Opportunità d`Impresa ed Esclusione dal Credito: Il caso italiano

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Opportunità d`Impresa ed Esclusione dal Credito: Il caso italiano
Opportunità d’Impresa ed Esclusione dal Credito: Il caso italiano Rapporto RITMI (Rete Italiana della Microfinanza) Francesco Terreri, Microfinanza srl Luigi Galimberti Faussone, Microfinanza srl Con il supporto della Gli autori possono essere contattati scrivendo a [email protected] e [email protected]. 1
Indice Introduzione ........................................................................................................................................ 3 Capitolo 1: Una prospettiva globale .................................................................................................... 4 Credito e povertà: alcune riflessioni dal rapporto “Finance for All?” Esclusione sociale e finanziaria: Italia e Francia a confronto Quale ruolo per la microfinanza nel contesto europeo? L’esclusione finanziaria: modalità e conseguenze sociali. Alcune riflessioni in ambito europeo I mutui subprime: dalla crisi alla finanza etica Capitolo 2: Il contesto italiano .......................................................................................................... 10 Povertà ed esclusione finanziaria in Italia Il caso degli immigrati Inclusione e nuovo indebitamento Le conseguenze della crisi Il mercato dell’usura Capitolo 3: La microfinanza in Italia: il caso di RITMI ........................................................................ 19 Capitolo 4: Una stima del mercato potenziale della microfinanza in Italia ....................................... 22 Bibliografia e Sitografia ..................................................................................................................... 24 2
Introduzione Il rapporto “Opportunità di Impresa ed Esclusione dal Credito: Il caso italiano” è stato presentato da RITMI (Rete Italiana di Microfinanza) in occasione del convegno Microcredito in azione: buone pratiche per buone idee di impresa, Firenze, Palazzo Vecchio, 19 dicembre 2008. Con questa iniziativa, RITMI (Rete Italiana della Microfinanza) intende perseguire i suoi obiettivi strategici: a livello politico, dare maggiore visibilità al microcredito e alla microfinanza e, a livello operativo, contribuire alla crescita delle istituzioni di microfinanza ad essa appartenenti sul territorio italiano. Lo studio, le riflessioni e la ricerca sulle povertà, sull’esclusione finanziaria e sulla domanda di microfinanza, sono le motivazioni che stanno dietro a questo rapporto e costituiscono una delle attività principali di RITMI. Allo stesso modo, il confronto delle esperienze di microcredito, la messa in comune di buone pratiche, così come lo sviluppo di nuove iniziative di microfinanza caratterizzano l’operato della Rete. Questa ricerca nasce dall’esigenza di investire sulla microfinanza in un contesto caratterizzato da una crisi finanziaria di acuta gravità, che sta avendo e avrà ripercussioni sull’economia reale e, in particolar modo, sulle fasce più deboli della popolazione. Nel Capitolo 1 si presenta la problematica dell’esclusione finanziaria, sia nel contesto mondiale che in quello europeo e italiano. Si delinea quindi il ruolo della microfinanza per favorire una maggiore inclusione e si accenna agli sviluppi prodotti dalla crisi dei mutui subprime. Nel Capitolo 2 si analizza il caso italiano: dalle stime sull’esclusione finanziaria alla vicenda specifica degli immigrati, alla crescita della bancarizzazione e dell’accesso al credito, sia pur in forme che provocano effetti di segno opposto con l’esplodere della crisi. Nel Capitolo 3 vengono brevemente esaminate alcune stime sulla diffusione del microcredito in Italia e viene presentata la realtà di RITMI. Nel Capitolo 4, infine, si tenta una prima stima del mercato potenziale della microfinanza in Italia da qui a cinque anni, nell’ambito di una più generale «manovra» creditizia anticrisi e antiesclusione. 3
1. Una prospettiva globale L’esclusione finanziaria è un tema che sta acquistando sempre più rilevanza nell’opinione pubblica, nella comunità scientifica, ma soprattutto nelle politiche dei principali attori istituzionali nazionali e sovranazionali. Una tra le definizioni adottate è quella data dalla Commissione Europea, per cui per esclusione finanziaria s’intende “il processo per cui le persone incontrano difficoltà nell’accesso o nell’uso dei servizi finanziari e dei prodotti più diffusi sul mercato che sono appropriati ai loro bisogni e che permettano a queste persone di condurre una vita sociale normale nelle società a cui appartengono”1. L’analisi delle relazioni tra credito e povertà e tra esclusione sociale ed esclusione finanziaria, considerati in contesti di paesi con economie sviluppate e di paesi con economie in via di sviluppo, porterà a considerare la microfinanza in Europa come un prezioso strumento integrativo di welfare. Credito e povertà: alcune riflessioni dal rapporto “Finance for All?”2 Secondo la Banca Mondiale, “l’evidenza suggerisce che, non solo la finanza promuove la crescita, ma riduce il differenziale di reddito ed è, quindi, a favore dei poveri”3. La Figura 1 mostra come all’aumentare del rapporto tra credito privato e PIL, diminuisce la disuguaglianza in termini di reddito e ricchezza misurata dal coefficiente di Gini. Tale analisi è particolarmente significativa nei paesi con economie in via di sviluppo, in cui larga parte della popolazione è ancora esclusa dai servizi finanziari di base. Esclusione sociale e finanziaria: Italia e Francia a confronto Tuttavia, la relazione tra esclusione finanziaria ed esclusione sociale è evidente anche in altri contesti, come quello europeo. La Tabella 1 mette a confronto il contesto Figura 1 ‐ Credito e disuguaglianza del reddito Fonte: World Bank (2008), p. 11.
