Lavorare con le famiglie negli esordi psicotici: un intervento

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Lavorare con le famiglie negli esordi psicotici: un intervento
Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia
© PI-ME, Pavia 2008
http://gimle.fsm.it
Supplemento B, Psicologia
2008; Vol. 30, N. 3: B62-B70
ISSN 0391-9889
A. Alpi, A Cocchi, A. Meneghelli, N. Pafumi, G. Patelli
Lavorare con le famiglie negli esordi psicotici: un intervento
strutturato per i caregiver
Programma 2000, Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Via Livigno3, 20158, Milano
RIASSUNTO. Nell’ambito dell’intervento precoce con pazienti
all’esordio psicotico, le più recenti ricerche concordano
nel considerare essenziali gli aspetti e le strategie di
psicoeducazione rivolte alle famiglie, sia per migliorare
le capacità di gestione della malattia che per ridurre il suo
impatto sulla qualità della vita del paziente e della famiglia
stessa. I più importanti programmi d’intervento precoce non
possono esimersi, nell’organizzazione di una proposta
terapeutica, dal coinvolgere i familiari dei giovani all’esordio,
così come indicato nelle linee guida più recenti. Nella sua
globalità, il Programma 2000 (Ospedale Niguarda Ca’ Granda
di Milano) ha visto nel corso di 10 anni il coinvolgimento
di 191 familiari. Il confronto con le sempre più numerose
esperienze internazionali ci ha spinto a definire in modo
più strutturato sia la fase di assessment che la proposta
di trattamento per i caregiver, il cui focus è centrato
sugli aspetti psicoeducativi e sulla gestione dell’Emotività
Espressa familiare.
Scopo del presente lavoro è descrivere e verificare gli esiti di
un intervento strutturato per i familiari proposto come
“progetto pilota”, realizzato nell’anno 2007.
Le misure di esito utilizzate sono i punteggi conseguiti alla
Camberwell Family Interview (CFI) e alla Valutazione delle
Conoscenze sulla Psicosi (VCP). Hanno preso parte al progetto
pilota 25 familiari caregiver di giovani pazienti (18-30 anni).
Viene descritta l’articolazione metodologica degli incontri
successivi alla presa in carico, individualizzati e
multicomponenziali, strutturati intorno a otto temi preordinati
nel corso di 12 mesi.
I risultati ad un anno hanno permesso di osservare
il cambiamento qualitativo dell’Emotività Espressa: il 13%
dei familiari è passato dalla categoria alta Emotività Espressa
(Hee) a quella bassa (Lee). Inoltre i dati riguardanti il livello
di conoscenza inerente il disturbo psichico del proprio
familiare si sono modificati favorevolmente: sono passati dal
47% al 18% i familiari che ne hanno solo nozioni generiche,
mentre si è notato un incremento dal 16% al 27% dei carers
che raggiungono un buon livello di conoscenza specifica.
In conclusione, dallo studio pilota emergono risultati
che incoraggiano i professionisti della salute mentale
a progettare programmi di trattamento individualizzato
e multicomponenziale rivolti ai caregiver di giovani
nelle fasi di esordio psicotico.
Parole chiave: caregiver, psicosi, intervento precoce, trattamento
familiare, Emotività Espressa.
ABSTRACT. WORKING WITH FAMILIES IN THE EARLY STAGES
OF PSYCHOSIS: A STRUCTURED INTERVENTION FOR CAREGIVERS.
In the field of early psychosis psychoeducation is considered
fundamental to increase coping skills with diseases and to
improve the quality of life of patients and their families.
The more recent and updated guidelines on schizophrenia
underline the extreme importance of the families involvement
in treatment of young people in the initial phases of illness.
“Families are the main support for many young patients. They
could be the primary carers but they have also to face individual
and social consequences following the onset course. Where
feasible, family members must be involved in the treatment”.
This work describes the components of the work with families
carried on by the Centre for the early detection of psychoses and
high-risk situations - Programma 2000 (“Niguarda Ca’ Granda”
Hospital- Milan) and is mostly focused on psychoeducation and
on Expressed Emotions aspects. Even the advances suggested by
the international literature drove Programma 2000 to define both
the steps of caregivers assessment and intervention. During the
last ten years, Programma 2000 has followed 191 caregivers.
Aims of this work is to verifier the outcome of the “pilot project”,
started in 2007, projected specifically to increase the normally
used strategies to improve the caregivers adherence and
involvement in the therapeutic process.
The individualized multi-componential intervention has been
structured in 8 session over one years. Outcome measures used
in this article are the scores of the Camberwell Family Interview
and from the Psychosis Knowledge Assessement Semistructured
Interview (VCP).
The subjects enrolled in the structured pilot project were
25 family caregiver to young (18-30 yrs old) patients.
Results shows change in the Expressed Emotion level: 13%
of families moved from High Expressed Emotion to Low
Expressed Emotion. Furthermore data on the knowledge
of illness knowledge level illustrate a reduction in the
percentage, from 47% to 18%, of carers who have just a very
vague knowledge of illness, and an increase from 16% to 27%
of carers who obtain a good level of specific knowledge.
In conclusion we can sustain mental health expert with
aim to treatment project programme individualized and
multi-componential tailored for young’s caregiver
at the onset phase of psychosis.
Key words: onset, psychosis, early intervention, caregiver, family
intervention, psychoeducation, Expressed Emotion.
