fine dell`anno, fine della vita. la tragedia anoressica di

Transcript

fine dell`anno, fine della vita. la tragedia anoressica di
Published in www.psiconline.it 2010, www.edizioni-psiconline.it 2010 e www.anthropos1987.org 2011.
FINE DELL’ANNO, FINE DELLA VITA.
LA TRAGEDIA ANORESSICA
DI ISABELLE CARO
Luciano Peirone
Elena Gerardi
L’esile, fragile modella non c’è più. Se n’è andata in chiusura d’anno (17 novembre, ma la
notizia pubblica è del 29 dicembre), in chiusura di vita. Al termine di soli ventotto anni: una
vita breve, spezzata, ma soprattutto martoriata. Una vita aggredita da un male solo
apparentemente incurabile ed inguaribile, solo apparentemente esterno. In realtà: interno,
curabile e guaribile. Difficile, certamente. Faticoso da gestire. Ma si può fare molto: se preso in
tempo, e con decisione.
L’anoressia consuma. Non sempre uccide; ma ci prova. Mentalmente, inconsciamente,
l’anoressico ci prova. E ci prova con livore e aggressività e distruttività.
A distanza, lo psicologo, lo psicoterapeuta, il medico, il nutrizionista, il clinico non possono
dire granché su chi non è stato un loro paziente. Non possono e non debbono entrare in
particolari che non conoscono di prima mano. Ma non possono tacere, non debbono tacere
sugli aspetti generali del disturbo anoressico: altrimenti si rischia di non fare informazione, di
non fare prevenzione, al limite si rischia - indirettamente - l’“omissione di soccorso” per chi è a
rischio (e non ne è consapevole).
Isabelle: non solo “anoressia” (mancanza di appetito), anche “cachessia” (stato di grave
deperimento organico). Morire a ventotto anni, di consunzione, di starvation, di anoressia
adolescenziale ormai divenuta (nella mai raggiunta fase adulta) cachessia.
Cachessia: cattiva disposizione, ovviamente nei confronti del cibo, ma probabilmente anche
nei confronti della Vita Affettiva, dell’Amore, della Tenerezza verso di sé e verso gli altri.
Dal greco “kakós”: e quindi “cattivo”, nei variegati significati di malato, pieno di Male,
malevole. Inoltre, prigioniero (“captivus”, in latino), prigioniero della malattia, e anche cattivo,
nel senso emozionale ed affettivo: ci si tormenta il corpo, ci si tormenta l’anima, si aggredisce
rabbiosamente se stessi (e anche gli altri). È un suicidio differito.
È anche una richiesta di aiuto; è anche una richiesta di amore: però, purtroppo,
spesso, due richieste mal poste dalle persone malate, due richieste non ascoltate e non capite
dalle persone sane.
Isabelle: dati statistici (e clinici). Dati brutali. Dati e concetti che fanno riflettere, che
devono far riflettere. Peso: Kg. 31. Altezza: m. 1,64. IMC (Indice di Massa Corporea): 11,48.
Ma cinque anni fa, con conseguente stato di coma, era giunta a pesare (!?) Kg. 25 (IMC =
9,26!). Quando la diagnosi di anoressia viene formulata con un IMC al di sotto di 17,50!
Come si può sopravvivere, con questi dati organici? Come si può negare il tremendo
attacco (fisico e psicologico) al proprio corpo, alle proprie emozioni, alla propria psiche, alla
propria vitalità? Come si possono ignorare la rabbia e l’odio contro tutto, contro tutti? Come si
fa a non comprendere il poderoso Senso di Morte che possiede l’anoressico conclamato?
L’anoressico non è libero: è “posseduto”. È posseduto dalla propria malattia, dalla quale
pesantemente dipende. Come si fa a trascurare la Morte perseguita con metodica ed ossessiva
precisione?
Adieu Isabelle, che avevi fatto della tua personale anoressia la tua personale battaglia,
mediante lo slogan “Bisogna smetterla di sacralizzare la magrezza”.
Adieu Isabelle, la petite fille qui ne voulait pas grossir. Che non voleva ingrassare, che
non voleva ingrossare, che non voleva diventare grande, che non voleva crescere.
Adieu Isabelle, il tuo choccante messaggio mediatico non è servito a te stessa. Ma potrebbe
servire ad altri.