“Credere che l`amicizia esista è come credere che i mobili abbiano

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“Credere che l`amicizia esista è come credere che i mobili abbiano
“Credere che l’amicizia esista
è come credere che i mobili
abbiano un’anima”
(Marcel Proust)
1 – Giovedì
Era il terzo giorno del nono mese del diciottesimo anno dalla caduta dell’Impero
Maebita quando Gretznor Cuordifalce, Paladino di Tutti i Confini e Difensore della
Fede di Luminus, e il suo fedele compagno d’armi Kazumani, nano scassinatore del
clan delle Ombre Corte, discesero i cinquemilacinquecentocinquantacinque gradini
che conducono in fondo al Pozzo Senza Fondo di Wallapurgan.
Cinquemilacinquecentocinquantacinque gradini più in alto, il sole delle pianure di
Wallapurgan era piccolo come un doblone d’oro. Nelle viscere dell’abisso giungeva
a malapena la luce necessaria a scorgere sette sarcofagi disposti in cerchio.
D’un tratto il frammento di corindone incastonato nell’elsa di Scassaserpi, la spada
incantata di Gretznor, prese a sfolgorare come una stella di sangue.
«La mia spada avverte un grande male in questo luogo» disse Gretznor.
«Ci scommetto che adesso si aprono le tombe» disse Kazumani.
In quell’istante, le tombe si aprirono. I pesanti coperchi di pietra si rovesciarono e
crollarono al suolo con clamore. Dagli eterni giacigli si levarono sette scheletri
scarnificati; le dita ossute stringevano scimitarre e mazzafrusti. I guerrieri risorti
varcarono i bordi dei loro avelli e, seminando pezzi d’armatura rugginosa ad ogni
passo, avanzarono verso Gretznor e Kazumani.
«Per la gloria di Luminus!» gridò Gretznor, e brandì Scassaserpi.
«Fatevi sotto, stronzi!» gridò Kazumani, e impugnò le sue asce gemelle, Divora &
Devasta.
Dopodiché cominciò a roteare su se stesso a guisa di trottola: un turbine vivente che
travolse i soldati scheletrici uno a uno, scagliando costole e tibie in ogni dove.
***
«No», dice Lucio, «non puoi».
«Perché?» chiede Marcello.
«Perché hai diritto ai bonus sugli attacchi multipli solo quando colpisci alle spalle»
spiega Lucio.
«Ed è un’abilità inefficace contro i nemici non morti» aggiunge Andrea.
Marcello lo guarda e aggrotta la fronte. «Ma tu da che parte stai? Dovremmo essere
noi due contro di lui!»
Lucio scuote la testa. «Dopo un anno e mezzo di sessioni settimanali hai ancora
questa visione agonistica del gioco di ruolo. Ormai dovresti aver capito che il
Master non è l’avversario dei giocatori. Al massimo è l’arbitro».
«Vabbè», dice Marcello, «e quindi?»
Andrea gli allunga un dado a venti facce. «E quindi tira».
***
«Fatevi sotto, stronzi!» gridò Kazumani, e impugnò Devasta & Divora.
Ma quando fu il momento di lanciarsi all’attacco, inciampò nei suoi stessi piedi e
rovinò faccia a terra.
***
Il dado a venti facce è fermo sul numero uno.
«Che palle» digrigna Marcello. È un tipo basso e panzuto, un coacervo di residui
tardoadolescenziali e anticipazioni di declino precoce: ha le guance crivellate d’acne
e i denti già tutti ingialliti, un felpone da gangsta rapper e una stempiatura quasi
completa. È seduto dal lato est del tavolo.
A ovest siede Andrea. Ha i capelli a mezzo collo e, per tratti somatici e costituzione
fisica, sembra scappato da un diorama del Museo di Scienze Naturali sull’uomo di
Cro–Magnon. Porta una T–shirt degli Arizona Coyotes. Ha un occhio nero e l’altro
pure, nel senso che entrambi hanno l’iride scura, e inoltre il destro è tumefatto.
