l`Unità - 15/03/2016

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l`Unità - 15/03/2016
15.03.2016
MediaTelling
Maurizio Boldrini
Buon compleanno Tg2
Radar
Sensibile alla Cultura
Ormai le agende dei media si compongono
per molta parte di ricorrenze, di date che
ci riportano al passato. Una modalità, quella
dell’anniversario, che risulta efficace proprio nei
rapporti con l’utenza. Anni addietro Maurizio
Bettini, in un pamphlet sulla funzione dei
“classici nell’età dell’indiscrezione”, ironizzava
sul rito dell’anniversario, caro a tanti assessori
alla cultura. E a tanti media, aggiungerei. Lo
è perché le persone trovano immediatamente
naturale interessarsi a qualcosa in quanto
dista da noi un numero tondo di anni. Dopo gli
anniversari di Radio 105, de la Repubblica, del
Corsera, solo per rimanere nel nostro campo,
è la volta dei quaranta anni del Tg2, figlio
della riforma fatta un anno prima che era
destinata a cambiare il volto della Rai. Di quel
telegiornale (si chiamava “ Studio aperto”, titolo
progetto) che rompeva il monopolio del Tg1,
telegiornale, allora, estremamente istituzionale
e filo-democristiano, conserviamo un gran bel
ricordo. Soprattutto per i giornalisti che lo
scrivevano, per le maestranze che mettevamo
in onda e per i volti che lo conducevano:
Andrea Barbato (direttore), Piero Angela,
Mario Pastore e Italo Moretti (conduttori). E
altri giornalisti e giornaliste. Molti i meriti
professionali e etici, molta la voglia di rompere
con un giornalismo da sempre attento solo
ai palazzi. Stasera, martedì15 marzo, per
festeggiare, gran parte del Tg2 delle 20.30
sarà dedicata all’avvenimento. Sabato
19 marzo anche la rubrica “Tg2 Dossier”
festeggerà l’anniversario. Giusto ricordare,
festeggiare e porgere le felicitazioni. Ma
forse gli anniversari dovrebbero essere
anche l’occasione per porci delle domande:
non il Tg2, che ha i suoi grandi meriti,
ma quella riforma quali esiti ha avuto?
Enrico Menduni, in uno dei suoi saggi sulla
televisione, ricorda che quell’obbiettivo
riformatore fu mancato perché “ riformatori
ferventi si scontravano alla Rai con l’inerzia
dell’apparato interno, scettico sulla
‘riforma,’ con un cinismo da gattopardi ,
altri si dedicavano con qualche zelo a tempi
nuovi”. Aldo Grasso nella sua storia della
televisione italiana ricorda ciò che significò
il Tg2 ma dedica, nel suo stile , più attenzione
a ciò che la Rai fece in quello stesso anno: il
Sandokan, campione di share, e l’arrivo,
proprio su Rai 2, di quel mirabolante
programma che è stato “L’altra domenica”
di Arbore. Altri anniversari in vista?
Ave Cesare
(forever)
Oggi, nelle
Idi di Marzo,
riflettiamo sulla
figura poliedrica
del (vero) Divo
Giulio, l’uomo che
conquistò
il mondo e che
è sopravvissuto
al tempo e
al suo stesso mito
l’Unità
Martedì, 15 Marzo 2016
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Radar
RADIO TRE RAI
Prima Pagina compie 40 anni: stasera maxi diretta
— Stasera alle 21 in diretta dalla Sala A di
via Asiago, va in onda la serata “La Festa
di Prima Pagina. 40 anni di giornalismo
e di radio”. Quaranta anni fa, il 15 marzo
1976, nasceva la prima rassegna stampa
radiofonica. E la prima trasmissione
interattiva, anche se la parola all’epoca
era sconosciuta. Interverranno
giornalisti, direttori e inviati di
moltissimi quotidiani e periodici,
mentre ilo commento musicale è affidato
al pianoforte di Lorenzo Hengeller.
A condurre la serata il direttore di
RadioTre Rai, Marino Sinibaldi.
Idi di Marzo:
Cesare
e l’enigma
del potere
Estese il dominio della
res publica romana
fino all’oceano
Atlantico e al Reno
Un personaggio complesso e affascinante
che è egli stesso storia, sopravvissuto grazie
al “cesarismo” alla congiura del 15 marzo
D
obbiamo guardarci anche noi dalle “Idi
di marzo”? Dobbiamo ascoltare gli oscuri ammonimenti dell’aruspice Spurinna o possiamo prenderci gioco dei nefasti presagi di sciagura che sempre precedono le giornate segnate dal destino?
