itinerai d`autunno

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itinerai d`autunno
CAMMINERAS – a cura di Pier Luigi La Croce
ITINERARI D’AUTUNNO E PERCORSI NEI BOSCHI DELLA NOSTRA MEMORIA
L’autunno è, con la primavera, la stagione che prediligo per i viaggi e le escursioni. In primavera è
piacevole stare all’aperto, attraversare e conoscere i luoghi della nostra meravigliosa Isola, facendoci
accarezzare dai primi dolci tepori; scoprire gli incanti della natura che si risveglia; osservare i mille
colori nei prati dove spiccano il bianco delle margherite (tzintzìas), il viola pallido dei ciclamini
(cùccos) le tinte multicolori delle orchidee selvatiche (bellòis de mònte), il rosso sgargiante dei
papaveri (pabaùles). Ed è sempre un’emozione vedere gli alberi che, dopo i rigori invernali, si
coprono prima di gemme per poi fiorire e ricoprirsi infine di foglie. Ma se la primavera si manifesta
con luci e colori più vivi, l’autunno invece si presenta sempre con colori più tenui e più caldi, con
atmosfere più raccolte, con luci più soffuse che a volte, soprattutto nelle giornate piovose, quasi
sconfinano nella malinconia. Ma, forse anche per questo, mi piace questa stagione; e soprattutto in
autunno mi piace camminare in campagna, magari lungo i sentieri coperti da un soffice manto di
foglie, quando al rumore di sterpi e di foglie ormai secche che stridono all’avanzare dei passi, si
accompagnano suoni di un sommesso fervore di voci e di gente. E tutti quei suoni, che conservo
sempre nella mia memoria, sono un po’ la colonna sonora di un film che parla non solo di questa ma
di tante stagioni della nostra vita. Suoni che narrano di un allegro vociare di donne e bambini,
impegnati nella raccolta delle castagne o del cadere dei frutti maturi dai rami (castàgna e lintzòla
chi istìddant). Insomma il percorso proposto questa settimana da Cammineras non è un itinerario
segnato nelle cartine IGM, ma è piuttosto un viaggio nella memoria; un’escursione tra i boschi di
castagni della Barbagia di Belvì, alla riscoperta dei sapori, delle fatiche e degli usi di un tempo.
L’autunno è la stagione ideale per fare un viaggio in questo territorio dove a perdita d’occhio si
estendono i boschi di latifoglie che già dal mese di ottobre si colorano del giallo delle foglie dei
noccioli, dell’ocra delle foglie di castagno, del rosso vermiglio delle foglie di acero (còstis) e dei
ciliegi (cherèssias). Ma per chi non riesce a farsi catturare dalla magia di questi mille colori, un
viaggio nella Barbagia di Belvì può essere interessante per altri aspetti e soprattutto perché tra la fine
di ottobre ed i primi di dicembre a Desulo, Aritzo, Tonara, Belvì e Gadoni si rinnovano alcuni
appuntamenti che riguardano proprio le tradizioni ed i lavori legati al bosco: La Montagna Produce
a Desulo la Sagra delle Castagne ad Aritzo, Prendas de ierru a Gadoni, Cortes Apertas a Belvì che
rievoca la raccolta delle nocciole e Maistos e carrattoneris a Tonara, che è una sagra incentrata sugli
antichi mestieri e sul bosco. Si tratta di iniziative turistiche che cercano di far sopravvivere le
tradizioni e che si richiamano ad un vissuto, antropologico ed economico insieme, fondato proprio
sulla cura del bosco e sulla raccolta dei frutti autunnali. Perché castagne, noci e nocciole hanno
avuto, fino a non molti anni fa, un’importanza fondamentale nell’economia e nell’alimentazione
delle popolazioni di queste montagne. Quasi tutte le famiglie, comprese quelle più povere,
possedevano un appezzamento di terreno, su cugnàu, con alberi di castagno e spesso anche di noci e
noccioli, alla cui cura provvedevano indifferentemente tutti i componenti della famiglia anche se
della raccolta si occupavano principalmente le donne ed i ragazzi. Infatti, ad ogni approssimarsi
dell’autunno, le amministrazioni comunali locali chiedevano al Ministero della Pubblica Istruzione
di poter rimandare l’inizio dell’anno scolastico proprio per poter permettere alle famiglie di
impiegare i ragazzi nella raccolta delle castagne, che maturano dai primi di ottobre. Le castagne
venivano consumate bollite, a lìssu, dopo aver tolto una parte della buccia per facilitare la cottura
(pitzigàdas) o a orròstu cucinate in su téstu, una specie di padella bucherellata. Pichè non duravano
a lungo venivano vendute agli ambulanti, is carrattonéris, durante le festività dei Santi o a Natale.
Gli ambulanti poi le rivendevano nel Campidano per acquistare grano, olio, fave, o anche vino. Per
conservare le castagne si aveva cura di disporle in sa fòssa, una buca ricavata nel fondaco, su
funnàgu, al piano terra della case. Sul piano della fòssa ci si preoccupava di istèrrere, cioè stendere
un letto di felci, fìlige, o di ramoscelli di corbezzolo, pinnònes de illiòne. Felci e rami di corbezzolo
servivano anche a ricoprire le castagne che così duravano più a lungo, almeno fino a Pàsca Mànna
(Pasqua).
PAROLE ONOMATOPEICHE DELLA LINGUA SARDA.
Le donne che si recavano in campagna per provvedere alla raccolta delle castagne o delle nocciole
per sentirsi a vicenda e farsi compagnia anche a distanza, cioè dàe ùnu cugnàu a s’àtteru, auaìant, si
chiamavano a gran voce, gridando Auh! Auh! Allora da un terreno all’altro echeggiavano tutte queste
voci di richiamo, is aùos. Auàre, che significa chiamarsi o emettere dei richiami, è quindi una parola
onomatopeica in quanto deriva proprio da quell’auh! utilizzato come richiamo.