A nord, dietro lo schermo del Master e un paio d’occhiali, è seduto Lucio. Segni
particolari: nessuno. Ha una di quelle facce neutre che, se estrapolate da un contesto
anatomico, potrebbero appartenere indifferentemente a un uomo o a una donna.
Il versante sud è scoperto.
In mezzo c’è il tavolo, invaso da matite a pulsante, schede di personaggi, manuali
del Master e dei giocatori, mappe, miniature e dadi a quattro, sei, otto, dieci, dodici
e venti facce.
«Marcello», dice Lucio, «sono mesi che te lo voglio chiedere. Kazumani, come
nome, da dove arriva?»
«Dalla Polonia» risponde Marcello. «Ho aperto Ruzzle, ho scelto il polacco come
lingua e ho passato il dito a caso. E Gretznor?»
«Wayne Gretzky», dice Andrea, «il più grande giocatore di hockey di tutti i tempi».
«Non ti sei ancora rotto di questa storia dell’hockey?» chiede Marcello. «Sei italiano,
la natura vuole che tu sia fissato col calcio».
Andrea alza le spalle. «Preferisco lo sport al melodramma».
«A proposito», interviene Lucio, «non ci hai raccontato di preciso come ti sei fatto
questo». Si indica l’occhio destro. «Credevo che in campo aveste delle protezioni».
«Ce le abbiamo. L’occhio nero me l’hanno fatto negli spogliatoi».
Marcello fischia. «Pesante! Le hai solo prese o le hai anche date?»
«Mi sono difeso».
«Una rissa», dice Lucio, «che cosa cinematografica. Com’è combattere nella vita
reale?»
Andrea prende un dado da venti e si prepara a lanciarlo. «Non ci sono i dadi».
***
A conclusione della battaglia, il fondo del Pozzo Senza Fondo era cosparso di ossa
umane spezzate o tranciate di netto.
Gretznor Cuordifalce sfilò la lama di Scassaserpi dal teschio trafitto di un nemico
caduto. L’armatura del paladino mostrava i segni della tenzone: un cosciale era
ammaccato, uno spallaccio forato. Ma le vesti candide del sacro culto di Luminus,
sfoggiate come uno stendardo sopra il pettorale, erano ancora intatte.
Al contempo Kazumani frugava nelle tombe in cerca di tesori: aveva già raccolto un
bottino d’una tiara, una cinta istoriata e una maschera funeraria d’oro puro. Finché,
giunto al settimo sarcofago, vi rinvenne un tubo d’avorio di mastodonte, dal quale
estrasse un foglio di pergamena.
«Ehi», disse il nano, «la mappa. Mi sa che l’abbiamo trovata».
«Sia lode a Luminus!» esclamò Gretznor. «Ora conosceremo la strada che porta alle
Cave della Follia, che conducono al Tempio del Dio Perduto, dove è nascosto l’elisir
che riporterà in vita il Signore degli Elfi, che custodisce la parola segreta che ci darà
accesso al sotterraneo dell’Arcimago!»
***
«E per stasera abbiamo finito» dice Lucio. «Scusate, ma domani alle otto in punto
voglio essere sui libri. Lunedì ho l’orale di Analisi Uno».
«Questo sabato non sei dei nostri?» chiede Andrea.
«Ho paura di no», risponde Lucio, «sarò in ritiro pre esame. Salutatemi tutti, e noi ci
vediamo giovedì per la prossima sessione».
Marcello si schiarisce la gola. «Parlando di giovedì… Vi seccherebbe se portassi una
persona?»
Gli altri due gli puntano contro sguardi densi di sospetto.
«Mia cugina si è trasferita in città da una settimana» spiega Marcello. «Non conosce
nessuno, e mia mamma mi ha consigliato, che nel suo caso è come dire ordinato, di
portare anche lei».
Andrea sbarra l’occhio sinistro e, nei limiti consentiti dalla tumefazione, anche il
destro. «Qui? Con noi? A giocare?»
«Non mi sembra una buona idea» dice Lucio.