La mattina del 15 marzo del 44 a.C. Giulio Cesare si presenta di fronte al Senato nella sala delle assemblee del
Teatro di Pompeo. Ad attenderlo i congiurati, guidati
da Bruto e Cassio. Senza esitazione lo aggrediscono e
lo colpiscono a morte con 23 coltellate. Orrore, orrore! I
senatori sbandano e scappano terrorizzati, consapevoli di aver assistito a un evento irreparabile. Giulio Cesare si accascia esanime ai piedi della statua di Pompeo.
Le 23 coltellate modificano in modo indelebile i destini del mondo. Segnano la fine della Repubblica romana e aprono le porte all’impero dei Cesari. Bruto e Cassio non riportano l’ordine e neanche il caldo e copioso
sangue del dittatore può rianimare la virtù del ‘temporis acti’. Un atto eclatante a cui stentiamo ancora a credere.
Libertà e tirannia, nobiltà e demoLucrezia
crazia si sono incrociate in un luogo e
Ercoli
in un gesto; e da lì per sempre si sono
separate. Ecco perché la ricostruzione
del cesaricidio è riportata nei minimi dettagli da molte
fonti antiche, dalle biografie dei Cesari di Svetonio alle
Vite Parallele di Plutarco. Il tirannicidio delle Idi di marzo è un gesto allegorico il cui ricordo ancora oggi ci parla.
La congiura di Bruto e Cassio elegge a icona intramontabile la figura emblematica di Giulio Cesare, ambizioso tiranno ed eroe democratico. La forza archetipica di
questo evento esce dai libri di storia per entrare nel mondo senza tempo del mito.
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DITTATORE O INTELLETTUALE?
Il 15 marzo di ogni anno lungo la Via Sacra l’ara dove
fu arso il corpo esanime di Giulio Cesare si ricopre di
fiori e di messaggi portati spontaneamente da pellegrini provenienti da tutto il mondo come sulle tombe delle
icone pop contemporanee. Nella figura di Giulio Cesa-
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l’Unità
Martedì, 15 Marzo 2016
re, come raramente è accaduto nelle vicende del mondo
occidentale, si incarna l’enigma del potere, il suo fascino radioso e il suo esito tragico. Chiunque voglia ricostruirne la biografia si imbatte in un ineliminabile cono
d’ombra che impedisce di cogliere il profilo definitivo di
un uomo sfuggente.
Chi è allora Cesare? Colui che, giovanissimo, si commuove di fronte all’immagine di Alessandro Magno, che spera di imitarne le gesta, spinto dalla stessa ambizione e
dalla stessa irrequietezza; da quel sentimento che i greci chiamano “pothos”, il desiderio smanioso e malinconico che è destinato a rimanere insoddisfatto. Il ‘nomen
omen’, il nome cesare di origine etrusca che significa
grande. Uno dei più grandi condottieri della storia, che
opera la romanizzazione e la civilizzazione dell’Europa e del Mediterraneo, di un enorme territorio che arriva in Britannia, Germania, Spagna, Grecia, Egitto, Ponto. Il capo carismatico che in ogni battaglia condivide le
decisioni con i legionari e trasmette in tutti un’invincibile adesione alla ‘mission’.L’autore dei Commentarii, che –
persino per il suo acerrimo nemico Cicerone – «si devono
assolutamente ammirare: nudi, scarni e belli, spogliati
di qualsiasi ornamento oratorio come un corpo della sua
veste». L’uomo di rottura che spezza per sempre l’equilibrio del ‘senatus populusque romanus’. Il politico del
partito dei populares, che mette fine alla sacrale esperienza repubblicana destinando all’impotenza il glorioso Senato dell’Urbe e ponendo i fondamenti dell’impero.
Uno spietato conquistatore o un raffinato politico? Un
aristocratico ambizioso o un democratico capopopolo?
Un fine intellettuale o un crudele dittatore? Un carnefice spietato o una vittima sacrificale?
