ma la riduzione dell’impiego di eritrostimolanti è stata facilitata anche dalla riduzione
del valore target di emoglobina da 130 g/L a 120
g/L da parte del National Institute of Health and
Clinical Excellence. Sussiste attualmente una forte
tendenza a ridurre il consumo di questi farmaci e,
secondo gli esperti, l’ottimizzazione dell’impiego
degli integratori endovenosi di ferro sino al loro
massimo potenziale ne riduce la necessità.
HIGHLIGHTs
TEST HBA1C
PER IL DIABETE
L’anemia potrebbe alterare i risultati
di David Douglas
“I nostri risultati evidenziano la necessità di
essere consapevoli dei potenziali effetti che
l’anemia può avere sui valori della HbA1c sia
nella diagnosi che nel monitoraggio dei pazienti
diabetici”
Emma English
Università di Nottingham
Secondo alcuni ricercatori britannici la carenza di ferro e l’anemia sideropenica possono incidere sui valori dell’emoglobina
HbA1c e quindi sulla validità della diagnosi di diabete.
Emma English dell’Università di Nottingham, ha dichiarato
che i risultati “suggeriscono che la carenza di ferro e l’anemia
sideropenica potrebbero portare ad un livello falsamente
elevato di HbA1c, causando così una diagnosi falso-positiva
di diabete. Tuttavia, le anemie non dovute a carenza di ferro
possono provocare un livello di HbA1c artificialmente più basso
e portare ad un risultato falso negativo in cui non si riuscirebbe
a diagnosticare tale patologia”.
Inoltre, ha continuato, “non vi sono chiare evidenze che suggeriscano a quali livelli l’anemia può scatenare tali effetti sul
valore della HbA1c e non sembra esistere un singolo test ideale
per identificare i pazienti che potrebbero essere interessati dal
problema”.
English insieme ai colleghi ha condotto una revisione sistematica della letteratura, i cui risultati sono apparsi online a maggio
su Diabetologia. I 12 studi rilevanti che hanno scelto, coinvolgevano da meno di 100 a più di 10.000 partecipanti. Nessuna
donna era incinta o sapeva di avere il diabete. Tutti gli studi
avevano misurato almeno una volta la HbA1c e il glucosio.
La carenza di ferro, con o senza anemia, portava ad un aumento
dei valori di HbA1c rispetto ai gruppi di controllo. Tale carenza
non era accompagnata da un aumento negli indici di glucosio.
Anche se i dati sull’effetto di altri indici di anomalie degli eritrociti sulla HbA1c erano limitati, essi mostravano un’apparente
riduzione dei valori dell’emoglobina nelle forme di anemia non
dovute a carenza di ferro.
“I nostri risultati evidenziano la necessità di essere consapevoli
dei potenziali effetti che l’anemia può avere sui valori della
HbA1c sia nella diagnosi che nel monitoraggio dei pazienti
diabetici”, ha affermato English.
“Purtroppo - ha aggiunto - gli effetti opposti riscontrati con
diversi tipi di anemia indicano che individuare semplicemente
un valore di emoglobina basso non basterà a sapere quali conseguenze ci saranno sull’HbA1c. Pertanto, è importante capire
di quale tipo di anemia si tratta. Inoltre, anche la sola carenza
di ferro senza anemia manifesta, potrebbe essere sufficiente ad
incidere sui valori dell’HbA1c, una situazione non molto rara in
donne in età fertile”.
English e colleghi concludono che “le questioni chiave ancora
da chiarire riguardano la possibilità o meno che in futuro l’anemia e le anomalie eritrocitarie abbiano un notevole impatto
sulla diagnosi di diabete usando il test dell’HbA1c sulla popolazione generale procedura che, al momento, viene ampiamente
utilizzata”.
Fonte: Diabetologia 2015
17
HIGHLIGHTs
ANEMIA FALCIFORME
Idrossiurea sottoimpiegata nelle crisi dolorose
L’idrossiurea viene impiegata in meno del 25% dei pazienti
con anemia falciforme che potrebbero trarne beneficio.
Nel 2014, il National Heart, Lung and Blood Institute ha
promanato raccomandazioni in base alle quali è opportuno trattare con idrossiurea tutti gli adulti con anemia
falciforme che vanno incontro ad almeno 3 crisi di dolore
moderato/grave all’anno ma, nonostante le prove del fatto
che questo farmaco riduca le crisi dolorose, i ricoveri e le
trasfusioni ematiche, esso continua ad essere poco impiegato.
Questa conclusione deriva da uno studio effettuato su
2.086 pazienti da Nicolas Stettler del Lewin Group di Falls
Church. Secondo i ricercatori, diversi fattori potrebbero
contribuire al fenomeno osservato, fra cui la scarsa familiarità del medico con l’idrossiurea, il timore di effetti collaterali e l’assenza di condivisione nei processi decisionali.
Lo studio, comunque, è stato condotto su pazienti con assicurazioni private e non ha incluso soggetti che avrebbero
potuto gestire le proprie crisi dolorose a domicilio.