«Neanche a me», conferma Marcello, «ma finché non mi trovo un lavoro non ho
margine di trattativa con mia madre». Unisce le mani in preghiera. «Vi scongiuro,
venitemi incontro!»
«Quanti anni ha ‘sta cugina?» chiede Andrea.
«Un paio meno di noi», risponde Marcello, «si è appena iscritta all’uni».
«Come si chiama?» chiede Lucio.
Marcello esita un attimo, poi sospira e spara:
«Belinda».
C’è un istante di silenzio, al quale segue una fragorosa risata collettiva.
«Belinda» ripete Lucio, asciugandosi una lacrima.
«Che nome del cazzo» riesce a dire Andrea, tra uno sghignazzo e l’altro. «Senza
offesa, eh».
«Figurati», sogghigna Marcello, «lo penso anch’io. È peggio di Kazumani».
2 – Giovedì
«Il mio nome è Bibernell Fiordineve, esploratrice scelta degli elfi silvani, e questo è
il mio fidato famiglio, Becco d’Asbesto».
Il falco, posato su una spalla della dama dalle orecchie a punta, spalancò il becco
argenteo e stridette.
«Mi sono introdotta nelle Cave della Follia alla ricerca di Vurdak», narrò Bibernell,
«il ciclope che ha barbaramente assassinato i miei genitori. Mentre seguivo le sue
tracce, accecata dal desiderio di vendetta, mi sono lasciata cogliere di sorpresa da
questa orrenda creatura».
A fianco della fanciulla elfica, riverso sul pavimento roccioso della caverna, giaceva
il corpo esanime di un ragno dalle dimensioni elefantiache.
«Io e Becco d’Asbesto siamo stati catturati», concluse Bibernell, strappando un
pezzo di ragnatela dalla sua faretra, «e saremmo morti d’una morte orribile se non
foste intervenuti voi in nostro aiuto. Vi dobbiamo la vita».
Gretznor accennò una riverenza. «Abbiamo soltanto compiuto il nostro dovere». La
sua armatura era lorda degli umori verdastri scaturiti dalle ferite del ragno, ma le
sacre vesti di Luminus erano intonse.
Kazumani stava usando Devasta per ripulire Divora dalle chiazze di liquami. «Sì,
bello, ma il tesoro? I ragni giganti non mettono via i soldi?»
All’improvviso, da qualche parte nel dedalo delle Cave della Follia, risuonò un
verso troppo mostruoso per essere umano, ma troppo vibrante di malvagità per
provenire da una bestia. Gli fece seguito un approcciarsi di passi pesanti.
«È Vurdak», disse Bibernell, «lo riconoscerei tra mille». Incoccò una freccia e tese la
corda dell’arco.
***
«E adesso?» chiede Belinda, una ragazza minuta con gli occhi azzurro ghiaccio, i
capelli decolorati e un piercing al naso, attualmente seduta dal lato sud del tavolo.
Andrea fa per passarle un dado da venti. «Adesso tira».
Lucio lo blocca per il polso. «Vacci piano. È la sua prima volta». A Belinda: «Nel
gioco di ruolo l’esito di ogni azione viene stabilito con un lancio di dado. Più è
difficile l’impresa, più alto è il numero che devi ottenere».
«E se l’impresa è impossibile?» chiede lei.
«Niente è impossibile», risponde Lucio, «c’è sempre una chance di successo, per
quanto piccola». Prende il dado da venti e glielo posa sul palmo. «Adesso tira».
***
Il grido di battaglia del ciclope si mutò in un urlo di dolore quando la freccia si
conficcò nel suo unico occhio.
***
Il dado è fermo sul diciassette.
«Bel colpo!» esclama Lucio.
«La fortuna dei principianti» sbuffa Marcello.
Belinda ridacchia e arrossisce un po’. «Ho solo tirato un dado».
«Ci vuole stile anche per tirare i dadi» dice Lucio. «Tuo cugino, per esempio, non è
capace».
«Ah ah, molto divertente» ribatte Marcello, serio.
«Quindi il gioco è tutto qui?» chiede la ragazza.