Introduzione
L’esordio dei disturbi psicotici avviene per lo più durante l’adolescenza o nel periodo di transizione all’età
adulta (17-35 anni), con importanti effetti negativi sul processo di maturazione personale e professionale dell’individuo quali il ritiro sociale e difficoltà nella gestione della vita quotidiana e nel mantenimento di ruolo, proprio nella fase in cui i familiari hanno molte aspettative verso il futuro
e l’autonomia di ragazzi e ragazze.
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Il significativo impatto dei disturbi psicotici sui giovani si estende alle loro famiglie e, in modo più ampio, all’intera società, poiché dopo un primo episodio psicotico
e/o una prima ospedalizzazione la gestione della situazione passa alla “comunità”.
Per i pazienti più giovani la responsabilità del monitoraggio e del supporto spettano tipicamente ai familiari, dato che la maggior parte dei pazienti, soprattutto quelli giovani, risiede ancora presso i genitori (1). Come per ogni altra malattia grave che può insorgere quando il percorso
evolutivo non è compiuto, una delle conseguenze possibili è il prolungamento del ruolo di caregiver della famiglia.
Numerosi studi hanno dimostrato come i parenti di giovani che sviluppano un disturbo psicotico riportino un senso di carico, stress, ansia, depressione, bassa qualità della
vita, ridotto supporto sociale e problemi economici (2, 3,
4, 5, 6, 7).
Il carico familiare è un costrutto complesso, generalmente distinto in oggettivo e soggettivo. Il carico oggettivo concerne i sintomi presentati dai pazienti, le caratteristiche comportamentali e socio-demografiche, i cambiamenti nella routine familiare, nelle relazioni sociali e nel
lavoro, lo stato di salute fisica; il concetto di carico soggettivo, in addizione all’impatto emotivo, psicologico e fisico del disturbo sul caregiver, implica la presenza di vergogna, imbarazzo, senso di colpa e auto-biasimo nei familiari (8, 9).
Solitamente, il carico è maggiore in relazione alla severità dei sintomi, al senso di colpa e alle conseguenze del disturbo percepite dai caregiver sulla loro vita e su quella del
paziente, e il carico oggettivo aumenta con il prolungarsi
del disturbo; al contrario l’esperienza di caregiver viene valutata positivamente, con una riduzione dello stress e della
sofferenza, qualora si percepisca una possibilità di controllo sulla malattia, la presenza di supporto emotivo e si usino
strategie di coping attive (10, 11). La rappresentazione cognitiva della psicosi e le abilità di coping nei familiari possono quindi avere un peso rilevante nella valutazione del
ruolo di caregiver, soprattutto nelle fasi precoci della malattia, con conseguenti implicazioni per i professionisti nella scelta degli interventi più adeguati.
Gli esiti individuali e familiari dipendono anche dalla
motivazione e dalla capacità del paziente di aderire al trattamento e alla farmacoterapia (12, 13), e al livello di Emotività Espressa (EE) nell’ambiente familiare.
L’attenzione, scientifica e clinica, rivolta ai caregiver
dei pazienti psicotici è stata influenzata, negli ultimi decenni, proprio dalle ricerche sull’analisi dei costrutti della
EE e sul suo ruolo nel “recovery” del soggetto sofferente.
Gli studi che hanno analizzato le famiglie di pazienti
giovani all’esordio hanno dato risultati controversi: in alcuni non è stata riscontrata un’associazione tra alta EE
(HEE) e ricadute (14, 15), mentre altre ricerche hanno rilevato un’associazione positiva (16, 17). Un dato interessante è, comunque, la elevata presenza, nei familiari ad
HEE, di Ipercoinvolgimento emotivo (EOI) - rispetto al
Criticismo (C) e all’Ostilità (H) - e la sua tendenza a trasformarsi nel tempo in criticismo.
La alta EE può essere considerata predittiva del tasso di
ricadute e della severità della schizofrenia (6). Infatti,
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mentre i familiari a bassa EE (LEE) fungono da fattore di
protezione, quelli ad alta EE sviluppano interazioni familiari stressanti che incidono sulla vulnerabilità bio-psicologica dell’individuo incrementando la probabilità di ricadute e il corso del disturbo.
Non è ancora stato chiarito come la alta EE in ambito
familiare possa influire sulle ricadute nei disturbi psicotici. Secondo Addington e al. (6), la difficile esperienza dei
caregiver di giovani all’esordio psicotico è associata a variabili d’esito come le sintomatologie positiva e negativa e
il funzionamento sociale. I risultati di una recente ricerca
su soggetti con psicosi e loro familiari, indicano come questo effetto possa essere mediato dai cambiamenti affettivi
(modello cognitivo): i pazienti con famiglie ad alta EE mostrano più elevati livelli di ansia e depressione, ma non di
sintomi positivi; il criticismo è associato all’ansia dei pazienti, a una bassa autostima e a scarse strategie di coping
dei familiari; la bassa autostima del caregiver è correlata a
depressione, stress e carico emotivo nonché alla bassa autostima del congiunto (18).
Il collegamento tra alta EE, autostima e sintomatologia
fornisce delle indicazioni importanti per la definizione degli obiettivi nel trattamento della famiglia; quest’ultima
può avere un ruolo importante nella remissione dalla psicosi, se supportata e aiutata dai professionisti della salute
mentale ad affrontare la paura, l’angoscia e la rabbia conseguenti alla malattia del congiunto.