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L’AMBIGUITÀ CONTROVERSA
Il fascino che Giulio Cesare esercita ancora oggi nel mondo occidentale si cela in questa ambiguità contraddittoria. Le Idi di marzo – il giorno in cui il tiranno è abbattuto
o il giorno in cui un grande uomo viene tradito – irradiano una luce che racchiude tutti i bagliori della modernità: il gioco del potere non conosce conciliazione, si basa
sull’irriducibilità tra le parti in lotta, sulla dialettica con-
flittuale che governa la storia.Raramente un evento storico continua a dividere a distanza di secoli, Da un lato
gli ammiratori dell’individuo cosmico-storico, destinato a cambiare le sorti del mondo. Dall’altro i sostenitori
del tirannicidio, dell’atto fondante dell’occidente democratico .Dante nella Divina Commedia posiziona Cesare nel Limbo mentre i tirannicidi rimangono nei gironi
più bassi dell’Inferno, simbolo del tradimento insieme
a Giuda. Petrarca nel De virus illustribus esalta la figura
di Cesare come fondatore dell’impero romano, partecipe
della volontà della Provvidenza che diffonde il cristianesimo. Mentre il mondo rinascimentale e illuminista celebra Bruto come difensore delle istituzioni repubblicane
e attacca Cesare come tiranno. Dal Bruto michelangiolesco, nobile e altero, novello David, giustiziere di tiranni, commissionato nel 1538 dal repubblicano Giannotti
per commemorare l’omicidio di Alessandro de’ Medici da
parte di Lorenzino (detto Bruto nuovo). Al settecentesco
Bruto secondo dell’Alfieri che celebra l’ideale eroico del
singolo che si oppone al tiranno, combattuto tra affetti e
ragione di stato. Alla lista degli esegeti non si sottraggono i bonapartisti. Napoleone e suo nipote Napoleone III
rilanciano la figura del grande legislatore. Hegel vi vede
l’incarnazione dello spirito della storia; Leopardi invece compiange il Bruto sconfitto che guarda la luna zitta
di fronte al sangue sparso repubblicano.
Ma rimane Shakespeare il vero interprete del dramma
del potere che si consuma in quelle fatidiche Idi di marzo
del 44 a.C. Nel suo Giulio Cesare tratteggia la crisi dell’universo che si incarna in una tragedia umana. Il cesaricidio racchiude in se una violenza edificante, un assassinio costituente dell’Impero Romano, la messa a morte
del capro espiatorio che dovrebbe porre fine alla violenza. Ma ripropone soltanto i dubbi e le contraddizioni dei
momenti più alti dello spirito, dell’uomo moderno di fronte alla sua responsabilità. Non è forse il ‘cesarismo’ un passaggio obbligato nell’eterna transizione della società contemporanea? Sarà forse per questo che il mitico globo con
le ceneri di Cesare ha per secoli sovrastato la punta dell’obelisco egizio che domina Piazza San Pietro?
Il mito di Cesare, insomma, non muore il 15 marzo. Diviene una personalità iconica della cultura occidentale che
ha esercitato, e continua ad esercitare, un fascino ammaliatore. E se la prima volta è apparso come tragedia shakespeariana, la seconda è tornato come successo hollywoodiano .La storia di Cesare – attraverso le immagini romanzate della narrativa e del grande schermo – acquisisce una
potenza evocativa e paradigmatica ineguagliabile. E a poco
servono gli anatemi lanciati dagli storici che, dalla loro turris eburnea, tentano di negare il rilievo culturale di questi
fenomeni cinematografici e televisivi di successo.
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LETTERATURA E HOLLYWOOD
A poco servono le proteste dei puristi indignati che gridano al tradimento di fronte agli errori storici dei colossal hollywoodiani. «Tutto ciò che sappiamo su Roma l’abbiamo
imparato a Hollywood», scrive Roland Barthes. E nei suoi
Miti d’oggi si attarda nell’analisi di uno dei film che più ha
segnato il nostro immaginario sulla Roma antica: il Giu-
PINACOTECA DI BRERA
Tutte le novità del museo con le opere che iniziano a “dialogare” tra loro
Gaio Giulio Cesare fu dictator di
Roma alla fine del 49 a.C., nel 47 a.C.,
nel 46 a.C. con carica decennale e
dal 44 a.C. come dittatore perpetuo
e che saranno chiesti in prestito alle
istituzioni che li custodiscono. La
prima di queste iniziative riguarda Lo
‘Sposalizio della Vergine’ di Raffaello,
al quale viene affiancata dal 17 marzo
la tavola del Perugino con lo stesso
titolo, arrivata dal Museo di Caen.
— Nuovi programmi per la
Pinacoteca di Brera. Le opere più
importanti saranno valorizzate
attraverso mostre periodiche, in
cui saranno messe in ‘dialogo’
con altri dipinti, ai quali sono
collegate da motivi artistici o storici
Da Rabat a Londra
festa per Shakespeare
Si moltiplicano le iniziative per i 400 anni dalla
morte del Bardo. E spunta anche un inedito
S
Il corpo
dell’attore.