Esso, inoltre, non ha preso in considerazione i criteri allargati descritti nelle nuove linee guida per l’uso dell’idrossiurea, come quelli riguardanti i pazienti che lamentano
quotidianamente dolori che influenzano la propria qualità
di vita. L’autore afferma, comunque, che per colmare il gap
che caratterizza l’impiego dell’idrossiurea potrebbe essere
necessario ampliare le vedute del paziente e migliorare
le conoscenze dei medici, nonché sviluppare parametri
qualitativi per l’assistenza sanitaria atti ad incrementare
l’impiego dell’idrossiurea in tutti i pazienti che ne trarrebbero beneficio.
Fonte: JAMA. 2015; 313: 1671-2
Numero di pazienti dello
studio condotto da Nicolas
Stettler del Lewin Group di
Falls Church.
18
s h u tt e rtoc k (2 )
2.086
EBM
Evidence Based Medicine
Cosa sono?
L’EBM, in italiano “medicina basata sulle
prove di efficacia”, ha come obiettivo quello di assicurare che le decisioni cliniche
siano informate dai risultati della ricerca,
in particolare della ricerca clinica. Tra le
sue funzioni chiave c’è quella di fornire uno strumento di lettura rispetto
ai dati della ricerca e di ricondurli
al singolo paziente. Per accrescere la credibilità delle deduzioni di un medico – rispetto, per
esempio, all’utilità di un test o
all’efficacia di una terapia o per
una corretta prognosi – e per
trasformare tali deduzioni in
nozioni condivisibili dai colleghi
e dall’intera comunità scientifica,
diventa imprescindibile lo sforzo di
standardizzare e validare le osservazioni maturate nel contesto della pratica
medica. E per interpretare la letteratura
scientifica esistente su eziologia, diagnosi, prognosi ed efficacia delle strategie
terapeutiche è necessario comprendere
e condividere le regole metodologiche di
base. Non tutti gli studi clinici forniscono
informazioni di uguale affidabilità, quindi nella decisione clinica le prove di effi-
cacia avranno un peso maggiore a seconda della robustezza della fonte che le ha
prodotte. La visualizzazione più efficace
di questa gerarchia è quella della piramide delle evidenze, che posiziona al proprio vertice le prove sperimentali più affidabili e alla base quelle aneddotiche.
Sebbene esistano diverse varianti di
piramide delle evidenze, la scala gerarchica di ciascuna pone al primo
posto le informazioni desunte da
revisioni sistematiche che includono studi clinici controllati di
buona qualità; all’opposto, il parere degli esperti senza supporto
di studi empirici occupano l’ultima
posizione. Nelle posizioni intermedie
si trovano gli studi di popolazione e gli
studi osservazionali, nei quali la relazione
tra l’intervento e l’effetto (o tra l’esposizione a un fattore di rischio e l’effetto) non
è causale e le inferenze di associazione
sono spesso esposte a errori sistematici.
Solidità delle evidenze: gradi e definizioni
A = ELEVATA
Abbiamo molta fiducia nel fatto
che la stima dell’efficacia sia vicina
all’efficacia reale negli esiti considerati. Le evidenze accumulate
presentano deficit scarsi o nulli. E’
nostra opinione che i dati siano
stabili, ossia che un nuovo studio
non porterebbe ad un cambiamento nelle conclusioni.
B = MODERATA
Siamo moderatamente certi che la
stima dell’efficacia sia vicina alla reale efficacia per gli esiti considerati.
Le evidenze accumulate presentano
alcuni deficit. E’ nostra opinione che
i dati siano probabilmente stabili,
ma permangono alcuni dubbi.
C = BASSA
La certezza del fatto che la stima
dell’efficacia sia vicina alla reale
efficacia per gli esiti considerati è
limitata. Le evidenze accumulate
presentano deficit numerosi o
importanti (o entrambi). E’ nostra
opinione che siano necessarie
ulteriori evidenze prima di poter
concludere che i dati siano stabili o
che la stima dell’efficacia sia vicina
all’efficacia reale.
D = INSUFFICIENTE
Non abbiamo evidenze, non siamo
in grado di stimare l’efficacia, o non
abbiamo fiducia nella stima dell’efficiacia per quanto riguarda l’esito
considerato. Non sono disponibili
evidenze, oppure le evidenze accumulate presentano deficit inaccettabili, precludendo il raggiungimento
di una conclusione.
19
EBM
Terapia compressiva per il
trattamento della sindrome posttrombotica allo stadio I e II (Widmer)
Evidence summaries
19.2.2004
LIVELLO EVIDENZE = C
La compressione giornaliera a pressione elevata intermittente
potrebbe risultare più efficace di quella a bassa pressione nel
trattamento dei sintomi della sindrome postflebitica.
Una revisione del database Cochrane ha incluso due studi per
un totale di 50 pazienti. In un piccolo studio cross-over, 12 dei
15 pazienti hanno avuto la percezione di un’importante differenza a favore della compressione intermittente (due volte
al giorno per 20 minuti) a pressione elevata (fra i 40 ed i 50
mmHg) rispetto a quella a bassa pressione (15 mmHg).