«Bè, no» risponde Lucio. «I dadi rappresentano la parte, per così dire, meccanica del
gioco di ruolo, ma le scelte tattiche spettano a voi giocatori. E soprattutto siete liberi
di interpretare i vostri personaggi come preferite».
«E tu cosa fai?»
Il timbro della voce di Lucio si abbassa in modo appena percettibile. «Io creo il
mondo».
«Quindi sei tipo Dio?»
«Sì, cioè no, non proprio. Un’eventuale divinità, se esistesse, potrebbe fare quello
che le pare. Mentre io, in quanto Master, devo preoccuparmi della buona riuscita
delle sessioni. È importante che gli ostacoli incontrati dai giocatori rappresentino
una sfida, ma non siano insormontabili».
«Sembra complicato».
Lucio ridacchia e si stringe nelle spalle. «Ma no, è solo un hobby».
«Non fare il modesto, pirla» interviene Andrea. «Essere il Master è un casino, c’è da
star dietro a un sacco di numeri e di tabelle. Ci va bene che abbiamo un cervellone
che ha passato Analisi Uno con trenta e lode!» Alza una mano aperta, e Lucio batte
il cinque.
«In pratica», spiega Marcello alla cugina, «i giochi di ruolo sono come la vita. Puoi
scegliere cosa fare, ma non sei mai sicuro delle conseguenze delle tue azioni, e
comunque c’è sempre qualcuno più in alto che decide per te». Si gratta la testa. «Ci
pensate che magari quella che noi chiamiamo realtà è solo un altro grande gioco di
ruolo? Forse noi crediamo di essere veri, ma siamo personaggi controllati da entità
della quinta dimensione con nomi impronunciabili fatti solo di consonanti».
Andrea si alza. «Quando Marcello comincia a sparare cazzate, vuol dire che s’è fatto
tardi. Ci si vede sabato?»
Si alza anche Marcello. «Cinema?»
«Perfetto» risponde Lucio. «Belinda, hai da fare sabato sera?»
«Purtroppo sì, questo fine settimana torno al paese. Ma tanto ci vediamo giovedì
prossimo, giusto?» Si alza anche lei. «Lucio, grazie di tutto. Specie di avermi dato
una mano con la scheda del personaggio». Gli sorride. «Bibernell è un bellissimo
nome».
Lucio ricambia il sorriso. «Anche Belinda».
I giocatori si allontanano. Il Master rimane solo sul fronte nord del tavolo, ma non
per questo smette di sorridere. La sua faccia non è più così anonima: dietro gli
occhiali brilla una luce nuova.
In lontananza si sente una domanda:
«Come te lo sei fatto quell’occhio nero?»
3 – Giovedì
«Io sono Ragnix, figlio di Tachios, figlio di Gurdik, Signore degli Alti Elfi della
Foresta di Ravendix. Quattordici inverni fa l’Arcimago Velanmorg ha gettato su di
me una maledizione che mi ha tramutato in una statua di pietra. Ancor oggi sarei
un pezzo di fredda roccia, se gli Dei non ci avessero inviato questi tre campioni.
Gretznor Cuordifalce, paladino del sacro culto di Luminus».
Gretznor si inchinò. «La vostra gratitudine è la mia ricompensa».
«Kazumani, del clan delle Ombre Corte».
«Non c’è un premio in denaro?» chiese Kazumani.
«E Bibernell Fiordineve, degli elfi silvani».
Bibernell e Becco d’Asbesto chinarono il capo insieme. Il Gran Consiglio degli Alti
Elfi dedicò un lungo applauso ai tre eroi.
«Ora», proseguì Ragnix, «vi rivelerò la parola che apre le porte del sotterraneo di
Velanmorg, cosicché possiate mondare le nostre terre dalla minaccia che egli
rappresenta. Ma prima, amici miei, è necessario discorrere di un’altra questione».
Un brusio interrogativo percorse le fila del Gran Consiglio.
