IL LABIRINTO - Tavola di smeraldo

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IL LABIRINTO - Tavola di smeraldo
IL LABIRINTO
Periodico telematico di informazione culturale
Anno 2, n°6 Giugno 2009
Comitato Scientifico: Sandy Furlini, Paolo Cavalla,
Katia Somà, Roberta Bottaretto
www.volpianomedievale.it
[email protected]
IL RITO, LA CELEBRAZIONE E IL SOLSTIZIO
(a cura di Sandy Furlini)
Per migliaia di anni i nostri antenati hanno celebrato le
stagioni dell’anno con feste rituali. Si sospendevano le
attività lavorative, i prigionieri venivano liberati, i padroni
ed i servi si scambiavano ruolo. Ma la cosa più
importante è che le antiche feste stagionali
accrescevano il senso di comunione con la Terra ed il
Cielo. Il Sole, la Luna, le stelle, gli alberi e gli animali
erano tutti coinvolti nel rito: la comunità rinnovava se
stessa ed il suo rapporto con la natura.
L’uomo moderno non celebra più queste antiche feste
rituali o, se lo fa, le vive in forme irriconoscibili, come ad
esempio il Natale ed il Capodanno. Ma spesso si tratta
di pretesti commerciali e non esiste più il senso di
partecipazione all’interazione ciclica tra Terra e Cielo.
L’invito ad un ritorno agli antichi riti stagionali è più di un gesto simbolico: potrebbe essere infatti un modo per ricordare a
noi stessi il naturale ordine delle cose e darci l’opportunità di accrescere la nostra consapevolezza della natura,
impegnandoci per il suo benessere. I riti stagionali sono eventi gioiosi, coinvolgenti e vitali che ci uniscono intimamente alla
sorgente dell’essere che è in noi. Diventano occasione per danzare, cantare e permettere al fanciullo che è in ognuno di
noi di riaffiorare e mettersi a giocare; un momento in cui possiamo tornare alle semplici verità che sono raccolte nel cuore
della vita.
I Solstizi sono festività che trascendono l’ideologia religiosa: sono un semplice evento astrologico. Venivano celebrati dagli
antichi popoli di tutto il globo. I primi Cristiani hanno presto cercato di assorbire nel loro calendario liturgico le antiche feste
rituali pagane. Il Natale è stato fatto coincidere ad arte col Solstizio d’Inverno: entrambe sono feste di celebrazione della
nascita della luce e divengono la speranza nel rinnovamento del mondo. In realtà chiunque può godere dei benefici
derivanti da una rinnovata attenzione nei confronti del nostro pianeta e del suo rapporto col cosmo, che sia cristiano,
musulmano, ebreo, induista, buddista, agnostico o ateo. Infatti chiunque può esprimere la propria gratitudine per i doni
della luce e della vita. Il Solstizio non comporta la venerazione di particolari divinità, ma della vita stessa.
La parola solstizio deriva dal latino Sol stetit, che significa letteralmente
“il Sole si ferma”. Dal punto di vista dell’osservatore nell’emisfero
boreale, quello in cui ci troviamo noi, abitanti dell’Europa, il Sole sorge e
tramonta sempre più a Sud sull’orizzonte a mano a mano che si avvicina
il Solstizio d’Inverno; sorge e tramonta sempre più a Nord quando si
avvicina al Solstizio d’Estate. Questo movimento apparente del Sole
subisce accelerazioni e decelerazioni lungo il decorrere delle stagioni.
Partendo dal Solstizio d’Inverno, 21 Dicembre, il sole sorgerà da Sud-Est
verso Nord-Est con moto sempre più veloce fino a rallentare in
prossimità del 21 Giugno. Nei 4-5 giorni intorno a questa data il sole
rallenta così tanto che pare nascere sempre allo stesso punto, ed allo
stesso modo tramonta, in prossimità dello stesso luogo. Dal 24 Giugno,
ricomincia la corsa al contrario, verso Sud-Est, con analogo moto,
soffermandosi in prossimità del 21 Dicembre, per qualche giorno sempre
nello stesso punto geografico.
Il moto apparente del Sole subisce una ulteriore modificazione: da Dicembre a Giugno, a Mezzogiorno il suo punto
occupato nel cielo sarà sempre più alto, massimo proprio nel Solstizio d’estate. All’opposto, occuperà il punto con
declinazione minore durante il Solstizio d’Inverno.
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I primissimi simboli che gli uomini dell’Era Glaciale incisero sulle ossa e sulle zanne di mammut furono le annotazioni dei
cicli celesti, indicando come uno dei bisogni più pressanti dell’essere umano fosse quello di osservare e seguire i ritmi
della natura e del cosmo. Tali ritmi sono così radicati negli esseri viventi che virtualmente ogni pianta ed ogni animale
seguono un innato ciclo di attività di 24 ore, detto ciclo circadiano, ossia dal latino circa dies, “quasi un giorno”. Gli esseri
viventi mantengono i propri orologi interni sempre sincronizzati grazie, almeno in parte, alla sensibilità nei riguardi dei
minuscoli campi elettromagnetici del pianeta, campi che si spostano e cambiano con i cicli giornalieri e annuali della Terra
e secondo le posizioni del Sole e della Luna. Il nostro stesso organismo è governato da decine di questi cicli.
Ne sono un esempio la temperatura corporea o la pressione arteriosa,
parametri che in condizioni basali e fisiologiche, seguono un preciso
andamento durante l’arco delle 24 ore del giorno. La nostra risposta
allo stress varia a seconda delle ore del giorno e soprattutto delle
stagioni: più frequenti sono alcune patologie in determinati periodi
dell’anno rispetto ad altri. Tipicamente sottoposte a tali oscillazioni sono
le alterazioni del tono dell’umore e la patologia ulcerativa gastroduodenale. Gli animali seguono particolari schemi stagionali di
accoppiamento, letargo e migrazione: la scelta del momento giusto
dipende dalle variazioni stagionali della luce solare. Oggi purtroppo
l’uomo tecnologico ha sovvertito totalmente i ritmi naturali ed il tempo
dell’orologio ha preso il tempo del Sole e della Luna, il tempo in
nanosecondi dei computer ha reso il battito del cuore qualcosa di
impreciso ed irrilevante.
Potrebbe diventare un atto di inusuale saggezza fermare un istante la
nostra furibonda corsa verso l’efficienza per riflettere su come i nostri
antenati, invece di sopprimere o manipolare i cicli naturali,
sopravvivevano restando sensibili ed armonizzando le proprie vite con
essi.
Il Solstizio d’Estate è festeggiato da sempre ed in ogni angolo
della Terra. Riti e celebrazioni si perdono nella notte dei tempi.
Qui il Dio e’ nel suo pieno vigore, e viene acclamato con
l’accensione di fuochi. La Dea, invece, attende di spargere il frutto
della sua unione, mentre tutto intorno la natura e’ in pieno
rigoglio.
La felicità e giocosità che caratterizzano i riti del
Solstizio, trovavano spesso espressione nel sesso
orgiastico e rituale. Questo slancio dell’energia
procreativa serviva a due scopi: rafforzare i legami
all’interno della comunità e stimolare e rivitalizzare la
terra e con essa la tribù in particolare. Il rito di
rinnovamento del Mondo non può esistere senza
contatto sessuale. Ovviamente questo non voleva
dire eccesso con sfumature dissacranti... Nei tempi
antichi la sessualità era investita di un forte
connotato sacro. Diventava un modo per partecipare
al mistero della vita e della fertilità. Secondo gli
antichi, le forze vitali che inondavano la natura,
tendevano a fluire in noi coinvolgendoci nei ritmi
naturali di fertilità: nelle giornate soleggiate è più
facile provare sensazioni amorose a testimonianza
che la natura influisce sui nostri sentimenti. Allo
stesso modo è possibile influenzare la natura verso
l’abbondanza proprio celebrando riti sessuali: la
libera espressione della sessualità diviene un modo
per risvegliare la natura stessa. Residui di queste
usanze sono i baci sotto il vischio ed i balli di
Capodanno...
Un tempo, tradizionalmente, si usava accendere grandi falò nei campi in onore del sole, facendo passare il bestiame tra di
essi perché fosse purificato dal fumo, e saltando sulle fiamme (quando queste si abbassavano) per propiziare fertilità e un
buon raccolto. Nella tradizione magica invece, la notte del 24 e la prima mattina, rappresentano il momento più propizio per
la raccolta di erbe e piante, od anche della rugiada, da usarsi poi nel corso dell’anno per rituali e altre operazioni. L’erba di
san Giovanni, in particolare l’Iperico, la Verbena e l’Artemisia sono tra le erbe da raccogliere in questa notte.
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RITI E FESTE DEL SOLSTIZIO D’ESTATE
(a cura di Katia Somà)
Il Solstizio d‘Estate è uno dei sabba minori, chiamato anche Mezza Estate, e ricordato (il 24 giugno) come Festa di S.
Giovanni Battista dalla tradizione cattolica, ma sin dai tempi più remoti il cambio di direzione che il sole compie, tra il 21 e il
22 giugno, è visto come un momento particolare e magico, ed è sempre stato nella storia occasione di feste, come i Litha
(uno degli otto sabbat wicca che si celebra al solstizio d'estate) nel Neopaganesimo.
Anche il Solstizio d‘Inverno ha rappresentato nei secoli occasione di festività di vario genere: i Saturnalia nell'antica Roma,
Kwanzaa per alcuni afroamericani o lo stesso Natale, Yule nel Neopaganesimo, di cui tratteremo nel mese di Dicembre.
Tutte le leggende si basano su di un evento che accade nel cielo: il 24 giugno il sole, che ha appena superato il punto del
solstizio, comincia a decrescere, sia pure impercettibilmente, sull'orizzonte: noi crediamo che cominci l'estate, ma in realtà,
da quel momento in poi, il sole comincia a calare, per dissolversi, al fine della sua corsa verso il basso, nelle brume
invernali. Sarà all'altro solstizio, quello invernale, che in realtà l'inverno, raggiunta la più lunga delle sue notti, comincerà a
decrescere, per lasciar posto all'estate. E' così che avviene, da millenni, la corsa delle stagioni.