Secondo Kuipers e Raune (19) i programmi d’intervento rivolti alle famiglie di soggetti giovani all’esordio
del disturbo devono focalizzarsi sul cambiamento dei fattori associati alla alta EE (criticismo, ostilità, ipercoinvolgimento emotivo), con l’obiettivo di ridurre lo stress, il carico oggettivo e soggettivo dei membri della famiglia, migliorandone il benessere psicofisico e la qualità della vita.
La metanalisi di Pilling et al. (20) ha evidenziato come
il trattamento familiare individuale, rispetto agli interventi
di gruppo, abbia migliori esiti sulla remissione della sintomatologia, sul numero di ricadute e sulla compliance farmacologica; l’intervento cognitivo-comportamentale, inoltre, produce migliori esiti al follow-up e minori tassi di
drop-out.
Veltro et al. (21) hanno valutato l’efficacia dell’intervento familiare comportamentale secondo il modello di
Falloon (22) rispetto al trattamento standard, con un follow-up a 1 e 11 anni, con i seguenti risultati: 1) dopo un anno si rilevano significative differenze per severità dei sintomi positivi, grado di autonomia e carico oggettivo/soggettivo dei familiari; 2) dopo 11 anni si rilevano marcate differenze nel tasso di ospedalizzazioni e drop-out.
È stata riscontrata una associazione positiva tra gli interventi psicoeducativi con le famiglie e una riduzione del 2050% del tasso di ricadute necessitanti una nuova ospedalizzazione per i pazienti (23, 24); inoltre, la psicoeducazione
con i caregiver risulta più efficace nel prevenire le ricadute
che il solo trattamento individuale o farmacologico (25).
Una recente metanalisi (26) sull’efficacia della psicoeducazione indica come gli interventi che includono la famiglia hanno un maggior effetto nel ridurre la sintomatologia alla fine del trattamento e nel prevenire le ricadute
considerando 7-12 mesi di follow-up.
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Askey et al. (27) indicano come l’intervento con i caregiver di pazienti all’esordio psicotico sia efficace qualora sia presente alta EE nella famiglia, ma allo stesso tempo suggerisce, nelle famiglie valutate a bassa EE, il rischio
che l’intervento stesso possa aumentarne il livello.
Nelle fasi iniziali del disturbo è auspicabile coinvolgere i familiari in programmi d’intervento con obiettivi come
la riduzione e/o la prevenzione della EE, il miglioramento
dell’autostima, della qualità delle relazioni e delle modalità di comunicazione all’interno della famiglia, l’apprendimento di abilità di coping e di problem solving (24, 28).
I programmi di psicoeducazione rivolti alle famiglie
devono provvedere a fornire corrette informazioni sul disturbo, aiutare i caregiver a gestire in modo adeguato i problemi dei pazienti, riducendone il livello di stress e sofferenza e offrendo, allo stesso tempo, un supporto sociale ed
emotivo (29, 30).
Lo scopo del presente lavoro è descrivere le modalità
con cui si articola l’intervento familiare presso il Programma 2000 (Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda Ca’
Granda, Milano), condotto anche tenendo conto di queste
riflessioni ed evidenze. Il confronto con le sempre più numerose esperienze internazionali ci ha spinto, nell’ultimo
anno, a definire in modo più strutturato sia la fase di assessment, includendo nuovi strumenti di valutazione, sia
gli interventi di psicoeducazione e di problem solving, rispetto a quelli precedentemente attivati.
Il Programma 2000 e l’intervento con i caregiver
Nel 1999 è stato realizzato a Milano, presso il Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda Ca’ Granda, il Programma 2000, primo progetto italiano sperimentale per l’individuazione e l’intervento
precoce con giovani valutati a rischio o all’esordio di malattie mentali (disturbi psicotici), comprendendo un bacino
di utenza di 200.000 abitanti (due Unità Operative di Psichiatria) e proponendosi come servizio specialistico integrato nelle strutture generaliste già presenti sul territorio.
Il programma si rivolge a giovani tra i 17 e 30 anni, valutati a rischio di sviluppare un disturbo psicotico o al primo episodio, al primo contatto con i servizi e comunque
con una DUP (Duration of Untreated Psychosis - durata
della psicosi non trattata) inferiore a 2 anni.
Durante la valutazione dei “soggetti a rischio”, si indaga
la presenza di segnali di disagio e sintomi sottosoglia, tra cui
sintomi affettivi (come ansia e depressione), sintomi negativi (ad esempio, difficoltà di concentrazione e attenzione, ritiro sociale), sintomatologia positiva in forma attenuata e alterazioni comportamentali; oltre al manifestarsi del disagio
psicologico e al cambiamento nel comportamento e nel funzionamento globale, nel valutare l’opportunità dell’inclusione è necessario considerare l’eventuale compresenza di fattori di rischio (come ad esempio familiarità psichiatrica,
complicanze perinatali e ostetriche, abuso di sostanze).
La fase di assessment è caratterizzata da un approccio
multimodale, necessario per effettuare una raccolta ed elaborazione delle informazioni dettagliate e complete, con
l’obiettivo di indagare tutte le aree di interesse per identi-
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ficare gli obiettivi del trattamento perché, data la variabilità del disturbo, i bisogni terapeutici e riabilitativi possono differenziarsi molto per ogni soggetto. Dal 1999 abbiamo ricevuto 350 segnalazioni; sono state effettuate 318 valutazioni, con una mirata e articolata batteria di assessment, e sono stati inclusi nel progetto 161 giovani. Attualmente sono in carico 103 soggetti, di cui 52 valutati ad
alto rischio di sviluppare il disturbo e 51 con esordio psicotico; al momento, le famiglie in carico sono 89.
