Notizie dal Kenya - Fondazione Brownsea

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Notizie dal Kenya - Fondazione Brownsea
Newsletter n. 02
FONDAZIONE BROWNSEA
04 febbraio 2008
Notizie dal Kenya
L
’attenzione di tutti noi, che collaboriamo
al Progetto Harambee, in questi giorni è
sicuramente rivolta in modo particolare al
Kenya, sconvolto da gravi scontri, con circa
un migliaio di morti. Dalle notizie che
abbiamo finora risulta che i nostri amici della
zona dei Gwassi e di Miritini non sono stati
coinvolti per fortuna nei gravi disordini, che
hanno sconvolto intere regioni; sono però in
difficoltà a causa della crisi economica e
soffrono per la
situazione drammatica di
tante famiglie del loro Paese.
In questa Newsletter riportiamo le
notizie più recenti ricevute telefonicamente
da Nyandiwa; abbiamo anche pensato di
fornirvi una sintesi degli avvenimenti più
importanti successi in Kenya nel mese di
gennaio, data la difficoltà a reperire notizie
sulla nostra stampa e dai nostri mass media
nazionali.
Il
Kenya,
dalla
conquista
dell’indipendenza (1963) in poi, è sempre
stato uno dei Paesi africani più “tranquilli” e
stabili; nonostante la varietà tribale della sua
popolazione, non è mai giunto alle cronache
europee per conflitti civili paragonabili a
quelli di altre nazioni africane, come il
Rwanda o la Somalia. Per questo motivo il
Kenya è diventato nel tempo un paese di
riferimento per molte organizzazioni di
rilevanza mondiale, dalle multinazionali alle
istituzioni umanitarie; per questo stesso
motivo ben pochi si aspettavano che anche in
Kenya potessero scoppiare violenze e
disordini gravi.
Ricorderete che le prime notizie
allarmanti giunsero in Italia il 28 dicembre
2007, il giorno successivo alle elezioni
presidenziali. I due partiti principali in lizza
erano il Partito di Unità Nazionale, guidato
dal Presidente uscente Mwai Kibaki, di etnia
kikuyu, e il Partito Democratico Arancione,
guidato da Raila Odinga, di etnia luo (l’etnia
prevalente a Nyandiwa e nella regione dei
Gwassi, Kenya occidentale). Le previsioni
erano favorevoli a Odinga; ma prima ancora
che fossero ultimate tutte le operazione di
spoglio e conteggio dei voti, Kibaki annunciò
di aver vinto le elezioni. Odinga denunciò
immediatamente brogli elettorali e dichiarò di
non riconoscere valide le elezioni e di non
accettare la vittoria dichiarata di Kibaki.
Scoppiarono i primi disordini nelle
baraccopoli di Nairobi e da quel momento gli
scontri
con numerosi morti tra opposte
bande si estesero ad altre città (Kisumu) e
ad altre regioni del paese, in particolare
nella Rift Valley e nell’ovest del Kenya. La
situazione è andata aggravandosi di giorno in
giorno. Come sempre in queste situazioni le
cifre dei morti sono variabili, ma ormai è
quasi sicuro che il numero delle vittime si
aggiri fra le ottocento e le mille persone;
ugualmente difficile valutare il numero degli
sfollati: l’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati riferisce di circa 250.000
sfollati.
Questi gravi fatti hanno portato giornali
e telegiornali a parlare per la prima volta in
modo più diffuso della crisi kenyana: l’hanno
immediatamente
presentata
come
una
“guerra tribale” a colpi di machete, che
rischia di trasformarsi in una catastrofica
guerra
civile.
Gli
stessi
mezzi
di
informazione
non
hanno però fornito
elementi utili per capire le cause di questa
improvvisa crisi politica e sociale del Kenya,
oltre a non dare informazioni precise sui fatti
accaduti (e questo è più comprensibile).