Commento: La qualità delle evidenze risulta ridotta per via
dei risultati imprecisi (dimensioni dello studio limitate per
ciascun raffronto) e delle limitazioni nella qualità dello studio
(monitoraggio inadeguato).
Bibliografia: Kolbach DN, Sandbrink MW, Neumann HA,
Prins MH. Compression therapy for treating stage I and II
(Widmer) post-thrombotic syndrome. Cochrane Database SystRev 2003;(4): CD004177
Trattamento dell’anemia nei soggetti
con AIDS
Evidence summaries
27.2.2008
LIVELLO EVIDENZE = D
Le evidenze a supporto degli interventi per il trattamento
dell’anemia nei soggetti con infezione da Hiv sono insufficienti.
Una revisione del database Cochrane ha incluso 4 studi per
un totale di 435 partecipanti. Nessuno degli studi ha riportato dati sulla mortalità. I due studi che hanno paragonato
l’eritropoietina ricombinante umana (rHuEPO) al placebo
non hanno dimostrato alcun beneficio per quanto riguarda
risposta in termini di valori ematologici, numero di pazienti
trasfusi o numero complessivo di globuli rossi trasfusi. Uno
studio ha paragonato gli effetti di due regimi di dosaggio di
rHuEPO su valori emoglobinici e qualità della vita, ma gli
effetti sono poco chiari.
Bibliografia: Martí-Carvajal AJ, Solà I. Treatment for anemia in people with AIDS. Cochrane Database Syst Rev 2007
Jan 24;(1):CD004776.
20
s h ut te r sto ck ( 4)
Commento: La qualità delle evidenze risulta ridotta per
via della qualità degli studi (scarsa qualità metodologica),
dell’incoerenza (eterogeneità negli interventi e negli esiti),
dei risultati imprecisi e dei potenziali fattori interferenti
nell’illustrazione dei risultati (studi sponsorizzati dalle industrie farmaceutiche).
Terapia orale per il deficit di
vitamina B12
Evidence summaries
27.12.2005
LIVELLO EVIDENZE = C
Elevate dosi di vitamina B12 somministrate per via orale ogni
giorno potrebbero essere efficaci quanto le iniezioni intramuscolari.
Una revisione del database Cochrane ha incluso due studi per
un totale di 10 soggetti, Il periodo di monitoraggio è stato di
una durata compresa fra 90 giorni e 4 mesi. Le evidenze suggeriscono che dosi da 2.000 mcg di vitamina B12 per via orale
e dosi da 1.000 mcg somministrate inizialmente giornalmente
e successivamente prima settimanalmente e poi mensilmente
possono risultare efficaci quanto la somministrazione intramuscolare nel conseguimento di risposte ematologiche e neurologiche a breve termine nei pazienti con deficit di vitamina
B12.
Commento: La qualità delle evidenze risulta ridotta per via
della qualità degli studi (mancato design in cieco) e dei risultati imprecisi (dimensioni limitate degli studi).
Bibliografia: 1.Vidal-Alaball J, Butler CC, Cannings-John R,
Goringe A, Hood K, McCaddon A, McDowell I, Papaioannou
A. Oral vitamin B12 versus intramuscular vitamin B12 for vitamin B12 deficiency. Cochrane Database SystRev 2005 Jul
20;(3):CD004655. PubMed
2.Elia M. Oral or parenteral therapy for B12 deficiency. Lancet
1998 Nov 28;352(9142):1721-2.
Anticoagulanti vs. FANS o placebo per
la tromboembolia venosa
Evidence summaries
31.7.2008
LIVELLO EVIDENZE = D
Non vi sono evidenze derivate da studi scientifici su efficacia
e sicurezza degli anticoagulanti nella tromboembolia venosa
rispetto alla mancata anticoagulazione, ma il loro impiego è
largamente accettato nella pratica clinica sulla base di evidenze secondarie.
Una revisione del database Cochrane ha incluso due piccoli
studi che hanno paragonato il trattamento anticoagulante
ai FANS o al placebo nei pazienti con tromboembolia venosa
(VTE), per un totale di 113 partecipanti trattati nell’arco di tre
mesi. I due SRC erano troppo piccoli per determinare differenze per quanto riguarda mortalità, comparsa di emboli polmonari, progressione o ritorno della DVT fra i pazienti trattati
con anticoagulanti e quelli che non ne hanno ricevuta alcuna
forma.
Commento dell’autore: Anche se le evidenze derivate dagli
SRC sono frammentarie, l’impiego degli anticoagulanti nel
trattamento delle VTE è largamente accettato nella pratica clinica sulla base di evidenze secondarie e, pertanto, un ulteriore
SRC che paragoni gli anticoagulanti al placebo non potrebbe
essere effettuato per ragioni etiche.
Bibliografia: Cundiff DK, Manyemba J, Pezzullo JC. Anticoagulants versus non-steroidal anti-inflammatories or placebo
for treatment of venous thromboembolism. Cochrane Database SystRev 2006 Jan 25;(1):CD003746.
