lingua italiana. morfologia

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lingua italiana. morfologia
ELENA PÎRVU
LINGUA ITALIANA. MORFOLOGIA
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Presentazione del corso
Il presente corso di morfologia italiana, tratto dal nostro volume di
Morfologia italiana, apparso presso Editura Didactică şi Pedagogică di Bucarest nel
2003, si propone di descrivere, attraverso un percorso didattico che faciliti
l’apprendimento della lingua italiana, le parti del discorso – articolo, nome, aggettivo,
pronome, verbo, avverbio, preposizione, congiunzione ed interiezione – fornendo per
alcune di esse indicazioni relative al loro uso e alla posizione assunta all’interno della
frase.
Le prime 4 unità didattiche (l’articolo, il nome, l’aggettivo e il pronome)
riguardano la materia del primo semestre del primo anno di studio, mentre le altre
5 (il verbo, l’avverbio, la preposizione, la congiunzione e l’interiezione)
riguardano la materia del secondo semestre dello stesso anno di studio.
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Indice delle unità didattiche
SEMESTRUL I
p. 9
UD 1. L’articolo
1.1. L’articolo determinativo
1.2. L’articolo indeterminativo
1.3. Usi particolari dell’articolo: L’articolo con i nomi di persona, L’articolo con
i cognomi dei personaggi famosi, L’articolo con i nomi geografici, L’articolo con
i nomi dei giorni e dei mesi, L’articolo con i nomi di parentela, L’articolo con i
nomi stranieri, L’articolo con le sigle
1.4. L’articolo partitivo
1.5. Le preposizioni articolate
p.14
UD 2. Il nome
2.1. Classificazione dei nomi
2.2. Il genere del nome
2.3. La formazione del femminile: I nomi mobili; I nomi indipendenti; I nomi di
genere comune; I nomi di genere promiscuo
2.4. Formazione del plurale: Nomi in -a; Nomi in -o; Nomi in -e
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2.5. Nomi invariabili
2.6. Nomi difettivi
2.7. Nomi sovrabbondanti
2.8. Plurale dei nomi composti
UD 3. L’aggettivo
3.1. Categorie dell’aggettivo
3.2. L’aggettivo qualificativo: Genere e numero dell’aggettivo qualificativo
3.3. Aggettivi qualificativi invariabili
3.4. Posizione dell’aggettivo qualificativo
3.5. Concordanza dell’aggettivo qualificativo
3.6. La struttura degli aggettivi qualificativi
3.7. Gradi dell’aggettivo qualificativo.
3.8. Gli aggettivi determinativi o indicativi
3.8.1. Gli aggettivi possessivi
3.8.2. Gli aggettivi dimostrativi
3.8.3. Gli aggettivi indefiniti
3.8.4. Gli aggettivi interrogativi
3.8.5. Gli aggettivi esclamativi
3.8.6. Gli aggettivi numerali
3.8.6.1. Aggettivi numerali cardinali
3.8.6.2. Aggettivi numerali ordinali
3.8.6.3. Aggettivi numerali moltiplicativi
3.8.6.4. Numerali distributivi, collettivi e frazionari
p.23
UD 4. Il pronome
4.1. Classificazione
4.2. I pronomi personali
4.2.1. I pronomi personali soggetto
4.2.2. I pronomi personali complemento
4.2.3. I pronomi allocutivi
4.2.4. I pronomi personali riflessivi
4.2.4.1. “Si” impersonale e “si” passivante
4.2.5. Forme atone polifunzionali: ci, vi, ne
4.3. I pronomi possessivi
4.4. I pronomi dimostrativi
4.5. I pronomi indefiniti
4.6. I pronomi relativi
4.7. I pronomi interrogativi ed esclamativi
p.36
SEMESTRUL II
UD 5. Il verbo
5.1. Classificazione
5.1.1. Il significato e la funzione dei verbi
5.1.2. Il genere dei verbi: verbi transitivi e verbi intransitivi
5.1.3. La forma del verbo: attiva, passiva e riflessiva
5.2. Le “variabili” del verbo
5.2.1. La persona, il numero e il genere
5.2.2. Il modo
5.2.3. Il tempo
5.3. I verbi di “servizio”
5.3.1. I verbi ausiliari
5.3.2. I verbi servili
5.3.3. I verbi fraseologici
5.3.4. I verbi causativi
5.4. Il verbo secondo la flessione: le coniugazioni
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p.47
5.4.1. La coniugazione dei verbi ausiliari
5.4.2. La coniugazione attiva
5.4.3. La coniugazione passiva
5.4.4. La coniugazione riflessiva
5.4.5. I verbi irregolari
5.5. Uso dei modi e dei tempi
5.5.1. Il modo indicativo e i suoi tempi
5.5.2. Il modo congiuntivo e i suoi tempi
5.5.3. Il modo condizionale e i suoi tempi
5.5.4. Il modo imperativo
5.5.5. L’infinito e i suoi tempi
5.5.6. Il participio e i suoi tempi
5.5.7. Il gerundio e i suoi tempi
UD 6. L’avverbio
6.1. Classificazione degli avverbi
6.2. Gli avverbi di modo
6.3. Gli avverbi di luogo
6.4. Gli avverbi di tempo
6.5. Gli avverbi di giudizio
6.6. Gli avverbi di quantità
6.7. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi
6.8. Gli avverbi presentativi
6.9. I gradi dell’avverbio
p.70
UD 7. La preposizione
7.1. Classificazione
7.2. La preposizione di
7.3. La preposizione a
7.4. La preposizione da
7.5. La preposizione in
7.6. La preposizione con
7.7. La preposizione su
7.8. La preposizione per
7.9. Le preposizioni tra e fra
p.77
UD 8. La congiunzione
8.1. Classificazione
8.2. Le congiunzioni coordinative
8.3. Le congiunzioni subordinative
p.84
UD 9. L’interiezione
8.1. Classificazione
8.2. Le interiezioni proprie
8.3. Le interiezioni improprie
p.87
Domande di riepilogo
p.89
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SEMESTRUL I
UD 1. L’articolo
In questa unità didattica si tratta l’articolo. Sono trattati, in ordine, l’articolo
determinativo, l’articolo indeterminativo, gli usi particolari dell’articolo (l’articolo con i
nomi di persona, l’articolo con i cognomi dei personaggi famosi, l’articolo con i nomi
geografici, l’articolo con i nomi dei giorni e dei mesi, l’articolo con i nomi di parentela,
l’articolo con i nomi stranieri, l’articolo con le sigle, omissione dell’articolo. la posizione
dell’articolo), l’articolo partitivo e le preposizioni articolate
1.1. L’articolo determinativo.
1.2. L’articolo indeterminativo.
1.3. Usi particolari dell’articolo: L’articolo con i nomi di persona, L’articolo con i
cognomi dei personaggi famosi, L’articolo con i nomi geografici, L’articolo con i nomi
dei giorni e dei mesi, L’articolo con i nomi di parentela, L’articolo con i nomi stranieri,
L’articolo con le sigle.
1.4. L’articolo partitivo.
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1.5. Le preposizioni articolate
Obiectivele unităŃii didactice:
– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia articolului în limba
italiană;
– Cunoaşterea formelor şi a regulilor de folosire a articolelor determinativ şi
indeterminativ în limba italiană;
– Cunoaşterea folosirilor speciale ale articolului în limba italiană;
– Cunoaşterea formelor şi a regulilor de folosire a articolului partitiv în limba
italiană;
– Cunoaşterea formelor prepoziŃiilor articulate în limba italiană.
Timp alocat: 6 ore.
1.1. L’articolo determinativo
L’articolo determinativo indica una cosa ben definita, che si presuppone già
nota.
In italiano, l’articolo determinativo si accorda in genere e in numero con il
nome cui si riferisce e presenta forme diverse a seconda di come inizia la parola che
segue (che non è necessariamente il nome a cui l’articolo è sintatticamente collegato).
In particolare, si usano:
- gli articoli il e i, con i nomi maschili, davanti a parole che cominciano per
consonante (eccetto x, y, z, s impura e i gruppi consonantici gn, pn, ps, sc): il bambino - i
bambini, il bravo scolaro - i bravi scolari;
- gli articoli lo e gli, con i nomi maschili, davanti a parole inizianti per s impura,
x, y, z, gn, pn, ps, sc, e davanti alle semivocali i e j: lo sbaglio - gli sbagli, lo psicologo gli psicologi, lo zio - gli zii, lo iato - gli iati, lo gnomo - gli gnomi, lo jugoslavo - gli
jugoslavi.
Davanti a parole inizianti per vocale, l’articolo lo si elide in l’: l’ospite - gli
ospiti.
- gli articoli la e le, con tutti i nomi femminili: la casa - le case, la iena - le iene.
Davanti a parole inizianti per vocale, la forma la si elide in l’: l’amica - le
amiche.
1.2. L’ articolo indeterminativo
L’articolo indeterminativo introduce il nome cui si riferisce lasciandolo su un
piano di genericità e di indeterminatezza:
Quando vieni portami un giornale. (“un giornale qualsiasi”)
In italiano, l’articolo indeterminativo ha soltanto il singolare, maschile e
femminile. Si accorda quindi solo per genere con il nome cui si riferisce e, inoltre,
presenta forme diverse a seconda di come inizia la parola che lo segue immediatamente.
In particolare, si usano:
- l’articolo un, con i nomi maschili singolari, quando la parola che segue inizia
con una vocale o con una consonante diversa da x, y, z, s impura, e dai gruppi gn, pn, ps:
un amico, un ottimo strumento, un ragazzo;
- l’articolo uno, con i nomi maschili singolari, quando la parola che segue
comincia per x, y, z, s impura, gn, pn, ps, oppure per le semivocali i o j: uno sbaglio, uno
xilofono, uno zio, uno studente, uno gnomo, uno pneumatico, uno psicologo, uno iato,
uno jugoslavo;
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- l’articolo una, con i nomi femminili singolari, quando la parola che segue
comincia con una consonante o con le semivocali i e j: una ragazza, una iena, una
jugoslava.
Davanti a una vocale, l’articolo una si elide, ma sempre più raramente, in un’:
un’amica, un’arma, un’attenta lettura.
1.3. Usi particolari dell’articolo
1. Di norma, i nomi propri di persona rifiutano l’articolo: Ho visto Mario e
Franca., Passerò le vacanze con Paola.
Prendono però l’articolo quando:
– sono preceduti da un nome comune o da un aggettivo oppure sono
accompagnati da un’altra forma di determinazione:
l’imperatore Augusto; l’astuto Ulisse;
Tu sei il Roberto che telefona sempre a mia sorella?
Non sei più la Francesca di un tempo!
– sono usati in senso traslato per indicare il titolo di un’opera lirica:
Questa sera danno l’Aida (cioè l’opera lirica di Verdi intitolata Aida).
2. Con i cognomi di uomini al singolare, l’articolo è facoltativo. Attualmente
sembra prevalere l’omissione: Ho incontrato Rossi / Ho incontrato il Rossi.
Invece abbiamo sempre: Ho incontrato Marco Rossi.
Se il cognome si riferisce a un’intera famiglia o a più membri di una famiglia,
l’articolo è obbligatorio, nella sua forma di plurale:
Ho visto i Marini (= la famiglia, i coniugi Marini).
Le Biagi (= le sorelle Biagi) erano sedute al caffé.
Davanti ad alcuni cognomi di personaggi famosi prevale la forma con articolo:
l’Alighieri, l’Alfieri, l’Ariosto, il Tasso, il Metastasio ecc.
Davanti ad altri, invece, prevale la forma senza articolo: Colombo, Garibaldi,
Marconi, Pirandello, Svevo, Verdi, Picasso, Dickens, Pasteur ecc.
Le modalità consacrate dall’uso hanno per lo più imposto l’articolo davanti al
nome dei poeti e dei prosatori italiani e, invece, l’omissione dell’articolo davanti al nome
di personaggi famosi in altre discipline e davanti al nome dei poeti e dei prosatori non
italiani.
L’articolo è necessario se il cognome si riferisce a una donna, italiana o straniera:
la Deledda, la Morante, la Monroe, la Stone ecc.
Tra i nomi geografici, richiedono l’articolo:
– i nomi dei monti: le Alpi, gli Appennini, l’Etna, i Balcani ecc.
– i nomi dei fiumi: il Tevere, l’Arno, il Po, la Senna, il Tamigi ecc.
– i nomi dei laghi, dei mari e degli oceani: il Garda, l’Atlantico ecc.
– i nomi delle regioni, degli stati, dei continenti e delle isole maggiori: il Lazio,
l’Italia, l’Europa, la Sicilia ecc.
Questi nomi, però, di solito rifiutano l’articolo quando sono usati:
– come complemento di specificazione: il re di Svezia; l’ambasciatore di Gran
Bretagna; ma: il presidente degli Stati Uniti.
– o come complemento di luogo introdotto dalla preposizione in: vivere in
Toscana; andare in Francia; ma: recarsi nel Veneto; vivere nelle Marche.
Con i nomi dei giorni della settimana, la presenza o l’assenza dell’articolo
determina un mutamento di significato. Se l’articolo manca, si intendono sottintesi gli
aggettivi “prossimo” o “scorso”, a seconda del contesto:
Lunedì (= lunedì scorso) ho incontrato Mario.
Sabato (= sabato prossimo) andrò in campagna.
Se invece il nome del giorno della settimana è preceduto dall’articolo
determinativo, quest’ultimo diventa sinonimo di “ogni”:
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Il lunedì (= ogni lunedì) vado a Bucarest.
Il sabato (= ogni sabato) è la giornata più faticosa.
I nomi dei mesi sono sempre usati senza articolo:
Febbraio è il mese più breve dell’anno.
Se però sono accompagnati da un aggettivo qualificativo o da un complemento di
specificazione, essi richiedono l’articolo:
Il marzo scorso è stato molto piovoso.
Il novembre di due anni fa sono andata a Torino.
L’articolo si omette davanti ai nomi di parentela al singolare preceduti da un
aggettivo possessivo che non sia loro: mio padre, tua madre, suo fratello, nostra sorella,
vostro nipote (ma: il loro padre, la loro madre ecc.).
L’articolo è invece presente:
– se i nomi di parentela sono al plurale: le mie sorelle;
– quando il nome è accompagnato da un attributo: la mia cara moglie, o da un
complemento di specificazione: il tuo zio di Roma;
– quando il nome di parentela è seguito dal possessivo: lo zio suo;
– con i composti: il mio bisnonno;
– con i diminutivi e gli affettivi: la nostra sorellina, il vostro figliuolo.
Con nonno e nonna l’uso è oscillante, nel senso che si può avere o non avere
l’articolo: la mia nonna o mia nonna.
Con i nomi stranieri, in genere si usa lo stesso articolo che si troverebbe in una
parola italiana iniziante con lo stesso suono: il check-up, il jet, lo smoking, lo champagne.
Davanti ad h che è muta (voci latine e francesi) si usano l’ ed un: l’hôtel, un
hotel. Se è invece aspirata (voci inglesi e tedesche) si usano lo e uno: lo hardware; invece
l’, un si usano nei derivati con suffisso italiano: l’hegeliano.
Davanti a w che corrisponde a v si usano il e un: il würstel, un würstel. Ma anche
se corrisponde alla semiconsonante u, il è molto frequente, invece della forma elisa l’ che
ci aspetteremmo: il weekend; l’articolo indeterminativo è un: un weekend.
Se le sigle iniziano per vocale, qualunque sia la pronuncia, si usano gli articoli l’,
gli, un nel numero e genere richiesto dalla sigla: l’AGIP (Azienda Generale Italiana
Petroli), gli USA (gli Stati Uniti).
Se iniziano per consonante, si hanno due possibilità:
a) Se si pronunciano come una sola parola, la scelta dell’articolo è determinata
dal genere e dal numero della prima parola e, con le sigle maschili, nella forma richiesta
dalla consonante o dalle consonanti iniziali: la FIAT (Fabbrica Italiana Automobili
Torino), le PP.TT. (Poste e Telegrafi), il MEC (Mercato Comune Europeo).
b) Se si pronunciano per lettere distinte, si usano il e un quando il nome della
prima lettera comincia per consonante: il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche).
1.4. L’articolo partitivo
L’articolo partitivo indica una parte indeterminata, una certa quantità di un tutto
divisibile. Indica cioè che la quantità designata dal nome che accompagna non è
considerata nella sua totalità, ma solo in parte.
Formato dall’unione fra l’articolo determinativo e la preposizione di, l’articolo
partitivo presenta tutte le forme articolate della preposizione di: del, dello, della, dell’,
dei, degli, delle.
Al singolare, l’articolo partitivo equivale, per significato, alle espressioni: un po’
di, una certa quantità di, un certo numero di: Ho comprato del pane (= un po’ di pane).
Al plurale, l’articolo partitivo equivale ad alcuni, alcune o qualche e sostituisce il
plurale dell’articolo indeterminativo un, che non esiste: Ho trascorso il tempo leggendo
dei giornali (= alcuni giornali).
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1.5. Le preposizioni articolate
Nell’ambito dei vari complementi che caratterizzano la frase, l’articolo
determinativo è preceduto da una delle preposizioni di, a, da, in, su, con, e si unisce con
esse dando luogo alle cosiddette preposizioni articolate.
Naturalmente, a ogni forma dell’articolo determinativo corrisponde una forma di
preposizione articolata, come appare anche dalla seguente tabella:
Di
A
Da
In
Su
Con
il
del
al
dal
nel
sul
col
lo
dello
allo
dallo
nello
sullo
collo
la
della
alla
dalla
nella
sulla
colla
l’
dell’
all’
dall’
nell’
sull’
coll’
i
dei
ai
dai
nei
sui
coi
gli
degli
agli
dagli
negli
sugli
cogli
le
delle
alle
dalle
nelle
sulle
colle
Per quanto riguarda le preposizioni articolate formate da con, occorre distinguere
tra l’uso scritto e l’uso parlato. Nella lingua scritta si preferiscono in genere le forme
staccate con il, con la, con i ecc.; tra le forme unite si usa ancora col, mentre le altre
hanno un carattere letterario. Nella lingua parlata, invece, prevalgono le preposizioni
articolate col, colla, coi, cogli ecc., che sono più facili da pronunciare:
Quella donna chiacchiera sempre con i passanti.
Le forme articolate della preposizione per si trovano solo nel linguaggio
letterario. Oggi si usano le forme staccate per il, per la ecc.:
Il volo è stato rimandato per la fitta nebbia.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică,
2003, pp. 7-18.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di
linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 149-161.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica
italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 161189.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Indicare gli usi delle forme dell’articolo determinativo.
2. Indicare gli usi delle forme dell’articolo indeterminativo.
3. Come si usa l’articolo con i nomi di persona?
4. Come si usa l’articolo con con i cognomi dei personaggi famosi?
5. Come si usa l’articolo con i nomi geografici?
6. Definire l’articolo partitivo.
7. Indicare le forme delle preposizioni articolate.
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UD 2. Il nome
In questa unità didattica si tratta il nome. Sono trattati, in ordine, i seguenti
argomenti: classificazione dei nomi, il genere del nome, la formazione del femminile (i
nomi mobili; i nomi indipendenti; i nomi di genere comune; i nomi di genere promiscuo),
la formazione del plurale (nomi in -a; nomi in -o; nomi in -e), i nomi invariabili, i nomi
difettivi, i nomi sovrabbondanti ed il plurale dei nomi composti.
2.1. Classificazione dei nomi.
2.2. Il genere del nome.
2.3. La formazione del femminile: I nomi mobili; I nomi indipendenti; I nomi di genere
comune; I nomi di genere promiscuo.
2.4. Formazione del plurale: Nomi in -a; Nomi in -o; Nomi in -e
2.5. Nomi invariabili
2.6. Nomi difettivi
2.7. Nomi sovrabbondanti
2.8. Plurale dei nomi composti
Obiectivele unităŃii didactice:
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– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia substantivului în limba
italiană;
– Cunoaşterea criteriilor de clasificare a substantivelor în limba italiană;
– Cunoaşterea regulilor de formare a femininului substantivelor în limba italiană
şi a clasificării substantivelor din limba italiană în funcŃie de modalităŃile de formare a
femininului;
– Cunoaşterea regulilor de formare a pluralului substantivelor în limba italiană;
– Cunoaşterea substantivelor invariabile, defective, supraabundente şi compuse
din limba italiană.
Timp alocat: 6 ore.
2.1. Classificazione dei nomi
a) A seconda del loro significato, i nomi si dividono in: nomi comuni e nomi
propri, nomi individuali e nomi collettivi, nomi concreti e nomi astratti.
I nomi comuni designano in modo generico ogni possibile entità di una specie,
categoria o classe: studente, professore, fiume, cavallo, zio, sedia ecc.
I nomi propri designano un particolare “individuo” di una specie o categoria:
Marco, Italia, Torino, Europa ecc.
I nomi individuali designano un individuo all’interno della categoria cui
appartiene: Carla, cavallo, immagine ecc.
I nomi collettivi sono nomi che, pur essendo al numero singolare, indicano un
insieme di “individui” appartenenti a una stessa specie: coppia, paio, dozzina, gente,
folla, gregge ecc.
I nomi concreti designano realtà materiali percettibili dai sensi: uomo, gatto,
tavolo, sedia, pioggia, Mario, Tevere ecc.
I nomi astratti designano entità appartenenti alla sfera del pensiero, dei
sentimenti: azioni, gioia, modestia, pace, bellezza, speranza, lealtà, giustizia ecc.
b) A seconda della loro forma o, meglio, in rapporto al modo in cui sono
formati come parole, i nomi possono essere: primitivi, derivati, alterati, composti.
I nomi primitivi sono quei nomi che non derivano da nessun’altra parola: uomo,
leone, casa, fiore, giorno ecc.
I nomi primitivi sono costituiti soltanto dalla radice e dalla desinenza. Essi sono
il punto di partenza per la formazione dei nomi derivati, degli alterati e dei nomi
composti.
I nomi derivati sono quei nomi che derivano da altri nomi:
fiore → fiorista, fioraio, fioriera, fioritura.
La derivazione da nomi primitivi avviene mediante l’aggiunta di un suffisso (fiorista) o un prefisso (in-coscienza).
Taluni nomi derivati presentano tanto un suffisso quanto un prefisso: in-fiorescenza.
I nomi alterati sono i nomi che, mediante appositi suffissi, alterano, cioè
modificano lievemente, il loro significato, in modo da portarlo a esprimere particolari
sfumature qualitative:
ragazzo → ragazzino “ragazzo minuto e/o molto giovane”;
ragazzone “ragazzo grande e grosso”;
ragazzaccio “ragazzo discolo e scapestrato”.
A seconda dei suffissi che li modificano e, quindi, della sfumatura qualificativa
che esprimono, i nomi alterati si dividono in: nomi diminutivi (indicano piccolezza),
nomi vezzeggiativi (indicano piccolezza con una sfumatura di simpatia e di gentilezza):
nomi accrescitivi (indicano grandezza) e nomi peggiorativi (indicano disprezzo o
avversione).
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2.2. Il genere del nome
Rispetto al genere, il nome può essere maschile o femminile.
Per quanto riguarda le persone e gli animali, la classificazione è in relazione al
sesso: lo scrittore, il padre, il leone ecc. / la scrittrice, la madre, la leonessa ecc.
Però ci sono anche dei casi in cui il genere “grammaticale” e il genere “naturale”
non coincidono. Per esempio, i nomi la guardia, la spia, la recluta, la sentinella ecc., pur
essendo femminili sotto il profilo grammaticale, si usano anche per designare uomini.
Con questi nomi, gli eventuali aggettivi e participi passati riferiti a essi devono,
ovviamente, essere accordati al femminile, perché quello che conta è il genere
grammaticale del nome.
Viceversa, vi sono alcuni nomi di persona di genere maschile che designano per
lo più donne, come taluni termini specialistici del linguaggio della musica: il soprano, il
mezzosoprano, il contralto. Gli eventuali aggettivi e participi passati riferiti a questi nomi
devono, naturalmente, essere sempre accordati al maschile, in base al genere
grammaticale del nome.
Per i nomi di cosa, cioè per i nomi che indicano oggetti, concetti astratti o azioni,
la distinzione tra il genere maschile e il genere femminile è puramente convenzionale.
Il genere del nome si determina con l’aiuto del significato e della desinenza.
Secondo il significato, sono di genere maschile:
– i nomi degli alberi: l’abete, il ciliegio, il melo, il pino, il pioppo, l’ulivo ecc.
Però sono femminili: la vite, la palma, la quercia.
– i nomi dei metalli e degli elementi chimici: l’oro, l’argento, il ferro, il bronzo;
l’ossigeno, l’idrogeno, l’uranio ecc.;
– i nomi dei mesi e dei giorni della settimana (tranne la domenica): il bell’agosto,
il freddo dicembre, il lunedì, il sabato ecc.;
– i nomi dei monti, dei mari, dei fiumi e dei laghi: i Carpazi, gli Appennini, il
Mediterraneo, lo Jonio, l’Atlantico, il Po, il Tevere, il Garda ecc.
Tra i nomi dei monti e dei fiumi, sono numerosi anche quelli femminili: le Alpi,
le Dolomiti, le Ande, la Senna, la Loira ecc.
– i nomi dei punti cardinali: il Nord (il Settentrione), il Sud (il Mezzogiorno),
l’Est (il Levante, l’Oriente), l’Ovest (l’Occidente).
Sono, invece, di genere femminile:
– i nomi dei frutti: la pera, l’arancia, ’uva, la pesca, l’albicocca ecc. Sono, però,
numerosi anche i nomi maschili: il limone, il mandarino, il pompelmo.
– i nomi delle scienze e, in genere, delle nozioni astratte: la matematica,
l’astronomia, la linguistica, la bontà, la giustizia, la pace, la fede ecc.;
– i nomi degli Stati e delle regioni: l’Italia, la Francia, la Toscana, le Marche.
Sono maschili: il Belgio, l’Egitto, gli Stati Uniti, il Friuli, il Lazio ecc.;
– i nomi dei continenti, delle città e delle isole: l’Europa, l’Asia, l’affollata
Milano, la Sicilia,ecc. Sono maschili: il Cairo, il Pireo, il Madagascar ecc.
Secondo la desinenza, sono di genere maschile:
– i nomi con la desinenza in -o: il libro, il quadro, il treno, il discorso ecc. Molti
nomi, però, sono femminili pur avendo la desinenza in -o: la mano, la radio, la biro. La
parola eco è femminile al singolare (l’eco, una forte eco) e maschile al plurale (gli echi).
Sono inoltre femminili molti nomi che terminano in -o per effetto di un accorciamento,
come ad esempio: la moto (da motocicletta), l’auto (da automobile) ecc.
– i nomi che terminano con una consonante. Per lo più si tratta di nomi di origine
straniera: il bar, il film, il tram, il gas, lo slogan, il toast, l’ananas. Ma, pur terminando in
consonante, taluni nomi sono femminili perché femminili sono nella loro lingua
originaria: la star, la miss, l’holding ecc.
Sono, invece, femminili:
– i nomi con la desinenza in -a: la ragazza, la sedia, la terra ecc. Sono però
maschili vari nomi derivanti dal greco, specie con la terminazione in -ma: il poema, il
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problema, il teorema, dramma, lo stemma; e alcuni altri, come: il vaglia, il pigiama. Sono
maschili, nonostante la desinenza in -a, anche alcuni nomi propri: Andrea, Cosma ecc.
– i nomi con la desinenza in -i: la crisi, un’analisi, la tesi, la sintesi, l’oasi. Sono
maschili: il brindisi, il bisturi, il safari, l’alibi.
– i nomi che terminano in -tà e tù: la bontà, la verità; la virtù, la gioventù ecc.