E’
importante
allora
consultare,
soprattutto via Internet, ciò che dicono e
scrivono quelle persone che da tempo vivono
e lavorano in Kenya, per contribuire al suo
sviluppo; esse conoscono meglio la storia
recente di questo paese, la sua situazione
politica ed i recenti sviluppi e sono quindi in
grado di dare informazioni e valutazioni più
attendibili e documentate.
Leggendo con attenzione cronache e
lettere di queste persone, aderenti alle più
diverse organizzazioni e presenti nelle varie
regioni del Kenya, si rileva una osservazione
costante:
tutti
denunciano
l’errore
giornalistico di presentare la crisi
kenyana come una lotta tribale, tutti
indicano le radici dei conflitti in una
situazione socio-economica di gravi
ingiustizie, degradata ed esasperata da
interventi esterni al paese, con gravi
ingerenze
di
tipo
neocoloniale
e
di
globalizzazione, a danno della maggioranza
della popolazione kenyana. Queste stesse
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persone interpretano gli “scontri etnici” (che
pure
ci
sono
stati)
come
una
strumentalizzazione delle fasce più povere
della popolazione, operata dai due capi
politici (Kibaki e Odinga) e dai due partiti in
lotta tra loro, per interessi politici ed
economici.
Sembra poi che questa situazione sia
sfuggita di mano a chi l’aveva procurata, e
che sia una parte sia l’altra non siano state
in grado di fermare gli scontri tra opposte
bande. Si è giunti anche ad uccidere, per
motivi ancora da chiarire, anche due
parlamentari eletti (uno di essi vissuto a
lungo in Italia e con moglie italiana). Più il
tempo passa e più difficile diventa riprendere
il controllo della situazione da parte del
governo e della classe politica in genere, e
riportare il Paese all’ordine ed alla normalità;
questo
conflitto
sociale
non
giova
evidentemente a nessuno.
Da qualche giorno si è aperto uno
spiraglio e la speranza che si possa realizzare
una riconciliazione, nell’interesse di tutti. L’ex
segretario generale dell'Onu Kofi Annan sta
faticosamente tentando una mediazione;
purtroppo però nel frattempo ci sono state
altre vittime e in tutto il Kenya la crisi
economica è pesantissima.
Anche a Nyandiwa la vita quotidiana è
sempre più dura e difficile, come ci
testimonia Antonio Labate:
“A circa un mese di distanza dalle elezioni
politiche in Kenya, il cui esito poco chiaro ha
scatenato violenza e distruzione in tutto il
paese ,
ancora
la
situazione
resta
drammatica, anche se forse si intravede uno
spiraglio di luce.
A Nyandiwa e dintorni fortunatamente non
c’è stata violenza, ma la popolazione subisce
le conseguenze della grave crisi sociale ed
economica abbattutasi su tutta la nazione.
La situazione aggiornata alla mattina del 31
gennaio è molto preoccupante, perché tutte
le attività sono ferme e vivere diventa ogni
giorno sempre più difficile. Chiuse le scuole,
chiuso il mercato, rari e carissimi i mezzi
pubblici di trasporto, difficoltà a vendere il
pesce pescato. I generi di prima necessità
sono scarsi e molto cari. La gente prega
perché presto ritorni la pace.
Ovviamente anche il nostro Centro risente
della grave situazione e, per la prima volta,
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in questo mese di gennaio gli introiti delle
attività sono stati minimi e non sufficienti a
coprire la quota dei salari della staff (50% del
totale) a carico del Centro stesso.
Per venire incontro a questa difficoltà
economica, la Fondazione Brownsea si è
accollata l’onere dell’intera somma dei salari
di gennaio, utilizzando fondi previsti per altre
iniziative del progetto. Fondi che verranno
reintegrati appena possibile, facendo appello
alla generosità degli amici di Harambee.