21
22
s h ut te r sto ck
SEPSI
Efficacia e sicurezza dell’eparina
L
Le forme più gravi di sepsi e lo shock
settico rappresentano la seconda più comune
causa di mortalità nei pazienti critici, essendo responsabili del 10% circa dei ricoveri in
terapia intensiva e dell’1,3% di tutti i ricoveri
ospedalieri. Benchè il tasso di mortalità associato allo shock settico stia migliorando nel
tempo, la sua incidenza è in aumento. La patogenesi della sepsi implica infiammazione sistemica, danni a carico dell’endotelio e risposta
della coagulazione ad un patogeno invasore.
23
24
studi primari, compresa la variabilità fra uno studio e l’altro
nella popolazione dei pazienti, nel dosaggio dell’eparina, nella
durata dell’esposizione al farmaco ed in quella del monitoraggio. Un singolo ampio studio che ha paragonato l’eparina al
placebo è stato responsabile dell’88% dei parametri di efficacia
del farmaco sulla mortalità ma in questo studio tutti i pazienti
hanno ricevuto anche la proteina C attivata ricombinante.
Ne deriva che l’eparina nei pazienti con sepsi, shock settico o
coagulazione intravascolare disseminata associata ad un’infezione può essere correlata ad una riduzione della mortalità
ma, comunque, il suo impatto complessivo rimane incerto. Gli
esiti relativi alla sicurezza richiedono ulteriori ricerche ma
non è comunque possibile escludere l’eventualità di emorragie
importanti associate alla somministrazione di eparina. Sono
necessari ampi e rigorosi studi randomizzati per valutare più
attentamente l’efficacia e la sicurezza dell’eparina nei pazienti
con sepsi, sepsi grave e shock settico.
Fonte: Crit Care Med2015; 43: 511-8
sh utt e rs to ck ( 2)
Data la correlazione patologica fra coagulazione ed infiammazione, è stato valutato l’impiego degli anticoagulanti
nei pazienti con sepsi. L’eparina, un glicosaminoglicano di
lunghezza polimerica variabile, inibisce la coagulazione del
sangue e la formazione della trombina potenziando l’attività
dell’antitrombina. Un’abilità meno conosciuta dell’eparina
consiste nella sua capacità di agire da anti-infiammatorio.
Dato che la generazione della trombina è inestricabilmente
connessa all’infiammazione, l’inibizione della trombina limita
l’infiammazione stessa. L’eparina possiede anche proprietà
anti-infiammatorie che sembrano essere indipendenti dal suo
ruolo di anticoagulante. I modelli animali e le meta-analisi degli
studi randomizzati su animali con sepsi hanno dimostrato una
riduzione della mortalità legata alla somministrazione di eparina rispetto al placebo o al mancato intervento. La questione
è stata recentemente investigata in un’analisi retrospettiva
che ha riscontrato come nei pazienti con shock settico dosi
terapeutiche di eparina per via endovenosa siano associate
ad un incremento della sopravvivenza. L’analisi post-hoc di
tre studi di fase III su agenti anticoagulanti ha dimostrato un
aumento della sopravvivenza nei pazienti che hanno ricevuto
eparina a basse dosi, da sola o in combinazione con il farmaco
in studio. È stata dunque effettuata una revisione sistematica
della letteratura per identificare ed analizzare criticamente
l’efficacia e la sicurezza dell’eparina negli studi randomizzati
su pazienti con sepsi, shock settico o coagulazione intravascolare disseminata associata ad infezioni, nella quale è stata
rilevata una riduzione relativa del 12% nel rischio complessivo
di mortalità nei pazienti che hanno ricevuto eparina rispetto a
quelli che hanno ricevuto un placebo o l’assistenza tradizionale.
Rispetto alle altre terapie anticoagulanti, l’eparina non risulta
associata a differenze significative nella mortalità. Emorragie,
trasfusioni, trombocitopenia e reazioni allergiche sono state
riportate in modo insufficiente ma l’eparina non risulta associata ad un incremento delle emorragie minori rispetto al placebo
ma lo è stata in un piccolo studio che l’ha messa a raffronto con
altri anticoagulanti. Nell’ambito della sepsi sono stati studiati
diversi anticoagulanti ma non è mai stato dimostrato che
qualcuno di essi ne migliori costantemente la prognosi. Benchè
fosse stata inizialmente autorizzata per l’impiego nei casi di
shock settico, nel mese di ottobre del 2011 la proteina C attivata
è stata ritirata dal mercato mondiale a seguito del fatto che
un ampio studio randomizzato che ne ha studiato l’efficacia in
questi pazienti non ha dimostrato alcun beneficio in termini di
sopravvivenza. In base ai dati clinici e preclinici di supporto sinora disponibili, invece, è stato proposto che l’eparina abbia un
certo potenziale in questo senso. In contrasto con i meccanismi
d’azione relativamente ristretti delle molecole precedentemente studiate, la potenziale efficacia dell’eparina potrebbe essere
correlata a molteplici meccanismi che si sovrappongono nell’influenzare le cascate della coagulazione e dell’infiammazione. La
revisione è stata limitata dalla qualità e dall’eterogeneità degli
LA SEPSI IN NUMERI
La sepsi provoca più
decessi di quelli per
cancro alla prostata,
cancro al seno e
HIV/AIDS messi insieme.
