CAPITOLO 1
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CAPITOLO 1 IL CONCETTO DI SVILUPPO: CIFRE E REGOLARITÀ STATISTICHE 1.1 INTRODUZIONE Lo sviluppo economico è senz’altro un obbiettivo fondamentale per la maggioranza delle nazioni del mondo. Ovviamente, cosa si intende per sviluppo e quale parte della popolazione debba o possa beneficiare di questo processo dipende dagli assetti sociali e politici nonché dalla cultura del singolo paese considerato. Ciò detto, in molti paesi, ogni anno, vengono intraprese politiche di intervento per favorire il processo di sviluppo. Come valutare il successo di queste politiche? Come, più in generale, valutare il livello di sviluppo raggiunto da un paese? Come stabilire quanto un paese sia sviluppato relativamente ad un gruppo di altri paesi presi come punto di riferimento? In sintesi, come misurare il livello di sviluppo? La risposta a questa domanda è tutt’altro che semplice. Tutti abbiamo una nozione intuitiva di cosa si intenda per sviluppo. Quando pensiamo ad una società sviluppata, pensiamo ad una società la cui popolazione sia ben vestita (ovvero abbia di che comprarsi vestiti adatti a proteggersi dai fattori metereologici) e ben nutrita ed abbia altresì la possibilità di acquistare tutta una serie di beni e servizi che le consentano un buon tenore di vita. Pensiamo ad una società dove non ci siano forme di discriminazione violenta e ci sia un livello accettabile di uguaglianza. In breve, la maggior parte di noi ritiene che il requisito minimo che una società deve soddisfare per poter essere definita sviluppata è che la maggioranza della popolazione di questa società abbia una alta qualità (materiale) della vita, ovvero un livello elevato di benessere materiale. Ovviamente il concetto di società sviluppata va oltre il benessere materiale. Potremmo per esempio ritenere che una società possa definirsi sviluppata solo se garantisce adeguatamente i diritti politici e di espressione, se sostiene e favorisce attività culturali ed intellettuali, se il livello del crimine è sufficientemente basso, e via discorrendo. Va però detto che, senz’altro, un buon tenore (materiale) di vita è un elemento necessario, ovvero un prerequisito, per il raggiungimento di gran parte delle altre condizioni che rendono una società sviluppata. È per questo motivo che gli economisti concentrano la loro attenzione soprattutto sul livello di benessere materiale. È senz’altro forte e naturale la tentazione di ricondurre il grado di benessere materiale di una società alla nozione di livello di prodotto nazionale lordo (PNL) annuo medio pro capite, ovvero la quantità di beni e servizi prodotti, in media, da un individuo di un certo paese nell’arco di un anno. Dobbiamo però fare attenzione. Il livello di PNL annuo medio pro capite, così come del resto la sua contropartita, ossia il livello di RNL (reddito nazionale lordo) medio pro capite, misurano il livello medio di benessere materiale.1 Tuttavia, come abbiamo già accennato, è importante anche tenere conto della percentuale di popolazione che ha un livello alto di benessere materiale. In altri termini, se è vero che il benessere materiale di un particolare individuo 1 In queste pagine le grandezze PNL e RNL e più in generale il concetto di reddito è sempre riferito all’anno. 2 dipende dal reddito pro capite di quell’individuo, è allora evidente che il reddito medio pro capite non è una statistica sufficiente a descrivere il processo di sviluppo. Occorre per lo meno misurare in che modo il reddito nazionale si distribuisce tra le varie fasce di popolazione. Solo in questo modo possiamo valutare se la maggioranza della popolazione dispone di un livello di reddito pro capite adeguato a garantire un adeguato livello di benessere materiale. Esistono poi tutta una serie di elementi che influenzano la qualità della vita, e dunque il livello di benessere, e non sono immediatamente riconducibili al livello del reddito medio pro capite. Questi sono, per esempio, (a) il grado di alfabetizzazione e, più in generale, di scolarizzazione; (b) il tasso di mortalità infantile; (c) la speranza di vita; (d) la disponibilità di servizi sanitari e (d) di acqua potabile. Perché dunque misurare il livello di sviluppo economico attraverso il RNL medio pro capite e la sua distribuzione? Una prima risposta a questo quesito risiede nel fatto che, come avremo modo di vedere durante il corso, molte delle altre misure di sviluppo sopraindicate sono statisticamente collegate al RNL medio pro capite ed alla sua distribuzione. Ciò detto esistono comunque delle eccezioni e dunque, pur concentrandosi sul RNL, è importante non dimenticarsi dell’esistenza e dell’importanza di queste altre misure. 