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Definizione utilizzata nel rapporto “Financial Services Provision and Prevention of Financial Exclusion” di marzo 2008 della Commissione Europea, p. 9. 2
World Bank (2008) Finance for All?: Policies and Pitfalls in Expanding Access, Washington, DC: The International Bank for Reconstruction and Development / The World Bank. La traduzione dall’inglese degli estratti riportati è dell’autore. 3
Ibid., p. 10. 4
francese e quello italiano. Il tasso di esclusione finanziaria in Italia mostra un dato molto alto, 16%, che tuttavia è in diminuzione rispetto a quello di precedenti analisi (29,6% nel 20054). A ciò, corrisponde una maggiore disuguaglianza economica rispetto alla Francia (36 contro 32,7), che invece ha un tasso d’esclusione finanziaria molto basso (2%). A supporto di questi dati, in Italia vi sono circa il 7% di famiglie a rischio di povertà, mentre in Francia sono meno del 3%. Traspare chiaramente da questo confronto, come l’esclusione finanziaria si manifesti assieme a quella sociale. Tabella 1 Italia Francia Indicatori e Fonti Famiglie a rischio di povertà 6,6% 2,8% Reddito inferiore al 40% del reddito mediano nazionale (OECD; OECD.Stat, ultimi dati disponibili, 2005) Esclusione finanziaria Disuguaglianza di reddito 16% 2% Stima dal rapporto Financial Services Provision and Prevention of Financial Exclusion (Commissione Europea, Marzo 2008) 36 32,7 Coefficiente di Gini: min 0 – max 100 (UNDP, Human Development Report 2007/2008) Quale ruolo per la microfinanza nel contesto europeo? Tuttavia, espandere l’accesso ai servizi finanziari alle fasce più deboli – in particolare, per quanto riguarda il credito – non è una strategia unanimemente condivisa. Secondo la Banca Mondiale, “fin qua l’evidenza sembra suggerire che la fornitura diretta di servizi finanziari ai poveri può non essere il canale più importante attraverso cui la finanza riduce la povertà e la sperequazione”5. Tali riflessioni non possono che condurre a una domanda centrale nella discussione sul ruolo della microfinanza: nei paesi con economie sviluppate, quale strumento per fare fronte alla povertà è preferibile? Il welfare o la microfinanza? Considerato che, perlomeno nel breve e medio periodo, le istituzioni di microfinanza (MFI, dall’inglese MicroFinance Institutions) in Europa non sono in grado di raggiungere la sostenibilità finanziaria, a differenza di numerose MFI nei paesi con economie in via di sviluppo, e che, quindi, dipendono da sussidi erogati da governi, fondazioni e privati cittadini (vedi Tabella 2), la Banca Mondiale chiede: “Se la finanza per i più poveri deve essere sussidiata, […] è la microfinanza il miglior modo di fornire quei sussidi?”6. Secondo il rapporto, “la risposta richiede la comparazione dei costi e dei benefici tra i sussidi per il settore finanziario e tra quelli in altri settori, quali l’istruzione e le infrastrutture”7. 4
United Nations (2006), Building Inclusive Financial Sectors for Development, p.14. Ibid., p. 11. 6
Ibid., p. 13. 7
Ibid., p. 14. 5
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Tabella 2 Paesi con economie in via di sviluppo Paesi con economie sviluppate Aree: Africa, America del Sud, Sud‐est Europa (EU‐15), America del Nord, asiatico, Asia centrale, Balcani Australia, paesi OCSE in genere Economie e diseconomie di scala: numero di clienti (es. Grameen Bank, i clienti attivi nell’EU‐25 sono 122.000, 6.7 milioni), portafoglio prestiti (es. mentre nel 2007 sono stati erogati Bank Rakyat Indonesia, 3,5 miliardi di prestiti per circa 400 milioni di euro dollari; l’ONG Al Amana in Marocco, 300 milioni di dollari) Tipologia di clienti: gli esclusi dal sistema finanziario (la poveri e migranti (persone con cattiva maggior parte della popolazione) o nessuna storia creditizia) Fonte: ultimi dati disponibili al 31/12/2007; ultimi dati disponibili al 31/12/2007; MixMarket.org 2008. EMN (2008) Overview of the Microcredit Sector in the European Union. Per le differenti caratteristiche dei contesti, le istituzioni di microfinanza (MFI) nei paesi con economie in via di sviluppo sono generalmente sostenibili (su un campione di 890 MFI nel mondo, la sostenibilità operativa media è del 110%; fonte: MixMarket, 2008), mentre nell’Unione Europea le MFI non sono attualmente sostenibili e, quindi, necessitano di finanziamenti esterni da soggetti terzi (istituzioni pubbliche e private) Conseguentemente, un passo fondamentale per la crescita della microfinanza in Europa è la quantificazione monetaria dei risultati dell’attività di microfinanza. Il valore prodotto da un micro‐
prestito (es. creazione di un posto di lavoro) può essere calcolato in base a quanto lo Stato avrebbe speso per assistere socialmente il beneficiario (es. sussidio di disoccupazione). Rendere possibile un paragone tra la microfinanza e il welfare permette alle MFI europee di dimostrare il loro valore sociale ed economico e, di conseguenza, di avere titolo per chiedere supporto alle pubbliche istituzioni affinché la loro attività venga sussidiata. Tale passo di vitale importanza è stato compiuto da ADIE (Association pour le Droit à l’Initiative Economique), una MFI francese leader in Europa, con 18.000 clienti attivi e circa 10.000 prestiti erogati nel 20078. ADIE ha calcolato in 2.000 euro il costo medio per sostenere la creazione di una micro‐
impresa, includendo tutti i costi operativi dei servizi finanziari e non finanziari. Anche aggiungendo un prestito degli enti locali per lo start‐up dell’impresa e tenendo conto del costo medio del rischio, il costo totale in termini di sussidi per le istituzioni pubbliche non eccede i 3.000 ‐ 3.500 euro. Al contrario, il 8
ADIE (2008) 20 Years of Microcredit in France: The Knowledge Gained through Adie’s Experience, Parigi: ADIE, p. 16. 6
costo di un disoccupato per lo Stato francese supera i 20.000 euro l’anno. Ogni impresa finanziata da ADIE ha creato una media di 1,2 posti di lavoro durante il periodo di start‐up. Alcune delle imprese create con il supporto di ADIE si sono sviluppate al punto di diventare clienti delle istituzioni bancarie e di creare decine di posti di lavoro. L’esclusione finanziaria: modalità e conseguenze sociali. Alcune riflessioni in ambito europeo Nel rapporto sulla fornitura dei servizi finanziari e la prevenzione dell’esclusione finanziaria, pubblicato nel 20089, la Commissione Europea sottolinea la profonda interazione tra l’esclusione sociale e quella finanziaria: “Se la prima quasi automaticamente conduce alla seconda, l’esclusione finanziaria fa parte di un processo che rafforza il rischio di far fronte all’esclusione sociale. Essere oggettivamente esclusi o sentirsi tali può avere origine o essere accresciuto dalla difficoltà di accesso o di utilizzo dei servizi finanziari”10. Quattro sono le aree fondamentali di accesso finanziario identificate nel rapporto11. La prima e più elementare forma di esclusione è la mancanza di accesso al sistema bancario nel suo complesso, in particolare per quanto riguarda le transazioni bancarie. Queste comprendono la ricezione regolare di pagamenti, quali stipendi, pensioni, sussidi pubblici, la possibilità di incassare assegni, di pagare le utenze elettronicamente, di pagare i beni non con denaro contante e, nel caso degli immigrati, di inviare rimesse12. Ciò viene considerato un bisogno universale nelle economie più sviluppate, come sono o stanno diventando quelle dei paesi dell’Unione Europea. Il mancato accesso a tale tipologia di prodotti è fortemente stigmatizzante, poiché sono generalmente molto diffusi. Inoltre, l’accesso al sistema finanziario formale di base costituisce la chiave di accesso ad altri servizi finanziari (es. credito) e riduce fortemente i rischi legati alla gestione del denaro contante (es. furto). La mancanza di accesso a un conto ove riporre i propri depositi costituisce la seconda forma di esclusione finanziaria. Le cause principali dell’esclusione da tale servizio sono la mancanza di documenti d’identificazione (es. nel caso di persone immigrate), il costo del servizio, la complessità delle procedure d’accesso, la mancanza di risparmio o di abitudine a risparmiare e la diffidenza nei confronti delle banche per ragioni culturali e sociali. La terza forma di esclusione, la più diffusa, è quella creditizia. Il rapporto della Commissione Europea prende in esame il credito fornito alle famiglie per l’accesso a beni e servizi essenziali (credito d’emergenza e al consumo). Il credito viene considerato “un importante strumento finanziario che permette l’accesso a beni o spese che eccedono il budget mensile (es. veicoli di vario tipo, casa, arredamento, ecc.)”13. L’accesso al credito favorisce la mobilità, la formazione professionale e il miglioramento delle condizioni abitative, che contribuiscono positivamente alla salute e all’auto‐stima. Tutto ciò eventualmente conduce all’innalzamento del reddito personale e a un più ampio accesso ai servizi pubblici. La mancanza di accesso al credito, sia in forma di prestiti sia tramite il possesso di carte di credito o di autorizzazione allo scoperto bancario, è causa, oltre a una maggiore avversità al rischio, 9