Sono maschili alcuni nomi in -ù di origine straniera: il tutù, il caucciù, il tabù.
Osservazione:
I nomi con la desinenza in -e possono essere tanto di genere maschile quanto di
genere femminile: il mare, il dente, il fiume, l’amore ecc.; la neve, la notte, la chiave ecc.
2.3. La formazione del femminile
I nomi di cosa hanno un genere grammaticale fisso, determinato dall’uso
linguistico: essi, perciò, sono sempre maschili o femminili, e non possono subire
trasformazioni nel genere. Invece, i nomi che designano esseri animati possono avere i
due generi, maschile e femminile, a seconda che indichino un essere di sesso maschile o
un essere di sesso femminili.
A seconda di come avviene il passaggio dalla forma maschile alla corrispondente
forma femminile, i nomi che indicano esseri animati si suddividono in:
- nomi mobili: il sarto / la sarta; lo spettatore / la spettatrice;
- nomi indipendenti: il padre / la madre;
- nomi di genere promiscuo: il leopardo maschio / il leopardo femmina;
- nomi di genere comune: il preside / la preside.
La maggior parte dei nomi di esseri animati sono mobili, cioè passano dal
maschile al femminile mediante il cambiamento della desinenza o l’aggiunta di un
suffisso, senza modificare la radice o con modifiche minime determinate dalla necessità
di conservare, ad esempio, il suono velare di c o di g (duca → duchessa). Così:
- I nomi che al maschile terminano in -o passano al femminile prendendo la
desinenza -a: il figlio - la figlia, il gatto - la gatta.
- I nomi che al maschile terminano in -a formano di norma il femminile
aggiungendo al tema il suffisso -essa: il poeta - la poetessa, il duca - la duchessa.
- I nomi che al maschile terminano in -e formano il femminile in due modi
diversi. Alcuni mutano la desinenza -e in -a: il signore - la signora, il padrone - la
padrona.
Altri, per lo più indicanti professioni, cariche o titoli nobiliari e nomi di animali,
aggiungono al tema il suffisso -essa: lo studente - la studentessa, il principe - la
principessa, il leone - la leonessa.
Altri, infine, presentano la stessa forma per il maschile e per il femminile e sono,
quindi, nomi di genere comune: il nipote - la nipote, il cantante - la cantante.
- I nomi che al maschile terminano in -tore (i cosiddetti nomi di agente) formano
il femminile, per lo più, in -trice: lo scrittore - la scrittrice, il pittore - la pittrice.
Il nome dottore presenta al femminile la forma dottoressa.
- I nomi che al maschile finiscono in -sore (anch’essi nomi d’agente) sono
adoperati raramente al femminile, ottenuto aggiungendo la desinenza -itrice alla radice
del verbo da cui derivano: il difensore - la difenditrice, il possessore - la posseditrice.
Professore fa professoressa (questo è l’unico sostantivo in -sore che ha una
forma femminile molto comune nell’uso).
- Formano il femminile al di fuori degli schemi sopra registrati o modificando
sostanzialmente la radice: il dio - la dea, il doge - la dogaressa, l’eroe - l’eroina, l’abate la badessa, il re - la regina, il cane - la cagna, il gallo - la gallina ecc.
Sono detti indipendenti i nomi che presentano la caratteristica di avere forme di
maschile e di femminile derivanti da radici completamente diverse, come in: il padre - la
madre, il toro - la vacca, il marito - la moglie, il fratello - la sorella.
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In questa categoria rientrano anche gli aggettivi celibe (l’uomo non coniugato) e
nubile (la donna non coniugata), che sono spesso usati come sostantivi.
Alla categoria dei nomi di genere comune appartengono:
- alcuni nomi in -e: il nipote - la nipote, il custode - la custode;
- i nomi che rappresentano la forma sostantivata di participi presenti: il cantante la cantante, un insegnante - un’insegnante;
- alcuni nomi in -a: un ipocrita - un’ipocrita, il collega - la collega;
- i nomi in -ista e in -cida: un artista - un’artista, il giornalista - la giornalista,
un omicida - un’omicida, il suicida - la suicida.
I nomi dei primi due gruppi sono ambigeneri non solo al singolare, ma anche al
plurale: il cantante / la cantante - i cantanti / le cantanti.
Per gli altri nomi, invece, la comunanza del genere è limitata esclusivamente al
singolare, giacché nel plurale essi presentano forme diverse per il maschile e per il
femminile: il collega / la collega - i colleghi / le colleghe.
Tra i nomi di animali, alcuni si comportano come nomi mobili (orso / orsa;
leone / leonessa) e altri come nomi indipendenti (fuco / ape; toro / vacca). La maggior
parte dei nomi di animali, però, sono di genere promiscuo, hanno cioè un’unica forma,
maschile o femminile, per indicare tanto il maschio quanto la femmina: la giraffa, la
panterra, la volpe, la rondine ecc.; il corvo, il delfino, il leopardo, il serpente ecc.
In questi casi, per distinguere il genere “naturale” si aggiunge maschio o
femmina: il leopardo maschio / il leopardo femmina; la volpe maschio / la volpe
femmina; oppure: il maschio del leopardo / la femmina del leopardo.
Ci sono poi dei nomi zoologici che possono essere maschili e feminili, sempre
nella medesima forma: il serpe - la serpe, il lepre - la lepre.
Tuttavia il maschile non si usa solo per il maschio e il femminile solo per la
femmina, ma entrambi si adoperano sia per l’uno sia per l’altra. Perciò anche qui, se si
vuole distinguere, bisogna specificare il sesso e dire: il lepre maschio - il lepre femmina,
la lepre maschio - la lepre femmina.
2.4. Formazione del plurale
Dal punto di vista morfologico, la differenza tra i nomi singolari e i nomi plurali
è marcata per lo più da una diversa desinenza. Ma ci sono anche nomi che hanno la
medesima forma al singolare e al plurale (nomi invariabili), nomi privi di singolare o di
plurale (nomi difettivi) e nomi con più forme di singolare o di plurale (nomi
sovrabbondanti).
Il plurale dei nomi si forma, nella maggior parte dei nomi, mutando la desinenza
morfologica del singolare.
Per comodità, a seconda della desinenza del singolare, in italiano i nomi si
suddividono in tre classi: nomi in -a, nomi in -o e nomi in -e.
Nomi in -a. I nomi che al singolare terminano in -a formano il plurale in -i, se
sono maschili, in -e, se sono femminili: il problema - i problemi, la casa - le case.
Osservazioni:
1. I nomi che terminano in -ca e -ga conservano al plurale il suono velare (duro)
della c e della g. Perciò formano il plurale in -chi e -ghi se sono maschili, in -che e -ghe
se sono femminili: il duca - i duchi, il collega - i colleghi, la basilica - le basiliche.
2. I nomi femminili in -cìa e -gìa con i tonica, cioè accentata, formano il plurale
regolarmente, in -cie e -gie, conservando la i: la farmacia - le farmacie, la bugia - le
bugie.
3. I nomi femminili in -cia e -gia con i atona, cioè non accentata, formano il
plurale in -cie e -gie, conservando la i, se le consonanti c e g sono precedute da vocale: la
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camicia - le camicie, la ciliegia - le ciliegie; e in -ce e -ge, perdendo la i, se le consonanti
c e g sono precedute da consonante: la pronuncia - le pronunce, la pioggia - le piogge.
Nomi in -o. I nomi che al singolare terminano in -o prendono al plurale la
desinenza -i: il bambino - i bambini, la mano - le mani.
Osservazioni:
1. I nomi in -co e -go non seguono un comportamento costante nella formazione
del plurale. In linea di massima, se sono piani, cioè accentati sulla penultima sillaba,
conservano il suono velare (duro) delle consonanti c e g, ed escono in -chi e -ghi; se sono
sdruccioli, cioè accentati sulla terzultima sillaba, formano il plurale in -ci e -gi, con la
palatalizzazione: il banco - i banchi, il medico - i medici, il teologo - i teologi.
Fra i nomi piani fanno eccezione: l’amico - gli amici, il nemico - i nemici ecc.
Fra gli sdruccioli, molto più numerosi: il dialogo - i dialoghi, l’incarico - gli
incarichi, il catalogo - i cataloghi ecc.
Molto numerosi sono poi i nomi sdruccioli che presentano entrambe le forme:
chirurgo - chirurgi, chirurghi; stomaco - stomaci, stomachi ecc.
2. Per i nomi uscenti in -logo, in linea di massima, vale la seguente regola pratica:
i nomi in -logo hanno il plurale in -logi se si riferiscono a persone: il sociologo - i
sociologi; e hanno, invece, il plurale in -loghi se si riferiscono a cose: il dialogo - i
dialoghi.
3. I nomi uscenti in -ìo con la i tonica, cioè accentata, formano, senza eccezioni,
il plurale regolarmente in -ìi: lo zìo - gli zìi, il rinvìo - i rinvìi.
4. I nomi uscenti in -io con la i atona, cioè non accentata, formano, invece, il
plurale in -i. In taluni casi la -i- del tema si fonde con la -i della desinenza plurale: il
cambio - i cambi, l’occhio - gli occhi.
Invece nei nomi in cui la -i- del tema è solo un segno grafico con la funzione di
rappresentare il suono palatale della consonante o del gruppo consonantico che precede la
desinenza del singolare -o, tale -i- cade: il figlio - i figli, il bacio - i baci.
5. I nomi uomo, dio e tempio formano il plurale rispettivamente in uomini, dei,
templi, per influenza delle corrispondenti forme latine (homines, dei, templa).
6. Alcuni nomi di genere maschile uscenti in -o diventano al plurale di genere
femminile e assumono la desinenza -a: il paio - le paia, il centinaio - le centinaia ecc.
7. Quasi tutti i nomi femminili uscenti in -o sono invariabili, presentano cioè al
plurale la stessa forma del singolare: la biro - le biro, la moto - le moto.
Nomi in -e. I nomi che al singolare terminano in -e formano il plurale in -i, siano
maschili o femminili: il padre - i padri, la madre - le madri.
Osservazioni:
1. Il nome bue presenta il plurale irregolare buoi.
2. Nei multipli, mille assume una speciale forma di plurale: -mila: tremila.
3. I nomi uscenti in -ie sono, di solito, invariabili. Fanno eccezione i seguenti
nomi, che formano il plurale in -i: l’effigie - le effigi, la superficie - le superfici, la moglie
- le mogli. Esistono anche le forme invariate le superficie e le effigie, ma sono meno
comuni.
2.5. Nomi invariabili
Si chiamano invariabili i nomi che conservano al plurale la stessa forma del
singolare. Per distinguere il numero bisogna affidarsi all’articolo, all’aggettivo, al verbo,
e in generale al contesto.
Appartengono alla categoria dei nomi invariabili:
– i nomi monosillabici terminanti in vocale: il re - i re, la gru - le gru;
– i nomi terminanti in vocale tonica: il caffè - i caffè, la città - le città;
– i nomi delle lettere dell’alfabeto: la effe - le effe, l’acca - le acca;
– i nomi, per lo più di origine straniera, che terminano in consonante: il film - i
film, lo sport - gli sport;
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– i nomi in -i, per lo più femminili: il brindisi - i brindisi, la crisi -le crisi;
– alcuni nomi maschili terminati in -a: il cinema - i cinema, il vaglia - i vaglia;
– quasi tutti i nomi femminili che terminano in -o: la moto - le moto;
Mano, però, forma il plurale regolarmente, in mani.
– i nomi che terminano in -ie, tutti femminili: la serie - le serie.
2.6. Nomi difettivi
I nomi difettivi sono i nomi privi di uno dei due numeri, cioè i nomi che si usano
soltanto al singolare o soltanto al plurale.
a) Sono usati solo al singolare e quindi mancano del plurale:
– la maggior parte dei nomi astratti: il coraggio, la pazienza, l’umiltà, ecc.;
– i nomi degli elementi chimici e dei metalli: il ferro, l’idrogeno, l’uranio, ecc.;
– i nomi che indicano cose uniche in natura: l’universo, l’equatore ecc.;
– certi nomi di feste: il Natale, la Pasqua, la Pentecoste, l’Epifania ecc.;
– alcuni nomi di malattie: il tifo, il morbillo, la peste, la malaria ecc.;
– molti nomi di prodotti alimentari: il grano, il latte, il miele, il mais ecc.;
– alcuni nomi collettivi: la gente, la folla, la plebe, la prole, il fogliame ecc.;
– altri nomi come: il sangue, la sete, la fame, il fiele, il buio ecc.
b) Sono usati solo al plurale e quindi mancano del singolare:
– alcuni nomi che indicano oggetti in cui si possono distinguere due o più parti
uguali: gli occhiali, i calzoni, le forbici, le cesoie ecc.;
– alcuni nomi che indicano un insieme o una pluralità di cose o di azioni: le
stoviglie, i viveri, le spezie, i bronchi, gli spiccioli, le vicinanze, i dintorni ecc.;
– i nomi che già in latino mancavano del singolare: le esequie, le tenebre ecc.
2.7. Nomi sovrabbondanti
Si chiamano sovrabbondanti alcuni nomi con doppia forma di singolare o
plurale, spesso con significato diverso.
a) Sono sovrabbondanti nel singolare, cioè presentano una doppia forma di
singolare, alcuni nomi maschili che accanto alla forma in -iero presentano anche la forma
in -iere. Le due forme hanno lo stesso significato, ma solo la prima è adoperata
comunemente, mentre l’altra è di uso solo letterario:
il forestiero / il forestiere - i forestieri
il destriero / il destriere - i destrieri
il nocchiero / il nocchiere - i nocchieri
b) Un ristretto numero di nomi presenta una doppia forma sia al singolare che al
plurale. Appartengono a questa categoria:
l’orecchio / l’orecchia - gli orecchi / le orecchie
la strofa / la strofe - le strofe / le strofi
il frutto / la frutta - i frutti / le frutta, le frutte
il rigo / la riga - i righi / le righe
il legno / la legna - i legni / le legne, le legna ecc.
c) Presentano due forme di plurale parecchi nomi maschili uscenti in -o che,
oltre il plurale normale in -i, ne hanno un altro con desinenza in -a, di genere femminile.
Quanto al significato, la forma di plurale maschile ha, di solito, significato figurato,
mentre la forma di plurale femminile viene usata in senso proprio; tuttavia nell’italiano di
oggi tale differenza non è osservabile in tutti i casi.
I principali nomi maschili in -o con due forme di plurale sono:
il braccio
- i bracci (di un fiume, di una poltrona ecc.)
- le braccia (del corpo umano)
il cervello
- i cervelli (gli ingegni, le menti)
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il ciglio
il corno
il dito
il filamento
il filo
il fondamento
il fuso
il gesto
il ginocchio
l’osso
l’urlo
il vestigio
- le cervella (materia cerebrale)
- i cigli (di una strada, di un fosso)
- le ciglia (degli occhi)
- i corni (strumenti musicali)
- le corna (degli animali)
- i diti (considerati distintamente l’uno dall’altro)
- le dita (della mano, considerate nel loro insieme)
- i filamenti / le filamenta (senza differenza di significato)
- i fili (dell’erba, della luce ecc.)
- le fila (di una congiura, del formaggio fuso)
- i fondamenti (di una scienza)
- le fondamenta (di una costruzione)
- i fusi (rocchetti della filatura; i fusi orari)
- le fusa (in frasi come: il gatto fa le fusa)
- i gesti (i movimenti)
- le gesta (le imprese)
- i ginocchi / le ginocchia (senza differenza di significato)
- gli ossi (di un animale macellato)
- le ossa (l’ossatura di un essere vivente)
- gli urli (soprattutto degli animali)
- le urla (dell’uomo)
- i vestigi / le vestigia (senza differenza di significato)
2.8. Plurale dei nomi composti
Il comportamento dei nomi composti per quanto riguarda il passaggio dal
singolare al plurale cambia secondo il tipo di parole da cui sono costituiti. I casi più
comuni sono:
a) sostantivo + sostantivo
I nomi formati da due sostantivi mutano nel plurale soltanto la desinenza del
secondo termine: il cavolfiore - i cavolfiori, la ferrovia - le ferrovie
Per quanto riguarda i nomi composti con la parola capo, si può dire che:
– in quelli sentiti ormai come nomi semplici, il plurale si forma modificando solo
la desinenza finale: il capolavoro - i capolavori;
– in quelli in cui l’elemento capo significa “colui che è capo di ...” si mette al
plurale il primo elemento: il capoufficio - i capiufficio;
– quando capo significa “colei che è capo di ...”, cioè il composto è femminile,
rimane invariato al plurale: la capoclasse - le capoclasse.
b) sostantivo + aggettivo
I nomi composti da un sostantivo seguito da un aggettivo trasformano in plurale
entrambe le parole componenti: il caposaldo - i capisaldi, la cassaforte - le casseforti.
c) aggettivo + sostantivo
I nomi composti formati da un aggettivo seguito da un nome, al plurale, di norma,
modificano solo la desinenza del secondo elemento, se il nome composto è maschile: il
bassorilievo - i bassorilievi.
Se il nome composto da un aggettivo e un nome è femminile, in genere entrambi
gli elementi assumono la desinenza del plurale: la malalingua - le malelingue.
d) aggettivo + aggettivo
I nomi composti da due aggettivi formano il plurale cambiando la desinenza
finale: il sordomuto - i sordomuti.
e) verbo + sostantivo
I nomi formati da un verbo e un sostantivo si comportano in maniera diversa a
seconda che il sostantivo sia singolare o plurale. Se il sostantivo è plurale, il nome
composto resta invariato: l’accendisigari - gli accendisigari.
Se il sostantivo è singolare, il nome composto può assumere la desinenza del
plurale o rimanere invariato.
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Assume la desinenza del plurale quando il sostantivo componente è di genere
maschile: il parafulmine - i parafulmini.
f) verbo + verbo o verbo + avverbio
I nomi costituiti da due forme verbali o da una forma verbale e un avverbio sono
invariabili al plurale: il saliscendi - i saliscendi, il posapiano - i posapiano.
g) preposizione o avverbio + sostantivo
I nomi formati da una preposizione o un avverbio e un sostantivo formano il
plurale in modo vario.
Se il nome è dello stesso genere del nome che entra in composizione, il composto
modifica la desinenza del nome: il dopopranzo - i dopopranzi.
Se il nome che entra in composizione è femminile, il composto rimane invariato:
il doposcuola - i doposcuola.
h) nomi formati da più di due elementi
I nomi formati da più di due elementi formano il plurale in modo vario e quindi
non è possibile individuare una norma precisa. Ad esempio: il ficodindia fa i fichidindia,
modificando la desinenza del primo nome; il pomodoro presenta ben tre forme di plurale,
tutte ugualmente accettabili: pomodori (preferibile), pomidoro e pomidori.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică,
2003, pp. 19-38.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di
linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 170-208.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica
italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 103159.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come formano il femminile i nomi maschili in -o?
2. Come formano il femminile i nomi maschili in -a?
3. Cosa sono i nomi indipendenti?
4. Cosa sono i nomi di genere comune?
5. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -a?
6. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -o?
7. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -e?
8. Quali sono i nomi invariabili?
9. Illustrare il gruppo dei nomi con due forme di plurale.
10. Come si forma il plurale dei nomi composti?
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UD 3. L’aggettivo
In questa unità didattica si tratta per primo l’aggettivo qualificativo, poi gli
aggettivi determinativi o indicativi, fermandosi sugli aspetti essenziali delle loro
forme e del loro uso.
3.1. Categorie dell’aggettivo
3.2. L’aggettivo qualificativo: Genere e numero dell’aggettivo qualificativo
3.3. Aggettivi qualificativi invariabili
3.4. Posizione dell’aggettivo qualificativo
3.5. Concordanza dell’aggettivo qualificativo
3.6. La struttura degli aggettivi qualificativi
3.7. Gradi dell’aggettivo qualificativo.
3.8. Gli aggettivi determinativi o indicativi
3.8.1. Gli aggettivi possessivi
3.8.2. Gli aggettivi dimostrativi.
3.8.3. Gli aggettivi indefiniti.
3.8.4. Gli aggettivi interrogativi.
3.8.5. Gli aggettivi esclamativi.
3.8.6. Gli aggettivi numerali
3.8.6.1. Aggettivi numerali cardinali
3.8.6.2. Aggettivi numerali ordinali
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3.8.6.3. Aggettivi numerali moltiplicativi
3.8.6.4. Numerali distributivi, collettivi e frazionari
Obiectivele unităŃii didactice:
– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia adjectivului în limba
italiană;
– Cunoaşterea criteriilor de clasificare a adjectivelor în limba italiană;
– Cunoaşterea regulilor de formare a femininului şi a pluralului adjectivelor în
limba italiană;
– Cunoaşterea regulilor care coordonează poziŃia şi acordul adjectivului cu
substantivul în limba italiană;
– Cunoaşterea modalităŃilor de formare a gradelor de comparaŃie ale adjectivului
în limba italiană;
– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia adjectivelor
determinative în limba italiană;
Timp alocat: 8 ore.
3.1. Categorie dell’aggettivo
In base al tipo di informazione che aggiungono al nome, gli aggettivi vengono
tradizionalmente distinti in aggettivi qualificativi e aggettivi determinativi (o
indicativi).
Gli aggettivi qualificativi sono quelli che si aggiungono al nome per segnalarne
una particolare qualità: bello, brutto, grande, piccolo, ricco, povero ecc.
Gli aggettivi determinativi o indicativi sono quelli che si aggiungono a un
nome per meglio specificarlo, attraverso una determinazione possessiva, dimostrativa,
indefinita, numerica, interrogativa o esclamativa.
3.2. L’aggettivo qualificativo: Genere e numero dell’aggettivo qualificativo
Per quanto riguarda il genere e il numero, l’aggettivo qualificativo si comporta in
maniera del tutto analoga al nome. Possiamo distinguere quattro classi di aggettivi
qualificativi:
- alla prima classe appartengono gli aggettivi che presentano quattro desinenze,
cioè gli aggettivi che cambiano la forma a seconda del genere e del numero, e presentano
le desinenze: -o, per il maschile singolare; -i, per il maschile plurale; -a, per il femminile
singolare; -e, per il femminile plurale: un ragazzo alto - dei ragazzi alti; una ragazza alta
- delle ragazze alte.
- alla seconda classe appartengono gli aggettivi che cambiano la forma solo a
seconda del numero, e presentano due desinenze: -e, per il maschile e il femminile
singolare, rispettivamente -i, per il maschile e il femminile plurale: un uomo intelligente degli uomini intelligenti; una donna intelligente - delle donne intelligenti.
- alla terza classe appartengono gli aggettivi che al singolare escono in -a, sia al
maschile sia al femminile, e al plurale distinguono il maschile (in -i) dal femminile (in e): un uomo egoista - degli uomini egoisti; una donna egoista - delle donne egoiste.
A questa classe appartengono gli aggettivi in: -ista (pessimista), -asta
(entusiasta), -ita (ipocrita), -cida (omicida) e -ota (idiota).
- la quarta classe è formata dagli aggettivi invariabili.
Osservazioni:
1. Gli aggettivi in -co (con il femminile in -ca) formano il plurale:
- in -chi (femm. -che) se sono piani, cioè accentati sulla penultima sillaba: bianco
– bianchi, bianca – bianche.
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- in -ci (femm. -che) se sono sdruccioli, cioè accentati sulla terzultima sillaba:
acustico – acustici, acustica – acustiche.
Fanno eccezione:
a) Fra gli aggettivi piani: amico - amici, greco - greci, nemico - nemici ecc.
b) Fra gli aggettivi sdruccioli: carico – carichi, dimentico – dimentichi,
intrinseco - intrinsechi (o, anche, intrinseci).
2. Gli aggettivi in -go (femm. -ga) formano il plurale in -ghi (femm. -ghe):
analogo – analoghi, analoga – analoghe.
Fanno eccezione gli aggettivi in -logo e in -fago, che al maschile plurale
finiscono in -logi e -fagi (il femm. plurale è regolare, in -loghe e -faghe): antropofago –
antropofagi, antropofaga – antropofaghe.
3. Gli aggettivi in -io formano il plurale maschile:
- con una sola -i, se la -i- del gruppo -io è atona: serio – seri;
- con la doppia -i, se la -i- del gruppo -io è tonica: natio – natii.
4. Gli aggettivi in –cio, -gio fanno il plurale in -ci, -gi: riccio – ricci, saggio –
saggi. 5. Gli aggettivi femminili in -cia e in -gia formano il plurale femminile:
- in -cie e in -gie se la c e la g sono precedute da vocale: fradicia – fradicie;
- in -ce e in -ge se c, g sono precedute da consonante: riccia - ricce, saggia sagge.
6. Gli aggettivi composti, nati cioè dall’unione di due aggettivi, formano il
femminile e il plurale solo nel secondo aggettivo: sordomuto – sordomuti, sordomuta –
sordomute.
3.3. Aggettivi qualificativi invariabili
Alla categoria degli aggettivi invariabili appartengono:
1. gli aggettivi in -i, cioè l’aggettivo pari e i suoi derivati, impari e dispari: un
numero pari, due cifre pari.
2. gli aggettivi indicanti colore che derivano da sostantivi: viola, rosa ecc.
3. gli aggettivi usati in coppia per indicare gradazione di colore: verde pastello,
rosso scuro, rosa pallido: una blusa verde pastello, due vestiti verde pastello.
4. gli aggettivi di origine straniera e gli aggettivi terminanti in consonante o in
vocale accentata: blu, zulù ecc.: il cielo blu, le acque blu.
5. le locuzioni avverbiali usate come aggettivi: dabbene, perbene, dappoco: un
uomo dappoco, una donna dappoco.
6. alcuni aggettivi di recente formazione composti da anti- e un sostantivo:
antiruggine, antinebbia, antifurto, antiurto ecc.: strato antiruggine, fari antinebbia.
7. l’infinito attributivo avvenire: negli anni avvenire.
8. l’aggettivo arrosto: pollo arrosto, galline arrosto.
3.4. Posizione dell’aggettivo qualificativo
Quando è in funzione di predicato e fa quindi parte del gruppo verbale,
l’aggettivo qualificativo si colloca sempre dopo il verbo: Laura è bionda.
Se però si vuole dare all’aggettivo particolare risalto, esso può anche essere posto
davanti al verbo: Stupido sei stato, non furbo!
Usati in funzione di attributo, in italiano, molti aggettivi qualificativi possono
essere collocati sia prima sia dopo il nome cui si riferiscono. La loro collocazione, però,
non è indifferente: in parte dipende da scelte espressive personali e in parte va soggetta a
precise norme e la posizione dell’aggettivo influisce sempre sul significato del gruppo del
nome. Generalmente:
– gli aggettivi posti dopo il nome cui si riferiscono hanno un valore
denotativo/referenziale, caratterizzante, restrittivo; individuano il nome a cui si
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riferiscono come l’unico dotato di una certa qualità, tra gli altri appartenenti alla stessa
categoria: L’albero vecchio ha ceduto.
– gli aggettivi posti davanti al nome cui si riferiscono hanno un valore
descrittivo, accessorio, non restrittivo; esprimono qualità già risapute, o implicano
giudizi soggettivi del parlante o una scelta stilistica: Il vecchio albero ha ceduto.
3.5. Concordanza dell’aggettivo qualificativo
L’aggettivo qualificativo concorda in genere e in numero con il sostantivo cui si
riferisce: Ho comprato una bicicletta nuova.
Se l’aggettivo si riferisce a più sostantivi, si distinguono i seguenti casi:
– se i sostantivi sono di genere maschile, l’aggettivo si mette al maschile plurale:
Ho acquistato un tappeto e un quadro preziosi.
