IL COLLEGIO DI ROMA composto dai Signori

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IL COLLEGIO DI ROMA composto dai Signori
Decisione N. 4953 del 30 settembre 2013
IL COLLEGIO DI ROMA
composto dai Signori:
Dott. Giuseppe Marziale
Presidente
Avv. Bruno De Carolis
Membro designato dalla Banca d'Italia
Dott.ssa Claudia Rossi
Membro designato dalla Banca d'Italia
[Estensore]
Avv. Michele Maccarone
Membro
designato
Bancario e Finanziario
Prof. Avv. Maddalena Rabitti
Membro designato dal C.N.C.U.
dal
Conciliatore
nella seduta del 7/06/2012, dopo aver esaminato
x il ricorso e la documentazione allegata;
x le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione;
x la relazione istruttoria della Segreteria tecnica.
Fatto
La controversia attiene ad un mutuo fondiario a 15 anni di originari
135.000 euro accordato dalla banca convenuta al ricorrente il 5.10.2009. Il mutuo
è assistito da garanzia ipotecaria nonché dalla fideiussione della moglie del
ricorrente medesimo. Il contratto prevede l’addebito in via automatica sul conto
corrente intestato al ricorrente e in essere presso la banca medesima delle rate
mensili di ammortamento del prestito di 1.077,53 euro, ciascuna, comprensive di
capitale e interessi.
Il 17 agosto 2012 la banca convenuta notificava al ricorrente e alla
moglie, nella sua qualità di prestatrice della fideiussione, la decadenza dal
beneficio del termine a seguito del mancato pagamento di due rate Pag. 2/7
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rispettivamente scadenti il 30 giugno e il 31 luglio 2012- invocando a tal fine l’art.
10 delle condizioni generali di contratto.
L’atto veniva impugnato dai due coniugi con una nota del 4.9.2012 nella
quale essi riaffermavano il proprio interesse a mantenere in vita il contratto, stante
anche la piena disponibilità della datrice della fideiussione a provvedere al
pagamento delle rate mensili del prestito alle condizioni contrattualmente
convenute. Nell’occasione il comportamento della banca veniva contestato anche
con riferimento alle circostanze del mancato pagamento della prima delle due rate
menzionate: in particolare, il 30.6.2012 coincideva con un giorno non lavorativo e
la banca aveva mancato di utilizzare la provvista sollecitamente ricostituita dal
ricorrente con un versamento in contante effettuato il 2.7.2012, giorno lavorativo
immediatamente successivo alla scadenza.
Non avendo ottenuto risposta nonostante un incontro intervenuto con il
titolare della locale agenzia bancaria, il 14.2.2013 il ricorrente ha adito l’ABF per il
riconoscimento della legittimità della richiesta avanzata dalla datrice di
fideiussione di far fronte al pagamento delle rate del mutuo, così mantenendo in
vita il prestito in questione.
Nelle controdeduzioni del 19.3.2013 la banca resistente chiede il rigetto
delle richieste avanzate. Asserisce, a tal fine, la correttezza della decisione assunta e comunicata al ricorrente con la citata nota del 17.8.2012- di “procedere
con la risoluzione del contratto e la decadenza del beneficio del termine” in
considerazione delle motivazioni esposte nella medesima nota: vale a dire, il
mancato pagamento delle menzionate rate. Sottolinea l’intermediario, per un
verso, che il contratto stipulato tra le parti stabilisce all’art. 7 che in caso di
coincidenza della data di scadenza con un giorno non lavorativo il corrispondente
addebito avverrà il giorno lavorativo immediatamente precedente (peraltro, con la
valuta del giorno di scadenza) e, per altro verso, che la procedura avrebbe
automaticamente addebitato l’importo in questione, maggiorato degli interessi di
mora, alla scadenza successiva, insieme alla rata in regolare scadenza,
subordinatamente all’esistenza dei fondi necessari. Nella fattispecie, a fine luglio
2012 il conto corrente del cliente non avrebbe presentato fondi sufficienti, sia per
un addebito intervenuto con riferimento all’utilizzo di una carta di credito sia per
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asserite ulteriori circostanze che l’intermediario non ha peraltro ritenuto di
precisare.