European Commission (Marzo 2008) Financial Services Provision and Prevention of Financial Exclusion, manoscritto. La traduzione dall’inglese degli estratti riportati è dell’autore. 10
Ibid., p. 10. 11
Ibid., pp. 11‐14. 12
Ibid., p. 11. 13
Ibid., p. 12. 7
anche di ricorso a sistemi di credito alternativi (es. finanziarie) che possono portare al sovra‐
indebitamento o a sistemi di credito informali (es. usura), che offrono condizioni fortemente svantaggiose, aggravando la posizione di chi già vive nella precarietà. La quarta e ultima area di esclusione finanziaria identificata nel rapporto è relativa al campo assicurativo. Mentre alcuni tipi di assicurazione sono obbligatori nei paesi UE (es. RCA auto), altri tipi di assicurazione, come quella sanitaria o integrativa della pensione, stanno assumendo una crescente importanza a causa dell’indebolimento del sistema di welfare europeo. Figura 2 ‐ Crescita dei mutui subprime nel periodo 1994‐2006 Fonte: Roberts, L. (2008), p. 56. I mutui subprime: dalla crisi alla finanza etica Una delle manifestazioni più eclatanti dell’odierna crisi finanziaria globale è stato lo scoppio della bolla immobiliare negli USA, causata principalmente dallo sregolato utilizzo di prodotti finanziari strutturati e CDO (Collaterliazed Debt Obligations) e da gravi errori di valutazione del rischio del capitale relativo ai mutui immobiliari14. Tale fenomeno ha raggiunto il culmine con la quasi‐nazionalizzazione dei due colossi della cartolarizzazione dei mutui immobiliari negli U.S.A., Fanny Mae e Freddie Mac15. Nonostante la diversità e la complessità delle cause della crisi finanziaria globale, vi è un ampio consenso nel dare la colpa ai mutui subprime16. Tuttavia, l’interpretazione del fenomeno richiede una più attenta analisi. Questi mutui vengono concessi a clienti definiti sub‐prime (in altre parole, una seconda scelta), che sono solitamente esclusi dal credito concesso dagli operatori principali del mercato. Le ragioni dell’esclusione sono da ricercarsi nella scarsa o assente storia creditizia, in precedenti fallimenti o insolvenze, o in un lavoro irregolarmente o scarsamente retribuito. A causa dell’elevato profilo di rischio dei clienti, i mutui subprime portano un tasso d’interesse maggiore rispetto a quello dei clienti considerati più affidabili. Da un lato, quindi, gli erogatori di mutui subprime sono accusati di aver cercato nuovi e redditizi clienti tra coloro che non sarebbero stati in grado di sostenere un prestito, provocando l’eccessivo indebitamento dei clienti, la cui insolvenza ha raggiunto il 18,7% negli Stati Uniti17, e, conseguentemente, la bancarotta di tali istituzioni, che hanno cercato di trasferire il rischio tramite la 14
Roberts, L. (2008) The Great Housing Bubble: Why Did House Price Fall?, Monterey Cypress Publishing, p. 70 The Wall Street Journal (23 settembre 2008) “Blame Fannie Mae and Congress For the Credit Mess” 16
Newsweek (24 novembre 2008) “A Risk Worth Taking”. 17
Ibid. 15
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cartolarizzazione, causando il collasso, tra gli altri, dei già citati Fannie Mae e Freddie Mac. Dall’altro lato, tuttavia, il vertiginoso aumento dei mutui subprime che si è verificato negli Stati Uniti dal 2002 (vedi Figura 2) non è nient’altro che l’espansione di accesso al credito. Le persone che ne erano escluse a causa di una cattiva storia creditizia hanno potuto accedere al credito immobiliare per soddisfare il fondamentale bisogno abitativo. Rendere bancabili i non‐bancabili è un principio cardine tanto del microcredito, quanto dei mutui subprime18. Non è quindi il prodotto in sé la causa di parte del dissesto finanziario occorso negli Stati Uniti, i cui riverberi si stanno propagando ovunque nel mondo della finanza globale, quanto piuttosto il cattivo uso che ne è stato fatto e, soprattutto, il meccanismo di trasferimento del rischio nei mercati finanziari. L’eccessiva speculazione finanziaria tramite il meccanismo di leverage è stata una causa molto più importante del dissesto finanziario che sta ora causando gravi danni al sistemo economico e produttivo del paese19. La critica principale che è stata mossa contro i mutui subprime è che prestare i soldi ai poveri (i clienti subprime) è necessariamente rischioso. Tuttavia, i tassi di restituzione dei clienti del microcredito nel mondo sono generalmente molto alti. Infatti, l’evidenza è piena di casi in cui fornitori di mutui subprime continuano a operare profittevolmente. Ad esempio, Nehemiah Homes costruisce abitazioni nei sobborghi di New York e le vende con mutui definiti subprime: in 27 anni di attività e 3.900 abitazioni vendute, i default dei clienti sono stati meno di 10, ossia lo 0,25%20. In California, invece, la Clearinghouse CDFI (Istituzione Finanziaria per lo Sviluppo Comunitario) ha erogato dal 2003 più di 220 milioni di dollari per mutui immobiliari, realizzando nel 2007 un profitto di 1,4 milioni di dollari. Più del 90% di clienti acquistavano un’abitazione per la prima volta e circa metà di essi appartengono e minoranze etniche. Su circa 770 prestiti, in soli 7 casi si è arrivati al processo di esecuzione della casa. Quindi, lo strumento di subprime è sostenibile sia per chi lo eroga (profitto) sia per chi ne fa uso (inclusione finanziaria). Ciò che differenzia le istituzioni citate e molte altre dalla parte malsana del mercato è l’attenzione al cliente, tramite un’istruttoria ben ponderata, e tassi d’interesse che non vanno a massimizzare il profitto21. Inoltre, alcuni fornitori di mutui subprime offrono ai loro clienti anche servizi non‐finanziari tipicamente associati a programmi di microcredito. Ad esempio, Shore Bank, storica banca comunitaria di sviluppo con sede a Chicago e attività per 2,1 miliardi di dollari, offre ai clienti persino l’assistenza per ridurre il consumo di energia nelle abitazioni. Spinti dal successo che stanno avendo nel contesto fortemente negativo di oggi, alcuni ethical subprime lenders (fornitori etici di mutui subprime, come loro stessi si definiscono) stanno espandendo le loro attività al di là dei mutui immobiliari. La North Side Community Federal Credit Union di Chicago (cassa di risparmio federale) ha iniziato a erogare microcrediti di 500 dollari (circa 380 euro al gennaio 2009) con una maturità di 6 mesi e un tasso d’interesse del 16,5%. Al settembre 2008, su più di 5.000 prestiti, quelli in ritardo con il pagamento erano appena il 2,5%. La finanza può essere, a certe condizioni, uno strumento assai utile per fronteggiare l’esclusione sociale. La crisi economica globale in atto non è causata da alcuni strumenti finanziari in sé, ma dal modello di gestione del rischio creditizio che vi era associato, nonché da comportamenti irresponsabili e criminosi 18
Newsweek (20 settembre 2008) “Poverty: Cheap Loans at Insanely High Rates? Give Us More.” The Atlantic (dicembre 2008) “Iceland’s Meltdown” 20
Newsweek (7 ottobre 2008) “Subprime Suspects”. 21
Newsweek (24 novembre 2008) “A Risk Worth Taking”. 19
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di singole istituzioni. In generale, tutti gli strumenti della finanza possono essere impiegati eticamente per favorire l’inclusione finanziaria e sociale delle fasce più deboli. 10
2. Il contesto italiano Abbiamo già citato alcuni indici di povertà, esclusione finanziaria e disuguaglianza in Italia confrontati in un contesto europeo. Entriamo ora nei dettagli, esaminando trend e composizione di alcuni di questi indicatori. Come vedremo, benché con intensità e caratteristiche diverse, anche in Italia negli ultimi anni si segnala un incremento della bancarizzazione e dell’accesso al credito della popolazione. Il fenomeno tuttavia avviene con modalità tali da creare i presupposti per nuove forme di esclusione nella fase di recessione che stiamo vivendo. Povertà ed esclusione finanziaria in Italia La povertà relativa, definita come una carenza di risorse relativamente ad una situazione media o normale della popolazione di riferimento, viene misurata in Italia dall’ISTAT attraverso un’indagine campionaria sui consumi delle famiglie22. L’Istituto centrale di statistica approssima lo standard di vita attraverso i consumi in quanto ritenuti un indicatore migliore del reddito, perché tengono conto, ad esempio, del possibile utilizzo di risparmi accumulati o dell’accesso al credito per acquisire beni in un anno di reddito più basso. Sono considerate povere quelle famiglie i cui consumi pro capite sono equivalenti a meno della metà del consumo medio pro capite nazionale. Nel 2007, ultimo dato disponibile, la soglia di povertà per una famiglia di due componenti è risultata pari a 986,35 euro mensili, cioè 11.836,20 euro annui. Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa media mensile pari o inferiore a tale valore vengono quindi classificate come relativamente povere. Per famiglie di ampiezza diversa il valore della linea si ottiene applicando una opportuna scala di equivalenza che tiene conto delle economie di scala realizzabili all’aumentare del numero di componenti. Figura 3 Fonte: ISTAT (vari anni), cit.
