Watoto Kenya nasce nel 2004 dal desiderio di un gruppo di amici di

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Watoto Kenya nasce nel 2004 dal desiderio di un gruppo di amici di
Watoto Kenya nasce nel 2004 dal desiderio di un gruppo di amici di fare qualcosa per bambini in
difficoltà.
Si sceglie il Kenya come paese di destinazione degli aiuti in quanto due dei fondatori amano tanto
questo paese da aver deciso di viverci, si pensa così ad aiuti mirati e portati avanti personalmente.
La lunga esperienza pregressa nel paese, infatti, aveva dimostrato che anche con piccole cifre si
possono raggiungere dei risultati se si è “sul campo”.
Si concentra l’attenzione sulla costa del Kenya in una zona interna rurale e semi-arida del distretto
di Malindi.
Nonostante lo sviluppo dell'industria turistica, infatti, il distretto di Malindi resta una delle zone più
povere del Kenya: secondo i dati del Governo, circa il 62.7% della popolazione vive ancora in
condizioni di povertà. Anche i tassi di iscrizione alle scuole primarie sono tra i più bassi del paese:
secondo l'Ufficio Distrettuale per l'Istruzione il 65.44% per i bambini e il 60.12% per le bambine
(contro una media nazionale rispettivamente del 95% e 90%). In questo contesto di povertà, scarso
accesso all'educazione, forte discriminazione di genere e violenza interfamiliare, i bambini sono i
più penalizzati.
Tutte le problematiche che ci troviamo ad affrontare affondano le radici nella povertà estrema di
queste persone.
Una povertà che per noi occidentali è inimmaginabile e che si fa fatica a comprendere fino in fondo
anche quando si vive qui da tanto tempo.
Una povertà che però non intacca la grande umanità, la dignità e la solidarietà che questo popolo ha
in sé.
Watoto si prefigge di aiutare “in punta di piedi”, senza interferire in quelli che sono i sistemi, le
abitudini o i valori culturali.
Il primo grande impegno è stato conoscere sempre più e sempre meglio questa cultura, mettersi in
una posizione di ascolto e osservazione. Troppo spesso infatti, pur con grandi e buone intenzioni, si
offende o si manca di rispetto ad un’altra persona solo perché non conosciamo i suoi valori, la sua
fede, il suo background culturale.
Si pensi al fatto che per alcune tribù della costa una carezza sul viso di un bambino è un approccio
sessuale: quante bambine avranno sofferto in silenzio e paura per una carezza fatta da un
occidentale che sicuramente non aveva quelle intenzioni!
Si pensi al fatto che la parola “vecchio” che da noi ha una connotazione poco simpatica, in questo
paese è un’espressione di rispetto, quindi salutare una persona dicendo “vecchio” è non solo
accettato ma apprezzato…………
Partendo da questi presupposti, l’obiettivo è quello di fare piccolissimi passi che però siano stabili e
mantenibili, lavorare tanto sui giovani e sui bambini per aiutarli a raggiungere almeno ciò che per
altri loro coetanei in Kenya è normale.
Andare a scuola, per esempio, è già un grandissimo successo.
A scuola non si va perché non si ha l’uniforme, perché c’è da andare a prendere l’acqua, a
raccogliere la legna per il fuoco, perché la sera prima non si è cenato e non si ha la forza di
camminare a piedi per il tratto di strada necessario………………..……………………..a scuola non
si va anche perché non si hanno gli assorbenti igienici e quindi le bambine rimangono a casa circa
una settimana al mese……………….
Per questo ci siamo prefissi prima di tutto di aiutare il maggior numero di bambini possibile a
soddisfare almeno le necessità primarie, ci interessa poco che abbiano i vestiti carini o le scarpe,
tanto non le porta nessuno, ci interessa che vadano a scuola, mangino tutti i giorni e possano essere
curati se si ammalano.
Una delle regole è che frequentino scuole governative, in questo modo siamo sicuri che i
programmi siano quelli dettati dal ministero dell’istruzione e i bambini abbiano la possibilità di
confrontarsi e integrarsi agli altri coetanei, una scuola interna all’orfanotrofio acuirebbe le distanze
tra loro e gli altri e li farebbe crescere estranei al loro contesto.