1.2 LIVELLI DI RNL MEDI PRO CAPITE NEL MONDO 1.2.1 Un primissimo sguardo ai dati Secondo le stime ufficiali della Banca Mondiale, nel 2001, 931,2 milioni di persone vivono in paesi ad alto reddito. Il RNL medio pro capite di questa popolazione, è di $26710. Secondo le stesse stime, nel 2001, 5,2 miliardi di persone vivono in paesi a reddito medio o basso. Il RNL medio pro capite di questa popolazione è di $1160. Sempre nel 2001, di questi 5,2 miliardi di persone, 2,5 miliardi vivono in paesi a 3 reddito basso. Il RNL medio pro capite di questi 2,5 miliardi di persone è pari a $430. La popolazione mondiale, nel 2001, secondo le stime ufficiali della Banca Mondiale è di 6,1 miliardi di persone. Il RNL medio pro capite a livello mondiale è pari a 5140 dollari. Quindi: • il 15 % della popolazione ha un RNL medio pro capite di 5,2 volte rispetto a quello mondiale; • l’85 % della popolazione mondiale ha un RNL medio pro capite inferiore di circa 23 volte rispetto a quello dei paesi a reddito alto; • il 41% della popolazione mondiale ha un RNL medio pro capite inferiore di circa 62 volte rispetto a quello dei paesi ad alto reddito. Queste cifre, al di là delle considerazioni (peraltro estremamente opportune) sul utilizzo del RNL medio pro capite come indicatore del livello di sviluppo, dimostrano l’esistenza di disparità scioccanti, soprattutto se si considerano sia il divario di reddito tra “ricchi” e “poveri” che le percentuali della popolazione mondiale che, sulla base del RNL medio pro capite, possiamo definire rispettivamente “poveri” e “ricchi”. Prima ancora di considerare i limiti del reddito medio pro capite come indicatore di sviluppo, è necessario domandarsi se, quando in generale concentriamo l’attenzione sul reddito pro capite, comparare i livelli di reddito dei vari paesi esprimendoli in dollari nominali sia la cosa migliore ovvero più corretta che possiamo fare. 1.2.2 Problemi di misurazione I dati sopradescritti sono stati ottenuti moltiplicando il reddito medio pro capite in valuta nazionale di ciascun paese per il tasso di cambio tra la valuta nazionale del paese considerato e il dollaro. Questo metodo, cosiddetto dei tassi di cambio, è utilizzato anche dalla banca mondiale nel suo World Development Report (consultabili on line al: http://econ.worldbank.org/wdr/). 4 Un problema di fondamentale importanza legato all’utilizzo di questo metodo per comparare redditi pro capite di paesi diversi sta nel fatto che i prezzi di molti beni e servizi non sono riflessi nei tassi di cambio. Questo perché i tassi di cambio riflettono esclusivamente i prezzi dei beni e servizi commerciati tra paesi diversi. In che modo il prezzo di beni e servizi scambiati tra paesi diversi si riflette nel tasso di cambio? Un aumento della domanda di importazioni dal paese x fa crescere la domanda di valuta del paese x (che servirà per pagare le importazioni) ed in questo modo, a parità di altre condizioni, all’aumentare della domanda di un certo bene o servizio importato aumenterà sia il suo prezzo che il tasso di cambio espresso come numero di unità di valuta nazionale necessarie ad acquistare una unità di valuta (estera) del paese da cui si importa. Il discorso opposto vale nel caso di un aumento della domanda estera legata alle esportazioni. Questo meccanismo ovviamente non opera nel caso di beni e servizi che non sono scambiati con l’estero. In questo caso un cambiamento della domanda o dell’offerta si riflette unicamente nel prezzo del bene e non nel tasso di cambio. È logico pensare che nei paesi meno sviluppati i beni non scambiati sui mercati internazionali, normalmente definiti, non-tradeable, abbiano un prezzo relativamente più basso che nei paesi più sviluppati. Questo perché i nei paesi meno sviluppati (o più poveri) gli individui hanno una minore capacità di spesa e dunque la domanda di beni e servizi è generalmente bassa, più bassa che nei paesi maggiormente sviluppati. Ma allora è chiaro che convertendo il reddito pro capite dei paesi meno sviluppati in dollari nominali si sottostima il reddito reale di questi paesi. Come ovviare a questo problema? Possiamo utilizzare un metodo alternativo basato sul calcolo del valore