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“50 anni dalla Firma del Trattato di Roma: le prospettive della
“50 anni dalla Firma del Trattato di Roma: le prospettive della Costituzione europea” Almo Collegio Borromeo Università degli Studi di Pavia Giorgio La Malfa: Il futuro dell’euro 1. Sono molto lieto di questo invito del Collegio Borromeo e sono grato al Rettore per la sua ospitalità. Io ho avuto la fortuna di studiare a Pavia molti anni fa e ho un ricordo straordinario di quegli anni. Da allora non ho mai più avuto occasione di tornare nella mia Università. Considero felice questa circostanza e ringrazio l’amico professor Dario Velo per aver avuto l’idea di organizzare, più o meno nei giorni nei quali si ricorda la firma dei Trattati Europei di Roma del 1957, due mie conferenze su temi europei. Oggi parlerò dell’euro e degli aspetti economici dell’Unione Europea, domani degli aspetti politici e del futuro dell’integrazione europea. 2. Il progetto di istituzione dell’Unione Monetaria Europea costituì il capitolo più importante del Trattato Europeo firmato a Maastricht il 7 febbraio del 1992 ed entrato in vigore, dopo un processo non semplice di ratifica da parte dei paesi membri, il primo gennaio del 1994. Il progetto era stato predisposto da un Comitato istituito dal Consiglio Europeo di Hannover del giugno 1988 e presieduto da Jacques Delors, allora Presidente della Commissione Europea. Delors, con grande intuito politico, aveva chiamato a far parte del Comitato tutti i Governatori delle Banche Centrali degli Stati membri della Comunità Europea – quelli che avrebbero perso il potere nel passaggio dalle monete nazionali alla moneta unica – ed era riuscito a preparare un testo da tutti condiviso. Esso naturalmente nel merito rispecchiava la visione del mondo, della politica monetaria e delle responsabilità delle banche centrali tipiche di quel mondo. Il rapporto finale del Comitato Delors, adottato dal Consiglio Europeo di Strasburgo del dicembre 89 in circostanze su cui avrò modo di fermarmi più avanti, fu poi incluso nel Trattato di Maastricht. 3. Il Trattato delineava un processo in tre tappe per il passaggio alla moneta unica, le prime due destinate alla preparazione delle strutture istituzionali – ed in particolare alla preparazione della Banca centrale Europea – ed alla realizzazione di un sufficiente grado di convergenza economico-finanziaria fra i paesi destinati a entrare a far parte della terza e conclusiva fase dell’UME. Questa fase – stabiliva il Trattato – avrebbe avuto inizio al più tardi il primo gennaio del 1999 e ne avrebbero fatto parte i paesi che avessero realizzato un sufficiente grado di convergenza basato su un certo numero di criteri – i famosi 5 parametri di Maastricht. La terza fase sarebbe stata caratterizzata dalla fissazione “irrevocabile” delle parità fra le valute dei paesi membri e fra queste e l’euro e dal trasferimento della responsabilità della politica monetaria dalle Banche Centrali Nazionali alla BCE. Di fatto la moneta unica è nata il primo gennaio del 1999, anche se materialmente l’euro è stato immesso in circolazione all’inizio del 2002. 4. Alla maggior parte degli osservatori la previsione di un completamento in un così breve giro di anni del processo di unificazione monetaria europea apparve azzardata – una scommessa destinata quasi certamente al fallimento. Troppo complessi apparivano gli adempimenti necessari, troppo distanti le condizioni economico-finanziarie dei vari paesi, troppo forti i sospetti reciproci fra i paesi europei. Del resto un progetto analogo, elaborato all’inizio degli anni ’70 che prevedeva la creazione della moneta unica entro il 1980 era finito nel nulla travolto dal grande disordine finanziario e dalla instabilità dei cambi di quel periodo. I più ottimisti pensavano che l’UME si sarebbe realizzata fra un piccolissimo numero di paesi strettamente legati al marco tedesco – cioè oltre alla Germania, l’Olanda, il Lussemburgo, l’Austria e forse la Francia. Nessuno pensava in quel momento che i paesi mediterranei e sopratutto l’Italia potessero essere inclusi nel primo gruppi di membri definitivi dell’UME. 5. In realtà le cose andarono molto diversamente