Credo che in questo momento così difficile, i
nostri amici di Nyandiwa abbiano grande
bisogno di sentire la nostra vicinanza morale,
ma anche una nostra concreta solidarietà.
Spero che presto possa ricevere da Margaret
qualche buona notizia da potervi comunicare.
Siamo invitati anche noi a pregare e sperare
insieme a loro”.
Speriamo dunque che la situazione si risolva
al più presto e si possa di nuovo pensare a
progetti di sviluppo, su tempi lunghi, anziché
essere costretti a risolvere problemi di
emergenza.
Rivolgiamo due inviti a tutti gli amici di
Harambee:
Vi invitiamo a raccogliere e diffondere
informazioni, utilizzando anche fonti
alternative. Vi diamo indicazione di alcuni
link e riportiamo un documento di Padre
Franco Cellana, Superiore Regionale dei
Missionari della Consolata in Kenya,
pubblicato nel sito http://www.milaico.it/
index.php, che ci sembra interessante e
significativo (pensiamo di fare cosa
gradita all’autore stesso).
Vi chiediamo di essere più che mai partecipi e
solidali con i nostri amici kenyani, in
questa loro difficile situazione: possiamo
dare un generoso contributo sia ora
nell’emergenza, sia alla ripresa decisa
dei progetti di sviluppo.
Gabriela Cattaneo
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KENYA, PERCHÉ COSÌ?...
D
al 27 dicembre 2007, il Kenya è sotto i
riflettori delle televisioni del mondo e
sulle prime pagine di molti giornali. In pochi
giorni il volto di questo magnifico paese è
stato deturpato, la credibilità della sua
celebrata stabilità è decaduta. Dall’estero
molti ci chiedono: Come mai? Perchè tanta
violenza e odio, perchè così?... Brevemente
vorrei poter dare una sintesi di quanto e’
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accaduto in cosi breve tempo.
Origine di un processo democratico.
Nel 2002 il popolo del Kenya con la elezione
a
presidente
di
Emilio
Mwai
Kibaki
appartenente al gruppo politico NARC, ha
voluto rompere il lungo potere dittatoriale di
Daniel Arap Moi che ha diretto il paese per 24
anni. I motivi principali sono stati: avere un
nuovo tipo di Governo, stabilire una vera
democrazia, eliminare la corruzione, le
menzogne, il tribalismo, lo strapotere del
presidente,
e
preparare
una
nuova
Costituzione per il paese. Purtroppo le
promesse del nuovo Governo non sono state
all’altezza delle aspettative. Dopo solo due
anni il NARC si è spaccato, a causa di
divergenze politiche e della mancanza di
realizzazione della politica di governo
promessa: alcuni ministri si sono ritirati o
sono stati dimessi, la nuova Costituzione si e’
arenata [nota: il 21 novembre 2005 c’è stato
un
referendum
sulla
riforma
della
costituzione; il progetto del governo è stato
solennemente bocciato, e da lì è nata la
coalizione arancio, l’ODM. Ma il vantaggio
politico del momento non è stato ben
sfruttato dall’opposizione, e il governo del
presidente ne venne fuori stranamente
rafforzato.
È
stata
l’esperienza
del
referendum che ha reso possibile la presente
compattezza
dell’opposizione.
Ma
probabilmente il governo non ha capito fino
in fondo le gravi conseguenze di quel
referendum, che già allora ha rivelato la
spaccatura tribale della nazione]. Il Gabinetto
proposto dal Presidente ha continuato a
governare con arroganza e con pretenziosa
sicurezza. In verità c’è stata nel paese una
netta crescita economica nel settore agricolo,
industriale, e del turismo. Si e’ visto un
miglioramento nelle infrastrutture delle città,
nelle strade e altri settori della vita sociale.
Questa stabilità e’ stata apprezzata a livello
internazionale. Però tutto questo non è
bastato a dare solidità all’immagine del paese
e ad arginare le aspettative di cambiamento.