– se i sostantivi sono di genere femminile, l’aggettivo si mette al femminile
plurale: Luisa è una ragazza di capacità ed intelligenza acute.
– se i sostantivi sono di genere diverso, l’aggettivo si mette al maschile plurale,
se è usato in funzione di predicato: Carlo e Luisa sono stanchi.
– se invece è usato in funzione di attributo, l’aggettivo si può mettere al maschile
plurale: Ho comprato un cappotto e una giacca neri, oppure si può concordare con il
sostantivo più vicino: Ho comprato scarpe e guanti neri.; Ho comprato guanti e scarpe
nere.
3.6. La struttura degli aggettivi qualificativi
Dal punto di vista della struttura, gli aggettivi qualificativi, come i nomi,
possono essere: primitivi, derivati, alterati e composti.
Gli aggettivi qualificativi primitivi o semplici sono quelli che hanno una forma
propria non derivata da altre parole: bianco, avaro, vecchio ecc.
Gli aggettivi qualificativi derivati sono quelli che “derivano” da un’altra parola:
mortale, poetico, solare ecc.
Tra i suffissi aggettivali italiani ricordiamo:
-abile “che può essere”: amabile, abitabile;
-ano “nativo di”, “relativo a”: italiano; dannunziano;
-ante “che produce”: abbagliante, bruciante;
-ario “relativo a”; qualità: ferroviario, necessario;
-esco “che è tipico di”: pazzesco, dantesco;
-ese “che è originario di”: cinese, veronese;
-ino “originario di”: trentino, vicentino;
-ubile “che può essere”: solubile;
-uto “fornito di”: paffuto, panciuto ecc.
Gli aggettivi qualificativi alterati sono quelli che, mediante particolari suffissi,
si possono modificare in modo tale da esprimere sfumature delle qualità di cui sono
portatori.
I suffissi alterativi degli aggettivi qualificativi, come quelli dei nomi, si dividono
in: diminutivi (-ino: bello → bellino, -etto: piccolo → piccoletto, -ello: povero →
poverello, -icello: grande → grandicello, -olino: magro → magrolino), – vezzeggiativi (uccio: caldo → calduccio, -otto: basso → bassotto, -ello: cattivo → cattivello, -acchiotto:
furbo → furbacchiotto), accrescitivi (-one: pigro → pigrone, -accione: sporco →
sporcaccione, -acchione: furbo → furbacchione), peggiorativi o dispregiativi (accio:
avaro → avaraccio, astro: rosso → rossastro) e attenuativi (-astro: bianco →
biancastro, -iccio: rosso → rossiccio, -occio: grasso → grassoccio, -ognolo: amaro →
amarognolo).
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Gli aggettivi qualificativi composti sono gli aggettivi formati dall’unione di due
aggettivi: sacrosanto, italo-americano.
3.7. Gradi dell’aggettivo qualificativo
Poiché una persona o una cosa possono avere una certa qualità in misura uguale,
maggiore, minore o massima rispetto a un’altra persona o cosa, l’aggettivo qualificativo
ha tre gradi: positivo, comparativo e superlativo.
Il grado positivo si ha quando l’aggettivo esprime solo l’esistenza della qualità
senza indicarne la misura: Leggo un libro interessante.
Il grado comparativo stabilisce un paragone fra due termini rispetto a una
medesima qualità o un confronto fra due qualità riferite allo stesso termine. Può essere di
tre tipi: di uguaglianza, di maggioranza e di minoranza.
Il comparativo di uguaglianza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è
presente in misura uguale nei due termini di paragone e si forma con l’aiuto delle
particelle correlative (così)... come, (tanto)... quanto: Lucia è simpatica come sua
sorella; Luigi è così onesto come buono; Carlo è tanto ricco quanto avaro.
Quando la comparazione fatta tra due sostantivi si riferisce a quantità si usa la
formula tanto... quanto, però in questo caso tanto e quanto concordano con i sostantivi ai
quali si accompagnano: Luisa compra tanti cappelli quante sciarpe.
Il comparativo di maggioranza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è
presente in misura maggiore nel primo che nel secondo termine di paragone e si forma
con l’aiuto delle particelle correlative più... di, più... che: Mario è più alto di Luigi; Anna
è più simpatica che bella.
La formula più... di si usa quando il paragone si realizza fra due termini, rispetto
a una stessa qualità. La preposizione di si usa anche davanti all’avverbio quanto: Gino è
più veloce di Aldo; Questo ristorante è più costoso di quanto pensassi.
La formula più... che si usa quando il paragone si riferisce allo stesso termine e si
realizza fra due sostantivi, due aggettivi, due verbi al modo infinito o due avverbi, o due
pronomi retti da preposizione: Ho avuto più gioie che dispiaceri; Ha dato più ragione a
Luisa che a Marco; Mi piace più ascoltare che parlare.
Il comparativo di minoranza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è
presente in misura minore nel primo che nel secondo termine di paragone e si forma con
l’aiuto delle particelle correlative meno... di, meno... che: La rosa è meno profumata del
gelsomino; È meno facile salire che scendere. Le particelle correlative meno... di,
meno...che si usano nelle stesse condizioni come più... di, più... che.
Il grado superlativo dell’aggettivo indica che una determinata qualità è
posseduta al massimo grado o comunque in misura molto elevata e può essere relativo o
assoluto.
Il superlativo relativo indica che una qualità è posseduta al massimo
(superlativo relativo di maggioranza) o al minimo grado (superlativo relativo di
minoranza) relativamente a un determinato gruppo di persone o cose.
Si differenzia formalmente dal comparativo di maggioranza o di minoranza per la
presenza dell’articolo determinativo davanti all’avverbio più (o meno) quando l’aggettivo
precede il nome, o al nome cui l’aggettivo si riferisce se l’aggettivo è posposto: Leopardi
è il più grande poeta italiano dell’Ottocento; Luisa è la persona meno adatta per questo
lavoro.
Se il termine di confronto collettivo plurale è espresso esplicitamente, questo è
introdotto dalla preposizione di o, meno spesso, tra, fra: Carlo è il più fortunato di tutti.
Il superlativo assoluto indica che una qualità è posseduta al massimo grado,
indipendentemente da ogni confronto e da ogni termine di riferimento. Si può formare:
a) aggiungendo il suffisso -issimo all’aggettivo di grado positivo privato della
vocale finale: alt(o) - altissimo, felic(e) - felicissimo, malevolo - malevolentissimo
b) premettendo all’aggettivo di grado positivo un avverbio, che ne rafforza il
significato, come molto, assai, decisamente, incredibilmente, estremamente, oltremodo:
I miei amici ti hanno trovato molto simpatico.
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c) ripetendo l’aggettivo di grado positivo: La mia città è grande grande grande.
d) premettendo all’aggettivo di grado positivo prefissi come arci-, ultra-, extra-,
stra-, super-, sopra-, iper- ecc.: contento – arcicontento, rapido – ultrarapido ecc.
e) rafforzando l’aggettivo positivo con un altro aggettivo o con un sostantivo di
significato analogo; in questo caso, però, è necessario utilizzare certe “formule” che
fanno parte delle espressioni idiomatiche della lingua italiana: stanco morto =
stanchissimo, buio pesto = molto buio, pieno zeppo = pienissimo ecc.
3.8. Gli aggettivi determinativi o indicativi
A seconda del tipo di determinazione che esprimono, gli aggettivi determinativi
o indicativi si distinguono in: possessivi, se esprimono una determinazione di possesso;
dimostrativi, se indicano una posizione nello spazio; indefiniti, se indicano una quantità
generica; interrogativi, se esprimono una determinazione interrogativa; esclamativi, se
esprimono una determinazione esclamativa; numerali, se indicano una quantità precisa o
un ordine in una serie numerica.
3.8.1. Gli aggettivi possessivi
L’aggettivo possessivo ha le seguenti forme:
I persona singolare
II persona singolare
III persona singolare
I persona plurale
II persona plurale
III persona plurale
mio
tuo
suo
nostro
vostro
Maschile
miei
tuoi
suoi
nostri
vostri
loro
mia
tua
sua
nostra
vostra
femminile
mie
tue
sue
nostre
vostre
loro
La lingua italiana possiede anche gli aggettivi possessivi proprio e altrui.
Proprio (propria, propri, proprie), che è anche aggettivo qualificativo e può
avere funzione di avverbio, esprime l’idea di possesso in modo molto netto e preciso e si
usa:
- in sostituzione degli aggettivi possessivi suo e loro, con riferimento al soggetto,
specialmente quando questi potrebbero creare equivoci non indicando chiaramente il
possessore: Luigi si è intrattenuto con Luca nel proprio ufficio (= nell’ufficio di Luigi
stesso).
- per rafforzare l’aggettivo possessivo, quando si sottolinea il senso di proprietà o
il valore affettivo del possesso: Ho dipinto la casa con le mie proprie mani.
- obbligatoriamente, nelle costruzioni impersonali: Si deve fare il proprio dovere.
- preferibilmente, nelle frasi che hanno come soggetto un pronome indefinito:
Tutti possono esprimere il proprio pensiero.
Altrui è un aggettivo possessivo indefinito che si usa soltanto in riferimento a
persona. È invariabile e solitamente viene posto dopo il nome: Dobbiamo rispettare le
opinioni altrui.
3.8.2. Gli aggettivi dimostrativi
Gli aggettivi dimostrativi precisano la posizione dell’oggetto e della persona cui
si riferiscono rispetto a chi parla o a chi ascolta. Sono sempre anteposti al nome o
all’aggettivo che eventualmente lo precede. Non sono mai preceduti dall’articolo.
In italiano, gli aggettivi dimostrativi sono questo, quello e codesto: concordano
con il nome cui si riferiscono e presentano forme variabili nel genere e nel numero:
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singolare
maschile
questo
codesto
quello, quel
femminile
questa
codesta
quella
maschile
questi
codesti
quegli, quei
plurale
femminile
queste
codeste
quelle
a) Questo è usato per indicare ciò che sta vicino a chi parla. Al maschile e
femminile singolare questo si può elidere davanti a vocale, ma al plurale non si elide mai:
quest’anno / questo anno - questi anni, quest’amica / questa amica - queste amiche. In
alcuni composti la forma femminile questa diventa sta: stamattina, stasera, stavolta.
b) Codesto (meno comune cotesto) è usato per indicare ciò che è vicino a chi
ascolta; il suo uso è limitato alla Toscana e al linguaggio letterario e burocratico. Nella
lingua comune viene sostituito da questo: Portami codesto foglio che hai in mano; In
codesta occasione non ti sei comportato bene; Codesto discorso non è da te.
c) Quello è usato per indicare ciò che è lontano sia da chi parla sia da chi ascolta:
Conosci quel signore?; Quell’anno al mare siamo stati proprio bene.
Al maschile, sia singolare sia plurale, quello presenta forme diverse a seconda di
come inizia il sostantivo cui è legato, comportandosi in modo del tutto analogo
all’articolo determinativo: il silenzio - quel silenzio, lo studente - quello studente, l’amico
- quell’amico, i cavalli - quei cavalli, gli abiti - quegli abiti.
L’elisione della forma femminile quella davanti a vocale è facoltativa:
quell’amica / quella amica - quelle amiche.
Altri aggettivi dimostrativi
a) Stesso e medesimo. Sono chiamati dimostrativi di identità o identificativi,
perché indicano identità più o meno completa fra due elementi. Fra stesso e medesimo, il
secondo è meno comune e di tono più letterario.
Variabili nel genere e nel numero, hanno il significato di “uguale, identico”,
stanno sempre prima del nome e, diversamente dai dimostrativi, possono essere preceduti
dall’articolo: Ho lo stesso posto dell’anno scorso; Mario dice sempre le medesime cose.
Stesso e medesimo possono avere anche valore rafforzativo; in questo caso si
pospongono generalmente al termine cui si riferiscono e significano “perfino, proprio lui,
lui in persona”: Il suo valore è riconosciuto dagli avversari stessi; Il presidente medesimo
si congratulò con loro.
b) L’aggettivo indefinito tale e gli aggettivi simile e siffatto sono aggettivi
dimostrativi identificativi quando significano “questo”, “quello”, “di questo tipo”, “di
questa natura”: Non dire più tali sciocchezze; Un simile comportamento è indegno di te;
Non posso rispondere a siffatte domande.
3.8.3. Gli aggettivi indefiniti
Gli aggettivi indefiniti si uniscono a un nome per esprimere un’idea più o meno
vaga di quantità o di qualità. Di norma, salvo casi particolari descritti di volta in volta,
rifiutano l’articolo e sono preposti al nome e all’aggettivo che, eventualmente, li
accompagna.
Gli aggettivi indefiniti sono abbastanza numerosi e di uso frequente, ed anche
molto diversi fra loro. Per questo motivo, la loro classificazione non è facile. Ve ne sono
infatti:
– alcuni che indicano una unità indefinita: ogni, ciascuno, qualunque, qualsiasi,
qualsivoglia, nessuno;
– altri che indicano una pluralità indefinita: qualche, alcuno;
– altri che al singolare indicano l’unità indefinita, e al plurale la pluralità
indefinita: certo, tale, certuno, taluno;
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– altri che indicano una quantità indefinita: poco, alquanto, parecchio, molto,
tanto, troppo, altrettanto, tutto, altro, diverso, vario.
Ogni
È invariabile e indica una totalità di persone o di cose considerate singolarmente;
precede il nome cui si riferisce e si usa solo unitamente a nomi al singolare.
Ciascuno
È variabile solo nel genere e ha lo stesso significato di ogni, di cui è meno usato:
Ciascun ragazzo ha ricevuto un libro.
Al maschile, ciascuno subisce il troncamento in ciascun davanti a vocale e a
consonante semplice: ciascun uomo, ciascun ragazzo, ciascuno studente.
Al femminile si può elidere davanti a vocale: ciascun’amica o ciascuna amica.
Qualunque
È invariabile e significa “quale che sia”, “di qualsiasi tipo”. Indica gli elementi
singoli di una totalità, scelti casualmente, senza particolari preferenze.
Di norma precede il nome singolare; se lo segue (in tal caso può riferirsi anche a
nomi plurali), gli conferisce una sfumatura di significato spregiativo.
Qualunque può inoltre collegare due proposizioni, assumendo il valore di un
relativo; in questo caso si costruisce normalmente con il congiuntivo:
Qualunque persona venisse, avvertimi.
Qualsiasi
È invariabile e ha lo stesso significato di qualunque. Si accompagna di solito a
nomi singolari.
Come qualunque, può essere preceduto dall’articolo indeterminativo e può essere
posposto al nome, assumendo spesso, in tal caso, un significato spregiativo.
Qualsivoglia
È invariabile e ha lo stesso significato e le stesse modalità d’uso di qualsiasi, ma
si adopera con frequenza molto minore in quanto appartiene al livello letterario della
lingua.
Nessuno
È variabile solo nel genere; ha valore negativo e significa “non uno”, “neppure
uno”.
Si elide e si tronca come ciascuno:
nessun ragazzo, nessun uomo, nessuno studente
nessuna ragazza, nessun’amica / nessuna amica
Quando sta davanti al verbo non ammette la negazione:
Nessun cliente si è lamentato.
Quando è posposto al verbo, è obbligatorio introdurre la negazione premettendo
l’avverbio non al verbo. In questo caso può essere sostituito dall’aggettivo alcuno,
rispetto al quale è di uso più comune:
Non ho nessun (o alcun) desiderio di vederti.
Qualche
È invariabile e precede sempre il nome. Si usa solo unitamente a nomi al
singolare e chiede l’accordo al singolare. Indica una quantità indeterminata, ma limitata:
Al cinema c’era qualche persona (= più di uno, ma non molti).
Quando determina un nome astratto, può essere preceduto dall’articolo
indeterminativo nel significato di “un certo”, riferito a una quantità indeterminata minima
ma rilevante:
Troverò una qualche soluzione al problema.
Alcuno
È variabile in genere e in numero. Si tronca e si elide come l’articolo
indeterminativo uno:
alcun aiuto, alcun ragazzo, alcuno studente
alcuna ragazza, alcun’amica / alcuna amica
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Certo
Variabile per genere e numero, ha molteplici significati.
Usato al singolare e preceduto dall’articolo indeterminativo un, esprime una
quantità non molto grande ma neppure troppo esigua:
Quello ha scritto saggi di un certo valore.
Sempre al singolare e preceduto dall’articolo un, può essere sinonimo di “un tale”
per indicare una persona la cui identità non è nota:
Ti ha cercato un certo Luigi.
Usato al plurale è sinonimo di “alcuno” e “qualche”:
Vado al cinema con certi miei amici.
Tale
È variabile nel numero, ma non nel genere. Indica una persona o cosa ignota o
che non si vuol precisare. Al singolare può essere troncato in tal, specialmente davanti a
parola iniziante per consonante.
Al singolare è per lo più preceduto dall’articolo indeterminativo:
Ha telefonato un tale Luigi dal tuo ufficio.
Certuno e taluno
Rispettivamente varianti di certo e tale, sono raramente usati. Si incontrano a
volte al plurale:
In certune occasioni non so come comportarmi.
È meglio non parlare di talune persone.
Altro
Variabile per genere e numero, si usa per indicare un’aggiunta di qualcosa dello
stesso tipo: Dammi un altro po’ di sale.
Spesso indica in maniera indeterminata la differenza, la diversità: Erano altri
tempi.
Molto
Variabile per genere e numero, indica una quantità notevole, in opposizione a
poco: Quest’anno ho speso molto denaro.
Può essere rafforzato dall’avverbio più posposto: Ho bisogno di molto più tempo.
Molto ha il superlativo variabile moltissimo e il comparativo invariabile più:
Questo lavoro mi dà più noie che dispiaceri.
Ho visto in piazza moltissima gente.
Parecchio
Variabile per genere e numero, indica una quantità rilevante, ma inferiore rispetto
a molto: Allo spettacolo hanno assistito parecchie persone.
Tanto
Variabile per genere e numero, indica, come molto, ma con maggior enfasi, una
quantità decisamente rilevante: Ho visto tante persone oggi al mare!
Tanto conosce il superlativo variabile tantissimo: In piazza c’era tantissima
gente.
Troppo
Variabile per genere e numero, indica una quantità che si ritiene eccessiva: Il
troppo lavoro logora i nervi.
Poco
Variabile per genere e per numero, indica una quantità esigua, scarsa: Ho poco
tempo per te oggi.
Poco ha il superlativo variabile pochissimo e il comparativo invariabile meno:
Oggi ho meno lavori di ieri.; Ho visto in piazza pochissima gente.
Alquanto
Variabile per genere e per numero, è di uso poco comune e ha un significato
intermedio fra poco e molto, indicando una quantità discreta: C’è alquanto traffico oggi.
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Altrettanto
Variabile per genere e numero, ha valore correlativo ed esprime uguaglianza
nella quantità: C’erano dieci adulti e altrettanti bambini.
Tutto
Variabile per genere e numero, indica la totalità, l’interezza. Si usa unitamente
all’articolo determinativo o all’aggettivo dimostrativo, che si collocano fra tutto e il nome
cui si riferisce: Ho visto tutta l’Italia., Ho letto tutto questo libro.
Quando si accompagna a un nome proprio di persona o di luogo, tutto rifiuta o
vuole l’articolo determinativo secondo le stesse norme che regolano in generale la caduta
o la presenza dell’articolo determinativo davanti a un nome proprio:
Ho girato tutta la Sicilia.
L’ho cercato per tutta Milano.
Mario conosce bene tutto Dante.
Diverso e vario
Variabili in genere e numero, hanno anzitutto valore qualificativo.
Hanno valore di aggettivi indefiniti, con il significato di “alquanti, parecchi,
molti”, quando sono usati unitamente a nomi collettivi o a nomi plurali:
Alla conferenza c’era diversa gente.
Ho varie cose da fare.
3.8.4. Gli aggettivi interrogativi
L’italiano ha tre aggettivi interrogativi: quale, che e quanto.
a) Quale, variabile nel numero, serve per formulare una domanda sulla qualità o
sull’identità del sostantivo cui si riferisce: Quale libro preferisci?
Al singolare, quale può subire il troncamento in qual davanti a vocale e, talvolta,
anche davanti a consonante diversa da z, x, gn, pn o s impura: Qual è la tua opinione?;
Qual senso, qual errore esiste?
b) Che è invariabile ed equivale a “quale”, rispetto a cui è di uso più comune
nella lingua parlata: Che fumetti leggi di solito?; Dimmi in che mese sei nato.
c) Quanto, variabile in genere e numero, serve per chiedere informazioni relative
alla quantità del sostantivo cui si riferisce: Quanto denaro hai speso?; Quante persone
verranno a cena?; Dimmi quanto zucchero vuoi nel caffè.
3.8.5. Gli aggettivi esclamativi
Gli aggettivi quale, che e quanto sono aggettivi esclamativi quando si usano
nelle esclamazioni per mettere in risalto la qualità, l’identità o la quantità del nome cui si
riferiscono:
Che giornata stupenda!
Quali maltrattamenti subimmo!
Quanta bontà ha dimostrato quell’uomo!
3.8.6. Gli aggettivi numerali
Gli aggettivi numerali indicano la quantità del nome a cui si riferiscono o la sua posizione
in una serie ordinata.
Si distinguono in:
– cardinali: uno, due, tre...;
– ordinali: primo, secondo, terzo...;
– moltiplicativi: doppio, triplo...;
– frazionari: due terzi, sette ottavi…;
– distributivi: si tratta di locuzioni come a uno a uno, tre per volta ecc.;
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– collettivi: paio, coppia, dozzina…
3.8.6.1. Aggettivi numerali cardinali
Gli aggettivi numerali cardinali determinano in modo preciso e assoluto la
quantità numerica delle cose di cui si parla: due libri, tre quaderni, quattro quadri.
Gli aggettivi numerali cardinali sono invariabili, al di fuori di uno, che al
femminile ha la forma una, e di mille, che al plurale ha la forma -mila (dal latino milia).
Inoltre, i cardinali da uno a dieci e i cardinali venti, cento, mille sono parole
primitive; i nomi delle decine che terminano in -anta (trenta, quaranta, cinquanta ecc.)
sono parole derivate; tutti gli altri cardinali sono parole composte.
Osservazioni:
1. L’aggettivo numerale cardinale uno si tronca e si elide come l’articolo
indeterminativo uno: un libro, un amico, uno psicologo; una ragazza, un’amica / una
amica.
2. I composti con uno (ventuno, trentuno, quarantuno ecc.) possono subire il
troncamento davanti a sostantivi maschili: ventun allievi, trentun ragazzi ecc.
3. I composti che finiscono in -tre vanno accentati: ventitré, trentatré ecc.
4. Le decine da venti a novanta, unite a uno o a otto, troncano la vocale finale:
ventuno, ventotto, trentuno, trentotto, quarantuno, quarantotto ecc., e si possono elidere
soltanto quando precedono il sostantivo anno (quest’ultima regola vale anche per cento):
vent’anni (venti anni), cent’anni (cento anni).
5. I numerali diciassette e diciannove presentano il raddoppiamento della s di
sette e della n di nove dovuto al fenomeno fonetico dell’assimilazione.
6. I numerali costituiti da più elementi si scrivono uniti: trentadue,
settantaquattro, trecento, cinquecentotredici.
7. Quando cento e mille sono uniti a uno mediante la congiunzione e, uno
trascina il nome al singolare e concorda con esso nel genere:
cento e una pagina (o centouno pagine), mille e una notte
8. Anche i multipli del milione e del miliardo si scrivono staccati, ma senza
congiunzione: tre milioni, quattro miliardi.
Milione e miliardo non sono aggettivi numerali ma sostantivi maschili, e formano
il plurale regolarmente.
3.8.6.2. Aggettivi numerali ordinali
Gli aggettivi numerali ordinali indicano l’ordine, la successione, nell’ambito di
una serie numerica: il primo studente, il sesto libro.
I numerali ordinali sono tutti variabili nel genere e nel numero e quindi si
accordano morfologicamente con il nome cui si riferiscono, comportandosi come gli
aggettivi qualificativi della prima classe (primo, prima, primi, prime). Di norma, inoltre,
sono accompagnati dall’articolo.
I primi dieci ordinali hanno ciascuno una forma particolare derivata dal latino:
primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono, decimo.
Tutti gli altri, dall’undici in poi, si formano aggiungendo il suffisso -esimo al
cardinale che nella composizione, generalmente, perde la vocale finale: undicesimo,
tredicesimo, ventesimo, ventunesimo, centesimo, trecentesimo.
La caduta della vocale finale del cardinale non avviene nei composti con tre,
perché l’ultima vocale è accentata: ventitreesimo, trentatreesimo, ottantatreesimo.
Inoltre, mille non si trasforma in -mila, come nei cardinali: duemillesimo.
Osservazioni:
1. I numerali ordinali si usano al posto del cardinale nell’indicazione del primo
giorno del mese: Il primo maggio è la festa del lavoro.
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2. I secoli, a partire dal XIII, si possono indicare anche con l’aggettivo numerale
cardinale (in questo caso sostantivato) corrispondente alle centinaia (sottintendendo
mille), che deve essere preceduto dall’articolo e scritto in lettere, con l’iniziale maiuscola:
il secolo XIII = il Duecento
il secolo XIV = il Trecento
il secolo XV = il Quattrocento
il secolo XVI = il Cinquecento
il secolo XVII = il Seicento
il secolo XVIII = il Settecento
il secolo XIX = l’Ottocento
il secolo XX = il Novecento
3.8.6.3. Aggettivi numerali moltiplicativi
I numerali moltiplicativi si dividono in due sottogruppi.
Un primo gruppo è formato dai numerali moltiplicativi che indicano una quantità
specificando quante volte essa sia maggiore a un’altra:
doppio, triplo, quadruplo, quintuplo, sestuplo ecc.
Variabili nel genere e nel numero, si usano per lo più solo al singolare e si
collocano prima o, più frequentemente, dopo il nome cui si riferiscono:
Ho mangiato una doppia porzione di minestra.
Ho fatto un lavoro quadruplo rispetto al tuo.
Possono ricategorizzarsi in sostantivi:
La torta era così buona che ne avrei mangiato il triplo.
Il secondo gruppo è formato dagli aggettivi duplice, triplice, quadruplice ecc.
Variabili nel numero ma non nel genere, questi aggettivi significano “formato da due, tre,
quattro o più elementi” o anche, “che serve a due, tre, quattro o più scopi”:
Alcune categorie grammaticali hanno una triplice funzione.
Spesso però i due tipi di aggettivi vengono usati come sinonimi:
La lettera mi deve in triplice (o in tripla) copia.
3.8.6.4. Numerali distributivi, collettivi e frazionari
I numerali cardinali e ordinali sono alla base di molte parole che indicano numero
e che, perciò, pur appartenendo propriamente alla classe degli aggettivi qualificativi o dei
sostantivi, o pur essendo delle locuzioni, vanno tutte genericamente sotto il nome di
numerali: distributivi, frazionari e collettivi.
a) I numerali distributivi indicano come più persone o cose sono distribuite o
ordinate nello spazio o nel tempo. Sono costituiti da locuzioni formate da numerali
cardinali uniti a preposizioni e aggettivi e pronomi indefiniti, come: (a) uno a uno, (a)
due a due, (uno) per uno, (due) per due, uno ciascuno, ogni tre, ogni quattro ecc.
b) I numerali collettivi indicano una quantità numerica di persone o cose
considerate come un insieme. Rientrano in questa categoria nomi come:
– ambo, terno, quaterna, cinquina, usati nei giochi del lotto e della tombola;
– decina, centinaio, coppia, dozzina, che non impongono restrizioni di uso;
– i termini della metrica: terzina, quartina, sestina, ottava ecc.;
– bimestre, trimestre, semestre ecc.; biennio, triennio, quadriennio, decennio,
ventennio ecc., che indicano un periodo di due, tre, quattro o più mesi o anni;
– duetto (o duo), terzetto (o trio), quartetto, quintetto ecc. che, nel linguaggio
specifico della musica, indicano un componimento per due, tre, quattro, cinque esecutori;
– decennale, ventennale, centenario, millenario, aggettivi che indicano la
ricorrenza di un certo numero di anni;
– decenne (= che ha dieci anni), quindicenne, ventenne, settantenne (oppure
settuagenario), aggettivi che indicano gli anni o l’età di una persona.