Nella notte della vigilia di San Giovanni, in tutte le campagne del Nord Europa l'attesa del sorgere del sole era propiziata
dai falò accesi sulle colline e sui monti, poiché da sempre, con il fuoco, si mettono in fuga le tenebre e con esse gli spiriti
maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Attorno ai fuochi si danzava e si cantava, e nella notte magica avvenivano
prodigi: le acque trovavano voci e parole cristalline, le fiamme disegnavano nell'aria scura promesse d'amore e di fortuna, il
Male si dissolveva sconfitto
In questa festa, secondo un'antica credenza il sole (fuoco) si
sposa con la luna (acqua): da qui i riti e gli usi dei falò e della
rugiada, presenti nella tradizione contadina e popolare. Non a
caso gli attributi di S. Giovanni sono il fuoco e l'acqua, con cui
battezzava... una associazione utilizzata da parte del
cristianesimo, per sovrapporsi alle antiche celebrazioni
pagane.
Così nel corso del tempo, c'e' stato un mischiarsi di tradizioni
antiche, pagane, e ritualità cristiana, che dettero origine a
credenze e riti in uso ancora oggi e ritrovabili perlopiù nelle
aree rurali.
La tradizione popolare italiana e non solo, e’ piena di abitudini
e riti finalizzati alla divinazione, alla magia e all’auspicare la
buona sorta.
Qui di seguito alcune tradizioni popolari legate al Solstizio
d’Estate.
Giotto - Cappella degli Scrovegni - Padova
Scene dalla vita di Cristo (Battesimo di Cristo)
I Fuochi di S. Giovanni
I falò accesi nei campi la notte di S. Giovanni erano considerati,
oltre che propiziatori anche purificatori e l'usanza di accenderli si
riscontra in moltissime località: dall'Irlanda alla Russia, dalla
Svezia alla Grecia e alla Spagna. Documenti del XVI secolo
testimoniano tale consuetudine in quasi tutti i paesi della
Germania; i rituali intorno al fuoco erano connessi alla fertilità del
raccolto, alla salute, alla buona sorte, a proteggere dai fulmini.
Passaggio nel fuoco
In Austria, nel Salzkammergut e nella zona di Bad Goisern vicino
ad Hallstatt (culla dei Celti della prima Età del Ferro) si usa ancor
oggi accendere grandi falò sui fianchi delle montagne la sera del
23 giugno; celebrazione analoga è lo Highlight, un immane falò
solstiziale che viene acceso a Schwarzenbach durante il
Keltenfest, la festa dei Celti. Nell’antica Gallia, durante i giorni
solstiziali si accendevano i fuochi sui monti dedicandoli al dio
Belen.
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I contadini si posizionavano principalmente su dossi o in cima alle colline, e
accendevano grandi falò in onore del sole, per propiziarsene la benevolenza
e rallentarne idealmente la discesa.
I falò avevano però anche funzione purificatrice: per questo vi si gettavano
dentro cose vecchie, o marce, perchè il fumo che ne scaturiva tenesse
lontani spiriti maligni e... streghe) (si riteneva che in questa notte le streghe si
riunissero e scorrazzassero per le campagne, alla ricerca di erbe...)
In alcuni casi si bruciava, un pupazzo, così da scongiurare la malasorte e le
avversità. Inoltre si faceva passare il bestiame tra il fumo dei falò, in modo da
togliere le malattie e proteggerlo sia da queste sia da chiunque vi potesse
gettare fatture e malie.
La notte delle streghe e
San Giovanni di Marignano. Fantoccio
In Bretagna, c'era l’ usanza di far dondolare i bambini per nove volte davanti al fuoco, cosicché crescessero robusti. Davanti
alle fiamme, inoltre, si disponevano delle pietre per fare in modo che gli avi defunti si riscaldassero. In Inghilterra era proibito,
il 24 giugno, portare fuoco all'esterno delle case, per paura che la buona sorte se ne andasse.
A Firenze, sui tetti delle basiliche venivano posti dei pentoloni di terracotta, pieni di grasso, che producevano dei magnifici
fuochi che era possibile vedere da lontano. Nei campi venivano accesi dei focolari propiziatori, per allontanare il maligno e
proteggere i campi. Le fiamme erano tenute in vita fino all'alba, momento in cui si spegnevano per lasciar spazio al più
importante dei fuochi: il sole.
Berberi del deserto
Ancora oggi a Pamplona in Spagna si usa raccogliere erbe
aromatiche da bruciare negli incroci per scongiurare le tempeste
e i fulmini. Gettando erbe particolari (come la verbena) nel fuoco
del falò si allontana la malasorte.
Anche i Berberi che stanno in nord africa hanno dei
festeggiamenti in concomitanza del 24 giugno e per questi
accendono dei fuochi che facciano fumo denso per propiziare il
raccolto dei campi e per guarire (col fumo) chi vi passa in
mezzo. Chi salta il fuoco è sicuro di non dover soffrire il mal di
reni per tutto l'anno. La mattina del 24 Giugno le persone girano
tre volte intorno alla cenere lasciata dal falò e se la passano sui
capelli o sul corpo, per scacciare i mali.
In molte usanze sopravvissute, si trovano sacrifici animali, in cui
le vittime venivano chiuse in ceste di vimini e poi gettate nel
fuoco. In altri distretti si portavano in processione grandi effigi
umane fatti di vimini, che poi venivano bruciate.
Ruote di fuoco
Per alcuni la festa di S. Giovanni sarebbe la trasformazione di un antico culto solare (un riferimento preciso è reperibile
nella festa romana del 24 giugno indicata come “solstitium” o “campas”), che rivela quindi radici profonde nella tradizione
rituale precristiana. Molto importante non dimenticare il legame con l’antica società agraria, che con il culto del sole aveva
un forte legame simbolico. Un esempio del culto solare in ambito agricolo è rappresentato dal tradizionale gioco delle
“ruzzole” praticato nell’Appennino modenese (ma attestato con piccole varianti anche in altre aree). Questa tradizione,
che qualcuno vuole celtica e qualcun altro pre-celtica, ha trovato la sua massima espressione nel lancio di grandi ruote di
legno accese e, non di rado, inghirlandate. Secondo Frazer (in “Il Ramo d’oro”), “si riferisce al ciclo discendente del sole,
avente inizio nella data rituale in questione e risponde all’intento di sfondare ritualmente il nuovo anno astronomico
dando, in senso magico, il via a un favorevole corso del sole, identificato nella ruota”. La ruota infuocata viene fatta
rotolare fino a valle, dove passa il fiume: se la ruota arriva accesa nell'acqua il segno e' favorevole; in caso contrario e'
cattivo auspicio.
Il lancio delle ruote infuocate è ancora vivo con le “cìdulis” delle Alpi orientali del Friuli; normalmente, prima di lanciare la
sua “cìdule”, il lanciatore grida «vòdi cheste cìdule onor di...» (dedico questa ruota di fuoco in onore a...) e accompagna
l’esclamazione con il nome del santo festeggiato (il rituale, rifiorito in tempi recenti, si può ripetere anche in occasione
dell‘Epifania e di vari santi patroni locali). Queste ruote avvolte di paglia e incendiate, di cui si trova esempio anche in
altre aree europee e spesso collegate al falò rituale, sono state interpretate come tentativi di ricostruzione simbolica del
ciclo solare.
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Danze intorno al falò
Nonostante la demonizzazione secolare dei culti agresti (ancora oggi si
mormora che nella notte di S. Giovanni le streghe celebrerebbero i propri rituali),
alcuni aspetti tipici di questa festa pagana non si sono spenti e hanno
mantenuto una propria vitalità, conservando alcune caratteristiche: oltre ai
fuochi, le sfilate, le danze, i giochi, il coinvolgimento collettivo in genere e
soprattutto intorno al gran falò finale. Un’altra pratica legata a S. Giovanni è la
danza intorno alle grandi pietre megalitiche, considerate cariche di poteri magici.
“Midsommardans” di Anders Zorn 1897
Museo Nazionale di Stoccolma
La raccolta delle erbe
Trascorrendo la notte nelle piazze e in campagna, non solo si cantava e si
danzava per tutta la notte, ma si prediceva la sorte, si bruciavano le vecchie
erbe nei falò e si raccoglievano erbe nuove che venivano appese in casa, alle
pareti, per un intero anno. Le erbe raccolte nella notte di S. Giovanni erano
ritenute speciali, le più adatte per preparare pozioni magiche e medicamentose,
potenti filtri, e per preparare incantesimi. Le tradizioni erboristiche antiche
rivelano una sviluppata conoscenza della fitoterapia e soprattutto la capacità di
creare una simbiosi favorevole con la natura (dovuta anche alla pratica) che
portava a sapere che solo in alcuni giorni dell’anno era possibile ottenere i
massimi principi attivi (effetto balsamico) dai poteri vegetali.
Le erbe raccolte in questa notte sono in grado di scacciare ogni malattia e, tutte le loro caratteristiche e proprietà sono
esaltate e alla massima potenza. C'erano poi erbe miracolose, in grado di donare chiaroveggenza e addirittura invisibilità.
In questo caso bisognava però superare una prova: Chi avesse colto la pianta si sarebbe sentito chiamare con la voce di
un proprio caro. Solo chi avesse resistito e non si fosse girato avrebbe acquisito l'invisibilità. La voce infatti era solo un
trucco del Diavolo per non cedere il potere della pianta.
Le erbe più note da raccogliere nella notte del 24 sono: l'Iperico detto anche
erba di S. Giovanni; l'Artemisia chiamata anche assenzio volgare e dedicata
a Diana-Artemide; la Verbena e il Ribes rosso che proteggevano dai malefici.