reale del reddito di ciascun paese ai prezzi internazionali. A questo fine si utilizza il rapporto PPP (purchasing power parity) che altro non è se non il rapporto tra indice generale dei prezzi del paese la cui valuta è quella internazionale di riferimento (Stati Uniti, 5 per esempio) e l’indice dei prezzi domestici del paese considerato. Per esempio, nel caso di Ghana e Stati Uniti avremo P$/PSedi. Dato un reddito nominale in Sedi pari a YSedi, il reddito reale ai prezzi internazionali sarebbe YSedi P$/PSedi. Per esempio, nel caso in cui il reddito medio pro capite del Ghana fosse 100 Sedi ed il rapporto tra indice generale dei prezzi ganese e americano fosse 1,5, il reddito medio pro capite ganese in termini reali, valutato ai prezzi internazionali, dove il dollaro è la valuta del paese utilizzato come categoria internazionale di riferimento, sarebbe pari a 1,5 * 100 = 150. Per avere un’idea delle conseguenze che può avere l’optare per il metodo dei tassi di cambio piuttosto che per il metodo PPP guardiamo a come cambia la composizione del gruppo delle otto economie più grandi del mondo a seconda che si utilizzi il primo o il secondo metodo (vedi figura 1 e 2). Figura 1 6 Nel primo caso scopriamo che il gruppo delle otto economie più grandi del mondo e’ radicalmente diverso a seconda del metodo utilizzato. Con il metodo dei tassi di cambio nominali il gruppo comprende, in ordine di dimensione, Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Spagna e Canada. Con il metodo PPP, il gruppo invece, sempre in ordine di dimensione, abbiamo: Stati Uniti, Cina, Giappone, India, Francia, Italia e Regno Unito! Figura 2 Un altro problema legato alla misurazione del PIL e del RNL pro capite è dato dall’utilizzo dei prezzi di mercato per determinare il valore nominale della produzione nazionale. L’utilizzo dei prezzi è ovviamente dettato dalla necessità di 7 esprimere i vari beni e servizi prodotti in un’unica unità di misura; condizione questa necessaria per poter procedere al calcolo della produzione aggregata. La scelta di utilizzare, tra i vari possibili prezzi, proprio i prezzi di mercato, è giustificabile, da un punto di vista teorico, sulla base del fatto che, dato un bene o un servizio, il suo prezzo di mercato ne riflette la scarsità e la domanda dettata dalle preferenze dei consumatori. Per questo motivo, i prezzi di mercato sarebbero la scala di conversione più adatta ad esprimere beni e servizi prodotti in un’unica unità di misura. Quest’argomento teorico sarebbe senz’altro valido se tutti i mercati fossero (perfettamente) competitivi e caratterizzati da prezzi (perfettamente) flessibili. Tuttavia, in realtà, i mercati non sono tutti (perfettamente) competitivi. Esistono forme di oligopolio e concorrenza monopolistica; esistono monopoli, sia privati che pubblici. Al cambiare della forma di mercato, ferme restando tanto le preferenze dei consumatori, e dunque la domanda, che la scarsità di un certo bene, cambia, evidentemente, il prezzo di equilibrio. Sappiamo, per esempio, che a parità di domanda e offerta, il prezzo sarà più alto in caso di monopolio che in concorrenza (se non riuscite a capire perché ciò avviene, allora è consigliabile una rapida rilettura dei capitoli di microeconomia sulle forme di mercato!). È dunque evidente, che il valore della produzione calcolato ai prezzi di mercato dipende dalla forma di mercato prevalente in una certa economia. Di conseguenza, nella misura in cui le forme di mercato cambiano da paese a paese, utilizzare i prezzi di mercato può distorcere il significato della comparazione a livello internazionale dei redditi pro capite dei vari paesi. Va inoltre ricordato che il calcolo tradizionale del PIL o del RNL non tiene conto dei costi associati alla presenza di esternalità, prima tra tutte l’inquinamento. Tutti questi problemi possono essere risolti, almeno parzialmente, utilizzando delle tecniche di misurazione più sofisticate, ed introducendo per esempio dei prezzi ombra che tengano conto in maniera appropriata degli effetti di esternalità così come 8 dell’impatto distorsivo associato alla presenza di mercati non perfettamente concorrenziali. 