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25-07-2011
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SEDE - Repubblica popolare cinese
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o scontro
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a data non è casuale. La provocazione evidente. Il gesto in sé
grave. Il 29 giugno scorso si è ripetuta l’ordinazione episcopale di un vescovo cinese appartenente all’Associazione patriottica, senza il mandato apostolico. Si tratta del rev. Paolo
Lei Shiyin, ordinato vescovo della diocesi di Leshan (provincia di Sichuan, nella Cina continentale) da sette vescovi in comunione con
Roma. La tecnica è sempre la stessa: far ordinare vescovi non accetti
a Roma da vescovi in comunione con Roma. Le autorità cinesi prelevano i vescovi legittimi e li trattengono finché non acconsentono
all’ordinazione. È la nuova linea assunta dalle autorità cinesi, che ha
ulteriormente approfondito lo scontro tra Roma e Pechino (cf.
Regno-att. 8,2011,237).
A questa nomina il Vaticano ha reagito il 4 luglio con una dichiarazione ufficiale nella quale si dichiara per Lei Shiyin la scomunica latae sententiae. Questa la nota vaticana.
«Il rev. Lei Shiyin, ordinato senza mandato pontificio e quindi illegittimamente, è privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana, e la Santa Sede non lo riconosce come il vescovo
della diocesi di Leshan. Restano fermi gli effetti della sanzione in cui
egli è incorso per la violazione della norma del canone 1382 del Codice di diritto canonico. Lo stesso rev. Lei Shiyin era stato informato
da tempo che non poteva essere accettato dalla Santa Sede come
candidato episcopale, a causa di motivi comprovati e molto gravi
(ha una relazione stabile con una donna dalla quale ha avuto un figlio; ndr). I vescovi consacranti si sono esposti alle gravi sanzioni canoniche, previste dalla legge della Chiesa (in particolare dal canone
1382 del Codice di diritto canonico; cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI
LEGISLATIVI, Dichiarazione 6.6.2011; Regno-doc. 13,2011,393). Un’ordinazione episcopale senza mandato pontificio si oppone direttamente
al ruolo spirituale del sommo pontefice e danneggia l’unità della
Chiesa. L’ordinazione di Leshan è stata un atto unilaterale, che semina divisione e, purtroppo, produce lacerazioni e tensioni nella comunità cattolica in Cina. La sopravvivenza e lo sviluppo della Chiesa
possono avvenire soltanto nell’unione a colui al quale, per primo, è
affidata la Chiesa stessa, e non senza il suo consenso, come invece
è avvenuto a Leshan. Se si vuole che la Chiesa in Cina sia cattolica,
si devono rispettare la dottrina e la disciplina della Chiesa».
Trascorsa appena una decina di giorni dalla scomunica di Lei, le
autorità cinesi hanno provveduto a ordinare nello stesso modo un
altro vescovo. Si tratta questa volta di Giuseppe Huang Bingzhang,
nominato vescovo di Shantou. L’ordinazione è avvenuta il 14 luglio.
All’ordinazione illecita di Giuseppe Huang Bingzhang hanno partecipato – naturalmente costretti – otto vescovi in comunione col
papa. Questa volta per il «no» di Roma non ci sono gravi motivi morali che rendono inadatto il candidato, ma il fatto che la diocesi
abbia già un suo vescovo legittimo, riconosciuto da Roma. Obbligata anche in questo caso la risposta vaticana.
Il 16 luglio giunge la dichiarazione della Santa Sede: «Il rev. Giuseppe Huang Bingzhang, ordinato senza mandato pontificio e
quindi illegittimamente, è incorso nelle sanzioni previste dal canone 1382 del Codice di diritto canonico. Di conseguenza, la Santa
Sede non lo riconosce come vescovo della diocesi di Shantou, ed
egli è privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana. Il rev. Huang Bingzhang era stato informato da tempo che non
poteva essere approvato dalla Santa Sede come candidato episcopale, dato che la diocesi di Shantou ha già un vescovo legittimo;
più volte al rev. Huang era stato richiesto di non accettare l’ordina-
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IL REGNO -
AT T UA L I T À
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zione episcopale. Da varie fonti di informazione la Santa Sede era
al corrente che alcuni dei vescovi, contattati dalle autorità civili,
avevano manifestato la propria volontà di non partecipare a un’ordinazione illegittima, mettendo in atto anche forme di resistenza:
nonostante ciò, i presuli sarebbero stati obbligati a prendervi parte.