Effettuata l’inclusione nel progetto, che ha una durata di
cinque anni, vengono offerte tutte le strategie d’intervento
efficaci nel ridurre le ricadute, l’instaurarsi di disabilità e/o
nel ritardare, o prevenire, l’insorgenza del disturbo stesso.
L’offerta terapeutica è individualizzata e multicomponenziale, diversificandosi nel numero, nella frequenza e
nella sequenza delle strategie d’intervento considerate ottimali e “ad hoc” per il singolo caso. Le componenti del
trattamento includono:
– psicoterapia cognitivo-comportamentale (inclusi colloqui di psicoeducazione)
– colloqui psichiatrici
– trattamento farmacologico
– intervento con le famiglie
– gruppi psicoterapeutici (competenza sociale e problem
solving, gestione dell’ansia)
– gruppi riabilitativi (sostegno allo studio e al lavoro, attività di tempo libero, gruppo alfabetizzazione informatica e inglese, cura del sé).
Per questo particolare tipo di utenza ancora molto giovane - che vive spesso in famiglia o comunque a stretto
contatto con essa - il nucleo familiare, se adeguatamente
supportato dai professionisti, può avere un ruolo ancor più
significativo nei processi di recovery. Nelle fasi iniziali del
disturbo i familiari sperimentano un senso profondo di disorientamento, preoccupazione, paura per il futuro, che
rendono ancor più imprescindibile il loro tempestivo coinvolgimento (in quanto principali caregiver) in ogni stadio
e aspetto del trattamento del paziente.
I principali obiettivi dell’intervento con le famiglie includono la costruzione di una alleanza e collaborazione attiva tra operatori e caregiver, il favorire l’adesione a lungo
termine al trattamento, la riduzione del carico oggettivo e
soggettivo, della paura dello stigma e del livello di emotività
espressa (spesso dovuti alla scarsa comprensione dei sintomi), lo sviluppo delle capacità di coping per rispondere in
modo efficace ai problemi del familiare sofferente, il potenziamento delle abilità di comunicazione all’interno del nucleo familiare, imparando a riconoscere segnali di ricaduta e
fornendo speranza nella possibilità di cambiamento.
L’intervento rivolto alla famiglia deve, quindi, avere le
seguenti caratteristiche:
– informare i familiari sul disturbo e sulle possibilità di
trattamento attraverso moduli di psicoeducazione
– apprendere abilità di gestione del congiunto (attraverso
training di problem solving e di abilità sociali)
– ridurre il carico emotivo, riducendo l’alta emotività
espressa (ipercoinvolgimento emotivo, criticismo, ostilità)
– partecipare attivamente al processo terapeutico
– prevedere interventi individuali per fronteggiare bisogni specifici.
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Il lavoro terapeutico svolto con le famiglie all’interno
del Programma 2000 può essere distinto in due fasi:
1. dal 1999 al 2006 l’intervento prevedeva un singolo incontro durante l’assessment in cui si raccoglievano le
informazioni principali sulla storia personale e clinica
del congiunto e sui bisogni della famiglia; nel contempo si utilizzavano gli strumenti standardizzati CFI
(Camberwell Family Interview) e DAS I (Disabilty Assessment Schedule). In questa prima fase del progetto
una volta effettuata la presa in carico, erano previsti tre
incontri di un’ora e mezza circa con la singola famiglia
con moduli di psicoeducazione e problem solving;
inoltre, era possibile effettuare - in qualunque momento del trattamento - ulteriori colloqui per fronteggiare
situazioni critiche qualora il paziente, la famiglia o il
terapeuta ne facessero richiesta, in modo individuale o
congiunto con il paziente stesso. In ogni caso, la famiglia veniva sempre rivista alle cadenze di assessment
stabilite. Mediamente in questo periodo - considerato
l’arco temporale di 5 anni - gli incontri per ogni famiglia sono stati 10.
2. il 2007 ha visto un importante cambiamento, dovuto alla crescente esigenza degli operatori di approfondire le
informazioni riguardo alle conoscenze dei familiari sul
disturbo e al suo impatto all’interno del nucleo familiare, arricchendo così il piano strumentale già utilizzato. Grazie ai buoni risultati ottenuti con i caregiver
coinvolti negli anni precedenti, si è deciso di implementare il numero di incontri-base di collaborazione
con la famiglia portandoli a otto, strutturando in modo
più preciso gli interventi di psicoeducazione e problem
solving e offrendo a tutte le famiglie una presa in carico più articolata e completa. Attualmente, dunque, sono previsti due incontri nella fase di valutazione: vengono somministrati, oltre alla CFI e alla DAS, il QPF
(Questionario sui Problemi Familiari), il SAT-P (Satisfaction Profile), il QESP (Questionario Economico
per l’attività clinica dei Servizi Psichiatrici) e la VCP
(Valutazione delle Conoscenze sulle Psicosi). L’offerta
terapeutica, nel primo anno, è stata organizzata in almeno 6 incontri individuali per famiglia (esclusi i colloqui di valutazione e retest), strutturati nel corso dei
dodici mesi e condotti da operatori con formazione
specifica ed esperienza nel trattamento delle famiglie.