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ISTAT (vari anni), “La povertà relativa in Italia”, Statistiche in breve; ISTAT, “I consumi delle famiglie”, entrambi su www.istat.it. 11
In Italia, le famiglie che nel 2007 si trovano in condizioni di povertà relativa sono 2 milioni 653 mila e rappresentano l’11,1% delle famiglie residenti. Nel complesso sono 7 milioni 542 mila gli individui poveri, il 12,8% dell’intera popolazione. La popolazione”relativamente povera” non scende sotto l’11% del totale, dopo punte vicine al 12% nei primi anni ’80. Per quanto riguarda l’esclusione finanziaria, oltre alle rilevazioni europee, un quadro di dettaglio può essere tratto dall’indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia23. L’indicatore di riferimento è il possesso o meno del più basilare tra i servizi finanziari, il conto corrente bancario o postale. Figura 4 Fonte: Banca d’Italia (2008), cit. Nel 2006, ultimo anno disponibile, l’89,2% delle famiglie italiane, che in tutto sono 22,8 milioni, possedeva un deposito bancario o postale. Di conseguenza ne era privo il 10,8% del totale, cioè circa 2 milioni 462 mila famiglie. Il dato risulta in calo rispetto alle rilevazioni precedenti: nel 2002 la percentuale di esclusi era del 14,1%, nel 2004 del 13,7%. L’indicatore mostra quindi un incremento del grado di bancarizzazione della popolazione, mentre la quota di esclusione finanziaria tende ad allinearsi al dato della povertà relativa, intorno all’11%. Tenendo conto che, nell’indagine della Banca d’Italia, le caratteristiche individuali sono riferite al “capofamiglia”, cioè al maggior percettore di reddito all’interno del nucleo familiare, la fotografia dell’esclusione finanziaria è la seguente: •
le donne sono maggiormente escluse degli uomini: non possiede nessun conto il 15,5% dei nuclei con capofamiglia donna contro l’8,7% degli uomini. Tuttavia la bancarizzazione delle donne cresce: l’esclusione era quasi il 20% due anni prima; •
non possiede un conto i 19,5% degli ultrasessantacinquenni, mentre l’esclusione scende al 5% nella fascia di età 31‐40 anni, che è diventata la più “inclusa” sorpassando quella 51‐65 anni. In forte 23
Banca d’Italia (2008), “I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2006”, Supplementi al Bollettino Statistico, a. XVIII, n, 7, 28 gennaio. Analoghe indagini campionarie vengono svolte dal 1961 e, in modo più omogeneo, dal 1977. Nella fase più recente, vengono aggiornate ogni due anni. 12
aumento anche i conti dei più giovani: nella fascia fino a 30 anni si passa dall’84,4 al 91,4% di inclusione in due anni; •
l’esclusione cresce al diminuire del livello di istruzione: è privo di un conto in banca o in posta il 43,6% delle persone senza titolo di studio, ma solo lo 0,7% dei laureati; •
l’esclusione cresce al diminuire del reddito: nel quinto della popolazione con reddito più basso è senza conto il 32,8% delle famiglie, nel secondo quinto il 13%, nel quinto più ricco appena lo 0,4%; •
tra il 2004 e il 2006 cresce di dieci punti, da quasi l’80% a oltre il 90%, il livello di inclusione nell’agricoltura. Aumenti più moderati per gli altri settori, che però partivano da livelli più elevati. Resta sopra il 10% l’esclusione degli operai, mentre diminuisce quella degli impiegati, dei dirigenti e degli imprenditori e liberi professionisti. Più inclusi anche gli altri autonomi, passati dall’89,7 al 94,4% di possessori di conti. Resta bassa invece l’inclusione dei non occupati; •
sono maggiormente escluse le famiglie con un solo componente (17% senza conto) e quelle numerose, con 5 e più componenti (16,6% senza conto); •
l’esclusione si è spostata dai piccoli centri, dove è ormai sotto il 10%, alle grandi città: nei centri sopra 500 mila abitanti è privo di conto l’11,3% delle famiglie (era il 17,5% due anni prima); •
resta il Mezzogiorno l’area dove si concentra l’esclusione: è senza conto il 24,8% delle famiglie contro il 7,4% del Centro e il 3,1% del Nord. Il caso degli immigrati In Italia, secondo il rapporto Caritas‐Migrantes, sono presenti circa 4 milioni di immigrati regolari, tra comunitari e extracomunitari, il 6,7% della popolazione24. La collettività più numerosa è diventata quella romena, con oltre 850 mila presenze regolari, seguita dagli albanesi (436.000) e dai marocchini (398.000). Il flusso è in crescita: tra il 2005 e il 2007 ci sono state 1 milione e mezzo di domande di assunzione di lavoratori stranieri da parte di aziende e famiglie italiane. Tra i dati da ricordare, l’aumento degli imprenditori immigrati: si contano 165.114 titolari d’impresa, 52.715 soci e 85.990 altre figure societarie, per un totale che supera le 300 mila unità. Come tra la popolazione italiana in generale, anche tra gli immigrati in questi anni è cresciuta la bancarizzazione. Secondo il più recente rapporto ABI‐CESPI25, i migranti dei paesi non OCSE con conto corrente sono passati da 1.058.000 nel 2005 a 1.410.000 nel 2007, con un tasso di crescita su base annua del 15%, superiore a quello della popolazione migrante che è stato del 10%. Di conseguenza il 67% degli immigrati extra OCSE adulti ha un conto in banca contro il 60% di due anni prima. Il cliente immigrato utilizza prevalentemente i servizi finanziari di base, mentre ha, in genere, scarsa conoscenza dei prodotti di gestione del risparmio e in genere di quelli più evoluti. Più della metà ha attivato un finanziamento presso una banca: in primo luogo carte di credito, poi prestiti personali e 24
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Caritas‐Migrantes (2008), Immigrazione. Dossier statistico 2008, XVIII Rapporto, Roma: Idos. ABI‐CESPI (2009), Banche e nuovi italiani. I comportamenti finanziari degli immigrati, Roma: Bancaria Editrice. 13
mutui. A proposito dei mutui per l’abitazione, l’ABI stima che il 10% dei 3,5 milioni di finanziamenti in essere faccia capo a migranti26. Tra gli immigrati, un decimo circa è proprietario della casa in cui abita, ma gli acquisti stanno crescendo rapidamente: nel 2007, secondo la Caritas, ne sono stati effettuati 120.000, secondo Scenari Immobiliari 135.000. Nel 2008, invece, il dato sarebbe in calo a 103.00027. Appare ancora relativamente bassa, ma in crescita, l’incidenza del credito al consumo. La rilevazione di una società di informazione commerciale riferita ai primi otto mesi del 2008 stima che le domande di credito al consumo, credito personale e carte revolving provenienti da immigrati siano salite al 15,4% del totale, contro il 12,1% rilevato nello stesso periodo del 2007. Tuttavia, più della metà delle richieste viene respinta, contro un terzo circa di quelle degli italiani28. Sono sottoutilizzati, infine, i prodotti assicurativi: il 42% è titolare di un prodotto assicurativo, ma il 60% è costituito da RC auto. Sempre secondo ABI‐CESPI, gli immigrati presentano una elevata propensione al risparmio. Il 70% dei migranti occupati riesce a risparmiare in previsione di spese future, il 38% risparmia più di 200 euro mensili. La banca è il principale depositario del risparmio accumulato. Non è però il principale canale attraverso cui parte del risparmio, le rimesse, viene inviato nel paese d’origine. Le rimesse hanno superato nel 2007 i 6 miliardi di euro, a cui vanno aggiunti almeno altri 2 miliardi, secondo le stime più accreditate, inviati attraverso canali informali. Nel complesso il 