1.3 EVOLUZIONE DELLA DISTRIBUZIONE MONDIALE DEI REDDITI PRO CAPITE DAGLI ANNI SESSANTA AGLI ANNI OTTANTA Per tutta la durata del venticinquennio che va dal 1960 al 1985, il gruppo costituito dal cinque per cento più ricco dei paesi del mondo ha avuto un reddito medio pro capite circa ventinove volte maggiore di quello del cinque per cento più povero. Il fatto che, per tutto questo periodo, la differenza di reddito tra il 5% più povero ed il 5% più ricco, espressa in termini relativi, sia rimasta costante, suggerisce che, nel periodo considerato, la distribuzione mondiale dei redditi relativi medi pro capite (dove per reddito relativo medio pro capite di un paese intendiamo il rapporto tra reddito medio pro capite di quel paese e reddito medio pro capite mondiale) è rimasta anch’essa costante o stazionaria. Con riferimento al periodo storico 1965-90, un fatto di notevole interesse è rappresentato dalla rapida crescita dell’economie dell’Est Asiatico: Malesia, Singapore, Hong Kong, Thailandia, Indonesia, Corea, Taiwan, Giappone, e più recentemente, la stessa Cina. Escludendo la Cina, il tasso di crescita medio del reddito pro capite di questo gruppo di paesi è stato, nel venticinquennio considerato, del 5,5% annuo. Nello stesso periodo il tasso di crescita medio mondiale è stato più o meno dell’1,9%. La Cina, nel periodo compreso tra il 1980 e il 1993 è cresciuta in media del 8,2% all’anno, sempre in termini di reddito medio pro capite. Dunque, nel periodo considerato le economie asiatiche sono diventate, relativamente al resto del mondo, più ricche, in termini di reddito pro capite, di quanto non lo fossero nel 1965. In sostanza, sono andate ad occupare posizioni più alte nella classifica dei redditi relativi medi pro capite. 9 Molto diversa, nello stesso periodo, è stata l’esperienza dei paesi latinoamericani e dell’Africa sub-Sahariana. Molti di questi paesi, nel periodo considerato, hanno attraversato lunghe fasi di stagnazione. Nel caso dell’America Latina poi, gli anni ottanta hanno portato lunghe fasi di recessione, con una riduzione media del reddito pro capite dell’11% su base decennale (dal 1980 al 1990). Solo due paesi, Cile e Colombia, avevano nel 1990 un reddito medio pro capite maggiore che nel 1980. I paesi di quest’area geografica, nel periodo considerato, sono dunque diventati relativamente più poveri di quanto non lo fossero nel 1965. In altri termini, sono andati ad occupare posizioni più basse nella classifica mondiale dei redditi relativi medi pro capite. Dinamiche del reddito pro capite così diverse tra loro come quelle dell’Est Asiatico, dell’Africa Sahariana e dell’America Latina, dimostrano che sebbene la distribuzione mondiale dei redditi relativi pro capite sia stata, nel periodo 1960-85, sostanzialmente stabile, c’è stato un certo grado di mobilità tra le varie classi di reddito: alcuni paesi sono diventi relativamente più ricchi, spostandosi verso classi di reddito relativo medio pro capite più elevato, altri sono diventati relativamente più poveri, spostandosi verso classi di reddito relativo medio pro capite più basso. Per renderci conto di questa mobilità tra classi di reddito relativo medio pro capite, guardiamo all’evoluzione del reddito medio pro capite dei vari paesi del mondo rispetto al reddito medio pro capite dell’America settentrionale. Per far questo, consideriamo i tassi di crescita del reddito medio pro capite di ogni paese del mondo netti del tasso di crescita del reddito medio pro capite statunitense, ovvero, per ogni paese i, consideriamo il tasso netto di crescita del reddito medio pro capite dato da giN= gi -gUS, dove gi è il tasso di crescita del reddito medio pro capite nel paese i e gUS è il tasso di crescita del reddito medio pro capite negli Stati Uniti. Più in particolare rappresentiamo, in figura 3, il numero di paesi il cui reddito medio pro capite è cresciuto più o meno di quello degli Stati Uniti in misura di una certa 10 percentuale; la percentuale di variazione del reddito dei paesi rispetto a quello statunitense è descritta in ascissa, mentre in ordinata troviamo il numero di paesi. In base alla figura 3, 6 paesi hanno avuto un tasso di crescita negativo rispetto agli Stati Uniti in misura maggiore del 5%, 3 in misura compresa tra - 5 e - 4% e via dicendo. Come si può notare, più della metà dei paesi del mondo hanno cambiato la loro posizione relativa (in termini di reddito pro capite) rispetto agli Stati Uniti. Ciò testimonia un alto grado di mobilità (di paesi) tra classi di reddito medio pro capite. Numero di paesi Cambiamento percentuale annuo del reddito in PPP di diversi paesi rispetto agli USA (g Ni ) 21 16 13 12 11 10 8 6 3 < -5 7 6 -5 a -4 2 -4 a -3 -3 a -2 -1 a -1 -1 a 0 0a1 1a2 2a3 3a4 4a5 