Si stima che, ogni ora, 50
persone muoiono di sEPSI
e che nel mondo, ogni
anno, dai 20 ai 30 milioni
gli individui ne sono
colpiti.
25
26
sh utt e rs to ck ( 2)
COAGULOPATIE
EMORRAGIE
REFRATTARIE E
TRASFUSIONI MASSIVE
Il ruolo del concentrato
di fibrinogeno
Il fibrinogeno è il fattore della coagulazione
più abbondante ed è il primo a raggiungere livelli
criticamente bassi durante le emorragie più gravi. Nei pazienti con emorragie gravi, la richiesta
di fibrinogeno è maggiore di quella per qualunque altra proteina emostatica. I pazienti emorragici traumatizzati o chirurgici spesso presentano bassi livelli di fibrinogeno ed il volume del
sanguinamento e l’ipofibrinogenemia appaiono
associati ad esiti clinici negativi.
27
N
Il plasma comunque contiene tutti i fattori aggreganti e, la
maggior parte delle linee guida, raccomandano ancora la sua
somministrazione. L’integrazione del fibrinogeno potrebbe
essere più efficace se impiegata come parte di una terapia
precoce diretta da obiettivi precisi nei pazienti emorragici.
In questi casi, è stato dimostrato che la somministrazione
precoce di FBNc guidata dal test di viscoelasticità, evitando
gli inaccettabili ritardi legati ai test di laboratorio standard,
riduce la necessità di trasfusioni ematiche e presenta un
buon rapporto costo/beneficio. Le attuali linee guida raccomandano la somministrazione di plasma e/o FBNc per l’ipofibrinogenemia acquisita nei pazienti con gravi emorragie e
coagulopatie susseguenti ad interventi chirurgici o traumi
maggiori, ma il suo impiego come terapia adiuvante nei
pazienti che richiedono trasfusioni massive non rappresenta ancora un’indicazione largamente approvata per l’FBNc,
anche se molte nazioni hanno autorizzato il suo impiego per
il trattamento di deficit di fibrinogeno congeniti ed acquisiti.
L’efficacia dell’FBNc nel ridurre la necessità di sangue negli
ambiti clinici diversi da quelli traumatologici è stata investigata in pochi studi, la maggior parte dei quali mancava di un
gruppo di controllo e, pertanto, le evidenze riguardo indicazioni, dosaggio, tempistica, efficacia e sicurezza dell’FBNc in
questi pazienti scarseggiano. Ciò nonostante, le linee guida
europee per la gestione delle gravi emorragie peri-operatorie
raccomandano il trattamento con FBNc se il sanguinamento
significativo è accompagnato quanto meno dal sospetto di
scarse concentrazioni o scarsa funzionalità del fibrinogeno.
Una concentrazione di fibrinogeno inferiore ad 1,5-2 g/l, oppure la presenza di segni di deficit funzionali del fibrinogeno
alla ROTEM/TEG (tromboelastometria/tromboelastografia)
dovrebbero rappresentare indicazioni alla somministrazione
del fibrinogeno. È stato effettuato uno studio retrospettivo
su pazienti con livelli di fibrinogeno inferiori a 1,5 g/l in cui il
FBNc è stato inserito come parte di un protocollo di trasfusione massiva noto anche come metodo Clauss. Questa
pratica è risultata efficace nel ridurre la necessità di trasfusioni nei pazienti emorragici chirurgici o traumatizzati, se
usata come terapia di prima linea nell’ambito di un algoritmo
gestionale per la coagulazione basato su test effettuati sul
posto. È invece meno nota l’utilità dell’FBNc nel controllo
delle emorragie e coagulopatie in corso nei pazienti non trau-
28
matizzati nei quali un protocollo trasfusionale massivo non
è riuscito a migliorare l’emostasi e ad arrestare la perdita di
sangue. In base ai dati raccolti, i livelli di fibrinogeno all’atto
del ricovero rappresentano l’unica variabile indipendentemente associata sia al numero complessivo di unità trasfuse
che al raggiungimento di un livello di fibrinogeno di almeno
2 g/l ed in accordo con le evidenze sinora pubblicate riguardo
il suo elevato profilo di sicurezza, anche se somministrato
ad alte dosi l’FBNc non risulta associato ad alcun evento
tromboembolico. I dati sull’impiego dei protocolli di trasfusione massiva al di fuori del contesto traumatologico sono
frammentari. L’attivazione di questo protocollo consente
una più rapida ed uniforme erogazione dei prodotti ematici,
benché gli esiti clinici rimangano negativi. Le linee guida europee raccomandano l’impiego di algoritmi predefiniti basati
sul monitoraggio della coagulazione per guidare gli interventi emostatici volti a migliorare gli esiti nell’ambito della
chirurgia elettiva. Per quanto riguarda l’FBNc, il suo rapporto
rischio/beneficio nell’ambito di un protocollo di trasfusione massiva dovrebbe essere discusso in ciascun istituto. È
sh utt e rs to ck ( 2)
ei pazienti con emorragie massive e un deficit
acquisito di fibrinogeno, la somministrazione
di concentrati di fibrinogeno (FBNc) rispetto al
plasma sembra essere una soluzione più efficacie
nel ridurre il tasso di emorragie e trasfusioni. Inoltre, la somministrazione di FBNc offre il teorico beneficio di infondere,
in volumi e tempi più ristretti, più di 10 volte la quantità di
fibrinogeno rispetto a quella apportata dal plasma fresco
congelato.