52% degli invii avviene attraverso le agenzie di money transfer, il 23% attraverso il sistema bancario e il restante 25% con sistemi informali. Per quanto riguarda l’utilizzo a destinazione, il 26% va a spese di consumo, il 17% a spese sanitarie, il 14% a spese per l’educazione. A progetti imprenditoriali è destinato l’8% delle rimesse29. Il flusso di risparmio proveniente dai migranti è una delle principali entrate della bilancia dei pagamenti di molti paesi poveri e contribuisce all’attenuazione degli squilibri economici del paese di provenienza. Tuttora, però, non è adeguatamente valorizzato come risorsa per moltiplicare gli impieghi e gli investimenti nel paese di provenienza. Il livello crescente di bancarizzazione degli immigrati non si traduce però necessariamente in accesso al credito. Accede a prestiti, metà mutui, metà prestiti personali, il 23% dei migranti bancarizzati. Tra gli immigrati imprenditori, gli investimenti, in media di dimensioni tra i 10 e i 20 mila euro, sono finanziati in oltre il 70% dei casi da risorse proprie, a cui, nel 16% dei casi, si affianca il supporto da parte di amici e parenti e solo nel 15% dei casi il credito bancario30. Il 40% degli immigrati imprenditori ha chiesto un prestito in banca e in questo caso la dimensione media supera i 30 mila euro. Due terzi di essi l’hanno ottenuto, un terzo no. Per confronto, un’indagine riferita allo start‐up di impresa (in generale, a prescindere dalla nazionalità del titolare) indica che le percentuali di domande di credito respinte in media dalle banche si collocano tra il 14 e il 21% delle richieste31. 26
ABI (2008), Banche: ABI, il 10% dei mutui è di immigrati, Roma, Palazzo Altieri 23 gennaio. Scenari Immobiliari (2009), Primo osservatorio 2009 immigrati e casa: dal boom allo “sboom”, Milano, marzo. 28
Experian (2008), Credito agli stranieri: Experian rileva un aumento delle richieste, www.experian.it, 20 novembre. 29
ABI‐CESPI (2009), cit. 30
Unioncamere (2007), Comportamenti finanziari e creditizi della società multietnica, rapporto realizzato in collaborazione con Nomisma, Crif Decision Solutions e Adiconsum e presentato a Roma il 18 aprile 2007, www.unioncamere.it. 31
Francesco Chelli, Alberto Zazzaro (2008), “I finanziamenti bancari allo start‐up d’impresa: l’esperienza e il ruolo dei direttori di filiale”, in Alberto Zazzaro (a cura di), I vincoli finanziari alla crescita delle imprese, Roma: Carocci. 27
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Inclusione e nuovo indebitamento Il maggior accesso ai servizi finanziari in Italia si è accompagnato ad una crescita dell’indebitamento delle famiglie e delle imprese, sia pur non agli stessi ritmi degli Stati Uniti. L’accelerazione dell’erogazione del credito da parte del sistema bancario è stata particolarmente accentuata attorno alla metà del decennio 2000. Nei primi anni del decennio la crescita si attestava sul 5‐6% annuo. Nel 2005 balza all’8% e nel 2006 all’11%, per poi collocarsi vicino al 10% nel 2007. Questo a fronte di un Prodotto interno lordo che non cresceva più del 2%32. Nel 2008 la crescita degli impieghi bancari si è dimezzata al 4,5%. Per quanto riguarda le famiglie, tra il 2002 e il 2008 i mutui per la casa sono cresciuti del 132%, passando da quasi 100 a 232 miliardi di euro. La dinamica è stata a due cifre fino al 2006, ma con un ritmo decrescente: dal +26% del 2003 al +13% del 2006. Nel 2007 l’aumento si è attestato poco sotto il 9%, mentre nel 2008 è sceso al 2,4%. Il credito al consumo è aumentato, sempre dal 2002 al 2008, del 121%, balzando da 46 a quasi 102 miliardi di euro. Anche in questo caso la dinamica è stata elevata verso metà decennio, con un picco del + 21,6% nel 2004, ma è rimasta a due cifre (+ 14,3%) anche nel 2007, rallentando vistosamente al 4,1% nel 2008. Tabella 3 Famiglie: le componenti principali del debito sono casa e beni di consumo Dati in miliardi di euro e % Mutui per abitazione Variazione annua Credito al consumo, comprese carte di Variazione annua credito 31/12/2002
100,0 + 18,4% 46,1 31/12/2003
126,4 + 26,4% 50,1 + 8,6% 31/12/2004
154,6 + 22,3% 60,9 + 21,6% 31/12/2005
183,8 + 18,9% 72,7 + 19,2% 31/12/2006
208,3 + 13,3% 85,6 + 17,8% 31/12/2007
226,4 + 8,7% 97,8 + 14,3% 31/12/2008
231,9 + 2,4% 101,8 + 4,1% Fonte: Banca d’Italia (vari anni), cit. e nostre elaborazioni È indebitato il 26,1% delle famiglie italiane, per un valore medio del debito pari a 10.486 euro, il 33% del reddito33. Il 12,8% risulta indebitato per l’acquisto di beni di consumo, l’11,6% per l’acquisto di immobili e il 3,8% per attività di lavoro indipendente. Sono più indebitate le famiglie con capofamiglia 32
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Banca d’Italia (vari anni), Base informativa pubblica on line, su www.bancaditalia.it. Banca d’Italia (2008), cit. 15
uomo rispetto a quelle guidate da donne. La quota più elevata, pari al 39,1%, si trova nella fascia di età da 41 a 50 anni, con un debito per famiglia superiore ai 17 mila euro. Ma la quota maggiore di debito sul reddito si raggiunge nella fascia di età 31‐40 anni con il 51,3% (le famiglie indebitate sono il 36,2%). Gli indebitati sono nettamente di più tra i lavoratori indipendenti, 44,4% del totale con 35.747 euro di valore medio pari al 73,4% del reddito, che tra i dipendenti, 33,6% del totale con 11.041 euro di debito medio pari al 32,6% del reddito. Il debito è più diffuso tra le famiglie numerose: il 39,2% delle famiglie con 4 componenti e il 38,2% di quelle con 5 o più componenti, con un indebitamento che sfiora il 50% del reddito (49,5% per 4 componenti, 46,2% per 5 o più). Sono relativamente più indebitate le famiglie delle fasce di ricchezza superiori e quelle che vivono nelle grandi città. Restano meno indebitate – il 22,3% del totale con il 22,2% di quota del debito sul reddito – le famiglie del Mezzogiorno d’Italia. Il boom del credito al consumo è stata la principale novità degli ultimi anni in Italia. Nel 2002 il 60% delle erogazioni facevano capo alle banche e il 40% alle società finanziarie. Nel 2008 il rapporto è arrivato quasi alla parità: 51% banche, 49% finanziarie. Va ricordato, tuttavia, che delle 79 associate ad Assofin, l’associazione del credito al consumo e immobiliare, 25 sono banche, specializzate o generaliste, e altre 25 società finanziarie che fanno capo agli istituti di credito. Il credito al consumo è appannaggio del sistema bancario per quasi due terzi. Sul versante delle aziende34, abbiamo preso in considerazione le “famiglie produttrici” cioè le imprese individuali e familiari fino a 5 addetti. I dati sulle famiglie produttrici costituiscono un indicatore dell’atteggiamento delle banche verso le microimprese. I crediti a questa categoria sono passati dai 65,6 miliardi di euro del 2002 agli 89,1 miliardi del 2008, una crescita del 35,8% in sei anni. Aumenti più accentuati si segnalano nel 2003 (+ 8,7%) e nel 2006 (+ 7,6%). Nel 2007 la crescita scende al 4,7% e nel 2008 si registra una diminuzione della consistenza dei finanziamenti di oltre mezzo miliardo di euro, pari allo 0,6% in meno. Tabella 4 Il credito alle microimprese ( Dati in miliardi di euro e % ) Consistenze crediti Variazione annua 31/12/2002
65,6 + 6,7% 31/12/2003
71,3 + 8,7% 31/12/2004
76,1 + 6,7% 31/12/2005
79,6 + 4,6% 31/12/2006
85,6 + 7,6% 31/12/2007
89,6 + 4,7% 31/12/2008