da come prevedevano gli osservatori. L’Unione Monetaria è nata esattamente nei tempi previsti e ne hanno fatto parte fin dall’inizio 11 degli allora 15 membri dell’Unione Europea. Come è noto due di questi Gran Bretagna e Danimarca stipularono una clausola particolare che consentiva loro di non aderire all’UME se non quando lo volessero. Degli altri due, la Svezia resta fuori volontariamente, mentre la Grecia è entrata in un momento successivo. Oggi è entrata nella terza fase dell’UME anche la Slovenia, uno dei nuovi Stati membri dell’Unione. Altri paesi potrebbero aderire presto. Per la complessità degli adempimenti che sono stati necessari per realizzare l’UME, ma anche e forse sopratutto per l’importanza ed il valore simbolico che ha il trasferimento dagli Stati membri a un organismo sovranazionale come è la BCE delle responsabilità di gestione della moneta – che storicamente è uno degli attributi della sovranità nazionale – la creazione dell’euro può essere considerata come la più significativa delle trasformazioni che hanno avuto luogo nel corso della ormai lunga storia dell’integrazione europea di cui in questi giorni si celebra una tappa fondamentale come fu la firma a Roma dei Trattato istitutivo del Mercato comune. La storia della nascita dell’euro è dunque la storia di un grande successo. Forse è l’ultimo successo dell’Unione viste le difficoltà che incontra il cammino dell’integrazione politica europea che, nella visione di Delors, doveva procedere parallelamente alla creazione della moneta unica e che invece si trascina stancamente dall’inizio degli anni 90. 6. Il successo nella realizzazione dell’Unione Monetaria ha impedito in questi anni una discussione approfondita dei limiti che, pur vi sono, del modo nel quale è stata realizzata la moneta unica, cioè delle regole che la definiscono e la vincolano. A parlare di questo tema si rischia subito l’accusa di scarso europeismo. E’ vero che, per le ragioni su cui tornerò più avanti, probabilmente non vi sarebbe stato il consenso al progetto del paese allora più importante – la Germania – se non a fronte esattamente di queste regole. Ma questa considerazione, forse esatta, ma certo non dimostrabile, non modifica il giudizio sulle regole stesse. E’ altresì evidente che, avendo queste regole trovato espressione in un Trattato che per essere modificato richiede una unanimità fra i paesi firmatari, è molto difficile immaginare che emerga un consenso così pieno da portare a una revisione delle regole. Ma questo argomento non annulla le osservazioni che debbono essere fatte sui limiti del Trattato. 7. Le regole della moneta unica, che riguardano la politica monetaria europea e le politiche di bilancio degli Stati membri, sono molto semplici e possono essere riassunte in breve. · la BCE gode di una assoluta indipendenza dalle autorità politiche nazionali ed europee, garantita dall’art. 107 del Trattato di Maastricht; · il suo obiettivo principale “è il mantenimento della stabilità dei prezzi” (art. 105); · è la stessa BCE a stabilire che cosa si intenda per stabilità dei prezzi e in base a quali criteri valutare se vi sia un rischio a tale stabilità; · la BCE non può finanziare i fabbisogni delle Tesorerie nazionali (art. 104); · i paesi membri assumono l’impegno di mantenere il proprio bilancio dello Stato in attivo o in pareggio (Patto di Stabilità e di Crescita); · la Commissione è chiamata a sorvegliare l’andamento della finanza pubblica dei paesi membri sia sotto il profilo del rapporto fra il deficit e il Prodotto Interno Lordo, sia sotto quello del rapporto fra lo stock del debito e il PIL (art. 104); · qualora il deficit superi il 3% del PIL e il debito il 60%, la Commissione propone al Consiglio Europeo l’adozione di misure progressive per indurre i paesi a rivedere le condizioni di bilancio, fino alla possibilità di imporre delle multe per i trasgressori (art. 104C e Patto di Stabilità). 