In merito alla loro resistenza è bene rilevare che tale atto rimane
meritorio davanti a Dio e suscita apprezzamento in tutta la Chiesa.
Uguale apprezzamento va anche a quei sacerdoti, a quelle persone
consacrate e a quei fedeli che hanno difeso i propri pastori, accompagnandoli in questo difficile momento con la preghiera e condividendone l’intima sofferenza. La Santa Sede riafferma il diritto
dei cattolici cinesi di poter agire liberamente, seguendo la propria
coscienza e rimanendo fedeli al successore di Pietro e in comunione con la Chiesa universale».
Ne seguiranno altri
In Vaticano – ha sottolineato p. Federico Lombardi, direttore
della Sala stampa – questo avvenimento «viene seguito e visto con
dolore e preoccupazione». «La posizione e i sentimenti della Santa
Sede e del papa sono stati già espressi recentemente nelle precedenti circostanze» (ad esempio, all’udienza generale del 18 maggio),
e nascono dal rammarico per «un atto contrario all’unità della
Chiesa universale».
Dal novembre scorso la Cina ha deciso di procedere all’elezione
e all’ordinazione di candidati vescovi senza attendere il mandato
del pontefice: Guo Jincai a Chengde (novembre 2010); Paolo Lei
Shiyin a Leshan (29.6.2011); e ora Giuseppe Huang Bingzhang a Shantou; ma il portavoce dell’Associazione patriottica, Antonio Liu Bainian, aveva ufficializzato il 14 maggio scorso l’esistenza di 10
candidati all’episcopato in attesa di nomina governativa, mentre il
responsabile dell’Amministrazione di stato per gli affari religiosi,
Wang Zouen, nel corso di un incontro a Pechino il 18-19 giugno ha
espresso la necessità di procedere rapidamente da parte del governo alla nomina dei vescovi per le diocesi vacanti: una quarantina
su 97. Se il governo cinese dovesse davvero procedere in questa direzione e non potendo il Vaticano retrocedere dalla sanzione della
scomunica, che ne sarebbe di una Chiesa cattolica con quasi la metà
dei suoi vescovi scomunicati? Salterebbe ogni equilibrio pastorale,
compreso quello faticosamente descritto dal papa nella sua lettera
del 2007 (cf. Regno-doc. 13,2007,393).
Che cosa abbia portato a questo esito, dopo un periodo di timide ancorché incerte aperture, è difficile dire. La nuova linea vaticana, certamente più ruvida e decisa, non sembra avere
conseguito l’obiettivo desiderato. In questo clima appaiono problematiche e intempestive le parole dette dal nuovo segretario di
Propaganda fide, il cinese mons. Savio Hon, nel corso di una sua intervista a Fides (17.6.2011), nel corso della quale egli ha fatto riferimento a «una teologia in America e in Europa che sta penetrando
anche nella Chiesa cinese. Questa teologia rivendica proprio l’autonomia nella scelta dei vescovi e l’indipendenza dalla Santa Sede.
E così vi sono persone in America e in Europa che spingono i vescovi
cinesi a comportarsi così. “Se riuscite voi – dicono – noi poi vi seguiamo”. Come si vede, fino a poco tempo fa i problemi di “indipendenza” e “autonomia” erano solo a livello del rapporto col
governo. Adesso sono anche a livello teologico». Di quale teologia
e di quali personaggi si tratti, mons. Hon non lo ha specificato.
Gianfranco Brunelli