studio affermano che i propri risultati non suggeriscano o
supportino l’inefficacia dell’FBNcma piuttosto la probabile
inefficacia del suo impiego inappropriato, sottolineando la
necessità di studi prospettici sul ruolo dello stesso FBNc nei
pazienti non traumatizzati con gravi emorragie.
Fonte: BMC Anesthesiol. 2014; 14(109)
Le linee guida europee per la
gestione delle gravi emorragie
peri-operatorie raccomandano
il trattamento con FBNc se il
sanguinamento significativo è
accompagnato quanto meno dal
sospetto di scarse concentrazioni
o scarsa funzionalità del
fibrinogeno. Una concentrazione
di fibrinogeno inferiore ad 1,5-2
g/l, oppure la presenza di segni di
deficit funzionali del fibrinogeno
alla ROTEM/TEG dovrebbero
rappresentare indicazioni alla
somministrazione del fibrinogeno.
stato osservato che sia bassi livelli di fibrinogeno all’atto del
ricovero che il livello massimo di fibrinogeno entro 24 ore
dalla trasfusione massiva sono inversamente ed indipendentemente correlati al numero di unità trasfuse. La trasfusione di
componenti ematiche aumenta di almeno 3 unità per ogni g/l
di riduzione nei livelli di fibrinogeno all’atto del ricovero ma
la somministrazione di FBNc non riduce l’impiego di prodotti
ematici allogenici e, inoltre, la sua somministrazione a basse
dosi non risulta associata al raggiungimento di un livello di
fibrinogeno ottimale di almeno 2 g/l. Il fibrinogeno, d’altro
canto, nel presente studio è stato somministrato tardivamente
quando i pazienti avevano già ricevuto 6 unità di componenti
ematiche e presentavano gravi coagulopatie. Benché si tratti
di una speculazione, è possibile che l’efficiacia dell’FBNc sia
risultata subottimale per via della coagulopatia tardiva che
interessava piastrine, proenzimi e sistema fibrinolitico. Una
somministrazione più precoce di concentrati di fattori della
coagulazione avrebbe potuto forse determinare un miglioramento del trattamento della coagulopatia ed evitare gli effetti
collaterali della somministrazione di plasma. Gli autori dello
29
THE
CLINICAL
GAME
30
&
Sangue
coagulazione
 Paziente
Maschio di 19 anni con emofilia A grave e diabete di tipo1 giunge all’osservazione del suo consulente
di riferimento presso il centro specialistico di assistenza per l’emofilia della sua zona di residenza.
 Anamnesi fisiologica
Il paziente è stato sempre seguito regolarmente dalla prima infanzia presso un centro specializzato
di cura vicino a casa sua. Lo sviluppo psicosomatico è stato normale, pratica regolare attività fisica
consigliata sotto stretto controllo. Grado d’istruzione: diploma di maturità.
 Anamnesi familiare
Padre indenne da emofilia (60 anni), madre portatrice sana di emofilia A, anni 58, entrambi in apparente buona salute. Non ha fratelli.
 Anamnesi patologica remota
Dalla nascita emofilia A grave. All’età di 5 anni diagnosi di diabete mellito di tipo 1 attualmente in
buon controllo glicemico con microinfusore d’insulina (pompa).
Attualmente trattamento profilattico dell'emofilia presso il centro succitato: a regime con 25 U / kg di
fattore VIII ricombinante concentrato 3 volte a settimana (50% di correzione).
Non ha sviluppato inibitori del fattore VIII poiché la profilassi è iniziata quando aveva 2 anni, non
ha avuto sanguinamenti importanti fino ad ora, eccetto soffusioni emorragiche ai 2 gomiti durante
l’ultimo anno di liceo legate ad attività fisica intensa (tennis) praticata senza terapia profilattica
precedente.
 Anamnesi patologica prossima
Ha sempre mostrato una buona compliance ai trattamenti per l’emofilia e per il diabete.
Richiede consulenza presso il suo centro specialistico per affrontare al meglio il trasferimento in un
college all’estero.
 Quale dei seguenti potrebbe essere il migliore modo per ottimizzare il pas-
Risposta corretta: Tutte le precedenti
sh utt e rs to ck ( 2)
saggio del paziente al college?