Oltre a: Vischio, Sambuco, Aglio, Cipolla, Lavanda, Mentuccia, Biancospino,
Corbezzolo, Ruta e Rosmarino.
Con alcune di queste piante era possibile fare "l’acqua di San Giovanni": si
prendevano foglie e fiori di lavanda, iperico, mentuccia, ruta e rosmarino e si
mettevano in un bacile colmo d'acqua che si lasciava per tutta la nottata fuori
casa. Alla mattina successiva le donne prendevano quest’acqua e si
lavavano per aumentare la bellezza e preservarsi dalle malattie.
Altre erbe, usate nella medesima maniera davano origine ad altri tipi di acqua
di s. Giovanni (ci sono delle variazioni tra regione e regione), che servivano
comunque sempre contro il malocchio, la malasorte e le malattie, di adulti e
bambini.
La storia relativa ai fiori magici è interessante, ed è frutto di credenze molto diffuse. Nella tradizione magica, la notte
del 24 e la prima mattina, rappresentano il momento più propizio per la raccolta di erbe e piante, od anche della
rugiada, da usarsi poi nel corso dell’anno per rituali e altre operazioni.
In Boemia, ad esempio, si crede che il fiore della felce risplenda come l'oro, o come il fuoco, nella notte di San
Giovanni: chiunque lo possieda in questa magica notte, e salga una montagna tenendolo in mano, scoprirà una vena
d'oro, e vedrà brillare di fiamma azzurra i tesori della terra.
In Russia, i contadini raccontano che chi riesce ad impadronirsi del meraviglioso fiore nella vigilia di San Giovanni, se
lo getta in aria, lo vedrà ricadere per terra nel punto preciso dove è nascosto un tesoro. Pare che questo fiore fiorisca
improvvisamente, talvolta, a mezzanotte precisa della magica notte del solstizio d'estate; e, sempre in Russia si
racconta che chi abbia la fortuna di cogliere l'istante di quella fioritura improvvisa, potrà nello stesso tempo assistere a
tanti altri spettacoli meravigliosi
Nel cantone svizzero di Friburgo, il popolo usava un tempo vegliare vicino ad una felce la notte di San Giovanni, nella
speranza di guadagnare il tesoro che qualche volta il diavolo in persona portava loro.
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Diana-Artemide dea della caccia
L'Artemisia, in particolare l'assenzio, è forse la pianta più celebre tra
quelle dette "di San Giovanni". Un suo rametto scacciava i diavoli,
neutralizzava il malocchio e, più banalmente, forniva energia ai viandanti;
era usanza mettere un mazzo di questa erba dietro l'uscio di casa, per
proteggere l'abitazione dai fulmini. Altra capacità dell'assenzio era quella
di vincere la decadenza e la precarietà. Mettendo del succo di assenzio
nell'inchiostro, la carta scritta con quell'inchiostro diveniva sana e durava
molto tempo, perché fortificata contro le tarme.
L'Iperico è un fiore dei campi e veniva usata a scopo protettivo. Chi si
trovava per strada la notte della vigilia, quando le streghe si recavano a
frotte verso il luogo del convegno annuale, se ne proteggeva infilandoselo
sotto la camicia insieme con altre erbe, dall'aglio, all'artemisia, alla ruta. Il
suo stretto legame col Battista sarebbe testimoniato dai petali che,
strofinati tra le dita, le macchiano di rosso perché contengono un succo
detto per il suo colore "sangue di San Giovanni".
La Verbena, della quale è credenza diffusa che, colta a mezzanotte della
vigilia di San Giovanni, costituisca un'infallibile protezione contro i fulmini,
è conosciuta in Bretagna come "erba della croce", perché si ritiene che
protegga chi la porta con sé da qualsiasi male ed anche come "erba della
doppia vista" perché il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti
nascoste. Simbolo di pace e prosperità. I greci la chiamavano "Hiera
botane", erba sacra. A Roma la verbena veniva raccolta in un luogo sacro
del Campidoglio e se ne faceva una corona per i sacerdoti membri dei
"fetiales"; costoro erano incaricati di studiare i conflitti tra Roma e gli altri
popoli. In latino il nome risale a un'antica radice europea da cui deriva
anche il greco "rhabdos", che si collega a verga.
Altra proprietà magica della verbena era il suo utilizzo nei filtri
d'amore. La pianta era infatti anticamente consacrata a Venere,
che veniva ritratta incoronata di verbena e mirto. I bardi celtici se
ne cingevano il capo per avere un'ispirazione dagli dei.
L'Erica è un fiore delle nevi e dei terreni poveri ed ostili. Il suo
nome deriva dal verbo greco "ereiko", spezzo, rompo, proprio
perché l'erica è più forte della dura crosta di terra invernale o della
neve che la ricopre, tant’è che la buca senza fatica, emergendo
all'aria aperta.
I fiori dell'erica, che vanno dal bianco alle varie tonalità di rosa,
assomigliano, rovesciati, ai copricapi degli elfi.
Erica
Era tenuta in grande considerazione fin dall'antichità, tanto da essere utilizzata per costruire le scope che sarebbero
servite a pulire i templi degli Dei, e successivamente, in tempi più severi, il forno dove cuocere il pane. L'utilizzo per
costruire scope era così diffuso che, in alcune regioni, l'erica stessa viene chiamata scopa e ancora oggi, alcune località
soprattutto della Toscana, dove cresce in abbondanza ricoprendo a distesa campi e colline, vengono chiamate Scopeto,
Poggio delle Scope, Pian di Scò. Stessa origine dovrebbero avere i paesi di Scopa e Scopello, della Valsesia.
Le leggende associano spesso l'erica alle entità Fatate, facendole
dimorare fra i suoi rami e sconsigliando di sdraiarsi a dormire fra
queste piantine, per non correre il rischio di essere rapiti dal
mondo delle fate. Di contro, era possibile accedere ai segreti
dell'Aldilà, semplicemente dormendo su un letto di erica, che è
anche spesso giaciglio degli amanti in numerose leggende.
Usanza derivante probabilmente dal mondo celtico, dove l'erica è
collegata sia all'Aldilà sia all'amore.
Scopa di Erica
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La Ruta, considerata già da Aristotele come protezione dagli spiriti e dagli incantesimi, era un efficace talismano contro il
maligno, ed era detta "erba allegra."
L'aglio, oltre che assicurare un anno prospero, era efficace come protezione dal male e dai malanni. Anche Plinio lo cita
come utile nel guarire molte malattie. Il nome sanscrito dell'aglio vuol dire "uccisore di mostri". Non per niente lo
ritroviamo fondamentale anche nelle leggende sui vampiri.
La Salvia è invece legata a un'antica leggenda sul viaggio che compì Maria mentre era in fuga con la Sacra Famiglia.
Sentendo i soldati che stavano per raggiungerli, chiese a una rosa di proteggere il bambino Gesù, ma la rosa rifiutò, per
paura che i soldati calpestassero i suoi petali. La pianta fu per questo punita e condannata ad avere fiori belli, ma dalla
durata effimera, e uno stelo spinoso. Maria continuò a chiedere aiuto ad altre piante. Prima la vite disse di no e per
questo fu condannata a essere tagliata e privata dei frutti ogni anno, con la vendemmia.
Il Noce è l'albero attorno al quale si riuniscono a
convegno le streghe nella notte di San Giovanni. E'
proprio in questa notte che si devono raccogliere
dall'albero le noci, dette appunto di San Giovanni, per la
preparazione del nocino, il liquore ottenuto dall'infusione
delle noci ancora immature nell'alcool per qualche
settimana, assieme ad aromi speziati come la cannella e
i chiodi di garofano che aveva poteri di rinforzare e
risollevare dai malanni.
Il culto del noce come "albero delle streghe" è di origine druidica. L'albero del noce era
considerato sacro per le streghe ma non per i contadini che lo piantavano a distanza dagli altri
alberi da frutto perchè era radicata la credenza che questo albero ermafrodita, che può
raggiungere anche i 300 anni di età, fosse velenoso e che la sua influenza negativa
contagiasse il terreno su cui poggiava. Da qui l'usanza di piantarlo a distanza dagli altri alberi
dell'orto.
Altri usi legati alla vegetazione
• Alle prime luci del 24 giugno i contadini che possedevano alberi di noce dovevano andare a legare una corda di spighe di
orzo ed avena intrecciate ai tronchi dei loro alberi. In questo modo avrebbero poi raccolto frutti buoni e abbondanti.
• Raccogliere 24 spighe di grano e conservarle gelosamente tutto l'anno serviva come amuleto contro le sventure.
• Fare un mazzolino di tre spighe di grano marcio o carbone e buttarlo nel fiume liberava dagli animali e dalle piante nocive il
grano che si stava per mietere.
• Il giorno di San Giovanni se si compera l'aglio si avrà un anno prospero.
• A mezzanotte si deve cogliere un ramo di felce e tenerlo in casa per aumentare i propri guadagni.
La rugiada
Oltre ai rituali legati al sole e al fuoco ci sono quelli di
purificazione con l’acqua.
La notte del 24 e la prima mattina, rappresentano il
momento più propizio per la raccolta della rugiada, da
usarsi poi nel corso dell’anno per rituali magici e la
preparazione di pozioni e medicamenti. Nel nord Europa,
se una donna desiderava molti figli, o se voleva bei capelli
e una buona salute, doveva stendersi nuda nell’erba
bagnata.
La rugiada della mattina di San Giovanni, ovviamente
legata all'elemento acqua, ha il potere di curare, di
purificare e di fecondare.
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In questa magica notte, uomini e donne si rotolavano nudi nei prati per assorbire il potere della rugiada di S. Giovanni
creando un’atmosfera facilmente demonizzabile dall’autorità ecclesiastica, che in questa pratica individuò una
manifestazione stregonesca. Un Editto pubblicato a Roma il 17 giugno 1755, dal Vicario Marco Antonio Colonna,
avvertiva di vigilare e contenere gli «abusi che si commettono nella notte della vigilia di San Giovanni Battista» ricordando
che «contro i trasgressori si procederà anche per inquisizione».
