I mattini grigi della tolleranza

Transcript

I mattini grigi della tolleranza
I mattini grigi della tolleranza
MICHEL FOUCAULT
[pubblicato su “aut aut”, 345, gennaio-marzo 2010, pp. 55-59]
Questo breve testo di Foucault dedicato a Comizi d’amore e apparso in “Le Monde” del 23
marzo 1977 è solo apparentemente una tardiva recensione cinematografica del filmdocumentario girato da Pasolini nel 1963. È piuttosto una riflessione sul tipo di approccio
che Pasolini aveva scelto per indagare criticamente il mutamento dei costumi sessuali in
Italia, cui segue un rilancio filosofico su quello che Foucault chiama “regime della
tolleranza”. Pasolini, infatti, avrebbe registrato non tanto i contrasti prodotti dall’avanzare
della modernità in un’Italia ancora legata al suo passato contadino e popolare, tra
l’affrancamento dei costumi e le permanenze della morale cattolica, quanto il prendere
forma di una diversa esperienza della sessualità che mette in gioco contemporaneamente
maggiori libertà individuali e maggiore controllo. Sotto questo profilo, il film di Pasolini
rappresenta agli occhi di Foucault un documento etnografico che appartiene a un periodo di
transizione. Rispetto alle nostalgiche immagini bianco-e-nero che dipingono i presunti
avanzamenti di un’Italia anni sessanta approdata da poco al consumismo, Foucault indica
con rapidità e inquietudine le zone grigie di una tardiva modernità e individua seccamente
sia il movimento del quadrillage sociale esercitato da un potere sempre più anonimo e
orizzontale, sia gli indizi delle forme nascenti di resistenza e di opposizione (non deve
sfuggire il richiamo all’attualità presente nell’ultima riga del testo, là dove si evoca la
contestazione bolognese del 1977). Ma il tema più scottante, articolato negli ultimi densi
paragrafi dello scritto, è certamente il nesso eros-gioventù-democrazia, che avrebbe
conosciuto importanti sviluppi nella successiva riflessione foucaultiana. In effetti, ciò che
interessa Foucault – e che ritrova in Pasolini, pur mantenendo curiosamente il riserbo sulla
questione gay – è “la grande saga dei giovani”, rispetto alla quale i potenti strumenti delle
scienze dell’uomo hanno progressivamente guadagnato precisione nel classificare e nel
categorizzare, le tecniche politiche del controllo si sono sempre più raffinate nello
scandagliare-controllare-reprimere, le strategie di marketing si sono fatte più aggressive nel
plasmare immaginari e desideri: verso questa gioventù, divenuta punto di applicazione del
M. Foucault, Les matins grises de la tolérance, “Le Monde”, 23 marzo 1977, p. 24, ora in Dits et écrits,
Gallimard, Paris 2001, vol. II, pp. 269-271.
1
potere, il potere stesso denuncia per contrasto la sua diffidenza. Il discorso di Foucault
appare oggi a sua volta figlio di una stagione di lotte che si è conclusa lasciando dietro di sé
una lunga onda di riflusso che non accenna a scemare, ma pare ricevere maggiore forza
dalle contraddizioni del mondo globale. Da un lato, il nesso sessualità-potere si è
riconfigurato nelle forme – fortemente mediatizzate – della teatralizzazione dell’osceno e
della spettacolarizzazione del privato se non addirittura dell’intimo, al punto che i mattini
grigi della tolleranza paiono aver precorso un’epoca notturna di godimento eccessivo e
mortifero rappresentato alla piena luce del giorno (e c’è da chiedersi se non sia questo un
possibile sviluppo degli scenari apocalittici immaginati da Pasolini in Salò, forse più di una
biografia della nazione). Dall’altro lato, se il rapporto sessualità-potere assume nuove
configurazioni, ciò non è neutro per i destini delle democrazie, poiché le forme della nuova
razionalità economica e politica non possono che mirare alla ricostruzione eteronoma
dell’affettività, facendo sempre più presa sulla “vita”. Il biopotere ha certo bisogno della
frammentazione e della disunione (dei soggetti, dei corpi, dei desideri), ma è esso stesso che
ricostruisce funzionalmente i nessi e le relazioni. Di questa scomposizione e ricomposizione
le giovani generazioni (e in esse ciascuno per sé, consegnato alla propria solitudine) stanno
facendo, sul proprio corpo, un’esperienza drammatica e sradicante. Forse fino al punto che
l’affermazione pasoliniana secondo la quale il coito è politico, appare oggi tanto più vera
sotto il profilo diagnostico quanto effettualmente priva di rilevanza sotto quello dei costumi
e della morale sessuale. [R.K.]
Come nascono i bambini? Li porta la cicogna, da un fiore, li manda il buon dio, o arrivano
con lo zio calabrese. Guardate il volto di questi ragazzini, invece: non danno affatto
l’impressione di credere a ciò che dicono. Con sorrisi, silenzi, un tono lontano, sguardi che
fuggono a destra e sinistra, le risposte a tali domande da adulti possiedono una perfida
docilità; affermano il diritto di tenere per sé ciò che si preferisce sussurrare. Dire “la
cicogna” è un modo per prendersi gioco dei grandi, per rendergli la loro stessa moneta falsa;
è il segno ironico e impaziente del fatto che il problema non avanzerà di un solo passo, che
gli adulti sono indiscreti, che non entreranno a far parte del cerchio, e che il bambino
continuerà a raccontarsi da solo il “resto”.
Così comincia il film di Pasolini.