5+ Figura 3 Inoltre, in figura 3 si può notare che i movimenti da e verso gli Stati Uniti sono stati abbastanza simmetrici. In altri termini non vi sono grosse differenze tra il numero di paesi che, in termini di reddito medio pro capite, si sono spostati verso gli Stati Uniti ed il numero di paesi che si sono allontanati. Anche l’intensità di questi spostamenti, misurata dalla percentuale di variazione del reddito pro capite dei paesi considerati, rispetto al reddito statunitense, è abbastanza simmetrica. In questa simmetria sta la spiegazione del fatto che la distribuzione mondiale dei redditi relativi medi pro capite 11 sia stata, nel periodo 1960-85, sostanzialmente stabile. La simmetria di movimenti da e verso gli Stati Uniti ci dice inoltre che probabilmente non esistono trappole di sottosviluppo da cui è impossibile riemergere. Tale semplice analisi ci dice altresì che non tutti i sentieri di crescita del reddito pro capite sono sufficienti a garantire, nel tempo, una certa posizione nella classifica mondiale dei redditi pro capite. Quest’ultima affermazione va tuttavia considerata con una certa cautela. A tal fine consideriamo lo studio condotto da Quah (1993) per costruire le matrici di mobilità utilizzando i redditi pro capite dei vari paesi del mondo: • esprimiamo il reddito pro capite di ciascun paese in rapporto (share) al reddito pro capite mondiale. Chiamiamo il reddito pro capite così espresso yi, dove i indica il paese di considerato • costruiamo cinque categorie contraddistinte dagli indici: < 1/4, 1/2, 1, 2, > 2, (dove > 2 sta per maggiore di 2, e < 1/4 sta per minore di 1/4). • assegniamo i paesi alle varie categorie a seconda i loro share di reddito yi, in modo che: — tutti i paesi con un yi, minore di 1/4 sono compresi nella categoria < 1/4; — tutti i paesi con un yi, tra 1/4 ed 1/2 sono compresi nella categoria 1/2; — tutti i paesi con un yi, tra 1/2 e 1 sono compresi nella categoria 1; — tutti i paesi con un yi, tra 1 e 2 sono compresi nella categoria 2; — tutti i paesi con un yi, maggiore di 2 sono compresi nella categoria >2. Facciamo quest’esercizio per due anni diversi, per esempio per l’anno 1962 e poi per l’anno 1984 (questi sono i due anni utilizzati da Quah nella sua analisi). Dopodiché, per ognuna delle 5 categorie riferite all’anno 1962, contiamo il numero di paesi che, partiti da una certa categoria nel ’62, si sono ritrovati nell’85 nella stessa categoria o in un’altra delle rimanenti 4. Indichiamo il numero di paesi in ogni categoria di arrivo 12 come percentuale del numero totale di paesi nella categoria di partenza. I risultati di quest’operazione sono rappresentati nella tabella 1, dove la colonna 1 rappresenta le categorie di partenza e la riga 1 le categorie di arrivo. Gruppi 1962 Gruppi 1984 Tabella 1 Prendiamo per esempio il numero 76, riga 2 colonna 2. Questo numero ci dice che il 76% dei paesi che nel 1962 si trovavano nella categoria <1/4, nel 1984 si trovavano in quella stessa categoria. Il 24% dei paesi che nel ’62 si trovavano nella categoria <1/4 invece si è spostato: un 12% è arrivato nella categoria 1/2 e un altro 12% è arrivato nella categoria 1. Con lo stesso metodo possiamo interpretare tutti gli altri numeri della tabella. Cosa ci dice l’analisi condotta da Quah riportata in tabella 1? Definiamo, per ogni categoria di partenza, un indice di mobilità dato dalla percentuale di paesi che si sono spostati di categoria nel periodo considerato, ritrovandosi, nel 1984, in una categoria diversa da quella di partenza. Per la categoria <1/4 quest’indice è pari al 24%. Per la categoria 1/2 è 69%; per la 1 è 55%; per la 2 è 48%; per la >2, infine, è 5%. È immediato notare che la mobilità, così misurata, è decisamente maggiore nelle categorie 1/2, 1, 2 che non in quelle, più estreme, <1/4 e >2. Cosa vuol dire questo? Interpretiamo, le percentuali così calcolate come stime di probabilità (lo studio di Quah contiene le procedure di stima appropriate per poter 13 interpretare le percentuali in tabella 1 come probabilità). La bassa mobilità della classe <1/4 ci dice che se è vero che non esistono trappole di sottosviluppo irreversibile, è però anche vero che, per i paesi più poveri , scalare posizioni nella classifica mondiale dei redditi pro capite è decisamente difficile, ovvero poco probabile; senz’altro, meno probabile di quanto non sia, per ognuno dei paesi in ogni altra categoria, conservare la propria posizione in classifica o migliorarla. Stesso ragionamento vale per i paesi nella categoria >2. Ben il 95% di questi paesi sono rimasti nella stessa categoria. Dunque, la probabilità di perdere posizioni in classifica è solo del 5%. 