8. Vale la pena di spiegare come sono nate queste regole e perché sono così rigide. Bisogna qui risalire al 1989, quando il progetto Delors venne trasmesso al Consiglio Europeo. Inizialmente il Consiglio (Madrid giugno 1989) prese atto senza entusiasmo particolare di un progetto così impegnativo. Poi per quelle circostanze che talvolta la storia genera il progetto servì a un altro scopo politico. Ho raccontato questo episodio in un mio libro sull’euro di qualche anno fa sulla scorta delle memorie di vari protagonisti fra cui la signora Thatcher allora Primo Ministro inglese. Il 9 novembre del 1989 cadde il Muro di Berlino. Era evidente la crisi dei regimi comunisti dell’est, ma nessuno prevedeva che il comunismo potesse cadere così all’improvviso e senza lasciare rimpianti. Per tutti noi cresciuti negli anni della guerra fredda, la divisione dell’Europa e della Germania era un dato di fatto, destinato a permanere immodificato nel tempo. Quando cadde il Muro di Berlino, di colpo divenne evidente che la Germania si sarebbe unificata. La reazione fu di panico. La Thatcher racconta nelle memorie di una telefonata di Mitterrand, allora Presidente francese, con cui lei aveva avuto scontri memorabili, che le disse all’incirca “cara amica, nei momenti gravi Francia e Inghilterra debbono essere vicine”. Il nostro Giulio Andreotti, allora Presidente del Consiglio, non perse l’opportunità di uno dei suoi celebri motti di spirito e disse all’incirca: “io amo così tanto la Germania che sono felice ve ne siano due.” Mitterrand convocò una riunione straordinaria dei Capi di Stato e di Governo europei per il 19 novembre, ma qualche giorno prima, Kohl si recò negli Stati Uniti e si fece autorizzare ad aprire un negoziato diretto con l’URSS – che ancora esisteva – per il ritiro delle loro truppe dalla Germania. Andò inoltre davanti al Bundestag ed illustrò un piano in 10 punti per l’unificazione tedesca. Mitterrand e gli altri capirono che l’unificazione tedesca era inevitabile e cercarono uno strumento per riaffermare il legame della Germania con l’Europa: l’euro e la rinuncia al marco da parte della Germania apparvero come il segno di questa continuità ed il progetto acquistò un valore politico che fece sì che le difficoltà tecniche e le riserve dei vari paesi non fossero più sufficienti ad frenarne il cammino. 9. Alla Bundesbank non fu consentito di dissentire, ma solo di pretendere regole che rendessero l’euro il più simile possibile al marco – dunque indipendenza della BCE, attenzione esclusiva al problema dell’inflazione, preferenza per una valuta forte e rivalutata per frenare l’effetto inflativo dei prezzi delle importazioni, piuttosto che debole per favorire le esportazioni. Fu poi fatto uno sforzo di stabilire criteri discriminativi per l’ammissione alla terza fase in modo da escludere, almeno in una fase iniziale, i paesi che presentavano condizioni troppo difformi da quelle della Germania di quegli anni. Il problema fu l’Italia, per il livello dell’inflazione e sopratutto per l’alto e crescente debito pubblico. Noi non eravamo i soli ad avere quei problemi: il debito della Grecia e del Belgio era altissimo, l’inflazione era analoga alla nostra in vari paesi fra cui Germania e Inghilterra. Ma l’Italia era – come è tuttora – considerata un caso a sé stante, un problema di dimensioni tali da poter influire negativamente sugli altri paesi. Il nostro debito pubblico era – e forse è – il 25 % del debito pubblico dei 15 paesi. I parametri di Maastricht furono scritti con l’idea di tener fuori l’Italia, almeno inizialmente. In particolare questa fu la sol ragione per introdurre il rapporto del 60% fra debito e PIL, una cifra per noi irraggiungibile tra il 1992 e il 1998 quando si sarebbero scelti i paesi membri. 10. La storia dell’ingresso italiano nell’UME meriterebbe una conferenza a parte. Ne parlerà il 9 maggio prossimo a Milano il Presidente Ciampi nell’ambito di un ciclo di seminari “I ministri del Tesoro raccontano...” che la Fondazione Ugo La Malfa ha organizzato insieme all’Università Bocconi e al Sole 24Ore. Ma quando nel 1997 gli altri paesi si resero conto che l’Italia sarebbe riuscita in qualche modo a soddisfare le condizioni di convergenza, i tedeschi proposero di estendere al futuro i parametri di finanza pubblica. Nacque così il Patto di Stabilità che nella sua semplicità non distingue, ad esempio, fra l’indebitamento di uno Stato per finanziare le spese correnti, da quella per gli investimenti, come hanno proposto in molti negli scorsi anni, ma senza successo. 