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Ambedue (invariabile), ambo (rari ambi e ambe) e entrambi (femminile
entrambe), che significano “tutti e due”, sono aggettivi. Analogamente all’aggettivo
tutto, essi precedono l’articolo che accompagna il nome cui si riferiscono: Ho visto
ambedue i fratelli con entrambe le mogli.
c) I numerali frazionari indicano una o più parti di un tutto; sono sostantivi e si
ottengono unendo i numerali cardinali a quelli ordinali: Un terzo degli spettatori è entrato
gratis.
Fanno parte dei numerali frazionari anche i nomi mezzo e metà che indicano la
divisione dell’unità in due parti uguali: In tre ore e mezzo sono arrivato a metà del libro.
Mezzo può essere usato sia come aggettivo che come sostantivo.
Usato come aggettivo, mezzo precede il nome cui si riferisce e concorda con
questo in genere e in numero: Dammi mezza porzione di torta.
Quando, invece, è usato come nome, mezzo non concorda mai, perché
corrisponde a “un mezzo”: Ho acquistato due chili e mezzo di cipolle.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică,
2003, pp. 39-75.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di
linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 209-257.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica
italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 191-235
e 267-326.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Quali sono gli aggettivi qualificativi invariabili?
2. Quale deve essere la posizione dell’aggettivo qualificativo?
3. Come si forma il grado comparativo degli aggettivi?
4. Come si forma il grado superlativo degli aggettivi?
5. Definire gli aggettivi possessivi.
6. Definire gli aggettivi dimostrativi.
7. Indicare l’uso degli aggettivi indefiniti qualunque, nessuno e tutto.
8. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi interrogativi.
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UD 4. Il pronome
In questa unità didattica di tratta per primo del pronome personale,
relativamente alle forme e ad alcuni usi di particolare rilevanza nell'italiano di
oggi, e poi, in ordine, dei pronomi possessivi, dimostrativi, indefiniti, relativi,
interrogativi ed esclamativi.
4.1. Classificazione
4.2. I pronomi personali
4.2.1. I pronomi personali soggetto
4.2.2. I pronomi personali complemento
4.2.3. I pronomi allocutivi
4.2.4. I pronomi personali riflessivi
4.2.4.1. “Si” impersonale e “si” passivante
4.2.5. Forme atone polifunzionali: ci, vi, ne
4.3. I pronomi possessivi
4.4. I pronomi dimostrativi
4.5. I pronomi indefiniti
4.6. I pronomi relativi
4.7. I pronomi interrogativi ed esclamativi
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Obiectivele unităŃii didactice:
– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia pronumelui în limba
italiană;
– Cunoaşterea tipurilor de pronume din limba italiană;
– Cunoaşterea formelor si a regulilor de folosire a pronumelui subiect în limba
italiană;
– Cunoaşterea formelor si a regulilor de folosire a pronumelui complement în
limba italiană;
– Cunoaşterea formelor si a regulilor de folosire a pronumelor alocutive şi
reflexive în limba italiană;
– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la folosirea particulelor atone
polifuncŃionale ci, vi, ne din limba italiană;
– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia şi la folosirea
pronumelor posesive, demonstrative, indefinite, relative, interogative şi exclamative în
limba italiană.
Timp alocat: 8 ore.
4.1. Classificazione
in:
In base al loro significato e alla loro funzione, in italiano i pronomi si distinguono
– pronomi personali: io, tu, egli, noi, voi, essi, esse ecc.;
– pronomi possessivi: mio, tuo, suo ecc.;
– pronomi dimostrativi: questo, codesto, quello ecc.;
– pronomi indefiniti: alcuni, certuni, molti, parecchi ecc.;
– pronomi relativi: il quale, che, cui, chi;
– pronomi interrogativi: chi?, che?, quale?, quanto?;
– pronomi esclamativi: chi!, che!, quale!, quanto!
4.2. I pronomi personali
Il pronome personale sostituisce il nome della persona che parla o scrive, della
persona a cui ci si rivolge, della persona o della cosa di cui si parla.
Secondo il numero, tutti i pronomi personali hanno il singolare e il plurale;
secondo il genere, sono invariabili nella prima e seconda persona, variabili invece nella
terza.
Inoltre i pronomi personali presentano forme differenziate in rapporto alla
funzione sintattica che svolgono, e precisamente hanno una forma per il soggetto e due
forme per i complementi, una detta tonica o forte, l’altra atona o debole.
4.2.1. I pronomi personali soggetto
I pronomi personali soggetto sono quelli che, nella frase, sono usati in funzione di
soggetto. Questi sono:
persona
I persona
II persona
III persona
Singolare
io
tu
egli, lui, esso
ella, lei, essa
Osservazioni:
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plurale
noi
voi
essi, loro
esse, loro
1. Il pronome personale soggetto di terza persona singolare e plurale ha forme
distinte a seconda del genere e del tipo di soggetto: se è una persona oppure un animale o
una cosa:
– egli si usa per indicare persone, nello scritto, raramente nel parlato; lui è il
corrispondente di egli nel parlato (ma si usa anche per gli animali);
– esso è usato con riferimento agli animali e alle cose;
– lei si usa solo per persone; essa, oltre che ad animali e cose, viene riferita anche
a persone, ma questo uso diventa sempre meno comune e ha un carattere letterario;
– ella è ormai caduto in disuso, specie nel linguaggio parlato, ed è sentito come
letterario e solenne;
– le forme del plurale essi - esse servono per indicare tanto le persone quanto gli
animali e le cose; loro è usato con riferimento alle persone.
2. Il pronome di prima persona plurale noi viene usato in luogo del pronome di
prima persona singolare nei seguenti casi:
– nel cosiddetto “plurale di modestia”, quando si vuole attenuare la perentorietà
di una affermazione: Noi siamo (invece di io sono) di parere del tutto opposto.
– nel cosiddetto “plurale di maestà”: Noi rivolgiamo il nostro saluto...
– negli articoli giornalistici e nelle interviste televisive: Abbiamo intervistato il
sindaco, che ci ha rilasciato le seguenti dichiarazioni...
– nelle lettere commerciali: Egregio Ingegnere, abbiamo ricevuto la sua risposta
alla nostra inserzione e la sua candidatura ci sembra tale...
3. In italiano l’uso del pronome personale in funzione di soggetto è piuttosto
limitato, perché la forma verbale, attraverso la desinenza, indica da sola il soggetto:
Leggo un libro molto interessante. (= io leggo)
Il pronome, però, è sentito come necessario, e perciò deve essere espresso:
– quando si vuole mettere in particolare rilievo la persona-soggetto, come nelle
espressioni enfatiche e nelle contrapposizioni: L’ho comprato io., Noi abbiamo fatto tutto
il lavoro e lui si prende il merito.
– nelle espressioni in cui il verbo è sottinteso: Tu qui? Non mi sembra vero.
– quando il verbo è di modo indefinito e il suo soggetto è diverso da quello della
reggente: Arrivato lui, la festa cominciò.
– quando ci sono forme verbali (particolarmente del congiuntivo) che potrebbero
creare confusione circa la persona del soggetto: Credo che tu non sia all’altezza della
situazione.
4. Il pronome personale soggetto può essere rafforzato da stesso: io stesso, tu
stesso ecc.; e da altri, limitatamente alla prima e seconda persona plurale: noi altri, voi
altri (o, in grafia unita, noialtri, voialtri).
4.2.2. I pronomi personali complemento
In italiano, come in romeno, i pronomi personali complemento hanno due forme,
ben distinte tra loro: una forma tonica o forte, fortemente accentata, che dà al pronome
un particolare rilievo (pronomi tonici), e una forma atona o debole, non accentata, che
nel discorso si appoggia al verbo (pronomi atoni).
a) Le forme toniche dei pronomi personali complemento sono:
persona
I persona
II persona
III persona
Singolare
me
te
lui, lei
esso, essa
plurale
noi
voi
loro
essi, esse
Nella funzione di complemento oggetto le forme toniche dei pronomi personali
complemento si collegano direttamente al verbo. In quella di complemento di termine
(che in romeno ha come corrispondente il complemento indiretto in dativo) sono
introdotte dalla preposizione a, mentre in quella di complemento indiretto sono
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introdotte da qualsiasi preposizione o locuzione preposizionale: Il dottore cura noi; Devi
dirlo a me.
b) Le forme atone dei pronomi personali complemento sono:
complemento oggetto
mi
ti
lo, la
ci
vi
li, le
I pers. sg.
II pers. sg.
III pers. sg.
I pers. pl.
II pers. pl.
III pers. pl.
complemento di termine
mi
ti
gli, le
ci
vi
loro
Quando si incontrano, le forme atone dei pronomi personali danno origine a
forme composte, le cosiddette coppie di pronomi. Le particelle mi, ti, gli, le, ci, vi (con
funzione di complemento di termine) possono essere seguite da lo, la, li, le (con funzione
di complemento oggetto) o da ne (con funzione di complemento indiretto o di avverbio di
luogo). In questo caso mi, ti, ci, vi diventano me, te, ce, ve e le forme gli e le diventano
glie-, e si scrivono sempre attaccate al pronome seguente:
mi
ti
gli / le
ci
vi
lo
me lo
te lo
glielo
ce lo
ve lo
la
me la
te la
gliela
ce la
ve la
li
me li
te li
glieli
ce li
ve li
le
me le
te le
gliele
ce le
ve le
Ne
me ne
te ne
gliene
ce ne
ve ne
4.2.3. I pronomi allocutivi
I pronomi allocutivi sono i pronomi con cui ci si rivolge a una persona.
a) I primi allocutivi sono ovviamente i pronomi personali: il tu (con tutti i suoi
derivati) se ci si rivolge ad un solo interlocutore, il voi (con tutti i suoi derivati) se ci si
rivolge a più interlocutori. Si usano nel rivolgersi a persone con cui si è in rapporto di
amicizia, di familiarità o di confidenza.
b) Nel rivolgersi a qualcuno che non si conosce o con cui non si è in confidenza o
che appartiene a un livello sociale o professionale più elevato, si usano i pronomi
allocutivi di cortesia: al singolare si usano i pronomi Lei, che è più comune, ed Ella,
che suona prezioso e ricercato, mentre al plurale si usa il pronome Loro.
Nella funzione di soggetto, i pronomi di cortesia Lei, Ella e Loro, essendo
pronomi di terza persona, richiedono il verbo alla terza persona, singolare o plurale: Lei
che cosa desidera?; Vengono anche Loro con noi?. Alle forme soggettive Lei, Ella, Loro
corrispondono in funzione di complemento le forme toniche di Lei, di Loro, a Lei, a Loro
ecc.; e le forme atone: La, Le (per Lei ed Ella); Li, Le, Loro (per Loro).
4.2.4. I pronomi personali riflessivi
I pronomi personali riflessivi si usano quando l’azione compiuta dal soggetto “si
riflette”, cioè ricade sul soggetto stesso, quindi quando il verbo è alla forma riflessiva.
I pronomi riflessivi sono:
I pers. sg.
pronomi tonici
me
pronomi atoni
mi
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II pers. sg.
III pers. sg.
I pers. pl.
II pers. pl.
III pers. pl.
te
sé
noi
voi
sé
ti
si
ci
vi
si
Quando è seguito da uno dei pronomi lo, la, li, le il pronome riflessivo si diventa
se, e risultano le coppie: se lo, se la, se li, se le: La barba, se la fa ogni due giorni.
4.2.4.1. “Si” impersonale e “si” passivante
a) “Si” impersonale è la particella pronominale che equivale a soggetti come
“uno”, “qualcuno”, “la gente”, “tutti”: In questo treno si viaggia più comodamente.
Nel caso dei verbi riflessivi e dei verbi pronominali, nei quali è già presente la
particella si, si ricorre alla particella ci: ci si lava, ci si sveglia, ci si scrive ecc.: Ci si lava
con acqua e sapone; Nel mondo non ci si ama abbastanza.
b) “Si” passivante è la particella pronominale che si premette alla terza persona
singolare o plurale di un verbo transitivo attivo in un tempo semplice per renderlo
passivo: Qui si vendono (= sono venduti) libri usati.
4.2.5. Forme atone polifunzionali: ci, vi, ne
Ci, e meno comunemente vi, possono avere le funzioni di: pronome
dimostrativo e avverbio di luogo. Si usano poi con valore rafforzativo e in alcune
locuzioni fisse.
Si elidono obbligatoriamente davanti alle voci del verbo essere inizianti per -e e,
facoltativamente, davanti a forme verbali inizianti per -i: Non c’era più nulla da fare; Non
v’è dubbio che sia così; Non c’interessa nulla.
Per quanto riguarda la collocazione di ci e vi, essa può essere sia proclitica che
enclitica: Pensa alle mie parole. Pensaci bene!; Vado dal medico. Ci vado ogni
settimana.
Quando sono seguite da un pronome forma atona (lo, la, li, le, ne), ci e vi
diventano ce, ve: - Tu hai messo il libro nella cartella? - Sì, io ce (ve) l’ho messo.
Tra ci e vi non esiste nessuna differenza di significato. La particella ci, però, è
oggi di uso molto più frequente e molto più comune di vi, che suona piuttosto libresca e
di norma viene utilizzata solo in testi di registro letterario, per sottolineare l’idea di
lontananza: Non sono ancora andato al supermercato, ma vi (= là) andrò fra poco.
La particella ne può essere usata nelle funzioni di: pronome personale o
dimostrativo e avverbio di luogo.
Si usa poi con valore rafforzativo e in alcune locuzioni fisse.
Per quanto riguarda la sua collocazione, ne, come le altre particelle pronominali,
può essere tanto proclitica quanto enclitica: È una persona in gamba, tutti ne parlano
bene; Se hai troppi libri, regalane qualcuno alla biblioteca.
Con le forme di imperativo da’, sta’, fa’, di’, va’, anche ne subisce il
raddoppiamento della consonante iniziale: Quanti pacchi! Danne qualcuno a me.
4.3. I pronomi possessivi
I pronomi possessivi sono formalmente identici agli aggettivi possessivi e sono
sempre preceduti dall’articolo determinativo: Il tuo cane è buono quanto il mio; I miei
interessi contrastano con i loro.
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L’uso dei pronomi possessivi il proprio (la propria, i propri, le proprie) e l’altrui
(la altrui, gli altrui, le altrui) segue le modalità già indicate a proposito dei corrispondenti
aggettivi: Ritiro i compiti in classe: ciascuno consegni il proprio; È bene avere un
proprio stile di vita e non imitare l’altrui.
4.4. I pronomi dimostrativi
Tra i pronomi dimostrativi, alcuni hanno forme uguali a quelle degli aggettivi
dimostrativi. Altri, invece, non possono mai avere funzione di aggettivi.
a) I pronomi dimostrativi che hanno forme uguali a quelle degli aggettivi
dimostrativi sono:
Singolare
maschile
Femminile
questo
questa
codesto
codesta
quello
quella
stesso
stessa
medesimo
medesima
maschile
questi
codesti
quelli
stessi
medesimi
plurale
femminile
queste
codeste
quelle
stesse
medesime
- questo indica vicinanza a chi parla: La foto che voglio farti vedere è questa.
- codesto (che appartiene all’uso toscano e letterario) indica vicinanza a chi
ascolta: Codesto che stai sfogliando non È il libro che ti ho richiesto.
- quello indica lontananza sia da chi parla sia da chi ascolta: Quella è più bella.
- stesso (più comune) e medesimo indicano l’identità o l’uguaglianza tra le
persone o le cose che sostituiscono: Gli insegnanti sono gli stessi (o i medesimi)
dell’anno scorso.
b) I pronomi dimostrativi che non possono mai avere funzione di aggettivi sono:
Singolare
maschile
femminile
questi
−
quegli
−
costui
costei
colui
colei
ciò
−
plurale
maschile
femminile
−
−
−
−
costoro
coloro
costoro
coloro
−
−
Questi e quegli si adoperano solo al maschile singolare, solo in riferimento a
persone e solo in funzione di soggetto (per i complementi si ricorre a questo e quello).
Questi si riferisce a persona vicina, quegli a persona lontana:
Mario e Luigi sono
fratelli. Questi (Luigi) ha nove anni, quegli (Mario) ne ha sei.
Il pronome dimostrativo ciò è invariabile e ha solo valore “neutro”. Equivale a
“questa cosa, queste cose, quella cosa, quelle cose”: Ciò non mi piace affatto.
Ciò è frequentemente sostituito da questo e quello, sempre con valore neutro:
Quello che fai non è bello; Su questo non ho nulla da fare.
4.5. I pronomi indefiniti
I pronomi indefiniti designano qualcuno o qualcosa in modo non specifico e non
determinato.
Tra i pronomi indefiniti, alcuni possono essere usati anche in funzione di
aggettivi. Altri, invece, possono essere usati solo come pronomi.
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a) I pronomi indefiniti che possono essere usati anche come aggettivi indefiniti
sono:
Singolare
maschile
femminile
alcuno
alcuna
taluno
taluna
certuna
certuno
certo
certa
ciascuno
ciascuna
nessuno
nessuna
altro
altra
tale
tale
troppo
troppa
parecchio
parecchia
molta
molto
poco
poca
tutto
tutta
tanto
tanta
alquanto
alquanta
altrettanto
altrettanta
diverso
diversa
vario
varia
maschile
alcuni
taluni
certuni
certi
−
−
altri
tali
troppi
parecchi
molti
pochi
tutti
tanti
alquanti
altrettanti
diversi
vari
plurale
femminile
alcune
talune
certune
certe
−
−
altre
tali
troppe
parecchie
molte
poche
tutte
tante
alquante
altrettante
diverse
varie
Alcuno
È variabile per genere e numero. Al singolare, di norma, si usa solo in frasi
negative: Non venne alcuno alla festa., Alcuni sono d’accordo, altri no.
Certuno e taluno
Rispettivamente varianti di certo e tale, sono raramente usati. Sono usati
prevalentemente al plurale: La solitudine è per certuni piacevole., Taluni mi diedero
ragione.
Certo
Come pronome indefinito, è usato solo al plurale: Certi non sanno proprio quel
che vogliono!
Ciascuno
È variabile solo nel genere. Indica “ogni singola persona” in maniera
indeterminata nell’ambito della totalità: Ci fu un premio per ciascuno.
Nessuno
È variabile solo nel genere. Ha valore negativo e significa “non uno”, “neppure
uno”. Quando sta dopo il verbo richiede che il verbo sia preceduto dall’avverbio non:
Non ho sentito nessuno.
Se precede il verbo, l’avverbio di negazione non si usa: Nessuno ho sentito.
In proposizioni interrogative, nessuno assume il significato di “qualcuno”. In
questo caso, anche se posposto al verbo, non richiede necessariamente l’avverbio di
negazione: (Non) c’è nessuno che mi sappia rispondere?
Altro
Come pronome, è accompagnato sempre dall’articolo e significa “altra persona,
le altre persone”: Se non vieni tu, inviterò un altro.
Altro viene spesso usato in correlazione con il pronome indefinito uno nelle
espressioni l’uno... l’altro, gli uni ... gli altri e simili: Ho accontentato gli uni e gli altri.
Tale
Indica una persona la cui identità non è nota a chi parla. Al singolare, in generale,
è preceduto dall’articolo indeterminativo e significa “una certa persona”, “un tizio”,
“uno”: Ha telefonato un tale dal tuo ufficio.
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Preceduto dai pronomi dimostrativi quello, quella, quelli, quelle, tale indica
invece una persona nota o già nominata in precedenza: Ha telefonato di nuovo quel tale
che ti aveva cercato qualche giorno fa.
Troppo
Indica una quantità che si ritiene eccessiva: Non riesco a ospitarli, sono troppi.
Parecchio
Indica una quantità rilevante, ma inferiore rispetto a molto: Parecchi vennero alla
festa.
Molto
Indica una quantità notevole, in opposizione a poco: Molti di noi vennero a piedi.
Tanto
Indica, come molto, ma con maggior enfasi, una quantità decisamente rilevante:
Di tutte le cose conservate, tante sono inutili.
Poco
Indica una quantità esigua, scarsa: L’altr’anno ho visto una gran volontà di
vincere, quest’anno poca.
Tutto
Indica la totalità, l’interezza: Tutti facciano il loro dovere.
Alquanto
È di uso poco comune e ha un significato intermedio fra poco e molto: C’è
abbastanza energia, ma per concludere la gara ne necessiterà alquanta.
Altrettanto
Ha valore correlativo ed esprime uguaglianza nella quantità: Il dolce era grande,
ma ne avrei mangiato altrettanto.
Diverso e vario
Come pronomi indefiniti, si usano solo al plurale: Di cascine, un po’ per scherzo,
un po’ sul serio già diversi me n’hanno offerte. Pavese, La luna e i falò)
Vari dicono che la colpa sia sua. (Zingarelli, 1994)
b) Gli indefiniti che possono avere solo funzione di pronome sono:
Singolare
maschile
femminile
uno
una
qualcuna
qualcuno
ognuno
ognuna
chiunque
chiunque
chicchessia
chicchessia
qualcosa
−
alcunché
−
checché
−
checchessia
−
niente
−
nulla
−
altri (un altro)
plurale
maschile
−
−
−
−
−
−
−
−
−
−
−
−
−
femminile
−
−
−
−
−
−
−
−
−
−
−
−
Uno
Variabile in genere, indica una singola persona, in modo generico, senza
precisarne l’identità: È venuto uno a cercarti.
Seguito da un complemento partitivo, può riferirsi sia a una persona sia a una
cosa: Uno dei presenti desidera intervenire.
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Qualcuno
Variabile nel genere, si usa solo al singolare. Indica una quantità indeterminata,
piuttosto esigua, di persone o di cose: Qualcuno ha preso il mio libro., Conosci qualcuna
delle sue amiche?, Puoi prestarmi qualcuno dei tuoi libri?
In talune espressioni, qualcuno è usato come nome, nel senso di “persona
importante, affermata”: Un giorno diventerai qualcuno.
Ognuno
Variabile nel genere, si usa solo al singolare. Indica ciascuno degli elementi di un
gruppo o di un insieme, considerati individualmente: Ognuno è responsabile delle
proprie azioni. Nelle espressioni partitive e distributive è spesso sostituito da ciascuno, a
cui corrisponde come significato: Ciascuno dei candidati ha superato l’esame.
Chiunque
Invariabile, si usa solo al singolare. Significa “qualunque persona” e quindi può
essere usato solo in riferimento a persone: Chiunque al tuo posto avrebbe fatto lo stesso.
Talvolta, chiunque può avere contemporaneamente valore di pronome indefinito
e di pronome relativo; in questo caso ha il significato di “qualunque persona che”: A
questo corso può iscriversi chiunque abbia la licenza media.
Chicchessia
Invariabile, si usa solo al singolare e solo in riferimento a persone. È di uso poco
frequente, corrisponde a “chiunque, qualunque persona”, nelle frasi positive, e a
“nessuno”, nelle frasi negative: Chiedilo pure a chicchessia., Non m’importa di
chicchessia.
Qualcosa
Invariabile, indica in modo indeterminato e con valore neutro una o alcune cose;
si accorda normalmente al maschile singolare: In te c’è qualcosa che non mi convince.
Può assumere le funzioni di sostantivo con il significato di “un certo non so che”;
in tal caso è preceduto sempre dall’articolo indeterminativo: Ho notato un qualcosa di
strano nel suo sguardo.
Alcunché
È invariabile. Ormai è di uso molto raro, e corrisponde a “qualcosa”, nelle frasi
positive, o a “niente, nulla”, nelle frasi negative: Nel suo comportamento c’è sempre stato
alcunché di strano.
Checché
Invariabile, di impiego poco frequente, ha valore di pronome misto, indefinito e
relativo, e viene usato con valore “neutro”, nel significato di “qualunque cosa che”, come
soggetto o complemento oggetto: Checché tu ne dica, è una brava persona.
Checchessia
Invariabile e di impiego poco frequente, viene usato con valore “neutro”, nel
significato di “qualsiasi cosa”, nelle frasi positive, o di “nulla, niente”, nelle frasi
negative: Si accontenta di checchessia., Non voglio accettare checchessia.
Niente e nulla
Invariabili, sono pronomi indefiniti negativi con valore “neutro”. Significano
“nessuna cosa” e vogliono l’accordo al maschile singolare.
Quando precedono il verbo non richiedono un’altra negazione; la sollecitano
invece se seguono il verbo: Niente è stato fatto per evitare il disastro., /Non ho notato
niente di strano.
Nelle proposizioni interrogative dirette e in quelle indirette introdotte dalla
congiunzione se, assumono il significato di “qualcosa”. In questo caso, anche se posposti
al verbo, non richiedono necessariamente l’avverbio di negazione: C’è niente da
mangiare?, Non hai nulla da aggiungere?
Altri
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Si usa soltanto al maschile singolare (perciò non va confuso con il plurale di
altro), con il significato di “un altro, un’altra persona, qualcun altro”. Il suo impiego è
ormai esclusivamente letterario: Altri potrebbe rimproverarti i tuoi errori, io certo no.
4.6. I pronomi relativi
La lingua italiana possiede i seguenti pronomi relativi: il quale (la quale, i quali,
le quali), che, cui, chi e quanto (quanta, quanti, quante).
Il quale. Il pronome relativo il quale, variabile nel genere e nel numero, concorda
con il nome cui si riferisce. Può sostituire tutti gli altri pronomi relativi e può essere usato
sia come soggetto (conferisce alla frase un tono più sostenuto rispetto a che), sia come
complemento oggetto (molto raro e letterario), sia come complemento indiretto preceduto
dalla opportuna preposizione (di uso corrente, accanto a cui): Ho incontrato Luisa, la
quale mi ha invitato alla sua festa; Il paese nel quale abito è molto bello.
Nonostante la prevalenza di che e cui, l’uso del pronome il quale è tuttavia
preferibile o, addirittura, indispensabile:
- quando la forma che, essendo invariabile, potrebbe creare ambiguità circa il
nome cui si riferisce:
Ho incontrato il cugino di Luisa, che ormai vive a Roma.
… il quale ormai vive a Roma.
… la quale ormai vive a Roma.
- quando il pronome relativo è lontano dal nome cui si riferisce: Molte storie ho
sentito quand’ero bambino, le quali erano non solo molto belle ma anche istruttive.
Che. Il pronome relativo che è invariabile ed è usato esclusivamente come
soggetto o complemento oggetto della subordinata relativa; le concordanze vengono
effettuate con l’antecedente: Ho gradito il regalo che mi hai fatto.
Il pronome relativo che può sostituire anche un’intera frase. In questo caso È
preceduto dall’articolo determinativo o dalla preposizione articolata e ha il significato di
“la qual cosa”: Paolo è arrivato in anticipo, il che (= la qual cosa) ci ha stupiti.
Cui. Il pronome relativo cui è invariabile e si adopera soltanto come
complemento indiretto, preceduto da una preposizione semplice: L’uomo di cui parliamo
è mio padre.