Qui da noi c'era piu' l'abitudine di raccoglierla, che di usarla sul momento.
“Se volete raccogliere la rugiada, potete stendere un panno tra l’erba, strizzandolo poi il mattino successivo. Oppure
scavare una piccola buca, in cui inserirete un bicchiere o un altro contenitore. Sopra di esso poi metterete un telo
impermeabile, fissato ai bordi della buca (in alto) e con un foro al centro proprio sopra l’orlo del bicchiere (sul fondo). La
rugiada si depositerà sul telo e scenderà nel vostro contenitore.”
Altri usi legati all'acqua
La prima acqua attinta la mattina del 24 manteneva la vista buona.
Recarsi all'alba sulla riva del mare a bagnarsi preservava dai dolori reumatici.
Una leggenda tramanda che vicino al famoso Noce di Benevento, ci fosse un laghetto o un torrente in cui le donne si
bagnavano proprio in questa notte, per aumentare la propria fertilità.
La divinazione
La notte di S. Giovanni e' legata a tantissime forme di divinazione, utilizzando come base
acqua e/o piante. Le divinazioni più famose vertevano sull'indovinare qualcosa del proprio
futuro amoroso e matrimoniale:
Le ragazze da marito, se vogliono conoscere qualcosa sulle loro future nozze, dovranno, la
sera della vigilia del 24 giugno, rompere un uovo di gallina bianca e versarne l'albume in un
bicchiere o un vaso pieno d'acqua. Poi lo prenderanno e lo metteranno sulla finestra,
lasciandolo esposto tutta la notte alla rugiada di S. Giovanni. Il mattino successivo, appena
levato il sole, si prenderà il bicchiere, e attraverso le forme composte dall'albume
nell'acqua, si trarranno auspici sul futuro matrimonio.
Oltre all'uovo poteva venir impiegato il piombo fuso: versato nell’acqua si raffreddava
velocemente e dalla forma assunta si traevano previsioni sul mestiere del futuro marito. Vi
e' anche una versione di questo metodo che al posto del piombo prevedeva l'utilizzo dello
zolfo.
E si credeva che la ragazza che, guardando il sole all'alba, vi avesse visto la testa decapitata di San Giovanni, si
sarebbe sposata entro l'anno.
La notte di San Giovanni, le donne della Repubblica di Venezia si rivolgevano alla luna per chiederle il nome del futuro
marito. Il primo nome udito pronunciare da qualcuno, in qualsiasi circostanza, sarebbe stato quello dello sposo.
Una divinazione con forme vegetali era fatta con i cardi. Presi due, di grandi
dimensioni gli si bruciacchiava la testa, poi si mettevano in un recipiente sul
davanzale della finestra, uno con il capo rivolto verso l’interno, l'altro verso
l’esterno. Se al mattino uno dei cardi era ritto sullo stelo, la ragazza
interessata entro l’anno si sarebbe sposata; se il cardo era quello interno,
con uno del proprio paese, se quello verso l'esterno, allora si sarebbe
maritata con uno di fuori.
Un altro sistema con i cardi prevedeva di bruciarne la corolla e lasciarla tutta la notte fuori della casa. Al mattino
occorreva osservarla attentamente: se appariva di colore rossastro era segno di buona sorte ma se appariva nera era
indice di sicura sfortuna.
C'era anche un sistema con le fave. La sera del 23 le giovani nubili dovevano prendere tre fave: una intera, una sbucciata
e la terza rotta nella parte sopra, e metterle sotto il cuscino al momento di andare a dormire. Durante la notte dovevano
prenderne una a caso: se prendevano quella intera, buona sorte e ricchezza, la mezza poca sorte e quella sbucciata,
cattivo auspicio.
L'usanza di mangiare le lumache per San Giovanni e' legato perlopiù alle corna delle lumache (simboleggiano la luna e
rappresentano il suo ciclo di crescita/decrescita). Per ogni lumaca mangiata, si ritiene che sia scongiurato un malanno...
così come il rischio di "corna" in casa.
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Le streghe di S. Giovanni
Il 24 giugno è anche il giorno in cui, secondo le tradizioni italiane, le streghe si
recano, in volo, verso il "Grande Noce di Benevento"; l'albero sul quale una dea
lunare avrebbe sconfitto il diavolo, rimandandolo negli inferi.
Nel rispetto di questa credenza, si sono sviluppati molti rimedi per evitare che le
streghe si soffermassero, durante il loro lungo viaggio, in casa di qualche
sventurato. L'uso del rosmarino e dell'ulivo benedetto e di un barattolo di sale e
una scopa di saggina sull'uscio, erano ritenuti i più efficaci. Le streghe infatti,
prima di entrare in casa, erano costrette a contare i chicchi di sale e i ramoscelli
della scopa, cosa che richiedeva così tanto tempo da non permetter loro di finire
prima della mezzanotte, momento in cui iniziava il giorno di San Giovanni, ed
erano costrette a fuggire.
La notte di San Giovanni, a Roma, fino al 1872 (anno in cui la festa fu
soppressa dal governo italiano), dopo l'Ave Maria veniva sparato un colpo di
cannone che dava inizio ai festeggiamenti. Chi voleva si metteva in attesa del
passaggio delle streghe, sedendosi, con il mento appoggiato ad un bastone
doppio, con lo sguardo rivolto alla Santa Croce, scrutando il cielo. Anche nelle
notti più nuvolose, il buon vino dei Castelli romani faceva il più del lavoro,
permettendo a tutti di avvistare streghe e fantasmi delle grandi malvagie eroine
capitoline, come Lucrezia Borgia, la papessa Giovanna e la famigerata donna
Olimpia, patrona dei corrotti e dei corruttori.
Le streghe si davano appuntamento e si riunivano intorno a un albero di noce.
Aguarda que te untex (Guarda che ti ungono)
incisione di F. Goya: l'unguento trasforma all'istante
le streghe in esseri bestiali che spiccano il volo
verso il sabba.
"Unguento unguento mandame alla noce de Benevento, supra acqua et supra vento et supra omne maltempo."
Così cantavano le streghe.
ASPETTI FITOTERAPICI DELLE ERBE DEL SOLSTIZIO D’ESTATE
(a cura di Paolo Cavalla)
Il solstizio d’estate segna un punto di riferimento fondamentale del ciclo vitale dell’uomo, da qualsiasi punto lo si voglia
vedere. Rappresenta infatti l’inizio di una nuova stagione di raccolti e prosperità, e anche se la frenesia del mondo
moderno con tutte le sue innovazioni tecnologiche e i suoi miglioramenti dello stile di vita ha fondamentalmente stravolto
il nostro modo di pensare, nel profondo di ciascuno di noi restano le tracce di un antico sapere ancestrale che indugia
ad essere sfrattato. Di queste antiche conoscenze fa parte anche il ricorso alle piante a scopo terapeutico. Lasciato alle
spalle l’intervento di Katia Somà sugli aspetti simbolici e magici avuti nel corso dei secoli dalle singole specie vegetali
che andremo ora a trattare, era nostra intenzione in questa sede illustrare a grandi linee le reali e maggiormente
documentate proprietà terapeutiche attribuite alle piante più rappresentative dei primi giorni d’estate.
Iperico (Hypericum perforatum L)
Non a caso conosciuto anche con il nome di Erba di San Giovanni
(St. John’s wort per gli anglosassoni), in quanto completa la sua
fioritura a fine giugno, rappresenta una pianta erbacea di facile
riscontro nelle campagne europee e nord americane. Appartiene
alla famiglia delle Ipericaceae. Secondo Plinio il Giovane, il suo
nome deriva dal greco (hyper – eikon) in quanto cresce (anche)
sulle statue antiche: per tale motivo la tradizione popolare gli ha
attribuito il potere di scacciare i fantasmi e di padroneggiare diverse
manifestazioni diaboliche. Il nome di specie, perforatum, deriva
invece dal caratteristico aspetto delle sue foglie che, se osservate
in controluce, appaiono costellate da una miriade di forellini dovuti
alla presenza nel loro contesto di un ricco apparato ghiandolare. Il
caule è esile e le foglie sono disposte in modo alterno. Ogni fiore è
piccolo e di colore giallo, con cinque petali e numerosi lunghi stami.
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Dal punto di vista farmacologico l’iperico è certamente una delle piante più studiate ed è ormai appurato che possieda
indubbi effetti terapeutici. Essa può venire utilizzata per via interna, mediante assunzione orale di estratti ricavati dalle
sommità fiorite, o per via esterna grazie alla applicazione topica del suo olio essenziale.
La sua droga* contiene derivati naftodiantronici (ipericina, pseudoipericina), flavonoidi (iperoside, rutina, quercitrina,
isoquercitrina e quercetina), e derivati floroglucinolici (iperforina, adiperforina). Contiene inoltre elevate quantità di
tannini e un’olio essenziale il cui componente principale è il 2-metilottano, importanti per il suo utilizzo topico (1).
Numerosi studi clinici e sperimentali hanno attestato l’attività antidepressiva dell’estratto secco di Iperico assunto per via
orale, ma si è recentemente scoperto che il meccanismo d’azione attraverso cui agisce il principio attivo non è così
semplice come si riteneva in passato. Anzi l’idea che si dovesse attribuire l’effetto terapeutico ad un solo principio attivo
contenuto nella pianta è stata decisamente soppiantata dalla certezza che sia necessario tutto il fitocomplesso** per
potersi manifestare l’azione farmacologica antidepressiva (2).
Studi condotti negli anni passati avevano lasciato intendere che l’effetto
antidepressivo fosse da ricondursi all’azione dell’ipericina per l’inibizione
delle monoaminoossidasi (3), un gruppo di enzimi che serve a degradare
alcune delle sostanze che i neuroni utilizzano per comunicare tra loro.