•
Condividere le informazioni sulle sue condizioni di salute con il suo consulente personale del
centro specialistico che attualmente lo segue
•
Contattare la clinica del campus universitario
•
Richiedere l’assistenza del centro emofilia di riferimento e dell’endocrinologo per ottenere la sua
cartella clinica da trasmettere ai servizi di assistenza del campus
•
Tutte le precedenti
31
La profilassi del sanguinamento è l'approccio
terapeutico oggi raccomandato per i pazienti
con deficit di fattore VIII grave. Questo regime terapeutico comporta infusione regolare
del fattore di coagulazione concentrato
carente, con lo scopo di elevare i suoi livelli. E
poiché il paziente di questo caso ha una grave
emofilia A, i suoi livelli endogeni di fattore
VIII sono inferiori all'1% del normale.
La Fondazione Nazionale per l’Emofilia
degli Stati Uniti ha pubblicato nel 2013 le
ultime raccomandazioni sull’iniziazione nella
profilassi per i pazienti con grave emofilia
A specificando che la profilassi deve essere
effettuata in anticipo, prima della comparsa
di emorragie frequenti e i livelli di fattore VIII
devono essere mantenuti sopra all’1%, obiettivo che viene di solito raggiunto somministrando 25 e 50 U/kg di fattore VIII concentrato 3 volte al giorno o 1 volta al giorno per
3 giorni la settimana. Va notato che queste
raccomandazioni si applicano solo agli agenti
ad azione rapida e che le ultime linee guida
sono in fase di sviluppo.
Uno studio fondamentale sul tema, conosciuto con l’acronimo JOS (Joint OutcomesStudy),
ha confrontato gli esiti comuni nei bambini
di età inferiore ai 30 mesi affetti da emofilia
grave che sono stati trattati con la profilassi
o con la terapia on-demand (secondo tipo di
terapia anche conosciuto come "trattamento
episodico al bisogno"). I pazienti assegnati in
modo casuale al gruppo profilassi avevano ricevuto 25 UI di fattore VIII/kg ogni due giorni, mentre i pazienti in terapia on-demand
avevano ricevuto 40 UI di fattore VIII/kg in
occasione di emorragia articolare e 20 UI/kg a
24 e 72 ore dopo la prima dose e un trattamento supplementare se necessario. I risultati
di questo studio hanno dimostrato che l'uso
della profilassi era associato con un rischio
relativo di 6 volte inferiore per lo sviluppare
un danno articolare dimostrabile causato da
sanguinamento, rispetto alla terapia on-demand dei pazienti che avevano raggiunto i 6
anni di età. I pazienti nel gruppo sottoposto a
profilassi mostravano un utilizzo del fattore
concentrato della coagulazione da circa 3 a
4 volte superiore rispetto al gruppo trattato
con terapia on-demand.
Va sottolineato che le persone con emofilia
sono spesso soggette a numerosi fattori
di stress psicosociale come avviene nelle
questioni riguardanti il sostegno sociale,
l'autostima, l’ansia, la desiderabilità sociale
e la depressione. In uno studio su pazienti
sh utt e rs to ck ( 2)
CLINICAL GAME
THE
32
DISCUSSIONE
bibliografia
Tratto da ImprovedOutcomes for Adults
With Hemophilia A
http://www.medscape.
org/viewarticle/828778
Treatment Guidelines Working Group
on Behalf of The
World Federation Of
Hemophilia. Guidelines
for the management of
hemophilia. Haemophilia. 2013;19:e1-e47.
Abstract
provenienti da 6 paesi europei,i motivi più
frequenti di non aderenza alla terapia erano
la riduzione, la fluttuazione o la scomparsa
dei sintomi, la dimenticanza e la mancanza di
tempo per il trattamento.
Per il paziente di questo caso la questione più
importante è quella di concludere con successo il suo passaggio verso l'indipendenza dalla
famiglia. È fondamentale, quindi, una buona
conoscenza generale della sua malattia, incluso il trattamento e le eventuali conseguenze
cliniche associate con la sua condizione
attuale - in particolare, il sanguinamento e
l'artropatia associata - che possono essere
evitati solo con la profilassi. Inoltre, tutto
questo vale anche per il diabete di tipo 1.
Il paziente dovrebbe essere in grado di
calcolare il dosaggio del fattore VIII concentrato per la profilassi di routine, dovrebbe
essere in grado di sapere cosa fare in caso di
un eventuale episodio emorragico interno
e dovrebbe essere in grado di conoscere
le possibili conseguenze di un’eventuale
dimenticanza di una dose del trattamento
profilattico. Il paziente ha anche bisogno di
sapere come preparare, conservare e gestire
il suo trattamento. Dato che questo paziente
ha dimostrato una buona compliance per il
trattamento profilattico, potrebbe essere utile istruirlo anche sulla possibilità di variare i
dosaggi. Inoltre, sarebbe prudente sorvegliare le tecniche adottate dal paziente insieme
ad una revisione della corretta conservazione
del fattore, dell’ago e della capacità di manipolazione del sangue così come la comprensione della necessità di avere almeno 7 dosi a
portata di mano al momento di riordinare il
trattamento e, non per ultimo, è importante
che il paziente venga ben informato su un
posto sicuro dove tenere il fattore VIII e l’insulina, generalmente si tratta di un frigorifero che deve essere disponibile nel dormitorio
del campus universitario.