Viene ora descritto nel dettaglio il progetto pilota, applicato nel corso degli ultimi 12 mesi ai familiari di
giovani presi in carico durante quest’ultimo anno.
Metodo
Soggetti
Nell’ambito del progetto di implementazione dell’intervento rivolto ai caregiver offerto dal Programma 2000 è stato reclutato nel giugno 2007, all’interno delle nuove segnalazioni e prese in carico da parte del servizio, un gruppo composto da diciotto soggetti ad alto rischio di sviluppare patologia psicotica o alla prima manifestazione conclamata di
malattia, di età compresa tra i 18 e i 30 anni, con le rispettive famiglie, cui è stato fornito un supporto psicoeducativo
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personalizzato ed articolato. Due soggetti si sono trasferiti altrove nel corso del trattamento, abbandonando il progetto.
Il gruppo dei pazienti è distribuito quasi a metà tra le situazioni di Esordio psicotico (n: 9) e di Rischio (n: 7). I pazienti (12 maschi, 4 femmine) sono stati valutati dal punto
di vista clinico per mezzo degli strumenti di assessment
standard per il Programma 2000 (Checklist ERIraos, HoNOS, BPRS, CBA 2.0, SAT-P, test neuro cognitivi).
Sono disponibili i dati T0 relativi ai familiari di 18 soggetti, così riassumibili: 14 soggetti ai cui familiari sono
stati forniti tutti gli incontri psicoeducativi previsti e il retest; 1 soggetto i cui familiari hanno ricevuto 4 interventi
psicoeducativi; 3 soggetti la cui situazione familiare ha
presentato oggettive difficoltà nel fornire la totalità degli
interventi (soggetti che vivono lontani dai genitori, familiari non interessati al servizio, drop-out).
Sono stati coinvolti nel percorso di empowerment 25
familiari dei pazienti: rispettivamente 14 madri, 9 padri, un
fratello e un marito.
Strumenti di valutazione
La Tabella I indica gli strumenti standardizzati utilizzati, sia in fase di assessment (T0) che nel follow-up annuali successivi. Durante i primi due colloqui con i familiari gli strumenti utilizzati sono:
Camberwell Family Interview (CFI) (31): questa intervista semistrutturata ha lo scopo di ottenere informazioni sugli eventi e sulle attività del nucleo familiare,
su atteggiamenti e sentimenti (clima familiare) nei tre
mesi antecedenti l’intervista. Si valutano l’impatto del
disturbo sulla vita familiare, il comportamento e le
emozioni espresse verso il congiunto, attraverso cinque
costrutti: criticismo, ostilità, ipercoinvolgimento emotivo, calore e commenti positivi. Viene attribuita un’alta emotività espressa anche se solo uno dei familiari ottiene uno dei seguenti risultati:
– un punteggio uguale o superiore a 6 nella scala relativa al Criticismo
– un punteggio uguale o superiore a 3 nella scala
Ipercoinvolgimento Emotivo
– presenza di un punteggio da 1 a 3 nella scala Ostilità.
Valutazione delle Conoscenze sulla Psicosi (VCP): intervista semistrutturata messa a punto dal Programma
2000 in occasione di questo progetto pilota, ispirandosi
al Manuale EPPIC Working with Families in Early Psychosis (32). Obiettivo principale è la valutazione delle
conoscenze sulla psicosi possedute dai caregiver al momento della manifestazione dei primi segnali di malattia nel loro congiunto; sono indagate le seguenti aree:
conoscenza sui disturbi mentali ed eventuali esperienze
precedenti, modello esplicativo del disturbo, conoscenza dei sintomi, aspettative rispetto alle possibili evoluzioni, informazioni sui trattamenti (psicosociali e farmacologici), capacità d’individuare fattori di rischio e
di mantenimento dei sintomi, capacità di fronteggiamento di problemi specifici e di problem solving. Somministrato separatamente a tutti i familiari coinvolti, in
colloqui individuali di circa tre quarti d’ora, questo strumento consente di definire e personalizzare ulteriormente l’intervento rivolto ai familiari, in base al loro li-
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vello di conoscenze, ai loro bisogni e alle aree individuate come carenti. La formulazione delle domande e il
loro ordine aiutano a strutturare l’intervista e vanno
considerati propedeutici all’intervento psicoeducativo,
da svolgere preferibilmente dallo stesso operatore che
ha condotto l’intervista, contemporaneamente alla somministrazione dello strumento o in un momento successivo. Spetta all’operatore dare una valutazione sui contenuti, sul livello di collaborazione del caregiver e sull’attendibilità delle informazioni raccolte.
Disability Assessment Schedule (DAS I) (33): attraverso un’intervista semistrutturata rivolta al caregiver si
valuta il comportamento e il funzionamento sociale del
paziente, nel suo contesto di vita, durante il mese antecedente il colloquio. Vengono prese in considerazione
le seguenti aree: cura di sé, attività nel tempo libero,
velocità di esecuzione, comunicazione, partecipazione
alla vita sociale e familiare, relazione affettiva, rendimento lavorativo, interessi e formazione, capacità di
fronteggiare emergenze. Il punteggio è calcolato su una
scala a 5 punti, da nessuna alla massima disfunzione.