Ricerche successive hanno poi evidenziato il fatto che un ruolo
terapeutico maggiore sarebbe da ascrivere all’azione dei derivati
floroglucinolici, ed in particolare all’iperforina, in grado di inibire la
ricaptazione di numerosi neurotrasmettitori a livello del Sistema Nervoso
Centrale, quali la serotonina, la noradrenalina, la dopamina, il
glutammato ed il GABA (4). L’iperforina sarebbe anche in grado di
incrementare la secrezione notturna di melatonina (5). Le linee guida
tedesche (la Germania è una delle nazioni europee, insieme alla Francia,
in cui la fitoterapia viene più utilizzata e rispettata) raccomandano
l’impiego dell’Iperico negli stati depressivi ed ansiosi di lieve e media
entità. Il suo utilizzo rappresenta una valida alternativa terapeutica nelle
forme ansiose e depressive soprattutto nei casi in cui non ci sia la
necessità di ricorrere in prima battuta a farmaci di sintesi sicuramente più
potenti, ma anche spesso gravati da effetti collaterali gravi o invalidanti,
oppure quando esistano controindicazioni soggettive ad altri farmaci
antidepressivi (6).
Per quanto riguarda gli effetti collaterali, si può con tranquillità affermare che l’Iperico è un farmaco relativamente sicuro
(7), tanto che uno studio di Coorte del 2003 non ha riscontrato l’insorgenza di problemi correlati alla sua assunzione
durante l’allattamento né a carico delle puerpere né dei loro figli (8). L’iperico può comunque essere responsabile di
fenomeni di fotosensibilizzazione, dolori addominali, cefalea, vertigini, affaticabilità, secchezza delle fauci ed
irrequietezza, ma con incidenza minore rispetto agli antidepressivi di sintesi. Di maggior rilievo è sicuramente la
possibilità di interazioni farmacologiche tra l’Iperico e diversi farmaci, ed in particolare con quelli che utilizzano la via
metabolica epatica del citocromo P450 (9), o che sono un substrato della glicoproteina P (10), come per esempio
ciclosporina, contraccettivi orali, idinavir, digossina, warfarin, ecc... Questo accade perché i farmaci che utilizzano la
stessa via dell’Iperico per essere metabolizzati, la trovano intasata dai suoi componenti farmacologici e non riescono più
ad essere smaltiti: si determina così un pericoloso fenomeno di accumulo. Questo fatto, comune anche ad un gran
numero di farmaci di sintesi, può diventare letale soprattutto per le persone anziane e rende indispensabile che la
prescrizione di qualsiasi farmaco, naturale o di sintesi, venga sempre eseguita da un medico.
Come già accennato sopra, l’Iperico è anche impiegato per via topica in forma di
olio essenziale. Esso avrebbe infatti un’azione antimicrobica e lenitiva in grado di
contrastare la suppurazione delle ferite e di ridurre l’intensità dei processi
infiammatori cutanei (11). E’ stato impiegato, sembra con successo, anche nel
trattamento della dermatite atopica lieve e moderata. Nonostante non ci siano studi
sperimentali sufficienti a dare un giudizio definitivo sulla sua reale efficacia clinica,
il suo impiego viene consigliato dalle linee guida tedesche per il trattamento delle
infiammazioni cutanee, le ferite e le scottature (12).
*In medicina il termine droga serve ad indicare la parte della pianta utilizzata per
la preparazione del farmaco. Per esempio, nel caso dell’Iperico, la droga è
rappresentata dalle estremità fiorite.
**Il fitocomplesso rappresenta l’insieme dei principi biologicamente attivi contenuti
nella droga vegetale.
Distillatore (Anonymer Kupferstich, 1625)
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Bibliografia
1.
Bombardelli E, Morazzoni P. “Hypericum perforatum” Fitoterapia, 1995; LXVI (1): 43.
2.
Fiorenzuoli F, Gori L. “Is the antidepressant effect of Hypericum estracts depending on their hyperforin content?” Forsch Komplementarmed, 199; 6 (1): 27, discussion 27-8.
3.
Suzuky O et al. “Inibition of Monoamino Oxydase by Hypericin.” Planta Medica, 1984; 50: 272-274.
4.
Calapai G, Crupi A, Fiorenzuoli F et al. “Serotonin, norepinephrine and dopamine involvement in antidepressant action of Hypericum perforatum.” Pharmacopsychiatry, 2001; 34 (2):
45-49.
5.
Bhattacharya SK et al. “Activity profiles of two Hyperforin-containing hypericum extracts in behavioral models.” Pharmacopsychiatry, 1998; 31 (suppl 1): 22-29.
6.
Hypericum Depression Trial Study Group. JAMA 2001; 287: 1807-1814.
7.
Woelk H. “Comparison of St. John’s Wort and imipramine for treating depression: randomized controlled trial.” BMJ, 2000; 321 (7260): 536-539.
8.
Knuppel, Linde. J Clin Psychiatry, 2004; 65: 1470-1479.
9.
Fugh-Bergman A. “Herb-drug interactions.” Lancet, 2000; 355: 134-138.
10. Hennessy M, Kelleher D, Spiers JP, et al. “St John’s wort increases expression of P-glycoprotein: implications for drug interactions.” Br J Cl Pharmacol, 2002; 53 (1): 75-82.
11. Lavagna SM, Secci D, Chimenti P et al. “Efficacy of Hypericum and Calendula oils in the epithelial reconstruction of surgical wounds in childbirth with cesarean section.” Farmaco,
2001; 56 (5-7): 451-453.
12. Bedi MK, Shenefelt PD. “Herbal therapy in dermatology.” Archives of Dermatology, 2002; 138 (2): 232-242.
Verbena (Verbena officinalis L)
La Verbena è, come l’Iperico, un’erba caratterizzata da importanti influssi simbolici e non a caso in francese viene detta
Herbe Sacrée. Fiorisce sotto il sole di luglio ed il suo areale di distribuzione copre tutta la penisola italiana. E’ una pianta
perenne, di aspetto erbaceo ascendente, con radice fusiforme e fusto ruvido, quadrangolare, legnoso alla base ramificato
nella parte superiore. Può raggiungere un’altezza di un metro. Le foglie inferiori sono opposte, oblunghe, si restringono in
un corto picciolo. Le mediane sono più grandi, trilobate, con il segmento centrale più sviluppato dei 2 laterali, questi ultimi
sono oblunghi lineari e dentati. Le foglie cauline sono sessili, lanceolate, dentate o intere si riducono progressivamente.
Tutte le foglie sono coriacee, di colore grigio-verde, pelose e rugose. I fiori sono raccolti in lunghe spighe che formano
una pannocchia all’ascella delle piccole brattee. Il calice è tubuloso, glanduloso, diviso in 4-5 denti. La corolla possiede 2
labbra poco distinte, rosa- lilla o bianche. I frutti sono capsule compresse cuoriformi, all'interno divise in 4 logge
contenenti ciascuna un seme.
Se ne riconosce un contenuto in iridoidi (verbenalina, verbenina e astatoside), in mucillagine, in olio essenziale (citrale,
terpeni, alcoli terpenici) e in principi amari.
Alla pianta vengono attribuite dalla tradizione un’efficace azione sul ristagno
del flusso biliare e proprietà diuretiche atte a rimuovere la renella ed i piccoli
calcoli. Proprio quest’ultima proprietà fa chiarezza sulla etimologia del suo
nome: infatti il termine verbena sarebbe derivato dal Celtico “ferfaen” parola
composta da “fer” = “scacciare via”e da “faen” = “pietra”, poiché la pianta era
usata per curare problemi della vescica, in particolare i calcoli. L’azione
antiinfiammatoria e blandamente analgesica dei suoi composti iridoidi ne
rende interessante l’utilizzo nelle forme reumatiche. Inoltre il contenuto in
mucillagini ne indica l’impiego nelle forme infiammatorie bronchiali come
espettorante (1). E’ stato appurato che alcuni componenti della verbena hanno
un effetto sinergico con la prostaglandina E2, giustificando l’uso tradizionale di
questa pianta per attivare le contrazioni uterine del parto e per produrre un
aumento marcato della secrezione lattea (2). Per lo stesso motivo la verbena
deve essere controindicata nelle gestanti che non hanno raggiunto il termine di
gravidanza, poiché l’attivazione delle contrazioni uterine potrebbe determinare
l’aborto (3). Kolk e i suoi collaboratori hanno inoltre osservato che estratti di
verbena hanno azione antitiroidea per la capacità di alcuni suoi componenti
nel determinare un blocco dei recettori della tireotropina (4).
La presenza di un olio essenziale rende anche ragione dell’uso esterno
di questa pianta in caso di processi infiammatori ed infettivi cutanei, con
indicazioni sovrapponibili a quelle dell’olio essenziale di Iperico, a cui si
rimanda. E’ nota anche la preparazione di lavande oculari e colluttori a
base di olio essenziale di verbena per il trattamento delle congiuntiviti e
delle infezioni del cavo orale (5).
La letteratura non segnala effetti secondari e tossici alle dosi
terapeutiche, a meno che non vi sia una particolare sensibilità
individuale. Occorre comunque porre particolare attenzione alla
funzionalità tiroidea del paziente.
Bibliografia
1. Valnet J. “Phytothérapie” Editions Vigot, Paris 2001.
2. Della Loggia R: “Piante officinali per infusi e tisane.” OEMF, Milano, 1993.
3. Leclerc H: “Precisde phytothérapie.” Masson, Paris, 1976.
4. Kolk MA et al. Endocrinology 1985; 116: 1687.
5. Campanini E. “Dizionario di fitoterapia e piante medicinali” II edizione. Ed. Tecniche Nuove. Milano, 2004.
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Artemisia (Artemisia absinthium L)
L’Artemisia Absinthium L. è un’erba perenne dei luoghi umidi e sassosi. Le foglie sono alterne: quelle inferiori sono
lungamente picciolate, con gli ultimi segmenti bislunghi, poco lobati; le superiori sono quasi sessili, meno divise, fino ad
essere intere e lineari; tutte punteggiate per glandole interne e bianchiccie per la diffusa peluria. Le sommità fiorite si
presentano raccolte a pannocchia fogliata, costituita di calatidi (capolini) numerosissime, piccole, sferiche, pendenti,
unilaterali, frammiste a brattee strette. Le inflorescenze sono disposte in grappolo allungato, con fiori misti a brattee strette,
intere. I fiori sono gialli, di forma tubulare. La pianta ha odore forte, aromatico, e sapore amarissimo. Il rizoma è fornito di
numerosi rami sterili, corti, fogliacei; gli steli sono eretti e molto frondosi superiormente.