1.3.1. Evoluzione della distribuzione mondiale dei redditi: regolarità statistiche Dopo la discussione condotta nelle pagine precedenti è utile riassumere i principali fatti relativi all’evoluzione della distribuzione mondiale dei redditi medi pro capite nel periodo compreso, approssimativamente, tra il 1960 ed il 1990. Fatto 1 Nel periodo 1960-85 la distribuzione mondiale dei redditi relativi pro capite è rimasta abbastanza stabile. Il 5% dei paesi più ricchi ha un reddito medio pro capite di circa 29 volte superiore a quello dei paesi facenti parte del 5% più povero; Fatto 2 Il fatto che la suddetta distribuzione sia rimasta pressoché stazionaria non implica che non ci sia stata mobilità all’interno della distribuzione. Di fatto, questa mobilità c’è stata ed è stata anche piuttosto elevata, specie per le classi di reddito intermedie. Fatto 3 La minore mobilità che caratterizza le classi più estreme è un fatto molto interessante che merita un’attenta spiegazione. Sulle possibili spiegazioni di questo fenomeno ci soffermeremo spesso durante il corso di Economia dello Sviluppo. 14 1.4 LA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO Il grado di disuguaglianza tra i livelli di reddito pro capite dei vari paesi del mondo è solo uno degli indicatori del grado di disparità nei livelli di sviluppo economico. Un altro indicatore estremamente importante è il grado di disuguaglianza della distribuzione del reddito all’interno di ciascun paese. A questo tema dedicheremo una parte del corso; in questo capitolo introduttivo, ci limiteremo, tuttavia, a discutere più povere e del 20% più ricche Share di reddito del 40% di famiglie alcune cifre di cruciale importanza. 20% di famiglie più ricche 40% di famiglie più povere Livello del reddito pro capite in dollari internazionali Figura 4 In figura 4 sono rappresentate alcune informazioni relative al grado di disuguaglianza per un gruppo di paesi che comprende tanto economie ad alto reddito medio pro capite che economie a basso reddito medio pro capite. I livelli di reddito medio pro capite sono descritti in ascisse. Sulle ordinate rappresentiamo invece le percentuali di reddito per gruppi di popolazione facente rispettivamente parte del 20% più ricco e del 40% più povero rispetto alla popolazione totale. 15 Si può notare una correlazione negativa tra livello di reddito medio pro capite e concentrazione del reddito nazionale nelle mani del 20% di popolazione più ricco del paese. Al crescere del reddito medio pro capite la percentuale di reddito nazionale nelle mani dei più ricchi decresce, ed allo stesso tempo cresce la percentuale di reddito nelle mani dei meno abbienti. Il grado di disuguaglianza della distribuzione del reddito varia dunque inversamente al grado di sviluppo. Questo è molto importante, perché il grado di disuguaglianza, a parità di livello di reddito medio pro capite, può esacerbare problemi tipicamente associati alla situazione di sottosviluppo di un paese, quali ad esempio malnutrizione, mortalità infantile, basse aspettative di vita e bassa alfabetizzazione. 1.5 ALTRE DIMENSIONI DEL CONCETTO DI SVILUPPO: HUMAN DEVELOPMENT L’utilizzo del livello del reddito pro capite come misura del grado di sviluppo economico di un paese è giustificabile alla luce del fatto che molte delle dimensioni che caratterizzano il concetto di sviluppo sono statisticamente legate, o più precisamente correlate, al livello di reddito pro capite. Questa correlazione dipende dal fatto che il reddito individuale rappresenta il vincolo economico che limita la capacità di spesa dell’individuo e dunque la sua capacità di cibarsi, coprirsi, istruirsi etc. Ciò detto è chiaro che, specie considerato l’elevato grado di disuguaglianza che caratterizza la distribuzione del reddito in molti paesi in via di sviluppo, il reddito medio pro capite non è più sufficiente a descrivere il livello di sviluppo economico, laddove per sviluppo economico si intendano anche altre dimensioni quali ad esempio la durata media della vita, la mortalità infantile etc. Per spiegare questo concetto, consideriamo un indicatore composito di Human Development che comprenda i seguenti indicatori statistici: 16 • aspettativa di vita; • mortalità infantile; • disponibilità