la colonia italia all`ombra del delitto moro

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la colonia italia all`ombra del delitto moro
LA COLONIA ITALIA ALL'OMBRA DEL DELITTO MORO
Martedì 23 Ottobre 2007 14:32
di Sara Nicoli
E' costume ormai sedimentato, tra gli italiani, la disillusione. Sappiamo per certo tutti, come se
fosse innestato nella spirale del nostro dna, che non conosceremo mai la verità sui fatti che
hanno insanguinato la nostra storia negli ultimi vent'anni. Rivelazioni a singhiozzo - e spesso
veicolate ad arte - impediscono la maggior parte delle volte di avere un quadro, se non
completo almeno abbastanza chiaro, di cosa accadde davvero nel decennio che i libri di storia,
in modo un po' semplicistico, racchiudono nel capitolo “anni di piombo”. Ancora oggi, insomma,
ci si chiede chi fossero davvero le Brigate Rosse, chi armasse la loro mano e quali personaggi
ruotassero dietro le quinte per impedire che un preciso disegno politico prendesse piede nel
Paese, scalzando l'allora stato delle cose. Il punto più alto di questa sordida battaglia fu
l'omicidio di Aldo Moro. E ora, a distanza di vent'anni, Giovanni Galloni, nel '78 vicesegretario
della Dc, corrente di sinistra e animatore, dopo la morte dello statista, della corrente
postmorotea dello scudocrociato, tira fuori con colpevole ritardo, una verità tragica. Di sicuro
intuibile per chi, all'epoca, era capace di leggere la fragilità degli equilibri internazionali alla luce
dell'azione riformatrice del compromesso storico di Moro, ma certamente lontani dalle
possibilità di comprensione dei cittadini comuni. “La prigione di Moro non era quella che le Br
hanno dichiarato – ha svelato Galloni durante la presentazione di un libro – gli americani
sapevano dove era quella vera. Questo lo so con certezza”. Dove, forse, scopriremo che in
Italia, nel '78, ci fu una sorta di “golpe”, come racconta in un suo libro anche Giuseppe De
Lutiis, compiuto da chi vedeva in Moro e nella sua politica di solidarietà una minaccia
all'egemonia del patto Atlantico sul Mediterraneo. “La verità – sostiene Galloni - la sapremo solo
quando cadrà il segreto sui documenti conservati a Washington”. Succederà tra trent'anni.
Quando, forse, non interesserà più a nessuno capire come questo Paese sarebbe potuto
essere diverso.
Gli Stati Uniti, com'è ormai noto, temevano come la peste una repentina svolta a sinistra della
“colonia” Italia. E secondo “l'ex ufficiale di collegamento tra la Democrazia Cristiana e il
Viminale”, come Francesco Cossiga definisce Galloni, dovevano essere al corrente degli
interna corporis
della vita politica italiana, visto che il suo nome è ampiamente citato in alcuni rapporti di
Washington. “In uno di questi - ha spiegato- l'ambasciatore Usa rimprovera Fanfani di non aver
assunto provvedimenti disciplinari nei confronti di noi “basisti” che avevamo aperto a sinistra”.
Quanto al sequestro Moro, Galloni, che sta per dare alle stampe un suo libro sulla vicenda, ha
ricordato che il 5 maggio 1978, quattro giorni prima dell'esecuzione dell'ostaggio da parte delle
Brigate Rosse, si incontrò con Amintore Fanfani. “Mettemmo a punto la riunione del 9 maggio.
Egli disse: la figura di Moro come uomo politico è distrutta, l'unica cosa che dobbiamo fare è
salvargli la vita”. Ma come? “Qui ci sono misteri enormi” - ha aggiunto l'ex vicesegretario Dc -
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L'8 aprile il generale del Sid, Vito Miceli, partì per un viaggio misterioso a Washington dove
prese contatto – ha ricordato ancora - con grossi esponenti della Cia. In quella sede si disse
che bastava scoprire il covo dove Moro era prigioniero”.
Gli Usa sapevano dove le Br tenevano rinchiuso Aldo Moro? “I servizi segreti sanno tante cose
più dei giudici”, ha ribadito, per chi non lo sapesse ancora, Rosario Priore, l'ex giudice istruttore
dell'inchiesta sulla strage di via Fani e l'omicidio del presidente Dc. “Posso dire – ha aggiunto che il capo della Stasi, il servizio segreto della ex Germania est, Markus Wolf, assicurò i nostri
governanti che il Mossad, il servizio segreto israeliano, ci avrebbe consentito di riavere Moro
vivo. Ai tempi, insieme a Ferdinando Imposimato, abbiamo cercato di interpretare i messaggi
delle Brigate Rosse e dare una dimensione internazionale al sequestro di Moro. La tecnica del
suo rapimento è la fotocopia del rapimento Schleyer da parte della Raf in Germania. Vi erano
contatti
continui tra le due organizzazioni. La Rote Armee Fraktion nel 1978 non mette a segno alcuna
azione. Riprenderà soltanto nel 1979, dopo la conclusione dell'operazione Moro”.
