Riassunto del dramma romano Giulio Cesare (“Julius Caesar” 1599

Transcript

Riassunto del dramma romano Giulio Cesare (“Julius Caesar” 1599
Riassunto del dramma romano
Giulio Cesare (“Julius Caesar” 1599) di William Shakespeare
ATTO I
Il celebre dramma romano si apre con la scena dei due tribuni Marullus
e Flavio, che rimproverano dei cittadini romani per via della loro cieca
fiducia in Cesare. Sono molti, infatti, nell'impero romano, che pensano
che Cesare ormai stia diventando troppo potente, arrogante, e debba
essere fermato. I due uomini rimuovono delle decorazioni dalle statue di
Cesare, nonostante a farlo mettano in pericolo la loro stessa vita. Poco
dopo, vediamo per la prima volta Cesare in scena. Che guida una
processione attraverso le strade di Roma. Un vecchio cieco tra la folla
urla a Cesare " guardati dalle idi di marzo " (il 15 di marzo), una
premonizione che cesare ignora. Cassio, anche lui tra quelli che ha paura
che cesare diventi troppo potente, inizia a convincere Bruto, persona di
cui Cesare nutre la più profonda stima e fiducia, che prende tempo e,
seppur molto titubante, promette che ci penserà. Casca un altro
cospiratore, riferisce a Bruto ulteriori informazioni sul crescente
pericolo che Cesare si trasformi in un dittatore. L'atto si chiude con
l'adesione di Casca alla causa di Bruto.
ATTO II.
Bruto non può dormire, rivelando per la prima volta le sue paure che Cesare stia diventando troppo potente.
Una lettera convince ulteriormente Bruto ad aderire alla congiura. Durante una riunione dei ribelli, questi
propongono di eliminare non solo Cesare ma anche Marco Antonio. Bruto si oppone a questa idea. Porzia, la
moglie di Bruto, preoccupata per suo marito, inizia a cercare di scoprire il motivo dei troppi pensieri di Bruto.
Calpurnia, moglie di Cesare, sveglia suo marito dopo avere avuto un incubo, e dice a Cesare che il suo sogno
pronosticava un destino funesto, e cercò di convincere Cesare di non andare al senato: anche questa seconda
premonizione verrà ignorata da Cesare. Decius Brutus va da Cesare, e questi dice che non andrà al senato, ma
per mezzo della adulazione Cesare viene convinto ad andare al senato. Artemidoro aspetta in una strada con
una lettera di avvertimento per Cesare, con la speranza di evitare la morte di Cesare. L'indovino che aveva
avvisato cesare dicendogli " guardati dagli idi di marzo " aspetta in una stretta via, anche lui sperando di riuscire
ad avvisare cesare della congiura. Decius Brutus riesce a sventare la consegna della lettera da parte di
Artemidoro. Dopo avere avuto delle premonizioni, la moglie di Cesare implora il marito di non andare in
senato, ma questi, sprezzante del pericolo: "il codardo muore molte volte in vita sua, il coraggioso, muore
quell'unica volta"
ATTO III.
Cesare tratta con disprezzo l'indovino, dicendogli che oggi sono gli idi di marzo, l'indovino risponde che la
giornata non e' ancora finita. Decius Brutus riesce a sventare la consegna della lettera da parte di Artemidoro.
Un senatore chiede a Cesare un favore politico, Cesare lo rifiuta, e i cospiratori uccidono Cesare. Marco
Antonio scappa, fingendo di trattare gli assassini di Cesare come amici. Chiede, ed ottiene, di poter parlare
alla folla al funerale di Cesare. Cassio pensa che sia pericoloso, ma Bruto non è d'accordo, permettendo così a
Marco Antonio di pronunciare uno dei discorsi più celebri della storia. Marco Antonio svela il suo odio per i
cospiratori mentre Bruto e Cassio spiegano ai cittadini romani il motivo del loro gesto, guadagnando consensi.
Al discorso del funerale Marco Antonio riesce a prendere la folla e facendo sentire loro rimorso, costringendo
Bruto e Cassio alla fuga, sotto minaccia della folla inferocita. Un poeta chiamato Cinna che ha la sola sfortuna
di portare il nome di uno dei cospiratori, viene ucciso scambiato dalla folla per uno degli assassini di Cesare.
Una prova che Shakespeare ritiene insensate le ragioni della folla.
ATTO IV
Il triumvirato (Ottaviano, Marco Antonio e Lepido) decide quali dei cospiratori moriranno e quali vivranno.
Marco Antonio assicura Ottaviano che Lepido non avrà un reale potere. I due organizzano come contrastare le
forze di Bruto e Cassio. Bruto, intanto, è furioso con Cassio, che non si sarebbe comportato lealmente, tuttavia
Bruto lo perdona. Porzia è morta, e con lei altri cento senatori, l'esercito di Antonio e Ottaviano si muove
contro Bruto e Cassio. Bruto incontra lo spirito di Cesare, che gli dà appuntamento a Filippi.