di acqua potabile; • tasso di alfabetizzazione degli adulti. In generale, questi indicatori di Human development sono correlati con il reddito medio pro capite. In particolare, statisticamente, all’aumentare del livello di reddito medio pro capite: • aumenta il tasso di alfabetizzazione degli adulti; • diminuisce il tasso di mortalità; • aumenta l’aspettativa di vita; • aumenta la disponibilità di acqua potabile. Nella misura in cui queste regolarità statistiche sono valide, è chiaro che l’informazione contenuta in questi indicatori poco aggiunge all’informazione contenuta nel reddito medio pro capite. Esistono tuttavia delle eccezioni. E queste eccezioni sono importanti perché ci fanno capire che il reddito medio pro capite non è sempre una statistica sufficiente a descrivere le condizioni di sviluppo economico di un certo paese. Prendiamo ad esempio due paesi: Sri Lanka e Guatemala. In tabella 2 sono rappresentati i livelli di reddito pro capite ed il grado di disuguaglianza dei due paesi riferiti all’anno 1993. I livelli di reddito sono stimati utilizzando il metodo PPP. Tabella 2 17 La seconda colonna descrive il reddito medio pro capite. La terza colonna, la percentuale di reddito nazionale nelle mani del 40% più ricco; la quarta, la percentuale di reddito nazionale nelle mani del 20% più povero. I dati ci dicono che lo Sri Lanka ha un reddito medio più basso rispetto al Guatemala ma anche un livello più basso di disuguaglianza. Per lo stesso anno, il 1993, andiamo adesso a vedere gli indicatori di Human Development di questi due paesi rappresentati in tabella 3. Tabella 3 La terza colonna indica il tasso di mortalità infantile (MI) su base mille, la quarta colonna rappresenta la percentuale di popolazione che dispone di acqua potabile (AP). La quinta colonna infine, descrive la percentuale di popolazione alfabetizzata (Alfab. % Pop). È evidente che, con l’eccezione peraltro marginale dell’indicatore riferito all’acqua potabile, tutti gli indicatori di Human Development considerati sono più alti per lo Sri Lanka che per il Guatemala (si noti che ad un più alto tasso di mortalità infantile corrisponde, per quest’indicatore, un livello più basso di sviluppo). Ma la tabella 2 ci dice che lo Sri Lanka ha anche un reddito medio più basso. Ciò contraddice le correlazioni statistiche (o leggi statistiche) che legano i vari indicatori di Human Development considerati ed il livello di reddito medio pro capite. Secondo queste correlazioni, maggiore il reddito pro capite, maggiore il grado di alfabetizzazione, maggiore la speranza di vita, maggiore la disponibilità di acqua potabile e minore la mortalità infantile. Ma questo non succede nel caso di Guatemala e Sri Lanka; resta a questo punto da chiedersi perché avvenga ciò. 18 Se da un lato è vero che il Guatemala ha un reddito medio pro capite più elevato dello Sri Lanka, è anche vero che il grado di disuguaglianza della distribuzione del reddito è assai più alto in Guatemala che in Sri Lanka. In Guatemala, rispetto allo Sri Lanka, c’è un numero minore di ricchi, sebbene essi siano più ricchi che in Sri Lanka, e un numero maggiore di poveri, probabilmente più poveri che in Sri Lanka. Ciò può far si che la percentuale di popolazione che dispone di un reddito inferiore a quello necessario per potersi istruire, alimentare adeguatamente, ed avere accesso all’acqua potabile, sia più alta in Guatemala che in Sri Lanka. Tale dinamica potrebbe a sua volta far si che la malnutrizione, la scarsa disponibilità di cure mediche (che si riflettono negativamente sull’aspettativa di vita e sul tasso di mortalità infantile), la mancanza di acqua potabile, l’analfabetismo, siano più gravi in Guatemala che in Sri Lanka, sebbene quest’ultimo paese abbia un reddito medio pro capite più basso del primo. 1.6. CARATTERISTICHE STRUTTURALI DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO 1.6.1. Aspetti demografici I paesi in via di sviluppo sono caratterizzati da alti tassi di natalità ed alti tassi di mortalità. Con il processo di sviluppo il tasso di mortalità diminuisce mentre, spesso, il tasso di natalità resta elevato. Ciò provoca un’esplosione demografica che influisce negativamente sul livello del reddito medio pro capite. Inoltre, aumenta la componente giovane della popolazione con effetti negativi su fenomeni quali povertà, lavoro minorile, malnutrizione, e basso livello di istruzione. In generale, esiste una correlazione negativa statisticamente significativa tra reddito pro capite e tasso di crescita della popolazione. 