11. Funziona bene l’UME? A questa domanda si può rispondere si, se ci si riferisce al funzionamento della BCE o anche alla stabilità valutaria dell’euro: la valuta europea non è soggetta ad ondate speculative destabilizzanti, forse perché la BCE opera bene tecnicamente ed è considerata “ortodossa” nelle sue decisioni. Si può rispondere sì anche facendo riferimento al tasso dell’inflazione, benché io abbia qualche dubbio sul legame fra quantità di moneta ed inflazione. Ma se ci si domanda se funzioni bene l’economia europea, nel senso della crescita e della competitività mondiale, allora la risposta deve essere un po’ diversa, effettuando un confronto non solo con i paesi dell’Asia,ma anche con gli stati Uniti ed anche, fino ad un tempo recente, con la Gran Bretagna e la Norvegia che sono in Europa ma fuori dell’euro. 12. Può la politica monetaria aiutare la crescita reale? Può la spesa pubblica aiutare la crescita? Oggi la maggior parte degli economisti è rifluito su posizioni pre-keynesiane: la politica economica non serve a nulla se non a generare movimenti di breve periodo che si trasformano in inflazione; i mercati finanziari con le loro aspettative rendono impossibile qualsiasi uso degli strumenti keynesiani. Bisogna operare solo dal lato dell’offerta, mediante interventi di liberalizzazione della concorrenza e così via. Io sono assai scettico su queste teorie e sopratutto sulle loro implicazioni pratiche. Come ha scritto saggiamente un economista americano neo-keynesiano, Gregory Mankiw, “la storia del pensiero macroeconomico appare come un pendolo che oscilla fra due visioni dell’economia...sulla destra la visione classica di un’economia ben funzionante…sulla sinistra la visione di un’economia piena di problemi che nascono dai fallimenti del mercato..” Oggi il pendolo è ancora spostato verso destra. Il problema è che quella visione è stata congelata per così dire nel testo di un Trattato, la cui modifica sarà sempre problematica. La mia opinione è che alla lunga se i problemi economici resteranno gravi e l’insoddisfazione elevata, come lo è stata quella che ha portato al NO nei referendum sulla Costituzione in Francia e in Olanda, sarà l’Europa ad essere considerata a torto o a ragione la causa o una delle cause importanti di quelle difficoltà. L’euro può benissimo trasformarsi da simbolo del successo dell’Europa, nel suo contrario, il simbolo delle difficoltà che l’Europa crea ai suoi paesi membri. 13. Più in generale la storia appena iniziata dell’Unione Monetaria e dell’euro fa riflettere su un altro e più complesso problema. Mentre i lavori del Comitato Delors andavano verso la loro conclusione, in un discorso tenuto il 26 gennaio del 1989 davanti al Royal Institute of International Affairs - la prestigiosa Chatham House - l’allora Cancelliere dello Scacchiere inglese, Geoffrey Lawson, concluse seccamente il suo ragionamento dicendo: “L’unione monetaria implica nulla di meno di un governo europeo e un’unione politica: gli Stati Uniti d’Europa. Questo non è nell’agenda oggi e non lo sarà nel prevedibile futuro”. Con quella frase Lawson probabilmente riteneva di mettere una pietra sopra le speranze o le illusioni - secondo il suo punto di vista - di chi considerava matura e possibile l’unificazione monetaria europea. In quella occasione però ad illudersi fu proprio il Cancelliere dello Scacchiere in quanto, come si è visto, Delors riuscì nel suo intento e l’Europa, pur non essendo uno Stato, ha la sua moneta. E tuttavia il quesito di Lawson resta aperto. Io ho il dubbio che sia sostenibile per sempre una situazione in cui la moneta non faccia riferimento a uno Stato. Ma l’Europa non è vicina a divenire uno Stato federale. Forse appariva più vicina a questo obiettivo negli anni ‘80 e ‘90. Può darsi che questa asimmetria renda l’euro più fragile. Può darsi invece che avere contratto un vincolo affettivo in assenza di matrimonio – un DICO? - come potremmo definire la storia della Unione Monetaria Europea, alla fine, si rivelerà come un incentivo potente a regolarizzare l’unione e a trarne tutte le conseguenze giuridiche e politiche. Only time will tell. Grazie.