Diritto
1 - Il mancato pagamento delle rate di giugno e di luglio 2012, da parte
del ricorrente, non è controverso. Ed è del pari incontroverso che la resistente,
prendendo atto di ciò, lo ha invitato, con raccomandata del 17 agosto 2012, al
rientro entro 15 giorni dalla propria esposizione debitoria.
Nelle controdeduzioni la resistente ha ribadito la propria opposizione
all’accoglimento della richiesta, avanzata dal ricorrente, di poter proseguire il
pagamento delle rate del mutuo “nei termini e alle condizioni contrattuali”,
mantenendo in essere il relativo rapporto, ed ha precisato di aver inteso
procedere, con la citata raccomandata, sia alla “risoluzione del contratto” che “alla
decadenza del beneficio del termine”.
2 - La legittimità del comportamento della resistente deve essere
pertanto verificata sotto entrambi i profili.
La risoluzione per inadempimento e la decadenza dal benficio del
termine, pur tendendo, dal punto di vista empirico, ad un medesimo risultato
(quello della anticipata restituzione al creditore di quanto dovuto dal debitore),
sono tuttavia disciplinate dalla legge in modo ben differenziato.
La risoluzione presuppone, infatti, un “inadempimento” di non scarsa
importanza direttamante o indirettamente (art. 1228 c.c.) imputabile al debitore
(artt. 1453 e 1455 c.c.). La decadenza dal beneficio del termine ha invece a
fondamento il sopravvenire di situazioni, non necessariamente riferibili ad un
comportamento del debitore (art. 1186 c.c.), idonee a mettere in pericolo
l’adempimento della prestazione e tali, pertanto, da far ritenere pregiudizievole,
per il creditore, l’attesa della scadenza del termine. Ne deriva che – secondo la
disciplina delineata dal legislatore - situazioni potenzialmente pregiudizievoli per il
creditore (ad es. protesto, decreto ingiuntivo, iscrizione di ipoteca giudiziale),
dovuti al caso o a forza maggiore o comunque non imputabili al debitore, possono
giustificare il ricorso (non alla risoluzione, ma) alla decadenza dal beneficio del
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termine. E che, per contro, le inadempienze del debitore possono dar luogo,oltre
che alla risoluzione del contratto, anche alla decadenza dal beneficio del termine
solo nel caso in cui siano indice di “insolvenza” del debitore medesimo o
comunque di situazioni idonee ad accentuare il rischio che il creditore resti
insoddisfatto.
3 – La risoluzione del contratto di mutuo fondiario, nel cui ambito si
colloca quello oggetto della presente controversia, è specificamente disciplinata
dall’art. 40, comma 2, T.U.B. Questa disposizione rappresenta la tappa finale di
una lenta evoluzione diretta ad assicurare agli interessi del mutuatario una tutela
più adeguata di quella a suo tempo accordata dall’art. 39, r.d. 16 luglio 1905, n.
646, il quale prevedeva che nei contratti di credito fondiario dovesse intendersi
stipulata “la condizione risolutiva in caso di ritardato pagamento anche duna sola
parte del credito scaduto”. Ciò porta ad escludere che tale disposizione possa
essere derogata in senso più sfavorevole per il mutuatario. In tal senso si è
espressa anche la Banca d’Italia, la quale ha negato che le parti possano
“disciplinare … la materia del ritardato o mancato pagamento in deroga a quanto [
da essa] previsto” (Comunicazione febbraio, 1994, Chiarimenti sul Testo unico,
d.lg. n. 385/93).
La norma in esame, premesso che la banca “può invocare come causa
di risoluzione del contratto il ritardato pagamento quando lo stesso si sia verificato
almeno sette volte, anche non consecutive”, precisa che “costituisce ritardato
pagamento quello effettuato tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla
scadenza della rata”. La sua forrmulazione rende pertanto evidente che, ai fini
della risoluzione del contratto, gli estremi del “mancato pagamento” di una rata del
mutuo, possono ritenersi realizzati solo quando siano decorsi oltre 180 giorni dalla
data di scadenza.