Nuove speranze per il futuro.
Nel 2007 il paese si è preparato alle nuove
elezioni, avvenute il 27 dicembre scorso. Il
presidente Mwai Kibaki della tribù Kikuyu, si
è presentato con un nuovo partito di
coalizione chiamato Partito di Unità Nazionale
(PNU), mentre l’opposizione facente capo a
Raila Odinga della tribù Luo con il suo partito
Orange Democratic Movement (ODM) si è
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proposto di porre termine alle menzogne e
false promesse, offrendo al paese una nuova
leadership, la realizzazione della nuova
Costituzione,
trasparenza
di
relazioni
eliminando la corruzione. [nota: importante
ricordare che l’ODM ha cominciato la sua
campagna molto prima di quella ufficiale, con
un’organizzazione capillare e con potenza di
mezzi, mentre gli uomini del presidente
hanno preso sotto gamba la situazione, sono
arrivati
alla
campagna
elettorale
disorganizzati, e il nuovo partito, PNU, si è
presentato solo all’inizio della campagna
elettorale, senza avere il coraggio di
cambiare le facce dei candidati, molti dei
quali notoriamente corrotti.] Odinga diventa
in questo modo il paladino dei più diseredati
del paese [nota: e soprattutto di quelli che
sono stati lasciati fuori per anni dallo sviluppo
(sin dai tempi di Moi) o erano stati esclusi
dalla spartizione della torta] promettendo
una nuova speranza di vita, novità di azione
e spirito democratico. Le votazioni sono
avvenute ordinatamente il 27 dicembre
2007: forte volontà della popolazione di
votare democraticamente per avere un nuovo
governo nel Presidente e nei membri del
Parlamento, calma e ordine dovunque nei
210
Distretti
(Costituencies),
grande
affluenza alle urne con circa 10 milioni di
votanti su 14 registrati per votare.
Dopo le elezioni il caos.
Il 27 sera dopo la chiusura delle sedi
elettorali è incominciato lo spoglio dei voti
gestito dalla apposita Commissione Elettorale
(ECK). Qui sono iniziati i gravi problemi. Nel
processo del conteggio fatto in pubblico con
radio e televisioni e in presenza di tanti
giornalisti di ogni partito, la Commissione ha
iniziato bene il suo lavoro. Nella prima notte
e nel giorno successivo, 28 dicembre, le
preferenze sono andate decisamente in
favore del leader della opposizione con circa
1 milione di voti in più, creando una
atmosfera incredibile di novità e di speranza.
Ma qui ha cominciato a scricchiolare il ruolo
neutrale e indipendente della commissione
[nota: la commissione elettorale, ECK, nel
suo sito web ha sempre presentato risultati
ben diversi da quelli divulgati dai media. Il
29, mentre sul sito del Nation si davano
3.150.000 a Kibaki e 3.450.000 a Raila, sul
sito della ECK a Kibaki se ne davano
1.150.000 e a Raila 1.180.000]. Nella
giornata del 29, il divario dei voti tra i due
pretendenti si e’ ridotto gradualmente pur
rimanendo alto il numero dei nuovi
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parlamentari dell’ODM (95) in confronto di
quelli del PNU (solo 30). La Commissione
ferma il processo e si ritira - così dichiara per consultazioni e per terminare il conteggio
da tutti i Distretti. L’incapacità di dare i
risultati con ordine e nel tempo giusto, ha
originato subito sospetti che i risultati
venissero “cucinati” (cooked). Stupore e
protesta, discussioni e accuse. Il giorno 30 a
mezzogiorno la
Commissione
annuncia
ufficialmente il risultato finale delle elezioni:
Mwai Kibaki vincitore con 4.584.721 voti
contro i 4.352.993 di Raila Odinga. Poche ore
dopo il vincitore fa il giuramento nella State
House come Presidente della repubblica.
Le conseguenze e lo status quo.