ATTO V
Nelle pianure di Filippi si incontrano i due eserciti. Le forze di Cassio vengono sopraffatte da quelle di Marco
Antonio, ma quelle di Bruto hanno la meglio su quelle di Ottaviano. Per un equivoco Cassio si uccide, Bruto
capisce che non può sottrarsi al suo destino e chiede ad alcuni soldati di ucciderlo. Nessuno lo farà, cosicché
dovrà gettarsi sulla sua stessa spada per uccidersi da sé. A differenza di Dante Alighieri, che colloca Bruto nel
peggior posto dell'inferno, Shakespeare considera Bruto l'unico cospiratore di animo nobile. Alle parole di
Antonio rendere giustizia a Bruto: "era il romano più nobile, tra tutti i cospiratori l'unico che ha agito cercando
il bene di Roma e non per invidia del grande Cesare. Egli solo si unì a loro con onestà e per il bene di tutti. La
sua vita era nobile, e gli elementi così equilibrati in lui, che la natura potrebbe ergersi e annunciare a tutto il
mondo: questo era un uomo"
Introduzione
Da sempre uno dei testi teatrali più noti per quel suo proporsi come un compendio di "vite" illustri, il Giulio Cesare apre
la fase shakespeariana delle tragedie dell'ordine e del capovolgimento dei valori costituiti. Scritta alla svolta del XVI
secolo, questa tragedia riverbera emblematicamente la crisi generale dell'universo e dell'uomo che la cultura occidentale
aveva ereditato dal mondo classico, mantenendola in vita fino a tutto il Rinascimento. Una crisi che qui è rappresentata
nel momento in cui scardina la stessa istituzione sacrale della Repubblica e con essa di una società che si voleva armonica
e da sempre preordinata. Tragedia di Cesare, quindi, e con esso dell'ordine costituito; ma anche tragedia di Bruto o
dell'ideale stesso di libertà, e con esso di un uomo e di un intellettuale distrutto dalle sue stesse virtù. E proprio perché
tale tragedia potesse cogliere i dubbi e le contraddizioni che solcano anche i momenti più alti dello spirito, essa illumina
in profondo il rapporto fallimentare fra virtù pubblica e privata, fra ingenuo, stoico eroismo e senso politico dell'azione.
Una visione straordinariamente moderna di almeno tre grandi figure politiche: Cesare, Bruto, Antonio, esaminate
nell'intreccio dei loro destini, ma anche nel segreto della loro vita interiore. Una visione che si traduce, in quel regno della
parola che è il teatro, nell'opposizione di tecniche retoriche diverse, nell'ostentazione della parola come scarno fantasma
della verità, ma anche come duttile, fascinoso strumento di cattura emotiva e di manipolazione delle coscienze. Il "Giulio
Cesare" è popolare soprattutto per il discorso di Marco Antonio sulle spoglie di Cesare (atto III, scena 2), brillante pezzo
di oratoria con cui Antonio sobilla la plebe romana contro i congiurati, proprio mentre afferma di non volerlo fare:
"Tutti / ai Lupercali avete visto che tre volte / gli offrii la corona di re, e Cesare / la rifiutò tre volte. Ambizione, questa?
/ Ma Bruto dice che era ambizioso / e di sicuro egli è uomo d'onore" .
Una parte della forza persuasiva di questa orazione deriva dall'essere gli ascoltatori consapevoli che Antonio parla su
permesso dei congiurati: egli stesso non manca di menzionare questa circostanza, suggerendo così in modo implicito che
egli vorrebbe esprimersi apertamente, ma non può, perché il neonato regime di Bruto e Cassio lo imbavaglia - e questo
avviene subito dopo il discorso in cui Bruto spiegava ai romani di aver ucciso Cesare in nome della libertà...
Tutto il "Giulio Cesare" può leggersi come un'indagine delle tragiche contraddizioni tra fini e mezzi in cui incorre chi,
battendosi per ideali di libertà e di eguaglianza, decide di (o è costretto a) ricorrere all'uso della violenza. Un altro
momento in cui viene messa in luce questa contraddizione è all'inizio dell'atto V, quando Antonio rinfaccia a Bruto (che
va fiero della propria integrità morale e della propria fedeltà agli amici) di aver assassinato Cesare a tradimento. E se
certamente il testo di Shakespeare non manifesta particolari simpatie per il partito cesariano (all'inizio del IV atto si
vedono Ottaviano e Marco Antonio - un Antonio qui molto diverso dal personaggio che comparirà in "Antonio e
Cleopatra" - spartirsi cinicamente il potere, preparandosi fra l'altro a falsificare il testamento di Cesare), si può riconoscere
un'amara necessità logica nel finale del dramma: risulta quasi ovvio che debbano alla fine prevalere i campioni della
politica "pura", priva di quegli scrupoli morali che impacciano e rendono inefficace l'azione degli idealisti come Bruto. Il
quale, però, può morire con la consapevolezza di aver vissuto degnamente e che tale sarà anche il giudizio dei posteri.