Nel caso in cui venga decisa la presa in carico del giovane - e di conseguenza della famiglia - prima di avviare
l’intervento è previsto un ulteriore colloquio di valutazione in cui vengono utilizzati i seguenti strumenti:
Disability Assessment Schedule (DAS II) (34): viene
utilizzata la forma a 36 item, autosomministrata dal caregiver con l’obiettivo di analizzare il grado di adattamento sociale del congiunto. Si chiede di valutare il livello di difficoltà del soggetto, nel mese antecedente la
compilazione del questionario, in sei differenti aree
della vita quotidiana: capire e comunicare, spostamenti, cura personale, interagire con persone, attività quotidiane, vita sociale.
Questionario sui Problemi Familiari (QPF): questionario di autovalutazione somministrato a tutti i familiari
coinvolti, tratto dall’intervista di Platt (35), è stato tradotto in italiano e validato nel 1991 (36). Ha l’obiettivo
di indagare le difficoltà incontrate dalla famiglia nel
fronteggiare i problemi conseguenti al disturbo. È composto da 36 item che valutano nei due mesi antecedenti
la compilazione il livello di: carico oggettivo, carico
soggettivo, criticismo, aiuto ricevuto, atteggiamenti positivi, costi indiretti e carico sui figli minori. Gli item
prevedono una risposta su scala Likert a 4 punti (1-4),
secondo cui maggiore è il punteggio maggiore è la presenza di problematicità (maggior carico e criticismo,
minori atteggiamenti positivi e aiuto ricevuto).
Satisfaction Profile (SAT-P) (37): questionario autosomministrato, valuta attraverso 32 item la componente
soggettiva della qualità della vita, permettendo quindi la
rilevazione (nel mese antecedente la valutazione) del livello di soddisfazione del caregiver in diverse aree come: lavoro, funzionamento psicologico, funzionamento
fisico, funzionamento sociale e bisogni di base.
Questionario Economico per l’attività clinica dei Servizi Psichiatrici (QESP) (38): questo strumento è diviso in due sezioni, consentendo una raccolta standardizzata di informazioni di base (Scheda A: compilata an-
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nualmente) sul paziente e sul caregiver, e informazioni
sull’utilizzo delle risorse sanitarie e sul carico economico (Scheda B: revisione semestrale) conseguente al
disturbo. Vengono valutati i costi diretti e indiretti/sociali sia per il paziente che per il caregiver.
La Camberwell Family Interview e la Valutazione delle Conoscenze sulla Psicosi (VCP) sono state riproposte
come misure di esito per la valutazione dell’intervento.
Tabella I. Strumenti di valutazione con la famiglia
Retest
CFI (Camberwell Family Interview)
12 mesi
DAS I (Disability Assessment Schedule)
12 mesi
DAS II (Disability Assessment Schedule)
12 mesi
QPF (Questionario per i problemi familiari)
12 mesi
VCP (Valutazione delle Conoscenze sulla Psicosi)
12 mesi
QESP (Questionario Economico per l’attività
clinica dei Servizi Psichiatrici)
12 mesi
SAT-P (Satisfaction Profile)
12 mesi
Componenti dell’intervento
Considerata l’eterogeneità dei disturbi psicotici e le peculiarità delle fasi iniziali della malattia per sintomatologia, evoluzione, livello di adesione al trattamento, abbiamo scelto come focus dell’intervento la singola famiglia,
offrendo di conseguenza la possibilità di un supporto individuale, personalizzato, ma strutturato allo stesso tempo.
Il trattamento di gruppo, per le famiglie di giovani all’esordio, incentrato sulla psicoeducazione e il problem
solving, è stato adottato in molti programmi d’intervento
precoce, offrendo ai caregiver una significativa occasione
di coinvolgimento e confronto: alcune ricerche riportano
come i partecipanti percepissero di avere una migliore conoscenza del disagio mentale sviluppando così più adeguate capacità di coping; inoltre, le persone coinvolte in
gruppi multifamiliari riferivano di comprendere meglio il
ruolo dello stress nell’incrementare i sintomi, le possibili
cause e i fattori di rischio legati al disturbo e le possibili
strategie preventive (39, 40).
Malgrado questi incoraggianti risultati, la nostra scelta
è stata motivata dall’osservazione delle importanti differenze, sia dal punto di vista diagnostico e sintomatologico nei
pazienti in carico e, di conseguenza, dei bisogni delle famiglie di giovani con esordio o ad alto rischio di psicosi; pertanto l’attuale intervento individuale ci consente di offrire
un supporto più mirato alle peculiarità di ogni singolo caso.
Tutti gli incontri sono tenuti da due operatori, uno degli psicologi psicoterapeuti a orientamento cognitivo-comportamentale esperti in trattamento familiare, insieme allo
psicoterapeuta e/o allo psichiatra referenti del progetto terapeutico del paziente.
Come sottolineato precedentemente, durante il primo
anno d’intervento si effettuano almeno 8 incontri; negli anni successivi, oltre al colloquio di retest annuale, l’équipe
è disponibile a effettuare incontri ulteriori, sia a richiamo
di quelli precedenti, sia per supportare e aiutare i membri
della famiglia nella gestione di problemi specifici.
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Tabella II. Componenti dell’intervento psicoeducativo per i caregiver
Nella Tabella II sono illustrati i passi dell’intervento,
considerando l’arco di tempo di un anno, dopo l’inserimento nel Programma 2000.
1) Entro una settimana dalla segnalazione inizia l’assessment con i caregiver, contemporaneamente a quello
del paziente; nel primo colloquio, oltre alla raccolta
delle informazioni, si effettuano la Camberwell Family Interview e il DAS I.