Sembra che l'assenzio sia ricordato nell'antico papiro Ebers e che i Greci col nome Apsinthion o Absinthion, volessero
indicare, anziché l'assenzio maggiore, l'assenzio pontico L. In epoca medievale, all'assenzio fu dato il nome vermut dalla
parola tedesca werimuota. Verso l'VIII secolo lo si trova decantato da Walafrid Strabus, da sant'Ildegardo sotto il nome di
wermuda e in un libro medico stampato nel XIX secolo a Zurigo sotto il nome di wormâta. L'uso medico di questa pianta,
secondo Schübeler, era diffuso nel XIII secolo anche in Islanda e Norvegia. Il Gesner nel 1561 affermava che l'assenzio
cresceva spontaneo nelle Alpi Svizzere e il Porta nel 1608 ottenne dall'assenzio un olio essenziale azzurro.
Il gusto amaro della droga grezza è dovuto
alla presenza dei lattoni sesquiterpenici
anabsintina,
artabsina,
anabsina
e
soprattutto absintina. Sono inoltre presenti
flavoni, acido ascorbico, tannini ed un olio
essenziale di colore tendente al blu per la
presenza di camazulene. Lolio essenziale
contiene inoltre tujone ed il suo alcol
corrispondente, tujolo, sostanze che
possono essere molto tossiche per il
Sistema Nervoso Centrale (1).
L’assenzio veniva impiegato nella terapia della dispepsia. La sua efficacia come
amaro aromatico si basa sul suo contenuto in principi amari e sulla presenza
dell’olio essenziale. In Germania è permesso l’impiego di questa droga vegetale
(anche in associazione con altre droghe aromatiche) per i disturbi dell’appetito, la
discinesia delle vie biliari ed i disturbi dispeptici sotto forma di infuso, decotto,
estratto o tintura, ma senza superare la dose di 2-3 grammi di droga grezza al
giorno e sotto rigoroso controllo medico (2).
Artemisia absinthium
Infatti l’intossicazione da olio essenziale di Artemisia absinthium determina vertigini, convulsioni, delirio e infine morte. Questa
specie vegetale era impiegata, soprattutto in Europa, per la preparazione di un liquore, la cui produzione è ora severamente
vietata a causa degli effetti tossici del tujone e del tujolo. Il suo impiego è inoltre proscritto in caso di ulcera gastrica e
duodenale. Non va assolutamente utilizzata in gravidanza e in età pediatrica (3).
Attenzione va posta alle possibili interazioni con la contemporanea assunzione di farmaci psicostimolanti e di terapie
ormonali(4).
La medicina popolare utilizza a scopo curativo anche un’altra specie di Artemisia: l’A. vulgaris. Il suo basso contenuto in olio
essenziale e la presenza di tujone solo in tracce determina una drastica riduzione del potenziale tossico della pianta, ma ne
riduce significativamente anche il potere terapeutico. Pertanto possiede proprietà aromatiche e digestive molto meno marcate
rispetto all’assenzio. Viene anche utilizzata come blando antispasmodico.
Bibliografia
1. Tan RX, Zheng WF, Tan HQ. “Biologically active substances from the genus Artemisia.”
Planta Med 1998; 64: 295-302.
2. “Rapporto della Commissione E” Berlino, 1984.
3. Schulz V, Hansel R, Tyler VE. “Fitoterapia razionale” Ed. Mattioli 1885. Fidenza 2003.
4. Fiorenzuoli F. “Interazioni tra erbe, alimenti e farmaci” Ed. Tecniche nuove. Milano, 2001.
5. Campanini E. “Dizionario di fitoterapia e piante medicinali” II edizione. Ed. Tecniche Nuove.
Milano, 2004.
Artemisia vulgaris
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SAN GIOVANNI E LE PORTE SOLSTIZIALI
(a cura di Sandy Furlini)
In età precristiana questo giorno era considerato sacro. Il Sole, simbolo del fuoco
divino, entra nella costellazione del Cancro, simbolo delle acque e dominato dalla
Luna, dando origine all'unione delle due opposte polarità che si incontrano. Il Sole è
la parte maschile e la Luna quella femminile ed il Sole, al Solstizio d’Estate,
raggiunge la sua massima inclinazione positiva. Simbolicamente questo fenomeno è
rappresentato dalla stella a sei punte dove il triangolo di Fuoco e il triangolo
dell’Acqua si incrociano.
Nella tradizione occulta l’incontro del Sole nella casa della Luna conduce alle
nozze tra i due astri. Il fuoco e l'acqua, si univano così come la luce e l'ombra, il
maschio e la femmina, il positivo e il negativo: quando tutto si fondeva, si
otteneva un "matrimonio divino" e si generavano energie positive e benefiche
sull'intero pianeta. Facile intuire come l'evento suggerisse una serie di pratiche
magiche e di celebrazioni. L'umanità omaggiava il Sole, fonte e simbolo
principale della vita e del divino, che si ergeva in tutto il suo splendore.
Con il Solstizio d'Estate entriamo nell'elemento acqua, non solo
astrologicamente (si entra nel segno zodiacale del cancro). Gli antichi
celebravano infatti l'agape d'acqua - il pranzo rituale - come espressione
dell'interiorità dell'uomo che, proprio come un liquido, si riversa all'esterno
mostrando cosa sia maturato durante l'inverno. In primavera,
simbolicamente, si raccolgono i frutti del lavoro interiore svolto in
precedenza, proprio come gli alberi in estate producono i propri frutti. E' in
questo momento che si aprono le porte del Regno delle Acque Superiori, il
regno della Luna e delle forze che la Grande Madre rappresenta: tesori
sommersi ma anche insidie e trappole che si celano nel nostro inconscio
(vedi i riti di allontanamento della strega ora vista come insidia, attraverso
l’esposizione delle scope di saggina la notte di San Giovanni). Intorno a
questa data sogno e realtà si confondono poiché il mondo conscio,
rappresentato dal Sole, e quello inconscio, rappresentato dalla Luna, sono
messi in comunicazione. Il Fuoco e l'Acqua sono gli elementi purificatori
che rappresentano il Solstizio d'estate: da sempre si usa bagnarsi nelle
acque dei fiumi o dei laghi e accendere fuochi su cui saltare per purificarsi.
Nell’antica Cosmologia tradizionale, la luna simboleggiava la memoria delle cose passate o perdute, e si diceva che ciò
che è perduto sulla terra si ritrova sulla luna. È così, per esempio, che nell’Orlando Furioso, l’Ariosto narra la storia del
cavaliere che va sulla luna a cercarvi la ragione di Orlando impazzito per amore.
Ma non fu proprio il nome assegnato al Battista il motivo grazie al quale il padre potè riacquistare la parola perduta?
Giovanni si ricollega al ritrovamento di ciò che è perduto, la parola, il verbo. Egli è giunto per destare gli animi e prepararli
all’arrivo del verbo, il logos, Gesù. “In principio era il verbo” .... dirà poi l’altro San Giovanni, l’Evangelista.
Nella tradizione evangelica si legge che il padre Zaccaria e la madre Elisabetta, anziani sposi, pregavano il Signore
perché desse loro un figlio. Un giorno a Zaccaria, apparve l'angelo Gabriele che gli annunciò che Elisabetta avrebbe
partorito un bambino al quale avrebbe dato il nome di Giovanni. L'arcangelo aggiunse pure che questo bambino, pieno di
Spirito Santo fin dal seno della madre, sarebbe stato grande al cospetto di Dio, avrebbe convertito molti figli d'Israele al
Signore e con la potenza di Elia avrebbe preparato un popolo ben disposto per la venuta dei Signore. Zaccaria fu turbato e
non credette alle parole dell'angelo che lo rese muto fino alla nascita dei bambino. Elisabetta puntualmente diede alla luce
un bambino che i sacerdoti volevano chiamare come il padre, ma volendo la madre chiamarlo Giovanni, chiesero quindi a
Zaccaria che nome mettere al bambino ed essendo quello muto chiese una tavoletta sulla quale scrisse "il suo nome e'
Giovanni": in quell'istante Zaccaria riacquistò la parola e cominciò a benedire Dio.
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Gli antichi indicavano i due solstizi come porte, quello invernale come porta degli dèi e quello d’estate come porta degli
uomini. Se ne ha una testimonianza nel misterioso antro di Itaca descritto da Omero, al cui interno si aprivano due porte:
l’una, rivolta a nord (“a Borea”, cioè a nord dell’equatore celeste, posizione in cui il sole si trova al solstizio d’estate), era
appunto indicata come discesa degli uomini, mentre l’altra, rivolta a sud (“a Noto”) “non la varcano gli uomini, ma è il
cammino degli immortali”.
Solstizi, dunque, come porte, simboli del passaggio e del confine tra al-di-qua e al-di-là, tra spazio-tempo e “oltre” non
misurabile. Non è un simbolismo esclusivamente greco; piuttosto, quella cultura sembra raccogliere una conoscenza
tradizionale che affonda le sue radici in realtà di tipo iniziatico.
Le porte assumono il ruolo di passaggi e, nel caso dei Solstizi, divengono passaggi ciclici, che si ripetono ogni anno e
simboleggiano l'entrata in mondi diversi. Con il Solstizio d'Estate, attraverso la “Porta degli Uomini” si entra nel mondo della
genesi e della manifestazione. Infatti, non a caso ci troviamo all'inizio dell'Estate, periodo in cui la natura manifesta la
massima espressione di se stessa.