«Troppo a lungo alti elfi ed elfi silvani sono stati separati da rancori, invidie e
incomprensioni» proclamò Ragnix. «Lo scisma ci ha resi vulnerabili agli assalti
degli orchi, dei goblin e degli uomini lucertola. È il momento di ricordare che la
razza elfica è una e una sola, e l’unico modo per farlo è suggellare una nuova
alleanza».
Il Signore degli Alti Elfi si avvicinò a Bibernell. Prese una mano della fanciulla tra le
sue.
«Bibernell, vuoi farmi l’onore di diventare mia moglie?»
***
«Lo sapevo» borbotta Marcello. «Appena fai entrare una donna si passa da Tolkien
a Beautiful».
Belinda ha l’aria confusa. «Cosa devo fare? Devo tirare un dado?»
Lucio scuote la testa. «Questa è una di quelle situazioni nelle quali non c’entrano i
dadi. Devi solo… rispondermi». C’è un’improvvisa irregolarità nel ciclo di apertura
e chiusura delle sue palpebre, per cui si potrebbe avere l’impressione che abbia
appena strizzato l’occhio a Belinda. Ma se lei se n’è accorta, non lo dà a vedere.
«Occhei», dice la ragazza, «ho capito».
***
«L’onore è il mio» disse Bibernell. «È fuor di dubbio che qualunque fanciulla elfica
sarebbe felice di ricevere una tale proposta».
Ritrasse la mano dalla presa di Ragnix.
«Tuttavia, per onestà, sono costretta a declinare. Perché il mio cuore appartiene già
a un altro».
Si volse in direzione della persona al suo fianco.
«Io ti amo, Gretznor Cuordifalce».
***
«Eh?» chiede Andrea. Non ha più l’occhio pesto, ma al momento ha tutti e due gli
occhi persi.
Le guance di Belinda hanno assunto un leggero color porpora. «Non è proibito,
giusto? Il mio personaggio può fare tutto quello che voglio».
Lucio, senza bisogno di maledizioni, è come pietrificato.
Belinda fissa un punto nel vuoto a metà strada tra una gamba del tavolo e una
scarpa di Andrea. «Tocca a te. Cosa rispondi?»
Andrea prende un respiro profondo.
***
«Per me va bene» disse Gretznor.
Bibernell si gettò tra le sue braccia.
***
«No!» grida Lucio. «Non puoi».
«Perché?» chiede Andrea.
«Perché», Lucio ha il respiro leggermente affannoso, «perché il tuo personaggio è
devoto al culto di Luminus. E quindi ha fatto voto di castità».
«Ma da quando?»
«Da sempre! Cioè, è implicito, non te ne avevo mai parlato perché non ce n’è mai
stata l’occasione».
«Ah. Allora è diverso».
***
«Per me va bene» disse Gretznor, strappandosi di dosso le vesti bianche.
Bibernell si gettò tra le sue braccia.
***
Belinda rialza lo sguardo. Al massimo dell’estensione, il suo sorriso ha come effetto
collaterale una coppia di adorabili fossette. «Ragazzi, questo sabato ci siete?» chiede
a Andrea.
«Cascasse il mondo» risponde lui.
«Lucio, tu ci sei?» chiede Marcello.
Lucio sembra scomparso dietro lo schermo del Master. La sua voce arriva fessa e
lontana.
«Non credo».
4 – Giovedì
Fu così che Gretznor, Bibernell e Kazumani, con l’apporto fondamentale di Becco
d’Asbesto, si avventurarono nel sotterraneo dell’Arcimago. Scesero scale, varcarono
arcate, percorsero corridoi, scassinarono serrature, fecero scattare trappole alle quali
sfuggirono per un soffio, percorsero altri corridoi, scesero altre scale. Affrontarono
tre viverne, quattro manticore, undici mummie viventi, una falange di minotauri,
un golem a vapore e un elementale del magma. Alfine, in una grande stanza delle
torture piena di gabbie, gogne e vergini di ferro, giunsero al cospetto di Velanmorg,
terrore degli elfi, flagello dei nani e traditore della razza umana.