Il relativo cui non è preceduto dalla preposizione semplice soltanto in due casi:
a) nel complemento di termine, accanto alla forma con la preposizione a: Il
ragazzo cui / a cui mi sono rivolto è mio amico.
b) quando si trova fra l’articolo determinativo (o una preposizione articolata) e il
nome, con il valore di complemento di specificazione e con il significato di “del quale,
della quale, dei quali, delle quali”:
È un uomo, il cui valore è immenso.
… il valore del quale è immenso.
Chi. Il pronome chi, invariabile, vale solo per il singolare e si riferisce soltanto a
esseri animati. Può essere usato in funzione di soggetto e di complemento.
È un pronome “doppio”, in quanto unisce in sé la funzione di due pronomi
diversi: uno dimostrativo (colui, quello, colei, quella) o indefinito (qualcuno, uno,
qualcuna, una), l’altro relativo (che, il quale, la quale), e corrisponde per significato a
colui il quale, colui che, qualcuno che, uno che: C’è sempre chi (= qualcuno che) si
comporta male; Ho compassione per chi (= per quello che) soffre.
Quanto. Il pronome quanto, variabile nel genere e nel numero. Al singolare è
usato con valore neutro, nel significato di “tutto quello che”, “tutto ciò che”: Gli ho dato
quanto gli spettava. Al plurale si riferisce sia a persone sia a cose ed equivale a “tutti
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quelli che”, “tutti coloro che”, “tutte coloro che”: La festa è riservata a quanti hanno
ricevuto l’invito.
4.7. I pronomi interrogativi ed esclamativi
a) I pronomi interrogativi introducono una domanda, diretta o indiretta,
chiedendo informazioni o precisazioni circa l’identità, la qualità o la quantità di qualcuno
o di qualcosa.
I pronomi interrogativi dall’italiano sono: chi, che, quale e quanto.
Chi, invariabile, si usa esclusivamente per indicare persone ed esseri animati: Chi
ti accompagna?; Sai chi mi ha telefonato?
Che, invariabile, si usa solo in riferimento a cose e corrisponde a quale. Chiede
l’accordo al maschile singolare: Che ti devo dire?; Dimmi che ti passa per la mente.
Quale è variabile solo in numero; serve a chiedere informazioni circa l’identità o
la qualità di una persona o di una cosa: A quale delle due risposte devo credere?; Quali
sono i maggiori fiumi dell’Italia?; Non sai quali scegliere?
Quanto, variabile nel genere e nel numero, serve a chiedere informazioni relative
alla quantità e si usa in riferimento sia a persone sia a cose: Quanti hanno aderito alla
nostra proposta?; Quanto costa quella valigia?; Ti chiedo in quanti verranno.
b) Tutti i pronomi interrogativi possono essere usati anche in funzione
esclamativa: Chi ho incontrato stamattina!; Che occasione!
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică,
2003, pp. 77-105.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di
linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 258-304.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica
italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 237326.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali soggetto.
2. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali complemento.
3. Cosa sono i pronomi allocutivi e come si usano.
4. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali riflessivi.
5. Descrivere ed indicare l’uso delle particelle ci e vi.
6. Descrivere ed indicare l’uso della particella ne.
7. A cosa servono i pronomi possessivi e quali sono.
8. Definire i pronomi dimostrativi ed indicare quali sono.
9. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti nessuno, niente e nulla.
10. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti uno, qualcuno, chiunque e qualcosa.
11. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi relativi.
12. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi interrogativi.
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SEMESTRUL II
UD 5. Il verbo
In questa unità didattica si descrive la morfologia del verbo, distinguendo i
verbi in relazione alla loro flessione e in relazione alle diverse funzioni.
5.1. Classificazione
5.1.1. Il significato e la funzione dei verbi
5.1.2. Il genere dei verbi: verbi transitivi e verbi intransitivi
5.1.3. La forma del verbo: attiva, passiva e riflessiva
5.2. Le “variabili” del verbo
5.2.1. La persona, il numero e il genere
5.2.2. Il modo
5.2.3. Il tempo
5.3. I verbi di “servizio”
5.3.1. I verbi ausiliari
5.3.2. I verbi servili
5.3.3. I verbi fraseologici
5.3.4. I verbi causativi
5.4. Il verbo secondo la flessione: le coniugazioni
5.4.1. La coniugazione dei verbi ausiliari
5.4.2. La coniugazione attiva
5.4.3. La coniugazione passiva
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5.4.4. La coniugazione riflessiva
5.4.5. I verbi irregolari.
5.5. Uso dei modi e dei tempi
5.5.1. Il modo indicativo e i suoi tempi
5.5.2. Il modo congiuntivo e i suoi tempi
5.5.3. Il modo condizionale e i suoi tempi
5.5.4. Il modo imperativo
5.5.5. L’infinito e i suoi tempi
5.5.6. Il participio e i suoi tempi
5.5.7. Il gerundio e i suoi tempi
Obiectivele unităŃii didactice:
– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia verbului în limba
italiană;
– Cunoaşterea “variabilelor” verbului în limba italiană;
– Cunoaşterea regulilor de folosire a verbelor de “serviciu” din limba italiană;
– Cunoaşterea conjugării verbelor auxiliare şi a conjugărilor activă, pasivă şi
reflexivă a verbelor în limba italiană;
– Cunoaşterea formelor şi a regulilor de folosire a pronumelor alocutive şi
reflexive în limba italiană;
– Cunoaşterea folosirii modurilor şi a timpurilor verbale în limba italiană.
Timp alocat: 16 ore.
5.1. Classificazione
5.1.1. Il significato e la funzione dei verbi
Secondo il loro significato e la loro funzione nella frase, i verbi vengono
solitamente suddivisi in due categorie: verbi predicativi e verbi copulativi.
I verbi predicativi sono quelli che hanno senso compiuto e che nella frase
assumono la funzione di predicato verbale: Marco telefona alla nonna.
I verbi copulativi sono quelli che hanno un significato piuttosto generico e, come
il verbo essere, funzionano da copula, servono cioè a collegare il soggetto a un nome o a
un aggettivo (nome del predicato). La copula e il nome del predicato costituiscono il
predicato nominale: I tuoi amici sono molto simpatici.
Oltre al verbo essere, sono copulativi: apparire, diventare, parere, sembrare,
restare, riuscire, nascere, ecc.: Il cielo diventa nuvoloso., Mio fratello sembra triste.
5.1.2. Il genere dei verbi: verbi transitivi e verbi intransitivi
In base al genere o, meglio, al modo in cui organizzano il rapporto tra il soggetto
e il resto della frase, i verbi si dividono in: verbi transitivi e verbi intransitivi.
Sono transitivi i verbi che reggono un complemento oggetto o diretto: Luigi
legge un libro.
Quando l’oggetto non è espresso, come in: Luigi legge, il verbo viene usato in
forma assoluta, ma continua a rimanere transitivo.
Sono intransitivi i verbi che non ammettono la presenza di un complemento
oggetto: Il treno è arrivato alla stazione.
Alcuni verbi normalmente intransitivi diventano transitivi quando sono seguiti
dal cosiddetto complemento oggetto interno, rappresentato da un sostantivo che ha la
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stessa base del verbo o che è strettamente collegato al verbo sul piano semantico: Pianse
tutte le sue lacrime.
Parecchi verbi, infine, possono reggere, con significati totalmente diversi, sia il
complemento oggetto, sia quello indiretto, possono cioè essere transitivi o intransitivi a
seconda del significato:
Marco ha cominciato un nuovo giallo.
Lo spettacolo è cominciato da dieci minuti.
5.1.3. La forma del verbo: attiva, passiva e riflessiva
Secondo il ruolo che attribuisce al soggetto della frase, il verbo può avere forma
attiva, passiva e riflessiva.
Il verbo è di forma attiva quando il soggetto coincide con l’agente dell’azione,
cioè compie l’azione espressa dal verbo:
L’estate scorsa abbiamo visitato la Sicilia.
Il professore ha assegnato molti compiti.
Il verbo è di forma passiva quando l’agente non è il soggetto, ma il
complemento: complemento d’agente se animato, complemento di causa efficiente se
inanimato, entrambi introdotti dalla preposizione da.
Quando il complemento d’agente o di causa efficiente non sono espressi si ha la
forma passiva assoluta.
In italiano, di solito, la forma passiva è realizzata con l’ausiliare essere coniugato
nel modo, nel tempo e nella persona della corrispondente voce attiva, seguito dal
participio passato del verbo, accordato in genere e numero con il soggetto:
L’affresco è stato rovinato dall’umidità.
L’automobile è stata revisionata.
Oltre che con l’ausiliare essere, in italiano, il passivo si può formare anche con
l’aiuto degli ausiliari:
– venire, che conferisce alla frase un valore dinamico, sottolineando un’azione;
per questo si usa solo nel contesto dei tempi semplici:
Paolo è lodato da tutti. / Paolo viene lodato da tutti.
– andare, solo nel contesto dei tempi semplici, e senza possibilità di esprimere il
complemento d’agente.
Come ausiliare del passivo, andare comporta:
1. Un generico valore passivo. In questo caso è una variante di essere con una
sfumatura aspettuale in cui si sottolinea lo svolgimento del processo. Questo valore è
ristretto ad un inventario lessicale limitato, costituito da verbi che indicano un senso
generalmente negativo, come: deludere, smarrire, spendere, sprecare, versare, vendere,
tagliare, abbattere ecc. In tal caso è in uso solo la terza persona, singolare e plurale:
Il libro andò perso. (“fu perso”)
I documenti andarono smarriti. (“furono smarriti”)
2. L’idea di opportunità, dovere, necessità. Questo valore è ammesso con tutti i
verbi, ma solo nei tempi semplici e alla terza persona, singolare e plurale. In questo caso
«va + participio passato» ha il valore di «deve essere + participio passato»:
Questo lavoro va finito per domani. (“deve essere finito”)
Inoltre, il passivo si può formare con il cosiddetto “si” passivante premesso alla
terza persona singolare o plurale di un verbo transitivo attivo in un tempo semplice:
Si acquistano (= sono acquistati) mobili antichi.
Il verbo ha forma riflessiva quando il soggetto compie e nello stesso tempo
subisce l’azione e, quindi, l’azione si riflette sul soggetto.
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Vengono definiti verbi riflessivi i verbi transitivi che nella coniugazione sono
preceduti o seguiti da uno dei pronomi atoni riflessivi mi, ti, si, ci, vi:
Lavandosi le mani, Marco si guardava nello specchio.
5.2. Le “variabili” del verbo
5.2.1. La persona, il numero e il genere
Le persone del verbo sono tre per il numero singolare e tre per il numero plurale:
la prima persona singolare e plurale indica chi parla; la seconda persona singolare e
plurale indica chi ascolta; la terza persona singolare e plurale indica qualcuno o qualcosa
di distinto da chi parla e da chi ascolta. Le sei forme verbali dei modi finiti hanno come
soggetto i pronomi personali:
– io, tu, egli / ella rispettivamente per la prima, seconda e terza persona singolare;
– noi, voi, essi / esse per la prima, seconda e terza persona plurale.
Unica eccezione l’imperativo, che non ha la prima persona singolare.
Dei modi indefiniti, l’infinito e il gerundio non hanno persona né variano in
numero; il participio presente ha il plurale (cantante / cantanti) e il participio passato
varia in genere e in numero (servito, servita, serviti, servite).
5.2.2. Il modo
Il modo indica come un evento è presentato da chi parla, rivelando il suo punto di
vista. In italiano, esistono sette modi verbali:
a) quattro modi finiti, che si coniugano, variando le desinenze, e permettono di
individuare le persone che fungono da soggetto: indicativo (il modo della realtà),
congiuntivo (il modo del desiderio o della speranza, del dubbio o del timore),
condizionale (il modo della eventualità che una cosa avvenga, ma a certe condizioni) e
imperativo (è il modo dell’esortazione, dell’invito, del consiglio, della preghiera);
b) tre modi indefiniti, che non sono determinati rispetto a un soggetto e non
contengono l’indicazione della persona: infinito (esprime genericamente l’azione senza
indicare chi la compie), participio (rappresenta il modo di partecipare alla natura del
verbo) e gerundio (presenta un’azione legata ad un’altra).
L’infinito, il participio e il gerundio sono detti anche forme nominali del verbo,
perché vengono spesso usati in funzione di sostantivo e di aggettivo.
5.2.3. Il tempo
Il tempo indica il rapporto cronologico che intercorre tra il momento in cui viene
formulato l’enunciato e il momento in cui si verifica l’azione espressa dal verbo della
frase.
In italiano, tutti i modi, siano essi finiti o indefiniti, si articolano in tempi (tranne
l’imperativo), ascrivibili genericamente a due categorie fondamentali: tempi semplici
(formati da una sola parola) e tempi composti (formati dall’ausiliare e dal participio
passato del verbo).
Si tenga però presente che al passivo il tempo semplice è formato dall’ausiliare
essere + il verbo al participio passato.
I tempi dell’indicativo sono otto, quattro semplici (presente, imperfetto, passato
remoto, futuro semplice) e quattro composti (passato prossimo, trapassato prossimo,
trapassato remoto, futuro anteriore).
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I tempi del congiuntivo sono quattro, due semplici (presente e imperfetto) e due
composti (passato e trapassato).
I tempi del condizionale sono solo due: presente (tempo semplice) e passato
(tempo composto).
L’infinito, il participio e il gerundio hanno due tempi ciascuno: presente e
passato
5.3. I verbi di “servizio”
5.3.1. I verbi ausiliari
Gli ausiliari propriamente detti dell’italiano sono due: essere e avere.
Per quanto riguarda la collocazione dell’ausiliare, esso di norma precede
immediatamente il participio a cui si riferisce: ho parlato, siamo andati.
Tra ausiliare e participio possono interporsi elementi semanticamente «deboli»,
come avverbi o congiunzioni:
Non ho ancora letto la lettera arrivata stamattina.
Abbiamo già affrontato quest’argomento.
Non ero stato invitato, non ho perciò potuto partecipare.
Per quanto riguarda l’uso dell’ausiliare, nell’italiano si possono identificare tre
gruppi di verbi:
a) verbi che usano solo avere: i verbi transitivi e alcuni verbi attivi intransitivi:
Paolo ha comprato due dischi nuovi.
Ieri ho dormito dalle due alle quattro.
b) verbi che usano soltanto essere: i verbi riflessivi, i verbi usati in forma
impersonale, la maggioranza dei verbi intransitivi, i verbi alla forma passiva:
Marco si è vestito per uscire.
Non ci siamo accorti di nulla.
Questo romanzo è scritto da Luigi Pirandello.
c) verbi che usano l’uno o l’altro variando significato in ciascun caso: alcuni
verbi intransitivi, come aumentare, correre, crescere ecc, e i verbi impersonali relativi a
fenomeni atmosferici:
Sono corso a casa. / Ho corso tutta la giornata.
È piovuto tanto. / Ha piovuto tutta la notte.
L’uso dell’ausiliare temporale è oscillante anche con un verbo che regge un verbo
all’infinito:
Luigi è dovuto andare in città.
Ieri ho dovuto comprare un nuovo libro.
5.3.2. I verbi servili
I verbi servili o modali sono una classe particolare di verbi che, premessi
all’infinito di un verbo, formano con esso un predicato unico.
Di solito si considerano verbi servili potere, dovere e volere e, con alcune
restrizioni, sapere (nel senso di “essere capace di”, “essere in grado di”). Dal punto di
vista semantico, questi verbi qualificano una particolare modalità dell’azione, incardinata
sulla possibilità (potere, sapere), sulla necessità (dovere), sulla volontà (volere).
Marco può arrivare da un momento all’altro.
Ha saputo risolvere tutto senza problemi.
Dobbiamo attendere il nostro turno.
Luigi non ha voluto mangiare nulla.
Per quanto riguarda la scelta dell’ausiliare temporale nella presenza dei verbi
servili dovere, potere, volere e sapere, possiamo distinguere le seguenti situazioni:
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1. Se sono combinati con l’infinito di un verbo attivo, prendono l’ausiliare
dell’infinito che reggono. Sapere, invece, prende sempre l’ausiliare avere, essendo verbo
servile nel senso di “essere capace di”, “essere in grado di”:
Abbiamo dovuto attendere il nostro turno.
Siamo dovuti partire più presto.
Come mai hai saputo venire qui?
2. Se i verbi servili sono combinati con l’infinito di un verbo riflessivo,
osserviamo che:
a) Se il pronome riflessivo “sale” ad attaccarsi al verbo servile, si usa l’ausiliare
essere, perché tutta la costruzione diventa riflessiva e l’ausiliare temporale dei verbi
riflessivi è essere:
Carlo e Lucia si sono potuti sposare a maggio.
b) se il pronome riflessivo si unisce all’infinito in posizione enclitica, si usa
l’ausiliare avere, la costruzione conservando il carattere transitivo della forma attiva del
verbo all’infinito. In più, anche i verbi servili, usati da soli, selezionano l’ausiliare avere:
Carlo e Lucia hanno potuto sposarsi a maggio.
5.3.3. I verbi fraseologici
Sono detti fraseologici i verbi che reggono un infinito retto da preposizione o un
gerundio, evidenziando un particolare aspetto dell’azione dei verbi che seguono; per
questo motivo vengono definiti anche aspettuali.
Nei tempi composti, i verbi fraseologici richiedono l’ausiliare che avrebbero se
fossero usati autonomamente.
I verbi fraseologici costituiscono un unico predicato con il verbo che li
accompagna.
I costrutti più notevoli esprimono i seguenti ambiti di significato:
– azione che sta per iniziare: stare per, essere sul punto di ecc. + infinito: Ho
fretta: sto per partire.
– azione che viene tentata: sforzarsi di, cercare di, tentare di, provare a +
infinito: Cerca di venire presto.
– azione che inizia: cominciare a, iniziare a, mettersi a + infinito: D’un tratto si
mise a correre.
– azione in svolgimento: stare + gerundio, andare + gerundio, venire + gerundio:
Non disturbarmi: sto svolgendo un compito difficile.
– azione che dura nel tempo: continuare a, insistere a o nel, persistere a o nel,
ostinarsi a + infinito: Continua a disturbare.
– azione che si avvia verso una certa conclusione: finire per + infinito: Finiremo
per restare senza spiccioli.
– azione che termina: smettere di, cessare di, finire di, terminare di + infinito: Ha
smesso di piangere.
5.3.4. I verbi causativi
Si chiamano verbi causativi o fattitivi i verbi fare e lasciare che si
accompagnano a un altro verbo, posto all’infinito, per esprimere un’azione causata – fatta
eseguire (fare) o lasciata eseguire (lasciare) – dal soggetto e non direttamente compiuta
da esso:
L’ho fatto aspettare più di un’ora.
Il professore non mi ha lasciato finire la lezione.
Nel costrutto verbo causativo + infinito, il verbo causativo e l’infinito formano
una unità in cui l’infinito esprime il contenuto semantico principale, mentre il verbo
causativo (che non ha il suo significato lessicale autonomo) serve a modificarne il
significato in senso causativo e a esprimere la funzione grammaticale.
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Nella pronuncia l’accento principale cade sulla sillaba tonica dell’infinito. In
molti casi è addirittura possibile trascrivere il costrutto verbo causativo + infinito con un
verbo singolo (cioè il contenuto semantico del costrutto verbo causativo + infinito può
essere riprodotto con una sola radice), p. es.: far sapere – avvisare, annunciare; far vedere
– mostrare, indicare; far imparare – insegnare; lasciar stare – smettere ecc.
5.4. Il verbo secondo la flessione: le coniugazioni
L’insieme di tutte le forme che un verbo può assumere per comunicare persona,
numero, modo e tempo si chiama coniugazione.
Coniugare un verbo significa, a partire dalla forma dell’infinito, dargli la forma
necessaria a comunicare l’informazione desiderata.
La coniugazione completa di un verbo prende nome di paradigma.
La coniugazione di un verbo è regolare quando in tutte le sue forme il verbo
conserva lo stesso tema cambiando la desinenza. I verbi che si discostano dal modello
della coniugazione alla quale appartengono cambiando il tema o la desinenza sono detti
irregolari.
I verbi italiani, in base alla vocale tematica presente nell’infinito, vengono divisi
in tre grandi classi, dette comunemente coniugazioni:
– prima coniugazione: vocale tematica -a-, e desinenza dell’infinito -are:
parlare, cantare, amare, guardare ecc.
– seconda coniugazione: vocale tematica -e-, e desinenza dell’infinito -ere, con
la e tonica (sapére, temére) o atona (pèrdere, vìncere): vedere, sedere, potere, vivere ecc.
– terza coniugazione: vocale tematica -i-, e desinenza dell’infinito -ire: dormire,
colpire, finire, servire ecc.
5.4.1. La coniugazione dei verbi ausiliari
I verbi ausiliari essere e avere presentano una coniugazione del tutto anomala
rispetto agli altri verbi della lingua italiana.
Il paradigma di essere deriva direttamente dal paradigma di essere in latino,
quello di avere si potrebbe attribuire alla seconda coniugazione, se non fosse per l’uso
frequentissimo che ne ha modificato molte forme.
Coniugazione del verbo essere
Indicativo
_____________________________________________________
presente
passato prossimo
io sono
io sono stato
tu sei
tu sei stato
egli è
egli è stato
noi siamo
noi siamo stati
voi siete
voi siete stati
essi sono
essi sono stati
_____________________________________________________
imperfetto
trapassato prossimo
io ero
io ero stato
tu eri
tu eri stato
egli era
egli era stato
noi eravamo
noi eravamo stati
voi eravate
voi eravate stati
essi erano
essi erano stati
_____________________________________________________
52
passato remoto
trapassato remoto
io fui
io fui stato
tu fosti
tu fosti stato
egli fu
egli fu stato
noi fummo
noi fummo stati
voi foste
voi foste stati
essi furono
essi furono stati
_____________________________________________________
futuro semplice
futuro anteriore
io sarò
io sarò stato
tu sarai
tu sarai stato
egli sarà
egli sarà stato
noi saremo
noi saremo stati
voi sarete
voi sarete stati
essi saranno
essi saranno stati
Congiuntivo
_____________________________________________________
presente
passato
che io sia
che io sia stato
che tu sia
che tu sia stato
che egli sia
che egli sia stato
che noi siamo
che noi siamo stati
che voi siate
che voi siate stati
che essi siano
che essi siano stati
_____________________________________________________
imperfetto
trapassato
che io fossi
che io fossi stato
che tu fossi
che tu fossi stato
che egli fosse
che egli fosse stato
che noi fossimo
che noi fossimo stati
che voi foste
che voi foste stati
che essi fossero
che essi fossero stati
Condizionale
_____________________________________________________
presente
passato
io sarei
io sarei stato
tu saresti
tu saresti stato
egli sarebbe
egli sarebbe stato
noi saremmo
noi saremmo stati
voi sareste
voi sareste stati
essi sarebbero
essi sarebbero stati
Imperativo
_____________________________________________________
presente
–
sii tu
sia egli
siamo noi
siate voi
siano essi
Infinito
_____________________________________________________
presente
passato
53
essere
essere stato
Participio
_____________________________________________________
presente
passato
(ente)
stato
Gerundio
_____________________________________________________
presente
passato
essendo
essendo stato
Per quanto riguarda l’ausiliare essere, si deve ritenere che:
1. Il participio presente ente si usa soltanto come sostantivo, nei significati di
“essere”, “istituzione”: Secondo il pensiero religioso Dio è l’ente supremo., Ho bisogno
di rivolgermi a un ente assistenziale.
2. Il participio passato stato è mutuato dal verbo stare; il vero participio passato
di essere è la voce arcaica suto.
3. L’infinito sostantivato essere (maschile) è usato nei significati di “esistenza,
vita”: Nel libro si discutono i problemi dell’essere., e di “persona, individuo”: Gli esseri
umani sono mortali.
4. Oltre alla funzione di ausiliare, il verbo essere ha anche quella di copula per
la formazione del predicato nominale: Maria è insegnante di lettere., e quella di
predicato verbale, nel significato di “essere”, “trovarsi”: Domani sarò a Bucarest.
Quando ha funzione predicativa e funziona come predicato verbale, il verbo
essere è intransitivo e richiede sempre l’ausiliare essere.
Coniugazione del verbo avere
Indicativo
_____________________________________________________
presente
passato prossimo
io ho
io ho avuto
tu hai
tu hai avuto
egli ha
egli ha avuto
noi abbiamo
noi abbiamo avuto
voi avete
voi avete avuto
essi hanno
essi hanno avuto
_____________________________________________________
imperfetto
trapassato prossimo
io avevo
io avevo avuto
tu avevi
tu avevi avuto
egli aveva
egli aveva avuto
noi avevamo
noi avevamo avuto
voi avevate
voi avevate avuto
essi avevano
essi avevano avuto
_____________________________________________________
passato remoto
trapassato remoto
io ebbi
io ebbi avuto
tu avesti
tu avesti avuto
egli ebbe
egli ebbe avuto
noi avemmo
noi avemmo avuto
voi aveste
voi aveste avuto
essi ebbero
essi ebbero avuto
_____________________________________________________
futuro semplice
futuro anteriore
io avrò
io avrò avuto
54
tu avrai
egli avrà
noi avremo
voi avrete
essi avranno
tu avrai avuto
egli avrà avuto
noi avremo avuto
voi avrete avuto
essi avranno avuto
Congiuntivo
_____________________________________________________
presente
passato
che io abbia
che io abbia avuto
che tu abbia
che tu abbia avuto
che egli abbia
che egli abbia avuto
che noi abbiamo
che noi abbiamo avuto
che voi abbiate
che voi abbiate avuto
che essi abbiano
che essi abbiano avuto
_____________________________________________________
imperfetto
trapassato
che io avessi
che io avessi avuto
che tu avessi
che tu avessi avuto
che egli avesse
che egli avesse avuto
che noi avessimo
che noi avessimo avuto
che voi aveste
che voi aveste avuto
che essi avessero
che essi avessero avuto
Condizionale
_____________________________________________________
presente
passato
io avrei
io avrei avuto
tu avresti
tu avresti avuto
egli avrebbe
egli avrebbe avuto
noi avremmo
noi avremmo avuto
voi avreste
voi avreste avuto
essi avrebbero
essi avrebbero avuto
Imperativo
_____________________________________________________
presente
–
abbi tu
abbia egli
abbiamo noi
abbiate voi
abbiano essi
Infinito
_____________________________________________________
presente
passato
avere
avere avuto
Participio
_____________________________________________________
presente
passato
avente
avuto
Gerundio
55
_____________________________________________________
presente
passato
avendo
avendo avuto
Per quanto riguarda l’ausiliare avere, si deve ritenere che:
1. Il participio presente avente è usato solo in alcune locuzioni tipiche del
linguaggio del diritto: avente causa, avente diritto.
2. L’infinito sostantivato avere (maschile) al singolare ha il significato di
“credito”: il dare e l’avere = il debito e il credito; al plurale (gli averi) è usato nel
significato di “ricchezze, beni posseduti”.
3. Oltre alla funzione di ausiliare, il verbo avere ha anche quella di predicato
verbale, nel significato di “possedere”: Mario ha una casa molto bella.
5.4.2. La coniugazione attiva
I verbi regolari delle tre coniugazioni attive formano i tempi composti con
l’ausiliare avere o con essere secondo le regole indicate.
Quando l’ausiliare è avere il participio passato rimane invariato, mentre quando
l’ausiliare è essere concorda in genere e numero con il soggetto.
I verbi scelti formano i tempi composti con l’ausiliare avere + participio passato.
I verbi che vogliono l’ausiliare essere si differenziano da queste coniugazioni nei tempi
composti, che si formano con il verbo essere + il participio passato del verbo.