2) Decisa l’opportunità della presa in carico, segue un
secondo incontro di valutazione in cui vengono utilizzate le interviste Valutazione delle Conoscenze sulla Psicosi, la QESP e somministrati i seguenti questionari: QPF, DAS II e SAT-P.
3-4) Durante il secondo mese si esegue l’intervento psicoeducativo, articolato in due distinti incontri: nel
primo si forniscono le informazioni generali sul disturbo, mentre nel secondo - tenuto dallo psichiatra le conoscenze di base sulla farmacoterapia. Fondamentale per l’aderenza al trattamento è anche la valutazione delle convinzioni e interpretazioni che i
membri della famiglia hanno rispetto al disturbo del
congiunto: attraverso la presentazione del modello
vulnerabilità-stress si deve infine giungere a un modello esplicativo condiviso dai curanti e dalla famiglia stessa. I contenuti dell’intervento, sintetizzati
nella Tabella III, sono presentati in modo chiaro e
Tabella III. Contenuti della psicoeducazione
Contenuti della psicoeducazione sul disturbo
•
•
•
•
•
•
•
•
Che cos’è un disturbo psicotico
Sintomatologia principale: sintomi positivi e sintomi negativi
Cause del disturbo: presentazione del modello vulnerabilità-stress
Possibili evoluzioni del disturbo
Segnali di ricaduta
Fattori e comportamenti a rischio per le ricadute
Terapia farmacologica: efficacia e modalità di assunzione, effetti collaterali e strategie per superarli
Ruolo della famiglia come fattore di protezione
Contenuti della psicoeducazione farmacologica
•
•
•
•
•
Che cos’è uno psicofarmaco
sintomi positivi e sintomi negativi: ruolo del farmaco
efficacia e modalità di assunzione
effetti collaterali e strategie per superarli
Ruolo della famiglia come fattore di aumento della compliance
Contenuti della psicoeducazione alle abilità sociali e alla comunicazione
• esprimere sentimenti piacevoli: mantenere il contatto oculare, tono di voce e mimica adeguata alla comunicazione; spiegare cosa è piaciuto
del comportamento e cosa si è provato. Spesso le affermazioni di lode e approvazione sono scarse o addirittura nulle (contro la frequente
presenza di frasi ostili e colpevolizzanti): utilizzare anche gli apprezzamenti consente di ridurre la tensione e creare un clima di sostegno
• esprimere sentimenti negativi (critiche): mantenere il contatto oculare e utilizzare un tono di voce fermo ma gentile; dire cosa non è piaciuto
del comportamento e che emozioni ha suscitato; suggerire un comportamento alternativo mettendone in evidenza i vantaggi
• fare richieste: utilizzare aspetti non verbali adeguati alla comunicazione; spiegare in modo chiaro cosa si desidera che l’altro faccia,
suggerendo i possibili vantaggi e le emozioni che provocherebbe nel familiare
• ascolto attivo: mantenere il contatto oculare, ascoltare con attenzione il congiunto evitando le distrazioni, porre domande di chiarimento
(se possibile di tipo aperto), restituire all’interlocutore ciò che si compreso per verificare se corrisponde a ciò che l’altro intendeva comunicare.
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comprensibile, con un adattamento alla tipologia del- trattamento; in questa fase è importante, per i familiari
la famiglia e ai problemi del congiunto.
coinvolti, comprendere la necessità d’intervenire in una fa5) Il quinto incontro, solitamente effettuato nel terzo se precoce del disturbo e la possibilità, attraverso un’aziomese, è volto a correggere modelli disfunzionali di ne efficace, di prevenire l’esacerbazione e la cronicità dei
comunicazione che possono ostacolare gli sforzi tera- sintomi.
peutici e contribuire all’esacerbazione dei sintomi;
Le figure 1 e 2 presentano i risultati conseguiti meobiettivo è l’apprendimento di una comunicazione ef- diante la valutazione della Emotività Espressa al T0 delficace/assertiva per ridurre il livello di stress all’inter- l’intero campione dei familiari caregiver di pazienti valuno del nucleo familiare, e conseguentemente influen- tati alla presa in carico dal Programma 2000 (n=191).
zare in modo positivo anche l’emotività espressa. In
I risultati ricavati dalla Valutazione delle Conoscenze
particolare, vengono valutate ed esercitate le seguen- sulla Psicosi (VCP) relativi al gruppo di soggetti che hanti abilità di comunicazione: esprimere sentimenti (ne- no concluso l’intervento (8 incontri; 12 mesi) sono illugativi e positivi), fare richieste, sviluppare l’ascolto strate in tabella IV mentre la tabella V illustra le variazioattivo (Tab. III).
ni di appartenenza alla categoria Alta / Bassa Emotività
6-7) Il sesto e settimo colloquio (nel sesto e nono mese) si Espressa.
caratterizzano per l’apprendimento del metodo
in 6 tappe del problem solving (41), allo scopo di
migliorare le capacità dei
caregiver nella gestione
dei problemi conseguenti
al disturbo (come ad esempio: assunzione della terapia farmacologica, fronteggiamento degli effetti
collaterali, gestione dei
sintomi positivi e negativi)
e, più in generale, legati
alla vita quotidiana.
8) Retest e monitoraggio.
