Un blog per curare i matti

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Un blog per curare i matti
«UN BLOG PER CURARE I MATTI»
Un diario su Internet per raccontare angosce e paure di chi cerca di guarire dal male oscuro.
Dodici ex malati e quattro operatori hanno realizzato il sito: «Così i pazienti escono dall’isolamento . Iniziative
come questa diventano essenziali»
(Brunella Giovara - La Stampa - 8 febbraio 2005)
Sentire questo rap: «Oggi sono storto/felice ma un po’ in corto/sono stravolto/mangio il pesce ma chi ci riesce/a
usare il pesce/passa e fai un bel tiro/e poi è un altro viaggio/sono selvaggio/ma per te è solo un assaggio/entro esco
e ti ripesco…». Vabbé, non è un rap. È un messaggio arrivato su un «blog» neonato ma destinato a grandi cose, dal
momento che « tutti siamo un po’ matti. Tutti abbiamo un lato oscuro», e quindi tutti avremmo bisogno di
partecipare a questo diario collettivo e pubblico, in fondo.
Chi parla lo fa con cognizione di causa, in quanto ex «matta» vera, che detto con parole migliori significa ex
paziente psichiatrico. Laura, che dice tranquilla «ho finito il mio percorso 14 anni fa, adesso vivo in una minicasa
con il mio compagno, anche lui ex paziente». Dice anche «almeno noi veniamo curati. Ma gli altri? Quelli matti
liberi di fare qualunque cosa? quelli sì che sono pericolosi».
Laura e gli altri, una dozzina in tutto, più quattro operatori, hanno messo su «mattiperilblog» (che troverete
l’indirizzo Internet blog.virgilio.it/mattiperilblog), battezzato ieri mattina in una delle comunità. Il perché lo spiega
lo psicoterapeuta Giampietro Savuto, presidente della Fondazione Lighea, attiva dal 1985 nella terapia e
riabilitazione di persone con disagio psichico: «Questi pazienti vivono in una condizione di grande isolamento.
Un’iniziativa come la nostra può aiutare a compiere quel percorso evolutivo che noi riteniamo essenziale nel
trattamento di queste patologie: integrare aspetti psicoterapici, riabilitativi e farmacologici, per arrivare alla
conquista di livelli adulti di autonomia».
I soci-pazienti
In questo «percorso» ci sta bene anche un blog, reso possibile dal sostegno di «Progetto Italia» della Telecom.
«Abbiamo messo a disposizione le risorse tecnologiche e creative per la costruzione di uno strumento che risponde
al bisogno di comunicare, così fortemente sentito dalle persone che devono convivere con la malattia mentale», ha
detto ieri mattina Andrea Kerbaker, amministratore delegato di Progetto Italia S.p.A.
E chi sono i soci fondatori, Dottor Savuto? «Siamo partiti con pazienti ed ex pazienti delle nostre tre comunità
milanesi. Schizofrenici, oligofrenici, persone molto malate, che presentano - o hanno presentato – aspetti paranoici
e persecutori.» Uno per anni si è considerato l’Anticristo, ma a vederlo oggi pare molto molto più sereno, ed è
anche stato immortalato in un film (“Muovitifermo”) interamente girato nelle comunità Lighea, realizzato da Fabio
Ilacqua e Roberto Pelitti, «un ritratto del disagio mentale raccontato con la pancia e dall’interno», cioè attraverso un
anno di lavoro. Tre comunità, in tre grandi appartamenti che ospitano non più di nove pazienti alla volta, «persone
che ci vengono mandate dalla Asl», spiega Savuto. Due o tre anni di permanenza, e si vive assistiti da operatori
socio sanitari per tutte le ventiquattro ore, si lavano i piatti, si fanno riunioni di gruppo e ci si sottopone alle terapie,
e adesso si chatta pure, il che è una bella soddisfazione. Uno è l’entusiasta Roberto, di 37 anni, che appena gli
rivolgi la parola racconta tutta la sua storia di un fiato, «Mi sono ammalato nel 1988, ansia e depressione. Mi hanno
ricoverato alle Betulle, e lì mi hanno consigliato la psicoterapia e la vita in comunità». Per Roberto chattare è
«bellissimo: incontri persone che raccontano la loro vita, infatti anch’io ho raccontato la mia. Perchè sai, pian piano
i problemi sono poi venuti a galla, e io li ho potuti affrontare…». Parla anche della mamma: «La vedo poco, mi è
stato consigliato così per una crescita psicologica più autonoma». Scrive Cristian che «la vera famiglia è la
comunità, perché comprende stati patologici riconoscibili nella visione dell’altro. La famiglia invece, tende a non
assorbire gli stati patologici. Quante risorse può dare la comunità per la ricrescita di uno stato perso. Quanti amici
combattenti nel dolore si assorbono nel mio cuore». Tra gli «amici combattenti nel dolore» c’è anche Letizia, che
scrive «domani parto per Arezzo, sono emozionata perché rivedo i miei genitori e i miei amici però sono in ansia
per il viaggio che dura quattro ore AIUTO spero di farcela».
Una linea tratteggiata
Chissà se ce la farà, a partire da sola per Arezzo. «La follia non è una linea continua, ma tratteggiata», dice Savuto
(uno dei suoi pazienti lo definisce in chat «l’amico insieme al filosofo del cuore, guaritore magico di maniere
comode. Esprime il mio malessere come un padre buono che ci tiene ai suoi figli. Nessun giudizio, nessuna pena,
perché Savuto è con me»). «Io non prometto di guarirli ma di vivere meglio», dice lo psicoterapeuta. I pazienti
vanno in piscina, studiano, fanno corsi, lavorano. Matteo ad esempio fa il cameriere (in un ristorante chic a Brera,
dove forse l’hanno preso per il garbo e una certa naturale eleganza). «Adesso vivo in un monolocale assieme ad un
amico che fa il cuoco nel mio ristorante. A me piace partecipare al blog. Per adesso ho fatto tre commenti, uno su
un corso di disegno che ho appena fatto». E perché sei finito in comunità? «Perché prima ero in manicomio. Due
ricoveri, di sei mesi l’uno, ma allora non avevo la cognizione del tempo, ero catatonico, non parlavo. Quei mesi mi
sembravano giorni, stavo davvero molto male».
Un viaggio per cambiare
Matteo dice che «il blog è interessante perché scritto anche da noi che ne abbiamo viste di tutti i colori». Adesso gli
hanno spiegato che «devo scrivere soprattutto cose che devono interessare anche gli altri, non solo me. Mi
sforzerò». Ma in realtà la partecipazione è libera: entro i limiti del buon gusto, si può scrivere quello che si vuole.
Infatti una scrive «Ciao! Abbiamo fatto un viaggio a Parigi con il mio fidanzato. Mi sembra che viaggiare ci renda
diversi dall’inizio del viaggio. Parti e sei in un modo e ritorni che sei diverso». Banalità, dirà qualcuno. Ma nessuno
sa quale sforzo ci sia dietro quel viaggio (e magari un giorno troverà la forza di raccontarlo) e quali pensieri, dolori,
voglie di morire, piccoli entusiasmi. Per dirla con Freud, «nella vita le emozioni sono inevitabili» (la citazione
campeggia nella sezione Emozioni).
Per dirla come il poeta del Rap, «vai bello tornatene a casa / non ci sarà polemica o risposta / ma spaghetti funk e
basta / con le buone si ottiene tutto / parliamo e poi non vedi quanti siamo».