Non è difficile qui immaginare l’origine della
grave crisi che ha messo in ginocchio il
paese. La protesta della opposizione è
drastica: “La vittoria di Kibaki è inaccettabile,
io sono stato votato Presidente dal popolo,
lui deve dimettersi” dice Raila Odinga [nota:
il suo slogan “No Raila, no Pace” diventa il
grido di battaglia dei suoi sostenitori]. Subito
iniziano le battaglie di protesta tra i gruppi
perdenti contro quelli favorevoli al Presidente
nominato con scontri, violenze, saccheggi,
incendi, blocchi stradali, uccisioni e massacri
in diverse parti del paese, specialmente negli
slums di Nairobi, a Kisumu, a Eldoret,
Mombasa e Maralal. Il paese è bloccato, la
gente è confusa, abbandonata, isolata e
piena di paura. Incominciano le proposte di
mediazione. Vari gruppi religiosi si radunano
e chiedono alla gente di abbandonare la
violenza, le uccisioni, i saccheggi. La
Conferenza
Episcopale
presieduta
dal
Cardinale John Njue e sostenuta dai Superiori
maggiori dei religiosi, fa un richiamo
appassionato di pace a tutti i kenyani per far
cessare queste calamità [nota: appello
appassionato, ma fondamentalmente debole
(l’appello e la presenza di Tutu ha avuto più
risonanza che non la lettera dei vescovi), sia
nel modo di condannare la violenza, sia
soprattutto nella
incapacità
(e
anche
impossibilità) di far arrivare il messaggio alla
gente, cominciando dai suoi preti]. Chiede ai
due Responsabili di incontrarsi e di procedere
verso una soluzione pacifica con una
commissione neutra per fare luce sui brogli
avvenuti.
Ambasciate,
delegazioni
internazionali, personaggi come Desmond
Tutu, premio Nobel per la pace, offrono la
loro
collaborazione
di
mediazione.
Il
Procuratore generale Amos Wako propone
infine la soluzione di una coalizione di
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governo tra i 3 maggiori partiti per un
governo di unità nazionale.
Quale soluzione?
Il paese continua ad essere sotto shock,
economicamente in grave perdita giornaliera
per la assenza dal lavoro, dalle attività, per il
calo del turismo ecc. Rimane però sostenuto
da uno spirito di fede in Dio, tipico del popolo
africano, rafforzato da un forte sentimento
patriottico che non è mai venuto meno anche
in questi giorni. Nell’animo di tante persone
desiderose di pace, di benessere, di
educazione e di salute per le proprie famiglie
e per tutto il paese, persiste la fiducia di una
positiva mediazione degli enti e delle persone
che si sono offerti per la pacificazione del
paese, verso una giusta soluzione di questa
grave crisi e per un governo accetto a tutti.
Franco Cellana e Antonio Bianchi IMC
Link per ulteriori informazioni:sulla situazione
in Kenya:
http://www.amref.it/index.cfm
http://www.euronews.net
http://www.chiamafrica.it/
http://www.misna.org/default.asp
http://www.peacelink.it/
http://www.nationmedia.com/dailynation/
nmgindex.asp (in inglese)
http://www.newsfromafrica.org/ (in inglese)
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FONDAZIONE BROWNSEA
La FONDAZIONE BROWNSEA ed i suoi Progetti
I
l giorno mercoledì 23 gennaio il Consiglio di Amministrazione della Fondazione
Brownsea ha tenuto a Milano nella sua sede operativa di Via Burigozzo 11 una riunione
allargata ai responsabili ed ai collaboratori dei vari progetti, sia in Italia sia all’estero. E’ stato un
incontro particolarmente sentito, con una nutrita e vivace partecipazione. Per coloro che di rado
visitano il sito della Fondazione, espongo qui di seguito un breve verbale della riunione,
indicando i nomi dei responsabili e dei collaboratori dei vari Progetti.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Per i progetti in Italia:
Progetto Biuse: ne è responsabile Giudo Monti, che ha illustrato i progressi
nell’allestimento della base scout e nella ristrutturazione della baita delle Biuse (Verbania,
Piemonte).