Questa nuova strutturazione
dell’intervento con i caregiver
necessita di uno sforzo organizzativo aggiuntivo che arricchisce quantitativamente e qualitativamente la precedente offerta Figura 1. Alta e Bassa Emotività Espressa (EE) al T0, riscontrata nei familiari del
Programma 2000 (n=191)
terapeutica; non deve tuttavia
considerarsi rigida, poiché viene adattata ai bisogni e alle esigenze delle singole famiglie, in
considerazione delle diverse
evoluzioni del disturbo e degli
specifici e individualizzati percorsi di trattamento.
Risultati
La psicoeducazione è un intervento che mira a facilitare
l’adesione a lungo termine al
trattamento (soprattutto farmacologico) e a ridurre il criticismo spesso dovuto alla scarsa
comprensione dei sintomi da
parte dei familiari. Uno degli
interventi principali si basa sull’informazione sistematica relativa ai disturbi mentali e al loro
Figura 2. Distribuzione in percentuale dei costrutti critici della Emotività Espressa (EE) nei
familiari ad alta EE (n=60)
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Tabella IV. Conoscenze sulla psicosi espresse dai caregiver attraverso la Valutazione delle Conoscenze sulla Psicosi (VCP).
Percentuali osservate al T0 e a 12 mesi (T1)
Tabella V. Distribuzione delle categorie di EE nei 25
familiari coinvolti nel progetto di empowerment.
Valutazione al T0 e a 12 mesi (T1)
CFI
(Camberwell
Family
Interview)
T0
T1
LEE (Bassa Emotività
Espressa)
55%
68%
HEE (Alta Emotività
Espressa)
45%
32%
Conclusioni
La famiglia può giocare un ruolo importante nella remissione dalla psicosi, se supportata e aiutata dai professionisti della salute mentale nel superare la paura, l’angoscia e la rabbia legate alla malattia del congiunto, spesso
estremamente acute e devastanti nelle prime sconcertanti
fasi della malattia. I familiari di giovani al primo episodio
sperimentano marcati stati depressivi, isolamento sociale e
scarse abilità di coping: uno degli obiettivi principali dell’intervento deve essere la riduzione dello stress e del carico oggettivo e soggettivo dei membri della famiglia, migliorandone il benessere psicofisico e la qualità della vita.
È opportuno che il coinvolgimento della famiglia nel percorso terapeutico avvenga quanto più precocemente possibile
e va considerato come una parte imprescindibile di ogni fase
e aspetto dell’intervento con i pazienti all’esordio psicotico.
Questa azione di empowerment nei riguardi dei familiari
è ormai sempre più riconosciuta nelle raccomandazioni emanate in ambito legislativo sanitario. Le linee guida dell’American Psychiatric Association (42) includono, tra i trattamenti
consigliati nella fase di stabilizzazione della malattia dopo
l’esordio, quelli psicoeducativi familiari; le recentissime Linee Guida Italiane sugli interventi precoci nella Schizofrenia
(43) raccomandano fortemente, nei riguardi dei singoli nuclei
familiari di persone al primo episodio psicotico, trattamenti di
tipo psicoeducativo e training di competenza sociale.
Le Royal Australian Guidelines (44) riportano: “La famiglia rappresenta il maggior sistema di supporto per molti pazienti. I familiari non solo possono costituire i caregiver principali, ma devono anche affrontare le ricadute sociali e psicologiche in seguito all’esordio del disturbo e lungo il suo decorso. Laddove possibile e opportuno, i membri
della famiglia devono essere coinvolti nel trattamento”.
L’intervento familiare al Programma 2000 risponde in
modo preciso alle indicazioni offerte dalla letteratura, offrendo un ambiente accogliente e supportante dove elaborare l’esperienza, spesso terrorizzante, della malattia del congiunto
e poter migliorare le proprie capacità di fronteggiamento.
Quasi tutte le famiglie dei pazienti inseriti sono state
coinvolte nel trattamento, fatta eccezione per quei giovani
che hanno espresso in modo deciso un rifiuto in tal senso.
Sia per le famiglie di pazienti a rischio che con esordio
i risultati dell’assessment sono simili: la metà circa dei due
gruppi presenta alla CFI alta emotività espressa soprattutto per ipercoinvolgimento emotivo. Questo dato suggerisce una grande preoccupazione per il futuro nei familiari,
senza ancora l’instaurarsi di criticismo e/o ostilità (maggiormente riscontrabili nelle famiglie di pazienti cronici).
La nuova strutturazione dell’intervento familiare, con
l’ausilio degli strumenti valutativi recentemente introdotti,
consentirà in futuro di osservare con maggiore precisione
diversi aspetti legati a ruolo e comportamento dei caregiver,
come ad esempio: rapporto tra durata della malattia/psicosi
non trattata e emotività espressa, qualità della vita dei familiari e emotività espressa, cambiamento (dopo l’intervento) nelle conoscenze e competenze, emotività espressa e
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andamento clinico dei pazienti. In ogni caso, i dati disponibili ad oggi supportano l’impegno portato avanti dal Programma 2000, motivando gli operatori a continuare nella
direzione di offrire trattamenti tempestivi e multicomponenziali, della prevenzione secondaria e della costruzione
della speranza verso il cambiamento. Malgrado siano necessarie ulteriori ricerche che stabiliscano in modo chiaro
l’incidenza del lavoro con le famiglie, gli attuali risultati incoraggiano i professionisti della salute mentale a definire
programmi di trattamento multicomponenziale rivolti ai caregiver di giovani nelle fasi di esordio psicotico.
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