A sinistra
Marlon Brando
in “Giulio
Cesare” il film
del 1953 diretto
da Joseph
Mankiewicz, a
destra Jeremy
Irons nei panni
di Enrico IV in
“The Hollow
Crown”
lio Cesare del 1953 diretto da Joseph L. Mankiewicz. Un
meraviglioso adattamento cinematografico dell’omonima tragedia di Shakespeare. Con un indimenticabile
Marlon Brando nei panni di Marco Antonio.
L’analisi semiologica di Barthes ci ricorda come la molla
dello spettacolo hollywoodiano sia racchiusa nel “segno”,
nel particolare mostrato con artificiosa naturalezza. L’insegna della romanità del film di Mankiewicz, infatti, è
racchiusa in indizi riconoscibili: i romani sono romani perché hanno la frangia sulla fronte, i romani sono
romani perché sudano copiosamente. In questi sintomi
eccessivi e pretenziosi si racchiude la moralità del romano hollywoodiano.
Lo stesso sistema utilizzato oggi dai Fratelli Coen, che,
nel film Ave, Cesare!, rovesciano i “segni” cinematografici
in una parodia sarcastica sulla fabbrica delle illusioni del
cinema storico degli anni ’60. Insomma – tra storia, filosofia, teatro e cinema – che cosa dobbiamo ancora ‘guardare’ nelle Idi di marzo? Parafrasando Cicerone: «è morto Cesare, è rimasto il Cesarismo». L’inevitabile personalizzazione del potere e l’odio che tale personalizzazione
porta con sé. In una lotta politica cruenta in cui nessuna
delle parti può dichiararsi innocente. Dove il posto della
narrazione – storica, filosofica, artistica – è sovrano: l’unica che può elargire il senso morale a vicende immorali. Tornano in mente le parole di Goethe che Nietzsche
cita nel suo libello Sull’utilità e il danno della storia per la
vita: «Mi è odioso tutto ciò che mi istruisce soltanto, senza accrescere o vivificare immediatamente la mia attività». Abbiamo bisogno di storia “per la vita e per l’azione”
nella maniera opposta a quella dell’ozioso “raffinato nel
giardino del sapere” per rintracciare gli archetipi culturali e le connessioni carsiche che percorrono la contemporaneità e orientano i nostri comportamenti.
I 70 ANNI DEL PREMIO
Lo Strega lascia Valle Giulia
e si sposta all’Auditorium
per un evento in diretta tv
Sarà una “festa per tutti”, anche per chi sta a casa, quella
per il settantesimo anniversario del Premio Strega che
lascia, per l’edizione 2016, la storica sede di Villa Giulia e
si prepara a una finale speciale, più pop, all’Auditorium
Parco della Musica di Roma. La serata andrà in diretta
su Rai3 con filmati dalle Teche Rai, immagini e aneddoti
sulla storia del più prestigioso premio letterario italiano.
Un cambio dovuto principalmente a esigenze tecniche
che vede anche una modifica per quest’anno della data,
dallo storico primo giovedì del mese di luglio a venerdì
8 luglio. «Traslochiamo per questa edizione. Non c’è
nessuna idea di trasferimento permanente. Per adesso
è una tantum. L’anno prossimo per la 71/ma edizione
tutto dovrebbe riprendere il normale corso» dice
all’Ansa Giuseppe D’Avino, amministratore delegato
della Fondazione Strega Alberti, che ha da pochi giorni
firmato l’accordo con l’Auditorium.. E direttore della
Fondazione Bellonci,
Stefano Petrocchi aggiunge: «Ci sarà la competizione
ma anche il racconto di questi 70 anni e per questo ci
vogliono strutture tecniche. Quest’anno quello che
vedranno i telespettatori a casa coinciderà con quello
che potranno apprezzare gli spettatori in platea. Sarà
una festa per tutti. Un evento - dice Petrocchi - più
televisivo».