«Siamo alla resa dei conti, Velanmorg!» disse Gretznor. Sguainò Scassaserpi: la
gemma sull’elsa risplendeva come un sole rosso.
«Il tuo regno di terrore finisce oggi!» disse Bibernell, cogliendo una freccia dalla
faretra.
«Perché noi ti faremo il mazzo!» gridò Kazumani mentre emergeva da un angolo
buio alle spalle del mago, con Divora stretta in un pugno e Devasta nell’altro.
Velanmorg neppure si volse: sollevò una mano, e una raffica di vento polare sorta
dal nulla investì Kazumani. Il nano fu scaraventato contro un muro e si accasciò a
terra, intirizzito e coperto di brina.
***
«Così?» chiede Belinda. «Senza neanche tirare?»
***
Becco d’Asbesto spiegò le ali, lanciò un verso stridulo e spiccò il volo alla volta
dell’avversario.
Velanmorg puntò un dito: una folgore colpì il rapace, che cadde già spiumato e
arrostito. Dopodiché dalle pareti della stanza scaturì un fascio di viscidi tentacoli
butterati, che si riversarono su Bibernell: bloccarono le sue gambe e le sue braccia e
stracciarono le sue vesti.
***
«Lucio», chiede Marcello, «non stai esagerando?»
***
Velanmorg schioccò le dita e Kazumani esplose.
Poi l’Arcimago si rivolse a Gretznor. Dalla sua gola affiorò una voce che suonava
come ossa sfregate su altre ossa e diceva:
«Fatti sotto, stronzo».
***
«Lucio», chiede Andrea, «c’è qualche problema?»
Il Master ha un’espressione impenetrabile. Una maschera di pietra.
***
Velanmorg batté le mani e l’armatura di Gretznor cadde a pezzi. Schinieri, cosciali,
cubitiere e spallacci piovvero sul pavimento, disgiunti gli uni dagli altri e corrosi da
ruggine precoce, lasciando Gretznor nudo e indifeso quanto un lombrico.
***
Ora anche il volto di Andrea è una maschera di pietra. Lui e Lucio si fissano a
vicenda negli occhi mentre Andrea prende uno dei dadi da venti sparsi sul tavolo.
***
Velanmorg levò in alto entrambe le mani aperte. Vi fu un lampo di luce, e apparve
una schiera di scudi a losanga sospesi a mezz’aria, che presero a ruotare intorno al
corpo dell’Arcimago come un’impenetrabile muraglia incantata.
***
Andrea scuote il pugno nel quale stringe il dado e si prepara a tirare.
***
Velanmorg gonfiò le guance e soffiò. La luce sull’elsa di Scassaserpi si spense.
***
Andrea tira.
***
Gretznor brandì a due mani l’oggetto di metallo affilato che in precedenza era una
spada magica e si scagliò all’attacco al grido di
«Vaffanculo!»
***
Il dado rotola sul tavolo.
***
La testa di Velanmorg rotolò a terra.
***
Il dado è fermo sul venti.
***
Nel profondo del sotterraneo che era stato dell’Arcimago, al centro di un labirinto
di scale, corridoi, arcate, ponti, botole e bivi, in una grande stanza piena di ruote da
tortura, tavolacci da stiramento e sedie irte di spuntoni Gretznor e Bibernell, nudi e
bellissimi, celebrarono un mondo libero dalla crudeltà di Velanmorg scambiandosi
il bacio del vero amore.
***
Lucio si alza.
Ha lo sguardo iniettato di sangue.
Belinda si aggrappa a un braccio di Andrea.
«Lucio», dice Andrea, «io…»
La bocca di Lucio si spalanca a un’angolazione innaturale. Con un ruggito, dalle
viscere del Master erutta una colonna di fiamme arancioni. Brucia il tavolo con tutti
i dadi, i manuali e le schede dei personaggi. Brucia Marcello, bruciano fino al
midollo Andrea e Belinda, avvinti in un ultimo abbraccio. La stanza si riempie di
urla di dolore e del puzzo di carne carbonizzata.
***
«No», dice Mxyz, «non puoi».