Enquête sur la sexualité (Inchiesta sulla sessualità) è una traduzione assai strana per
Comizi d’amore: comizi, riunioni o forse dibattiti d’amore. È il gioco millenario del
2
“banchetto”, ma a cielo aperto sulle spiagge e sui ponti, all’angolo delle strade, con bambini
che giocano a palla, con ragazzi che gironzolano, con donne che si annoiano al mare, con
prostitute che attendono il cliente su un viale, o con operai che escono dalla fabbrica. Molto
distanti dal confessionale, molto distanti anche da quelle inchieste in cui, con la garanzia
della discrezione, si indagano i segreti più intimi, queste sono delle Interviste di strada
sull’amore. Dopo tutto, la strada è la forma più spontanea di convivialità mediterranea.
Al gruppo che passeggia o prende il sole, Pasolini tende il suo microfono come di
sfuggita: a all’improvviso fa una domanda sull’“amore”, su quel terreno incerto in cui si
incrociano il sesso, la coppia, il piacere, la famiglia, il fidanzamento con i suoi costumi, la
prostituzione con le sue tariffe. Qualcuno si decide, risponde esitando un poco, prende
coraggio, parla per gli altri; si avvicinano, approvano o borbottano, le braccia sulle spalle,
volto contro volto: le risa, la tenerezza, un po’ di febbre circolano rapidamente tra quei corpi
che si ammassano o si sfiorano. Corpi che parlano di loro stessi con tanto maggior ritegno e
distanza quanto più vivo e caldo è il contatto: gli adulti parlano sovrapponendosi e
discorrono, i giovani parlano rapidamente e si intrecciano. Pasolini l’intervistatore sfuma:
Pasolini il regista guarda con le orecchie spalancate.
Non si può apprezzare il documento se ci si interessa di più a ciò che viene detto
rispetto al mistero che non viene pronunciato. Dopo il regno così lungo di quella che viene
chiamata (troppo rapidamente) morale cristiana, ci si poteva aspettare che nell’Italia di quei
primi anni sessanta ci fosse un certo qual ribollimento sessuale. Niente affatto.
Ostinatamente, le risposte sono date in termini giuridici: pro o contro il divorzio, pro o
contro il ruolo preminente del marito, pro o contro l’obbligo per le ragazze a conservare la
verginità, pro o contro la condanna degli omosessuali. Come se la società italiana dell’epoca,
tra i segreti della penitenza e le prescrizioni della legge, non avesse ancora trovato voce per
raccontare pubblicamente il sesso, come fanno oggi diffusamente i nostri media.
“Non parlano? Hanno paura di farlo”, spiega banalmente lo psicanalista Musatti,
interrogato ogni tanto da Pasolini, così come Moravia, durante la registrazione dell’inchiesta.
Ma è chiaro che Pasolini non ci crede affatto. Credo che ciò che attraversi il film non è
l’ossessione per il sesso, ma una specie di timore storico, un’esitazione premonitrice e
confusa di fronte a un regime che allora stava nascendo in Italia: quello della tolleranza. È
qui che si evidenziano le scissioni, in quella folla che tuttavia si trova d’accordo a parlare del
diritto, quando viene interrogata sull’amore. Scissioni tra uomini e donne, contadini e
cittadini, ricchi e poveri? Sì, certo, ma soprattutto quelle tra i giovani e gli altri. Questi ultimi
temono un regime che rovescerà tutti gli adattamenti, dolorosi e sottili, che avevano
3
assicurato l’ecosistema del sesso (con il divieto del divorzio che considera in modo diseguale
l’uomo e la donna, con la casa chiusa che serve da figura complementare alla famiglia, con il
prezzo della verginità e il costo del matrimonio). I giovani affrontano questo cambiamento in
modo molto diverso: non con grida di gioia, ma con una mescolanza di gravità e di
diffidenza perché sanno che esso è legato a trasformazioni economiche che rischiano assai di
rinnovare le diseguaglianze dell’età, della fortuna e dello status. In fondo, i mattini grigi
della tolleranza non incantano nessuno, e nessuno vede in essi la festa del sesso. Con
rassegnazione o furore, i vecchi si preoccupano: che fine farà il diritto? E i “giovani”, con
ostinazione, rispondono: che fine faranno i diritti, i nostri diritti?
Il film, girato quindici anni fa, può servire da punto di riferimento. Un anno dopo
Mamma Roma, Pasolini continua su ciò che diventerà, nei suoi film, la grande saga dei
giovani. Di quei giovani nei quali non vedeva affatto degli adolescenti da consegnare a
psicologi, ma la forma attuale di quella “gioventù” che le nostre società, dopo il Medioevo,
dopo Roma e la Grecia, non hanno mai saputo integrare, che hanno sempre avuto in sospetto
o hanno rifiutato, che non sono mai riuscite a sottomettere, se non facendola morire in guerra
di tanto in tanto.
E poi il 1963 era il momento in cui l’Italia era entrata da poco e rumorosamente in quel
processo di espansione-consumo-tolleranza di cui Pasolini doveva redigere il bilancio, dieci
anni dopo, nei suoi Scritti corsari. La violenza del libro dà una risposta all’inquietudine del
film.
Il 1963 era anche il momento in cui aveva inizio un po’ ovunque in Europa e negli
Stati Uniti quella messa in questione delle forme molteplici del potere, che le persone sagge
ci dicono essere “alla moda”. E sia pure! Quella “moda” rischia di rimanere in voga ancora
per un po’ di tempo, come accade in questi giorni a Bologna.
Traduzione dal francese di Raoul Kirchmayr
4