A dimostrazione del fatto che spesso i giudici sono ultimi a sapere, Priore ha citato Dario
Conforto, l'agente del Kgb la cui identità è stata svelata dal dossier Mitrokhin. “Nè io nè
Imposimato sapevamo che Conforto fosse un uomo al servizio della Lubianka, ma altri ne erano
a conoscenza. Eppure contrattò la salvezza della figlia, che ospitava in casa Valerio Morucci e
Adriana Faranda, con la consegna dei due esponenti della colonna romana delle Br”. Nè Priore
nè Imposimato seppero dunque mai che il controspionaggio del Sismi, già nel 1978, aveva
avviato un'inchiesta sul direttore d'orchestra ucraino Igor Markevitch. “Qualcuno ha escluso
dalla conoscenza dei giudici - è il parere dell'ex giudice istruttore- quello che si stava
accumulando su palazzo Castani”.
Sull'evoluzione del sequestro di Aldo Moro gli apparati, a giudizio di Giovanni Pellegrino, ex
presidente della Commissione stragi, “hanno certamente influito; del resto le Brigate Rosse
sono smentite dallo stesso Moro: quello ritrovato nella Renault rossa in via Caetani non era il
corpo di un uomo tenuto per 55 giorni in un buco dove non poteva neanche lavarsi. Fu
prigioniero in condizioni diverse e in un luogo diverso”. A differenza di Giovanni Galloni, l'ex
presidente della Commissione stragi, non nutre molte speranze che un giorno si venga a
sapere di più sull'affaire Moro. “Il colonnello del Sismi, Umberto Bonavenura, ci venne a dire
che dal covo di via Montenevoso a Milano, vennero portate via le carte di Moro, fotocopiate e
poi restituite. Interrogato successivamente dalla procura di Roma, Bonaventura, poi morto
suicida, cambia versione. C'è uno spazio di opacità su cui non si vuole veramente fare luce”.
Quelle carte sarebbero finite nelle mani del generale Dalla Chiesa. Si tratta dei famosi
memoriali di Moro di cui, fino ad oggi, è stata trovata solo una parte. O, almeno, questo è il
pensiero corrente.
E non sarebbe neppure vera la ricostruzione secondo cui Moro, fino all'ultimo, avrebbe
pensato che gli sarebbe stata risparmiata la vita. Al contrario, secondo il senatore diessino
Massimo Brutti, componente del comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, “Moro
sapeva che la sua sorte era segnata dall'inerzia del potere politico. Dopo il 16 marzo si apre la
trattativa tra i sequestratori e lo Stato. Come si concluse, non lo sappiamo”. “Forse - ha
osservato Brutti - con un forte finanziamento alle Br. Una cosa simile avvenne con il sequestro
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Cirillo. Nei giorni del sequestro Moro vi fu un'interferenza effettiva degli apparati dello Stato”.
Apparati deviati? La P2, all'epoca molto attiva come ha ricordato lo stesso Galloni? Certo, il suo
nitido ricordo dell'epoca fotografa un gruppo speciale, nel quale “tutti i principali responsabili dei
servizi dell'epoca erano affiliati alla loggia; in pratica era come se i servizi fossero comandati da
Licio Gelli”. E il caso Markevitch? “Sappiamo che tutto cominciò con una indagine del
controspionaggio del Sismi - ha raccontato ancora Brutti - ma tutto si perde nelle sabbie mobili.
Lo stesso Conforto è un enigma indecifrabile, un uomo che ha sempre fatto il doppio e triplo
gioco. Per non parlare di Senzani, che ha avuto rapporti con ambienti statunitensi e forse con lo
stesso Sismi”.
Ma è giusto che un Paese debba attendere che si siano succedute almeno tre generazioni dei
propri cittadini prima di conoscere la verità sulla propria storia? Gli americani, come è logico
credere, non tireranno mai fuori le carte, nemmeno tra cent'anni. Ma, forse, basterebbe
conoscere quelle che sono secretate negli archivi dei servizi segreti italiani per squarciare molte
nubi su un passato che, se non elaborato collettivamente, finirà per essere un veleno costante
nelle vene, fragili, della nostra democrazia. Intuendo che, forse, oggi i tempi sono abbastanza
maturi per poter far conoscere la verità ai cittadini italiani, Massimo Brutti ha lanciato una
proposta: allo scadere dei trent'anni, fissato come limite massimo alla durata del Segreto di
Stato, i servizi segreti rendano pubblici i loro documenti, quello che c'è di ancora conservato e
gli eventuali verbali di distruzione dei documenti. Siamo certi che una proposta come questa
incontrerà più di un ostacolo. I trent'anni dal delitto Moro sono troppo imminenti.
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