Insomma, mantenere un rapporto ottimale e
continuo con lo staff del centro di riferimento è una componente di vitale importanza
anche per la cura degli adulti con emofilia.
In questi centri dedicati sono presenti
specialisti multidisciplinari per affiancare
in ogni momento questi particolari pazienti
che, se opportunamente informati/addestrati
all’autogestione, possono convivere con la
malattia in maniera del tutto simile ai loro
coetanei non malati, con una buona qualità e
spettanza di vita.
Schrijvers L, Beijlevelt-Van der Zande M,
Peters M, et al.Taking
over prophylactic
treatment: assessment
of the transition
process in hemophilia
[abstract]. Haemophilia.
2014;20:150.
Global Treatment
Centre Directory.
World Federation of
Hemophilia website.
Accessed July 15, 2014.
Hemophilia treatment
centers. Centers for
Disease Control and
Prevention website.
Updated April 9, 2014.
Accessed July 13, 2014.
Predictors of
non-adherence to
prescribed prophylactic
clotting-factor treatment regimens among
adolescent and young
adults with a bleeding
disorder. Haemophilia.
2014;20:117.
33
CLINICAL LEADER
INTERVENTO CORONARICO
PERCUTANEO E TERAPIA
ANTICOAGULANTE
A tu per tu con Paul Gurbel
Quali sono i principali rischi per un paziente, dopo un
intervento coronarico percutaneo (PCI)?
In molti casi possono verificarsi trombosi dello stent oppure
eventi ischemici ricorrenti, che includono infarto miocardico, restenosi coronarica ed emorragie gravi. Altri eventi
meno frequenti sono ictus, infezioni ed insufficienza renale.
Possiamo dire che il problema è dato dalla coagulazione, che
deve essere controllata affinché non sia eccessiva o carente.
Lei ha recentemente confrontato tutti i principali farmaci anticoagulanti. In caso di PCI, quali sono le principali
opzioni per la terapia anticoagulante?
Le opzioni principali sono tre: l’eparina non frazionata,
l’inibitore diretto della trombina: il bivalirudin e l’eparina
a basso peso molecolare per la terapia acuta. Il vantaggio
dell’eparina a basso peso molecolare rispetto all’eparina non
frazionata è che è molto sicura e può essere somministrata
anche senza uno stretto monitoraggio.
34
Come avete comparato tutte le opzioni?
Abbiamo esaminato tutte le prove ottenute dai trial clinici
randomizzati e dalle meta analisi. Ci siamo concentrati sui
pazienti sottoposti a PCI primario, cioè un intervento coronarico percutaneo per un infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST. Sappiamo che il trombo è grande
in questo tipo di infarti e che la coagulazione gioca un ruolo
principale dal momento che c’è una grande quantità di fibrina
nel trombo.
Considerati i risultati della vostra review, qual è la terapia
anticoagulante consigliabile?
La totalità delle prove supporta nella maggior parte dei
pazienti l’uso dell’eparina non frazionata. Nei pazienti con un
più alto rischio di emorragie, si dovrebbe considerare una terapia con bivalirudin. Purtroppo, la base di prove a supporto
dell’eparina a basso peso molecolare non è ancora abbastanza
grande per considerare preferibile questo tipo di farmaco.
Un aspetto di cui si deve anche tener conto è la notevole
differenza di prezzo tra il bivalirudin e l’eparina non frazionata visto che, finora, gli studi non sono riusciti a dimostrare
un vero e proprio beneficio del farmaco più costoso nella
maggioranza dei casi.
Quali linee guida suggerirebbe per la gestione dell’anticoagulazione dopo un intervento PCI?
Si possono seguire sia le linee guida STEMI pubblicate
dall'American Heart Association, oppure quelle dell’European
Society of Cardiology.
Secondo lei, abbiamo una visione abbastanza completa su
questo tema oppure servono altri studi?
Sì, servono degli altri studi clinici. È necessaria una comparazione faccia a faccia del bivalirudin contro l’eparina non
frazionata e contro l’eparina a basso peso molecolare, con
l’utilizzo di più potenti inbitori del P2Y12 - come prasugrel o
ticagrelor - ed inibitori provvisori delle glicoproteine.
p e r g e n t il e c on ce s si o n e d i pa ul g u rb e l
Professore di Medicina presso la Johns
Hopkins University e la Duke University,
Paul Gurbel è anche direttore delCenter for
Thrombosis Research al Sinai Hospital di
Baltimora. Cardiologo praticante dal 1990, ha
sviluppato e brevettato diversi dispositivi per
gli interventi cardiovascolari. Il suo laboratorio di ricerca studia la relazione tra la reattività piastrinica e la trombogenicità nei pazienti
che sono stati sottoposti ad angioplastica ed
altre procedure chirurgiche. È stato il primo
laboratorio a descrivere la resistenza al clopidogrel e le sue conseguenze cliniche: queste
osservazioni hanno aperto la strada alle terapie anticoagulanti personalizzate.
Il vantaggio
dell’eparina a basso
peso molecolare
rispetto all’eparina
non frazionata è che
è molto sicura e può
essere somministrata
anche senza uno
stretto monitoraggio.
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