Ne deriva che il 17 agosto 2012, quando la resistente afferma di essersi
avvalsa della risoluzione, tali presupposti non si erano ancora realizzati: a quella
data, infatti, erano decorsi dalla scadenza delle due rate, rispettivamente, solo 49
e 17 giorni.
L’art.40, comma 2,
TUB, come si è precisato, non è derogabile
dall’autonomia privata in senso meno favorevole per il mutuatario e deve quindi
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ritenersi privo di effetto il rinvio a clausole del contratto e del Capitolato delle
condizioni generali con essa contrastanti. Tale disposizione, inoltre, va ritenuta
prevalente, per il principio di specialità, rispetto alla disciplina dettata in via
generale per tutti i contratti dagli artt. 1453 ss. e, con riferimento al contratto di
mutuo,
dall’art.1819 (la cui applicabilità al mutuo oneroso è, oltretutto, assai
dubbia: Cass. 1861/95) e dall’art. 1820 c.c.
E’ da escludersi, pertanto, che, in quella data, il contratto potesse
ritenersi risolto.
3.1 - A conclusioni non diverse deve giungersi per la decadenza dal
beneficio del termine. Come si è già osservato, essa trova il suo presupposto
nell’insorgere, in pendenza del termine, di situazioni che accentuano il rischio della
mancata esecuzione, alla scadenza, della prestazione dovuta. A tal fine può
assumere rilievo anche il mancato adempimento del debitore; il quale va tuttavia
preso in considerazione, non in sé, ma quale sintomo di un inadempimento futuro,
la cui previsione fa ritenere opportuno autorizzare il creditore ad esigere la
prestazione prima che il termine abbia compiuto interamente il suo corso.
La decadenza dal beneficio del termine si verifica, secondo quanto
previsto dall’art. 1186 c.c, ,”se il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito, per
fatto proprio, le garanzie che aveva date o non ha concesso le garanzie che aveva
promesse”.
L’art. 10 del Capitolato dei patti e delle condizioni generali allegate al
contratto individua, a sua volta, quale causa di decadenza dal benficio del termine
della parte mutuataria, oltre quelle specificamente contemplate dalla disposizione
appena richiamata, “qualsiasi situazione da cui derivi o possa derivare, a
insindacabile giudizio della banca …, l’impossibilità o l’incapacità della parte
mutuataria ad adempiere totalmente o parzialmente le obbligazioni assunte”.
Pur dovendo riconoscersi che il citato art. 1186 c.c può essere derogato
dalle parti (Cass. 9 novembre 1994, n. 9307), appare evidente, a giudizio del
Collegio, che una clausola così formulata, prevedendo in favore di una sola delle
parti de rapporto la possibilità di sottrarsi, a propria discrezione, all’osservanza dei
termini stabiliti in favore dell’altra parte, determini una situazione di significativo
squilibrio tra le parti e debba essere quindi ritenuta “vessatoria” e, in quanto tale,
priva di effetto (artt. 33 e 36, d.lgs., 6 settembre 2005, n. 206).
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E’ comunque decisivo che, nella citata raccomandata del 17 agosto
2012, la resistente si è limitata a dedurre il mancato pagamento, alla scadenza,
delle rate dei mesi di giugno e di luglio 2012, senza fare il benché minimo cenno al
valore sintomatico di tali comportamenti. Non vi è dubbio, invero, che una
deduzione siffatta sia certamente inidonea a giustificare la decadenza dal
beneficio del termine, in quanto, come si è posto in rilevo, il prodursi di tale effetto,
presuppone, nel nostro ordinamento, la presenza di “evidenti segni premonitori” di
un inadempimento futuro idonei a segnalare che il debitore non è meritevole della
dilazione a suo tempo concessagli.
4. – Nel caso specie, pertanto, non ricorrevano neppure i presupposti i
presupposti .per ritenere il debitore decaduto dal beneficio del termine. E deve
conseguentemente essere riconosciuto, in accoglimento del ricorso, il diritto del
ricorrente al pagamento delle rate residue del mutuo nei termini e alle condizioni
previste dal contratto.
.
P.Q.M.
Il Collegio accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione.
Dispone inoltre che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la
somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della
procedura e al ricorrente di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della
somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
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