__________________________________________________________________
I coniugazione
II coniugazione
III coniugazione
parlare
temere
sentire
__________________________________________________________________
Indicativo
__________________________________________________________________
presente
io
parlo
temo
sento
tu
parli
temi
senti
egli
parla
teme
sente
noi
parliamo
temiamo
sentiamo
voi
parlate
temete
sentite
essi
parlano
temono
sentono
__________________________________________________________________
imperfetto
io
parlavo
temevo
sentivo
tu
parlavi
temevi
sentivi
egli
parlava
temeva
sentiva
noi
parlavamo
temevamo
sentivamo
voi
parlavate
temevate
sentivate
essi
parlavano
temevano
sentivano
__________________________________________________________________
passato remoto
io
parlai
temei (-etti)
sentii
tu
parlasti
temesti
sentisti
egli
parlò
temè (-ette)
sentì
noi
parlammo
tememmo
sentimmo
voi
parlaste
temeste
sentiste
essi
parlarono
temerono (-ettero)
sentirono
__________________________________________________________________
futuro semplice
56
io
parlerò
temerò
sentirò
tu
parlerai
temerai
sentirai
egli
parlerà
temerà
sentirà
noi
parleremo
temeremo
sentiremo
voi
parlerete
temerete
sentirete
essi
parleranno
temeranno
sentiranno
__________________________________________________________________
passato prossimo
io
ho parlato
ho temuto
ho sentito
tu
hai parlato
hai temuto
hai sentito
egli
ha parlato
ha temuto
ha sentito
noi
abbiamo parlato
abbiamo temuto
abbiamo sentito
voi
avete parlato
avete temuto
avete sentito
essi
hanno parlato
hanno temuto
hanno sentito
__________________________________________________________________
trapassato prossimo
io
avevo parlato
avevo temuto
avevo sentito
tu
avevi parlato
avevi temuto
avevi sentito
egli
aveva parlato
aveva temuto
aveva sentito
noi
avevamo parlato
avevamo temuto
avevamo sentito
voi
avevate parlato
avevate temuto
avevate sentito
essi
avevano parlato
avevano temuto
avevano sentito
__________________________________________________________________
trapassato remoto
io
ebbi parlato
ebbi temuto
ebbi sentito
tu
avesti parlato
avesti temuto
avesti sentito
egli
ebbe parlato
ebbe temuto
ebbe sentito
noi
avemmo parlato
avemmo temuto
avemmo sentito
voi
aveste parlato
aveste temuto
aveste sentito
essi
ebbero parlato
ebbero temuto
ebbero sentito
__________________________________________________________________
futuro anteriore
io
avrò parlato
avrò temuto
avrò sentito
tu
avrai parlato
avrai temuto
avrai sentito
egli
avrà parlato
avrà temuto
avrà sentito
noi
avremo parlato
avremo temuto
avremo sentito
voi
avrete parlato
avrete temuto
avrete sentito
essi
avranno parlato
avranno temuto
avranno sentito
Congiuntivo
__________________________________________________________________
presente
che
io
parli
tema
senta
che
tu
parli
tema
senta
che
egli
parli
tema
senta
che
noi
parliamo
temiamo
sentiamo
che
voi
parliate
temiate
sentiate
che
essi
parlino
temano
sentano
__________________________________________________________________
imperfetto
che
io
parlassi
temessi
sentissi
che
tu
parlassi
temessi
sentissi
che
egli
parlasse
temesse
sentisse
che
noi
parlassimo
temessimo
sentissimo
che
voi
parlaste
temeste
sentiste
che
essi
parlassero
temessero
sentissero
__________________________________________________________________
57
passato
che
io
abbia parlato
abbia temuto
abbia sentito
che
tu
abbia parlato
abbia temuto
abbia sentito
che
egli
abbia parlato
abbia temuto
abbia sentito
che
noi
abbiamo parlato
abbiamo temuto
abbiamo sentito
che
voi
abbiate parlato
abbiate temuto
abbiate sentito
che
essi
abbiano parlato
abbiano temuto
abbiano sentito
__________________________________________________________________
trapassato
che
io
avessi parlato
avessi temuto
avessi sentito
che
tu
avessi parlato
avessi temuto
avessi sentito
che
egli
avesse parlato
avesse temuto
avesse sentito
che
noi
avessimo parlato
avessimo temuto
avessimo sentito
che
voi
aveste parlato
aveste temuto
aveste sentito
che
essi
avessero parlato
avessero temuto
avessero sentito
Condizionale
__________________________________________________________________
presente
io
parlerei
temerei
sentirei
tu
parleresti
temeresti
sentiresti
egli
parlerebbe
temerebbe
sentirebbe
noi
parleremmo
temeremmo
sentiremmo
voi
parlereste
temereste
sentireste
essi
parlerebbero
temerebbero
sentirebbero
__________________________________________________________________
passato
io
avrei parlato
avrei temuto
avrei sentito
tu
avresti parlato
avresti temuto
avresti sentito
egli
avrebbe parlato
avrebbe temuto
avrebbe sentito
noi
avremmo parlato
avremmo temuto
avremmo sentito
voi
avreste parlato
avreste temuto
avreste sentito
essi
avrebbero parlato
avrebbero temuto
avrebbero sentito
Imperativo
__________________________________________________________________
presente
–
–
–
parla tu
temi tu
senti tu
parli egli
tema egli
senta egli
parliamo noi
temiamo noi
sentiamo noi
parlate voi
temete voi
sentite voi
parlino essi
temano essi
sentano essi
Infinito
__________________________________________________________________
presente
parlare
temere
sentire
__________________________________________________________________
passato
avere parlato
avere temuto
avere sentito
Participio
__________________________________________________________________
presente
parlante
temente
sentente (senziente)
__________________________________________________________________
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passato
parlato
temuto
sentito
Gerundio
__________________________________________________________________
presente
parlando
temendo
sentendo
__________________________________________________________________
passato
avendo parlato
avendo temuto
avendo dormito
La prima coniugazione è la più ricca di verbi delle tre dell’italiano ed è quella che
presenta meno verbi irregolari.
1. I verbi che terminano in -care, -gare conservano il suono velare (duro) della c
e della g in tutta la coniugazione; perciò inseriscono una h davanti alle desinenze che
cominciano per e o per i:
cercare - io cerc-o, tu cerc-h-i, io cerc-h-erò…
navigare - io navig-o, tu navig-h-i, io navig-h-erò…
2. I verbi in -iare conservano la i della radice anche davanti a desinenza che
comincia per i quando la i della radice è accentata; la perdono invece quando non è
accentata:
inviare - io invì-o, tu invì-i, noi inv-iàmo…
studiare - io stùdi-o, tu stùd-i, noi stud-iàmo…
3. I verbi che presentano nella radice il dittongo mobile uò lo conservano quando
è il sillaba tonica:
io suòno, tu suòni, egli suòna, essi suònano
possono semplificarlo in o quando l’accento si sposta sulla desinenza:
noi soniàmo o suoniàmo, voi sonàte o suonàte
La seconda coniugazione contiene pochi verbi, ma tra essi ci sono quelli più usati
della lingua italiana. La maggior parte di essi è irregolare ed è costituita sia da verbi con
desinenza accentata (sapére, temére) sia da verbi con la desinenza non accentata
(pèrdere, vìncere).
1. Molti verbi della seconda coniugazione, nella prima e terza persona singolare e
nella terza plurale del passato remoto, presentano la doppia forma: -ei/-etti, -è/-ette, erono/-ettero.
I dizionari indicano sempre quali verbi ammettono le due forme.
Si preferisce non usare la seconda forma quando la radice del verbo finisce in t:
potei e non potetti, insistei e non insistetti.
2. I verbi in -cere, -gere e -scere conservano il suono dolce (palatale) della c e
della g davanti alle desinenze ce iniziano per e o per i; modificano il suono della c e della
g in duro (velare) davanti a quelle che iniziano per a o per o:
vincere - io vinc-o, tu vinc-i, egli vinc-e…
pungere - io pung-o, tu pung-i, egli pung-e…
crescere - io cresc-o, tu cresc-i, egli cresc-e…
Ma alcuni verbi (per esempio cuocere) conservano sempre il suono palatale
inserendo una i grafica fra la radice e le desinenze che iniziano per a o per o:
io cuoc-i-o, che io cuoc-i-a…
I verbi in -cére (con l’accento sulla vocale tematica) mantengono sempre la c
dolce, per cui inseriscono la i grafica e raddoppiano la c davanti alle desinenze che
iniziano per a o per o:
tacere - io taccio, tu taci, egli tace, che io taccia…
Molti verbi della terza coniugazione, chiamati incoativi per analogia con la
terminazione in -sco dei verbi incoativi latini, inseriscono l’infisso -isc- tra la radice e la
desinenza delle tre persone singolari e della terza persona plurale del presente indicativo e
59
congiuntivo, e nella seconda, terza singolare e terza plurale dell’imperativo (tutte le altre
forme sono identiche a quelle di dormire).
Seguono questo tipo di coniugazione con -isc- i verbi: abbellire, abolire, aderire,
agire, alleggerire, capire, chiarire, colorire, colpire, concepire, conferire, contribuire,
costituire, costruire, dimagrire, diminuire, ferire, fiorire, fornire, garantire, gradire,
guarire, impazzire, ingrandire, innervosire, inserire, intimorire, irrigidire, istituire,
istruire, percepire, preferire, proibire, reagire, restituire, riunire, scolorire, scolpire,
seppellire, smarrire, smentire, sostituire, sparire, spedire, stabilire, stupire, subire,
suggerire, tradire, trasalire, trasferire, ubbidire, unire, usufruire, zittire etc.
5.4.3. La coniugazione passiva
Nella coniugazione passiva, le voci verbali sono costituite dalle forme
dell’ausiliare essere seguite dal participio passato del verbo da coniugare.
L’ausiliare essere va coniugato al modo, tempo e persona che si vuole ottenere; il
participio passato si accorda sempre in genere e numero con il soggetto.
5.4.4. La coniugazione riflessiva
La caratteristica della coniugazione riflessiva è costituita dal fatto che le voci
verbali sono accompagnate dalle particelle pronominali mi, ti, si, ci, vi, si.
Nell’indicativo, nel congiuntivo e nel condizionale, tali particelle precedono il verbo. Nei
modi indefiniti e nell’imperativo, esclusa la terza persona, singolare e plurale, le particelle
sono poste dopo il verbo e si fondono con esso o, nei tempi composti, con l’ausiliare, che
è sempre essere.
Nella forma negativa della seconda persona singolare e plurale dell’imperativo, le
particelle pronominali possono stare indifferentemente prima o dopo il verbo:
non ti lavare / non lavarti
non vi lavate / non lavatevi
Il participio passato dei verbi riflessivi concorda sempre in genere e numero con
il soggetto.
5.4.5. I verbi irregolari
Sono detti irregolari quei verbi che non seguono, nella flessione, lo schema
tipico della coniugazione a cui appartengono.
L’irregolarità può consistere:
– in mutamenti consonantici di vario tipo a livello di radice:
togli-ere - tolg-o
vol-ere - vogli-o
– nel cambiamento delle normali desinenze:
cad-ere - cad-di, invece di cad-ei o cad-etti
ven-ire - ven-ni, invece di ven-ii
– nel cambiamento sia della radice sia delle desinenze:
viv-ere - vis-sero, invece di viv-erono
– nel mutamento della vocale tematica:
stare - stessi, invece di stassi
– nella perdita di una vocale fra consonanti:
andare - andrò, invece di anderò
cui in altri casi segue una fusione (assimilazione) di consonanti l, n + r con esito rr:
volere - vorrei non volrei o volerei
venire - verrei non venrei o venirei
60
– nell’alternanza di due o più radici (suppletivismo); per esempio, nel verbo
andare la radice and- si alterna in parte della coniugazione con la radice vad-, di etimono
diverso:
vado, vai, va; andiamo, andate, vanno ecc.
Le divergenze dei verbi irregolari rispetto al modello delle varie coniugazioni non
sono mai un fatto inspiegabile e, tanto meno, casuale. Taluni dei verbi cosiddetti
irregolari continuano in italiano anomalie già proprie dei verbi latini da cui derivano;
altri, invece, costituiscono il risultato di trasformazioni dovute alle pressioni cui sono stati
sottoposti dall’uso continuo e che li hanno resi più agili o più chiari o, semplicemente, più
facili da pronunciare.
I verbi irregolari della prima coniugazione sono soltanto quattro: andare, dare,
fare e stare.
I verbi irregolari più numerosi appartengono alla seconda coniugazione. Si è
soliti dividerli in due gruppi:
– alcuni, con e tonica, come valére, oppure atona, come cògliere, presentano
irregolarità in più tempi;
– altri, con e atona, come accèndere, presentano irregolarità solo nell’indicativo
passato remoto (e precisamente alla prima e terza persona singolare e alla terza plurale) e
nel participio passato.
Non molti sono i verbi irregolari della terza coniugazione.
I modi e i tempi che presentano le maggiori irregolarità sono: il presente
indicativo e congiuntivo; il passato remoto; il futuro e il condizionale; il participio
passato.
5.5. Uso dei modi e dei tempi
5.5.1. Il modo indicativo e i suoi tempi
L’indicativo è il modo verbale della realtà, della certezza e della obiettività. Si
usa pertanto sia nelle proposizioni indipendenti sia in quelle dipendenti, per indicare ciò
che è vero e sicuro o, comunque, ritenuto e presentato come tale.
Il presente esprime un fatto, una situazione o un modo di essere che si verificano
o sussistono nel presente, cioè contemporaneamente al momento in cui si parla:
Voglio un bicchiere d’acqua.
Il cielo è nuvoloso.
È usato inoltre per esprimere valori che prescindono dal concetto di
contemporaneità.
Il passato prossimo indica un’azione compiuta nel passato, il cui processo è
considerato obiettivamente o psicologicamente attuale, o per la brevità reale o
immaginata del tempo trascorso, o per gli effetti e i risultati di varia natura che perdurano
nel presente.
È usato per indicare:
– un evento avvenuto in un passato recente rispetto al momento in cui viene
enunciato e a cui viene riferito (nella stessa giornata o in quelle immediatamente
precedenti): Paolo è appena uscito.
– un evento che, anche avvenuto in un passato lontano, ha legami con il presente:
Nel 1970 mi sono laureato in lettere.
– come tempo di relazione, in rapporto con un tempo passato o con il tempo
presente: Appena mi ha visto, è scappato via., Appena ho finito, ti telefono.
L’imperfetto indica un’azione avvenuta nel passato in un arco di tempo di cui
non è precisato né il momento di inizio, né quello conclusivo.
61
L’imperfetto è usato per indicare:
– un’azione passata di cui si evidenzia la durata:
Le ragazze camminavano lungo la riva.
o la ripetitività (imperfetto iterativo):
L’anno scorso pioveva spesso.
– un’azione già cominciata nel momento in cui si realizza l’azione principale
(indicata con un verbo al passato prossimo o al passato remoto):
Aspettavo già da due ore, quando è arrivata Luisa.
Camminavo per la strada, quando scoppiò il temporale.
– due o più azioni contemporanee in svolgimento:
Mentre mangiavo, guardavo la TV.
– una descrizione nel passato (imperfetto descrittivo).
Il trapassato prossimo indica un’azione conclusa nel passato, anteriormente a
un’altra azione passata e ad essa collegata.
Il verbo reggente può essere:
– all’imperfetto:
Aspettavo Maria, che mi aveva promesso di venire.
– al passato prossimo:
Ti ho portato il libro che mi avevi chiesto.
– al passato remoto:
Ero appena tornato, quando mi chiamarono dal lavoro.
Il trapassato prossimo si usa pure in proposizioni principali:
Mi ero illuso che mio figlio fosse un ragazzo diligente.
Il passato remoto (o passato storico) è il tempo proprio della narrazione e indica:
– un evento avvenuto nel passato, senza nessun legame col presente:
La sua affermazione mi lasciò imbarazzato.
– un evento realizzato in un contesto storico definitivamente compiuto:
Nerone ebbe per maestro Seneca.
– Si usa spesso al posto del trapassato remoto, per indicare un evento anteriore a
un altro evento:
Appena finirono la festa, mi telefonarono.
Il trapassato remoto indica un fatto anteriore al passato remoto. Oggi si trova
solo nelle proposizioni temporali introdotte da quando, non appena, appena (che):
Quando ebbe finito di parlare, si alzò e andò via.
Appena ebbi pronunciato quelle parole, mi pentii.
Osservazione:
Oggi il trapassato remoto viene sostituito spesso dal passato remoto o, se il
soggetto della secondaria è lo stesso della principale, dal participio passato:
Appena finirono la festa, mi telefonarono.
Appena finita la festa, mi telefonarono.
Il futuro semplice indica un fatto che deve ancora verificarsi o giungere a
compimento:
Domani si festeggerà il compleanno di Clara.
Il futuro semplice può anche esprimere:
– un dubbio, una supposizione:
Sarà come dici tu, ma non ne sono convinto.
– un’approssimazione:
– Che ore sono? / – Saranno le tre (= Sono circa le tre).
– un comando (imperativo futuro):
Farai esattamente ciò che ti ho detto. Capito?
Il futuro anteriore si usa nelle subordinate temporali e indica un’azione
anteriore ad un’altra, anch’essa futura:
62
Quando avrai fatto i compiti potrai uscire.
Osservazioni:
– Il futuro anteriore può indicare anche un’azione passata su cui abbiamo dubbi:
Sarà stato giusto quello che ho fatto? (= Era giusto…)
– Si usa raramente in senso assoluto:
Ma quando avrete finito di parlare di queste sciocchezze!
– Nella lingua parlata è talvolta sostituito dal passato prossimo:
Quando ho finito (= avrò finito) gli studi, andrò a lavorare a Milano.
– Nella lingua parlata si manifesta anche la tendenza a sostituire il futuro
anteriore col futuro semplice:
Ci assicura che appena finirà (= avrà finito), verrà.
5.5.2. Il modo congiuntivo e i suoi tempi
Il congiuntivo è il modo della possibilità, del dubbio e dell’incertezza. Indica che
l’evento espresso dal verbo è presentato come possibile, verosimile, incerto, ipotizzabile,
dubbio, desiderabile, sperato o temuto.
Il congiuntivo presente è usato:
– nelle proposizioni indipendenti, per esprimere un dubbio, un timore, una
volontà, un augurio o un’ipotesi, per lo più in forma interrogativa:
Che sia arrabbiato con noi?
Il Signore sia con voi.
– nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di contemporaneità
rispetto a un presente o a un futuro contenuti nella reggente:
Desidero che Maria resti qui.
Tutti penseranno che tu sia matto.
Il congiuntivo passato è usato:
– nelle proposizioni indipendenti, per esprimere dubbio o possibilità nel passato,
per lo più in forma interrogativa:
Che il treno sia già partito?
– nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di anteriorità rispetto
a un presente o a un futuro della reggente:
È probabile che Luigi sia partito.
Luisa penserà che tu non le abbia telefonato.
Il congiuntivo imperfetto è usato:
– nelle proposizioni indipendenti, per esprimere un timore, un augurio ecc. che si
ritengono o si temono al presente non realizzabili:
Magari potessi venire con te!
Ah, se telefonasse!
– nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di contemporaneità
rispetto a un indicativo passato o a un condizionale della reggente:
Temevo che partisse senza soldi.
Vorrei che non arrivassi così tardi.
o un rapporto di anteriorità rispetto a un indicativo presente della reggente:
Credo che allora vivesse da sola.
Il congiuntivo imperfetto si usa, inoltre, nella protasi del periodo ipotetico della
possibilità:
Se fossi ricco, regalerei molti soldi ai poveri.
e dell’irrealtà, in riferimento al presente:
Se fossi invisibile, saprei cosa si dice di me.
Il congiuntivo trapassato è usato:
63
– nelle proposizioni indipendenti, per esprimere desiderio o possibilità riferiti al
passato e non realizzati:
Se avessi studiato di più!
– nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di anteriorità rispetto
a un indicativo passato o a un condizionale passato della reggente:
Non sapevo se tu fossi arrivato.
Non avrei mai immaginato che fosse stato Mario.
Si usa, inoltre, nella protasi del periodo ipotetico dell’irrealtà, in riferimento al
passato:
Se fosse stato onesto, non avrebbe rubato.
5.5.3. Il modo condizionale e i suoi tempi
Il condizionale è il modo della possibilità condizionata: presenta l’evento
espresso dal verbo come possibile o realizzabile solo a certe condizioni:
Verrei volentieri, ma non posso.
Se ti impegnassi di più, saresti migliore.
Il condizionale presente esprime un evento che potrebbe verificarsi nel presente
o nel futuro a condizione che accada o che sia accaduto un altro evento:
Se avessi bisogno di aiuto, ti chiamerei.
Se avessi preso l’aereo, sarei già a casa.
Il condizionale presente si usa soprattutto nell’apodosi del periodo ipotetico della
possibilità:
Se la gente seguisse questi consigli, lei perderebbe i clienti.
e dell’irrealtà, in riferimento al presente:
Se fossi un gabbiano, volerei sopra il mare.
Si usa pure per esprimere:
– un desiderio, una intenzione:
Vorrei sciare!
Verrei volentieri, ma non posso.
– una richiesta cortese:
Mi passeresti quel libro?
– un rifiuto gentile:
Un caffè? No, prenderei piuttosto un bicchier d’acqua.
– una supposizione:
Il vero responsabile sarebbe un noto uomo d’affari.
– un’opinione personale, presentata in forma attenuata:
Secondo me, bisognerebbe telefonargli subito.
– un dubbio, in forma diretta o indiretta:
Dovrei forse uscire?
Non so proprio che cosa dovrei fare.
Il condizionale passato esprime un evento che si sarebbe potuto verificare nel
passato, se si fosse verificata una certa condizione.
Il condizionale passato si usa soprattutto nell’apodosi del periodo ipotetico
dell’irrealtà, in riferimento al passato:
Se fosse tornato in tempo, gli avrei parlato.
In dipendenza di un tempo passato, specialmente nelle proposizioni soggettive,
oggettive e interrogative indirette, il condizionale passato si usa per indicare un fatto che
si sarebbe potuto realizzare in un momento successivo (futuro nel passato):
Si credeva che Mario non sarebbe mai arrivato.
Il condizionale passato si usa pure per esprimere:
– progetti e desideri che non si sono potuti realizzare nel passato:
Mi sarebbe piaciuto restare ancora qualche giorno a Parigi.
– un’opinione personale, in forma attenuata:
64
Non avresti dovuto fare così.
– una supposizione:
A quanto si dice, qualcuno l’avrebbe avvertito.
– una possibilità:
Dicevano che saresti arrivato.
– un dubbio, in forma diretta o indiretta:
A chi avrei dovuto rivolgermi?
Non so proprio a chi avrei dovuto rivolgermi.
5.5.4. Il modo imperativo
L’imperativo esprime un ordine, un comando, una esortazione, un consiglio, un
invito, una preghiera o un divieto.
L’imperativo ha un solo tempo, il presente, e può essere usato nelle seguenti
proposizioni indipendenti:
− imperativa:
Uscite da questa casa.
− esortativa:
Prova a leggere più lentamente.
− incidentale:
Ciò che Le ho detto, mi creda, è la pura verità.
Poiché è il modo verbale tipico del discorso diretto (e perciò di proposizioni
indipendenti), l’imperativo non può trovarsi in proposizioni subordinate.
L’imperativo ha forme proprie solo per le seconde persone. Per le altre tre
(per la terza singolare e per la prima e la terza plurali) si usano le corrispondenti
forme del congiuntivo presente (congiuntivo esortativo).
Il comando nella forma negativa si esprime:
– con non seguito dall’infinito per la seconda persona singolare:
Non cantare!
– con non seguito dalle forme dell’imperativo positivo per tutte le altre persone:
Non canti!(egli)
Non cantate! (voi)
Non cantiamo! (noi)
Non cantino! (essi)
Per la seconda persona singolare, i verbi essere, avere, sapere e volere hanno una
loro forma di imperativo: sii, abbi, sappi, vogli.
Le altre persone sono mutuate dal congiuntivo presente:
– essere: sii, sia, siamo, siate, siano;
– avere: abbi, abbia, abbiamo, abbiate, abbiano;
– sapere: sappi, sappia, sappiamo, sappiate, sappiano;
– volere: vogli, voglia, vogliamo, vogliate, vogliano.
5.5.5. L’infinito e i suoi tempi
L’infinito è il modo che esprime l’evento in maniera generica e indeterminata:
esprime, cioè, il semplice significato del verbo.
Esso ha due tempi: uno semplice, il presente, e uno composto, il passato.
Come tutti i modi indefiniti, l’infinito è, nello stesso tempo, una forma verbale e
una forma nominale e, quindi, può essere usato in funzione di verbo e di sostantivo.
In funzione di verbo, l’infinito si usa:
• In dipendenza da verbi servili, fraseologici e causativi:
Vorrei partire prima di sera.
Ha smesso di piovere.
L’ho fatto aspettare più di un’ora.
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• Nelle proposizioni indipendenti, per esprimere, grazie al carattere di
indeterminatezza che gli è proprio, con particolari effetti emotivi, valori riguardanti la
sfera emotivo-affettiva: dubbio, sorpresa, desiderio, contrarietà e simili.
• Nelle proposizioni subordinate implicite, nelle quali, di solito, assume come
soggetto il soggetto del verbo della proposizione reggente. L’infinito presente esprime
un rapporto di contemporaneità o di posteriorità rispetto al tempo della reggente e
l’infinito passato esprime un rapporto di anteriorità rispetto al tempo della reggente,
qualunque esso sia.
In funzione di sostantivo, l’infinito (specialmente l’infinito presente, più di rado
quello passato) può svolgere tutte le funzioni sintattiche proprie di un nome; può dunque
essere usato come soggetto, oggetto o complemento indiretto:
Suonare è il mio passatempo preferito.
Non amo studiare di sera.
È arrivato anche il momento di partire.
5.5.6. Il participio e i suoi tempi
Il participio è un modo che, esprimendo il significato del verbo come se fosse
una qualità di un nome, “partecipa” sia delle caratteristiche del verbo sia di quelle
dell’aggettivo.
Il participio ha due tempi, entrambi semplici, il presente e il passato.
Il participio presente può avere solo forma attiva o riflessiva e varia solo quanto
al numero; si comporta come gli aggettivi in -e: divertente - divertenti.
Può essere usato in funzione verbale e aggettivale.
Quando ha valore verbale, corrisponde per significato a una proposizione relativa
che esprime un’azione contemporanea a quella indicata dalla reggente e concorda nel
genere e nel numero con una parte della proposizione reggente:
È l’unica farmacia esistente (= che esiste) in tutta la zona.
Osservavo le nubi avanzanti (= che avanzavano) rapidamente nel cielo.
Quando ha valore aggettivale, il participio presente può svolgere (come un
qualsiasi aggettivo) funzione di attributo, di parte nominale di un predicato, di
complemento predicativo. In molti casi ha anche i gradi propri dell’aggettivo.
Il participio passato si comporta come gli aggettivi in -o: lodato, lodata, lodati,
lodate.
Esso ha valore passivo con i verbi transitivi: chiamato (= che è stato chiamato) e
valore attivo con i verbi intransitivi: arrivato (= che è arrivato).
Il participio passato, come il participio presente, accomuna in sé la funzione verbale con
quella di aggettivo.
Come aggettivo, il participio passato svolge le funzioni sintattiche di attributo,
elemento del predicato nominale o complemento predicativo, e concorda in genere e in
numero con il sostantivo cui si riferisce:
I carabinieri hanno catturato il bandito evaso.
La casa sembrava abbandonata.