89,1 ‐ 0,6% Fonte: Banca d’Italia (vari anni), cit. e nostre elaborazioni 34
Banca d’Italia (vari anni), cit. 16
In media per le imprese un terzo dei crediti sono affidamenti in conto corrente. Nel caso delle famiglie produttrici, il dato a fine 2008, unico disponibile, indica una quota di fidi in conto corrente pari al 25%. I mutui sono il 71% del totale, con una buona fetta (il 35%) di mutui per la casa, in imprese dove il patrimonio familiare e quello aziendale si confondono. I prestiti personali sono l’1,5% del totale, quota nettamente superiore alla media delle imprese (0,3%). Un’altra quota di finanziamenti personali e di leasing, 7 miliardi circa, viene dalle società finanziarie. Nel mondo delle microimprese e dell'autoimpiego, particolarmente ampio in Italia rispetto agli altri paesi Ocse, gli imprenditori donne rappresentano il 25% del totale dei titolari. Come abbiamo visto, l'accesso ai fidi bancari è un'importante fonte di credito per le necessità di cassa di queste imprese. Ma sui fidi le microimprese con titolare donna pagano un tasso di interesse più alto rispetto a quelle con titolare uomo: in media lo 0,3% in più35. Secondo lo studio condotto dal professor Alberto Alesina dell’Università di Harvard e da due ricercatori della Banca d’Italia36 e basato sull’esame degli accessi al fido di 150 mila microimprese tra il 2004 e il 2006, il differenziale non è giustificato da un maggior rischio di fallimento e non è spiegato da differenze territoriali o da specificità settoriali. Inoltre la differenza nei tassi scende se c'è un garante uomo e sale se il garante è donna. L’ipotesi è che potrebbe trattarsi di una vera e propria forma di discriminazione basata sul convincimento, radicato ma errato, della maggiore inaffidabilità delle donne. Le conseguenze della crisi La crisi esplosa nell’estate 2007 con lo scoppio della bolla dei mutui USA subprime ha colpito anche in Italia famiglie e imprese sia sul versante dei costi che sul versante dell’accesso al credito. Sul versante dei costi hanno pesato la stretta sulla liquidità e la rapida crescita dei tassi di interesse sul mercato interbancario (Euribor), che si sono riflessi in particolare sui finanziamenti delle banche alla clientela stipulati a tasso variabile. Questo effetto, anche a seguito dell’immissione di liquidità sui mercati da parte di governi e banche centrali, si sta esaurendo nel 2009, ma ha assestato un duro colpo ai bilanci 2008 di famiglie e imprese. L’altra conseguenza della crisi, la stretta sull’erogazione del credito, permane tuttora. Il tasso medio effettivo sui mutui per acquisto abitazione delle famiglie è salito in Italia di oltre due punti percentuali tra il 2006 e il 200837. Al 31 dicembre 2005, per mutui fino a 125 mila euro, era pari al 3,60%. Dodici mesi dopo era cresciuto al 4,65%, al dicembre 2007 al 5,76% e al dicembre 2008 si è attestato al 5,73%, dopo aver toccato il 6% a settembre. In termini di interessi, commissioni e spese, le famiglie italiane hanno pagato nel 2006 circa 5 miliardi e mezzo di euro. Nel 2008 la cifra sfiora gli 8 miliardi, con un aumento in due anni del 46%. Considerando però l’incremento del volume dei mutui nello stesso periodo, pari all’11%, l’effettivo aumento dovuto alla crescita dei tassi è stato del 35%, pari a 1,9 miliardi in due anni. Le famiglie con un mutuo a tasso variabile sono circa 3,2 milioni. 35
Alberto Alesina (2008), Il credito caro alle donne, www.lavoce.info, 31 ottobre. Alberto Alesina, Francesca Lotti, Paolo Emilio Mistrulli (2008), “Do Women Pay More for Credit? Evidence from Italy”, Nber Working Paper 14202, luglio. 37
Banca d’Italia (vari anni), cit. 36
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L’incremento nel costo di acquisto della casa è connesso all’aumento nel 2008 dei pignoramenti immobiliari. In attesa dei dati definitivi, le associazioni dei consumatori hanno stimato una crescita annua del 22%38. Figura 5 Per quanto riguarda le imprese, i tassi di interesse sulle operazioni a scadenza (mutui, leasing) sono passati, tra la fine del 2005 e la fine del 2008, dal 3,70% al 6,12%, quelli sulle operazioni autoliquidanti (sconto portafoglio) dal 4,76% al 6,48%, quelli sulle operazioni a revoca (fidi in conto corrente) dall’8,12% all8,99%. Complessivamente per le imprese l’aggravio sui conti dipendente dal solo aumento dei tassi, dedotto l’incremento dei crediti, è stato tra il 2006 e il 2008 di 11 miliardi e mezzo di euro circa, pari al 40%. Ma l’effetto più duraturo della crisi è la riduzione dei finanziamenti soprattutto alle piccole e micro imprese. Nel 2008 i crediti alle famiglie produttrici sono calati dello 0,6%, passando da 89,6 a 89,1 miliardi. Un indicatore del razionamento del credito è il rapporto tra credito utilizzato e credito accordato. Tra fine 2005 e fine 2008 il rapporto cresce di due punti, dall’83,9% all’85,9%. La tensione sui fidi è segnalata anche dagli sconfinamenti, aumentati nello stesso periodo al 2,3% del credito accordato. Il rapporto tra utilizzato e accordato per le microimprese si attestava nei primi anni Duemila attorno all’80%. Tabella 5 Il razionamento del credito Rapporto tra credito utilizzato e accordato per le famiglie produttrici 31/12/2008 85,89% 31/12/2007 85,12% 31/12/2006 84,49% 31/12/2005 83,86% 38
Elio Lannutti (Adusbef), Rosario Trefiletti (Federconsumatori) (2008), Banche: si consolida boom pignoramenti immobiliari, comunicato stampa, 25 ottobre. 18
A mettere in difficoltà le microimprese sono le condizioni per ottenere il prestito, decisamente peggiorate come emerge dalla rilevazione di febbraio 2009 dell’Osservatorio sull’imprenditoria giovanile di Confartigianato: nei tre mesi precedenti il 38,7% dei giovani imprenditori ha riscontrato maggiori difficoltà nei rapporti con le banche. Tra esse, richieste ingiustificate di rientro anticipato degli affidamenti, aumento dello spread sui tassi di interesse, richieste di maggiori garanzie, allungamento dei tempi delle procedure burocratiche39. Il rallentamento della crescita e la vera e propria diminuzione dei prestiti ai piccoli operatori economici deprime la propensione a investire delle microimprese. Nel 2008 la quota di piccoli operatori che ha effettuato investimenti è scesa al 28,7%, rispetto al 35,4% del 2007. La previsione per il 2009 è di un nuovo calo al 27,6%40. Trova così conferma la tesi sostenuta nell’ultimo rapporto “Global Economic Prospects 2009” della Banca Mondiale, secondo cui il principale meccanismo del rallentamento dell’economia sia nei Paesi ad alto reddito che in quelli in via di sviluppo passa per la caduta del tasso di investimento41. Gli investimenti “reali” sono stati spiazzati da quelli finanziari. Il mercato dell’usura In Italia il numero dei commercianti coinvolti in rapporti usurari è sensibilmente aumentato: nel 2008 sono stimati in circa 180.000 rispetto ai 150.000 del 200742. Poiché ciascuno s’indebita con più usurai, le posizioni debitorie sono valutate in oltre 500.000, per un giro d’affari complessivo di 35 miliardi di euro. Di essi, 12,6 miliardi sono denaro movimentato dalle mafie, per almeno 50.000 posizioni debitorie. Gli interessi sono stabilizzati oltre il 10% mensile. Il costo complessivo per le vittime è di 15 miliardi di euro. Un terzo dei commercianti coinvolti si concentra in Campania, Lazio e Sicilia. È la Calabria, però, a presentare il più alto rapporto attivi/coinvolti. La Campania detiene il record degli importi protestati (736 milioni di euro) seguita dalla Lombardia e dal Lazio. Il Lazio è invece in testa alla classifica per numero dei protesti. Lo stesso Lazio (5,34%), la Campania (4,46%) e la Calabria (3,53%) sono le regioni con il più alto numero di protesti in rapporto alla popolazione residente. Alle aziende commerciali coinvolte vanno aggiunti altri piccoli imprenditori, artigiani in primo luogo, ma anche dipendenti pubblici, operai, pensionati, portando a oltre 600.000 le posizioni debitorie basate su patti usurari. Sono invece 15.000 le persone immigrate che si stima siano vittime o comunque coinvolte in attività tra il parabancario e l’usura vera e propria. 39