Nella simbologia greco-latina, le porte solstiziali sono rappresentate dal
dio Giano bifronte. Questo perché il solstizio d'estate evidenzia, da un
lato, il punto massimo (zenith) del Sole nel suo cammino sulla volta
celeste ma, dall'altro lato, è anche il punto d'inizio della sua fase
discendente. Allo stesso modo, il solstizio d'inverno sottolinea l'inizio
della sua fase ascendente. Se poi guardiamo l'etimologia latina del
nome Giano, vediamo che Ianus deriva dalla radice indo-europea y-a,
da cui il sanscrito yana (via), il latino ianua (porta) e il gaelico ya-tu
(guado). Il dio Giano diventa allora “Colui che conduce da uno stato
all'altro"; quindi, anche l'iniziatore. Giano era, in senso generale, il
custode (Ianitor) delle porte ed esercitava la sua influenza su ogni
passaggio e su ogni inizio o principio. A lui erano consacrati il primo
mese dell'anno, l'inizio di ogni mese, di ogni giorno e di ogni attività.
In quanto divinità solare, Giano aveva il controllo delle Porte del Cielo
(Januae caelestis aulae) che il Sole apre all'alba e chiude al tramonto,
così come all'inizio e alla fine dell'anno solare. Nel ciclo giornaliero
attraverso la Porta del Cielo di Oriente entra il Sole per dare inizio al
giorno, attraverso quella di Occidente il Sole esce al tramonto.
Nel ciclo annuale Giano apre e chiude le Porte Solstiziali, attraversando
le quali il Sole dà inizio alle due metà, ascendente e discendente, del
percorso annuale.
Janus – Musei Vaticani
Uno dei simboli più interessanti che si collegano in qualche modo allo Zodiaco - e in particolare ai due segni che
racchiudono il momento del Solstizio - è quello della “caverna cosmica e dell’Uovo del mondo” che indicano la
possibilità di accesso all’iniziazione dell’uomo. L’entrata e l’uscita dalla Caverna cosmica avviene attraverso le due
porte: la “porta degli uomini” legata al solstizio d’estate e al segno del Cancro e la “porta degli Dei”, legata al solstizio
d’inverno e al segno del Capricorno. La caverna cosmica, dice Guénon deve essere considerata come un simbolo di
iniziazione: è legata al simbolo del “cuore” come centro, ovvero come “luogo della manifestazione dell’essere”, l’”Uovo
del Mondo”, un luogo in cui l’essere, dopo essersi manifestato nello stato di umanità, in uno stato di “avviluppamento
delle sue potenzialità”, deve dispiegarsi per giungere ad un altro stato di manifestazione che gli consentirà l’eterna
evoluzione dopo una trasformazione, dopo di che non vi sarà più bisogno di una nuove incarnazioni terrene.
Letta in questo modo, la porta degli Dei, può essere considerata come un’uscita definitiva dalla condizione di
assoggettamento alla legge del Karma che induce all’eterno ritorno - mentre la porta degli uomini è più che altro un’
entrata attraverso la quale si accede e si esce tantissime volte prima di potersi elevare al punto di uscire
definitivamente dall’altra porta, quella degli Dei appunto.
La Porta degli Dei può però anche rappresentare una “entrata volontaria” da parte di Esseri che hanno già raggiunto
uno stato di evoluzione superiore e che si sono già liberati dall’obbligo di dover scendere nel mondo della
manifestazione : è questo il caso di Gesù, Buddha ed altri che nascono il giorno del solstizio d’inverno a mezzonotte,
momento in cui c’è simbolicamente il massimo del buio che precede la rinascita della luce.
Anche se questo tipo di conoscenza ha sicuramente una radice più antica, tant’è vero che non è spiegato in nessun
testo il momento in cui si è cominciato a pensare alle due porte e al mito della Caverna, nella filosofia greca i pitagorici
avevano costruito una vera e propria teoria sui rapporti particolari tra lo Zodiaco con i due segni solstiziali e la
migrazione delle anime. Numenio, seguace di Pitagora, viene considerato colui che ha dato nome alle due porte
chiamate anche “punti estremi del cielo”. Secondo Numenio, la porta del Cancro corrispondeva alla “caduta o discesa
delle anime sulla terra”, mentre quelle del Capricorno corrispondeva alla possibilità di ascensione delle anime
nell’etere. Questo spiegherebbe anche il mito cristico della “resurrezione e dell’ascensione al cielo”.
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Nei miti latini è molto forte il simbolismo di Giano che è il personaggio che apre e
chiude le due porte del ciclo annuale con il suo strumento privilegiato: “le chiavi” ;
lui infatti possiede le fatidiche chiavi che simbolicamente consentono l’accesso da
una porta all’altra... o la definitiva uscita da quella degli Dei. Giano è un
personaggio mitico: è un mostro con due teste “definito bifronte” e, i suoi due volti
rappresentano nella tradizione il passato e il futuro, ma possono rivolgersi da un
lato o dall’altro. Da un punto di vista psicologico se colleghiamo la figura di Giano
ad una funzione specifica della psiche possiamo intenderla come la possibilità
che tutti noi abbiamo di aprire la porta verso il “futuro, crescita, individuazione”,
ovvero di entrare in contatto con la sfera transpersonale.. (la seconda faccia di
Giano), oppure rimanere esclusivamente relegati nella sfera dell’Io (la prima
faccia di Giano), che ci imprigiona dentro al passato. Giano viene infatti spesso
associato astrologicamente alla figura di Saturno che rappresenta la possibilità di
permettere all’Io di autotrascendersi riconoscendo ciò che c’è oltre a sé stesso.
Saturno è anche il signore del Capricorno e quindi in un certo senso, il reggente
della Porta degli Dei… e del solstizio d’inverno; l’astrologia karmica lo definisce
anche “il signore del karma”.
Giano bifronte: testa marmorea
del II secolo d.C. Antiquarium
del Complesso Museale di San
Francesco a Trevi
E’ però interessante il fatto che a Giano venga
anche attribuita una terza faccia, quella che sta
tra il passato e il futuro, che possiamo vedere
come una fase di trasformazione che,
consentirà l’accesso “forse definitivo” ad una
condizione di eternità; in ogni caso, questo
terzo volto del personaggio è invisibile. Le
porte che governa Giano riguardano il ciclo
annuale: è lui che le apre e le chiude e
ovviamente è sempre lui che concede – se lo
ritiene possibile - l’accesso al regno dei cieli.
Giano era considerato anche il Dio
dell’iniziazione.
Nel Cristianesimo le feste solstiziali di Giano sono state
collegate entrambe ad un San Giovanni, cosa intuibile anche per
la somiglianza fonetica tra i due termini Ianus e Iohannes, (la
prima al Battista e la seconda all’Evangelista) e, anche se oggi
non ne comprendiamo più il significato, il fatto che entrambe
siano legate ad un santo con lo stesso nome, affonda la sua
radice nel simbolismo di Giano bifronte. I due solstizi anche se
simbolicamente sembrano avere un significato opposto a quello
che potrebbe sembrare nella realtà, sappiamo che non è così:
infatti, anche se il Solstizio d’Estate sembrerebbe il trionfo della
Luce, mentre quello l’Inverno è in piena oscurità, è però
abbastanza facile comprendere che, da un punto di vista
esoterico, ciò che ha raggiungo il suo massimo non può che
decrescere e quindi, proprio per questo, il solstizio d’estate
viene visto come la porta “inferiore.. umana”, mentre quello
d’inverno è il momento in cui la luce può riprendere a salire e
quindi più collegata al divino e al cielo.
Il nome di Giovanni, interpretato nel Medio Evo come "Grazia del Signore", viene collegato da Guenon alla parola ebraica
hanan, col doppio senso di misericordia e di lode per cui i suoi due significati di "misericordia di Dio " e di "Lode di Dio "
corrisponderebbero alle direzioni discendente e ascendente delle due metà del ciclo annuale, in quanto la misericordia
scende da Dio sugli uomini, mentre la lode sale verso la divinità.
Nell'immagine giovane e imberbe dell'Evangelista emerge il
volto bello e giocondo di Giano, simbolo del Solstizio d'Inverno,
della Via ascendente e del Futuro, mentre nella figura del
Battista si ripropone la faccia barbuta e accigliata del Dio in
rapporto al Solstizio d'Estate, alla Via discendente ed al
Passato.
Nel Bifronte si rifletterebbe la concezione platonica dell'anima
umana: il volto giovane e bello simboleggerebbe l'aspetto
divino dell'anima, attratta verso Dio e splendente di immutabile
bellezza; la faccia vecchia rappresenterebbe l'attenzione rivolta
alle cose del mondo che, in quanto soggette al divenire, sono
destinate ad invecchiare.
Salomè con la testa del Battista. Caravaggio 1607
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Il dramma cosmico della morte e della rinascita del Sole che segna nel corso dell'anno l'avvicendarsi delle stagioni e del
ciclo della vegetazione e simboleggiato dalle vicende di Dei come Osiride, Adone, Dioniso. Lo stesso avvicendarsi di vita e
morte, di luce e tenebre, si svolge nel ciclo giornaliero. Osservando che ad ogni morte del Sole, della luce e della
vegetazione segue la rinascita, l'uomo deduce che gli tocca la stessa sorte per il valore universale delle leggi cosmiche. In
tal senso i Solstizi acquistano anche per l'uomo significati in riferimento al destino della anima oltre che al naturale
perpetuarsi della vita sulla Terra.
Nel mito cristiano, i due San Giovanni hanno preso esattamente il
posto di Giano nella sua signoria sui due solstizi. Nel Medioevo
addirittura i due solstizi venivano collegati a “Giovanni che
piange” e “Giovanni che ride”, anche questa una
rappresentazione molto simile ai due volti di Giano: il Giovanni
che piange è quello che implora la misericordia di Dio (ovvero san
Giovanni Battista), mentre il Giovanni che ride è quello che gli
rivolge le sue lodi (ovvero San Giovanni Evangelista). Il Battista
chiude l’antica Legge e annuncia la Rivoluzione Cristiana.