Il dolce è cotto da un pezzo.
Come verbo, unito agli ausiliari essere e avere, il participio passato serve a
formare i tempi composti dei verbi transitivi, intransitivi, riflessivi e pronominali e, unito
all’ausiliare essere (e, più raramente, venire o andare), serve a costruire tutti i tempi della
forma passiva:
Mario è andato al cinema.
Entrambi hanno ascoltato i commenti.
La terra viene (è) arata dal contadino.
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Durante il trasloco molte cose andarono smarrite.
Sempre come verbo, può fungere da predicato di varie proposizioni subordinate
implicite che esprimono un’azione o un fatto anteriori a quelli espressi dalla reggente. Di
norma condivide il soggetto della proposizione reggente e concorda con questo in genere
e in numero:
Preso alla sprovvisto, non seppe rispondere.
Quando ha un proprio soggetto espresso, con il quale concorda, il participio
prende il nome di participio passato assoluto. Di preferenza, il soggetto segue il
participio:
Terminata (= dopo che fu terminata) la cerimonia, ci fu un rinfresco.
5.5.7. Il gerundio e i suoi tempi
Il gerundio è il modo che indica un’azione che si compie in stretta relazione con
un’altra azione espressa da un verbo di modo finito.
Il gerundio ha due tempi: presente (o gerundio semplice) e passato (o gerundio
composto).
Il gerundio presente può esprimere tutti e tre i possibili rapporti temporali
con la proposizione reggente. Può essere:
− contemporaneo:
Scendendo (= mentre scendeva) dall’autobus, Luca è scivolato.
− anteriore:
Arrivando (= dopo che arrivai) alla stazione, andai nella sala d’aspetto.
− posteriore:
Feci un giro lunghissimo, tornando (= e tornai) a casa a note inoltrata.
Oltre che nelle proposizioni dipendenti, il gerundio presente si usa in alcune
costruzioni perifrastiche molto frequenti nella lingua parlata e scritta che, dal punto di
vista sintattico, costituiscono un unico predicato:
a) La perifrasi «stare + gerundio», che serve a sottolineare che l’azione indicata
dal verbo al gerundio è in corso di svolgimento e a richiamare la nostra attenzione sul
fatto che essa è avviata e non si concluderà prima che intervenga qualcosa d’altro:
La neve si sta sciogliendo.
Stavo studiando, quando squillò il telefono.
b) La perifrasi «andare + gerundio», che esprime azione continuo-progressiva o
iterativa in un modo, per così dire, neutro, senza dare l’idea del termine:
Gli spiegavo quello che Mario andava man mano esponendo.
Luigi va dicendo che sei stata licenziata.
o di orientamento verso una meta o verso una persona:
La barca si andava approssimando alla riva.
L’atleta andava raccogliendo le proprie forze per la gara.
c) La perifrasi «venire + gerundio», che presenta l’azione dal punto di vista del
suo avvicinamento graduale a compimento:
Il suo carattere si è venuto delineando nel corso dell’impresa.
o dell’orientamento verso una meta o una persona:
La barca si veniva approssimando alla riva.
L’atleta veniva raccogliendo le proprie forze per la gara.
Il gerundio passato, peraltro oggi raro e limitato alla lingua scritta, esprime solo
delle azioni anteriori a quella indicata nella reggente:
Essendo giunto in ritardo, mi scusai.
Avendo parcheggiato in divieto di sosta, dovrà pagare una multa.
67
Il gerundio si usa quasi esclusivamente in proposizioni subordinate implicite e di
norma condivide il soggetto della proposizione reggente:
Pur partendo all’alba, abbiamo trovato molto traffico.
Nella metropolitana si entra solo obliterando il biglietto all’ingresso.
Diversità di soggetti si ha nel gerundio assoluto, cioè quando il gerundio ha un
proprio soggetto espresso. Questo soggetto si colloca dopo il gerundio:
Avendo Mario un po’ di febbre, la madre gli proibì di uscire.
Se il gerundio è composto, il soggetto si pone subito dopo l’ausiliare:
Essendo il nonno ammalato, Franco rinunciò a partire per il mare.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică,
2003, pp. 107-184.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di
linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 305-381.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica
italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 379486.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si costruisce la forma passiva del verbo?
2. Cos’è il passivo con il si passivante?
3. Descrivere l’uso dei verbi ausiliari.
4. Descrivere l’uso dei verbi servili.
5. Descrivere l’uso dei verbi causativi.
6. Specificare quali sono i tempi dell’indicativo e come si usano.
7. Specificare quali sono i tempi del congiuntivo e come si usano.
8. Specificare quali sono i tempi del condizionale e come si usano.
9. Definire cos’è l’imperativo e come si usa.
10. Spiegare cosa sono i modi indefiniti, indicare quali sono e come si usano.
68
UD 6. L’avverbio
In questa unità didattica si descrive la morfologia dell’avverbio, la parte
invariabile del discorso che si aggiunge a un verbo, a un aggettivo, a un nome o a un altro
avverbio per modificarne, qualificandolo o determinandolo, il significato: Il treno partirà
sicuramente in orario. Può inoltre modificare anche un’intera frase: Forse non verrò alla
festa.
6.1. Classificazione degli avverbi
6.2. Gli avverbi di modo
6.3. Gli avverbi di luogo
6.4. Gli avverbi di tempo
6.5. Gli avverbi di giudizio
6.6. Gli avverbi di quantità
6.7. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi
6.8. Gli avverbi presentativi
6.9. I gradi dell’avverbio
Obiectivele unităŃii didactice:
– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia şi la sintaxa adverbului
în limba italiană;
– Cunoaşterea tipurilor de adverbe din limba italiană;
– Cunoaşterea formelor şi a regulilor de folosire a diverselor tipuri de adverbe din
limba italiană;
– Cunoaşterea gradelor de comparaŃie ale adverbului în limba italiană.
Timp alocat: 4 ore.
69
6.1. Classificazione degli avverbi
a) Rispetto alla loro forma, gli avverbi possono essere: semplici (o primitivi),
composti, derivati e locuzioni avverbiali.
Gli avverbi semplici sono quelli che hanno una forma propria, non derivata da
altre parole: bene, male, così, qui, qua, mai, no, non, forse ecc.
Gli avverbi composti sono formati dalla fusione di due o più parole diverse:
ormai, almeno, infatti, dappertutto, lassù ecc.
Gli avverbi derivati sono quelli che hanno origine da un’altra parola, attraverso
l’aggiunta di un particolare suffisso o attraverso una semplice modificazione funzionale,
senza che muti la forma della parola stessa, come tutti gli aggettivi usati con funzione
avverbiale: parlare forte.
La maggior parte degli avverbi derivati si ottiene aggiungendo il suffisso -mente
al femminile degli aggettivi in -o: sincero - sinceramente, o all’unica forma singolare
degli aggettivi in -e: felice - felicemente.
Se l’ultima sillaba di questi aggettivi è -le, -re o -lo, -ro, la -e o la -o finale
cadono: orale - oralmente, celere - celermente, leggero - leggermente.
Alcuni avverbi derivati, indicanti per lo più una particolare posizione del corpo,
si ottengono aggiungendo il suffisso -oni alla radice di un nome o di un verbo: bocca bocconi, tentare - tentoni.
Le locuzioni avverbiali sono sequenze fisse di elementi che per il loro
significato e per la loro funzione equivalgono ad avverbi. Come gli avverbi, possono
essere:
– locuzioni avverbiali di modo: a piedi, in un batter d’occhio, poco fa ecc.
– locuzioni avverbiali di luogo: di qui, di là, per di qua, per di là, in giù ecc.
– locuzioni avverbiali di tempo: una volta, un giorno, d’un tratto, sul tardi ecc.
– locuzioni avverbiali di quantità: press’a poco, all’incirca, più o meno ecc.
– locuzioni avverbiali di giudizio: di certo, senza dubbio, di sicuro ecc.
– locuzioni avverbiali interrogative: come mai?, quando mai? ecc.
b) Secondo il loro significato, cioè in base al tipo di modificazione o di determinazione
che esprimono, gli avverbi si distinguono in:
– avverbi di modo o qualificativi: bene, volentieri;
– avverbi determinativi: di luogo (qui, qua); di tempo (ora, ieri); di quantità
(poco, molto); di valutazione o giudizio (davvero, forse); interrogativi (quando?,
perché?); esclamativi (dove!, quanto!); presentativi (ecco).
6.2. Gli avverbi di modo
Gli avverbi di modo indicano il modo in cui si svolge un evento oppure
aggiungono una precisazione qualificativa a un aggettivo o a un altro avverbio:
Al suo arrivo fu accolto calorosamente.
Il panorama è veramente ineguagliabile.
Appartengono a questo tipo:
– gli avverbi in -mente: calorosamente, gentilmente, velocemente ecc.:
Ci salutò calorosamente.
– gli avverbi in -oni: ginocchioni, cavalcioni, bocconi ecc.:
Era disteso bocconi sul pavimento.
– gli avverbi costituiti dalla forma maschile singolare di taluni aggettivi
qualificativi usati, appunto, in funzione avverbiale: chiaro, giusto, piano, forte, alto ecc.:
Parla forte, non ti sento!
– alcuni altri avverbi quali: bene, male, così, insieme, cioè, come, invano ecc.:
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Ha parlato bene di te.
6.3. Gli avverbi di luogo
Gli avverbi di luogo esprimono una determinazione di luogo.
I più comuni avverbi di luogo sono:
a) qui, qua, quaggiù, quassù, che indicano un luogo vicino a chi parla;
b) là, colà, laggiù, lassù, lì, ivi, quivi, che indicano un luogo lontano da chi parla
e da chi ascolta;
c) costì, costà, che indicano un luogo vicino a chi ascolta (rari nell’uso parlato al
di fuori della Toscana);
d) vicino, presso, lontano, dappertutto, fuori, dentro, dietro, indietro, davanti,
dinanzi, avanti, intorno, sotto, sopra, su, giù ecc.:
e) dovunque, ovunque, dove, ove, donde, onde, che si usano esclusivamente per
mettere in relazione due proposizioni e sono detti perciò avverbi di luogo relativi: Non
so dove può essersi nascosto.
f) Le particelle avverbiali:
- ci, vi (“qui, in questo luogo, in quel luogo”): Adoro Roma perché ci sono nato.
- ne (“da qui, da qua, da lì, da là”): Amo la mia città e me ne allontano
raramente.
6.4. Gli avverbi di tempo
Gli avverbi di tempo esprimono una determinazione di tempo.
I più comuni avverbi di tempo sono: ora, allora, adesso, ormai, subito, prima,
poi, dopo, poscia, sempre, spesso, sovente, talora, talvolta, ancora, tuttora, finora, già,
mai, presto, tardi, ieri, oggi, domani, dopodomani ecc.:
Parleremo dopo di questa faccenda.
Quando lo chiamai, stava ancora dormendo.
Viene a trovarmi spesso.
Mai
L’avverbio mai generalmente ha significato negativo (“nessuna volta, in nessun
caso”) e serve a rafforzare la negazione:
Non l’ho mai visto.
Quando è collocato prima del verbo dà valore emfatico e rifiuta la negazione:
Mai come ora sono stato così contento!
Da solo vale come negazione assoluta:
– Quando verrai a trovarmi? / – Mai.
Nelle proposizioni interrogative e condizionali, ha il significato di “qualche
volta”, “per caso”:
Hai mai visto questo film?
Se mai cambiassi idea, dillo.
Già
L’avverbio già ha di solito la funzione di sottolineare il compimento di
un’azione:
Il nonno è già arrivato.
Spesso significa “ormai”:
La canzone è già finita.
oppure “sì”, quando si vuole dare una risposta in tono brusco:
– Sei stato in biblioteca oggi? / – Già.
71
6.5. Gli avverbi di giudizio
Gli avverbi di giudizio esprimono un giudizio in forma affermativa, negativa o
dubitativa. Si distinguono in:
- avverbi di affermazione: sì, certo, certamente, esattamente, sicuro,
sicuramente, appunto, giusto, proprio, indubbiamente ecc.:
Sì, Luisa è stata la prima a pettinarsi così.
- avverbi di negazione: no, non, neanche, nemmeno, neppure, mica ecc.:
Non ti posso comprare quell’abito, costa troppo.
- avverbi di dubbio: probabilmente, forse, magari (“forse”) ecc.:
Credi forse che non ti aiuteremo?;
Magari non si farà neanche vedere, ma bisogna aspettarlo.
Sì. L’avverbio sì può essere usato da solo, o accompagnato da altri avverbi; serve
come risposta a una domanda:
- Vieni a pescare con noi? / - Sì (= vengo a pescare con voi).
Può inoltre modificare un verbo, un aggettivo e simili:
Giovanni è sì studioso, ma molto furbo.
L’affermazione sì può essere rafforzata: con il raddoppiamento: sì, sì, ho capito;
con l’aiuto di altri avverbi affermativi: sì certo; con formule come sissignore, signorsì.
Non. In italiano, non è l’avverbio negativo per eccellenza. Quando precede il
verbo connota la frase negativa: Non ho potuto seguire l’ultima fase della gara.
Non può negare anche un solo elemento della frase, generalmente un pronome,
un aggettivo o un avverbio:
Non molti ti hanno creduto.
Mi sembra un film non interessante.
Nelle contrapposizioni, quando non si ripete il verbo nel secondo termine, non
viene sostituito da no:
Io ho letto il libro, Maria no (= non l’ha letto).
Spesso non viene rafforzato da un elemento posposto al verbo, e cioè:
- l’avverbio affatto (“per niente”, “in nessun modo”):
Non ho affatto freddo.
- l’avverbio mica (“per nulla, minimanente, affatto”):
Non è mica vero quello che dici.
- gli avverbi neanche, nemmeno, neppure:
Non si è visto neanche oggi.
Non mi piace nemmeno quando è gentile con me.
Non l’ho neppure invitato.
- i pronomi niente, nulla e il pronome o l’aggettivo nessuno:
Non ho visto niente.
Non è stato fatto nulla per lui.
Non è venuto nessuno.
Non ho nessun desiderio di vederti.
- l’avverbio mai:
Luigi non è mai stanco.
Quando sono collocati davanti al verbo, neanche, nemmeno, neppure, niente,
nulla, nessuno e mai rifiutano la presenza della negazione non:
Neanche voglio vederlo.
Nemmeno mi ha guardato.
Neppure Franco l’ha saputo.
Nulla può convincerlo.
Mai mi sarei permesso di gridare in classe.
No. L’avverbio no può essere usato da solo e serve come risposta a una domanda:
- Ti è piaciuto lo spettacolo? / - No (= non mi è piaciuto).
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No si usa pure nelle frasi che esprimono un’alternativa o una contrapposizione,
quando non si ripete il verbo nel secondo termine:
Vuoi mangiare o no?
A me è piaciuto il film, a Luigi no.
L’avverbio no può essere rafforzato: con il raddoppiamento: no no, no e poi no;
con l’aiuto degli avverbi davvero e certo: no davvero, no certo, certo che no; da formule
come nossignore.
6.6. Gli avverbi di quantità
Gli avverbi di quantità esprimono un’idea di quantità, generalmente non definita
con precisione, riferita al verbo, all’aggettivo o all’avverbio che accompagnano.
Gli avverbi di quantità più comuni e più usati sono: molto, poco, alquanto,
parecchio, tanto, quanto, altrettanto, più, meno, troppo, nulla, niente (“per nulla”),
abbastanza, quasi, piuttosto, appena, assai (“abbastanza, sufficientemente”), almeno,
affatto, così (“molto, tanto”), grandemente, minimamente, interamente ecc.:
Studia molto e parla poco.
Oggi ho mangiato tanto.
Quel compito non va niente bene.
Questo libro è piuttosto noioso.
Non mi piace minimamente.
Anche inoltre, pure, perfino, ancora, addirittura sono avverbi di quantità, ma con
la funzione di aggiungere qualcosa o di sottolineare enfaticamente un fatto, un’azione,
una qualità ecc.; perciò alcuni linguisti li catalogano a parte come avverbi aggiuntivi:
Ti scrivo inoltre che verrò di persona a salutarti.
Con questa pettinatura sei ancora più bella.
6.7. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi
Gli avverbi interrogativi ed esclamativi compaiono in frasi interrogative dirette
ed esclamative, in riferimento:
– al modo: come:
Come farò senza il tuo aiuto?
Come mi piacerebbe andare a sciare!
– al luogo: dove, ove, donde, onde:
Dove ti posso rintracciare?
Dove sono finito!
– al tempo: quando:
Quando ti deciderai a smettere di fumare?
– alla quantità: quanto:
Quanto manca alla fine della partita?
Quanto sono felice!
– alla causa: perché:
Perché ti comporti in quel modo?
Osservazioni:
1. Nelle interrogazioni indirette, gli avverbi interrogativi funzionano come
congiunzioni subordinanti:
Fammi sapere quando viene.
Dimmi perché sei così triste.
2. Gli avverbi dove, ove, donde, onde (le ultime tre forme sono di uso letterario)
possono avere anche funzione di avverbi relativi, col significato di “il luogo in cui” e “il
luogo da cui”:
Quella è la scuola dove ho studiato.
Questa è la città donde sono partito.
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6.8. Gli avverbi presentativi
Gli avverbi presentativi sono, in realtà, uno solo: ecco; esso, però, può essere
usato in molti modi e forme diverse. Infatti, ecco si usa per presentare, annunciare,
mostrare, indicare qualcosa o qualcuno, specialmente in frasi esclamative o in frasi
nominali.
Si premette:
– a verbi:
Ecco, guarda cosa hai combinato!
– a nomi:
Ecco il dottore.
– a pronomi personali:
Ecco… io… vorrei… un gelato!
Può essere unito alle particelle personali mi, ti, ci ecc.:
Eccoti di nuovo qui.
– ad altri avverbi:
Ecco qua!
– a congiunzioni:
Ecco che arriva Giorgio.
Può avere valore conclusivo:
Non ne voglio più sapere, ecco!
6.9. I gradi dell’avverbio
Come gli aggettivi, anche molti avverbi hanno il comparativo e il superlativo.
Il comparativo si forma come negli aggettivi, premettendo più (maggioranza),
meno (minoranza), tanto … quanto (uguaglianza) all’avverbio.
Il superlativo assoluto si costruisce di norma aggiungendo il suffisso -mente alla
forma femminile del superlativo dell’aggettivo da cui deriva l’avverbio stesso:
rapida - rapidissima → rapidissimamente
oppure facendo precedere l’avverbio di grado positivo da avverbi di quantità come molto
e assai:
molto rapidamente, assai rapidamente
Quando in funzione di avverbio di grado positivo è usata la forma di maschile
singolare di un aggettivo, come grado superlativo assoluto dell’avverbio si usa il
superlativo assoluto dell’aggettivo stesso:
chiaro - chiarissimo
Gli avverbi di questo tipo possono formare il superlativo assoluto anche ripetendo
l’avverbio di grado positivo:
piano piano = pianissimo
In particolare, possono avere il grado comparativo e superlativo:
– tutti gli avverbi di modo, ad eccezione del tipo in -oni, di così e di altrimenti:
Camminava lentissimamente.
– gli avverbi di luogo lontano e vicino:
Ho nuotato più lontano di te.
Mio figlio abita molto lontano.
– gli avverbi di tempo presto, spesso e tardi. Subito ammette solo il superlativo
(subito - subitissimo):
Si discute molto spesso di sport.
– gli avverbi di quantità poco e molto, che al comparativo hanno le forme
irregolari meno e più:
Ho speso più / meno del previsto.
Lavora sempre moltissimo / pochissimo.
– l’avverbio di dubbio probabilmente:
Ti scriverò o, più probabilmente, ti telefonerò.
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Molto probabilmente ci vedremo domani.
– gli avverbi bene, male, molto, poco e grandemente che, come gli aggettivi
corrispondenti, hanno forme di comparativo e superlativo indipendenti:
grado
positivo
bene
male
molto
poco
grandemente
grado comparativo
grado superlativo
meglio
peggio
più
meno
maggiormente
ottimanente / benissimo
pessimamente / malissimo
moltissimo
minimamente / pochissimo
massimamente / sommamente
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică,
2003, pp. 186-197.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di
linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 382-401.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica
italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 487514.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Definire gli avverbi di modo.
2. Quali sono gli avverbi di luogo e come si usano?
3. Quali sono gli avverbi di tempo e come si usano?
4. Quali sono gli avverbi di giudizio e come si usano?
5. Quali sono gli avverbi interrogativi e presentativi, come si usano?
6. Come si forma il grado comparativo degli avverbi?
7. Come si forma il grado superlativo degli avverbi?
8. Quali avverbi possono avere il grado comparativo e superlativo?
75
UD 7. La preposizione
In questa unità didattica si descrive la preposizione, cioè la parte invariabile
del discorso che serve a precisare i rapporti sintattici esistenti fra le varie parti della
proposizione o fra la reggente e una subordinata.
7.1. Classificazione
7.2. La preposizione di
7.3. La preposizione a
7.4. La preposizione da
7.5. La preposizione in
7.6. La preposizione con
7.7. La preposizione su
7.8. La preposizione per
7.9. Le preposizioni tra e fra
Obiectivele unităŃii didactice:
– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia şi la sintaxa prepoziŃiei
în limba italiană;
– Cunoaşterea tipurilor de prepoziŃii din limba italiană;
– Cunoaşterea regulilor de folosire a prepoziŃiilor propriu-zise din limba italiană.
Timp alocat: 6 ore.
7.1. Classificazione
In italiano, le preposizioni si suddividono in tre categorie: preposizioni proprie,
preposizioni improprie e locuzioni prepositive.
Le preposizioni proprie sono quelle che possono essere usate solo con il valore
di preposizione.
L’italiano ha le seguenti preposizioni proprie: di, a, da, in, con, su, per, tra o fra.
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Quando sono premesse direttamente al nome, al pronome, all’avverbio o al verbo
che reggono, queste preposizioni si chiamano preposizioni semplici.
Quando invece sono premesse a un articolo determinativo, come abbiamo visto
parlando dell’articolo, si uniscono con esso dando luogo alle cosiddette preposizioni
articolate: del, dello, della, dell’, dei, degli, delle ecc.
Con le preposizioni tra, fra non si formano preposizioni articolate.
Nell’italiano attuale non si formano preposizioni articolate neppure con per.
Le preposizioni articolate formate da con sono poco usate, tranne col, ancora
comune.
Le preposizioni improprie sono parole che, pur appartenendo ad altre parti del
discorso, a seconda del contesto, possono assumere il ruolo di preposizioni. Fanno parte
delle preposizioni improprie:
– aggettivi: salvo, secondo, lungo ecc.:
Ho passeggiato lungo la via Veneto.
Ha operato secondo coscienza.
– avverbi: prima, dopo, davanti, avanti, dietro, dentro, fuori, sopra, sotto, ecc.:
Verrò da te dopo le otto.
Dietro la casa c’è un parco immenso.
– verbi al participio presente o passato: durante, mediante, escluso, eccetto ecc.:
Nonostante le tue riserve l’affare si concluderà.
Durante un temporale non rifugiarti mai sotto un albero.
7.2. La preposizione di
La preposizione di (può elidersi davanti ad altra vocale, in particolare davanti a i:
d’inverno, d’un tratto, d’accordo) “specifica” la parola che segue nel senso più ampio.
La preposizione di può introdurre i seguenti complementi:
– specificazione: Il trasporto dei mobili è costato pochissimo.
– denominazione: La città di Cartagine era ricca e potente.
– appartenenza: Questo libro è del mio collega.
– materia: Non mi piace la torta di mele.
– argomento: Non fa che parlare di sport.
– mezzo e strumento: È indispensabile nutrirsi di pane.
– qualità: Luigi è un uomo di grande generosità.
– il complemento partitivo: Alcuni di noi partiranno subito.
– causa: Si è pentito subito delle parole dette.
– modo o maniera: Siamo arrivati di corsa.
– tempo: Mi piace studiare di notte.
– colpa: Luigi è accusato di truffa.
– pena: È stato multato di diecimila euro.
– moto da luogo: Esco di casa molto presto la mattina.
– moto per luogo: Ogni giorno passo di là per arrivare prima.
– moto a luogo: Vado di qua.
– stato in luogo: Rimango di qua.
– origine, provenienza: Sono di Craiova.
– fine, destinazione: Questo ti serva di esempio.
– limitazione: Veloce di riflessi.
– abbondanza: Ho portato una valigia piena di roba.
– privazione: È un ragionamento privo di logica.
– età: È un giovane di diciotto anni.
– stima: Un uomo di valore.
– prezzo: Il costo di quindicimila lire è molto basso.
– quantità o misura: Un pacco di dieci chili.
– paragone: Marco è migliore di te.
– predicativo del soggetto: È sempre considerato di ottimo esempio.
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– predicativo dell’oggetto: Considero Mario di ottimo esempio.
Seguita da un verbo all’infinito, introduce le seguenti subordinate implicite:
– soggettiva: A Mario accade spesso di essere impreparato.
– oggettiva: Spero di arrivare in tempo.
– dichiarativa: Per fortuna ho avuto la possibilità di avvertirti in tempo.
– causale: Mi dispiace di essermi comportato male con te.
– finale: Vi prego di fare silenzio.
– consecutiva: È degno di essere premiato.
La preposizione di serve anche per formare:
– locuzioni prepositive: prima di, dopo di, fuori di, invece di, in luogo di ecc.;
– locuzioni avverbiali: di qua, di là, di sopra, di sotto, di rado ecc.;
– locuzioni congiuntive: di modo che, dopo di che ecc.
Nella costruzione “verbo + preposizione + verbo all’infinito”, il verbo reggente è
seguito dalla preposizione di, in genere, quando la costruzione verbale indica la fine
dell’azione o quando tra i due verbi esiste una relazione di spiegazione:
Ha cessato di piovere.
Marco teme di essere licenziato.
Tra i verbi seguiti da di + verbo all’infinito, ricordiamo: accettare, accorgersi,
accusare, ammettere, apprendere, approfittare, assicurare, attendere, augurare, cercare,
chiedere, rifiutare, smettere, temere, vergognarsi ecc.
7.3. La preposizione a
La preposizione a (davanti ad altra vocale, in particolare davanti ad a si può avere
la forma ad, con d eufonica) indica la direzione di un movimento, sia reale sia figurato, o
il punto di arrivo del movimento. È pure la preposizione specifica del complemento di
termine (che in romeno ha come corrispondente il complemento indiretto in dativo).
La preposizione a può introdurre i seguenti complementi:
– termine: Porterò i tuoi saluti a mio padre.
– stato in luogo: La mia famiglia vive a Craiova.
– moto a luogo: Mario è andato a Firenze.
– distanza: A 200 metri c’è una curva pericolosa.
– tempo determinato: Ci vediamo alle sette.
– modo o maniera: Sa tutto a memoria.
– mezzo: È sufficiente scrivere a penna.
– causa: Al grido improvviso, si spaventò.
– età: Leopardi morì a trentanove anni.
– qualità: Viaggio in uno scompartimento a sei posti.
– limitazione: A mio giudizio l’affare non si concluderà.
– fine: La domenica vado a pescare.
– vantaggio o svantaggio: La pioggia è utile alla natura.
– prezzo, misura: Vendo tutto a diecimila lire.
– pena: È stato condannato ad una lieve multa.
– distributivo: Entrate a uno a uno.
– predicativo del soggetto: Luca è stato scelto a guida della scalata.
– predicativo dell’oggetto: Preferisco Luca a guida di questa impresa.
Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite:
– causale: Hai sbagliato a non venire sabato.
– finale: Verrò di persona a salutarti.
– temporale: A sentirlo dire così, non ci ho visto più.