Giorgio Guerrini (Confartigianato) (2009), La crisi del credito costa alle imprese 12,5 miliardi l’anno, comunicato stampa, 9 febbraio. 40
Crif Decision Solutions‐Nomisma (2008), Osservatorio sulla finanza per i piccoli operatori economici, dodicesima edizione, Roma, 26 novembre. 41
World Bank (2009), Global Economic Prospects. Commodities at the Crossroads, Washington, DC: The International Bank for Reconstruction and Development / The World Bank. 42
Sos Impresa‐Confesercenti (2008), Le mani della criminalità sulle imprese, undicesimo rapporto, Roma. 19
3. La microfinanza in Italia: il caso di RITMI RITMI, la Rete Italiana di Microfinanza, comprende alcune tra le più significative esperienze di microcredito nel paese: Banca Etica, Compagnia di San Paolo, Fondazione Antiusura Santa Maria del Soccorso, Fondazione Don Mario Operti, Fondo Essere, MAG Roma, MAG Verona, MAG 2 Milano, Micro.Bo, MicroProgress, PerMicro, Fondazione Giordano Dell’Amore, Forum per la Finanza Sostenibile, Microfinanza Srl. Secondo RITMI, la microfinanza ha una funzione produttiva e di accompagnamento alla crescita e all’inclusione sociale attraverso strumenti finanziari pensati ad hoc per le persone escluse dal sistema finanziario tradizionale. Ciò che contraddistingue la microfinanza è l’attenzione alla persona, che porta ad accogliere, ascoltare e seguire coloro che si rivolgono alle istituzioni di microfinanza, fino alla chiusura del programma di credito, comunque all’interno e a favore di un modello di sviluppo locale delle comunità, basato su equità, solidarietà, educazione al consumo e all'uso del denaro e sostenibilità ambientale. L’analisi del microcredito nel contesto italiano necessita per prima cosa di uno sforzo definitorio, che qui si propone, senza tuttavia dichiararne la sua universalità, considerate la molteplicità e la complessità delle esperienze di microcredito in Italia. Per microcredito s’intende, da un lato, l’erogazione di prestiti mirati al finanziamento di microimprese e alla creazione di occupazione e, dall’altro, il credito al consumo e d’emergenza. Tale definizione, più ampia che quella adottata dall’Unione Europea che riguarda il solo credito all’impresa (per un importo al di sotto di 25.000 euro a un’impresa con meno di 10 dipendenti e un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro), nasce da una più attenta analisi sia dell’attuale mercato della microfinanza in Europa e, in modo particolare, in Italia sia delle esigenze dei più poveri. Difatti, il credito d’emergenza (es. in caso di malattie improvvise, calamità naturali, ecc.) è uno strumento prezioso, ma raramente accessibile alle fasce più deboli. Allo stesso modo, il credito al consumo, che in alcune sue manifestazioni intrinsecamente legate a un modello di società improntato al consumismo irresponsabile è da temere, permette tuttavia l’accesso a consumi che migliorano l’attività lavorativa (es. automobile) e favoriscono l’integrazione sociale (es. computer). Le stime esistenti sulle dimensioni del microcredito in Italia dipendono in buona parte dalla definizione adottata. Valutazioni ai poli estremi sono da un lato la ricerca Associazione Finanza Etica‐Lunaria del 2004, che calcola appena 550 mila euro di finanziamenti erogati nei primi quattro anni del decennio Duemila, con 330 beneficiari raggiunti43, e dall’altro le stime ABI, secondo cui il 70% delle banche italiane offre prodotti e servizi di microfinanza44. Secondo l’indagine di C. Borgomeo & co. giunta alla quarta edizione45, gli enti che in Italia dichiarano di fare microcredito sono 81, con 225 milioni di euro prestati, a fine 2007, a 19.500 beneficiari. L’indagine, tuttavia, adotta una definizione piuttosto ampia di microcredito, che comprende, ad esempio, i prestiti d’onore erogati a studenti da istituzioni pubbliche. 43
Il microcredito in Italia. La situazione attuale e le prospettive future (2004), Associazione Finanza Etica, Regione Emilia Romagna, Regione Toscana, IV giornata nazionale della finanza etica, novembre. 44
ABI (2009), Banche: microfinanza, un quarto dei servizi sono per i giovani, Roma, Palazzo Altieri 27 febbraio. 45
C. Borgomeo & co. (2008), 4° Rapporto sul microcredito in Italia, Soveria Mannelli (Catanzaro): Rubbettino. 20
Dal rilevamento effettuato a dicembre 2008 sulle attività operative delle istituzioni di microfinanza appartenenti a RITMI46 è emerso il seguente quadro. Nel 2007 sono stati erogati 229 prestiti per un ammontare complessivo di 1.126.040 euro, con un ammontare medio per prestito di 4.917 euro. Al 30 settembre del 2008 erano stati erogati 237 prestiti per un ammontare complessivo di 1.602.160 euro, con un ammontare medio per prestito di 6.760 euro. Per tutto il 2008 è ipotizzabile una stima di 279 prestiti per un ammontare complessivo di 1.884.894 euro. Tale proiezione prevede una crescita del 34% su base annua dal 2007 al 2008 (escludendo PerMicro, che non ha erogato crediti nel 2007). Il tasso d’interesse su base annua più basso previsto è del 2,69%, mentre il più alto è del 12%. Il tasso medio corrente applicato ponderato per numero di prestiti è di circa l’8%. Inoltre, 4 istituzioni su 9 (44%) applicano altri costi oltre all’interesse. Ad esempio, una commissione sull’accensione del finanziamento (una MFI fa pagare 75‐100 euro, un’altra lo 0,20%‐0,80% del finanziamento), more sui ritardi di pagamento delle rate di ammortamento (circa l’11%) e costi di gestione. Oltre all’aspetto quantitativo è interessante concentrarsi sull’analisi qualitativa delle operazioni di microcredito dei membri di RITMI. Dall’analisi delle mission delle varie istituzioni sono emersi i seguenti elementi, ordinati in base alla frequenza in cui sono presenti: •
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Lotta all’esclusione finanziaria (accesso al credito) Lotta all’esclusione sociale Creazione di occupazione Sviluppo dell’individuo (non meramente economico) Sviluppo locale (del territorio) Educazione finanziaria Lotta alle nuove povertà Finanza etica MFI sostenibile nel medio o lungo periodo Trasparenza Questi risultati confermano ciò che è stato precedentemente affermato nella duplice definizione di microcredito, da una parte, come strumento di lotta all’esclusione sociale e, dall’altra, come strumento per la creazione di occupazione, principalmente tramite l’autoimpiego. Se, tuttavia, il microcredito nasce per combattere l’esclusione finanziaria, è da notare come esso possa contribuire allo sviluppo non solamente economico dell’individuo che, grazie alle opportunità che il credito responsabile offre, può realizzarsi come persona nella società. Un ulteriore tema di particolare interesse è l’accento posto sull’educazione finanziaria, la cui mancanza è spesso alla radice di gran parte delle situazioni di forte 46