L’Evangelista chiude il Libro del Mondo con l’Apocalisse e
annuncia il secondo avvento. Il Battista si riferisce alla linea
orizzontale. Infatti Isaia così profetizzava la missione del Battista:
"Si colmi ogni valle, ogni monte o colle si abbassi". E al piano
orizzontale si riferisce l’acqua battesimale; aspetto livellato, che
corrisponde al passivo, al passato, alla luna, alla conservazione
delle cose. Inversamente, l’Evangelista si riferisce alla Verticale.
Egli sta sul Monte della Trasfigurazione, sul Monte degli Olivi e
sul Calvario . "Che dici di te stesso? " – "Voce di uno che grida
nel deserto; preparate la via al Signore". È forse per questa
risposta che in alcuni ambienti esoterici si attribuisce l’emblema
del Gallo al Battista e l’Aquila all’Evangelista? Senza dubbio,
poiché il Gallo canta all’alba, nel deserto della notte, per
annunciare la venuta della Luce, proprio come il Battista gridava
nei luoghi deserti per annunciare l’approssimarsi della Vera Luce.
A seconda dei calendari, la data del Solstizio d’Estate è stata
mutevole, oscillando comunque sempre in un periodo compreso
tra 19 e 25 Giugno, nelle tradizioni precristiane considerato un
tempo sacro. Il Cristianesimo vi colloca, il giorno 24, la festa di
San Giovanni Battista, strettamente collegata al Natale romano
sulla cui data fissata al 25 Dicembre venne calcolata
l’Annunciazione e, di conseguenza (basandosi sui Vangeli) la
natività del Battista, festa “anomala” (il dies natalis dei santi è
infatti quello della morte) ma giustificata come eccezione su basi
evangeliche.
La scelta del 24 Giugno fonde la narrazione evangelica di Luca
(che narra come Maria, nei giorni successivi all’Annunciazione,
andasse a visitare Elisabetta quando costei era al sesto mese di
gravidanza) con un evento celeste: il 24 giugno, infatti, il sole –
appena superato il punto solstiziale – inizia a decrescere
sull’orizzonte, inaugurando il semestre del sole discendente che
si conclude con il solstizio d’inverno. Allora l’astro (soprattutto a
latitudini nordiche) sembrerà morire e quasi dissolversi tra le
brume per poi rinascere come “sole nuovo” iniziando a risalire il
cielo.
Il sole di San Giovanni, che comincia a volgersi verso il sud dello
zodiaco e a calare all’orizzonte, è dunque un sole “colpito a
morte”, un sole che muta direzione. Il Battista decollato, che il
folklore chiama anche “Giovanni che piange” a causa del suo
destino, è colui che introduce gli esseri nella “caverna cosmica”
e si identifica con il sole del solstizio d’estate attraverso le sue
stesse parole note attraverso il testo evangelico: “Non sono io il
Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui… Egli deve
crescere ed io invece diminuire”
San Giovanni Evangelista. Leonardo
Da Vinci – Museo Louvre. Parigi
“Giovanni comparve nel deserto, battezzando e
predicando un battesimo di ravvedimento, per il
perdono dei peccati. E tutto il paese della Giudea
e quelli di Gerusalemme andavano a lui, ed erano
tutti battezzati da lui nel fiume Giordano,
confessando i loro peccati.” (Mc. 1,4-5). Giovanni
predica un Battesimo di penitenza. L'abluzione
rituale (cioè l'immergere nell'acqua) era una
cerimonia diffusa in molte altre religioni e anche
nella religione ebraica dell'epoca, ma Giovanni
trasforma questo atto spesso esteriore in una
scelta religiosa: per ricevere il Battesimo è
necessaria la conversione del cuore per il perdono
dei peccati.
Marco, poi, ha elaborato in senso cristiano la
predicazione del Battista: afferma, infatti, che il
dono battesimale portato da Cristo sarà lo Spirito
Santo: opera già qui la teologia cristiana del
battesimo. Vi è in Giovanni il Battista un annuncio
in termini temporali di quel che accadrà, giungerà
infatti il fuoco purificatore, Gesù con lo Spirito
Santo. Lui è e rappresenta l’acqua, il battesimo
rituale. Il Solstizio d’Estate è infatti, come visto più
volte una festa d’acqua che raccoglie in sé un
annunzio di fuoco. Il matrimonio sacro tra Sole e
Luna e acqua e fuoco ritornano ancora anche
attraverso la lettura delle sacre scritture.
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CONFERENZE, EVENTI
ALLA RISCOPERTA DEL
NOSTRO TERRITORIO
19 Settembre 2009
Sala Polivalente Volpiano (TO), Via Trieste n°1
INAUGURAZIONE ATTIVITA’ SECONDO SEMESTRE 2009
Torino dalla mitologia all’esoterismo
Relatore: Fabrizio Diciotti, Presidente Gruppo Archeologico Torinese (GAT)
Ingresso libero
RIFLESSIONI SULL’UOMO
31 OTTOBRE 2009
“GIORNATA DI RIFLESSIONE SUL DOLORE E LA SOFFERENZA”
Volpiano (TO), Sala Polivalente. Via Trieste n°1
Tavola Rotonda
“Alimentazione / idratazione e sofferenza alla fine della vita”
Moderatore: Oscar Bertetto
Intervengono:
Pierpaolo Donadio, Domenico Gioffrè, Maurizio Mori, Michele Piccoli, Paola Piscozzi, Daniele Saglietti,
Ermis Segatti, Furio Zucco.
PROGRAMMA DEFINITIVO scaricabile dal sito www.volpianomedievale.it alla pagina EVENTI
INGRESSO GRATUITO
FINO AD ESAURIMENTO POSTI PER LA CITTADINANZA
ACCREDITATO ECM PER MEDICI ED INFERMIERI SU ISCRIZIONE
CORSO DI SCRITTURA GEROGLIFICA
Novembre 2009
Relatore: Federico Bottigliengo (Egittologo)
Iscrizione obbligatoria. Il corso si svilupperà in tre incontri
(a breve i dettagli per le iscrizioni)
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ATTIVITA’ ASSOCIATIVE 2009
ATTIVITA’ DI PROMOZIONE DELLA SALUTE
Il Circolo Culturale Tavola di Smeraldo promuove due attività di prevenzione destinate alla cittadinanza.
Giornata di prevenzione Ulcer Day
L’Associazione Italiana Ulcere Cutanee organizza la seconda edizione della giornata di formazione e informazione
sulle ulcere cutanee. La manifestazione si svolgerà il 7 Novembre 2009 dalle 09:30 c/o Ambulatorio Medico Furlini, Via
Carlo Alberto n°37 Volpiano (TO). In quell’occasione sarà possibile ricevere informazioni sulla patologia ulcerativa
cutanea e visite specialistiche da personale sanitario aderente ai principi della Associazione Italiana Ulcere Cutanee.
PREMIO “ENRICO FURLINI”
RIFLESSIONI SUL DOLORE E LA SOFFERENZA 1° edizione 2009
Il Circolo Culturale Tavola di Smeraldo istituisce e dirige il Premio Regionale “Enrico Furlini - Riflessioni sul
dolore e la sofferenza”.
Il Premio si propone di tributare un omaggio al Dr. Enrico Furlini, Medico di Famiglia e Presidente del
Consiglio Comunale di Volpiano, scomparso il 1 Dicembre 2008, ricordandone la grande attenzione
dimostrata nei riguardi dei suoi assistiti e dei cittadini Volpianesi durante i suoi 26 anni di attività come medico
e politico.
Il Concorso intende richiamare l’attenzione e promuovere una cultura della lotta contro il dolore e la
sofferenza inutili. Il dolore infatti deve essere gestito dalle sue prime manifestazioni al fine di alleviare
sofferenze gratuite che vengono patite inutilmente da molte persone, sia in termini fisici che psicologici.
Parlare di dolore in termini diversi, che non siano quelli specifici della medicina e della sanità, ma quelli della
poesia, della storia, dell’anima con l’obiettivo di avvicinare le persone e gli operatori sanitari a una realtà
spesso trascurata che si colloca “nella persona” e non nella malattia.
IL BANDO COMPLETO, IL MODULO D’ISCRIZIONE ED EVENTUALI AGGIORNAMENTI O MODIFICHE SONO
SCARICABILI DAL SITO www.volpianomedievale.it
Scadenza per la presentazione dei lavori 14 Settembre 2009
Circolo Culturale Tavola di Smeraldo
Via Carlo Alberto n°37 10088 Volpiano (TO)
Tel. 335-6111237 / 333-5478080
http://www.volpianomedievale.it
mail: [email protected]
Comitato Scientifico:
Sandy Furlini, Paolo Cavalla,
Katia Somà, Roberta Bottaretto
Collaboratori:
Antico Egitto: Federico Bottigliengo
Stregoneria in Piemonte: Massimo Centini
Medioevo Occidentale e Crociate: Francesco Cordero di Pamparato
Storia dell’Impero Bizantino: Walter Haberstumpf
Archeologia a Torino e dintorni: Fabrizio Diciotti
Fruttuaria: Marco Notario
Antropologia ed Etnomedicina: Antonio Guerci
Psicologia e psicoterapia: Marilia Boggio Marzet
Etica della cura del dolore: Domenico Gioffrè
ISCRIZIONI AL CIRCOLO CULTURALE
TAVOLA DI SMERALDO
Collegandosi a www.volpianomedievale.it,
nella sezione CONTATTI è possibile
scaricare la modulistica predisposta per
l’iscrizione.
Ogni aspirante socio dovrà compilare in tutte
le sue parti i moduli predisposti ed inviarli al
Presidente. La quota associativa per l’anno
2009 è stata fissata dal Consiglio Direttivo
pari a €50.
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