Progetto Isola: era presente Giancarlo Erbetta, che ha ricordato come questo progetto
al momento sia in sospeso o fermo, in attesa che si possano prendere accordi significativi
con il Parco del Ticino.
Per i progetti internazionali:
Progetto Harambee Gwassi: Antonio Labate ha descritto i recenti sviluppi, in
particolare per quanto concerne il Progetto Irrigazione, il Progetto Rete informatica e il
Progetto per il rifacimento dell’asilo. Gabriela Cattaneo ha illustrato la situazione attuale
del gemellaggio tra Scuole italiane e Scuole dei Gwassi; Loredana Gatta e Maria Vasile,
responsabili della Rete delle Scuole SIT (“Scopri il Tesoro”) hanno descritto il loro lavoro
per il Progetto di Gemellaggio “Nyandiwa chiama Italia – Italia risponde”. Adele e Carlo
Bottini insieme ad Elisabetta e Claudio Zaro hanno illustrato il loro lavoro in appoggio
diretto al Progetto Harambee Gwassi (campi di lavoro, ricerca di finanziamenti,
workshop…). Antonio ha letto una breve esposizione di Mariagrazia Sferrazza circa i
risultati del Progetto Borse.
Progetto Harambee Costa Kenya: Monika Martens ha illustrato i recenti progressi di
questo progetto, che si sviluppa con una intesa tra volontari italiani, tedeschi, austriaci,
del Liechtenstein e della Kenya Scout Association (vedere in particolare la Newsletter n. 1
– 2008).
Progetto Etiopia: Alessandra Carelli, responsabile attuale del progetto, ha descritto gli
sviluppi (costruzione dell’edificio per l’asilo), le difficoltà e gli ostacoli, che ancora vi sono.
Progetto Niger: Antonio informa, a nome dei responsabili del Progetto, circa gli sviluppi:
raccolta fondi, previsto avvio dello scavo del pozzo, ipotesi di un campo di lavoro a Tan
Barogane, in Niger.
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11.
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Progetto Educational: la responsabile Gabriela Cattaneo ha illustrato il lavoro che si
sta svolgendo qui in Italia, sia con le scuole sia con gli adulti, soprattutto scout, per
sensibilizzare sempre più persone sui temi della cooperazione internazionale.
Progetto formazione: Serena Perego, responsabile della formazione dei volontari, ha
dato informazioni sui campi di lavoro che si svolgeranno questa estate sia in Etiopia sia a
Nyandiwa.
Progetto Elimu: Chiara Pozzi ha presentato il progetto e-learning, preparato per la
formazione via internet degli insegnanti dell’area dei Gwassi
Carlo Capello, responsabile per la comunicazione, ha ricordato l’importanza e la
necessità di ricevere dai responsabili dei vari progetti le informazioni da comunicare a tutti
i collaboratori della F.B.
All’incontro erano presenti anche Massimo Di Perna e Gisella Torretta, Segretaria
Regionale del MASCI Lombardia (Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani), la quale ha
ricordato come l’insieme dei progetti della Rete Harambee possano aiutare a sensibilizzare
sempre più gli adulti scout sui temi della mondialità; ha poi espresso il suo desiderio e la
sua volontà, come del resto ha già fatto in questi anni, di rendere sempre più stabile la
collaborazione tra Harambee e Masci.
Si è infine deciso di rivedersi tutti in un prossimo Harambee Day, fissato per la domenica 11
maggio.
Carlo Capello
Notiziario interno della “Fondazione Brownsea” a cura
del Gruppo Comunicazione via Burigozzo 11 - 20122 Milano
fax 02 45490192 - e-mail: [email protected] - web: www.brownsea.it