Ai fini dello studio sono state prese in considerazione le attività della Compagnia di San Paolo (programmi di Torino, Genova, Napoli e Lazio; tuttavia, per alcune risposte sono stati presi in considerazioni i dati che ci sono stati forniti separatamente dalla Fondazione Don Mario Operti di Torino e dalla Fondazione Antiusura Santa Maria del Soccorso di Genova), Fondazione Culturale Banca Etica (viene considerato il microcredito erogato da Banca Etica sia per il 2007 sia per il 2008), Fondo Essere, MAG 2 Milano, MAG Roma, MAG Verona, Micro.Bo, MicroProgress, PerMicro (non ha erogato crediti nel 2007). Si ringraziano le istituzioni summenzionate per la loro attiva e preziosa collaborazione. 21
indebitamento. Inoltre, alcune istituzioni si sono poste l’obiettivo della sostenibilità in modo da poter raggiungere un sempre crescente numero di popolazione che abbisogna di tale strumento. Tutte le MFI dichiarano di erogare microcredito d’impresa (10 su 10), mentre il 70% (7 su 10) erogano anche microcredito sociale47. Per i servizi di microcredito d’impresa le MFI coinvolte nella ricerca servono principalmente imprese in fase di avvio dell'attività economica (start‐up) (7 su 8, o l’88%), attività economiche regolamentate con meno di 5 dipendenti (6 su 8, o il 75%). Inoltre, una considerevole percentuale eroga prestiti a clienti attivi nel settore informale o nell’economia sommersa (5 su 8, o il 63%). Le imprese di maggiore dimensione, invece, sembrano non rientrare tra la clientela tipo, poiché solo una istituzione su 8 serve attività economiche regolamentate da 5 a 9 dipendenti. Allo stesso modo, anche gli imprenditori in fase di pre‐avvio dell'attività d’impresa per studi di fattibilità sono poco considerati (2 su 8, o il 25%) Un ulteriore elemento d’interesse emerso dall’inchiesta riguarda il contesto in cui le istituzioni si trovano a operare e quali sono le maggiori difficoltà incontrate per raggiungere gli obiettivi istituzionali. Ben 8 istituzioni su 10 denunciano la mancanza di fondi per coprire i costi operativi, mentre solo 4 su 10 la mancanza di fondi per l’erogazione del credito. Un altro aspetto ritenuto critico da parte delle MFI è la mancanza di un appropriato sistema di regolamentazione (6 su 10). Inoltre, anche il sostegno da parte delle istituzioni pubbliche nazionali e locali è ritenuto assente (4 su 10). Tra gli altri elementi denunciati dalle istituzioni in merito alla loro operatività, vi sono le difficoltà tipiche delle organizzazioni che si reggono sul volontariato e le difficoltà inerenti al momento generale di crisi. 47
Vedi definizioni di microcredito più sopra. 22
4. Una stima del mercato potenziale della microfinanza in Italia Sulla base dei dati disponibili, presentiamo una prima stima dell’ordine di grandezza del mercato potenziale della microfinanza in Italia entro i prossimi cinque anni. La stima tiene conto, ovviamente, della crisi e dei suoi effetti. In primo luogo riepiloghiamo l’offerta attuale di credito alle famiglie e alle microimprese. Tabella 6 L’offerta di credito a famiglie e microimprese in Italia Dati in miliardi di euro al 31/12/2008 Banche Finanziarie Usura/Informale Totale Famiglie: mutui casa 232 232 Famiglie: credito al consumo 52 50 102 di cui: immigrati: mutui casa
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immigrati: credito al consumo
4
23
4
…
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Famiglie escluse 0 0 … … Microimprese: fidi, mutui e altre forme di credito 89 7 35 131 TOTALE 373 57 35 465 I dati sono tratti dalle rilevazioni Banca d’Italia e, per gli immigrati, dalle stime su esposte di ABI, che parla di mutui ai migranti pari al 10% del totale, e Experian, che valuta le domande di credito al consumo pari al 15% del totale, di cui la metà accolte. Non ci sono, per ora, stime attendibili di quanto la finanza informale e l’usura coinvolgano le famiglie, di italiani o di immigrati. La stima dell’ordine di grandezza di una sorta di «manovra» creditizia anti‐esclusione e anti‐crisi si basa sui seguenti elementi: ‐
tendenza verso il dimezzamento, nell’arco di cinque anni, del numero di famiglie escluse dal credito, soprattutto dai mutui casa. Calcolando che la metà delle stime più basse di esclusione è circa il 5% delle famiglie, si è stimato il 5% del totale attuale mutui e crediti al consumo alle famiglie, pari a 17 miliardi circa; ‐
parziale riconversione dei finanziamenti al consumo insostenibili delle famiglie. Una parte della cifra precedente dovrebbe essere dedicata al riassetto dei debiti delle famiglie; 23
‐
incremento del 30% dell’accesso al credito per le famiglie immigrate. Nell’ambito del totale famiglie, si tratta di circa 10 miliardi; ‐
riapertura del credito alle microimprese e riassetto dei finanziamenti dal breve al medio‐lungo termine in modo da riportare il rapporto utilizzato/accordato intorno all’80%. Significa circa 5 miliardi di credito in più, con parziale riassetto dai fidi ai mutui; ‐
tendenza verso il dimezzamento, nell’arco di cinque anni, del numero di microimprese vittime dell’usura. Significa garantire crediti «sani» per circa 18 miliardi. L’ipotesi è che il 90% di questa manovra sia assunta dalle banche, mentre l’obiettivo strategico della microfinanza dovrebbe essere coprirne il 10%. La manovra sarebbe condotta in collaborazione con consorzi di garanzia fidi, enti locali e reti sociali. Tabella 7 La domanda di microfinanza in Italia nei prossimi cinque anni Dati in miliardi di euro Banche Microfinanza Totale Famiglie 15 2 di cui: immigrati
17 9
1
10
Microimprese 21 2 23 TOTALE 36 4 40 La manovra per combattere l’esclusione sociale e finanziaria in Italia e sostenere famiglie e microimprese nell’uscita dalla crisi è stimata, dunque, attorno ai 40 miliardi di euro, di cui 17 miliardi per le famiglie e 23 miliardi per le microimprese. Si tratta di meno del 3% del totale degli impieghi bancari, che ammontano a circa 1.500 miliardi di euro. Questa stima non dà che un ordine di grandezza. Oggi la microfinanza in Italia è davanti a una duplice sfida: la dimensione e l’innovazione. Per quanto riguarda la dimensione, abbiamo visto che il mercato potenziale della microfinanza in Italia potrebbe aggirarsi, nei prossimi cinque anni, intorno ai 4 miliardi di euro. Attualmente i programmi e le istituzioni di microcredito coprono, nella valutazione più ottimistica, poco più del 5% di questa cifra, più realisticamente meno dell’1%. La crescita in termini di clienti e portafoglio è la strada che porta alla sostenibilità. D’altra parte questa crescita ha bisogno di innovazione, attraverso la sostituzione e il rinnovamento dei prodotti finanziari esistenti e nuove sperimentazioni (es. la gestione delle rimesse e la fornitura di servizi di microfinanza agli immigrati sia nel paese d’origine sia in quello di destinazione), la riduzione dei costi di welfare con nuovi e più efficienti rapporti con gli enti pubblici e il mutamento della natura dell’indebitamento delle famiglie, anche attraverso iniziative di educazione finanziaria. L’obiettivo è portare l’indebitamento a diventare, da onere, opportunità responsabile. 24
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