19 1.6.2. Occupazione e struttura produttiva L’agricoltura è certamente il settore produttivo dominante in molti dei paesi in via di sviluppo: per i 45 paesi più poveri la quota di prodotto nazionale attribuibile al settore agricolo è approssimativamente del 30%; per i 63 paesi a reddito medio tale quota si attesta intorno al 20%. Nei paesi più sviluppati, infine, la quota scende a valori compresi tra l’1 ed il 7%. La frazione di forza lavoro che abita zone rurali è pari a 72% per i paesi più poveri e 60% per i paesi a reddito medio. Nei paesi più sviluppati la percentuale di forza lavoro che abita zone rurali scende al 20%. Queste cifre sono ottenute utilizzando la frazione di forza lavoro che abita 15 zone rurali come misura, indiretta, della quantità di forza lavoro impiegata nel settore agricolo. Esiste una certa correlazione negativa tra livello del reddito medio pro capite e percentuale di forza lavoro impiegata nel settore agricolo. Tuttavia è buona norma ricordarsi che esistono importanti eccezioni. Delle implicazioni della distribuzione della forza lavoro tra i vari settori produttivi, e del ruolo del settore agricolo, ci occuperemo più in la nel corso. In particolare, una parte del corso verrà dedicata all’analisi dei flussi migratori dalle aree rurali alle aree urbane. In molti paesi in via di sviluppo grosse masse di individui migrano verso le città in tempi assai brevi. Ciò, come avremo modo di analizzare più avanti nel corso, dipende da due fattori: • nelle zone rurali non c’è abbastanza lavoro e dunque c’è povertà; • nelle aree urbane ci sono maggiori possibilità di trovare un lavoro. Tali movimenti migratori, uniti alle dinamiche demografiche, comportano uno sviluppo accelerato delle aree urbane, con tutti i problemi che ciò può comportare, ed inoltre non sempre hanno conseguenze positive sul processo di sviluppo. 1.6.3. Il commercio internazionale Il commercio internazionale ha un peso importante nell’economia di molti paesi del 20 mondo, sia sviluppati che in via di sviluppo. Tuttavia non esiste una relazione statisticamente significativa tra commercio internazionale e reddito medio pro capite. Le differenze tra paesi a basso ed alto reddito riguardano piuttosto la composizione del commercio internazionale ovvero il tipo di beni e servizi commerciati. Queste differenze, come vedremo, sono molto importanti per valutare l’impatto del commercio internazionale sul processo di sviluppo. 1.7 CONCLUSIONE Il capitolo, che apre questo corso, ha affrontato una discussione preliminare sul concetto di sviluppo economico. Da tale analisi è emerso come con chiarezza come tale concetto sia intrinsecamente multidimensionale, complesso nella sua strutturazione e senz’altro non riducibile al concetto di reddito medio pro capite. Un primo tentativo di proporre una definizione più articolata di sviluppo ci ha condotto a considerare tema categorie quali: la mortalità infantile, la speranza di vita, il tasso di alfabetizzazione ed istruzione, l’accesso a servizi sanitari adeguati, etc. Nonostante ciò, il reddito medio pro capite è spesso un indicatore importante del livello di sviluppo economico raggiunto da un certo paese. In molti casi, anche se non sempre (!), l’utilizzo di questa misura, congiuntamente al grado di disuguaglianza della distribuzione tra classi di reddito, è appropriato. Abbiamo analizzato i problemi connessi alla misurazione del reddito medio pro capite, per poi passare ad esaminare l’evoluzione della distribuzione mondiale dei redditi relativi pro capite nel periodo 1960-1990. Inoltre abbiamo esaminato alcune cifre relative alla distribuzione del reddito pro capite all’interno di singoli paesi più o meno sviluppati. Dopo aver completato quest’analisi empirica sul reddito pro capite e sulla sua distribuzione, siamo ritornati sulla complessità del concetto di sviluppo economico 21 analizzando alcune sue ulteriori sfaccettature, come ad esempio lo Human Development, le caratteristiche demografiche ed altre caratteristiche strutturali quali il peso relativo del settore agricolo nella composizione settoriale dell’attività produttiva, ed il ruolo del commercio internazionale. A questo punto, completata questa parte introduttiva, passeremo ad analizzare nel dettaglio i singoli temi specifici che verranno trattati nel corso, iniziando dalle teorie della crescita economica. 22