"Amici, romani, concittadini, prestatemi le vostre orecchie; sono venuto a seppellire Cesare, non a tesserne l'elogio. Il
male che gli uomini compiono si prolunga oltre la loro vita, mentre il bene viene spesso sepolto assieme alle loro ossa.".
E' Antonio che parla d'innanzi al cadavere di Giulio Cesare, rivolgendosi al popolo, in uno dei monologhi più belli della
letteratura shakespeariana e globale. Il "Giulio Cesare" di William Shakespeare è senza dubbio una delle sue tragedie più
famose: scritto tra il 1599 e il 1600 narra la più famosa congiura della storia, quella appunto organizzata dai cospiratori
Bruto, Cassio, Casca, Trebonio, Ligario, Decio, Metello Cimbro contro Cesare che verrà ucciso portando, come
conseguenza, lo scontro fra gli eserciti dei congiurati stessi e di quello dei più fedeli collaboratori del "tiranno" e cioè
Antonio, Ottaviano e Lepido, poi triumviri e capi di Roma. In una storia già conosciuta nel '600 come quella dell'assassinio
di Cesare, Shakespeare approfondisce e mette in risalto la psicologia dei personaggi in maniera magistrale, sottolineando
difetti e virtù tipici delle persone quali l'odio, la fedeltà, l'onore.
Estremamente importante nella tragedia la sfera sensoriale, in particolare quella uditiva (il clamore del popolo alla morte
di Giulio Cesare, il rumore passi dei congiurati nel giardino di Bruto, i bisbigli cospiratori fra gli assassini) e quella tattile
(i pugnali che entrano nel corpo del tiranno, le mani che si stringono fra i cospiratori, il sangue). Ci sono anche momenti
estremamente onirici, degni della mano di Omero piuttosto che di Virgilio: il presagio di Calpurnia sull'uccisione di
Cesare, il responso dell'indovino a Portia, moglie di Bruto, riferito anch'esso ad una congiura in atto, oppure quello più
bello, l'atmosfera sognante di Bruto che canta una canzone poco prima della battaglia, forse col pensiero di un'imminente
sconfitta. Un capolavoro epocale.
Riassunto
Questa tragedia fu scritta e rappresentata per la prima volta nel 1599. Giulio Cesare si reca solennemente al Senato romano
in occasione della festa dei Lupercali. Qui gli viene offerta la corona di dittatore, che egli cerimoniosamente rifiuta: ma
circolano voci insistenti di una sua prossima accettazione. Fra i senatori, non manca chi è preoccupato per il crescente
potere di Cesare. In particolare, Cassio decide di ordire una congiura e cerca di persuadere il suo amico Bruto (uomo noto
per il suo valore e la sua integrità) a parteciparvi, in nome della libertà di Roma minacciata da Cesare. All'alba, dopo una
notte insonne, Bruto incontra a casa propria Cassio e altri cinque cospiratori. Insieme decidono di assassinare Cesare il
giorno stesso: uno dei congiurati lo convincerà a recarsi al Senato. Nonostante oscuri presagi di disgrazie, Cesare si lascia
persuadere; mentre sta per entrare in Campidoglio, i congiurati lo circondano e lo pugnalano. Giunge il console Marco
Antonio (uno dei principali esponenti del partito cesariano), che si dichiara non ostile ai congiurati e chiede loro il
permesso di organizzare i funerali di Cesare e di pronunciarne l'elogio funebre. Bruto gli accorda il permesso, a condizione
che non parli contro i congiurati. Davanti alla cittadinanza, Bruto e Marco Antonio pronunciano i loro discorsi. Bruto
spiega che l'uccisione di Cesare non è stata motivata da odio o interessi personali, ma solo dall'amore per la libertà e dalla
volontà di impedire l'instaurarsi di una tirannia. Subito dopo parla Marco Antonio, il quale, con un'abile orazione e con
la lettura del testamento di Cesare (che dispone lasciti in denaro ad ogni cittadino romano), infiamma gli animi dei romani
contro i congiurati, che sono costretti a lasciare la città per evitare il linciaggio. Giunge a Roma Gaio Ottaviano, pronipote
e figlio adottivo di Cesare. Si prepara la resa dei conti fra lui e Antonio, da una parte, e i congiurati dall'altra. Mentre a
Roma i primi consolidano il loro potere mediante liste di proscrizione, in Grecia Bruto e Cassio raccolgono le loro truppe
per lo scontro finale. Lo spettro di Giulio Cesare appare nottetempo a Bruto, preannunciando vendetta. La battaglia ha
luogo a Filippi. Le truppe condotte da Bruto hanno la meglio sugli uomini di Ottaviano, ma Antonio prevale su Cassio,
che, visto tutto perduto, si suicida. Poco dopo, anche Bruto si uccide per non cadere prigioniero dei suoi nemici. Sarà
Antonio, sopraggiunto poco dopo, a rendergli l'onore delle armi e a pronunciarne l'elogio funebre.