Altro piccolo passo è stato creare una mensa scolastica per i più bisognosi, anche qui invece di
spendere per costruire la struttura, abbiamo dato un piccolo finanziamento a due donne del posto
che hanno acquistato pentole, piatti e il primo rifornimento per cucinare, poi paghiamo loro un
prezzo fisso a pasto.
Le donne hanno già restituito il prestito, hanno un piccolo guadagno che gli consente di aiutare le
loro famiglie, sono felici e orgogliose di essere finalmente autonome grazie ad un lavoro che le fa
guadagnare.
La scuola ha contribuito costruendo con le lamiere una piccola stanza, un magazzino chiuso. A
conti fatti, con i soldi che avremmo speso per costruire una mensa in muratura diamo da mangiare a
60 bambini x 10 anni.
Per affrontare alla base il problema della povertà estrema da cui poi scaturiscono tantissime
problematiche, abbiamo pensato di avviare piccoli progetti di sviluppo economico, tutti molto
semplici in modo che altre persone della comunità possano copiarli. L’idea infatti è creare una
struttura pilota che serva da modello di sviluppo per l’intera comunità.
Una delle problematiche in cui ci siamo imbattuti infatti, è la convinzione radicata “siamo poveri e
poveri resteremo, non c’è speranza, non c’è futuro “…….
Questa è una delle barriere culturali con cui confrontarsi e che, triste a dirsi, ha anche un
fondamento di verità.
Che futuro possono avere infatti persone che non hanno da mangiare e che da questa premessa
hanno una serie di NON possibilità:
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Non si mangia tutti i giorni quindi:
deperimento organico, poca forza, scarsa resistenza alle malattie
Non si va a scuola, quindi:
in Kenya ci sono due lingue: una nazionale, il swhili,
e una ufficiale che è l’inglese. Chi non va a scuola non è in grado
di parlarle e/o capirle, conosce solo il dialetto locale
quindi è tagliato fuori da tutti i processi comunicativi,
giornali, radio, testi musicali…..sono stranieri in casa loro
Non si può avviare un’attività lavorativa, quindi:
si rimane incagliati nel circolo della povertà
Non si riesce neanche a coltivare il campetto di fronte a casa, quindi:
è impossibile iniziare a produrre qualcosa per uso personale.
Partendo da questi presupposti, ci siamo prefissi di lavorare in una zona specifica e circoscritta,
di mandare a scuola fino a livello universitario i giovani più portati per lo studio, di avviare alla
formazione professionale a seconda dei talenti naturali o degli interessi personali gli altri ragazzi
e partire dalle loro capacità per avviare i progetti di sviluppo economico.
L’obiettivo era vedere se lavorando con questi criteri si può creare un cambiamento reale nella
vita di una comunità.
I risultati ad oggi ci fanno ben sperare, i ragazzi grandi sono oggi il motore di tutto il progetto.
Sono loro a trasmettere informazioni basilari alla loro stessa comunità e ovviamente sono
ascoltati e rispettati.
Sono la dimostrazione che si può uscire da un circolo virtuoso negativo, sono la speranza di
potercela fare.
Come filosofie guida watoto è orientato su un doppio binario: da un lato assistenza immediata
per rispondere a situazioni di bisogno,dall’altra immediata attivazione di una linea parallela
volta a promuovere,- per lo stesso bambino, struttura o comunità, - l’indipendenza e l’auto
sostenibilità attraverso percorsi di formazione, avviamento al lavoro, rinforzo delle strutture
familiari etc.
In sintesi Watoto è:
- Casa di accoglienza per bambini orfani e bisognosi (circa 30 bambini)
12 Attività di sviluppo economico avviate e volte al sostentamento della comunità
interessata e della casa di accoglienza (20 persone)
- Scolarizzazione (110 bambini / ragazzi )
- Micro-credito
- Assistenza a famiglie con orfani (4 famiglie)
Progetto sanitario di base che fornisca le conoscenze di prevenzione, importanza delle
vaccinazioni e dell’igiene personale e orientato a promuovere il concetto di “salute”
- Mensa scolastica per 50 ragazzi