arà perché quest’anno ricorre il quarto centenario della morte di William
Shakespeare. Sarà perché le opere del
drammaturgo e poeta inglese sono
universali. Sta di fatto che ieri, al teatro Mohammed V di Rabat, è stato rappresentato per
la prima volta Amleto. Una prima assoluta per
tutto il Marocco che dal 1603, anno in cui il
dramma fu pubblicato, non ha mai messo in
scena l’opera più conosciuta del Bardo. E chissà che effetto ha fatto la storia del principe danese spinto
dal fantasma del padre a ven- Gina
dicare la morte del genitore, Turone
ucciso dal fratello, che poi ne
ha usurpato il trono e sposato
la vedova. «Essere o non essere», il celebre soliloquio con il teschio in mano, che rappresenta
il passaggio più famoso del dramma, con ogni
probabilità, ha sicuramente lasciato di stucco il pubblico, almeno quello di lingua araba,
idioma per il quale il verbo “essere” non esiste nemmeno. Il Marocco è stato sfiorato da
Shakespeare solo nel 1951, quando Orson Welles girò tra El Jadida e Essaouira alcune scene del suo Otello, poi premiato a Cannes. Ma
il pubblico marocchino
quasi non se ne accorse.
A compiere il miracolo
di questa prima rappresentazione è la troupe teatrale del Globe, il palco londinese dove recitò la compagnia di William Shakespeare. Da
due anni in tournée in
tutto il mondo, ha fatto tappa anche a Rabat,
ennesima rappresentazione tra le migliaia assicurate in oltre 100 paesi dei cinque continenti, per un totale che sfiora i 100mila spettatori.
E si moltiplicano, ovviamente, le iniziative In vista dei 400 anni dalla morte del Bardo, il 23 aprile, Sky Arte HD (120 e 400 di Sky)
presenta in prima visione “Inseguendo Shakespeare”, nuova serie Bbc sul più grande drammaturgo di tutti i tempi, in onda ogni lunedì
alle 21.10. Per sei settimane, sei professionisti
dell’arte drammatica come Joely Richardson,
Ethan Hawke, David Tennant, Derek Jacobi,
Trevor Nunn e Jeremy Irons andranno alla
ricerca della verità su Shakespeare, svelando
i segreti che si celano dietro alle sue più famose
opere, da La Tempesta all’Amleto passando per
Macbeth e Riccardo II. In ogni puntata si combinano storia, biografia, performance teatrali e passione. A inaugurare la serie è stata ieri
sera l’attrice Joely Richardson che ha raccontato i segreti di due commedie, La Dodicesima
Notte e Come Vi Piace, di cui sono stati proposti spezzoni di film e rappresentazioni teatrali. Tra le curiosità, le trovate shakespeariane
per aggirare il problema dei personaggi femminili che non potevano all’epoca essere interpretati da donne.
Anche Napoli si prepara a celebrare il drammaturgo: sono ben 20 gli appuntamenti programmati dal teatro di San Carlo Alle recite
del Falstaff firmato da Luca Ronconi, l’opera di Giuseppe Verdi il cui libretto è ispirato a
Le allegre comari di Windsor e all’Enrico IV, e
alle rappresentazioni del balletto Romeo e Giulietta, si affiancano le versioni per bambini e
family del Falstaff, conferenze e percorsi didattici a partire dal mese prossimo.
E intanto torna alla luce in Gran Bretagna
un’opera dimenticata di Shakespeare per
anni creduta una ‘bufala’. Era il 1727 - riporta
il quotidiano spagnolo El Pais - quando l’impresario teatrale ed editore Lewis
Theobald presentò a Londra Double Falsehood (Doppio inganno),
un’opera pubblicizzata con grande clamore come la riedizione di
un’opera originale di Shakespeare andata perduta. Acclamata dalla stampa, cadde però in disgrazia
poco dopo. E durante quasi 300
anni l’opera è stata considerata
falsa. Ora Arden, la casa editrice
responsabile della più prestigiosa
catalogazione delle opere dell’autore britannico, riconosce che la
versione di Theobald contiene
effettivamente frammenti della
Storia di Cardenio di Shakespeare. Manoscritto andato perso tra
le fiamme di un incendio nel teatro The Globe Dieci anni di indagini coordinate da Brean Hammond, professore dell’Università di
Nottingham, hanno però permesso di riesumare l’opera che riproduce il rapporto tra Cardenio e Luscinda, due personaggi con i quali
si incrociano Don Chisciotte e Sancho Panza
nella celeberrima opera di Cervantes. Secondo Hammond nonostante alcune manipolazioni dell’editore, la mano di Shakespeare si
apprezza chiaramente nei primi due atti e in
parte del terzo dell’opera.
Su Sky sono
attori come
Jeremy Irons
e David Tennant
a raccontare
le sue opere
più celebri
l’Unità
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