– limitativa: A guardarlo, sembrerebbe perfetto.
– condizionale: A pensarci bene, non ha tutti i torti.
– relativa: È stato l’unico a riuscire nell’impresa.
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La preposizione a serve anche a formare:
– locuzioni prepositive: fino a, vicino a, davanti a, dietro a, oltre a, intorno a, in mezzo
a, di fronte a, di fianco a, a favore di ecc.;
– locuzioni avverbiali: a stento, a caso, a tentoni, a precipizio, a naso, a poco a poco, a
mano a mano, a uno a uno ecc.
Nella costruzione “verbo + preposizione + verbo all’infinito”, il verbo reggente è
seguito dalla preposizione a, in genere, nelle costruzioni che indicano l’imminenza,
l’inizio o la continuazione di un’azione e, inoltre, l’impegno del soggetto nell’azione:
Silenzio: l’oratore comincia a parlare.
Sono riuscito a rispondere a tutte le domande.
Tra i verbi seguiti da a + verbo all’infinito, ricordiamo: abituare, affrettarsi,
andare, badare, cominciare, continuare, esitare, esortare, fermarsi, insegnare, insistere,
mandare, ostinarsi, passare, portare, prendere, seguitare, tornare, uscire, venire ecc.
7.4. La preposizione da
La preposizione da indica un concetto di provenienza, di distacco e
allontanamento, sia reale sia figurato. È pure la preposizione specifica del complemento
d’agente.
La preposizione da si elide solo in pochi casi: d’ora in poi, d’altronde, d’altro
canto. In altri casi si unisce alla parola che segue raddoppiandone la consonante iniziale:
da bene → dabbene, da vero → davvero, da capo → daccapo ecc.
La preposizione da può introdurre i seguenti complementi:
– agente: È stato mandato da Paolo.
– causa efficiente: È stato abbagliato da una luce.
– causa: Carla piange dalla gioia.
– moto da luogo: È arrivato mio cugino da Milano.
– moto a luogo (luogo animato): Arrivo subito da te.
– moto per luogo: I vigili del fuoco sono passati dalla finestra.
– stato in luogo (animato): Abito dai miei.
– separazione: Le Alpi separano l’Italia da vari stati europei.
– allontanamento: Carlo non riesce a staccarsi da quegli amici.
– origine e provenienza: La lingua italiana deriva dal latino.
– tempo continuato: Non vedo Mario da due anni.
– mezzo: Io giudico le persone dai fatti, non dalle chiacchiere.
– fine: Ho perso gli occhiali da vista.
– qualità: È un ragazzo dall’aspetto imponente.
– limitazione, per indicare menomazioni fisiche: Luigi è zoppo da una gamba.
– stima, prezzo: Ho acquistato un appartamento da duecento milioni.
– modo: In ogni occasione sa comportarsi da signore.
– la condizione, l’età in cui si trova o si trovava un individuo:
Da bambino ero uno scapestrato.
– predicativo del soggetto: Paola ha parlato da persona sincera.
– predicativo dell’oggetto: Mi hanno trattato da persona sincera.
Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite:
– consecutiva: È stato tanto abile da rimontare e vincere la partita.
– finale: Dammi qualcosa da mangiare.
– limitativa: I problemi di geometria sono divertenti da risolvere.
– relativa: Ho un vestito da smacchiare.
La preposizione da serve anche a formare:
– locuzioni prepositive: da parte di, fuori da, fino da, di qua da, di là da, eccetto da ecc.;
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– locuzioni avverbiali: da vicino, da lontano, da meno, da per tutto (o dappertutto) ecc.
7.5. La preposizione in
La preposizione in indica la posizione, reale o figurata, nello spazio e nel tempo.
La preposizione in può introdurre i seguenti complementi:
– stato in luogo: Studio in biblioteca.
– moto a luogo: Vado spesso in campagna.
– moto per luogo: Luigi passeggia in giardino.
– tempo determinato: In estate di solito vado in montagna.
– tempo continuato: In tutta la sua vita fece moltissimi errori.
– modo: Camminava in punta di piedi.
– mezzo: Amo i viaggi in treno.
– limitazione: È molto bravo in matematica.
– materia: Ho comprato un cancello in ferro battuto.
– fine: Carla è sempre pronta a correre in aiuto di qualcuno.
– quantità: Verremo in dieci.
– stima: Mi tiene in grande considerazione.
– pena: Ho ricevuto una pena in denaro.
– predicativo del soggetto: La guida desiderata fu trovata in Maria.
– predicativo dell’oggetto: Trovammo in Maria la guida desiderata.
Seguita da un infinito, nella forma articolata, la preposizione in può introdurre la
subordinata implicita temporale:
I genitori soffrono nel vedere i figli allontanarsi.
La preposizione in serve anche a formare:
– locuzioni prepositive: in compagnia di, in seguito a, in quanto a, in base a ecc.;
– locuzioni avverbiali: in qua, in là, in giù, in su, in basso, in alto, in breve ecc.
7.6. La preposizione con
La preposizione con indica l’idea di unione o partecipazione. Indica pure un
rapporto di carattere strumentale.
La preposizione con può introdurre i seguenti complementi:
– unione: È uscito con una valigia in mano.
– compagnia: Vado in vacanza con il mio amico.
– relazione: Lavoro con due colleghe.
– mezzo: Mi ha dato una spinta con le mani.
– modo: Ti vedo sempre con gioia.
– causa: Con questa nebbia, è prudente restare a casa.
– qualità: È una bella ragazza con gli occhi a mandorla.
– limitazione: Con il lavoro vado piuttosto bene.
– tempo: Le rondini se ne vanno con l’arrivo dell’autunno.
– concessivo: Con tutta la buona volontà, non riesco.
– scambio: Si confonde spesso con suo fratello.
– pena: Fu punito con una sospensione.
Seguita da un infinito, nella forma articolata, la preposizione con può introdurre
la subordinata implicita modale:
Col passar del tempo, la questione si chiarirà.
Col troppo mangiare si ingrassa.
7.7. La preposizione su
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La preposizione su indica fondamentalmente “contiguità, approssimazione” e
“posizione superiore”.
Quando è premessa a un pronome personale, può ricorrere alla mediazione della
preposizione di (su di me, su di noi) o può reggere direttamente il pronome (su me, su
noi). La prima forma è più corretta, ma la seconda è quella più usata.
La preposizione su può introdurre i seguenti complementi:
– stato in luogo: Ho dimenticato i guanti sul tavolo.
– moto a luogo: Andiamo sul terrazzo.
– moto per luogo: I bambini corrono sul prato.
– tempo determinato (con il significato di “intorno a”, “verso”):
Sul far della sera mi coglie la nostalgia.
– tempo continuato (con il significato di “circa”): Ho studiato sulle 5 ore.
– argomento: Ho letto un libro su Giovanni Verga.
– modo: Marco agisce sull’esempio dei genitori.
– età (con il significato di “circa”): Carlo è un uomo sui quarant’anni.
– prezzo (con il significato di “circa”): Questo maglione costa sulle centomila lire.
– peso (con il significato di “circa”): Luigi pesa sui sessanta chili.
La preposizione su si usa pure in varie locuzioni avverbiali: sul momento, sul
tardi, sul far del giorno, sul serio, su due piedi ecc.
7.8. La preposizione per
La principale funzione della preposizione per è quella di introdurre il “tramite”
attraverso cui si svolge l’azione, in accezione locativa, strumentale, modale ecc.
La preposizione per può introdurre i seguenti complementi:
– moto per luogo: Esci per la porta dietro.
– moto a luogo: Luigi è partito per Roma.
– stato in luogo: Era sdraiato per terra.
– tempo continuato: Ti ricorderò per tutta la vita.
– tempo determinato: L’appuntamento è fissato per stasera.
– fine: Questo quadro è adatto per il mio ufficio.
– vantaggio: Parlava per il bene di tutti.
– svantaggio: Il fumo è pericoloso per i polmoni.
– mezzo: Ti darò le mie notizie per telefono.
– causa: Tremo per il freddo.
– modo: Ho detto così per scherzo.
– distributivo: Entriamo uno per volta.
– limitazione: Per questa volta ti perdono.
– prezzo: L’ho acquistato per 30.000 lire.
– misura: La pianura si estende per molti chilometri.
– colpa: È stato condannato per furto.
– scambio: Mi hanno scambiato per Mario.
– predicativo del soggetto: Per guida venne preferito Claudio.
– predicativo dell’oggetto: Scelsero Claudio per guida.
Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite:
– finale: Cambiai atteggiamento per non aggravare la situazione.
– consecutiva: È troppo piccolo per lavorare.
– causale: Si è sentito male per aver bevuto troppo.
Seguita da un infinito seguito dall’espressione che faccia o che facesse o da un
aggettivo seguito da che sia, che sembri, che appaia, introduce la subordinata concessiva
esplicita:
Per mangiare che faccia, Giorgio rimane magro come un chiodo.
Per pregare che facesse, nessuno gli dava attenzione.
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Per piccola che sia, la tua casa è molto confortevole.
La preposizione per serve anche a formare:
– locuzioni avverbiali: per sempre, per lungo, per largo, per poco, per caso ecc.;
– locuzioni congiuntive: per quanto, per ciò che, per il fatto che ecc., ed è usata nelle
esclamazioni: per Giove!, per favore!, per l’amor di Dio ecc.
7.9. Le preposizioni tra e fra
Le preposizioni tra e fra indicano una posizione intermedia, nello spazio e nel
tempo, tra due elementi. Per questo sono spesso correlate alla congiunzione e:
Tra l’ufficio e casa mia ci sono pochi minuti di macchina.
Quando sono premesse a un pronome personale, possono ricorrere alla
mediazione della preposizione di (tra di noi, tra di loro) o possono reggere direttamente il
pronome (tra noi, tra loro). La prima forma è più corretta, ma la seconda è quella più
usata.
Le preposizioni tra e fra hanno lo stesso significato, e la scelta fra le due è
condizionata solo dalla necessità di evitare l’incontro di suoni simili. Così, per evitare
l’incontro degli stessi gruppi di consonanti, si preferisce dire “tra fratelli” invece di “fra
fratelli” e “fra Treviso e Venezia” invece di “tra Treviso e Venezia”.
Le preposizioni tra e fra possono introdurre i seguenti complementi:
– stato in luogo (con il significato di “in mezzo a”): La città è situata tra due montagne.
– moto a luogo: Verrò volentieri tra voi.
– moto per luogo: Il sole filtra fra i rami.
– tempo: Tra poco smetterò di lavorare.
– quantità (distanza): Tra 10 chilometri c’è l’uscita per Milano.
– modo: Bisbigliava parole confuse tra i denti.
– relazione: Tra l’uno e l’altro c’è poca differenza.
– compagnia: Amo stare fra loro.
– partitivo: Luigi è il migliore tra i miei amici.
Le preposizioni tra e fra si usano pure in varie locuzioni avverbiali: tra/fra poco,
tra/fra l’altro, tra/fra non molto, tra/fra breve ecc.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică,
2003, pp. 199-208.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di
linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 402-424.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica
italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 327357.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si classificano le preposizioni?
2. Che sono le preposizioni improprie?
3. Indicare le funzioni della preposizione di.
4. Quando si usa la preposizione di nella costruzione “verbo + preposizione +
verbo all’infinito”?
5. Indicare le funzioni della preposizione a.
6. Quando si usa la preposizione a nella costruzione “verbo + preposizione +
verbo all’infinito”?
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7. Indicare le funzioni della preposizione da.
8. Indicare le funzioni delle preposizioni in, con, su, per, tra e fra.
UD 8. La congiunzione
In questa unità didattica si descrive la congiunzione, cioè la parte invariabile
del discorso che serve a collegare due parole di una proposizione coordinandole, oppure
due proposizioni coordinandole o subordinandole.
8.1. Classificazione
8.2. Le congiunzioni coordinative
8.3. Le congiunzioni subordinative
Obiectivele unităŃii didactice:
– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia şi la sintaxa
conjuncŃiei în limba italiană;
– Cunoaşterea tipurilor de conjuncŃii din limba italiană;
– Cunoaşterea regulilor de folosire a conjuncŃiilor coordonatoare în limba
italiană;
– Cunoaşterea regulilor de folosire a conjuncŃiilor subordonatoare în limba
italiană.
Timp alocat: 2 ore.
8.1. Classificazione
a) Rispetto alla loro forma, le congiunzioni possono essere:
– semplici, se sono formate da una sola parola: e, o, né, ma, se, come, che, anche,
quando, mentre, però, quindi ecc.;
– composte, se sono formate dalla fusione di due o più parole: cioè, perciò,
oppure, poiché, affinché, sebbene, neanche, nemmeno, neppure, nondimeno ecc.;
– locuzioni congiuntive, se sono formate da due o più parole scritte
separatamente: visto che, in quanto a, dal momento che, di modo che, ogni volta che,
anche se ecc.
b) Rispetto alla funzione sintattica, le congiunzioni si dividono in:
– congiunzioni coordinative o coordinanti, quelle che uniscono proposizioni o
parti di proposizione sintatticamente equivalenti:
Mario e Giorgio frequentano la stessa classe.
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Sai come stanno le cose, pertanto decidi.
– congiunzioni subordinative o subordinanti, quelle che collegano due
proposizioni stabilendo un rapporto di subordinazione per cui una dipende sintatticamente
dall’altra:
È pallido che pare un lenzuolo.
Non so nulla perché non ho letto il giornale.
8.2. Le congiunzioni coordinative
In base al tipo di rapporto che stabiliscono tra gli elementi che collegano, le
congiunzioni coordinative si suddividono in:
– copulative: sono quelle che hanno la funzione esclusiva di collegamento: e,
anche, inoltre, pure, né, neppure, neanche, nemmeno, nonché ecc.:
Andrea e Roberto sono fratelli.
Non parlo, né voglio parlare.
– disgiuntive: collegano due elementi di cui uno esclude l’altro ponendo
un’alternativa: o, oppure, ovvero, ossia, altrimenti ecc.:
Vuoi latte o limone nel tè?
Vieni con me, oppure vai con Mario?
– avversative: indicano una contrapposizione: ma, però, tuttavia, nondimeno,
pure, eppure, anzi, piuttosto, invece ecc.:
Abito in una casa vecchia ma comoda.
Non mi costa nulla, anzi mi fa molto piacere.
– dichiarative o esplicative: introducono una parola o una proposizione che
spiega o precisa quanto si è detto precedentemente: cioè, ossia, infatti, vale a dire ecc.:
Sono andato a trovarlo due giorni fa, ossia lunedì.
È un ecologo, infatti studia e ama la natura.
– conclusive: indicano una conclusione, una conseguenza di ciò che si è detto
prima: e, dunque, quindi, pertanto, perciò, allora ecc.:
Volete una spiegazione e io ve la darò.
È tutto pronto, perciò non ci resta che iniziare.
– correlative: indicano relazione reciproca tra due parole o due proposizioni: e...
e, sia... sia, sia che... sia che, o... o, né... né, non solo... ma anche ecc.:
Ho acquistato sia la moto sia la bicicletta.
O mi aiuti o te ne vai.
8.3. Le congiunzioni subordinative
In base al loro senso e, quindi, al tipo di collegamento che stabiliscono fra la
proposizione subordinata e la reggente, le congiunzioni subordinative si suddividono in:
– dichiarative: introducono un’affermazione: che, come:
Mi consola la certezza che un giorno tornerai.
– finali: introducono una proposizione che indica lo scopo per cui avviene
l’azione espressa dalla reggente: perché, affinché, acciocché, ché ecc.:
Controlla che non combini guai.
Lo dico affinché sia chiaro.
– causali: introducono una proposizione che indica la causa di ciò che è espresso
nella reggente: perché, poiché, giacché, siccome, che, dato che, dal momento che, in
quanto, visto che, per il fatto che ecc.:
Giacché non vuoi giustificarti, ti proibisco di uscire.
Sono arrivato tardi poiché c’era molto traffico.
– condizionali: introducono una proposizione che indica la condizione necessaria
perché avvenga l’azione espressa nella reggente: se, purché, qualora, quando, a
condizione che, a patto che, nel caso che, supposto che ecc.:
Ti ascolterò, se mi dirai la verità.
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Telefonami nel caso che tu non possa venire.
– concessive: introducono una proposizione che indica la circostanza nonostante
la quale si compie l’azione espressa nella reggente: sebbene, nonostante, benché,
quantunque, anche se, seppure, malgrado che, nonostante che ecc.:
Benché sia tardi, sono ancora in ufficio.
Anche se non vuole, deve partecipare.
– consecutive: introducono una proposizione che indica la conseguenza di quanto
si afferma nella reggente (in cui, il più delle volte, si trova un termine correlativo):
(tanto)... che, (a tal punto)... che, (tale)... che, (in modo tale)... che ecc.:
Va così veloce che sembra una freccia.
Era tanto ricco che poteva permettersi tutto.
– temporali: introducono una proposizione che indica le circostanze temporali
dell’azione espressa nella reggente: quando, mentre, finché, come, appena che, ogni volta
che, prima che, dopo che, fino a che ecc.:
Non mangiare niente finché non ti passa la febbre.
Sono uscito prima che loro mi domandassero qualcosa.
– comparative: introducono una proposizione che costituisce un secondo termine
di paragone: (così)... come, (piuttosto)... che, (più)... che, (meglio)... che, (meno)... che,
(tanto)… quanto, più… di quanto ecc.:
Mi piace di più dipingere che disegnare.
Ciò che spiego è molto più facile di quanto crediate.
– modali: introducono una proposizione che indica il modo in cui si compie
l’azione espressa nella reggente: come, come se, quasi, nel modo che ecc.:
Parli come se non fosse successo niente.
Decidi come meglio credi.
– avversative: introducono una proposizione che esprime un’azione contrapposta
a quanto si afferma o avviene nella reggente: mentre, quando, laddove, anziché ecc.:
Lo credevo onesto, mentre si è dimostrato un bugiardo.
Lui protesta quando dovrebbe badare al suo comportamento.
– eccettuative: introducono una proposizione che esprime un’eccezione rispetto a
quanto si afferma nella reggente: fuorché, salvo che, tranne che, a meno che, che ecc.:
Non lo farò, a meno che non vi sia obbligato.
Posso leggere tutto, fuorché quei racconti.
– limitative: introducono una proposizione che esprime una limitazione a quanto
espresso nella reggente: che, per quanto, in quanto a ecc.:
Che io sappia, sono già partiti.
Per quanto ne so io, la prova è aperta a tutti.
– esclusive: introducono una proposizione nella quale si esclude qualcosa da ciò
che è affermato nella reggente: senza che:
Prese una decisione, senza che ne sapessimo nulla.
– interrogative indirette: introducono una proposizione che esprime una
domanda o un dubbio: se, come, perché, quando, quanto ecc.:
Capisco quanto sia delicata la vostra situazione.
Mi piacerebbe capire perché non mi telefona più.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică,
2003, pp. 210-214.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di
linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 425-431.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica
italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 359365.
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TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si classificano le congiunzioni secondo la forma?
2. Come si classificano le congiunzioni secondo la funzione?
3. Come si suddividono le congiunzioni coordinative?
4. Come si suddividono le congiunzioni subordinative?
UD 9. L’interiezione
In questa unità didattica si descrive l’interiezione o esclamazione, cioè la parte
invariabile del discorso che esprime in forma immediata un sentimento, uno stato
d’animo, una preghiera, un saluto, un richiamo.
8.1. Classificazione
8.2. Le interiezioni proprie
8.3. Le interiezioni improprie
Obiectivele unităŃii didactice:
– Cunoaşterea noŃiunilor de bază referitoare la morfologia şi la sintaxa interjecŃiei
în limba italiană;
– Cunoaşterea tipurilor de interjecŃii din limba italiană;
– Cunoaşterea regulilor de folosire a interjecŃiilor în limba italiană.
Timp alocat: 2 ore.
8.1. Classificazione
In italiano, le interiezioni si suddividono in tre categorie: interiezioni proprie (o
semplici, o primarie), interiezioni improprie (o secondarie) e locuzioni interiettive (o
esclamative).
Le interiezioni proprie sono quelle che hanno sempre e soltanto la funzione di
interiezione
Le interiezioni improprie sono parole che appartengono comunemente ad altra
categoria (nomi, verbi, aggettivi, verbi, avverbi ecc.) usate come interiezioni per diversi
scopi.
Le locuzioni interiettive sono gruppi di parole che assumono valore esclamativo:
Santo Cielo!, Per carità!, Dio mio!, Per l’amor di Dio!, Al ladro!, Al fuoco!, Ci
mancherebbe altro!, Porca miseria!, Siamo fritti! ecc.:
Uh, Santo Cielo! Ho dimenticato la pizza in forno!
Mamma mia, che spavento!
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8.2. Le interiezioni proprie
Le interiezioni proprie sono quelle che hanno sempre e soltanto la funzione di
interiezione:
– ahi, ahimè, ohi (indicano sofferenza fisica o morale):
Ohi, che dolore!
– uff, uffa (indicano noia, fastidio):
Uff, ancora quel discorso...
– boh, bah, ehm, uhm, mah, ma (indicano dubbio, perplessità, incertezza,
rassegnazione):
Boh, che vuoi, è sempre così.
– ah, oh, eh, uh, ih (indicano disappunto, dolore, sorpresa, gioia, ilarità):
Oh, che regalo bellissimo.
– urrà, urrah, hurrá (indicano gioia):
Urrà, siamo entrati in finale!
– oh, toh (indicano sorpresa):
Oh, che bella sorpresa!
– st, sst, ssst, sss (usate per zittire o richiamare qualcuno):
Sss, basta parlare!
– ehi, ps, pst, pss (usate per richiamare l’attenzione di qualcuno):
Ps, voi due!
– deh (indica preghiera, esortazione):
Deh, spiriti dell’aria e dell’acqua.
– beh, be’ (apocope di bene, usate per troncare, introdurre, interrogare):
Beh, vogliamo muoverci?
– puah (indica disgusto):
Era un intruglio disgustoso! Puah!
– sciò (usata per scacciare animali):
Sciò, zanzare malefiche!
– alt, marsc’ (usate per dare un ordine) ecc.
8.3. Le interiezioni improprie
Le interiezioni improprie sono parole che appartengono comunemente ad altra
categoria (nomi, verbi, aggettivi, verbi, avverbi ecc.) usate come interiezioni per diversi
scopi:
– verme!, cane!, maiale!, bestia!, animale! ecc., usate per insultare;
– vieni!, vai!, zitto!, taci!, basta!, fuori! ecc., usate per ordinare;
– dai!, vai!, suvvia!, coraggio!, andiamo!, animo!, forza! ecc., usate per esortare;
– pietà!, perdono!, scusi!, scusa!, usate per pregare;
– giusto!, bene!, bravo!, esatto!, usate per apprezzare;
– male!, sbagliato!, vergogna!, scusa!, usate per biasimare.
Evviva, domani è festa!
Suvvia, non prendertela così!
Vergogna! Alla tua età fai ancora queste ragazzate!
Accidenti, Mario, non puoi stare più attento?
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică,
2003, pp. 216-217.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di
linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 432-434.
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Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica
italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 367378.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si classificano le interiezioni?
2. Definire le interiezioni proprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
3. Definire le interiezioni improprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
4. Cosa sono le locuzioni interiettive?
Domande di riepilogo
1) Domande di riepilogo per il primo semestre
1. Indicare le forme e gli usi dell’articolo determinativo.
2. Indicare le forme e gli usi dell’articolo indeterminativo.
3. Come si usa l’articolo con i nomi di persona?
4. Come si usa l’articolo con con i cognomi dei personaggi famosi?
5. Come si usa l’articolo con i nomi geografici?
6. Definire l’articolo partitivo.
7. Indicare le forme delle preposizioni articolate.
8. Come si classificano i nomi secondo la forma?
9. Come formano il femminile i nomi maschili in -o?
10. Come formano il femminile i nomi maschili in -a?
11. Cosa sono i nomi indipendenti?
12. Cosa sono i nomi di genere comune?
13. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -a?
14. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -o?
15. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -e?
16. Quali sono i nomi invariabili?
17. Illustrare il gruppo dei nomi con due forme di plurale.
18. Come si forma il plurale dei nomi composti?
19. Quale deve essere la posizione dell’aggettivo qualificativo?
20. Quali sono gli aggettivi qualificativi invariabili?
21. Come si forma il grado comparativo degli aggettivi?
22. Come si forma il grado superlativo degli aggettivi?
23. Cosa sono i comparativi e i superlativi organici?
24. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi possessivi.
25. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi dimostrativi.
26. Indicare l’uso degli aggettivi indefiniti qualunque, nessuno e tutto.
27. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi interrogativi.
28. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali soggetto.
29. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali complemento.
30. Cosa sono i pronomi allocutivi e come si usano.
31. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali riflessivi.
32. Descrivere ed indicare l’uso delle particelle ci e vi.
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33. Descrivere ed indicare l’uso della particella ne.
34. A cosa servono i pronomi possessivi e quali sono?
35. Definire i pronomi dimostrativi ed indicare quali sono.
36. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti nessuno, niente e nulla.
37. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti uno, qualcuno, chiunque e qualcosa.
38. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi relativi.
39. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi interrogativi.
2) Domande di riepilogo per il secondo semestre
1. Cosa sono i verbi predicativi e quelli copulativi?
2. Come si costruisce la forma passiva del verbo?
3. Come si classificano i verbi riflessivi?
4. Descrivere ed indicare l’uso dei verbi impersonali.
5. Descrivere l’uso dei verbi ausiliari.
6. Descrivere la concordanza del participio passato con l’ausiliare essere.
7. Descrivere la concordanza del participio passato con l’ausiliare avere.
8. Descrivere l’uso dei verbi servili.
9. Definire i verbi fraseologici ed indicare gli ambiti di significato che esprimono.
10. Descrivere l’uso dei verbi causativi.
11. Specificare quali sono i tempi dell’indicativo e come si usano.
12. Specificare quali sono i tempi del congiuntivo e come si usano.
13. Specificare quali sono i tempi del condizionale e come si usano.
14. Definire cos’è l’imperativo e come si usa.
15. Spiegare cosa sono i modi indefiniti, indicare quali sono e come si usano.
16. Qual è la posizione dell’avverbio?
17. Descrivere gli avverbi derivati.
18. Definire e descrivere gli avverbi di modo.
19. Quali sono gli avverbi di luogo e come si usano?
20. Quali sono gli avverbi di tempo e come si usano?
21. Quali sono gli avverbi di giudizio e come si usano?
22. Quali sono gli avverbi interrogativi e presentativi, come si usano?
23. Come si forma il grado comparativo degli avverbi?
24. Come si forma il grado superlativo degli avverbi?
25. Quali avverbi possono avere il grado comparativo e superlativo?
26. Come si classificano le preposizioni?
27. Che sono le preposizioni improprie?
28. Indicare le funzioni della preposizione di.
29. Quando si usa la preposizione di nella costruzione “verbo + preposizione +
verbo all’infinito”?
30. Indicare le funzioni della preposizione a.
31. Quando si usa la preposizione a nella costruzione “verbo + preposizione +
verbo all’infinito”?
32. Indicare le funzioni della preposizione da.
33. Indicare le funzioni delle preposizioni in, con, su, per, tra e fra.
34. Come si classificano le congiunzioni secondo la forma?
35. Come si classificano le congiunzioni secondo la funzione?
36. Come si suddividono le congiunzioni coordinative?
37. Come si suddividono le congiunzioni subordinative?
38. Come si classificano le interiezioni?
39. Definire le interiezioni proprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
40. Definire le interiezioni improprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
41. Cosa sono le locuzioni interiettive?
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